Archivio del Tag ‘guerra’
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Il sud del mondo rivuole quel che gli abbiamo rubato
Rivoluzione democratica del mondo arabo? Per favore, chiamiamo le cose col loro nome: non è che i maghrebini e i mediorientali vogliano “finalmente” anche per sé la “nostra” magnifica democrazia liberale; svegliati da Internet e dalla tv satellitare, che rivela i nostri standard di vita, ora pretendono semplicemente che le loro vaste ricchezze siano resitituite e condivise, sottratte all’indegna custodia di dittature e satrapie che hanno finora sequestrato e derubato interi popoli per spartire il bottino petrolifero tra pochi intimi, a tutto vantaggio del business privilegiato occidentale. Restituzione del maltolto: questa la chiave del terremoto in corso, secondo lo storico Franco Cardini. Terremoto che parte dal Maghreb ma potrebbe coinvolgere l’intera Africa.
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Dalla Libia il rischio di una nuova guerra planetaria
Parto dalle rivolte arabe per mettere sul tappeto un problema più generale. Per quanto riguarda il mondo arabo ritengo che siamo di fronte a cose molto diverse. In Egitto e Tunisia c’è il tentativo imperialista (Usa) e subimperialista (Ue) di mantenere il controllo della situazione cavalcando e indirizzando le rivolte popolari verso esiti rassicuranti e per certi versi preventivati, ovvero cambi delle guardia indolori, basandosi sui militari. Non è per nulla detto che la cosa funzioni, ma se anche il movimento popolare non dovesse fermarsi qui, si deve dotare di una direzione e di un’organizzazione, altrimenti saranno guai. Non siamo noi a doverlo insegnare a nessuno: qui è la Storia che dà lezioni a tutti.
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Guerra contro Gheddafi: più vicino l’intervento della Nato
Armare i ribelli e impedire a Gheddafi di alzare in volo aerei ed elicotteri. Si fa sempre più concreta l’ipotesi di un intervento armato della Nato per scongiurare un disastro umanitario in Libia. Dopo il summit del 28 febbraio a Ginevra i membri dell’Alleanza atlantica stanno valutando diverse opzioni di intervento, compresa la creazione di una “no-fly zone”. Per quanto riguarda gli scenari futuri, gli Usa non escludono “l’esilio” del Colonnello, un’ipotesi questa su cui il premier italiano Berlusconi invita alla cautela. Per il momento però la controffensiva delle forze fedeli al dittatore libico ha impedito ai rivoltosi di raggiungere Tripoli ed espugnare la roccaforte del regime.
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Il mondo brucia, l’America vacilla: si prepara una guerra?
Signori, sveglia: nessuno ne parla, ma il pericolo non è mai stato così vicino. Ha un nome antico e, purtroppo, senza tempo: è la guerra, il conflitto planetario, l’incubo che il mondo si ostina a rimuovere dalla propria narrazione quotidiana. Eppure: se la Cina continua a crescere in modo impressionante, e l’Occidente non accenna a voler ridurre i propri smodati consumi, nel giro di pochissimi anni la torta sarà impossibile da spartire. E visto che la potenza militare americana è super-indebitata, il pericolo cresce: qualcuno – i soliti banchieri che governano l’economia mondiale? – potrebbe spingere verso una drastica soluzione finale, ancora una volta militare, per azzerare il debito e conquistare l’accesso alle risorse strategiche.
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Più mercenari che soldati: cresce l’esercito fantasma
E’ un esercito fantasma, con il compito peggiore: fare il lavoro sporco, quello di cui i generali non si assumono la responsabilità. Ma è un’armata imponente: il numero delle unità operative impegnate in battaglia ormai supera addirittura quello dei soldati in uniforme. E’ la guerra-ombra dei mercenari, che oggi si chiamano “contractor”. Sono decine di migliaia, combattono e muoiono. Una vera ecatombe: almeno duemila i caduti, nelle guerre “americane” in Iraq e in Afghanistan. Lo rivela la rivista statunitense “Service Contractor”, che chiede che sia reso pubblico – e quindi riconosciuto – l’oscuro “sacrificio” dei soldati-fantasma che combattono nell’anonimato, a fianco delle truppe regolari.
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Gaza, martirio infinito: condannati a morire di cancro
Dopo il terrore e la strage, con le bombe al fosforo bianco lanciate in mezzo alle case fino a sterminare 1.300 persone, come ammesso dal Rapporto Goldstone delle Nazioni Unite, verrà l’ora della morte lenta: quella provocata dai tumori che minacciano la popolazione costretta a bere acqua inquinata dagli agenti tossici, eredità velenosa dell’Operazione Piombo Fuso scatenata dalle forze israeliane a cavallo tra 2008 e 2009. Una vera emergenza sanitaria incombe ora sul milione e 400.000 abitanti che vivono in condizioni quasi disperate nei 360 chilometri quadrati della Striscia di Gaza, stretta fra Israele, Egitto e Mediterraneo. La denuncia parte da Roma: a parlare sono le analisi inquietanti effettuate dal Cnr e dall’università La Sapienza.
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Via Mubarak, incognita Mediterraneo: l’ora della Turchia
Dopo la Tunisia, l’Egitto: e adesso trema l’Algeria insieme allo Yemen, mentre anche il Marocco scende in piazza a festeggiare la caduta di Mubarak insieme alle folle libanesi, giordane e palestinesi. Si sgretola la geografia post-coloniale di Nord Africa e Medio Oriente, congelata per cinquant’anni: da una parte le autocrazie petrolifere arabe commissariate dagli Usa, dall’altra la supremazia militare di Israele nella regione. Unica forza estranea al composito quadro che ora va disgregandosi, la potenza iraniana dell’Islam sciita: a sua volta destabilizzata dalle recenti pulsioni democratiche represse nel sangue, la Persia di Ahmadinejad tenta di attribuirsi meriti per la svolta egiziana, festeggiandola con Hamas a Gaza ed Hezbollah in Libano, mentre sale il prestigio del possibile stato-guida di domani, la Turchia.
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Siamo pecore, non osiamo reagire alla Casta feudale
Il benessere ci ha fatto male: il quattrino, lo status symbol, tutte queste cose si sono generalizzate perché non ci sono più quei valori che io chiamo pre-politici e che non riguardano né questo né quel partito ma riguardano l’uomo in quanto tale. Noi ci siamo tremendamente involgariti su tutti i piani, anche su questo. Cominciò Craxi al processo Cusani quando disse che nessuno poteva dirsi innocente? Questo è il vecchio trucco di “tutti colpevoli, nessun colpevole” con cui Craxi tenta di salvarsi. Ed è senz’altro vero che gruppi finanziari molto forti non erano sottoposti a ricatto, ma non c’era appalto senza tangente politica, e questo riguardava anche piccoli e medi imprenditori che certamente non incutevano timore a nessuno ma erano concussi.
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Obama, l’Egitto e la dura legge imposta da Israele
Hosni Mubarak è un signore di 82 anni. Le manifestazioni di questi giorni hanno dimostrato, poi, quanto il popolo egiziano lo ama. Facendo queste due semplici considerazioni, ieri sera il presidente degli Stati Uniti ha fatto un discorso in cui ingiunge, con fare piuttosto autoritario, a Hosni Mubarak a fare delle “riforme” e a “dialogare” con il popolo. Questo non vuol dire mandare via Hosni Mubarak dopo 30 anni di fedele servizio; ma è una bella bacchettata a un impiegato che non ha saputo fare il suo mestiere. Così, quando Hosni Mubarak se ne andrà, o in Arabia Saudita o direttamente in Paradiso, la colpa non sarà data agli Stati Uniti.
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La battaglia del Nilo assedia le dittature filo-occidentali
Decine di morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti, i palazzi del potere assediati e presi d’assalto, i carri armati per le vie del Cairo sotto il coprifuoco, il presidente Mubarak che nella notte destituisce il governo provando così a restare in sella, nonostante la marea popolare che il 28 gennaio ha scosso dalle fondamenta il suo regime, da cui ormai prende le distanze anche Barack Obama. «Se cade Mubarak cade il Nord Africa»: questo lo spirito con cui l’Occidente assiste sgomento all’inatteso spettacolo rivoluzionario di decine di migliaia di egiziani, coordinati da Internet e social network, scesi in piazza per reclamare pane e libertà contro il regime che da trent’anni governa con pugno di ferro il paese dei Faraoni schiacciando i diritti democratici del popolo.
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Padrone debole, vassalli morti: l’Impero sta franando
L’Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c’è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L’impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza – stia volando sull’intera area. Questa impressione potrebbe avere un’origine non immediatamente visibile, ma unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell’un tempo solida muraglia egemonica dell’Impero.
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Banche armate: ecco chi finanzia l’orrore della guerra
Il conflitto israelo-palestinese, le lotte tribali in Africa centrale, la guerra perpetua in Ossezia e in Cecenia, la ribellione delle Tigri Tamil in Sri Lanka e del popolo Karen in Birmania e ancora il Chiapas, Haiti, corno d’Africa, l’isola di Timor e tantissimi altri. Queste sono solo alcune delle guerre in essere all’alba del 2011. Sono molte decine e sarebbe impossibile analizzare una per una le ragioni e le modalità dei conflitti e comunque non è di questo che vogliamo parlare. Apparentemente si tratta di situazioni che tutti noi italiani, noi occidentali, sentiamo lontane.