Archivio del Tag ‘guerriglia’
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Monika, figlia di nazisti, riuscì a vendicare Che Guevara
Amburgo, Germania, ore 9.40 del 1° aprile 1971. Una bella donna elegante, dagli occhi azzurri, entra nell’ufficio del console della Bolivia, al quale ha chiesto un incontro qualche giorno prima, e attende pazientemente di essere ricevuta. Quando entra nell’ufficio nel suo abito scuro, il console Roberto Quintanilla Pereira resta folgorato dalla bellezza dell’ospite “australiana”, che nell’attesa sta osservando i quadri appesi alle pareti. La ragazza lo fissa negli occhi, poi estrae un revolver e gli spara. Tre colpi a freddo, tutti a segno. Nessuna resistenza, nessuna lotta. Nella fuga, la donna si lascia alle spalle una parrucca, la sua borsa, la sua Colt Cobra 38 Special. E un foglio, sul quale si legge: “Victoria o muerte. Eln”. Il console a terra privo di vita è l’ex colonnello responsabile, meno di quattro anni prima, dell’ultimo oltraggio a Ernesto “Che” Guevara: gli amputò le mani, dopo averlo fatto fucilare a La Higuera il 9 ottobre 1967.
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L’inferno neoliberale: la peggior colpa del genocida Videla
Jorge Rafael Videla, il dittatore argentino dei 30.000 desaparecidos, muore in carcere da sconfitto, da ergastolano, da genocida. Come ha detto Estela Carlotto, la leader delle nonne di Plaza de Mayo, «era un uomo disumanizzato» ed è fin troppo semplice applicare a lui la categoria arendtiana di “banalità del male” di chi mise metodicamente in atto un sistematico piano genocidiario, tendente al sequestro di persona di massa, al furto di ogni bene mobile e immobile delle sue vittime, all’assassinio e alla sparizione di persone. Lasciò i figli senza genitori e i genitori senza figli. Ciò succede in molte guerre di sterminio, ma a Videla e ai suoi non bastava. Perciò, peculiarità creola dell’orrore, volle che i morti restassero senza nome, i desaparecidos, e i vivi – i figli di questi, spesso appena neonati – restassero senza identità. Le puerpere venivano lasciate in vita solo fino al parto e centinaia di bambini furono smistati a caso «per salvare la società occidentale e cristiana».
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Siamo già in guerra, ma speriamo tocchi prima a loro
C’è una guerra in atto. Terroristi in giacca e cravatta fanno annunci, programmano azioni di carta e mietono vittime. Barclays, Deutsche Bank e Jp Morgan hanno investito massicciamente nel settore delle commodities agricole, negli ultimi anni, per sfidare Goldamn Sachs e Morgan Stanley: queste cinque banche controllano il 70% degli scambi sui prodotti agricoli in tutto il mondo. Dall’oggi al domani, questi terroristi da 800.000 dollari l’anno possono decidere di mandare a puttane 40 milioni di persone in un botto solo, e l’hanno già fatto alltre volte. Milioni di persone, nei paesi poveri, vedono il prezzo dei prodotti alimentari salire alle stelle, e si trovano in crisi senza neanche sapere perché. E la loro crisi non è come la nostra – dove devi rinunciare all’iphone-8 e accontentarti dell’iphone-7 per mandare sms con scritto “viva la mona” – no, la loro crisi è diversa: è che, da un giorno all’altro, non sai se mangerai oppure no.
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Lupi farà la guardia ai cantieri Tav, alla faccia della crisi
Il superministero di Corrado Passera non c’è più. Forse per esigenze di spartizione, forse per presa d’atto dei fallimentari risultati del banchiere prestato alla politica, Enrico Letta torna all’antico, separando sviluppo economico da infrastrutture e trasporti. Sul primo spezzone chiama il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, bersaniano per fede politica e anche per riconosciuto pragmatismo. Sul secondo lascia accomodare Maurizio Lupi, 53 anni, uomo di Cl, da sempre vicinissimo a Roberto Formigoni e alla Compagnia delle Opere. La nomina di Lupi caratterizza il governo Letta in modo netto: chiude la strada a ogni ripensamento sulla politica delle grandi opere. L’ex assessore milanese è sempre stato schieratissimo in favore di ogni iniziativa che abbia un significativo contenuto di cemento. Il Tav prima di tutto, ma anche il ponte sullo Stretto di Messina, il Mose di Venezia, strade e autostrade e via elencando.
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Pd, le tessere stracciate e l’attacco al cuore dello Stato
Vent’anni di guerriglia verbale con Berlusconi, per poi andarci a nozze definitivamente, all’ombra del Quirinale, contro la volontà della stragrande maggioranza del paese e persino dei propri iscritti, esasperati dalla protervia marmorea di una nomenklatura grottesca. Nella inquietante “notte della Repubblica” che si spalanca sull’incerto 2013, brilla il bagliore – non scontato – dei roghi delle tessere del Pd, il “popolo delle primarie” che sembra aver finalmente capito di esser stato ferocemente preso in giro: a personaggi come Bersani, Letta, Bindi, Violante, D’Alema e Finocchiaro non è mai passata nemmeno per l’anticamera del cervello l’ipotesi di un vero cambiamento. Se l’antiberlusconismo tanto sbandierato era solo un collante di comodo, fragile e insincero, ora è scaduto anche quello. Così si comprende meglio l’irruzione sulla scena di Beppe Grillo, come sostiene Giovanni Minoli: «Grillo ha fatto un miracolo democratico, ha evitato una guerra civile».
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Afghanistan, sotto la Nato l’eroina è aumentata di 40 volte
Via dall’Afghanistan, la più infame delle guerre. Lo chiedono i grillini in Parlamento, invocando il ritiro immediato delle nostre truppe. «A Kabul spendiamo circa 800 milioni l’anno, ma probabilmente i soldi sono molti di più, perché dubito che vengano registrati quelli che diamo ai talebani perché non ci attacchino», polemizza Massimo Fini. «Con un miliardo non si risana un’economia, però qualche problemino potrebbe essere risolto, poniamo quello degli esodati». Strana guerra, ufficialmente nata per cacciare i talebani, armati dallo stesso Occidente per sfrattare l’Armata Rossa, mentre Osama Bin Laden «se ne stava al calduccio nella sua villa pakistana premurosamente assistito dai servizi segreti di Islamabad». Se il terrorismo fu l’alibi dell’invasione, la parola-chiave in Afghanistan è un’altra: droga. Da quando al posto dei “cattivi” talebani ci sono i soldati Nato, la produzione di eroina è aumentata di 40 volte.
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Berezovsky, il padrino che inventò la guerra in Cecenia
«Cosa penso della guerra in Cecenia? Quello che so è che un bel giorno ho scoperto che i miei vicini di ombrellone, in Costa Azzurra, erano famosi comandanti della cosiddetta resistenza cecena». Così Mikhail Gorbaciov nel corso di un’intervista, a Torino, in occasione del World Political Forum del 2003, presente anche Benazir Bhutto (poi assassinata in un attentato), pronta a denunciare come “terrorista” l’allora presidente del Pakistan, Pervez Musharraf, alleato di Bush: «Non credete a quello che vi raccontano, Musharraf è un dittatore e il network che chiamate Al-Qaeda non si sarebbe mai radicato in Afghanistan senza l’appoggio dell’Isi, il servizio segreto militare pachistano, addestrato dalla Cia». Fiabe tragiche, come quella sull’origine del conflitto ceceno: non una rivolta popolare separatista, ma una secessione artificiale organizzata proprio da Mosca. Per la precisione, dall’allora onnipotente Boris Berezovsky.
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Papa Francesco I, il gesuita temuto dai desaparecidos
Già all’indomani del conclave che elesse Ratzinger, Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, tra i più votati anche allora, venne accusato di collusione con la dittatura argentina che sterminò novemila persone. Le prove del ruolo giocato da Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro “L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina”, del giornalista argentino Horacio Verbitsky. Stella Spinelli, su “Peacereporter”, ne scrisse già all’epoca. Nei primi anni ’70, Bergoglio, 36 anni, gesuita, divenne il più giovane “superiore provinciale” della Compagnia di Gesù in Argentina. Nel febbraio del ‘76, un mese prima del colpo di Stato, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Erano Orlando Yorio e Francisco Jalics, che si rifiutarono di andarsene. Verbitsky racconta come Bergoglio reagì con due provvedimenti immediati: li escluse dalla Compagnia di Gesù senza nemmeno informarli, poi fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a dir messa. Pochi giorni dopo il golpe, furono rapiti.
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Squadroni della morte targati Usa, dal Salvador alla Siria
Macellai nazisti, con un solo compito: uccidere in massa, torturare, seminare il terrore. Ieri in America Latina, per stroncare la resistenza democratica in Salvador e la rivoluzione sandinista in Nicaragua, e oggi in Medio Oriente, per demolire la Siria come nazione dopo aver annientato l’Iraq. Cambia solo la manovalanza: soldati e miliziani sudamericani, oppure fanatici di Al-Qaeda, tagliagole reclutati nelle monarchie del Golfo e mercenari al soldo di agenzie controllate dal Pentagono. Identica la regia, targata Washington. Sempre la stessa persino la catena di comando: che risale al famigerato team collaudato dall’ex ambasciatore John Negroponte, l’inventore degli “squadroni della morte” che sterminarono migliaia di persone e assassinarono Oscar Romero, arcivescovo di El Salvador. Rivelazioni inquietanti: anche in Iraq e in Siria hanno operato i killer coordinati dalla “squadra” di Negroponte e del suo “allievo”, l’ambasciatore Robert Stephen Ford.
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Petrolio, gas e uranio: la Guerra Infinita ora trasloca in Mali
Tripoli e Gaza, Damasco e Kabul, Baghdad e Mogadiscio. Missili, droni e petroliere che salpano con scorta militare, per paura dei pirati. Ricchi contro poveri, secondo un copione sempre più confuso: la secessione filo-occidentale del Sud-Sudan petrolifero appena infrastrutturato dalla Cina e il rapido congelamento della “primavera araba”. Eliminato Gheddafi, ora tocca al Mali, il “nuovo Afghanistan”, raccontato come ultimo terreno di lotta scelto dal radicalismo islamico per battersi contro l’Occidente. Non è solo quello, avverte Ennio Remondino: al contrario dell’Afghanistan, il Mali custodisce immense riserve di petrolio e gas algerino, accanto a nuovi giacimenti scoperti in Niger e in Mauritania. Inoltre, il Mali confina con le maggiori riserve mondiali di uranio, ed è al centro delle rotte europee dei clandestini e della droga. Dall’aprile 2012, “Al Qaeda nel Maghreb islamico” (Aqim) controlla questo territorio: e da lì può influire sulla trasformazione radicale delle rivolte nei paesi arabi.
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Classifica-horror: ecco le 10 multinazionali più pericolose
Il costume di Babbo Natale è rosso, ma non da sempre: il conducente di renne più famoso del pianeta smise la tradizionale casacca verde precisamente nel 1931, anno in cui lo “rivestì” del colore aziendale nientemeno che la CocaCola. Lo rivela “Ecosas.com”, in una vera e propria galleria degli orrori firmati dalle “dieci multinazionali più pericolose del mondo”, architrave economica della globalizzazione del pianeta realizzata a spese dei poveri della Terra e poi ovviamente anche degli ignari consumatori. Storie quotidiane, regolarmente ignorate dai media, in cui la realtà supera di gran lunga la più perversa fantasia. Come nel caso del colosso petrolifero Chevron, già Texaco, accusato di aver riversato 18 miliardi di galloni di acqua tossica nei boschi tropicali dell’Ecuador, distruggendo i mezzi di sussistenza degli agricoltori locali e facendo ammalare le popolazioni indigene.
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Uruguay, il presidente dona il suo stipendio ai poveri
Rinuncia ad agi e lusso e diventa il presidente più povero del mondo. È l’uruguaiano Jose Mujica, che ha scelto di donare ai poveri il 90% del suo stipendio statale e di far dormire nella dimora presidenziale i senzatetto. Per contro, con uno stipendio di 775 dollari al mese, lui vive in campagna, dove coltiva l’orto, e conduce una vita semplice e spartana con sua moglie, la senatrice Lucía Topolansky, e i suoi cani. Nessuna auto blu, né fiumi di denaro. Il presidente dell’Uruguay lavora la terra, raccoglie l’acqua da un pozzo e stende personalmente i suoi panni lavati sui fili appesi nel giardino. Quando militava tra i Tupamaros, un’organizzazione radicale marxista ispirata alla Revolución cubana, che rapinava le banche per poi distribuire cibo e denaro ai poveri di Montevideo, il suo nome di battaglia era “Pepe”.