Archivio del Tag ‘Il Sole 24 Ore’
-
Brandi: macché “nuovo” Draghi. Ci sta facendo a pezzi
Mario Draghi ha sempre fatto degli sfaceli: ha agito come un traditore della patria. Io non prendo nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di un Draghi che torna sui suoi passi; basta vedere qual è stata la sua azione nel momento in cui è arrivato a Palazzo Chigi. Aveva le mani legate? I partiti si sono stesi ai suoi piedi in maniera vergognosa. E i media lo hanno divinizzato, come già fecero con Monti. Un premier che anche solo accarezzi l’idea di cambiare, rispetto alla deriva neoliberista e anti-patriottica di Draghi, non avrebbe mai firmato una robaccia come il Pnrr. Non ci avrebbe mai legato a una robaccia come il Recovery Fund. Non avrebbe mai firmato il Trattato del Quirinale. Non avrebbe mai difeso il Green Pass (che, dati alla mano, sta distruggendo la nostra economia). Nell’azione di Draghi, purtroppo, io vedo un’enorme coerenza con quello che ha fatto, fino a questo momento.Che poi lui di notte sia tormentato dagli incubi, su quello che sta facendo, mi può interessare fino a un certo punto; io devo basarmi su quello che vedo. E quello che vedo è un premier che, ancora una volta, sta facendo quello che gli è riuscito meglio in tutta la vita, cioè: liquidare. E’ un liquidatore, ed è quello che sta accandendo. A seguito dell’azione di Draghi, la nostra economia (non che prima se la passasse meglio) ha subito l’ennesima mazzata: come certificato dai dati di Confcommercio, il Green Pass ha causato un crollo dei consumi interni: cosa che per un keynesiano sarebbe un problema immenso, perché un keynesiano punterebbe soprattutto sul mercato interno e al ritorno dello Stato come centro dell’economia, non come ente vessatorio e burocratico, pronto a imporre le tasse. Al contrario, un keynesiano dovrebbe concepire uno Stato che aiuta famiglie e imprese con la spesa pubblica: ma non è quello che abbiamo visto, in questi mesi.Anzi: abbiamo visto un ulteriore indebitamento di famiglie e imprese. E il Pnrr, che ci viene spacciato come piano nazionale di resilienza e ripresa (“per il culo”, io aggiungo), è un piano di smantellamento e di suicidio assistito per la nostra economia. Addirittura, ormai, lo dicono i grandi sovranisti del “Sole 24 Ore”, che qualche giorno fa si sono accorti che, dentro il Pnrr, ci sono delle clausole di ammodernamento e conversione “green” che saranno letali, per le nostre piccole e medie imprese (ma non lo saranno per il comparto industriale tedesco, che guardacaso è già pronto per questa conversione). Noi siamo il paese delle piccole e medie imprese: che non verranno aiutate, in questa conversione, perché devono essere distrutte (come direbbe Draghi, con la “creative destruction”). Nella visione che secondo me Draghi ha ancora, le piccole imprese devono essere spazzate via; sono le grandi imprese, che devono andare avanti, i grandi conglomerati industriali, le grandi multinazionali. Ma se tu fai fuori le piccole e medie imprese, tu distruggi il 95-97% del tessuto industriale italiano: tu fai fuori l’Italia.Stessa cosa per quanto riguarda il Recovery Fund. Non se ne può parlare come dei “soldi che ci dà l’Europa”: sono pochi soldi, a strozzo, in ritardo, a rate, legati a delle condizionalità suicide. Ne vogliamo citare una a caso? Dobbiamo mantenere un “avanzo primario” vergognoso, che poi peraltro abbiamo fatto per trent’anni: quindi lo Stato deve tassarci più di quanto spende per famiglie, pensioni e servizi. Non solo: anche nel Recovery ci sono delle clausole “green” che ci impediscono di fare determinate scelte. Non solo: c’è una conversione forzata verso il digitale e c’è la lotta al contante, verso cui io e tanti altri siamo contrarissimi, perché è una questione di controllo: se tutto passa attraverso il pagamento telematico, dall’altra parte basta un “click” e tu non ti muovi e non vivi più, se non hai più il denaro contante.Aggiungo che c’è un’accelerazione del processo di esproprio, da parte delle banche, degli immobili in mano a imprese che sono indebitate. Un indebitamento scellerato, aggravato negli ultimi due anni: prima il lockdown, poi il Green Pass. Immaginate cosa ci sta per cascare addosso. In più, aggiungo che Valdis Dombrovskis (commissario europeo per il commercio, ndr) ha detto chiaramente che tra un anno, un anno e mezzo, tornerà il maledetto Patto di Stabilità. E purtroppo, questa gente non scherza quasi mai, quando parla. L’Italia, ci dicono, è il primo “beneficiario” del Recovery Fund. Attenti: per metà sono soldi in prestito, che dobbiamo restituire; per l’altra metà sono soldi, tra virgolette, a fondo perduto, ma in realtà basati sul bilancio comune europeo: che ci vedrà solo leggermente come percettori netti. Infatti, sempre il “Sole 24 Ore” ha ammesso che finora siamo stati contributori netti: abbiamo dato più soldi di quelli che ci sono tornati indietro.Alla fine di tutto questo, quindi, noi ci ritroveremo più indebitati, dal punto di vista dello Stato e da quello delle famiglie e delle imprese. E tornerà il maledetto Patto di Stabilità, che la prima cosa che considera è il tuo debito pubblico. Se a questo aggiungiamo che il Pil non sarà cresciuto come ci dicono (perché la crescita del 6% dopo un crollo del 10% è ridicola, è il cosiddetto “rimbalzo del gatto morto”), la differenza tra debito e Pil – che è quella che ci interessa, e che deriva dai famigerati trattati europei, Maastricht in primis – sarà la prima ad essere vista, da coloro che non aspettano altro per dirci: visto? E’ aumentato il differenziale debito-Pil. E quindi: austerità. Perché quello che ci aspetta è questo, purtroppo. E’ un circolo vizioso. E quindi cosa avrebbe dovuto fare, Draghi, se davvero si fosse risvegliato con un afflato keynesiano o patriottico?Avrebbe dovuto mettere in discussione tutti i trattati europei. Non avrebbe mai dovuto implementare una robaccia come il Green Pass, perché era certo – da subito – che avrebbe distrutto l’economia italiana. E vedrete tra qualche mese, quando arriverà la stangata delle bollette, a causa del rincaro delle materie prime: altra cosa su cui Draghi non ha fatto niente. Lui ha grande voce, in Europa, e l’Unione Europea non ha fatto alcuna vera politica di strategia industriale: stiamo ancora dietro alle cavolate “gretine”, che non hanno nulla a che vedere con la tutela dell’ambiente (che invece è assolutamente nobile) e ci hanno esposto a una crisi di inflazione delle materie prime che si abbatterà, guardacaso, sui cittadini qualsiasi: su cui, però, non sta cadendo alcuna pioggia di miliardi. Ora, tutto questo non si sposa nemmeno lontanamente con la speranza che Draghi stia cambiando.Io vedo, purtroppo, un Draghi maledettamente coerente con le sue posizioni di sempre. L’aspetto legato alle logge massoniche? Non metto in dubbio che vi siano degli scontri, all’interno di queste logge, di questi gruppi sovranazionali che vanno al di là delle bandiere e dei grandi partiti. E’ un problema che ha questo periodo storico: pian piano, il potere viene spostato sempre di più verso il sovranazionale: per questo le democrazie sono esautorate del loro potere e della loro rappresentanza. Ma questo non toglie il fatto che quello che abbiamo visto finora, purtroppo, è un Draghi totalmente in linea con quello che abbiamo visto dal ‘92 in poi: un liquidatore al servizio dell’alta finanza. E alla fine del suo mandato (che terminerà chissà quando) noi ci ritroveremo con un’economia a pezzi, con piccole e medie imprese acquistate da grandi conglomerati stranieri. Ed è quello che Draghi fa: quello che ha fatto per tutta la vita.(Matteo Brandi, dichiarazioni rilasciate su YouTube nella trasmissione “Il Gladiatore”, di “Border Nights”, con Gioele Magaldi e Fabio Frabetti, il 3 febbraio 2022. Autore e blogger, brillante polemista, Brandi è l’animatore di un neonato soggetto politico, “Pro Italia”).Mario Draghi ha sempre fatto degli sfaceli: ha agito come un traditore della patria. Io non prendo nemmeno lontanamente in considerazione l’ipotesi di un Draghi che torna sui suoi passi; basta vedere qual è stata la sua azione nel momento in cui è arrivato a Palazzo Chigi. Aveva le mani legate? Ma dove? I partiti si sono stesi ai suoi piedi in maniera vergognosa. E i media lo hanno divinizzato, come già fecero con Monti. Un premier che anche solo accarezzi l’idea di cambiare, rispetto alla deriva neoliberista e anti-patriottica di Draghi, non avrebbe mai firmato una robaccia come il Pnrr. Non ci avrebbe mai legato a una robaccia come il Recovery Fund. Non avrebbe mai firmato il Trattato del Quirinale. Non avrebbe mai difeso il Green Pass (che, dati alla mano, sta distruggendo la nostra economia). Nell’azione di Draghi, purtroppo, io vedo un’enorme coerenza con quello che ha fatto, fino a questo momento.
-
Draghi, Greta e l’ultimo delirio: i lockdown “climatici”
Lo storico fiorentino Nicola Bizzi non è certo un futurologo, ma spesso le sue previsioni risuonano poi nella cronaca. L’ultimissima ha preceduto le notizie di oggi, che vedono Mario Draghi in prima linea nel disegnare la nuova emergenza mondiale, quella climatica. E’ destinata a rimpiazzare il sempre più logoro spauracchio del Covid, vale a dire la più grande “pandemia di asintomatici” della storia, per citare la bocconiana eretica Ilaria Bifarini. L’economista è autrice de “Il Grande Reset”, saggio esemplare che mostra come si possa approdare all’orrenda “nuova normalità” dopo aver letteralmente inventato l’apocalisse sanitaria, negando le cure allo scopo di scatenare la crisi ospedaliera e il panico globale, per arrivare dritti al vero risultato atteso, fin dall’inizio, dall’élite di Davos: la digitalizzazione corporea definitiva dell’homo sapiens, a scopo di dominio, usando come alibi la profilassi sanitaria obbligatoria, cioè il Tso che il governo Draghi oggi impone in modo brutale e sfrontato, chiamandolo addirittura “vaccino”.
-
Libertà condizionata: il green pass ignora le cure precoci
Libertà condizionata: dopo lockdown e coprifuoco, è arrivato anche il temuto pass vaccinale. Occorre dimostrare di essere stati vaccinati, oppure guariti dal Covid, o almeno risultati negativi a un tampone. Già in vigore, il pass sarà probabilmente allineato al “green pass europeo” il 1° luglio, che normerà il transito alle frontiere tra gli stessi paesi Ue. Il lasciapassare italiano si chiama ufficialmente “certificazione verde”, ed è stato introdotto dal governo Draghi con il decreto anti-Covid del 22 aprile 2021 (modificato dal decreto del 18 maggio). Il pass è necessario per potersi spostare in entrata e in uscita dalle Regioni in fascia arancione o rossa, ricorda il “Sole 24 Ore”, ma anche per visitare anziani nelle Rsa e per partecipare a feste di nozze e a maxi-concerti. «Possibile il ricorso a questo certificato per presenziare ad altri eventi, come i concerti con capienza maggiore di quella attualmente consentita (fino a un massimo di mille spettatori in impianti all’aperto e fino a 500 al chiuso), ma anche per andare in discoteca», aggiunge il “Sole”, confermando la tendenza: scoraggiare in ogni modo i cittadini che dovessero rifiutare di vaccinarsi.Già ora, indipendentemente dalla vaccinazione fatta o dalla guarigione dal Covid, per entrare in Italia serve comunque sempre un tampone negativo, effettuato 48 ore prima della partenza. Per i vaccinati, aggiunge il quotidiano economico, la certificazione è rilasciata (in formato cartaceo o digitale) dalla struttura sanitaria che effettua la vaccinazione. Anche per i guariti l’attestato è fornito dai medici, mentre il risultato negativo del tampone proviene dalla farmacia o dal laboratorio privato in cui si effettua il test molecolare o antigenico. La durata del “green pass” per i vaccinati è stata portata da 6 mesi a 9 mesi «a far data dal completamento del ciclo vaccinale». In caso invece di comprovata guarigione, la durata della “certificazione verde” resta di 6 mesi. Di fatto, per chi fa il vaccino di AstraZeneca (la seconda dose viene somministrata dopo circa tre mesi), il “green pass” ha una validità di quasi un anno. Per chi invece riceve la somministrazione di quello di Johnson&Johnson (una sola dose) la durata del documento è di 9 mesi. Per chi infine ricorre ai vaccini a Rna-messaggero (Pfizer e Moderna, con richiamo dopo 42 giorni) va calcolata una durata intermedia.«Il certificato è gratuito: a pagamento è solo il tampone», sottolinea il “Sole”. «Il tampone molecolare rimane il “gold standard” per la diagnosi del Covid», anche se molti medici hanno dimostrato l’elevata inattendibilità del test. «Il costo varia tra i 60 e i 100 euro a seconda delle strutture e delle regioni. Il prezzo medio per fare un test rapido antigenico (eseguibile anche in farmacia) è di 30-40 euro». Il ministro della sanità, Roberto Speranza – che continua a non rispondere alle domande sul piano pandemico non aggiornato e comunque ignorato, nel 2020 – conferma il trend: cauto ottimismo, finalmente, solo grazie alla campagna vaccinale, che ha ormai coinvolto un italiano su tre. Non una parola, dal governo, sulle cure precoci: la loro efficacia (oggi comprovata) ridurrebbe quasi a zero i ricoveri, mettendo fine all’emergenza ospedaliera. In altre parole: continuando a fingere che le terapie domiciliari non esistano (cosa che ha garantito ai vaccini l’autorizzazione d’urgenza), si provvede a continuare a limitare – con il “green pass”, appunto – la libera circolazione dei cittadini, come se non fosse possibile guarire i pazienti da casa, in pochi giorni. E’ il “paradigma Covid” che ha travolto l’Occidente, e da cui l’Italia non sembra ancora voler uscire.Libertà condizionata: dopo lockdown e coprifuoco, è arrivato anche il pass vaccinale. Occorre dimostrare di essere stati vaccinati, oppure guariti dal Covid, o almeno risultati negativi a un tampone. Già in vigore, il pass sarà allineato al “green pass europeo” il 1° luglio, che normerà il transito alle frontiere tra gli stessi paesi Ue. Il lasciapassare italiano si chiama ufficialmente “certificazione verde”, ed è stato introdotto dal governo Draghi con il decreto anti-Covid del 22 aprile 2021 (modificato dal decreto del 18 maggio). Il pass è necessario per potersi spostare in entrata e in uscita dalle Regioni in fascia arancione o rossa, ricorda il “Sole 24 Ore“, ma anche per visitare anziani nelle Rsa e per partecipare a feste di nozze e a maxi-concerti. «Possibile il ricorso a questo certificato per presenziare ad altri eventi, come i concerti con capienza maggiore di quella attualmente consentita (fino a un massimo di mille spettatori in impianti all’aperto e fino a 500 al chiuso), ma anche per andare in discoteca», aggiunge il “Sole”, confermando la tendenza: scoraggiare in ogni modo i cittadini che dovessero rifiutare di vaccinarsi.
-
Green Deal, maxi-raggiro: raddoppia la razzia della Terra
Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.Pannelli solari, pale eoliche, batterie e auto elettriche sono dispositivi tecnologici fatti di cemento, plastica, acciaio, titanio, rame, argento, cobalto, litio e decine di altri minerali. Un commentary uscito su “Nature Geoscience” pochi anni fa stima che, solo per convertire un settimo della produzione di energia primaria mondiale (25.000 TWh), potrebbe essere necessario triplicare la produzione di calcestruzzo (da poco più di 10 miliardi di tonnellate l’anno a quasi 35), quintuplicare quella di acciaio (da poco meno di due miliardi di tonnellate a poco più di 10) e moltiplicare di varie volte quella di vetro, alluminio e rame. E stiamo parlando di convertire alle energie rinnovabili neanche il 15% del fabbisogno energetico mondiale. Non solo, va considerato anche un aspetto tecnico: il “filone d’oro” esiste solo nei fumetti. Per fare un esempio, in un giacimento di rame, mediamente il rame è presente con una concentrazione di circa lo 0,6%. Questo vuol dire che per estrarre una tonnellata di metallo bisogna sbriciolare più di 150 tonnellate di roccia. Le grandi miniere d’oro sudafricane macinano 5/6.000 tonnellate di roccia al giorno per estrarre meno di 20 tonnellate di metallo prezioso l’anno. Ma non basta.Come si produce l’alluminio? Beh, con un procedimento che consuma moltissima energia: per produrre una tonnellata di alluminio, infatti, sono necessari circa 30.000 kwh (tra energia termica ed elettrica). E anche la siderurgia è un’attività energivora: la produzione di una tonnellata di acciaio richiede tra gli 800 e i 5.000 kwh equivalenti. Quindi, solo per produrre l’acciaio necessario a costruire pannelli e turbine eoliche sufficienti a generare 25.000 Twh l’anno di energia rinnovabile, potremmo avere bisogno di 7.000/40.000 Twh l’anno di energia fossile in più. E non è finita qui. Di circa una decina di materiali alla base della “rivoluzione verde”, infatti, le riserve conosciute basterebbero a coprire solo pochi di anni di consumo in uno scenario 100% rinnovabili. L’Unione Europea, per esempio, prevede che, per centrare gli ambiziosi target del Green Deal, avrà bisogno di molte più terre rare di quante ne vengano estratte attualmente in tutto il mondo. È bene sottolineare che queste stime non sono le maldicenze di un mercante di dubbi pagato da Big Oil. L’Onu, la Commissione Europea, la Banca Mondiale hanno prodotto ampi rapporti in cui arrivano a conclusioni analoghe: serviranno moltissime risorse naturali in più. Gli studi che approfondiscono l’argomento d’altro canto sono numerosi, e pubblicati sulle riviste scientifiche più autorevoli del mondo: “Pnas”, “Science”, “Nature”.Eppure, nonostante il vasto panorama di riviste divulgative che seguono da vicino la “rivoluzione verde”, da “Le Scienze” alle tante testate digitali, curiosamente in lingua italiana non esiste un singolo approfondimento su questo aspetto, così enorme e così contraddittorio. La percezione, piuttosto diffusa a dire il vero, è che chi fa divulgazione scientifica da un po’ di tempo si sia arrogato il diritto di scegliere cosa divulgare e cosa no. Abbia deciso di fare politica invece che informazione, insomma. Non si spiega, altrimenti, come sia possibile scagliarsi quasi quotidianamente contro il paradigma della crescita e, nello stesso tempo, appoggiare una “rivoluzione verde” che immagina di raddoppiare – quantomeno – il prelievo di risorse naturali in pochi decenni. Oppure come sia possibile che, mentre ci si indigna per i disastri ambientali in Amazzonia o in Australia, si progetti di scavare fosse profonde 170 km per cercare i metalli necessari a soddisfare il fabbisogno dell’industria eolica e solare (una prospettiva che per il momento, tra l’altro, è fantascienza pura, dato che si parla di operare a temperature e pressioni ingestibili con la tecnologia attuale).La miniera d’oro di TauTona, in Sud Africa, è la miniera a cielo aperto più profonda del mondo e arriva a 3,9 km di profondità. Immaginatela 40 volte più grande. Su “Econopoly” ci eravamo già occupati di questo aspetto e lo avevamo fatto ben prima che la pandemia di Covid-19 mettesse in luce che la scienza non è affatto monolitica come la dipingono alcuni media (sul clima impazzito ascoltate gli scienziati: ok, ma quali?). In definitiva, dietro a quella che chiamiamo “rivoluzione verde” si nasconde in realtà un programma per accrescere rapidamente e drasticamente il prelievo di risorse naturali. Con tutto quello che consegue per la salute degli ecosistemi e anche degli esseri umani: per estrarre miliardi tonnellate di ghiaia, argilla, ferro, bauxite e rame in più, distruggeremo altre foreste incontaminate, inquineremo ulteriormente aria e acqua, spingeremo verso l’estinzione decine di migliaia di specie animali. Quindi, in buona sostanza, uno scenario molto diverso da quello che viene venduto all’opinione pubblica.Non si tratta di una distopia, di un futuro lontano avvolto nelle nebbie del probabilmente e del forse: la Commissione Europea ha appena annunciato un programma di finanziamenti per l’industria mineraria europea e il prezzo del rame vola (+40% da marzo a oggi), trainato proprio dalla domanda legata alle auto elettriche cinesi e al Green Deal europeo. Ci siamo già dentro, stiamo già devastando centinaia di ecosistemi alla ricerca di litio e cobalto per le batterie o terre rare per i magneti delle turbine eoliche. Sospinti dall’emotività, alimentiamo una bolla epocale. Ci sono altre soluzioni? La temperatura continua ad aumentare, non possiamo fare finta di niente. Certo che ci sono altre soluzioni. E di nuovo, ci si scontra con il muro di gomma della divulgazione: l’opinione pubblica è stata convinta che non ci siano altre strade ma in realtà non è così. Prendiamo un caso esemplare: la Cattura Diretta in Atmosfera (Dac). La cattura diretta è una tecnologia dall’apparenza pionieristica, ma in realtà molto semplice, che permette di separare l’anidride carbonica dall’aria. Niente di fantascientifico, esistono decine di impianti pilota perfettamente funzionanti in tutto il mondo.Genericamente questa tecnologia viene ridicolizzata in quanto molto costosa: i risultati certificati a livello scientifico si attestano su un costo minimo di 94 dollari per ogni tonnellata di anidride carbonica catturata dall’atmosfera. Oggettivamente, un costo non indifferente dato che ne emettiamo quasi 37 miliardi di tonnellate l’anno. Chiunque faccia notare che stiamo parlando dei dati relativi a un impianto pilota, molto piccolo, e che in un impianto di grandi dimensioni i costi potrebbero essere già ora molto più bassi, viene accusato di pensiero magico, nonostante il potenziale delle economie di scala sia noto e facilmente misurabile. Oltretutto, si pretende che la cattura diretta competa con le rinnovabili senza beneficiare di incentivi pubblici, mentre le rinnovabili vengono generosamente sussidiate. Beh, la cosa curiosa è che le stime attuali sui costi della “rivoluzione verde” si aggirano intorno ai 5.000/6.000 miliardi l’anno, mentre catturare l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera a 94 dollari la tonnellata (ripetiamolo: un costo irragionevolmente gonfiato immaginando un impiego su larga scala) costerebbe “solo” 3.000 miliardi l’anno! È veramente difficile capire come si possa definire la cattura diretta costosa, appoggiando contemporaneamente una soluzione che costa il doppio.Da non dimenticare, poi, come sottolinea proprio “Nature”, che la cattura diretta ha un vantaggio fondamentale rispetto a tutte le altre soluzioni: minimizza l’incertezza, aggredisce il nocciolo del problema. Da una parte parliamo di ridurre l’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera attraverso complessi meccanismi culturali e sociali, dall’altra di toglierla direttamente con una tecnologia. Ancora più curioso è il caso della riforestazione e dell’agricoltura rigenerativa (da non confondere con l’agricoltura biologica o biodinamica: parliamo di agricoltura intensiva con rese superiori a quella chimica tradizionale), due opzioni perfettamente ecosostenibili che ci permetterebbero di tamponare rapidamente il problema del cambiamento climatico, con un dispendio di risorse limitato e ricadute socioeconomiche allettanti. Eppure, le iniziative in questa direzione sono continuamente sotto il fuoco degli scienziati, dei divulgatori e degli attivisti green. Un paradosso. L’accusa è spiazzante: l’adozione di queste soluzioni potrebbe rallentare la transizione verso le energie rinnovabili.Ma l’obiettivo finale di questo gigantesco sforzo è mettere al sicuro il pianeta dall’incertezza climatica oppure far fare un mucchio di soldi alla lobby delle energie rinnovabili? Oramai è diventato molto difficile capirlo. Elon Musk è indubbiamente un imprenditore brillante, un genio del nostro tempo, ma non per questo ci dobbiamo sentire obbligati a versargli 1.000/2.000 miliardi di dollari l’anno, generosamente irrorati da fondi pubblici che togliamo alla sanità o all’educazione, solo per fare due esempi. Sarebbe bello poter chiosare, come d’altronde va molto di moda in questi tempi, dicendo che è sempre più importante studiare, informarsi, approfondire, perché ne va del nostro futuro. Ma se a monte c’è un filtro che seleziona quali informazioni devono arrivare ai media e quali no, questo diventa solo l’ennesimo esercizio di stile altezzoso e inconcludente. «Va notato che l’Ipcc nel suo quinto rapporto, coerentemente con tutte le precedenti relazioni di valutazione, non affronta esplicitamente la questione delle implicazioni materiali degli scenari di sviluppo climatico» (World Bank).(Enrico Mariutti, “La grande eresia: la rivoluzione verde è un’enorme fake news?”, dal “Sole 24 Ore” dell’11 novembre 2020; l’articolo è pubblicato nel supplemento “Econopolis”. Ricercatore e analista in ambito economico ed energetico, nonché autore de “La decarbonizzazione felice”, Mariutti è il “founder” della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Isag, Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie).Ogni anno l’uomo estrae dal suolo e dal sottosuolo terrestre 50 miliardi di tonnellate di materiali da costruzione, combustibili fossili, minerali e metalli. Per intenderci, una massa pari a quella di 140.000 Empire State Building. A questo gigantesco prelievo di risorse naturali è correlato un devastante impatto ambientale. Tutti abbiamo in mente le immagini delle petroliere in avaria che riversano in mare migliaia di tonnellate di greggio. Non tutti sanno, invece, che uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi decenni è stato causato da una miniera di rame (il disastro di Ok Tedi) o che una delle principali cause degli incendi boschivi in Amazzonia e in Africa è proprio l’attività estrattiva. Per allentare la pressione antropica (umana) sull’ecosistema terrestre un gruppo agguerrito di scienziati, comunicatori, attivisti e politici è riuscito gradualmente a imporre a un’ampia fetta dell’opinione pubblica occidentale una nuova prospettiva di sviluppo, incentrata apparentemente su un consumo più razionale delle risorse naturali. Invece di estrarre miliardi di tonnellate l’anno di carbone, petrolio e gas naturale dovremo imparare a sfruttare l’energia del Sole e del vento, risorse rinnovabili il cui sfruttamento non danneggia l’ecosistema. Tutto giusto, no? No, tutto sbagliato.
-
Oxford: il virus non viaggia, era qui e qualcosa l’ha attivato
Altro che Cina: il coronavirus potrebbe essere rimasto inattivo un po’ in tutto il mondo per chissà quanti anni, prima di riattivarsi grazie a nuove condizioni ambientali favorevoli. È la tesi di Tom Jefferson, medico al Center for Evidence-Based Medicine (Cebm), con sede al Dipartimento di Scienze della salute delle cure primarie di Nuffield, presso l’Università di Oxford, nel Regno Unito. Jefferson – secondo quanto riporta il quotidiano inglese “The Telegraph” – sostiene che ci siano prove sempre più consistenti che il virus fosse già altrove, ben prima che emergesse a Wuhan. Una teoria, scrive Biagio Simonetta sul “Sole 24 Ore”, che farebbe traballare tutto ciò che sappiamo fino ad oggi, su questa pandemia. «La tesi si rafforza grazie alla scoperta di alcuni virologi spagnoli, che la scorsa settimana hanno annunciato di aver trovato tracce del coronavirus in campioni di acque reflue raccolti nel marzo 2019, circa dieci mesi prima che Wuhan diventasse il focolaio del mondo». Anche in Italia, ricorda sempre il “Sole”, alcune tracce del virus sono state rinvenute nei campioni di acque reflue di Milano e Torino risalenti a metà dicembre 2019. E in Brasile una analisi analoga riporta a novembre.Tom Jefferson ritiene che molti virus siano inattivi in tutto il mondo, e a un certo punto emergano quando le condizioni diventano favorevoli. Un meccanismo che potrebbe anche voler dire che i virus riattivati possano svanire rapidamente dopo un picco. «Dov’è oggi il virus Sars 1? È appena scomparso», ha detto il medico inglese al “Telegraph”, aggiungendo: «Dobbiamo porci queste domande. Dobbiamo iniziare a ricercare l’ecologia del virus, capire come ha avuto origine, come è mutato. Penso che il virus fosse già qui, e “qui” significa ovunque. Potremmo essere davanti a un virus dormiente che è stato attivato dalle condizioni ambientali». Per sostenere la sua teoria, Jefferson – che è anche professore alla Newcastle University – ricorda che a inizio febbraio c’è stato un caso di coronavirus alle Isole Falkland: «Com’è arrivato laggiù? Chi lo ha portato?». E poi ancora: «Una nave da crociera è andata dalla Georgia del Sud a Buenos Aires, i passeggeri sono stati sottoposti a screening e poi, l’ottavo giorno, quando hanno iniziato a navigare verso il Mare di Weddell, è emerso il primo caso di infezione. Dov’era il virus? Nel cibo preparato che era stato scongelato e attivato?».L’esperto ricorda che stranezze come questa si erano già verificate con l’influenza spagnola: nel 1918, circa il 30% della popolazione delle Samoa (isole dell’oceano Pacifico meridionale) morì di spagnola, «senza aver avuto alcuna comunicazione con il mondo esterno». La spiegazione di quanto accaduto allora potrebbe essere la segente: «Questi virus non vengono né vanno da nessuna parte», afferma Jefferson: «Sono sempre qui e qualcosa li accende, forse la densità umana o le condizioni ambientali. E questo è ciò che dovremmo cercare». Lo stesso dottor Jefferson ritiene che il virus possa essere trasmesso attraverso il sistema fognario o servizi igienici condivisi, non solo attraverso goccioline espulse parlando, tossendo e starnutendo. E per questo, insieme al collega Carl Henegehan (direttore del Cebm) chiede un’indagine approfondita, simile a quella condotta da John Snow nel 1854, che dimostrò come il colera si stesse diffondendo a Londra da un pozzo infetto a Soho. Per i due medici inglesi, insomma – conclude il “Sole” – si deve cambiare l’approccio di ricerca sul coronavirus, perché la teoria della trasmissione respiratoria non sarebbe del tutto convincente: «I focolai devono essere investigati correttamente. Bisogna fare ciò che John Snow ha fatto con il colera. Mettere in discussione tutto, e iniziare a costruire ipotesi che si adattano ai fatti. Non viceversa».Guardando all’Italia, e basandosi sempre sulle conclusioni di Jefferson, i meteorologi de “IlMeteo.it” puntano l’indice contro l’inquinamento atmosferico. «La correlazione tra virus e pessima qualità dell’aria – scrivono – è emerso, in particolare, da uno studio curato da ricercatori italiani e da medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima): le polveri sottili avrebbero esercitato un cosiddetto “boost”, ovvero un’accelerazione nel contagio dell’infezione». Conferma Leonardo Setti, ricercatore dell’Università di Bologna: «Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana hanno prodotto un’accelerazione alla diffusione del Covid-19. L’effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai». Altri virus potrebbero dunque essere dormienti, in attesa di essere “attivati” magari dall’inquinamento? E se davvero la diffusione del coronavirus non dipendesse direttamente dalla respirazione? «Se questo fosse confermato, le varie misure di restrizione e di protezione che stiamo ancora adottando (lockdown, mascherine, distanziamento sociale, guanti, sanificazioni) potrebbero risultare inutili». In compenso, chiosano gli specialisti de “IlMeteo.it”, «sempre col beneficio del dubbio», ci sarebbe anche una bella notizia: «Il virus potrebbe andarsene via da solo, così come è arrivato».Altro che Cina: il coronavirus potrebbe essere rimasto inattivo un po’ in tutto il mondo per chissà quanti anni, prima di riattivarsi grazie a nuove condizioni ambientali favorevoli. È la tesi di Tom Jefferson, medico al Center for Evidence-Based Medicine (Cebm), con sede al Dipartimento di Scienze della salute delle cure primarie di Nuffield, presso l’Università di Oxford, nel Regno Unito. Jefferson – secondo quanto riporta il quotidiano inglese “The Telegraph” – sostiene che ci siano prove sempre più consistenti che il virus fosse già altrove, ben prima che emergesse a Wuhan. Una teoria, scrive Biagio Simonetta sul “Sole 24 Ore“, che farebbe traballare tutto ciò che sappiamo fino ad oggi, su questa pandemia. «La tesi si rafforza grazie alla scoperta di alcuni virologi spagnoli, che la scorsa settimana hanno annunciato di aver trovato tracce del coronavirus in campioni di acque reflue raccolti nel marzo 2019, circa dieci mesi prima che Wuhan diventasse il focolaio del mondo». Anche in Italia, ricorda sempre il “Sole”, alcune tracce del virus sono state rinvenute nei campioni di acque reflue di Milano e Torino risalenti a metà dicembre 2019. E in Brasile una analisi analoga riporta a novembre.
-
Pd e 5 Stelle: silurare Conte, dopo aver affondato l’Italia
Il nuovo patto tra M5S e Pd, con la benedizione di Italia Viva (Matteo Renzi), prepara la giubilazione del sempre più scomodo Giuseppe Conte. Lo scrive sul “Sussidiario” Francesco Sisci, editorialista del “Sole 24 Ore” e già corrispondente della “Stampa” da Pechino. Se oggi la coalizione giallorossa diventa stabile e si prospetta addirittura la fusione in un unico partito, a che serve un premier “esterno” come Conte? Lo sconosciuto “avvocato del popolo”, ricorda Sisci, era stato scelto per Palazzo Chigi nel governo gialloverde (5 Stelle e Lega) come elemento esterno, anche se espresso dai grillini, per sostenere l’equilibrio instabile tra i due alleati. Per lo stesso motivo era stato confermato, un anno dopo, a capo del successivo governo giallorosso, sostituito Salvini con Zingaretti. La posizione di Conte si andrebbe facendo sempre più precaria, se si guarda all’orizzonte generale. «Le prospettive sono che a gennaio l’Italia si renderà conto della realtà», ovvero: sarà di fronte a una contrazione del Pil «di almeno il 20%». Infatti, «dopo cinque mesi di chiusura virtualmente totale di ogni attività di produzione e consumo, e con la possibilità reale di un ritorno anche parziale dell’epidemia in autunno, una contrazione del Pil del 20% è un’ipotesi ottimistica per il 2020».In concreto, ragiona Sisci, questo significa «un danno paragonabile a una guerra devastante, senza per giunta la speranza di un rimbalzo immediato, perché davanti alla scampata morte violenta i sopravvissuti hanno un immediato guizzo di vita, mentre le epidemie lasciano strascichi pesanti di paure ancestrali nella psicologia collettiva». La combinazione di questi vari elementi «significherà milioni di disoccupati, altri milioni di persone con entrate decurtate», con il rischio concreto di «grandi problemi e sommovimenti sociali». Inoltre, visto anche l’attuale aumento della spesa pubblica, il rapporto Pil-debito pubblico a questo punto potrebbe arrivare al 200%, cioè «la situazione del Giappone, senza che l’Italia sia il Giappone», che è invece provviso di sovranità monetaria e quindi non teme né attacchi speculativi (spread), né carenza di liquidità. «Con un’economia in contrazione verticale e un debito in aumento altrettanto verticale – scrive Sisci – minime variazioni dei tassi di interesse sul debito potrebbero rendere l’Italia insolvibile». A quel punto, Roma potrebbe sempre «piangere miseria con la Ue e far presente che il fallimento del paese avviterebbe l’Unione in una crisi mostruosa».Per contro, proprio la contrazione del Pil «rende la crisi italiana sempre meno minacciosa, mentre la crescita del debito ne aumenta proporzionalmente il costo». In altre parole, continua Sisci, col passare del tempo e l’aggravarsi della situazione diventa sempre più conveniente la tentazione di “scaricare” l’Italia, lasciandola al suo destino. Tradotto: come si fa a spiegare ai paesi “frugali” che bisogna salvare un paese di “cicale” dove, secondo il filosofo Franco Ferrarotti, una decina di famiglie possiede forse il 70% della ricchezza nazionale?». Inoltre – prima ancora di questo – in autunno ci sarà il ritorno della malattia: a prescindere dalla sua effettiva pericolosità (oggi vicina allo zero, secondo io medici), l’allarmismo politico-mediatico aumenterà le tensioni, come già si inizia a vedere. Prima ancora, scrive sempre Sisci, ci saranno le elezioni del 20 settembre, regionali e comunali. «Se la neo-coalizione giallorossa tiene e vince, allora conferma la validità dell’alleanza; a quel punto – si domanda l’analista – perché tenere l’arbitro Conte, ormai superfluo? Se invece la coalizione perde, anche in questo caso perché tenere Conte?».La questione potrebbe diventare urgente, aggiunge Sisci, visto che cominciano ad arrivare citazioni in giudizio per possibili errori gravi del governo durante la crisi del Covid. «C’è anche la controversa chiusura di tutto il paese (quando chiuderne solo una parte poteva bastare) che potrebbe essere costata oltre 100 miliardi di euro al Pil, la metà di quanto concesso dalla Ue». Poi, ammette Sisci, il ragionamento potrebbe essere anche diverso: davanti alle prospettive di tali sussulti nei prossimi mesi, le istituzioni potrebbero ritenere opportuno non scuotere ulteriormente gli attuali equilibri. «Il ritorno dell’epidemia potrebbe portare a un nuovo effetto chioccia: tutti si rifugiano dietro il capo del governo in una nuova situazione di panico generale».Potrebbe però essere anche il contrario: «Il ritorno del virus, l’aumento delle proteste – stavolta più composte, delle opposizioni (che prima o poi dovrebbero svegliarsi dalla trita cantilena del “dagli all’immigrato”) – e l’aumento delle tensioni sociali, potrebbero portare al progressivo isolamento del premier». In questo senso, forse – ipotizza Sisci – l’alleanza può essere «un colpo di genio di attendismo tattico». Nell’attuale situazione, altamente instabile, i giallorossi (con Renzi) aspettano il risultato del 20 settembre, per tirare le fila. «A quel punto, forti della nuova alleanza, potrebbero anche essere tentati di ricorrere al voto che consolidi i nuovi rapporti e spazzi via i riottosi». Infatti, una parte non insignificante di Pd e M5S non è entusiasta dell’alleanza e può essere tentata di mettere i bastoni fra le ruote, specie se passa il tempo e aumentano le difficoltà. Per Sisci, dopotutto, «si è trattato di un patto di palazzo senza discussioni interne e pubbliche, per cui il livello di coesione all’interno delle due formazioni è minimo e rischia di sfaldarsi al primo incidente».Il nuovo patto tra M5S e Pd, con la benedizione di Italia Viva (Matteo Renzi), prepara la giubilazione del sempre più scomodo Giuseppe Conte. Lo scrive sul “Sussidiario” Francesco Sisci, editorialista del “Sole 24 Ore” e già corrispondente della “Stampa” da Pechino. Se oggi la coalizione giallorossa diventa stabile e si prospetta addirittura la fusione in un unico partito, a che serve un premier “esterno” come Conte? Lo sconosciuto “avvocato del popolo”, ricorda Sisci, era stato scelto per Palazzo Chigi nel governo gialloverde (5 Stelle e Lega) come elemento esterno, anche se espresso dai grillini, per sostenere l’equilibrio instabile tra i due alleati. Per lo stesso motivo era stato confermato, un anno dopo, a capo del successivo governo giallorosso, sostituito Salvini con Zingaretti. La posizione di Conte si andrebbe facendo sempre più precaria, se si guarda all’orizzonte generale. «Le prospettive sono che a gennaio l’Italia si renderà conto della realtà», ovvero: sarà di fronte a una contrazione del Pil «di almeno il 20%». Infatti, «dopo cinque mesi di chiusura virtualmente totale di ogni attività di produzione e consumo, e con la possibilità reale di un ritorno anche parziale dell’epidemia in autunno, una contrazione del Pil del 20% è un’ipotesi ottimistica per il 2020».
-
Ray Dalio: tra Usa e Cina può scoppiare una guerra (vera)
Dato il mestiere che fa, resterà sempre il dubbio: si lancia in questo tipo di previsioni via social media per sensibilizzare il mondo o per creare un “sentiment” negativo sui mercati finanziari? L’ultima previsione shock di Ray Dalio di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund al mondo, è la seguente: «Le tensioni economiche tra Usa e Cina possono trasformarsi in una vera e propria guerra, in un conflitto armato». Il monito lanciato da Dalio, illustrato nel suo libro “Principles” veicolato anche su LinkedIn, fa seguito ad approfondite analisi sui cambiamenti in corso nell’ordine mondiale e ai parallelismi storici con gli anni che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale. Ecco una sintesi del Dalio-pensiero sulle analogie tra la fase attuale e la grande crisi economica che, a cavallo degli anni ‘30 del secolo scorso, portò ai protezionismi e poi alla guerra mondiale.«La Grande Depressione portò diifficoltà economiche a tutte le nazioni», scrive Dalio, ricordando che «severe recessioni con grandi divari di ricchezza, grandi debiti e politiche monetarie inefficaci creano una combinazione incendiaria che tipicamente conduce a rivoluzioni e a conflitti tra paesi». Inoltre, durante i periodi di grandi conflitti economici c’è una forte tendenza a muoversi verso leadership sempre più autoritarie, pensando che riportino ordine dove regna il caos». Ultima analogia con gli anni ‘30, il protezionismo con l’innalzamento di dazi nel commercio tra nazioni che, negli ultimi anni, ha contraddistinto i rapporti tra Usa e Cina con un’escalation che non accenna a fermarsi. «Mentre da un lato i dazi contribuiscono a indebolire l’andamento generale dell’economia, dall’altro lato le tariffe beneficiano i gruppi di interesse che vengono protetti e creano supporto politico per il leader che le impone».Tutta questa serie di considerazioni induce il patron di Bridgewater a non poter affatto escludere che il conflitto economico tra Usa e Cina si trasformi in una “shooting war”, anche perché i poteri rivaleggianti entrano in guerra «solo quando le loro forze sono più o meno comparabili e non quando uno dei due è nettamente più forte dell’altro». Riflessioni a cui fanno seguito, tornando a temi più vicini a quello di un hedge fund, valutazioni sulla fase di incertezza che si apre per la tutela dei patrimoni privati. «Durante i periodi di gravi difficoltà dell’economia e di grandi divari di ricchezza tra i cittadini, nella storia si è assistito spesso a rivoluzionarie forme di redistribuzione. Quando è stato fatto pacificamente, ciò è avvenuto attraverso forti incrementi sulla tassazione sui più ricchi e con l’incremento di offerta di moneta per svalutare gli oneri dei debitori. Quando invece ciò è avvenuto con violenza, le ricchezze sono state confiscate».L’analisi, come si vede, è di sicuro interesse e, pur se qui solo sintetizzata, estremamente approfondita. Resta l’interrogativo sul perché il più grande hedge fund al mondo, che da anni ha effettuato numerose “puntate” sul crollo dei mercati azionari e obbligazionari, non si limiti a inviare le analisi ai propri clienti ma abbia il piacere di condividerle, via social media, con centinaia di milioni di persone. Può darsi che sia davvero per promuovere sentimenti pacifisti nel mondo. O per creare un sentimento negativo sui mercati finanziari, incrociando gli interessi di chi, come Bridgewater, ha puntato sul crollo delle Borse.(Alessandro Graziani, “Borsa, se il re degli hedge fund Dalio dice che tra Cina e Usa sarà guerra vera”, dal “Sole 24 Ore” del 27 luglio 2020).Dato il mestiere che fa, resterà sempre il dubbio: si lancia in questo tipo di previsioni via social media per sensibilizzare il mondo o per creare un “sentiment” negativo sui mercati finanziari? L’ultima previsione shock di Ray Dalio di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund al mondo, è la seguente: «Le tensioni economiche tra Usa e Cina possono trasformarsi in una vera e propria guerra, in un conflitto armato». Il monito lanciato da Dalio, illustrato nel suo libro “Principles” veicolato anche su LinkedIn, fa seguito ad approfondite analisi sui cambiamenti in corso nell’ordine mondiale e ai parallelismi storici con gli anni che hanno preceduto la Seconda Guerra Mondiale. Ecco una sintesi del Dalio-pensiero sulle analogie tra la fase attuale e la grande crisi economica che, a cavallo degli anni ‘30 del secolo scorso, portò ai protezionismi e poi alla guerra mondiale.
-
Sale lo spread e arriva Draghi: soluzione pronta per l’Italia
«Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rendere noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso». Questa la lettura che, sul “Sussidiario”, offre dell’ultimo round italo-europeo un giornalista di lunga esperienza come come Sergio Luciano, già responsabile delle pagine politico-economiche della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e di “Repubblica”. Punto di partenza, l’ennesimo pugno di mosche rimediato da Conte a Bruxelles. In primis, Luciano chiarisce un equivoco legato all’espressione Recovery Fund: «Letteralmente “recovery” significa recupero», e quindi «soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte». Più prestito che dono, insomma. E dato che «i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste».Paesi come l’Olanda di Mark Rutte, che assorbono immense risorse italiane grazie al dumping fiscale, «contrastano senza mezzi termini la pretesa italiana (e non solo) di poter prendere questi soldi senza dare alcuna garanzia sulle modalità attraverso le quali ciascuno Stato debitore può ragionevolmente impegnarsi a restituirli». Proprio l’Olanda, aggiunge Luciano, «è un vergognoso caso di paradiso fiscale infra-europeo, uno di quelli che se i Trattati fossero stati scritti con la testa e non con i piedi, avrebbe dovuto essere messo al bando o ricondotto a disciplina fiscale ordinaria». Ma tant’è: gli olandesi ci sono, restano, pesano e passano pure per frugali. In sostanza, Rutte dice che l’Italia deve impegnarsi con un piano di riforme serissimo, «tanto più severo quanto meno credibile è la buona volontà italiana di por mano agli handicap pluridecennali che stanno soffocando la nostra economia». E quindi un piano particolareggiato, da monitorare nel suo andamento. «Il governo italiano pretende di poter incassare l’abbondante fetta di Recovery Fund che ci spetterebbe, 172 miliardi su 750, senza prendere in cambio alcun impegno gestionale sull’economia». Gli olandesi, invece, ripetono che prima dobbiamo presentare riforme credibili, poi dimostrare di essere capaci di attuarle (e solo dopo saremo finanziati).Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, sta mediando. E ora, scrive sempre Luciano, ha proposto una cosa che sembra un assist al governo italiano. Cioè: ogni paese fa i piani che vuole e li presenta senza dover temere il “niet” degli altri. Strada facendo, i partner potranno controllare l’attuazione delle riforme nello Stato sotto indagine e, se necessario, bloccare l’erogazione dei fondi. «Insomma: luce verde per avere i soldi, luce rossa – se serve – qualora li spendessimo male». In realtà, aggiunge Luciano, il diavolo è nei dettagli: «A Bruxelles sanno perfettamente che l’Italia, accalappiata com’è in un nodo gordiano di ingestibile burocrazia, non sarà mai in grado di presentare un piano sostenibile. Quindi, per carità di patria, anzi di Unione, possono addivenire all’idea che sui piani non si va per il sottile e si sganciano i primi soldi, riservandosi però il diritto di chiudere i rubinetti quando sarà palese che le promesse della prima ora sono state vane».Nel frattempo, si fa notare la presidente della Bce, Christine Lagarde: «Ai giornalisti che le chiedevano se i modesti importi (relativamente modesti) che settimanalmente la banca centrale tramite le sue affiliate spende per rilevare Bond statali sono sufficienti, ha detto di sì. E se considera sufficienti importi che non riescono a ridurre sotto la soglia dei 170 punti base lo spread italiano – scrive ancora Luciano – vuol dire che si prepara a utilizzare la leva dello spread, lo spauracchio numero uno, per costringere l’Italia a rientrare ne ranghi. Ma con quale governo? Con questa compagine di sprovveduti? Improbabile». Per Luciano, «rimane una speranza e anche un’incognita», cioè il governo Draghi. Innescato dalla crisi dello spread come quello (nafasto) di Monti nel 2011, ma stavolta dal segno opposto: sempre dallo spread si partirebbe – questa è l’ipotesi – ma per invertire la rotta: sarebbe dunque Draghi il garante ideale, l’uomo giusto per convincere l’Ue a cambiare le regole. A fine marzo, l’ex capo della Bce mise le carte in tavola in un editoriale sul “Financial Times”: di fronte al Covid (cioè al lockdown) c’è solo una possibilità, e cioè finanziare gli Stati con miliardi da non restituire più. Sarà dunque lo spread manovrato dalla Lagarde a spingere Mattarella a licenziare Conte e invitare Draghi a Palazzo Chigi?«Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rendere noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso». Questa la lettura che, sul “Sussidiario“, offre dell’ultimo round italo-europeo un giornalista di lunga esperienza come Sergio Luciano, già responsabile delle pagine politico-economiche della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e di “Repubblica”. Punto di partenza, l’ennesimo pugno di mosche rimediato da Conte a Bruxelles. In primis, Luciano chiarisce un equivoco legato all’espressione Recovery Fund: «Letteralmente “recovery” significa recupero», e quindi «soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte». Più prestito che dono, insomma. E dato che «i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste».
-
Conte si aggrappa al Covid: la calamità è lui, non il virus
«L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia – troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa. L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato». Così Sergio Luciano liquida, sul “Sussidiario”, il tentativo di Conte di prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 gennaio. Mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier, scrive Luciano, «se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona, alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge, al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari», e insomma a tutti gli argomenti di stringente attualità «sui quali il governo, da quel drammatico weekend dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere».Il tutto, aggiunge Luciano (già caporedattore economico a “La Stampa”, “Repubblica” e “Sole 24 Ore”), è avvenuto «contro Salvini e grazie a Salvini», perché è da quando l’ex Capitano ha tentato, undici mesi fa, di far saltare il banco e ottenere le elezioni anticipate «fidandosi dell’imbelle Zingaretti e finendo contro un muro», che il governo Conte-bis «ingrassa, sventolando lo spauracchio della vittoria della Lega». Sostiene Luciano: «Il movimentismo salviniano – “così non si può andare avanti, si torni al voto” – è stato il miglior alibi per il governo più pazzo del mondo e di sempre, ossia per questo esecutivo attaccato con lo sputo che ci guida». Adesso, l’ultima trovata è la proroga dello stato d’emergenza fino al 31 dicembre, «a 20 giorni dalla scadenza di quello vigente (31 luglio) e senza argomentazioni», in attesa del voto delle Camere, che il 14 luglio ascolteranno e si esprimeranno sulle comunicazioni del ministro Roberto Speranza sul nuovo Dpcm, destinato a prorogare le norme anti-contagio in scadenza il 14 luglio. Unica voce di protesta, per ora, quella di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, contro il “decretismo” di Conte: «Mi auguro che sia l’inizio di una democrazia compiuta», ha detto, riferendosi al voto assembleare sulle comunicazioni di Speranza, «perché alla Camera e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione».Luciano parla di «democrazia simulata», messa in scena dall’ennesimo governo «guidato da un premier mai eletto dal popolo». Un esecutivo che «stava trascinandosi su un piano di precarietà quotidianamente più grave quando la pandemia è intervenuta inducendo comprensibilmente tutti gli italiani a pendere dalle labbra di Palazzo Chigi». In altre parole: il traballante Conte “salvato” dal coronavirus: «Mai tanta visibilità e notorietà è stata data a un premier, per lo meno da quando Silvio Berlusconi ha perso quel ruolo». Quando il Covid-19 ha costretto il governo a prendere le decisioni d’emergenza (lockdown, mascherine, distanziamento), la tenuta dell’esecutivo è parsa a tutti rafforzarsi: «La figura del premier Conte è diventata improvvisamente popolarissima, con quel suo tono pacato e quasi scivolato di ratificare l’ovvio». Poi, però, «sono sopravvenuti i decreti dettati da quest’emergenza e una parte di quella fiducia è sfumata, per l’enorme gap che gli italiani hanno in qualche caso drammaticamente misurato con la propria pelle, per esempio non ottenendo gli aiuti per la liquidità o la cassa integrazione per i dipendenti».Infine, il declino sostanziale della pandemia «ha incastrato Conte e il ministro Speranza nel ruolo di uccelli del malaugurio», nell’evocare «i rischi ancora presenti in circolazione e le pessime prospettive di una seconda ondata autunnale». I prossimi pochi giorni saranno di fuoco, averte Luciano: perché non aspettare il 20 luglio prima di dichiarare la proroga dell’emergenza? E perché prolungarla addirittura di sei mesi, anziché fermarsi a tre? Il Pd e i renziani chiedono comunque un passaggio preliminare in aula, mentre i 5 Stelle declassano il problema a «questione prettamente tecnica», e il centrodestra ribadisce la sua contrarietà alla proroga, perché «lo stato di emergenza blocca l’Italia», sottolinea Anna Maria Bernini. Sergio Luciano non vede spiragli: «Come sempre: buoni a nulla e indecisi a tutto, ma anche capaci di tutto».«L’emergenza è il governo, non la pandemia che sta regredendo e che comunque, se anche dovesse risvegliarsi – Dio non voglia – troverebbe comunque difese farmacologiche e cliniche assai migliori di quelle di quattro mesi fa. L’emergenza sono alcuni ministri politicamente analfabeti e tecnicamente sprovveduti. L’emergenza è un Parlamento esautorato». Così Sergio Luciano liquida, sul “Sussidiario“, il tentativo di Conte di prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 gennaio. Mai come stavolta si potrebbe dar ragione al premier, scrive Luciano, «se solo avesse – anzi, avesse avuto – l’onestà intellettuale di attribuire l’emergenza non già alla pandemia ma alla giustizia civile e penale che non funziona, alla lotta all’evasione che fa ridere, al codice degli appalti che li blocca, alla scuola che viene tenuta chiusa mentre si riaprono discoteche e spiagge, al ponte Morandi che va assegnato in gestione ad Autostrade altrimenti non riapre, ai fondi di liquidità e alla cassa integrazione che ancora non sono arrivati ai destinatari», e insomma a tutti gli argomenti di stringente attualità «sui quali il governo, da quel drammatico weekend dell’8 e 9 marzo ad oggi, in quattro mesi, ha fatto solo chiacchiere».
-
Poco e tardi: Conte spera di illudere gli italiani più ingenui
La coperta era corta: con 80 miliardi di interventi anticrisi complessivamente stanziati finora, tra i 25 del decreto di marzo e i 55 di quello sul “Rilancio” varato solo il 13 maggio dopo infiniti tira-e-molla interni alla maggioranza, il governo Conte ha fatto molto meno di Francia, Germania e Gran Bretagna, privo com’è di cassa e della leadership politica per raccoglierne di più, sia sui mercati sia dall’Europa, quando si tratterà (ben presto) di trovare materialmente i soldi per finanziare tutte le misure varate ieri. Dunque una “toppa” fuori tempo massimo, e senza investimenti né visione. Così la definisce Sergio Luciano, già caporedattore della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e delle pagine economiche di “Repubblica”. Data la “coperta corta”, scrive Luciano sul “Sussidiario”, il Conte-bis «ha scelto di lasciare scoperti i piedi su cui camminare nel futuro anteriore e coprire invece l’interesse del consenso di breve termine, quello che forse andrà presentato al cambiavalute delle prossime elezioni, soprattutto se il buon senso politico del paese si risveglierà e riporterà gli italiani alle urne prima della naturale scadenza della legislatura».Dunque il vero “rilancio” cui allude il nome del decreto, aggiunge Luciano, «è quello delle possibilità della maggioranza, ma soprattutto personali del premier, di raccattare consensi tra gli italiani», specie i più ingenui, cioè «quelli che sono capaci di contare i benefici immediati e diretti delle misure ma che forse non avranno la competenza per ricollegarli alla carenza – che questo governo non cura – di interventi strutturali sui grandi investimenti pubblici e sulle reti che abilitano la ripresa produttiva». Ci verrà detto che quelli e queste verranno fatti in seguito, con i fondi europei, diversi da quelli emergenziali? «Speriamo: finora non è mai successo». Secondo Luciano, «questo non è un decreto per giovani: è un decreto per elettori, soprattutto vecchi». Rivelatore, l’espressione “mosaico” citata dal grillino Patuanelli per descrivere il documento appena approvato. «Un mosaico di interventi, alcuni anche ineludibili, per carità – dalla cassa integrazione rifinanziata per altre nove settimane al maxi-abbuono dell’Irap di giugno per le imprese, dal differimento delle scadenze fiscali fino a settembre al rinnovo dei contributi per gli autonomi meno ricchi – ma comunque di breve termine e di natura emergenziale».Ben vengano gli interventi d’emergenza, ammette Luciano: non se ne può fare a meno. Semmai, in Italia sono tardivi. «Manca del tutto però un pensiero profondo su come rilanciare l’economia del paese: e in questo senso, purtroppo, il decreto non funzionerà». Il turismo, per esempio, «viene accarezzato con un modesto bonus famiglie», e non trova (nelle 505 pagine del decreto) «nulla che lo conforti sul termine medio-lungo». Quanto alla manifattura, viene «lasciata povera com’è di infrastrutture materiali e digitali», senza nulla di incisivo che la possa risollevare. Si segnala una boccata d’aria l’edilizia, «che ne aveva disperato bisogno», col maxi-bonus del 110% per le ristrutturazioni energetiche e antisismiche dei fabbricati. «Ma anche questa misura si limita ad ampliarne altre esistenti, che sono già state vastamente utilizzate e potrebbero anche non essere così gettonate come forse il governo si augura». Dovendo pagare un pegno di cui non ha colpa diretta, cioè «il pegno della malafinanza che ha dissanguato le casse pubbliche», questa compagine governativa ha puntato insomma sull’immediato, e al massimo sul breve termine.Secondo Luciano, la precaria maggioranza del Conte-bis «ha messo se stessa in mano al fato, per chi ci crede: perché è chiaro che se la pandemia dovesse davvero esaurire presto i suoi effetti malefici almeno in Italia e permettere una più dinamica ripartenza dell’economia manifatturiera, quella che da sempre salva il nostro paese nelle fasi critiche, resterà la memoria delle piccole ma tante elargizioni di ieri prima che emerga la gravità delle lacune e sfumerà la consapevolezza delle omissioni commesse». Se invece i danni della pandemia si faranno sentire più a lungo, «ripetere o prorogare questo pioggerellina di “pochi soldi per tanti se non per tutti” sarà impossibile e si rivelerà a chiunque con chiarezza che è stato perso altro tempo e un’occasione preziosa per avviare un’autentico rilancio infrastrutturale e produttivo del paese». Siparietto finale, per la «commozione autentica» di Teresa Bellanova sulla temporanea regolarizzazione dei braccianti stranieri. «Le brevi lacrime della ministra, lacrime proletarie – bracciante è stata lei stessa, da ragazza – cancellano le lacrime aristocratiche di un’altra ministra, Elsa Fornero, che le versò in un’altra storica conferenza stampa annunciando la sua draconiana legge sulle pensioni». Chiosa Luciano: «Una lacrima lava l’altra, il paese non ne ha più».La coperta era corta: con 80 miliardi di interventi anticrisi complessivamente stanziati finora, tra i 25 del decreto di marzo e i 55 di quello sul “Rilancio” varato solo il 13 maggio dopo infiniti tira-e-molla interni alla maggioranza, il governo Conte ha fatto molto meno di Francia, Germania e Gran Bretagna, privo com’è di cassa e della leadership politica per raccoglierne di più, sia sui mercati sia dall’Europa, quando si tratterà (ben presto) di trovare materialmente i soldi per finanziare tutte le misure varate ieri. Dunque una “toppa” fuori tempo massimo, e senza investimenti né visione. Così la definisce Sergio Luciano, già caporedattore della “Stampa”, del “Sole 24 Ore” e delle pagine economiche di “Repubblica”. Data la “coperta corta”, scrive Luciano sul “Sussidiario“, il Conte-bis «ha scelto di lasciare scoperti i piedi su cui camminare nel futuro anteriore e coprire invece l’interesse del consenso di breve termine, quello che forse andrà presentato al cambiavalute delle prossime elezioni, soprattutto se il buon senso politico del paese si risveglierà e riporterà gli italiani alle urne prima della naturale scadenza della legislatura».
-
Diario folle del coronavirus: come organizzare un disastro
Diecimila morti di influenza in tutto il mondo fermano il pianeta. Invece di stanziare qualche milione di euro per allestire in fretta ospedali da campo, grazie all’aiuto dei militari (cosa che avrebbe magari dato una spinta all’economia, con nuove assunzioni, nuovi acquisti di materiali vari, ecc.), si decide di bloccare l’economia di un paese, segregando la gente in casa, senza tenere conto del numero dei morti che ci saranno per suicidi o altre complicazioni (come disordini sociali e altro ancora). In sostanza, invece di usare soldi e militari per risolvere il problema, li si usa per risolvere il problema creato dai problemi che il governo stesso ha creato. Le decisioni in Italia vengono annunciate non dal Parlamento o da Palazzo Chigi, ma via Facebook, in modo generico, dopo un’ora di ritardo e snervante attesa che sembra fatta apposta per creare ancora più tensione. A questo punto ci aspettiamo i prossimi provvedimenti via Whatsapp. Persino Vespa e Mentana, che non sono propriamente dei complottisti, iniziano a sollevare qualche “leggerissimo” dubbio sulle legittimità di tutta la situazione, con un Parlamento che non si riunisce se non una volta a settimana, e un premier che dà le notizie più importanti in modo incompleto e via Facebook. Vespa dichiara: «I casi sono due: o il Parlamento non serve, e questo sarebbe terribile, o il Parlamento serve e non va a lavorare. E questo è ancora più grave».Sorprendentemente, a questa decisione italiana seguono altre nazioni, tra cui gli Usa (che bloccano tutto con soli 5000 contagi e 100 morti). In sostanza: una nazione che stanzia migliaia di miliardi di dollari per mandare i suoi soldati in tutto il mondo a morire (a botte di milioni di morti) e far morire a sua volta milioni di persone (in Vietnam, Corea, Iraq, Afghanistan, ecc.), questa volta, per qualche centinaio (che diventeranno migliaia) di morti di influenza, blocca la sua economia. E non ritiene di avere fondi necessari per allestire nuovi ospedali e nuovi posti letto. I provvedimenti con cui da noi vengono emanate le restrizioni sono provvedimenti amministrativi (quindi illegittimi dal punto di vista costituzionale); i provvedimenti di presidenti di Regione e sindaci, lo sono ancora di più; ma essendoci una paralisi di tutto il paese, il paradosso è che non si può neanche fare una battaglia legale per ottenere una pronuncia della Corte Costituzionale su tali provvedimenti. Quando in Cina l’epidemia si ferma, e a Codogno ci sono zero contagiati, invece di diffondere queste notizie rassicuranti, si preferisce accelerare ulteriori provvedimenti amministrativi, con ulteriori misure sempre più restrittive.Nel frattempo, i media sciorinano le seguenti notizie: una cassiera di supermercato morta di coronavirus; ma sulla sua bacheca Facebook compare un parente, che dice “ma quale coronavirus. E’ morta di infarto”. A Mortegliano c’è un morto di coronavirus; quello che non dicono è che la morta aveva 102 anni. L’importante è terrorizzare. Il 19 marzo l’Agcom emana un comunicato con cui invita i gestori delle piattaforme Facebook, Twitter, Instagram, a rimuovere le notizie false sul coronavirus, o non corrette o non diffuse da fonti scientificamente accreditate. Chi dovrebbe decidere quali notizie siano scientificamente accreditate non si sa. “Le Iene” fanno un servizio per denigrare il dottor Roberto Santi di Genova, reo di aver consigliato vitamina C ad alte dosi per combattere il coronavirus (era noto anche ad Ildegarda di Bingen, nel 1200, che rafforzare il sistema immunitario diminuisce il rischio di contagio, e nel 1500 era il rimedio consigliato da Paracelso e Nostradamus, quindi un consiglio di una banalità al limite dell’ovvio); un provvedimento disciplinare dell’Agcom colpisce anche Adriano Panzironi, sospendendo tutte le trasmissioni in cui egli compariva, per lo stesso motivo (consigliava oltre alla vitamina C anche la D). Nel frattempo circola una raccomandazione che proviene dal nucleo dell’esercito denominato “Tuscania”; che raccomanda ai propri militari di assumere… Già, proprio vitamina C e D. In sostanza, il dottor Santi, che pure è un medico, non dovrebbe essere considerato parte della comunità scientifica. Ma i militari possono però seguire consigli non accreditati.Diventa virale un video di un medico, Fabrizio Lucherini, il cui titolo è “Stasera mi girano i coglioni e mò basta cazzate, però”, dove spiega che il conteggio dei contagiati e dei morti, in Italia, è completamente erroneo, perché tra i morti vengono conteggiati anche quelli che avevano gravi patologie pregresse, mentre non vengono conteggiate le persone che, non avendo fatto il tampone, potrebbero avere il coronavirus senza saperlo. E che in sostanza ribadisce quello che sanno tutti: hanno tagliato la sanità, da anni, e il vero problema è la mancanza di posti letto negli ospedali, non il virus in se stesso. Il problema vero però non è l’aumento dei Tso in tutta italia, i suicidi che già ci sono e che ci saranno, o la madre decapitata a casa dal figlio malato di mente a Roma (che non entrerà mai nelle statistiche dei morti del coronavirus, ma dovrebbe entrare in quella dei morti provocati dai provvedimenti emessi dal governo); il problema vero sono i runner, in tutto il paese. Anche chi va a correre in boschi e campagne, e la polizia fa controlli pure nei boschi e nella campagne. E da alcune parti vietano (sempre a mezzo di provvedimenti amministrativi illegittimi) anche gli orti. Non è una necessità, insomma, coltivare da se stessi il proprio cibo, né curare eventuali animali; tanto c’è il supermercato. Quale danno possa fare e quale pericolo di contagio possa esserci per uno che va a coltivare il proprio orto non è dato saperlo.In Francia, dove non hanno il bidet, i militari devono presidiare le scorte di carta igienica nei supermercati. Mia sorella, che è in Germania in quarantena a causa di un contatto con dei contagiati, dove anche lì non hanno il bidet, mi manda le foto di centinaia di rotoli di carta igienica. Nel frattempo, nonostante siano chiuse tutte le attività imprenditoriali, continua a rotta di collo il taglio degli alberi per far posto al 5G; si plaude alla ricerca di nuovi vaccini; e chi se ne frega se illustri scienziati come Stefano Montanari e molti altri continuano a dire che i vaccini danneggiano anziché aiutare. Che ci sia una correlazione tra questo virus e il 5G (dato che tra l’altro, guarda caso, si scopre che il virus pare sia stato creato a Wuhan, la stessa città da cui è partita la progettazione e la creazione del 5G, tanto che Wuhan è la prima città al mondo con copertura interamente 5G), o addiritura che muoiano di più le persone vaccinate rispetto a quelle non vaccinate, sono teorie complottiste.Se i provvedimenti del governo sono assurdi e illegittimi, non meno assurde sono le “proposte” che vedo nascere in rete. Si va da denunce precompilate contro Conte per fargli avere l’ergastolo, a decreti del popolo sovrano, emanati dal “Ministero del popolo sovrano” (sic) che dovrebbero essere firmati dai cittadini per togliere lo stipendio ai parlamentari e darlo ai medici in prima linea col coronavirus; e poi proposte di scendere tutti in piazza e mobilitarci, effettuate in profili che hanno al massimo 30 “mi piace” e 3 condivisioni. In sostanza, nonostante questa situazione abbia reso palese a tutti che non è mai esistita una democrazia, e che per sospendere la nostra libertà basta un’influenza, e che il potere, in ogni tempo e in ogni luogo, ha sempre concesso al popolo quella giusta quantità di libertà che riteneva saggio concedergli, c’è qualcuno che ancora pensa che il popolo possa fare qualcosa e decidere qualcosa, e per giunta proponendo soluzioni da Armata Brancaleone. Dovrebbe essere inoltre palese che il potere non è in Conte, o nei ministri, o nel parlamento, o nella magistratura, ma altrove. Ma evidentemente non solo non è palese, ma purtroppo la gente continua a pensare che siamo in democrazia.Nel frattempo, molti commentatori si concentrano sulla Cina, affermando che essa ha un danno economico da questa situazione e magnificando i rapporti esistenti tra Italia e Cina. Senza capire che la Cina non avrà alcun danno economico da tutta questa situazione, perché avendo capitali pressocché infiniti, a seguito di questa situazione ci “aiuterà” economicamente, come ha fatto con la Grecia, dove l’aiuto economicamente più consistente non è venuto dall’Europa (che ha provocato solo danni alla loro economia) ma dalla Cina, che ha acquistato il porto del Pireo per 370 milioni di euro, e investito in altre infrastrutture. Succederà anche da noi, ovviamente. Ed è un processo, quello dell’acquisizione cinese dei principali comparti strategici mondiali, che è inarrestabile. Perché tra i due modelli, quello occidentale e quello cinese, il modello vincente è quello cinese. Il modello occidentale infatti si basa sul fare la guerra a tutto e tutti, spendendo soldi per guerre inutili (sono secoli che noi Europei andiamo ovunque, Australia, Usa, Hawaii, Sudamerica, uccidendo i nativi e soppiantandoli con la nostra cultura a colpi di cannone); il modello cinese si basa sul non fare la guerra a nessuno (tranne in alcuni momenti storici con i paesi confinanti), ma comprando economicamente tutto. Due modelli diversi (l’uno basato sulla forza; l’altro sul denaro), entrambi negativi per l’evoluzione dell’uomo, si scontrano sullo scenario mondiale. C’è da sperare che ne emerga un terzo, intermedio. Ma quando?Tutto questo mi rimanda ai primi tempi di quando aprii il mio sito. Mi occupavo di bambini scomparsi, e a nessuno interessava nulla tra le persone che mi circondavano. Mi occupavo di omicidi, portando alla luce fatti gravissimi, mentre la mia collega e amica Solange toglieva il velo alle principali stragi italiane. Ma non era un problema per nessuno. Anzi. Ero un fastidio per molti. Ma se avevo l’influenza, mi domandavano: “Azz… ma ti serve qualcosa? Riguardati”. Una volta sfuggii per caso ad un tentativo di farmi fuori, e per lo shock ebbi l’influenza e la sciatica per quindici giorni; quando raccontavo il fatto mi consigliavano di prendere un’aspirina. «Sì mamma, ho l’influenza. No mamma, non me ne fotte nulla del fatto che ho la febbre, ne ho diverse l’anno, il problema è che mi hanno inseguito per farmi fuori e se non c’era la Carlizzi… Sì mamma ok, prendo l’aspirina». Vivevo in una sorta di incubo, in cui mi pareva che per tutti l’unico problema veramente importante fosse l’influenza. Oggi, come ieri, si ripropone lo stesso incubo. Il problema è l’influenza. Mica i milioni di morti di tumore in tutto il mondo; mica i milioni di morti per fame ovunque; mica le centinaia di bambini che scompaiono ogni anno in Italia (sono molte di più in Francia o negli Usa, migliaia l’anno); mica i morti provocati da guerre assurde in tutto il mondo.Quando viaggiavo negli Usa, mi colpivano i supermercati e gli autogrill con le foto dei bambini scomparsi nel nulla, nell’indifferenza dei media e delle autorità. Ma 100 morti di influenza bloccano gli Usa, e alcune migliaia di morti bloccano il mondo. Stamattina, alle 6, mi chiama una madre a cui hanno sottratto il bambino. Come si fa a tutelarla in questo momento in cui ogni garanzia è sospesa? (Non che prima si potesse fare nulla, in realtà. Ma almeno qualche speranza c’era, qualcosa si poteva fare. Oggi nulla, perché non c’è libertà di movimento, le forze dell’ordine sono impegnate in altro, i giornalisti parlano solo del coronavirus, e tutto è paralizzato). Quanti altri bambini sottratti saranno oggi nell’impossibilità di essere tutelati dai loro genitori? Concludo dicendo che sono un soggetto particolarmente a rischio perché – chi mi conosce bene lo sa – ho da sempre 5-6 influenze l’anno. Non so per quale motivo – sarà che sono un Ariete, e pare che gli Arieti siano soggetti più degli altri alle febbri – sarà per motivi psicosomatici (come sono propenso a credere), ma prendo regolarmente tutte le influenze che girano, e qualcuna in più. La mia migliore amica, con cui ho da anni uno strano rapporto simbiotico, è anestesista in un ospedale in prima linea nella lotta al virus e – come tutti i medici e gli infermieri in genere – è tra i soggetti più a rischio, ma mi dice: «Non preoccuparti; muoiono solo le persone che hanno patologie pregresse. Che, in sostanza, non muoiono di coronavirus, ma di altre complicanze preesistenti».Il problema sono i posti letto negli ospedali, non il virus in sé. Che, se destinassimo ai reparti di terapia intensiva anche solo la somma che costa un F-35 (circa 100 milioni di euro, secondo le stime de “Il Sole 24 Ore”), non sarebbe un problema. Non sono preoccupato né per lei né per me, e non a caso quando stiamo insieme parliamo di bambini scomparsi, non di influenza, ed è lei che mi ha aperto gli occhi sulle scomparse di bambini in Francia, facendomi vedere dei documenti impressionanti. Il problema diventa tale perché questa epidemia è lo specchio della nostra umanità. Dove il problema delle persone è riguardarsi contro l’influenza. Spiritualmente, questa situazione è solo lo specchio di ciò che tutti hanno dentro; il riflesso esterno, di ciò che è all’interno delle persone e all’interno della società. Una società che si preoccupa dell’influenza, ma quando scompaiono i bambini se ne fotte, al massimo mettono le loro facce sui cartoni del latte, come in Usa, e che se mettono il 5G pensa che sarà un gran vantaggio perché cosi potrà connettersi più velocemente, ma che si mette in fila come le pecore per farsi vaccinare, come è successo a Bergamo, perché il vero problema di ciascuno di noi è l’influenza. E allora, se questi sono i presupposti, è logico che poi a fronte dell’influenza, venga schierato l’esercito. E’ una questione di priorità da parte della società.(Paolo Franceschetti, “Diario folle del coronavirus”, dal blog “Petali di Loto” del 23 marzo 2020).Diecimila morti di influenza in tutto il mondo fermano il pianeta. Invece di stanziare qualche milione di euro per allestire in fretta ospedali da campo, grazie all’aiuto dei militari (cosa che avrebbe magari dato una spinta all’economia, con nuove assunzioni, nuovi acquisti di materiali vari, ecc.), si decide di bloccare l’economia di un paese, segregando la gente in casa, senza tenere conto del numero dei morti che ci saranno per suicidi o altre complicazioni (come disordini sociali e altro ancora). In sostanza, invece di usare soldi e militari per risolvere il problema, li si usa per risolvere il problema creato dai problemi che il governo stesso ha creato. Le decisioni in Italia vengono annunciate non dal Parlamento o da Palazzo Chigi, ma via Facebook, in modo generico, dopo un’ora di ritardo e snervante attesa che sembra fatta apposta per creare ancora più tensione. A questo punto ci aspettiamo i prossimi provvedimenti via Whatsapp. Persino Vespa e Mentana, che non sono propriamente dei complottisti, iniziano a sollevare qualche “leggerissimo” dubbio sulle legittimità di tutta la situazione, con un Parlamento che non si riunisce se non una volta a settimana, e un premier che dà le notizie più importanti in modo incompleto e via Facebook. Vespa dichiara: «I casi sono due: o il Parlamento non serve, e questo sarebbe terribile, o il Parlamento serve e non va a lavorare. E questo è ancora più grave».
-
Paolo Barnard annuncia: abbiamo la cura per il coronavirus
«Attenti, abbiamo una cura». Di colpo, il coronavirus cambia faccia: non è più una condanna. Lo afferma un medico francese, il professor Didier Raoult. La notizia – mentre il virus fa strage in Lombardia – arriva in Italia tramite Paolo Barnard. Il grande giornalista ha rotto il suo silenzio stampa, tornando a parlare il 21 marzo con una serie di tweet e un video da tre minuti su YouTube: mostra un’email ricevuta dal dottor Wayne Marasco, della Harvard Medical School. Il messaggio: uno studio clinico francese, non ancora “randomizzato”, fornisce la concreta speranza che l’idrossiclorochina (un farmaco antimalarico, molto conosciuto e anche economico) possa avere effetti decisivi contro il Covid-19. «Questo farmaco – dice Barnard, leggendo l’email di Marasco – è già disponibile in quantità di massa: potrebbe fornire un aiuto in tempo reale per i pazienti lombardi infettati, per quelli a rischio infezione e per tutto il personale sanitario in Lombardia». Oltre che a Barnard, la mail – come riporta “Come Don Chisciotte” – è indirizzata a Giorgio Palù e Cristina Parolin, lui preside e lei professoressa dell’università di Padova. «Sottolineo – aggiunge Barnard – che alle dosi descritte nello studio francese, questo farmaco riduce anche il “viral shading”», la mobilità del virus, cioè «quando il virus va in giro nel corpo, o dal corpo va in giro nell’ambiente: quindi sostanzialmente riduce anche la contagiosità delle persone».«È molto importante», sottolinea Barnard. «Ultimo punto: associato all’antibiotico azitromicina ha dato risultati ancor più sorprendenti». Barnard si rivolge ai suoi lettori: l’appello deve arrivare al più presto alle autorità sanitarie italiane: «È un messaggio estremamente importante e di grande autorevolezza scientifica». Immediato il rilancio da parte di “Come Don Chisciotte”, sin dalle prime ore. «Sappiamo come guarire dal coronavirus», ha annunciato in esclusiva a “Les Echos” il dottor Raoult, virologo, direttore dell’Istituto Mediterraneo per le infezioni di Marsiglia. «Per la clorochina e i dati sono molto promettenti: tre quarti dei pazienti infettati non sono risultati più portatori del virus dopo 6 giorni di cura con il Plaquenil», scriveva Rosanna Spadini già il 21 marzo sul blog ispirato all’eroe di Cervantes. «Secondo l’iniziale test svolto a Marsiglia con 24 pazienti – dunque un dato ancora troppo basso per “cantare vittoria”, come spiegava bene il direttore dell’Aifa nella conferenza stampa della Protezione Civile – i risultati ottimi si sono avuti su pazienti gravi e meno gravi». Ma sempre secondo gli studi presentati da Raoult sull’”International Journal of Antimicrobial Agents”, «l’idrossiclorochina utilizzata in abbinamento all’antibiotico azitromicina, utilizzato normalmente contro la polmonite batterica, ha portato alla guarigione dei pazienti in una settimana».I pazienti trattati a Marsiglia con il Plaquenil – aggiunge sempre “Come Don Chisciotte” – sono stati comparati ad altrettanti pazienti colpiti da Covid-19 ricoverati negli ospedali di Avignone e Nizza. Ebbene, «il 90% di quelli che non sono stati trattati con il farmaco sperimentale ad oggi è ancora portatore del virus». Molti, chiarisce lo stesso Barnard su Twitter – confondono il trattamento con la clorochina, «screditato da un mese», con ciò che lui stesso ha postato da Harvard e dallo studio francese, e cioè che la soluzione proposta consiste nel sommare l’idrossiclorochina all’azitromicina. «Non fatevi intimidire da chi vi risponde che questa cura è già stata usata da settimane: impossibile, perché quel preciso protocollo è uscito solo quattro giorni fa, ed è esclusivo francese». In questo modo, osserva “Come Don Chisciotte”, proprio Barnard – tornando per pochi minuti nelle vesti di giornalista – grazie alle informazioni ricevute dal dottor Marasco di Harvard è riuscito ad anticipare la notizia: gli Stati Uniti stanno lavorando per rendere queste cure operative a livello nazionale il più presto possibile: «Questa è adesso politica sanitaria americana, in questi minuti mentre vi sto parlando». Tempo 72 ore, ed è lo stesso Trump a confermare: idrossiclorochina e azitromicina, presi insieme, hanno una chance reale di essere una delle più grandi svolte nella storia della medicina.Barnard aveva riattivato il suo profilo Twitter già il 14 marzo, sostenendo che il ceppo virale tedesco sia arrivato in Lombardia mutato: questo spiegherebbe il maggior numero di vittime. È per verificare questa tesi che Barnard ha consultato Marasco nei giorni successivi. Attenzione: Wayne Marasco è una delle massime autorità mondiali, in materia. Le sue credenziali: Department of Cancer Immunology and Aids, Dana-Farber Cancer Institute; Department of Medicine, Harvard Medical School. «La mia tesi – gli scriveva Barnard – è che la contagiosità, ma soprattutto l’orribile “fatality rate” del ceppo lombardo, sia dovuta al fatto che il ceppo arrivato in Lombardia si sia mutato in un’aggressivo “assortant strain”, e non sia quindi lo stesso Sars-CoV2 di Europa e Corea del Sud». Marasco conferma: mutazioni del CoV2 sono già avvenute in Cina. Quindi, il luminare americano «non scarta la mia ipotesi», scriveva Barnard giorni fa, auspicando che in Italia vengano svolti immediatamente «critici ed essenziali accertamenti molecolari sulle mutazioni». Il punto: è inquietante che un’autorità medica mondiale abbia accettato l’ipotesi teorica che il virus lombardo possa essere anomalo, e che auspichi accertamenti “essenziali” in merito. L’ipotesi «deve allertare anche i nostri esperti», perché «escluderla è da irresponsabili».Sul “Sole 24 Ore”, già l’11 marzo il virologo milanese Fabrizio Pregliasco confermava una «significativa “vicinanza” genetica tra il virus che ha circolato in Cina, quello tedesco e quello che sta causando i casi in Lombardia», aggiungendo: «Probabilmente, quando avremo a disposizione un numero maggiore di sequenziamenti genetici virali da valutare, potremmo capire meglio se ci sono state mutazioni in grado di rendere un ceppo più o meno aggressivo». La virologa Maria Rita Gismondo, del Sacco di Milano, si esprime in modo consonante con Barnard sull’”Huffington Post”: «In Lombardia c’è qualcosa che non comprendiamo. Si sono superati i morti della Cina in un’area infinitesimamente più piccola e in un tempo minore». Ovvero: «Sta succedendo qualcosa di strano: in Lombardia c’è un’aggressività che non si spiega. Le ipotesi possono essere tutte valide, e una è che il virus sia forse mutato». Ora, la notizia-bomba è sul tavolo della sanità italiana. Viene dalla Francia e l’ha recapitata Paolo Barnard, che si è procurato la validazione di Harvard. Co-fondatore di “Report” con la Gabanelli, Barbard è stato esiliato dalla Rai (e dal giornalismo italiano) per la scomodità delle sue inchieste. Ora è tornato, per aiutare l’Italia alle prese con la catastrofe-coronavirus.«Attenti, abbiamo una cura». Di colpo, il coronavirus cambia faccia: non è più una condanna. Lo afferma un medico francese, il professor Didier Raoult. La notizia – mentre il virus fa strage in Lombardia – arriva in Italia tramite Paolo Barnard. Il grande giornalista ha rotto il suo silenzio stampa, tornando a parlare il 21 marzo con una serie di tweet e un video da tre minuti su YouTube: mostra un’email ricevuta dal dottor Wayne Marasco, della Harvard Medical School. Il messaggio: uno studio clinico francese, non ancora “randomizzato”, fornisce la concreta speranza che l’idrossiclorochina (un farmaco antimalarico, molto conosciuto e anche economico) possa avere effetti decisivi contro il Covid-19. «Questo farmaco – dice Barnard, leggendo l’email di Marasco – è già disponibile in quantità di massa: potrebbe fornire un aiuto in tempo reale per i pazienti lombardi infettati, per quelli a rischio infezione e per tutto il personale sanitario in Lombardia». Oltre che a Barnard, la mail – come riporta “Come Don Chisciotte” – è indirizzata a Giorgio Palù e Cristina Parolin, lui preside e lei professoressa dell’università di Padova. «Sottolineo – aggiunge Barnard – che alle dosi descritte nello studio francese, questo farmaco riduce anche il “viral shading”», la mobilità del virus, cioè «quando il virus va in giro nel corpo, o dal corpo va in giro nell’ambiente: quindi sostanzialmente riduce anche la contagiosità delle persone».