Archivio del Tag ‘ideologia’
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Bifarini: gli inganni economici rendono irreversibile la crisi
L’economia ha abbandonato il suo connotato sociale e si è arrogata il ruolo di scienza esatta, che trae dall’utilizzo della matematica la propria presunzione di infallibilità. Ma la realtà dimostra che non è così: le previsioni economiche vengono puntualmente smentite dai fatti, sempre più spesso economisti e organizzazioni internazionali sono costretti a rivedere le proprie affermazioni. Un paradigma economico fallace e basato su miti infondati ha preso il sopravvento sulla politica e guida le scelte che riguardano la vita dei cittadini e il futuro dei paesi. Facendo leva su un innato senso di colpa dell’essere umano vengono imposti sacrifici economici che non solo non riescono a superare l’attuale crisi, ma ne aggravano le condizioni. Attraverso l’inganno e il ricatto del debito pubblico, milioni di individui vengono privati dello stato sociale e delle tutele del lavoro, in nome di un’austerity che continua a mietere vittime in Europa, dopo il massacro ellenico.Il mito della superiorità e dell’infallibilità del libero mercato, completamente assimilato dall’opinione pubblica attraverso la propaganda capillare del mainstream, trova nell’Unione Europea la sua massima espressione, e il margine di critica a tale modello viene sempre più compresso. La perdita della sovranità monetaria rende i paesi indebitati assoggettati dai mercati, privi della libertà di scegliere la propria politica economica e di attuare politiche keynesiane per tornare a crescere. Una banca centrale europea preoccupata unicamente del mantenimento di un basso tasso di inflazione elude completamente il problema dell’occupazione e della crescita. Nonostante gli evidenti fallimenti e gli insegnamenti che la storia offre, il modello economico neoliberista sposato dalla Ue è sempre più intransigente e capace di fagocitare ogni forma di dissidenza.Alla base del suo successo risiede il potere ideologico degli inganni economici che, utilizzando false similitudini e un’ingiustificata presunzione di scientificità, fa presa sul comune cittadino. Per mettere fine allo stato di crisi economica e di soggezione morale nel quale siamo sprofondati, occorre smascherare questi miti uno a uno: dall’irreversibilità dell’euro (quasi fosse una legge ineluttabile della natura) al fantasma dell’inflazione che non si materializza mai, dall’assunto infondato per il quale lo Stato sarebbe come una famiglia a quello secondo cui la disuguaglianza favorirebbe la crescita. E’ quello che faccio nel mio ultimo libro, punto di arrivo di anni di studi e analisi indipendente e con un approccio interdisciplinare, imprescindibile per comprendere l’economia per quello che è, ossia una scienza sociale che investe ogni ambito della nostra vita.(Ilaria Bifarini, “Gli inganni economici rendono la crisi irreversibile”, dal blog della Bifarini del 24 giugno 2019. Il libro: “Inganni economici. Quello che i bocconiani non vi dicono”, Youcanprint, 196 pagine, euro 15,50. «Compito di questo libro – si legge nella presentazione – è smascherare, in un linguaggio chiaro e accessibile a tutti, i principali inganni della scienza economica, quelli più diffusi tra l’opinione pubblica e che sono alla base del perdurare dello stato di crisi economica nel quale ci troviamo»).L’economia ha abbandonato il suo connotato sociale e si è arrogata il ruolo di scienza esatta, che trae dall’utilizzo della matematica la propria presunzione di infallibilità. Ma la realtà dimostra che non è così: le previsioni economiche vengono puntualmente smentite dai fatti, sempre più spesso economisti e organizzazioni internazionali sono costretti a rivedere le proprie affermazioni. Un paradigma economico fallace e basato su miti infondati ha preso il sopravvento sulla politica e guida le scelte che riguardano la vita dei cittadini e il futuro dei paesi. Facendo leva su un innato senso di colpa dell’essere umano vengono imposti sacrifici economici che non solo non riescono a superare l’attuale crisi, ma ne aggravano le condizioni. Attraverso l’inganno e il ricatto del debito pubblico, milioni di individui vengono privati dello stato sociale e delle tutele del lavoro, in nome di un’austerity che continua a mietere vittime in Europa, dopo il massacro ellenico.
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Da Scurati solo mezzo Mussolini, per compiacere la casta
Immaginate una monumentale biografia in tre volumi di un grande personaggio vissuto sulla terra 62 anni non compiuti. E immaginate che la biografia cancelli i primi trentasette anni della vita di costui e si dedichi solo ai restanti venticinque anni. Che razza di biografia è? Dicono per scusarsi che è un’opera romanzata e non storica, e quindi c’è licenza letteraria, ma è curioso che prima venga presentata come la lettura storica e psicologica del personaggio e poi si omettano i tre quinti della sua vita. Ma il paradosso, l’incongruenza e la debolezza dell’impianto esplodono quando si considera che in quei primi trentasette anni, il Personaggione non era vissuto in casa, in un ricovero, all’ombra di mammà. Ma in quei primi decenni della sua vita aveva fatto storia, politica, avventura, giornalismo, guerra e rivoluzione da protagonista. Però l’aveva fatta in una direzione opposta rispetto a quella che ha poi perseguito. Per chi non l’avesse ancora capito, sto parlando del Mussolini di Antonio Scurati, che ha vinto il Premio Strega con largo scarto sui concorrenti. E tutti coloro che ne hanno celebrato il testo come lezione storica e opera pedagogica, hanno omesso questo piccolo particolare. Che nella monumentale biografia, di ottocentoquaranta pagine solo il primo tomo, non c’è l’infanzia di Benito, non c’è la giovinezza, non c’è il suo lavoro di maestro elementare, i suoi amori, il suo matrimonio, i suoi figli.Ma non c’è soprattutto il suo socialismo anarchico e rivoluzionario, il suo carcere per l’attività sovversiva, la fuga in Svizzera, le settimane rosse, la scalata nel partito socialista, la direzione de l’Avanti! con forte impennata delle vendite, e la guida della corrente massimalista del Partito Socialista, dietro di lui l’ala che diventerà poi comunista, Gramsci incluso. Quei comunisti che lo stesso M. riconobbe come “figli miei”. E poi i suoi scritti, le sue opere, la sua scoperta, primo tra tutti a sinistra, di Nietzsche come pensatore politico, in un breve saggio del 1908. Marx e Nietzsche nel primo Mussolini si davano la mano (Venditti dixit). E poi la fondazione del Popolo d’Italia e il passaggio all’interventismo, con un ruolo decisivo nel giornalismo italiano, la collaborazione delle grandi firme del suo tempo, la partenza per la guerra, la trincea, la ferita al fronte, le stampelle. Si può scrivere una monumentale biografia di Mussolini trascurando tutto questo precedente, come se fosse irrilevante per capire il personaggio, la psicologia e la storia di Mussolini e della sua creatura? Scurati, anzi Trascurati. Cosa può capire di Mussolini qualcuno che legga solo quella biografia?Non riprendo gli strafalcioni di Scurati sul piano storico, che Galli della Loggia fece notare, e gli concedo l’attenuante di essere un letterato e non uno storico. Ma come si fa a voler entrare nel personaggio Mussolini, come lui dice, “riscrivere la sua storia dal di dentro”, sentirsi quasi posseduto dal suo demone, e trascurare quel Mussolini lì, il Rivoluzionario, per dirla con un tomo della biografia mussoliniana di Renzo De Felice, da cui discende l’altro Mussolini, il Duce, per citare un altro tomo dell’opera defeliciana? E ora che del suo M. si sta facendo un mattone ennesimo da lanciare contro il protagonista e il suo regime, viene facile il dubbio di un’omissione voluta, ideologica, e non proprio onesta: per non dire che il fascismo nasce dal socialismo come il comunismo, di cui è gemello. E molti dei suoi tratti totalitari, violenti, bellicosi vengono da lì, dal socialismo rivoluzionario. In origine Scurati aveva presentato la sua opera come non animata da spirito antifascista, ritenendo anzi che “la pregiudiziale antifascista è caduta”. Pensavo che fosse caduta almeno per lui, perché per il resto non mi pare proprio. E invece l’altra sera con quel pugno chiuso all’assegnazione dello Strega Antifascista, Scurati ha mostrato che non era caduta manco per lui.E poi il solito richiamo ai padri e ai nonni sempre antifascisti (e una nonna che salvò gli ebrei la rimediamo?). Allora mi chiedo perché Scurati all’uscita del libro non ha calcato la mano contro Mussolini? Magari voleva conquistare quell’importante fetta di lettori che è interessata a Mussolini senza pregiudiziali, gente che vuol capire, che vuol vedere il bene e il male del personaggio, o gente che persino nutre qualche simpatia per la figura di Mussolini. Scurati voleva vendere il suo libro anche a loro. Aveva poi annunciato che non avrebbe mai concorso a un premio, aveva detto parole brutte sulla mafia dei premi e sul fatto che i giochi vengono decisi a tavolino molto prima. E allora come si spiega il suo ritorno al Mussolini Male Assoluto, padre del Fascismo Male Eterno? Di mezzo c’è stata l’adozione de “La Repubblica” del suo M. che presentava la sua opera letta da Marco Paolini come il “Duce smascherato”. E di mezzo c’è stata l’adozione della Casta che decide i premi.È l’eterno problema dello Scrittore: resto indipendente, fuori dalle consorterie, da quelle che Montale definiva camorre letterarie, e però mi taglio fuori dalla fama, dai premi, dai riconoscimenti, dalle serie televisive, e vivo una decorosa clandestinità, una dignitosa solitudine? Oppure no, tiro anch’io il mio pugnetto da compagno contro il Mostro, mi converto anch’io alla Religione Antifascista, presento il mio libro come un’opera pedagogica per trasbordare i lettori, in gran parte estranei a quella pregiudiziale, all’altra riva, fino a convertirli alla fede antifascista? Temo che Scurati abbia fatto questa scelta. E così comincia anche lui la sua danza sul Cadavere, il suo rito cannibale: traggo da M. temi, viscere e lettori, mi nutro di lui per vituperarlo. Scurati tra la ricerca della verità e quella del successo ha scelto la seconda, per dirla con Guzzanti. Le camorre ideologico-letterarie, commosse, posero.(Marcello Veneziani, “Mussolini a metà”, da “La Verità” del 7 luglio 2019. Il libro: Antonio Scurati, “M. Il figlio del secolo”, Bompiani, 848 pagine, 24 euro. Nel volume “Il compasso, il fascio e la mitra” pubblicato nel 2017 da UnoEditori, Gianfranco Carpeoro rivela che Mussolini ai suoi esordi fu sostenuto dalla massoneria più progressista e anticlericale, per poi accettare invece l’appoggio del Vaticano, virando drasticamente a destra la sua linea politica sotto la pressione cattolica. Il saggio mette a fuoco i retroscena legati al faccendiere massone Filippo Naldi, all’epoca in cui Mussolini – già a libro paga dei servizi segreti inglesi – si vide finanziare il varo del “Secolo d’Italia”. Lo stesso Naldi, secondo Carpeoro, sarebbe stato il vero uomo del destino, per il futuro Duce. Naldi avrebbe infatti organizzato l’omicidio di Giacomo Matteotti, che aveva scoperto che il Re – non il Duce – era implicato nella super-tangente ottenuta dalla Standard Oil per le forniture di petrolio all’Italia. Infine, lo stesso Naldi avrebbe “bruciato” il piano del 25 luglio 1943, cioè la deposizione del Duce segretamente concordata dal dittatore stesso, coi gerarchi fascisti, per far uscire l’Italia dalla guerra. Naldi ne avrebbe tempestivamente informato il Vaticano, che a sua volta trasmise l’informazione ai nazisti, provocando così la tragedia finale della Repubblica di Salò messa in piedi per volere di Hitler).Immaginate una monumentale biografia in tre volumi di un grande personaggio vissuto sulla terra 62 anni non compiuti. E immaginate che la biografia cancelli i primi trentasette anni della vita di costui e si dedichi solo ai restanti venticinque anni. Che razza di biografia è? Dicono per scusarsi che è un’opera romanzata e non storica, e quindi c’è licenza letteraria, ma è curioso che prima venga presentata come la lettura storica e psicologica del personaggio e poi si omettano i tre quinti della sua vita. Ma il paradosso, l’incongruenza e la debolezza dell’impianto esplodono quando si considera che in quei primi trentasette anni, il Personaggione non era vissuto in casa, in un ricovero, all’ombra di mammà. Ma in quei primi decenni della sua vita aveva fatto storia, politica, avventura, giornalismo, guerra e rivoluzione da protagonista. Però l’aveva fatta in una direzione opposta rispetto a quella che ha poi perseguito. Per chi non l’avesse ancora capito, sto parlando del Mussolini di Antonio Scurati, che ha vinto il Premio Strega con largo scarto sui concorrenti. E tutti coloro che ne hanno celebrato il testo come lezione storica e opera pedagogica, hanno omesso questo piccolo particolare. Che nella monumentale biografia, di ottocentoquaranta pagine solo il primo tomo, non c’è l’infanzia di Benito, non c’è la giovinezza, non c’è il suo lavoro di maestro elementare, i suoi amori, il suo matrimonio, i suoi figli.
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Subdolo 5G: infame strage di alberi in tutte le città italiane
Da quando ho iniziato a interessarmi del 5G, ho scoperto che vi sono non uno, ma due aspetti preoccupanti, di questa nuova tecnologia. Il primo è quello che riguarda la salute: mentre si sta procedendo con grande fretta alla commercializzazione della nuova “Rete dei miracoli”, infatti, nessun serio studio scientifico è stato fatto sulle conseguenze che potrebbe comportare quest’irradiazione, ormai onnipresente, sugli esseri umani. Fra poco ci troveremo letteralmente sommersi da un mare di microonde, con antenne piazzate ogni 500 metri nelle grandi città, e magari solo fra dieci o vent’anni potremo sapere quali saranno state le reali conseguenze sulla nostra salute. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro video, che sto preparando. Nel frattempo, vorrei portare alla vostra attenzione un secondo problema, che non è da meno: riguarda la distruzione selvaggia e sistematica dei nostri alberi. A quanto pare, infatti, gli alberi – soprattutto quelli più alti – impediscono una buona irradiazione del segnale 5G. E quindi li stanno togliendo di mezzo, in tutta Italia, con delle giustificazioni decisamente ridicole. Un paio di mesi fa mi ero accorto che, dalle mie parti, avevano tagliato in modo abominevole dei bellissimi viali alberati, e ho cominciato a chiedere in giro quale fosse il motivo. Ma nessuno mi sapeva dare una risposta, al punto che ho iniziato a sospettare che ci fosse di mezzo il 5G.Allora ho chiesto agli ascoltatori di “Border Nights” di segnalarmi se anche dalle loro parti si fossero registrati degli abbattimenti ingiustificati di alberi: e mi è arrivata, letteralmente, una caterva di segnalazioni. Nel frattempo, però, i “debunker” hanno già messo le mani avanti, cercando di smentire quest’idea che gli alberi vengano tagliati per fare strada al 5G. “Butac”, uno dei siti classici di “debunking”, ha pubblicato un articolo nel quale cerca di smentire questa ipotesi. A questo giro – scrive “Butac” – si parla di alberi abbattuti perché, secondo la tesi di “TerraRealTime” (il sito che per primo ha denunciato il taglio indiscriminato degli alberi) sarebbero un problema per la diffusione del segnale. «Ma si tratta dell’ennesima sciocchezza antiscientifica sostenuta solo e unicamente per spaventarvi, e magari convincervi a comperare un cappellino contro l’elettrosmog». Ora, “Butac”: a parte che qui nessuno vende cappellini (stiamo solo cercando di proteggere la nostra ricchezza naturale, casomai), ma il fatto che gli alberi rappresentino un ostacolo praticamente insormontabile, per il 5G, ormai è un dato accertato. Lo confermano, ad esempio, due documenti ufficiali del governo inglese: li ha pubblicati l’Ordnance Survey, l’ufficio che si occupa della mappatura del territorio. Uno si intitola “Pianificazione 5G, considerazioni geo-spaziali – una guida per i pianificatori e le autorità locali”. L’altro si intitola: “L’effetto delle costruzioni e dell’ambiente naturale sulle onde radio millimetriche”, ovvero il 5G.Da questi documenti leggiamo: «Vegetazione e edifici: i risultati presentati in questo rapporto dimostrano che gli oggetti della vegetazione, ovvero alberi e arbusti con un denso fogliame, provocano un disturbo nella propagazione del segnale oltre i 6 Ghz». Ci sono delle considerazioni generali: gli alberi di oltre 3 metri sono messi nel gruppo che “andrebbe” preso in considerazione (“should do”), mentre gli alberi oltre i 5 metri sono nel gruppo del “must do”, ovvero quelli che “bisogna” prendere in considerazione. Più sotto, c’è la spiegazione: “should do” sono «oggetti che vale la pena considerare durante le rilevazioni»; “must do” significa invece che questi oggetti «avranno un impatto significativo nella propagazione del segnale delle microonde millimetriche», e che quindi «vanno assolutamente presi in considerazione durante i rilevamenti». Il documento, poi, presenta diversi esempi pratici, illustrati con fotografie. Indicando uno stadio, dice: «Questa zona ha due aspetti interessanti, che dovrebbero essere presi in considerazione come ostacoli potenziali per le trasmissioni». Il primo: «Le torri di supporto all’esterno dello stadio, che sono fatte con una complessa struttura di acciaio». Il secondo: «La passeggiata sulla sinistra, che è adornata di alberi che possono bloccare i segnali in partenza dalla struttura dello stadio».Un altro esempio, sempre in foto, dice: «Qui viene mostrata una zona a intenso traffico pedonale, vicina ad un lampione candidato all’utilizzo del 5G». Due aspetti sono la prendere in considerazione: «Gli alberi caduchi, che possono causare un degrado limitato del segnale nei mesi invernali, mentre in estate – con le foglie – potrebbero avere un effetto significativo» (il secondo ostacolo è il viadotto che sovrasta l’area pedonale). Poi il rapporto mostra invece una situazione positiva, per loro: «La vista aerea del grande centro commerciale mostra grandi spazi aperti, con pochissimi elementi in grado di bloccare il segnale 5G: c’è soltanto un piccolo numero di alberi accanto al parcheggio». Quindi, evviva le zone con pochi alberi: per noi vanno molto meglio, dice il documento. Altro esempio, viale alberato: «In questa strada residenziale c’è una grande quantità di alberi, che bloccano chiaramente il percorso per le antenne che potrebbero venir collocate sui lampioni». Quindi, cosa si fa? Si buttano giù gli alberi, semplice.Guardate ora gli articoli che mi sono stati mandati dagli ascoltatori di “Border Nights”:poi decidete voi se c’entrano qualcosa, oppure no. Vi dico solo una cosa: sono quasi tutti articoli del 2018-2019, quindi molto recenti. E quasi sempre viene data una spiegazione risibile, per il taglio degli alberi. Ovvero: risultano di colpo tutti malati; oppure ti dicono che ne pianteranno degli altri, più bassi; oppure ti dicono che sono diventati, improvvisamente, tutti pericolosi. Cioè: alberi secolari, che sono lì da più di cento anni, di colpo diventano una minaccia per la popolazione. Di fatto, mi ha scritto una persona che si occupa di installazioni 5G. E mi ha detto che, in effetti, moltissimi sindaci e amministratori locali vengono spaventati, con l’idea di poter essere ritenuti responsabili per eventuali danni causati dalla caduta degli alberi, e quindi – non appena gli si suggerisce di tagliarli – accettano subito (spesso senza il nulla-osta delle autorità che dovrebbero salvaguardare il verde pubblico).Guardate quello che sta succedendo, in Italia. Palermo: “Il Comune si prepara ad abbattere 200 alberi di pino, decisione folle”. Montesilvano, provincia di Pescara: “Taglio indiscriminato degli alberi sani”. Pescara: “La guerra degli alberi tagliati in nome della sicurezza”. Poggibonsi, provincia di Siena: “Scempi chiamati riqualificazioni”. Prato, viale Montegrappa: “Polemiche sugli alberi tagliati”, Ravenna: “Pini abbattuti in via Maggiore”. Roma: “Dal 2016 abbattuti 9.111 alberi – mille spariti in centro, è polemica”. Rovereto: “Abbattuti gli alberi fra le proteste”. Ancora Roma: “Abbattuti 450 alberi malati, ma i nuovi saranno alti solo 3 metri”. Guarda che coincidenza: ricordate il “should do” e il “must do”? Salerno, Nocera Inferiore: “Cosa si cela dietro l’abbattimento dei pini?”. Ancora Salerno: “Abbattimento degli alberi in via Rebecca Guarna”. San Terenzo, provincia di La Spezia: “Piazza Brusacà saluta i suoi pini”. Provincia di Teramo: “Nuove proteste contro l’abbattimento degli alberi della strada provinciale 259”. Terni: “Repulisti di pini, scattata l’operazione per l’abbattimento di 44 alberi”. Trapani: “Taglio alberi a Paceco, il comitato Pro-Eritrine protesta col sindaco”. Trevignano, sul Lago di Bracciano: “Abbattuti pini sani di 70 anni per rifare le strade”. Treviso: “Tagliati altri 87 alberi perché sono malati”. Certo, perché gli alberi si ammalano tutti insieme, 87 per volta.Ancora Treviso: “Non tagliate gli alberi, i residenti insorgono”. Udine: “Via Pieri, iniziato l’abbattimento degli alberi”. Verona: “Centinaia di alberi da abbattere per realizzare il nuovo filobus”. Giustamente, dice il commento: «Il trasporto pubblico e la mobilità sono essenziali, ma non a qualsiasi prezzo, e non con questi metodi». Sempre a Verona: “Nuovo taglio di alberi a Verona Sud: a chi giova?”. Ancora Verona: “Lungoadige San Giorgio, tagliati 21 alberi”. Viareggio: “Abbattimento alberi, presidio al cavalcavia”. Regione Abruzzo, Parco Sirente: “Il pasticcio degli alberi tagliati”. Agrigento: “Taglio degli alberi alla Villa Bonfiglio, la Soprintendenza vuole chiarezza”. Sempre ad Agrigento: “Alberi capitozzati, l’assessore sospetta che sia stato iniettato veleno in alcuni pini”. Anagni: “Potatura fuori stagione, inervento drastico di capitozzatura in piena germogliazione, che lascia perplessi”. Ancona: “Abbattuti gli alberi sul viale, giù i frassini fra le proteste”. Avezzano, in Abruzzo: “Taglio degli alberi a piazza Torlonia, più della metà erano pericolosi”. Ovviamente, gli alberi sono diventati – di colpo – il pericolo pubblico numero uno, in Italia.Provincia di Bari: “Scempio sugli alberi a Pane e Pomodoro”, che è la famosa spiaggia barese. Benevento: “Taglio dei pini, piante a rischio caduta estremo”. Biella: “Alberi abbattuti, Legambiente contro le amministrazioni comunali”. Sempre in provincia di Biella: “Deturpata la strada dei pellegrini, è caos dopo il taglio di 200 alberi”. Marina di Carrara, Vittorio Sgarbi difende i pini: “Barbarie, denuncio tutto”. Catania: “Proteggere l’ambiente, scatta la protesta per gli alberi capitozzati”. A me, più che capitozzati, questi sembrano segati alla base. Marina di Cerveteri: “Gli alberi ostacolano il 5G”. Chiaravalle, nelle Marche: “Abbattono i pini storici, proteste e manifestazioni in largo Oberdan”. Crema: “Il caso degli alberi tagliati in via Bacchetta”. Si veda il prima e il dopo: che squallore. Provincia di Faenza: “Brisighella, 513 alberi abbattuti”. Sempre a Faenza: “Via all’abbattimento di 520 alberi in città”. Lido Scacchi, in provincia di Ferrara: “Forza Italia chiede spiegazioni sugli alberi tagliati”. Firenze: “Proseguono gli abbattimenti, alberi tagliati in piazza Indipendenza”. Sempre a Firenze: “Strage di alberi a Porta al Prato, ma erano tutti sani. Il Comune dice: una ditta ha danneggiato le radici”. Certo, ha danneggiato le radici non di uno, ma di tutti gli alberi in un colpo solo, come no…Ancora a Firenze: “Tagliati tutti i pini in viale Guidoni, idem in viale Morgagni: de profundis per gli alberi abbattuti”. Piana Fiorentina: “Il taglio dei tigli, una decisione del Comune”. Foggia: “In via Napoli uno scempio, presentato esposto contro il taglio di 101 pini”. Provincia di Grosseto: “Tagliati 30 ettari di bosco nella Riserva del Farma, l’esperto: è un disastro”. Sempre a Grosseto: “Taglio degli alberi in città, 1.640 cittadini protestano”. Ancora a Grosseto: “Stop al taglio degli alberi, è uno scempio”. Provincia dell’Aquila: “Tagliati gli storici alberi dell’Altopiano delle 5 Miglia”. Molfetta: “Quartiere San Domenico sotto shock: tagliato l’Albero della Vita, ancora ignote le motivazioni”. Napoli, quartiere del Virgiliano: “Strage di pini, oltre 100 saranno abbattuti”. Novara: “Via libera all’abbattimento di 32 aceri”. Como: “Faggi abbattuti al liceo Giovio, sale la protesta; la Provincia dice: ragioni di sicurezza”. Certo, come no: alberi che sono lì da cento anni e, adesso che arriva il 5G, diventano di colpo pericolosi.E’ sempre la stessa scusa, fra l’altro. Guardate: “Garbagnate, Natale senza pini: verranno abbattuti; potrebbero diventare pericolosi, col passare del tempo, per la cittadinanza”. Quindi siamo addirittura al taglio preventivo, precauzionale. Campoformido, provincia di Udine: “Proteste per il taglio dei pini marittimi in piazza a Basaldella; procede la riqualificazione del centro”. Certo, perché adesso “distruggere” si dice “riqualificare” (la neolingua imperversa). Lecco: “Alberi abbattuti sul lungolago, le piante possono rigenerarsi”. Certo, magari fra vent’anni ricrescono anche; nel frattempo tu hai piazzato le tue belle antennine 5G da tutte le parti. Este, in provincia di Padova: “Alberi tagliati senza motivo, delitto contro la natura”. Piacenza: “Alberi tagliati senza motivo, uno scempio”. Ancora a Roma, al Salario: “Alberi tagliati senza motivo”. Ferrara: “Continua il massacro degli alberi lungo la statale 16”.Ragazzi, è pazzesco quello che stanno facendo. Due o tre di questi casi potrebbero anche essere situazioni in cui davvero gli alberi vanno tagliati, ma qui stanno facendo una carneficina: qui siamo di fronte a un abbattimento sistematico degli alberi in tutto il paese. E il fatto è che sono molto furbi, perché lo fanno a livello locale, senza fare rumore. Lo fanno cittadina per cittadina, contando sul fatto che una comunità non sa quello che succede in quella accanto. Se non ci fosse stato questo contributo, da parte degli ascoltatori di “Border Nights”, ciascuno avrebbe continuato a pensare che magari era solo un problema loro. E nel frattempo, questa gente sta devastando le risorse naturali dell’intero paese. Io non so cosa dirvi, ragazzi. Mi auguro però che vogliate organizzarvi, sia a livello locale che regionale, perché qui vanno presi i sindaci, uno per uno, con nomi e cognomi, e vanno messi di fronte alle loro responsabilità. Non è possibile che il nostro paese venga devastato in questo modo, senza che nessuno faccia niente. E se aspettiamo che intervengano i nostri politici da Roma stiamo freschi: quelli son troppo impegnati a conservare il proprio stipendio, la loro poltroncina, per preoccuparsi dei problemi reali. E anche tu, “Butac”, e tutti gli altri “debunker”: invece di scrivere scemenze, datevi da fare. Qui non c’entrano le questioni ideologiche: la natura è di tutti, anche vostra.(Massimo Mazzucco, “G5, la strage degli alberi”, video pubblicato su “Luogo Comune” l’8 luglio 2019. L’autore, al termine del filmato, annuncia che a questa prima indagine sul taglio degli alberi seguirà uno studio per vedere più da vicino quelli che possono essere i rischi effettivi dell’impatto della rete 5G sulla nostra salute).Da quando ho iniziato a interessarmi del 5G, ho scoperto che vi sono non uno, ma due aspetti preoccupanti, di questa nuova tecnologia. Il primo è quello che riguarda la salute: mentre si sta procedendo con grande fretta alla commercializzazione della nuova “Rete dei miracoli”, infatti, nessun serio studio scientifico è stato fatto sulle conseguenze che potrebbe comportare quest’irradiazione, ormai onnipresente, sugli esseri umani. Fra poco ci troveremo letteralmente sommersi da un mare di microonde, con antenne piazzate ogni 500 metri nelle grandi città, e magari solo fra dieci o vent’anni potremo sapere quali saranno state le reali conseguenze sulla nostra salute. Ma di questo argomento ci occuperemo in un altro video, che sto preparando. Nel frattempo, vorrei portare alla vostra attenzione un secondo problema, che non è da meno: riguarda la distruzione selvaggia e sistematica dei nostri alberi. A quanto pare, infatti, gli alberi – soprattutto quelli più alti – impediscono una buona irradiazione del segnale 5G. E quindi li stanno togliendo di mezzo, in tutta Italia, con delle giustificazioni decisamente ridicole. Un paio di mesi fa mi ero accorto che, dalle mie parti, avevano tagliato in modo abominevole dei bellissimi viali alberati, e ho cominciato a chiedere in giro quale fosse il motivo. Ma nessuno mi sapeva dare una risposta, al punto che ho iniziato a sospettare che ci fosse di mezzo il 5G.
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Porti aperti: il cinismo anti-italiano degli schiavisti umanitari
Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.Anche in questo caso non si tratta di una situazione eccezionale, di un’emergenza fortuita da fronteggiare, ma di una prassi ormai consolidata, programmata e reiterata. Non è un imprevisto capitato sulla rotta ma è il “mestiere” che alcune imbarcazioni hanno deciso di ingaggiare, a prescindere dagli Stati, dai popoli e dai territori. La terza: non c’è nessun potere legittimato democraticamente, consolidato dall’esperienza storica e dalla vita dei popoli, che risponde direttamente alla cittadinanza, la rappresenta e la tutela, oltre lo Stato nazionale libero e sovrano. Ed è giusto che sia lo Stato nazionale sovrano a decidere in ultima istanza, sulla base dei suoi ordinamenti, come ha coerentemente fatto il governo italiano, a partire dal ministro dell’interno fino al presidente del Consiglio; e a negare nella fattispecie che una nave battente bandiera olandese, diretta da una comandante di nazionalità tedesca, possa attraccare non nel primo porto incontrato sulla rotta, che era poi in Tunisia, ma decida di far rotta sull’Italia e imponga di fatto al nostro paese l’obbligo di accoglierli, trasformando un già discutibile diritto d’accoglienza in un inderogabile dovere d’accoglienza, ovunque e comunque. Chi mina gli Stati e li scavalca, nel nome dell’ideologia “no border”, lavora per il caos e la fine del diritto internazionale.La quarta. Siamo stati abituati da una propaganda ideologica, moralistica ed emozionale a non sottrarci ad accogliere il singolo caso pietoso, il bambino denutrito e senza adulti, il malato da curare, la donna incinta in balia delle onde o della miseria. Ma dietro il singolo caso, su cui inevitabilmente ci si appella alla nostra umanità, si vuol far passare un flusso ben più massiccio e duraturo. Ovvero si vuol usare il singolo caso come cavallo di Troia per legittimare in realtà la trasmigrazione di popoli e di chiunque voglia lasciare il proprio paese e venire a vivere da noi. In un mondo in cui i benestanti si contano in milioni e i poveri in miliardi, non si può pensare che gli uni possano caricarsi degli altri, che la piccola Italia si debba caricare sulle sue fragili spalle la grande Africa, che la piccola Europa si carichi i flussi di popolazioni venute dal sud o dall’est del pianeta. Certo, il fenomeno per ora ha numeri non impressionanti; però col passare del tempo e col lasciapassare che si vorrebbe imporre, il fenomeno rischia di ingrossarsi fino a raggiungere dimensioni insostenibili.La quinta. Dietro il principio d’accoglienza umanitaria, si nasconde un gigantesco business a due facce: da un verso riguarda gli impresari politici dei flussi migratori per gestirne poi l’assistenza e gli effetti politici; e dall’altro verso interessa quanti usano manovalanza sottopagata da sfruttare, senza tutele (salvo dare agli speculatori di cui sopra ulteriore motivo di rappresentanza degli interessi sindacali e lavorativi dei migranti). Sinistra e padronato soci in affare, sotto copertura umanitaria. È un business immenso e vergognoso che si nasconde dietro la carità e sfrutta, strumentalizza e schiavizza i migranti. A tale proposito è stato penoso lo spirito demagogico e illegale, anti-italiano e anti-europeo della sinistra e del suo circo di “anime belle”.Infine, la sesta. Non ci sono nel mondo d’oggi situazioni aggravate rispetto a qualche anno fa – guerre, genocidi, carestie – da costringere ad aprire le frontiere e i porti. Se vogliamo, era molto peggio dieci anni fa. E in ogni caso chi se la passa peggio non è chi riesce a partire, chi riesce a procurarsi i soldi per pagare la fuga o gli scafisti, chi ha la forza, i contatti, i mezzi per poter andar via; ma la vera miseria, la vera priorità è di quelli che non hanno la forza e le risorse per poter partire e restano a casa. E vedono i loro paesi impoverirsi di energie giovanili che migrano altrove, abbandonando donne, vecchi e bambini. Se davvero dovessimo dare la precedenza agli ultimi, come dice il Papa, gli ultimi non sono quelli che vengono da noi ma quelli condannati a restare a casa loro in condizioni di vera miseria. Ma la vera finalità di chi sostiene le migrazioni è lo sradicamento dei popoli dalle loro terre e noi dalle nostre.(Marcello Veneziani, “Sei tesi sui porti aperti”, da “La Verità” del 30 giugno 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.
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Magaldi: dietro a Dugin (e Putin) c’è l’oligarchia più antica
Pensavate fosse amore, e invece era un calesse? Ma non serve ricorrere a Massimo Troisi per smontare la Quarta Via del filosofo Alexander Dugin, ideologo vicinissimo al Cremlino. Basta e avanza Gioele Magaldi, massone progressista e presidente del Movimento Roosevelt, di impronta keynesiana. Curiose coincidenze: Dugin gira l’Europa (e l’Italia) spacciando per nuovissima la sua ricetta obsoleta – il ritorno alla tradizione pre-democratica – proprio mentre Vladimir Putin, sul “Financial Times”, decreta il decesso del liberalismo. Messaggio di forza, da parte dell’autocrate russo? «Al contrario: dopo anni di ascesa costante, oggi il consenso di Putin è meno solido. E la sua uscita ricorda quella di Licio Gelli, che accettò di parlare al “Corriere” proprio alla vigilia del crollo della P2». Questo non significa che Putin stia per cadere. L’invito, semmai, è a leggere tra le righe: è davvero così invitante, la “democratura” di Mosca – magnificata da Dugin – dove i giornalisti vengono messi a tacere? Sul tappeto c’è davvero uno scontro geopolitico con l’Occidente, come ai tempi della guerra fredda? O per caso, invece, non sarebbe meglio inforcare gli occhiali giusti e ricordarsi che Putin, prima ancora che ai russi, risponde ai “fratelli” della Golden Eurasia, potente superloggia neoconservatrice nella quale milita anche Angela Merkel?
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Fassina: solo la destra sa che la politica deve proteggerci
Penso che il Ddl firmato da 5 Stelle e Lega sulla Banca d’Italia sia parte della ricostruzione del primato della politica sull’economia. La politica monetaria è uno degli strumenti politici più importanti. E ritenere che la politica debba rimanere fuori dalla politica monetaria è stato un errore, frutto di un pensiero unico che si è affermato in modo assolutamente trasversale. Il disegno di legge che hanno presentato i capigruppo di Lega e 5 Stelle al Senato è sostanzialmente un passo avanti; non è che finisca l’indipendenza di Bankitalia, c’è un richiamo esplicito ai trattati europei. Si introduce il meccanismo previsto per la Bundesbank, quindi non una misura nord-coreana. E cioè: il governo nomina presidente e direttore generale, un membro del direttorio (vicepresidente), e altri due membri del direttorio (anch’essi vicepresidenti) vengono nominati uno dalla Camera e l’altro dal Senato. E’ esattamente il modello vigente in Germania. E solo una sinistra che ha completamente smarrito un minimo di autonomia culturale può considerare eversivo e inaccettabile questa proposizione, che a mio avviso invece fa fare un passettino avanti, alla politica, nel governo di uno strumento fondamentale come quello della politica monetaria.
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Grillology al governo, che vergogna: una calamità nazionale
Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.Il senso dello Stato e lo stato delle cose, il senso del pudore e della dignità nazionale richiedono una procedura d’urgenza. La loro degenza al governo ci preoccupa sul piano dei conti e delle cose da fare; ci preoccupa sul piano dei simboli, dei messaggi e la credibilità delle istituzioni, la storia e la cultura del paese. Ci preoccupa sul piano umano, perché è un’accozzaglia imbarazzante e scombinata, che se non fosse al governo non avrebbe alcun mestiere alternativo. Appena nascosti dietro la foglia di un premier che almeno come titolo di studio – curriculum a parte – e come capacità di figurare e saper dire, pur senza fare, si presenta come un decoroso avvocato. Ma gli altri, per carità. Mi vergogno da italiano di essere rappresentato da questa gente. E mi sono vergognato l’altro giorno a visitare il padiglione dell’Italia alla Biennale di Venezia. La cosa più prodigiosa che ho visto è stata la nave Msc e l’imbarcazione appena speronata, che giacevano, sfiniti, una a fianco dell’altra dopo il rovinoso amplesso.No, per carità, c’erano padiglioni che suscitavano stupore, interesse, curiosità. E l’arsenale e i giardini sono una meraviglia. Ma il padiglione dell’Italia era l’esatta fotografia del Nulla Assoluto italo-grillino. Un nulla ideologico però antifascista. Quella porcata, che insulta l’Italia geniale nel cinquecentenario di Leonardo, e poi di Raffaello e Dante, ma anche dei grandi artisti del nostro Novecento, ha ricevuto il plauso del ministro Bonisoli, che è il pacco dei grillini tirato ai beni culturali. Quel padiglione era l’esatta figurazione dell’Italia di Fico e della Trenta, oltre che di Di Maio e tutti gli altri. Davanti a quella porcata enfatizzata come un capolavoro con messaggio, ho avuto un fremito di cittadinanza e d’amor patrio e mi sono detto: questa roba non è l’Italia, non è il paese che la storia, l’arte, l’ingegno hanno tracciato nei secoli. E questa Non-Italia che si perde nel labirinto della vacuità è lo specchio dei grillini al governo. Urge che se ne vadano, che si tolgano dai “coglioni”. O se preferite che si tolgano i coglioni.Perdonatemi il linguaggio greve e per me inusuale, ma non riesco più a sopportare la presenza di questo circo di pagliacci e animali rintronati. Trovo che la loro unica ideologia sia, per restare nel linguaggio confacente, il testadicazzismo, derivazione del fancazzismo e delle loro capacità personali. Torno al fico maturo per l’opposizione. La presidenza della Camera a volte peggiora le persone, lo sappiamo dai suoi predecessori. Ma nel caso di Fico l’impresa di peggiorarlo era praticamente impossibile. Lui si presentava già come il massimo esponente del Nulla Grillino di Sinistra. Di più e di peggio non si poteva. Uno che come titolo di studio è laureato in canzone neomelodica napoletana, e non nel senso che almeno cantava e si guadagnava da vivere per strada o tra i tavoli del bar passando col piattino; ma, peggio, studiava i cantanti napoletani, studiava la fenomenologia di Mario Merola e Nino d’Angelo. Un genio enciclopedico. Fico della Mirandola.Uno che fino a quarant’anni, cioè fino a che non vinse la ruota della fortuna coi 5 Stelle non aveva arte né parte. Uno che rappresenta l’ala più grillina dei grillini, fanatico dell’Ideologia di Grillology. Lui è ovviamente nemico, anche per fatto personale, della meritocrazia; è totalmente appiattito sul politically correct anche in temi bioetici e ha subito sbandierato, insediandosi a Montecitorio, la sua continuità antifascista con la Boldrina. Poi i rom, i migranti… Insomma uno che rappresenta il movimentismo extraterrestre dei 5 Stelle in versione radical-pop. Peggio della sinistra c’è solo la sinistra in formato grillino. E in tutto questo, per i media e le Massime Cariche nel nostro Paese, Papa incluso, il pericolo più grave per l’Italia, i suoi conti e la sua tenuta è Salvini… Non so se convenga nel gioco politico far saltare ora il governo, e convenga che il fico maturo cada da sé dalla pianta; non so se sia pericoloso esporsi con una crisi al pressing europeo e rimettere il pallino nelle mani di Mattarella. Ma i grillini al governo sono un’emergenza nazionale. E’ urgente il foglio di via, che s’imbarchino in fretta sulla Sea Wacht per il percorso inverso.(Marcello Veneziani, “Urge cacciare i grillini dal governo”, da “La Verità” del 4 giugno 2019).Magari fosse solo un Fico caduto dall’albero della demenza politically correct a rendere urgente l’uscita dei grillini al governo. Magari fosse solo la vistosa inadeguatezza del Marziano Toninelli o il paradosso di un Ministro del Lavoro che non ha mai lavorato. E magari fosse solo la Ministro della Difesa che detesta la difesa, quella Trenta che è riuscita a far sollevare perfino i generali come non accadeva dai tempi deI golpe. Magari fosse solo l’aver sporcato, ridicolizzato, la Festa della Repubblica coi loro comportamenti, facendola diventare festa dei rom e dei clandestini. Ma il tempo è maturo ormai perché vadano a casa, anche se sono scappati dalla medesima, secondo l’esegesi di Berlusconi, che almeno sui grillini ci prende ancora. Nella sua tattica politica Salvini ha fatto bene a non far saltare il banco del governo all’indomani del voto, ha fatto bene a puntare sulle priorità da fare. E capisco quanta allergia abbia a sentir parlare da Berlusconi di centro-destra e di ritorno all’ovile. Lui magari fa bene a giocare così la sua partita. Ma noi, cittadini italiani, non ce la facciamo più ad avere tra i piedi questa compagnia di giro tardo-grillina.
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Galloni a Draghi: i minibot non sono né valuta né debito
Dobbiamo allinearci alle posizioni della Germania per quanto riguarda il funzionamento del sistema bancario. Cioè: le piccole banche devono poter prestare denaro (e quindi creare credito, moneta, liquidità) senza bloccarsi davanti al rating dei parametri di Basilea, che impediscono alle banche stesse di fare quest’operazione. In Germania le piccole banche sono sollevate da quest’obbligo, e quindi la Germania ha anche questa via d’uscita. Non solo: la Germania mantiene la gestione previdenziale fuori dal bilancio dello Stato, così come la spesa pubblica dei Lander. Queste tre circostanze – piccole banche, pensioni e spese delle Regioni – fanno sì che la Germania possa respirare. Anche la Francia respira, ma a scapito degli africani, perché stampa (emette, immette) il franco Cfa: una moneta che è anche una valuta, visto che circola fuori dalla Francia e non è quindi un circuito solo nazionale. Uno potrebbe dire: non viola l’articolo 128 del Trattato di Lisbona, perché la Francia costituisce con le sue ex colonie un circuito chiuso, nell’ambito del quale viene accettato questo mezzo di pagamento (che non va in Germania, né in Italia o in Olanda), e quindi è rispettoso. Ma se è rispettoso il franco Cfa, allora a maggior ragione dovrebbero esserlo i minibot: perché se fossero illegali i minibot, allora il franco Cfa sarebbe “illegalissimo”.
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Tasse, sicurezza, migranti: il sovranismo non è passeggero
Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.Dall’altro versante ritorna in campo la sinistra con posizioni esattamente opposte ai sovranisti in tema di Europa e di migranti, di bioetica e di sicurezza, di economia e di sovranità. È una forza di netta minoranza, che oscilla tra il 22 e il 28 per cento, se si considera l’intero versante sinistro, inclusa la Bonino, pur con forti insediamenti in alcune città e una vasta ramificazione nei gangli vitali della società e nelle élite: nella scuola e nella cultura, nella magistratura e nella stampa. Sul piano elettorale non è stata particolarmente significativa la rimonta elettorale del Pd. Essere all’opposizione di un governo diviso su tutto e attaccato massicciamente, agitare i mostri del passato, il nazismo e il razzismo, avere dalla propria parte i media e i poteri europei, vedere decomporsi il Movimento 5 Stelle, e vedere crescere “la destra” a un livello che non c’è mai stato, non mi pare un gran risultato per la sinistra. La polarizzazione intorno a Salvini avrebbe dovuto farla crescere molto di più. Ma al di là della contabilità elettorale, il Pd rappresenta un’area, un mondo, una posizione antagonista rispetto al fronte sovranista. Qual è il nemico ideologico del sovranismo? Sul piano negativo è l’antifascismo, sul piano “positivo” è l’ideologia dell’accoglienza. La sinistra in Italia oggi è attestata nella versione secolare del bergoglismo.Non trovano spazio e ruolo, invece, le forze che si pongono al di fuori di questa polarizzazione, dal centrifugo Movimento 5 Stelle al centrista ondivago Forza Italia. Il Movimento 5 Stelle ha funzionato come collettore del dissenso e raccoglitore dei malesseri e dei rancori popolari, ma non funziona come forza di governo e come catalizzatore di opinioni e programmi; non si inserisce con un suo orientamento sui temi decisivi del nostro presente. I grillini sono inconsistenti sul piano dei contenuti e perciò sono alleati con una forza che reputano di destra ma, per differenziarsi, si conformano al trend della sinistra. Lo schema vecchio-nuovo e sistema-antisistema funziona finché non sei al governo. Da parte sua, Berlusconi si è battuto come un leone ma ha confermato il suo declino; del resto non si può puntare su una ristampa anastatica di se stesso, in versione plastificata, e fingere di essere ancora al centro dell’universo, strizzando l’occhio ora al versante populista ora al versante opposto. Fino a ieri si poneva come garante dei sovranisti, oggi come argine contro i medesimi e si apre alla grosse koalition con la sinistra europea. E poi si chiede perché Salvini e Meloni (e tanti elettori) non si fidano di lui…I sovranisti sono cresciuti in mezza Europa, sono primo partito in Francia, in Inghilterra, in Ungheria, in Polonia e in Italia. Ma, come prevedevamo, saranno pure più influenti ma gli assetti europei di potere in sostanza non cambieranno, si estenderanno solo le alleanze. Dunque non ci sarà alcun terremoto a livello europeo. E in Italia? Anche qui non si prevedono terremoti politici ma scosse di assestamento, secondo quando annunciato dagli stessi protagonisti, a cominciare da Salvini. Il baricentro del governo passerà dai grillini ai leghisti e vedremo se questo sarà concretamente praticabile e se potrà perdurare. Non si intravede, per ora, una svolta come quella auspicata dalla Meloni. Accadrà solo se i 5 Stelle sceglieranno la via dell’opposizione, giubilando Di Maio. Insomma, il test europeo colpisce ma non stravolge gli assetti presenti né in Europa né in Italia.Cosa impedisce allora di ritenere che il grande successo della Lega sia passeggero, come è già accaduto in passato ad altri trionfatori delle elezioni europee? Una considerazione: l’onda sovranista tocca temi non passeggeri ma strutturali, destinati a durare nel tempo. E il sovranismo nostrano si collega a un quadro mondiale che va da Trump a Orban, passando per Marine Le Pen e tanti altri leader nazional-populisti vincenti nel mondo, dall’India al Brasile. Dunque saranno pure variabili gli umori dell’elettorato e saranno pure passeggeri i trionfi dei leader, come mostrano le parabole di Renzi, Di Maio, ecc.; ma quei temi, quegli orientamenti, quegli schieramenti delineati indicano tendenze marcate, destinate a durare. Il bipolarismo è rinato nella società civile prima che nella politica, e guai a chi finge di non vederlo. Si vedrà se i leader e le forze in campo saranno all’altezza di rappresentarlo oppure no.(Marcello Veneziani, “Il sovranismo non è un fenomeno passeggero”, da “La Verità” del 29 maggio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Vi siete ripresi dall’overdose di video e di commenti, di analisi, tabelle e dichiarazioni? Proviamo a cambiare prospettiva, dopo una piccola notazione preventiva. Sono vistosi i vincitori, Salvini e Meloni, ma chi sono gli sconfitti, oltre i 5 Stelle? Direi soprattutto tre competitori extrapolitici: i magistrati in campagna elettorale, i media compatti contro Salvini e il bergoglismo da asporto. Le vittorie simboliche della Lega a Lampedusa, Riace e Capalbio lo sanciscono. Ma lasciamo stare i trionfanti, i crescenti, i caduti, i declinanti. Lasciamo stare gli eletti e i trombati, i nomi e i partiti, le analisi dei flussi e dei riflussi. Proviamo a salire di un piano, ponendoci sul piano degli orientamenti di fondo e chiedendoci non chi ha vinto ma cosa ha vinto. Come è cambiato il quadro politico e culturale? Si è delineata una grande, sostanziale divaricazione: emerge, come avevamo previsto, un bipolarismo di contenuti tra gli eredi della sinistra e gli eredi della destra. Da una parte è cresciuto un fronte che supera il 40 per cento dei consensi e che si definisce sovranista: rappresenta i temi della sicurezza, lo stop ai flussi migratori, la tutela della famiglia, la rivoluzione fiscale e le opere pubbliche, la difesa dei confini, della sovranità politica, popolare e nazionale.
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Da Bossi in poi, i “guerrieri” li sceglie il potere. E li votiamo
La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.In cosa consiste il progetto della sovragestione? Partiamo dall’89, anche se la storia inizia molto, molto prima. Dopo il crollo del Muro di Berlino lo scenario geopolitico internazionale è mutato e il network dei poteri forti ha favorito ufficialmente, e non più sottotraccia, il vento delle nuove destre, ora tecnofinanziarie, ora populiste, ora di centrodestra, ora di centrosinistra, trasversali e apolidi. In Italia Tangentopoli è stato lo spartiacque tra il vecchio sistema oramai in putrefazione e la nuova classe dirigente, è stata l’occasione di aggiornare il sistema in termini dispotici, seguendo un paradigma liberista neocon, neo-aristocratico, di austerity, di svuotamento dell’apparato statale, di destrutturazione dello Stato Sociale, di impoverimento progressivo delle classi sociali; modello perseguito da tutto l’arco politico costituzionale, trasversalmente e senza distinzioni degne di nota. La Sovragestione del progetto di quella che sarebbe diventata la cosiddetta 2° Repubblica nasce molto prima, già prevista alcuni decenni fa; ed era facile previsione, perché dopo 20 anni di future austerity e di politiche economiche anti-statali, anti-sovraniste, di impoverimento del ceto medio, gli elettori si sarebbero naturalmente spostati negli anni verso contenitori populisti.E infatti, e per tempo, è corsa ai ripari, plasmando fin da subito negli anni ‘80 una forza che sarebbe cresciuta negli anni a venire: la Lega Nord, “pensata” dall’ideologo Miglio in contrapposizione proprio a quello statalismo italico, nata come formazione secessionista, anticipando su scala nazionale quell’Europa su due livelli, oggi cruda realtà, quindi cresciuta in un’ottica ed in una visione anti-sovranista, anti-statale e filogermanica. Quello fu il primo baluardo, il primo virus introdotto nel corpo morente italico. Contemporaneamente, fu la volta di Berlusconi che è stato il primo vero populista vincente e aggiornatore del palinsesto culturale, mentre il Pd si occupò della svendita del Belpaese e di inseguire anch’esso politiche liberiste neocon; fino alla creazione dei 5 Stelle, nati come contenitore moderno e di passaggio del dissenso popolare, oggi in crisi e forse al termine di un percorso che li ha visti utili idioti di una Sovragestione che li ha strumentalizzati, utilizzati e poi scaricati.Trent’anni di malapolitica imposta dalla Sovragestione hanno quindi favorito la pancia e la rabbia dell’elettorato che, anche a suon di propaganda divisoria, basata sulla paura e sull’odio, ha premiato oggi partiti come Lega e Fdi. Nessuna sorpresa, è andato tutto come doveva andare, in maniera assolutamente naturale e pacifica, senza alcuna sbavatura. Prossimo passo sarà quello di alzare finalmente l’asticella del consentito, ovvero l’affermazione sempre più ampia delle nuove destre in Europa e in tutti gli Stati che la compongono, diventando la longa manus di quella Sovragestione che da decenni manovra e favorisce mutazioni genetiche, per implementare politiche repressive, avviare la militarizzazione del territorio e aggiornare il sistema proprio in direzione di quell’Ordine Mondiale globalista che alcuni, forse, si sono scordati esista.Il centrosinistra e il centrodestra sono stati utilizzati in questi anni per implementare politiche liberiste e cambiare i connotati culturali, economici e sociali del paese; oggi il macro-potere della Sovragestione conclude il progetto proprio attraverso gli apparenti nemici di sempre, in realtà le sue inconsapevoli sentinelle, oggi preposte ad aggiornare lo stesso sistema di ieri e a renderlo sempre più elitario, sofisticato e potente. E’ la coda che si ricongiunge con la bocca della serpe, i contenitori del dissenso finto-rivoluzionari creati dalla testa per sostituirla e rendere eterno lo schema del potere. Un po’ come tirare una pietra dalla cima di un monte e lasciare che essa crei l’effetto domino della valanga; così funziona la Sovragestione…(Simone Galgano, “Le affinità elettive della sovragestione”, dal blog “Maestro di Dietrologia” del 27 maggio 2019).La vittoria elettorale delle nuove destre è la logica conseguenza di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 30 anni anni, in primis per colpa delle sinistre che hanno lasciato un vuoto abissale, abdicando a quello che sarebbe dovuto essere il loro scopo primario, e per logica conseguenza di uno schema del potere, pensato ed attuato perché cambiasse la società in termini reazionari, sia culturalmente che socialmente. Il progetto procede per gradi, dopo aver attraversato diverse stagioni dagli anni ‘70 ad oggi, passando per la strategia della tensione, attraverso il progetto atlantista piduista di spostamento a destra dell’asse politico-culturale ed economico-sociale, attraverso il Patto Stato-Mafia, dopo il divorzio tra Banca d’Italia e ministero del Tesoro, con tutte le nefaste conseguenze politico-economiche che hanno costituito l’attuale stato delle cose, siamo arrivati a percepire ed intravedere le nudità del Re. Così abbiamo abbaiato, ci siamo incazzati e abbiamo desiderato nuovi condottieri che ci portassero via da questo inferno in terra. Non potevamo sapere che i nuovi salvatori della patria e i loro contenitori del dissenso erano stati pensati e progettati proprio dagli stessi poteri forti che pensavamo ingenuamente di combattere.
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Salvini nella ruota del criceto: si agita, ma non otterrà nulla
Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue. Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politica e media italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».Al contrario, la struttura politica, ideologica ed economica europeista – pur perdendo la storica “maggioranza” popolari-socialdemocratici – si è rafforzata, «e questo mette fine ad ogni velleità di Salvini di negoziare alcunchè». Bruxelles, aggiunge Cararo, starebbe infatti considerando di proporre per l’Italia una procedura di infrazione già il prossimo 5 giugno per “debito eccessivo”. «E poi c’è la manovra finanziaria “lacrime e sangue” da decine di miliardi che si tradurrà nella Legge di Stabilità da varare in autunno». Infine i grandi gruppi multinazionali, come Fca e Renault, daranno vita al maggiore produttore dell’automotive, «materializzando uno di quei “campioni europei” evocati nel recente Trattato di Aquisgrana». Sulle eventuali “rodomontate” propagandistiche di Salvini, continua “Contropiano”, pesano da un lato la minaccia dello spread (quello che tolse di mezzo Berlusconi, e che sta già risalendo) e dall’altro gli interessi del “Partito Trasversale del Pil” che, soprattutto tra gli elettori di Salvini nel Nord, «è pronto a tirare per le orecchie il ragazzo se dovesse mettere a rischio l’economia».Insomma, «si ha la netta impressione che Salvini sia come un criceto sulla ruota, ma dentro la gabbia». Ha e dà la sensazione di muoversi, e se avvicini un dito «può dare morsi anche dolorosi (soprattutto sul piano repressivo)», ma sostanzialmente «resta fermo nello stesso punto e chiuso dalla gabbia su ogni lato». Il capo della Lega «ha riportato a casa una parte dei consensi del blocco di destra, con una media tra il 2008 e il 2013 (ma con ben tre milioni di voti in meno rispetto a quell’anno)», includendo in questo blocco anche i voti di Berlusconi, che oggi però «appare più “intrigato” dal blocco europeista che dagli ululati di Salvini e della Meloni». Per Cararo, si tratta di «una sostanziale partita di giro tutta all’interno del blocco reazionario consolidato da decenni e di cui una parte, per un periodo, ha provato ad saggiare l’ipotesi del M5S». Ma, con un bagno di sano realismo, è indispensabile tener conto dell’astensionismo – un oceano: quasi il 44% – che di fatto «dimezza anche le sensazioni stimolate dalle sole percentuali».“Contropiano”, blog vicino a “Potere al Popolo”, fornisce «una diagnosi definitiva sull’inutilità e l’inesistenza della cosiddetta “sinistra”». Osserva Cararo: «Chiunque abbia la lucidità e la tenacia di misurarsi sul terreno della ricostruzione di una ipotesi di classe, ormai sa che tale fattore e il contesto politico-culturale in cui è sopravvissuto non possono che scomparire dal ventaglio di ipotesi da prendere in esame». Sempre secondo Cararo, è l’austerità “europeista” a produrre la destra e ad alimentarla. «E l’impossibilità per chiunque di mettere in campo politiche che migliorino le condizioni di vita delle classi popolari – anzi: l’obbligo feroce a peggiorarle – rende il gioco politico sterile e impotente». Ma in questa impotenza, «le uniche “soluzioni” che diventano possibili sono quelle a “costo zero”», ossia «quelle repressive, che cercano il consenso indicando un nemico di comodo su cui scaricare rabbia e frustrazioni create da altri». Aggiunge Cararo: «E’ l’incubo della scarsità che scatena la caccia a qualcun altro, per ridurre i posti intorno a una tavola sempre più povera».Salvini è in gabbia: si agita come un criceto nella sua ruotina, ma non può evadere dalle sbarre Ue. Lo afferma “Contropiano”, in un editoriale di Sergio Cararo che analizza l’esito profondo del voto europeo. Politica e media italiani celebrano la vittoria di Salvini, che però «si è venuto a trovare in una situazione in cui, qualsiasi cosa farà, si troverà in mezzo a rogne rilevanti». In primo luogo, l’assalto “sovranista” all’architettura europea è fallito. «In Francia la vittoria della Le Pen è stata di strettissima misura e del tutto insufficiente a un cambio dei rapporti di forza. Orban in Ungheria si è ormai allineato e coperto al Partito Popolare, e comunque il suo paese “pesa” poco». Per contro, a sinistra «c’è stato un sostanziale allineamento alla visione dominante, tanto che in Italia e Spagna gli elettori hanno preferito gli originali (dal Pd al Partito socialista spagnolo) alle alternative tiepide». E in Grecia, “Syriza” cede il primo posto ai conservatori di Nuova Democrazia. «Le forze della sinistra popolare più antagoniste al sistema, come la francese “La France Insoumise”, «non hanno capitalizzato il ciclo di conflitto sociale aperto dai Gilets Jaunes».