Archivio del Tag ‘guerra’
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I nemici alle porte: l’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro
Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».La risposta, per lui è chiara: «Per questo l’Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte». Ragionare con i matti, in particolare con quelli paranoici, non è sempre facile, perché richiede che si applichi una regola di buon senso, che si può riassumere così: 1) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore fu colpevole di alcuni omicidi avvenuti nella Belle Epoque londinese, se ne può discutere; 2) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore lanciò la bomba atomica su Hiroshima, ho il diritto di esprimere i miei dubbi, senza per questo diventare necessariamente un difensore del personaggio. Quindi, premetto che la parte antirussa degli ucraini ha tanti validi motivi per non voler restare nella sfera di Mosca, e non ho particolari simpatie per l’attuale governo russo (e nemmeno per altri governi, se è per questo). Però constato che nessuno sta cercando di conquistare né l’Ucraina, né l’Occidente: c’è la parte di ucraini – diciamo un terzo della popolazione – che si sente russa che non ha intenzione di farsi sottomettere o cacciare dalla parte antirussa, e in questo godono del sostegno del governo russo.Il signor Ezio Occidente sappia quindi che i russi non vogliono far abbeverare i loro cavalli nella fontana di San Pietro, al massimo faranno abbeverare le loro Ferrari dai benzinai della Versilia. Per quanto riguarda l’Isis, non si tratta di una «parte del mondo» – come scrive Ezio Occidente – che ha come «nemico definitivo» l’Occidente. Si tratta piuttosto dell’ennesima tegola in testa agli iracheni, da quando hanno scoperto il petrolio da quelle parti. Mettere i fatti in ordine cronologico è istruttivo. A giugno l’Isis si è vantato di aver fucilato in un solo giorno tra 600 e 3.000 prigionieri iracheni (accusati di appartenere al “criminale esercito safavide”, un termine che mette insieme i concetti di sciita e di iraniano) catturati nell’ex-base statunitense di Camp Speicher. Tutto in video, ovviamente; e devo dire che è il video più terrificante che mi sia mai capitato di guardare. Lo so che ogni battaglia della Rivoluzione Messicana finiva con la fucilazione finale dei soldatini-contadini prigionieri; e più o meno lo stesso capitava durante tutti i grandi eventi del Novecento, però questa volta i media non hanno la scusa che non ci sono le immagini.Che cosa ne avrà pensato Ezio Occidente? Vado su Google: Nessun risultato trovato per “camp speicher”, “ezio mauro”. Evidentemente i soldatini sciiti non fanno Occidente Minacciato. Per sostenere il governo che avevano installato in Iraq, e perché una nuova guerra ogni tanto ci vuole, gli Stati Uniti hanno in seguito bombardato alcune basi dell’Isis. Basi, ricordiamo, messe in piedi grazie alla lunga accondiscendenza del governo turco. Infatti, l’Isis è il nemico più agguerrito e capace del governo siriano, un governo da anni ormai sotto sanzioni e minacce di ogni sorta proprio da parte dell’Occidente: lo scorso giugno, Obama ha proposto di dare 500 milioni di dollari per addestrare e armare chi sta combattendo contro il governo siriano. Anche il governo siriano avrà le sue pecche, ma non ha certo mai minacciato l’Occidente. Solo dopo i bombardamenti statunitensi, è avvenuto il video-omicidio del giornalista Sotloff: il decapitatore ha spiegato chiaramente il messaggio: «Un’occasione per avvertire i governi che entrano in questa malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico: si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace». E, rivolto a Obama: «Fintanto che i tuoi missili continueranno a colpire il nostro popolo, i nostri coltelli continueranno a colpire il collo del tuo popolo». Non esiste, insomma, nessun pugnale puntato alla gola dell’Occidente.Non escludo che se l’aeronautica americana bombardasse di nuovo una città controllata dall’Isis, a qualche giovane esaltato potrebbe venire in mente di farsi saltare in aria in un supermercato di Parigi, e sarebbe una cosa sicuramente orribile. Ma il punto è che l’Occidente non salta per un supermercato che chiude (ne hanno chiuso uno dietro casa mia l’altro giorno, e ti assicuro che l’Occidente respira uguale). L’Occidente salterebbe, casomai, se non arrivasse più petrolio. Ma anche lì, non c’è da preoccuparsi. L’Isis, infatti, pare che viva del petrolio che riesce a vendere. Come tutto ciò che riguarda il Medio Oriente, sarà una cifra un po’ a caso, ma qualcuno calcola che l’Isis guadagni tre milioni di dollari al giorno grazie proprio al petrolio (e vendono pure l’energia elettrica prodotta dalla diga di Raqqa, che si sono ben guardati dal danneggiare).Passiamo a guardare la filosofia sottostante alla costruzione di Ezio Occidente. Lui che scrive e il lettore formano un “noi”, unito dal nemico che ci odia perché il nemico è intrinsecamente perverso: odia la libertà, la pace e probabilmente anche i bambini. Questa condivisione paranoica permette di spazzare sotto il tappeto tutto ciò che in realtà “ci” divide, a partire dal fatto che lui ha alle spalle Benetton – e io no, ad esempio. Il nemico viene ingigantito oltre ogni misura: stendiamo un velo pietoso sui disastrati villaggi polverosi da cui il Califfato emana i suoi video, sgozza i suoi sciiti e vende il suo petrolio. Ma anche il Pil di tutta la vasta Russia rimane inferiore a quello della nostra piccola Italia. La comunità paranoica non è mai dichiaratamente aggressiva: il suo motto è dobbiamo difenderci – dagli slavi, dagli sciiti, dagli ebrei, dagli arabi, dai cristiani, dai serbi, dai musulmani, dai neri che violentano le nostre donne, dagli Invasori di Lampedusa, dagli alieni di Zeta Reticuli… Il «bersaglio», scrive il direttore di Repubblica, «è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita».Una difesa da condurre, come scrive in tono sinistro il nostro (ricordiamo che sta parlando di un vertice della Nato, cioè della massima organizzazione armata del pianeta), «con ogni mezzo». Ma dietro le parole difensive, Ezio Occidente si lascia sfuggire un concetto interessante. Egli accusa infatti Putin di voler che si «fermi l’America, delimiti l’Europa». Nessuno osi delimitarci. Anzi, «la democrazia» (ricordiamo che per il nostro autore, i termini “Occidente”, “Ezio Mauro”, “democrazia” e “noi” sono tutti sinonimi perfettamente intercambiabili) ha un «carattere universale che può parlare a ogni latitudine». Che è all’incirca ciò che sostengono alcuni a proposito dell’Islam. I difensori paranoici non sono mai contenti. Lo scarto tra le loro fantasie di trionfo totale e la realtà la attribuiscono in genere a una caduta di morale.Il difensore paranoico vive sempre all’undicesima ora, in cui solo uno scossone potrà risvegliare la Fibra Morale; e quindi cerca avidamente i segni del declino e del pericolo, da agitare confusamente davanti a coloro che vorrebbe appunto risvegliare. E l’articolo di cui parliamo è pieno di preoccupazioni per i dubbi che pervadono un Occidente che invece dovrebbe pensare solo a combattere. Qui non ci piace giocare con la parola fascismo. Però nella sequenza filosofica che abbiamo esposto, credo che troverete la chiave per capire tante caratteristiche di movimenti che i media chiamano neofascisti. La differenza però è sempre quella del vecchio detto su chi rapina una banca e chi la fonda. Ezio Occidente non è Roberto Fiore perché Roberto Fiore non fa il direttore del principale quotidiano italiano.(Miguel Martinez, “L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro”, dal “Kelebekler Blog” del 6 settembre 2014).Leggo ieri, sul sito di “Repubblica”, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni. Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario”, l’Oriente. Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi”, e già questo è clinicamente interessante. Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi. Ci rivela che «l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile», e vuole bloccare «la libertà di destino dei popoli». Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia «almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola». E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente: «Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?».
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Isis, corsari per la grande guerra Usa: ditelo, alla sinistra
Chi erano i corsari? Mercenari del mare, incaricati di colpire gli avversari della potenza che li aveva ingaggiati: di fatto, a loro toccava il lavoro sporco. Dunque, come definire altrimenti l’attuale Isis, armato dagli Usa attraverso l’Arabia Saudita? Già negli anni ‘80, scrive “Piotr” su “Megachip”, la Rand Corporation aveva previsto che guerre future sarebbero state combattute, sul terreno, da “entità sub-statali”. Cui prodest: «Cosa c’è di meglio per gli Usa che installare nel centro nevralgico dell’Eurasia (già oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di Carter per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski) uno Stato-non-Stato, uno Stato-zombie, un essere-non-essere, un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle spalle la Cina? Difficile pensare a un’arma non convenzionale migliore».L’Isis è «un temibile cuneo piazzato nel bel mezzo dell’Organizzazione di Shanghai», nonché una minaccia verso l’Europa, nel caso il vecchio continente «si mostrasse troppo recalcitrante al progetto neoimperiale statunitense, con annessi e connessi tipo il rapinoso Ttip». Il momento è adesso: l’economia occidentale è in declino, mentre i Brics non hanno ancora le capacità militari per reagire. Scrupoli, da parte di Washington? Escluso: «Il regista Oliver Stone e lo storico Peter Kuznick con molto acume hanno fatto notare che con Hiroshima e Nagasaki gli Usa non solo volevano dimostrare al mondo di essere superpotenti, ma anche – cosa ancor più preoccupante – che non avrebbero avuto alcuno scrupolo nella difesa dei propri interessi: erano pronti a incenerire in massa uomini, donne e bambini». Oggi tocca a libici, siriani, iracheni. Certo, «in Occidente questa strategia rimane incomprensibile ai più», anche se già negli ‘80 alcuni studiosi avevano fatto notare «le connessioni tra crisi sistemica, reaganomics, finanziarizzazione, conflitti geopolitici e la ripresa d’iniziativa neoimperiale degli Usa dopo la sconfitta in Vietnam».All’appello manca, drammaticamente, la sinistra: quella che si era battuta contro il Vietnam, contro le guerre imperiali di Bush e contro la globalizzazione selvaggia, e ora lascia che sia il Papa a parlare di “Terza Guerra Mondiale a zone”, iniziata di fatto con l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre. Il movimento no-global era sulla strada giusta, eppure – annota l’analista di “Megachip” – è bastata la crisi finanziaria e «l’elezione santificata» di Obama per accecare milioni di individui, divenuti «passivi o incoscienti della nuova politica imperiale». Tutto “merito” della disinformazione mediatica: Goebbels ha fatto scuola. «Il trucco c’è, si vede benissimo, ma non gliene frega niente a nessuno», sentenzia una vignetta di Altan. Tutti lo vedevano: «La “guerra al terrorismo” non sconfiggeva alcun terrorismo», ma «in compenso distruggeva stati, prima l’Afghanistan poi l’Iraq». E il terrorismo? «Entrava “in sonno” e si rifaceva vivo con alcune necessarie dimostrazioni di esistenza a Madrid e a Londra, nel cuore dell’Europa». Avvertimenti.«Con Obama, gli obiettivi e la strategia si sono progressivamente chiariti», sostiene “Piotr”. «Una volta riorganizzato e potenziato l’esercito corsaro, scattava la nuova offensiva che ha avuto due preludi: il discorso di Obama all’Università del Cairo nel 2009 e le “primavere arabe” iniziate l’anno seguente». Attenzione: «In entrambi i casi, la sinistra ha sfoggiato una strabiliante capacità di non capire nulla. Avendo ormai scisso completamente l’anticapitalismo dall’antimperialismo, la maggior parte del “popolo di sinistra” si faceva avviluppare dalla melassa della coppia buonismo-diritti umanitari (inutile ricordare i campioni italiani di questa pasticceria), elevando ogni bla-bla a concetto e poi a Verbo. Obama dixit. Che bello! Che differenza tra Obama e quel guerrafondaio antimusulmano di Bush! Avete sentito cosa ha detto al Cairo? Nemmeno il più pallido sospetto che l’impero stesse esponendo la nuova dottrina di alleanza con l’Islam politico (alleanza che ha il centro logistico, finanziario e organizzativo nell’Arabia Saudita, il partner più fedele e di più lunga data degli Usa in Medio Oriente)». Peggio ancora con le “primavere arabe”: «Nemmeno a bombardamenti sulla Libia già iniziati la sinistra ha avuto il buon senso di rivedere il proprio entusiasmo per quelle “rivolte”».«Disaccoppiare il capitalismo dall’imperialismo è come pretendere di dissociare l’idrogeno dall’ossigeno e avere ancora acqua», continua “Megachip”. «Si è giunti al punto che un capo di stato maggiore statunitense, il generale Wesley Clark, rivela che Libia e Siria erano già nel 2001 nella lista di obiettivi selezionati dal Pentagono». Ma niente paura: i «sedicenti marxisti» continuino ancora a credere alla fiaba delle “rivolte popolari”. E’ così che, all’alba della Terza Guerra Mondiale, la sinistra «ci arriva totalmente disattrezzata, teoricamente, politicamente e ideologicamente», ancora peggio del “popolo di destra” perché, spesso, apertamente schierata coi guerrafondai. Unico «sprazzo di sereno», nell’estate 2014, l’opposizione di M5S e Sel all’invio di armi ai curdi, per una guerra in cui – come avverte Emergency – a pagare saranno al 90% i civili. E il gioco è più sporco che mai: «Il senatore John McCain, in apparenza battitore libero ma nella realtà executive plenipotenziario della politica di caos terroristico di Obama, si è messo d’accordo sia coi leader del governo regionale curdo in Iraq sia con il Califfo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, già Abu Du’a, già Ibrahim al-Badri, uno dei cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti con una taglia di 10 milioni di dollari».«Così come Mussolini aveva bisogno di un migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative di pace – conclude “Megachip” – gli Usa, l’Isis e i boss curdo-iracheni hanno bisogno di qualche migliaio di morti (civili) da gettare sul palcoscenico della tragedia mediorientale, per portare a termine la tripartizione dell’Iraq e lo scippo delle zone nordorientali della Siria (altro che Siria e Usa uniti contro i terroristi, come scrivono cialtroni superficiali e pennivendoli di regime). Il tutto a beneficio del realismo dello spettacolo». Nel lontano 1979, Brzezinski aveva capito e scritto che il futuro problema degli Stati Uniti era l’Eurasia e che quindi occorreva balcanizzarla, in particolare la Russia e la Cina. All’inizio del secolo scorso, in piena egemonia mondiale dell’impero britannico, il geografo inglese Halford Mackinder scriveva: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland, chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo, chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo». L’indefesso girovagare di McCain tra Ucraina e Medio Oriente non è dunque un caso. Ciò che è cambiato, chiosa “Piotr”, è che «gli Usa hanno capito che non è necessario che siano le proprie truppe a fare tutto il lavoro sporco». Bastano a avanzano i nuovi corsari.Chi erano i corsari? Mercenari del mare, incaricati di colpire gli avversari della potenza che li aveva ingaggiati: di fatto, a loro toccava il lavoro sporco. Dunque, come definire altrimenti l’attuale Isis, armato dagli Usa attraverso l’Arabia Saudita? Già negli anni ‘80, scrive “Piotr” su “Megachip”, la Rand Corporation aveva previsto che guerre future sarebbero state combattute, sul terreno, da “entità sub-statali”. Cui prodest: «Cosa c’è di meglio per gli Usa che installare nel centro nevralgico dell’Eurasia (già oggetto degli incubi e dei desideri del “veggente” consigliere di Carter per la sicurezza, Zbigniew Brzezinski) uno Stato-non-Stato, uno Stato-zombie, un essere-non-essere, un’organizzazione territoriale che al riparo della sua bandiera nera pirata può minacciare di azioni raccapriccianti tutti gli stati vicini, a partire da Siria, Russia, Iran, Cina, repubbliche centroasiatiche e poi lungo il corridoio che tramite il Pakistan penetra in India e che attraverso lo Xinjiang Uyghur prende alle spalle la Cina? Difficile pensare a un’arma non convenzionale migliore».
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In Ucraina, la guerra europea degli idioti pericolosi
Le menti geostrategiche di Usa e Ue avevano già convincentemente manifestato il loro livello di intelligenza e lungimiranza nelle campagne di pacificazione, stabilizzazione e democratizzazione di Iraq, Afghanistan, Libia, Egitto. In Siria mesi fa stavano per aiutare gli insorti jihadisti bombardando l’esercito siriano, e ora, costretti dai fatti, aiutano l’esercito siriano bombardando i jihadisti. Mentre le fabbriche licenziano e chiudono e l’economia comunitaria si contrae perfino in Germania, e mentre si avvicina un freddo inverno, le sullodate menti si lanciano in una campagna di sanzioni, dirette a parole contro la Russia, ma nei fatti contro le imprese, i lavoratori, i consumatori dell’Europa Occidentale. Penso alle ditte che, a seguito delle sanzioni, non possono più esportare verso il più grande paese del nostro continente, quindi vanno a gambe all’aria. Con le sanzioni in vigore ad oggi e con le contromisure russe, l’Italia rischia 800.000 posti di lavoro e, solo di esportazioni agroalimentari perde 200 milioni, cioè il 24%. L’Ue perderà circa 5 miliardi.Qual è il fine degli illuminati strateghi? Indurre Mosca a decurtarci i prodotti energetici per costringerci ad affidarci ai fornitori Usa, così da aumentare anche la nostra sudditanza politica verso Washington, e con un passaggio per forti rincari che si tradurranno in maggiori costi per riscaldarsi, per viaggiare, per fabbricare? Dopo che la loro geniale e felicissima guerra in Libia (voluta da Londra e Parigi, appoggiata da Washington, e a cui Berlusconi fu spinto a partecipare da Napolitano) ci ha privato di quella preziosa fonte alternativa, in cui avevamo investito molto, è logico che adesso puntino a privarci anche del fornitore russo, per metterci completamente in pugno a quello americano. Intanto – ripeto – è assodato che queste stupide sanzioni ci stanno facendo perdere punti di Pil e guadagnare punti di disoccupazione. Ma per distrarre l’opinione pubblica dai veri problemi, dalla depressione economica, da chi fa gli affari sulla pelle delle nazioni, da chi si mangia i diritti della gente – per distrarre gli europei dal problema dei conflitti oggettivi e interni di interessi all’Ue, tra paesi dominanti (Germania in testa) e paesi subalterni – si costruiscono conflitti esterni e nemici esterni, meglio se con connotazioni morali e ideologiche. E’ una costante storica.Non meno balorda è la motivazione delle sanzioni medesime. Le menti strategiche dei nostri leaders, dopo aver inglobato nella Nato e armato contro la Russia diversi paesi dell’area ex-sovietica, anche nel Caucaso e nella zona altaica, fino all’Afghanistan, ora vorrebbero estendere la Nato all’Ucraina, portando i loro missili a poche centinaia di chilometri da Mosca. E’ pensabile che Mosca accetti ciò senza combattere? Che accetti un accerchiamento che le arriva sotto casa? Quanto vogliamo tirare questa corda? Non è meglio, non è più sicuro, magari, creare uno Stato-cuscinetto nel Donbass, libero da armi strategiche? Non è meglio lasciare alla Russia le sue tre provincie storiche ed etniche, piuttosto che rischiare una guerra nucleare, o anche solo un ulteriore tracollo economico?Infatti, la Russia rivuole semplicemente indietro le sue tre provincie, che da secoli sono abitate in maggioranza da russi, e che Krushev, a tavolino, aveva passato amministrativamente all’Ucraina nel 1953, in un contesto che rendeva pressoché indifferente questo passaggio. E’ chiaro che i recenti rivolgimenti in Ucraina hanno cambiato le carte in tavola, che è emersa e si sta consolidando una forma di nazionalismo ucraino il quale, verso la minoranza russa, va dal non amichevole all’ostile, e che politicamente si estende dal liberismo capitalista al fascismo. Santa Julya Tymoshenko, celebrata leader filoeuropea ed eroina della democrazia di Kiev, è stata intercettata mentre diceva di voler eliminare i separatisti russi con le armi nucleari. Dopo questo, e dopo le stragi che sono state consumate, come si può onestamente pensare a una pacifica convivenza della minoranza russa con la maggioranza ucraina entro il medesimo Stato e sotto il medesimo governo?La divisione umana che si è aperta è incolmabile e insanabile; meglio prenderne atto, e tracciare un confine che metta fine alla guerra e alle carneficine, prima che prenda corpo il fenomeno che già è iniziato, ossia dei volontari stranieri, perlopiù di estrema destra, che vanno a combattere in Ucraina contro i comunisti russi, e che, a differenza dei soldati ucraini, non si fanno scrupolo di sparare anche sui civili, identificandoli come nemico etno-ideologico. Si aggiungono i mercenari e i contractors occidentali, i mercenari delle multinazionali Usa che supportano Kiev, assieme a neonazisti svedesi. Combattenti francesi, americani, serbi, polacchi, israeliani, britannici, etc., già versano il loro sangue, perlopiù per motivi ideali, soprattutto a difesa dei russi. Hanno formato una brigata sotto il nome “United Continent”. Stanno così risvegliandosi gli odii atavici e tradizionali del Vecchio Continente, complicati, oltre che dalla stupidità dei vari fanatismi, dalla contrapposizione ideologica e dalla valenza di lotta paneuropea contro l’invadente presenza del capitalismo americano.Una deriva, questa, di cui i cauti media non ci informano, ma che è ovviamente assai pericolosa, che tende a coinvolgere altri paesi e a far evolvere un conflitto etnico locale in qualcosa di incomparabilmente peggiore e che può portare all’uso di armi nucleari in Europa, quindi a conseguenze mortifere o persino peggio che mortifere anche per noi dell’Europa occidentale. La guerra di Ucraina è già adesso una guerra europea. Assomiglia alla guerra civile spagnola. Ma a differenza di quella, tocca direttamente una superpotenza nucleare. Perciò ripeto: basta sanzioni idiote contro la Russia, tracciare un confine per separare le opposte forze armate, porre fine alla guerra, lasciare alla Russia ciò che è della Russia, e prendersi pure il resto. Ma senza piazzarci armi strategiche.(Marco Della Luna, “Ucraina, la guerra europea degli idioti pericolosi”, dal blog di Della Luna del 1° settembre 2014).Le menti geostrategiche di Usa e Ue avevano già convincentemente manifestato il loro livello di intelligenza e lungimiranza nelle campagne di pacificazione, stabilizzazione e democratizzazione di Iraq, Afghanistan, Libia, Egitto. In Siria mesi fa stavano per aiutare gli insorti jihadisti bombardando l’esercito siriano, e ora, costretti dai fatti, aiutano l’esercito siriano bombardando i jihadisti. Mentre le fabbriche licenziano e chiudono e l’economia comunitaria si contrae perfino in Germania, e mentre si avvicina un freddo inverno, le sullodate menti si lanciano in una campagna di sanzioni, dirette a parole contro la Russia, ma nei fatti contro le imprese, i lavoratori, i consumatori dell’Europa Occidentale. Penso alle ditte che, a seguito delle sanzioni, non possono più esportare verso il più grande paese del nostro continente, quindi vanno a gambe all’aria. Con le sanzioni in vigore ad oggi e con le contromisure russe, l’Italia rischia 800.000 posti di lavoro e, solo di esportazioni agroalimentari perde 200 milioni, cioè il 24%. L’Ue perderà circa 5 miliardi.
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Smith: un nuovo 11 Settembre firmato Isis, cioè Cia
L’Isis è una creatura dell’Occidente al 100%: perché non aspettarsi che siano proprio gli “alleati coperti” del Califfato Islamico a firmare l’eventuale prossimo replay dell’11 Settembre? Se lo domanda Brandon Smith, in una lucida analisi nella quale mette a fuoco la storia recente e recentissima. «Il terrorismo “false flag” architettato dai governi è un fatto storico accertato: per secoli, le élite politiche e finanziarie hanno affondato navi, incendiato edifici, assassinato diplomatici, rimosso leader eletti e fatto saltare la gente per aria, per poi incolpare di questi disastri un conveniente capro espiatorio, così da generare paura nel pubblico e acquisire più potere». Gli scettici potranno discutere se una qualche specifica calamità sia stata o meno un evento terroristico “sotto falsa bandiera”, ma nessuno può negare che queste tattiche, in passato, siano state usate puntualmente, in tutto l’Occidente. «I governi hanno ammesso apertamente di creare tragedie sanguinarie e catalizzatrici con falsi pretesti, come l’Operazione Gladio, un programma false-flag in Europa, supportato dai servizi segreti europei e americani, che durò per decenni, dagli anni ’50 ai ’90».
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Se il mondo esplode, entro un anno supermarket vuoti
«Qualsiasi influenza che l’America dovrebbe lasciare in Iraq dovrebbe focalizzarsi sulla ricostruzione della credibilità delle istituzioni nazionali» (editoriale del “New York Times”). Accidenti, non era per questo che in otto anni abbiamo perso 4.500 uomini e speso un miliardo e settecentomila dollari? E a che è servito tutto questo sforzo? La guerra in Iraq è diventata come il sistema finanziario americano, chi l’ha gestita non è stato capace nemmeno di immaginarsi quanto ci sarebbe costata. Cosa, questa, che dal punto di vista politico ha visto gli Usa che si affannavano a scavare buche ovunque e da ognuna di quelle buche uscivano fuori tanti di quei sorci, che è diventato difficile trovare un pezzo di terra dove si possa stare tranquilli e fermarsi a riposare. Saremo fortunati se la vita degli americani non arriverà a somigliare a quella de “La vendetta degli uomini-talpa”.Tutto l’arco di questa storia tende solo a una probabile conclusione: il giorno terribile in cui l’Isis (abbreviazione di quello che vogliono) prenderà possesso della Green Zone Usa di Baghdad. Non credete che quello sarà uno spettacolo nauseante? Forse avverrà giusto in tempo per le elezioni Usa del 2014. E che cosa pensate si potrà dire alla prima riunione politica nella “war room” della Casa Bianca il giorno dopo (l’elezione del prossimo presidente)? Credete che ci sarà qualcuno che comincerà a spiegare che gli Usa si sono voluti prendere una pausa prima di intraprendere altre operazioni in tutto il Medio Oriente e nella Regione del Nord-Africa? Personalmente raccomandarei di restare dietro le quinte, di non fare niente, di aspettare per vedere cosa succede – perché tutto quello che abbiamo fatto finora ha solo portato distruzione per uomini e cose.Facciamo una ipotesi: l’Isis finisce per consolidare il suo potere in Iraq, Siria, e in qualche altro posto. Nell’intera regione si vivrà una dimostrazione molto colorata di quello che significa vivere sotto un dispotismo psicopatico in stile 11° secolo. A fine dimostrazione la gente – quella che sarà sopravvissuta a un’orgia di decapitazioni e di crocifissioni – potrà decidere se gli piace. Una esperienza che potrebbe chiarire meglio le idee. In ogni caso, quello a cui stiamo assistendo in Medio Oriente – a quanto pare all’insaputa di giornali e telegiornali – è che la maggioranza della popolazione ha ormai ha superato ogni limite: caos, omicidi, collasso dell’economia. La popolazione umana di questo angolo desolato del mondo è vissuta finora grazie ad una alimentazione artificiale dipendente solo dai profitti del petrolio, profitti che hanno permesso ai governi di continuare a far mangiare la gente e a mantenere una classe media artificiale che lavorava in uffici burocratici che non avevano nessun senso, dove nella migliore delle ipotesi non facevano niente, e nel peggiore dei casi vessavano il resto della popolazione con la loro corruzione e richieste di mazzette.Non c’è nessuna nazione sulla terra che si stia preparando con intelligenza per la fine dell’era del petrolio – e con questo intendo: 1) alla fine del petrolio a prezzi bassi, a prezzi accessibili; 2) alla destabilizzazione permanente degli attuali canali di fornitura del petrolio. Entrambe queste condizioni dovrebbero essere ben visibili durante questa evoluzione dinamica della geopolitica, ma nessuno sembra volerlo vedere, o sentire, come ad esempio quel frastuono che arriva dall’Ucraina. Quella nazione irresponsabile, infelice, che vive una situazione tragica per colpa dei burattinai della Ue e degli Usa, che ha appena risposto alle ultime reazioni della Russia alle sanzioni commerciali, dichiarando che potrebbe bloccare le forniture di gas russo verso l’Europa, chiudendo le condotte che passano sul suo territorio. Spero che tutti quelli che abitano oltre Dnepropetrovsk siano pronti a bruciare i mobili di casa a novembre prossimo.Ma queste dichiarazioni insensate riescono solo a dimostrare quanto la situazione sia diventata assolutamente irrazionale… e quanto quello che succede sia sempre più lontano dal quello che penso. La cosa peggiore che potrebbe succedere sarebbe che l’Isis riuscisse a instaurare un Califfato tentacolare, che potrebbe sfuggire loro di mano provocando solo episodi sanguinosi e impressionanti dopo il collasso della società esistente. Cosa che è molto probabile in quella zona che ora si chiama Arabia Saudita, dove vive una classe dirigente sclerotica e aggrappata al potere. Se e quando vedremo arrivare quei maniaci dell’Isis protagonisti di video su YouTube dove fanno rotolare le teste, con quante probabilità i tecnici che oggi lavorano nelle compagnie petrolifere resteranno attaccati al loro posto di lavoro? E allora l’Isis sarebbe capace di svolgere lo stesso lavoro e di usare quegli stessi macchinari? Io non ci conterei.E non conterei nemmeno sul fatto che l’intera catena di fornitura mondiale di petrolio possa continuare a produrre come siamo abituati adesso. Se stiamo cercando dove potrebbe accendersi la scintilla per una Terza Guerra Mondiale, cominciamo a cercare da qui. In ogni caso non è che gli Usa si siano dimostrati meno idioti degli ucraini. Noi ci siamo raccontati la storialla che lo “shale oil” – il petrolio estratto dalle rocce sotterranee frantumate – ci potrà trasformare in un’isola felice, fuori dai conflitti che scoppieranno in tutto il resto del mondo, dopo la dissoluzione del paradigma-economico-del-petrolio. La storiella dello “shale oil” è falsa. Secondo i miei calcoli ci resterà ancora un annetto per continuare a spendere tranquillamente nei supermercati, prima che la gente prenda veramente coscienza del guaio in cui ci troviamo. La cosa sorprendente è la gente comune possa arrivare a capirlo anche prima della sua classe politica. Questa dinamica di pensiero porta direttamente a pensare all’impensabile (non certo per i prossimi 150 anni) crollo degli Stati Uniti.(James Kunstler, “Una scintilla per la Terza Guerra Mondiale”, dal blog di Kunstler del 12 agosto 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).«Qualsiasi influenza che l’America dovrebbe lasciare in Iraq dovrebbe focalizzarsi sulla ricostruzione della credibilità delle istituzioni nazionali» (editoriale del “New York Times”). Accidenti, non era per questo che in otto anni abbiamo perso 4.500 uomini e speso un miliardo e settecentomila dollari? E a che è servito tutto questo sforzo? La guerra in Iraq è diventata come il sistema finanziario americano, chi l’ha gestita non è stato capace nemmeno di immaginarsi quanto ci sarebbe costata. Cosa, questa, che dal punto di vista politico ha visto gli Usa che si affannavano a scavare buche ovunque e da ognuna di quelle buche uscivano fuori tanti di quei sorci, che è diventato difficile trovare un pezzo di terra dove si possa stare tranquilli e fermarsi a riposare. Saremo fortunati se la vita degli americani non arriverà a somigliare a quella de “La vendetta degli uomini-talpa”.
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Cabras: siam pronti anche noi alla macelleria della guerra?
Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.«Sarà l’Ucraina, sarà il richiamo bellico dell’anno quattordici, sarà che ormai le dichiarazioni di molti politici europei già annunciano la carneficina all’orizzonte», moltiplicando ogni giorno le nuove evocazioni di una guerra mondiale, ma intanto «cresce per molti una sensazione di pericolo», scrive Pino Cabras su “Megachip”. «Evocare è facile, ma essere davvero pronti all’anticamera dell’Apocalisse è un’altra cosa». Chi è davvero pronto per la guerra? Certo non i popoli europei: «Vivono in una bolla televisiva che fa loro sperare di essere ancora a lungo i consumatori che sono stati negli ultimi decenni. La cuccagna non è stata ancora smontata, perciò il ricordo dell’ultima guerra mondiale rimane annacquato. Gli europei medi – continua Cabras – non riescono più a immaginare la guerra come catastrofe. I telegiornali e i grandi quotidiani li ammaestrano all’isteria bellica, alla propaganda più sfacciata, alla russofobia, questo sì. Ma occultano l’idea che la distruzione possa entrare nelle loro case o sommergere intere coorti dei loro figli».Il peggio è che «nessun europeo medio ha saputo cosa è accaduto in Ucraina negli ultimi sei mesi, dal golpe in poi. Tanto meno sa cosa c’era prima. Né sa che il governo di Kiev ha martoriato la popolazione civile delle regioni orientali». L’europeo medio «ignora gli interessi predatori di quei capitalisti mafiosi che vorrebbero svuotare quelle regioni dei loro abitanti russofoni», non sa che «le forze di sicurezza ucraine sono in mano ad avventurieri imbevuti di ideologie naziste». E naturalmente «non sa nulla della Russia, non sa nulla di nulla: e si ritroverà nella guerra vasta che annuncia il neopresidente polacco del Consiglio Europeo, Donald Tusk (un burattino atlantista), e peggio di lui il ministro della difesa ucraino Gheletei, senza sapere ancora nulla». Certamente a scalpitare è Tusk, il regime dell’Ue è al guinzaglio di Washington, lo stesso Cameron sembra avere il dito sul grilletto. La Nato sembra abbozzare una frenata – su richiesta della Merkel, cioè dell’export tedesco danneggiato dalle sanzioni contro Mosca – ma intanto prepara una forza di pronto intervento per l’Est. In teoria, era pronta alla guerra anche la giunta golpista di Kiev, «ma in modo totalmente irresponsabile, con una tragica incapacità di valutare gli interessi dei russi e – di questi – la determinazione (cioè una prontezza reale) a pagare e infliggere il prezzo di una guerra vera».Quel che accade ora in Ucraina, dice Cabras, misura le reali dimensioni di queste diverse “prontezze”. Da un lato i popoli occidentali «anestetizzati dai loro media», popoli «che non hanno alcuna misura dei fatti», e in più il popolo ucraino «che si sorprende di dover subire una disfatta (in Italia si direbbe una Caporetto), come nel caso delle mamme e sorelle disperate che chiedono conto delle notizie di una brigata di 4.700 uomini, di cui sono tornati con le proprie gambe in appena 83». Queste famiglie «hanno appena riscoperto il concetto di “carne da cannone”», quello della Grande Guerra. «Sono le avanguardie delle mamme che ripeteranno la scena in tante altre lingue, anche da noi, nelle capitali in bancarotta dell’Europa ai comandi di Bruxelles e Francoforte». Dall’altro lato della barricata, ecco invece i militari del Donbass: «Colpisce la sicurezza e l’agghiacciante autorevolezza – in un dosaggio di gravitas e brutale ironia – con cui questi partigiani dei nostri giorni parlano di migliaia di vittime di guerra». La “gravitas” è quella che annuncia l’avvenuta strage dei militari mandati allo sbaraglio dagli aggressori incoraggiati dalla Nato. L’ironia è quella della sfilata dei prigionieri: a marciare (disarmati e sconfitti) il 24 agosto sono stati gli ucraini di Kiev, quelli che avevano annunciato con troppa fretta la conquista di Donesk, con tanto di parata dal sapore hitleriano.«Purtroppo, cari giornalisti, l’Occidente cerca di invaderci con una frequenza di 30-50 anni», dicono i resistenti dell’Est. «Ogni 30-50 anni la civiltà occidentale cerca di imporci la sua opinione e il suo modo di vivere. La Prima Guerra Mondiale, la Grande guerra patriottica, la guerra di Crimea prima ancora, e così via nelle profondità della storia. Come risultato, l’Occidente tradizionalmente ottiene la caduta di Berlino, di Parigi. L’Occidente arriva ogni 30-50 anni per ottenere ciò che si merita. Ora, nel 2014, sono un po’ in ritardo», ma il copione sembra lo stesso. Loro, sì, sono pronti alla guerra. Lo hanno dimostrato. E lo spiegano in modo chiarissimo: «Diremo a chiunque venga a farci del male sul nostro territorio: ci batteremo con le unghie e con i denti per la nostra patria. Kiev e l’Occidente hanno fatto un grosso sbaglio a risvegliarci. Noi siamo gente laboriosa. Mentre altri saltavano a Maidan per 300 grivne, la nostra gente era giù in miniera a estrarre carbone, a fondere metallo e a seminare le colture. Nessuno di noi ha avuto il tempo di saltare, eravamo impegnati a lavorare». Poi, quando li hanno presi a cannonate, si sono ribellati.«Quando un tizio che appena ieri lavorava con un martello pneumatico o guidava una mietitrebbia, oggi si trova alla guida di un carro armato o di un Grad, o a raccogliere un mitra, la linea è stata passata e non lo potete più fermare», dicono i militari dell’Est. «Quello che ha dovuto lasciare il proprio lavoro sa che combatterà fino alla fine e fino al suo ultimo respiro». E l’Occidente è pronto è combattere “fino all’ultimo respiro”? Certo non lo è la nuova Lady Pesc, Federica Mogherini, che si abbandona a dichiarazioni desolanti, del tipo: «Se non esiste più un partenariato strategico è per scelta di Mosca». Ovvero: nessuna autocritica ai piani alti dell’Ovest. «Ecco, Mogherini non è pronta», scrive Cabras. «Fa interamente sua tutta l’eredità della Nato e della Ue in questi anni di crisi internazionali, destabilizzazioni, aggressioni ed escalation: cioè un bilancio disastroso e criminale, dall’Iraq all’Afghanistan al dossier libico, alla Siria, e ora all’Ucraina».Il bilancio occidentale di questi anni? «Un caos funesto interamente imputabile alla lunga “guerra infinita” scatenata dalle capitali dell’atlantismo», subito dopo l’opaco super-attentato dell’11 Settembre. Lo stesso Cabras ricorda che, all’indomani della guerra-lampo nell’Ossezia del Sud attaccata dall’esercito georgiano armato da Bush e poi travolto dai russi, nel 2008 il “Times” ricordava le parole di Lord Salisbury, ministro degli esteri e primo ministro ai tempi dell’Impero Britannico», un uomo che «irradiò un potere globale immenso». Di fronte a proposte pericolose, in cui Londra minacciava seriamente altri paesi, Salisbury avrebbe guardato i suoi colleghi negli occhi, chiedendo semplicemente: «Siete davvero pronti a combattere? Altrimenti, non imbarcatevi in questa politica».Già: siete davvero pronti a combattere? «E’ la domanda giusta, quella che non vi hanno ancora fatto», osserva Cabras. «Nell’Europa politicamente desertificata dall’obbedienza alla Nato si continua ad agire come se la Russia fosse ancora oggi lo Stato esausto degli anni novanta, su cui si muoveva etilicamente Boris Eltsin e sul cui collo si stringeva il capestro del Fondo Monetario Internazionale. La situazione è completamente diversa, eppure si va lo stesso allo scontro. O si va proprio per questo, nel momento in cui i Brics picconano il Dollar Standard. E gli Usa non possono accettare un mondo multipolare in cui il dollaro non sia l’architrave». Allora, siamo pronti a combattere? La risposta la anticipano – a distanza – i comandanti militari dell’Est ucraino, che a questa guerra hanno già preso le misure. «Potete dirlo in giro: non svegliate la bestia», raccomandano. «Non fatelo, davvero. Finché c’è ancora la possibilità, lasciate che le madri risparmino i propri figli».Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.
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Benvenuti nel Grande Caos, quello che ci farà a pezzi
I tempi in cui ci tocca di vivere stanno diventando cupi e tetri. Pur senza concedere nulla al pessimismo della ragione, sentire un pontefice evocare la Terza Guerra Mondiale, il segretario della Nato non escluderla come scenario, e importanti giornali proporci quotidianamente una mappa dei conflitti che incendiano le regioni strategiche del mondo in cui viviamo, non è certo rassicurante. Soprattutto perchè la realtà incasella e aggiunge giorno dopo giorno le conferme che la pallina collocata sul piano inclinato continua a scivolare pericolosamente. Accelerando. Ma le guerre non sono una fatalità. Possono esplodere quando un incidente accelera i processi storici; ma si verificano perchè ci sono forze materiali che hanno spinto i processi verso la rottura, lo scontro, il “clash tra le potenze”, come scrissero in un ottimo libro Petras, Casadio e Vasapollo. La cosa che colpisce – che deve colpire anche gli ottusi “di sinistra” – è che il novanta per cento dei focolai di conflitto circonda l’Europa come un cerchio di fuoco.L’ovest appare pacifico solo perchè confina con l’Atlantico, un oceano che divide l’Europa dagli Stati Uniti, ovvero la sponda da cui arrivano le spinte più forti a coinvolgere l’Europa verso il “clash”. La linea intrapresa dai governi dell’Unione Europea sulla crisi e il conflitto in Ucraina è emblematica. Gli Usa spingono i paesi europei verso il conflitto con il più grande e armato di essi: la Russia. Il prossimo vertice Nato a Newport appare foriero di pessime decisioni che accentueranno e non depotenziaranno i pericoli di guerra sulla frontiera est. Resistenze e dubbi, se ancora esistono, abitano menti silenziose. Ma a sud non va meglio. La destabilizzazione creativa (una categoria rassicurante per descrivere le guerre asimmetriche di aggressione scatenate dal 2001 a oggi), ha creato una fascia di instabilità belligerante nella vicina Libia e in Iraq, Siria, Palestina ed Egitto dove, tra Gaza e Sinai, la normalizzazione militare imposta dal generale Al Sisi – diventato beniamino delle cancellerie occidentali – riesce a malapena a comprimere il fuoco sotto le braci.Insomma, la sponda sud dell’Europa è l’area di instabilità e guerra più infuocata del globo. Oggi appare evidente come nessuna delle potenze in campo abbia chiaro quali siano le prospettive, se non quella di ripetuti bagni di sangue e instabilità da gestire a distanza, attraverso la logica del bombardamento con i droni quando gli effetti rischiano di tracimare, mettendo in discussione parametri vitali come le forniture energetiche, idriche, o gli equilibri geopolitici. I ripetuti cambi di campo e di alleanze appaiono molto più che inevitabili cinismi della governance. Il doppio e triplo gioco di Stati Uniti e potenze europee ha entusiasmato e coinvolto anche altri soggetti, come le petromonarchie del Golfo o la Turchia, che usano gli ingenti introiti che vengono dalle rendite petroliferi o dalle royalties sui diritti di passaggio per finanziare milizie in guerra tra loro. Una disamina delle ingerenze di petromonarchie come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi, dalla Bosnia del ‘93 passando per la Cecenia, l’Afghanistan fino a Libia, Iraq, Libano, Siria, Palestina e Sudan, ci consegna uno scenario di guerra di tutti contro tutti e una brusca rimessa in discussione dei confini coloniali definiti dalle potenze europee alla fine della Prima Guerra Mondiale.In realtà questo assetto era già stato sconvlto dall’entrata in campo degli Stati Uniti in Medio Oriente, fin dal colpo di Stato del 1953 contro Mossadeq in Iran e poi lo stop imposto a Francia e Gran Bretagna nel 1956 a Suez. Da quel momento, il Medio Oriente è diventato terreno di caccia privilegiato di Washington; un’enclave in cui le potenze europee, Italia inclusa, potevano al massimo ritagliarsi interstizi per i propri limitati interessi (vedi la Libia). Ma gli ultimi anni, quelli in cui gli Stati Uniti hanno visualizzato e cercato di contrastare con ogni mezzo il proprio lento declino, hanno assestato un nuovo scossone all’assetto precedente. Via l’Iraq di Saddam, la Libia di Gheddafi, la Siria di Assad, ma anche la Palestina dell’Olp; sostituendoli con il caos e la balcanizzazione, abolendo gli Stati. Senza mai dimenticarsi la disintegrazione della Jugoslavia e della ex Urss. Altri territori “vergini” che hanno visto nascere a est di Berlino ben 30 Stati dove prima ve ne erano otto; e solo la metà di questi hanno più di dieci milioni di abitanti. Staterelli, dunque, poco più che “granducati”. Facili da piegare, minacciare, ricattare, eventualmente cancellare o sovvertire.Fino a un certo punto.Ecco, è questo “certo punto” che indica la soglia di crisi che si va raggiungendo. E non solo perchè oggi la Russia di Putin punta i piedi nel proprio “cortile di casa”, ma perchè somiglia, assai più che l’Urss, ai suoi competitori; e perchè tra i paesi a capitalismo di Stato (usiamo una forzatura per semplificare una realtà complessa come i Brics) e quelli a capitalismo mercantilista che caratterizzano Stati Uniti ed Unione Europea (cioè potenze più compiutamente imperialiste), non ci sono più i margini per spartirsi in modo concertato come in passato il mondo. Dunque se la concertazione e le camere di compensazione – per quanto asimmetriche, rispetto al Washington Consensus – non hanno più la materia per realizzarsi, il mondo diventa oggetto di competizione. E la competizione avviene con ogni mezzo. Il caos e l’instabilità nel cortile di casa degli altri possibili competitori diventano la condizione preliminare e necessaria, anche se mai sufficiente. Che tutto questo abbia un costo umano sempre più alto non pare essere un problema. Un capitalismo in crisi distrugge i capitali in eccesso, è noto. E per un sistema che punta solo alle risorse, alla sopravvivenza competitiva, anche il “capitale umano” – definito anche e non a caso “capitale variabile” – può diventare un eccesso da dover distruggere.(Sergio Cararo, “Il caos che sfugge di mano”, da “Contropiano” del 27 agosto 2014).I tempi in cui ci tocca di vivere stanno diventando cupi e tetri. Pur senza concedere nulla al pessimismo della ragione, sentire un pontefice evocare la Terza Guerra Mondiale, il segretario della Nato non escluderla come scenario, e importanti giornali proporci quotidianamente una mappa dei conflitti che incendiano le regioni strategiche del mondo in cui viviamo, non è certo rassicurante. Soprattutto perchè la realtà incasella e aggiunge giorno dopo giorno le conferme che la pallina collocata sul piano inclinato continua a scivolare pericolosamente. Accelerando. Ma le guerre non sono una fatalità. Possono esplodere quando un incidente accelera i processi storici; ma si verificano perchè ci sono forze materiali che hanno spinto i processi verso la rottura, lo scontro, il “clash tra le potenze”, come scrissero in un ottimo libro Petras, Casadio e Vasapollo. La cosa che colpisce – che deve colpire anche gli ottusi “di sinistra” – è che il novanta per cento dei focolai di conflitto circonda l’Europa come un cerchio di fuoco.
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Guerra: ma Pechino sarà pronta a morire per Mosca?
Gli Usa restano l’unica superpotenza imperiale, in una architettura a piramide, a carattere neofeudale, a cui gli altri Stati si associano, a vario rango, in condizione di vassallaggio. I grandi Stati vassalli avrebbero aree di influenza di loro pertinenza: alla Cina l’Asia orientale, alla Germania l’Europa, al Brasile il Sudamerica. Le nazioni che non volessero sottomettersi spontaneamente sarebbero affrontate con la forza. In questo schema, sembrerebbe naturale che la struttura neofeudale si riflettesse anche all’interno dei singoli Stati, con strutture sociali piramidali e con potere e grandi ricchezze detenute da piccole élite. «L’appello a tutti coloro che ritenessero un tale scenario almeno possibile, e non volessero ad esso assoggettarsi – scrive Simone Santini – è di considerare in questa fase la Russia come la terra di confine di un autentico scontro di civiltà». Quindi, si prospetta «una scelta di campo tra la civiltà umana e la civiltà della barbarie». Superfluo aggiungere che «si accettano scommesse sul rango di vassallaggio riservato all’Italia».Secondo l’analisi di Santini, pubblicata da “Megachip”, si è ormai diffusa la percezione (fuorviante, erronea) che l’ordine “imperiale” costituito dagli Stati Uniti dopo la caduta dell’Urss sia giunto sul viale del tramonto. Si esalta l’ascesa economica dei Brics, si cita la grande crisi finanziaria di Wall Street del 2007, si ricordano le defaillance militari americane in Afghanistan e in Iraq, seguite all’11 Settembre. «A questi fattori va aggiunto un panorama mondiale, specialmente negli ultimi anni, che sembra farsi sempre più caotico e privo di guida, con tensioni o addirittura guerre che si susseguono nelle cerniere fondamentali del pianeta». La rapidità dell’evoluzione in effetti «suggerisce la possibilità di un Impero allo sbando, in preda a una crisi sistemica senza uscita», ma non è detto che tutte le criticità possano determinare un esito univoco, avverte Santini. L’alternativa dei Brics è ancora «in fieri», la loro super-banca – alternativa a Fmi e Banca Mondiale – è una creatura neonata, ed non è scontato che nell’alleanza pesino ancora rivalità storiche, come quelle tra Cina e India, «su cui gli Usa potrebbero intervenire per determinarne la disgregazione».La crisi finanziaria, «originata dai limiti dello sviluppo del sistema capitalistico», con «mercati ormai saturi» e incapaci di garantire i maxi-profitti del passato, ha fatto volare la speculazione pura, la «finanza creativa» che genera denaro direttamente dal denaro, saltando l’economia reale: «Una enorme bolla di soldi virtuali che vale, a seconda delle stime, decine di volte il Pil mondiale», e che prima poi «scoppierà o verrà sgonfiata in qualche modo: vedremo chi ne pagherà il prezzo». Nel frattempo, però, questa immensa massa di denaro «può essere impiegata dai “Masters of Universe” per fare shopping tra i pezzi industriali pregiati dei sistemi economici in crisi (vedasi in Italia) o fare letteralmente incetta di terra coltivabile in Africa o America Latina». Di riflesso, la crisi è diventata «crisi dei debiti sovrani» nell’Europa che non è più “sovrana” della propria moneta. Se a soffrire sono innanzitutto i cosiddetti Piigs, lo scenario non è affatto sfavorevole agli Usa, perché – proprio grazie alla recessione dell’Eurozona – si sta staccando l’Europa dalla Russia.Il più grande successo di questa fase per l’Impero? «Scongiurare ogni tentazione di costituire un blocco europeo continentale, da Lisbona a Mosca, indipendente politicamente, autosufficiente dal punto di vista economico», scrive Santini. Un blocco «culturalmente e territorialmente coeso, avanzato tecnologicamente, armato nuclearmente, complessivamente il più ricco e dinamico del pianeta, più degli stessi Stati Uniti. Altro che Brics». Quanto alle non-vittorie militari americane in Iraq e Afghanistan, «sono tali solo se viste nell’ottica della classica conquista coloniale». Al contrario, diventano tappe-chiave della “geopolitica del caos”, «una metodologia imperiale più oscura e complessa», ma molto efficace, «propugnata da alcuni settori dell’establishment americano che hanno il loro pubblico rappresentante più noto in Zbigniew Brzezinski, già segretario di Stato durante la presidenza di Jimmy Carter e allora ideatore della “trappola afghana”». Una tecnica, che se ben condotta, è utile per «tenere divisi i popoli “barbari”» e «impedire la nascita di potenze regionali» che possano disturbare gli Usa.I focolai di crisi in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Ucraina e Palestina potrebbero sembrare il sintomo di «un mondo in preda alla pazzia, senza più gendarmi in grado di imporre l’ordine», ma se invece «si ammette la possibilità, terribile e dunque da sottacere, di una regia di fondo», allora diventa lampante «un quadro complessivo lucido e atroce, in cui il destino dei popoli è giocato come su una “grande scacchiera”». Emblematico il caso ucraino, «attraverso cui gli Usa – continua Santini – stanno ottenendo il risultato storico di dividere in uno spazio temporale decisivo la Russia dal resto d’Europa, colpendo al contempo Mosca e Berlino, costringendo la Ue a votare sanzioni contro un possibile alleato strategico e contro i propri stessi interessi, contorcendosi e ripiegandosi su se stessa». Dove siamo diretti? Secondo Aldo Giannuli, gli Usa potrebbero arroccarsi sulla difensiva, sfruttando i vantaggi strategici che ancora detengono, oppure potrebbero “assorbire” l’Europa nel blocco commerciale euroatlantico protetto dalla Nato. O magari accettare un “nuovo ordine bipolare” con la Cina, persino aprendo a nuove potenze emergenti, in un Consiglio di Sicurezza dell’Onu riformato in base a un nuovo “ordine multipolare”. Davvero gli Usa lo accetterebbero?«È sorprendente – replica Santini – che il professor Giannuli non preveda, al di fuori di questi schemi, altri sbocchi che non siano “il progressivo degenerare verso un disordine mondiale sempre più caotico”. Ovvero, nemmeno prenda in considerazione la possibilità che l’attuale situazione si consolidi, mutatis mutandis, con gli Stati Uniti che rimangono l’unica superpotenza imperiale», ipotesi tutt’altro che da scartare. Al contrario, è la condizione «che ha maggiori probabilità di prosecuzione, almeno nel medio termine», perché «nessuna nazione appare in grado non solo di soppiantare, ma nemmeno di sfidare gli Stati Uniti con la forza». Per Santini, quella degli Usa non è affatto una “ritirata”, ma un’offensiva. In Medio Oriente, con possibilità di proiezione anche in Africa, Israele rimane l’unica vera potenza regionale, insieme all’Iran, mentre ad Est gli accadimenti ucraini accelerano «l’accerchiamento della Russia e il controllo sempre più stretto sull’Europa da parte americana». Cina e Russia «vedono sempre più comprimersi i rispettivi spazi di manovra». Per resistere, dovranno “compenetrarsi”: «Ma, davanti alle sfide che lancerà l’Impero, Mosca sarà pronta a morire per Pechino e Pechino sarà pronta a morire per Mosca?».Gli Usa restano l’unica superpotenza imperiale, in una architettura a piramide, a carattere neofeudale, a cui gli altri Stati si associano, a vario rango, in condizione di vassallaggio. I grandi Stati vassalli avrebbero aree di influenza di loro pertinenza: alla Cina l’Asia orientale, alla Germania l’Europa, al Brasile il Sudamerica. Le nazioni che non volessero sottomettersi spontaneamente sarebbero affrontate con la forza. In questo schema, sembrerebbe naturale che la struttura neofeudale si riflettesse anche all’interno dei singoli Stati, con strutture sociali piramidali e con potere e grandi ricchezze detenute da piccole élite. «L’appello a tutti coloro che ritenessero un tale scenario almeno possibile, e non volessero ad esso assoggettarsi – scrive Simone Santini – è di considerare in questa fase la Russia come la terra di confine di un autentico scontro di civiltà». Quindi, si prospetta «una scelta di campo tra la civiltà umana e la civiltà della barbarie». Superfluo aggiungere che «si accettano scommesse sul rango di vassallaggio riservato all’Italia».
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Usa-Kiev, bugiardi nel panico. E Merkel: no alla guerra
L’invasione della Russia in Ucraina? Una bufala penosa, subito smascherata da tutti gli osservatori indipendenti: i tank russi spiati dal satellite erano a Rostov, a 50 chilometri dalla frontiera ucraina. Eppure la “notizia” è stata proposta senza pudore al grande pubblico, proprio mentre l’Ue tratta sottobanco perché non vengano chiusi i rubinetti del gas in vista dell’inverno, e la Merkel avverte che con Putin bisogna trovare un accordo e smetterla coi giochi di guerra promossi dalla Nato. Giochi sporchi, nutriti di menzogne e disinformazione, che non accennano a diminuire: chi attacca sono gli Usa, ma i cattivi sono sempre e solo i russi. «C’è qualcosa di davvero inquietante in questa forsennata reiterazione di puerili bugie che l’America e l’Europa, istericamente, rovesciano sulle opinioni pubbliche frastornate dell’Occidente. Smentirle ad una ad una si può senza difficoltà, ma non si può ignorare la tremenda potenza inquinatrice – e preparatoria alla guerra – che esse producono». Per Giulietto Chiesa, questa cortina fumogena sembra «il segno di qualche cosa di molto grave che si prepara».«Avrete notato che del Boeing malaysiano non si parla più?», continua Chiesa su “Pandora.tv”. «Siamo a quasi un mese e mezzo e tutto tace. Se avessero le prove che la colpa è dei russi – come hanno gridato subito, a gran voce, tutti i media occidentali – lo avrebbero tirato fuori, con clamori e sanzioni. Ma non l’hanno fatto. E si avvicina il momento in cui dovranno dire qualcosa. Per esempio che ad abbattere il Boeing è stata l’Ucraina, con quell’ormai famoso aereo che volava attorno al Boeing. Oppure dovranno dire che i dati – delle scatole nere, delle registrazioni tra i controllori a terra ucraini e l’equipaggio – sono andati tutti perduti, “accidentalmente”». A quel punto, tutti finalmente capirebbero, «salvo gli stupidi irrimediabili e i disonesti interessati». L’altra cosa grave, e ormai evidente, è che «Kiev sta perdendo la guerra». Il regime ucraino insediato dal golpe di piazza Maidan «sta subendo una vera e propria disfatta, con una carneficina di soldati e ufficiali di cui Poroshenko e amici dovranno dare conto ai loro cittadini». Disfatta targata Usa e Ue, che quindi «deve essere nascosta agli occhi dei pubblici mondiali», perché «è sconfitta di Obama, sconfitta della Merkel, sconfitta della Polonia e dei baltici». Un disastro «politico, militare, diplomatico».Allora che si fa? «Si moltiplicano freneticamente le bugie». Esempio: «La Russia invade l’Ucraina». Un’altra volta? Ma non l’aveva già invasa? Sono «bugie fragilissime». Se non ci fossero «direttori senza vergogna, come Mauro di “Repubblica” e De Bortoli del “Corriere” (tanto per cogliere due crisantemi dal mazzo), se ne accorgerebbero tutti». Le foto satellitari dell’ultima “invasione” «sono truccate male», e le stesse dichiarazioni di Poroshenko «sono tradotte male». Tutto diventa «senza fondamento», surreale. La Russia “invade” l’Est dell’Ucraina con 1000 uomini? «Ma, suvvia, scherziamo? E come fa una persona intelligente come Federico Rampini a crederci? Non si sono neanche accorti che gli stessi ribelli, attraverso la voce del primo ministro della Repubblica del Donbass, hanno dichiarato che tra di loro ci sono circa 4.000 volontari russi? Hanno bisogno di tirare fuori 1.000 fantasmi inviati da Putin che, peraltro, nemmeno gli osservatori dell’Ocse hanno visto passare?». E’ evidente, al contrario, che Putin in tutti questi mesi «ha puntato a una soluzione diplomatica di un problema non creato da lui».Il presidente russo non ha la minima intenzione di “prendere Kiev”, e nemmeno di “prendersi il Donbass”, continua Giulietto Chiesa. «A Minsk, Putin ha detto chiarissimo che non intende neppure fare il mediatore», affermando testualmente che «la questione è un affare interno dell’Ucraina». Ora, «se i leader europei non fossero degli sciocchi vassalli ricattati, prenderebbero le distanze da questa America che punta alla guerra. Direbbero a Obama che la patata rovente ucraina se le deve prendere in mano lui, che l’ha creata. Non occorre dirgli che è un bugiardo, basta lasciarlo al suo destino. Ma è ovvio che stanno facendo i vassalli». Giulietto Chiesa lancia un appello a Beppe Grillo: «E’ il momento che la gente, in Italia, intervenga. L’unico che può farlo è il M5S». Serve «una manifestazione nazionale per chiedere un cambio di linea», invocato da «un palco di “salvezza nazionale”», dal quale parlino «tutti quelli che ci stanno». Perché «non è questione di dare una spallata: è questione di salvare la nostra pelle, di tutti. Se aspettiamo i “pacifisti” e le sinistre, allora stiamo freschi: i tempi della crisi ucraina precipitano, non c’è tempo da perdere. Troppo pochi sono quelli che capiscono che il pericolo è sempre più vicino».Se l’Italia dorme, una soluzione può venire solo dalla Germania. Lo afferma un altro osservatore internazionale, Pepe Escobar, che sottolinea le parole di Angela Merkel intervistata dalla televisione pubblica “Ard” all’indomani del vertice di Minsk: «Deve essere trovata una soluzione alla crisi Ucraina che non faccia male alla Russia». Ovvero, «ci deve essere un dialogo: ci può essere solo una soluzione politica, non ci sarà una soluzione militare a questo conflitto». Chiaro, no? «Noi [Germania] vogliono avere buone relazioni commerciali con la Russia. Vogliamo relazioni ragionevoli con la Russia. Confidiamo l’un l’altro e ci sono tanti altri conflitti nel mondo in cui dobbiamo lavorare insieme, quindi spero che potremo fare progressi». Tradotto: l’Ucraina non diventerà un avamposto della Nato coi missili puntati su Mosca, perché «quello che dice la Germania, l’Unione Europea lo esegue», scrive Escobar su “Rt”. «In geopolitica, questo significa anche un enorme passo indietro che dovrà fare Washington», nel suo ossessivo «accerchiamento della Russia», in parallelo con «contenimento e accerchiamento della Cina».L’Ucraina è ko, l’economia agonizza in una depressione catastrofica, banche e moneta sono crollate, e qualsiasi fondo in arrivo «servirà solo per pagare i conti in sospeso e per alimentare (sprecandolo) la scricchiolante macchina militare», senza contare che «le condizioni di “aggiustamento strutturale” richieste dal Fmi prevedono un dissanguamento per gli ucraini». Quanto all’Europa, «l’idea che la Ue pagherà le mostruose bollette (energetiche) dell’Ucraina è un mito», perché la Germania ha rallentato la sua crescita proprio a causa dell’interruzione delle relazioni commerciali con Mosca. Per questo sono ripartite le trattative tra Bruxelles e Cremlino, cominciando proprio dal gas: «Il Generale Inverno, ancora una volta, decide ogni guerra». In sostanza, aggiunge Escobar, è l’Unione Europea (non la Russia) a dire al presidente ucraino Petro Poroshenko di «smetterla con questa sua “strategia” perdente di insistere su una lenta pulizia etnica dell’Ucraina orientale». Mosca, peraltro, accetterebbe volentieri «una soluzione di decentramento, che tenga in considerazione gli interessi – e i diritti linguistici – della gente di Donetsk, Lugansk, Odessa, Kharkov», senza che il Cremlino incoraggi nessuna secessione.«Poroshenko, d’altra parte, è il tipico oligarca ucraino che balla in mezzo agli altri oligarchi», continua Escobar: «Ora che è in alto, non vuole rischiare di farsi ammazzare per strada. Ma potrebbe esserlo, se continuerà a fidarsi del sostegno dei neo-nazisti del Pravi Sektor e di Svoboda, perché con loro non si arriverà mai a nessuna soluzione politica». E’ “l’Impero del Caos” a non volerla, una soluzione politica: «Una Ucraina neutrale, economicamente legata sia alla Ue che alla Russia e parte di una integrazione economico-commerciale con tutta l’Eurasia è un anatema». A premere per la guerra è Washington, che finora ha contato sulla Nato. E se la Germania cambiasse linea? «Ogni diplomatico Ue che abbia una coscienza – non ci crederete, ma ne esistono – sa che l’isteria senza fine fondata sul “rischio russo” per l’Europa orientale è un mito spacciato da Washington, che serve solo a rafforzare la Nato». A Bruxelles non è un segreto per nessuno: «I grandi poteri europei, semplicemente, non vogliono che ci siano delle basi permanenti della Nato in Europa orientale. Francia, Italia e Spagna sono decisamente contrari». La Germania? «E’ ancora seduta sul muretto, in attesa di capire bene come non inimicarsi né la Russia né gli Stati Uniti». Se ne parlerà al vertice convocato in Galles: fino a che punto l’Europa “tedesca” continuerà a seguire Obama nelle pericolose provocazioni contro Putin, la cui vittima principale – a cominciare dal gas – è proprio l’Unione Europea?«L’impostazione neoliberale ormai data agli asset, una privatizzazione senza esclusione di colpi e un selvaggio saccheggio a titolo definitivo dell’Ucraina, il tutto travestito da prestiti e “aiuti”, è ormai un processo inarrestabile», scrive Escobar. «Eppure, aver preso il controllo dell’agricoltura e del potenziale energetico dell’Ucraina non sembra essere ancora sufficiente per l’Impero del Caos: vuole indietro anche la Crimea (che in futuro dovrà essere la base Nato di Sebastopoli), vuole schierare un sistema di difesa missilistica in Polonia e nei paesi baltici e poi non gli dispiacerebbe anche che cambiasse il regime in Russia». E poi c’è sempre il volo malese Mh-17: «Se – meglio prima che dopo – si dimostrerà che l’Impero del Caos ha ingannato l’Europa imponendo sanzioni controproducenti, basate su prove più che inconsistenti, l’opinione pubblica tedesca costringerà la Merkel ad agire di conseguenza». Indizi importanti: «La Germania si è mossa in segreto dietro il vertice di Minsk, vediamo ora se si muoverà in segreto anche dietro il prossimo vertice del Galles. Alla fine toccherà alla Germania impedire che la “Guerra Fredda 2.0” divampi ogni giorno di più in tutta Europa».L’invasione della Russia in Ucraina? Una bufala penosa, subito smascherata da tutti gli osservatori indipendenti: i tank russi spiati dal satellite erano a Rostov, a 50 chilometri dalla frontiera ucraina. Eppure la “notizia” è stata proposta senza pudore al grande pubblico, proprio mentre l’Ue tratta sottobanco perché non vengano chiusi i rubinetti del gas in vista dell’inverno, e la Merkel avverte che con Putin bisogna trovare un accordo e smetterla coi giochi di guerra promossi dalla Nato. Giochi sporchi, nutriti di menzogne e disinformazione, che non accennano a diminuire: chi attacca sono gli Usa, ma i cattivi sono sempre e solo i russi. «C’è qualcosa di davvero inquietante in questa forsennata reiterazione di puerili bugie che l’America e l’Europa, istericamente, rovesciano sulle opinioni pubbliche frastornate dell’Occidente. Smentirle ad una ad una si può senza difficoltà, ma non si può ignorare la tremenda potenza inquinatrice – e preparatoria alla guerra – che esse producono». Per Giulietto Chiesa, questa cortina fumogena sembra «il segno di qualche cosa di molto grave che si prepara».
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Meyssan: il Califfato Usa, le trame per rovesciare Putin
Gli Usa hanno organizzato il caos in Medio Oriente creando il Califfato Islamico, cioè l’ultima versione di Al-Qaeda: un pretesto perfetto per riprendere i bombardamenti. Obiettivo: destabilizzare Russia e Cina, agitando le loro popolazioni musulmane. Grande obiettivo americano: imporre il dollaro come moneta unica sul mercato del gas, la fonte energetica del XXI secolo, così come fu per il petrolio. Di qui la doppia offensiva in corso da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele: attacco simultaneo in Iraq, Siria, Libano e Palestina, e offensiva nell’Est Europa per separare Mosca dall’Ue, attraverso la crisi promossa in Ucraina, di cui i media non raccontano le reali proporzioni (entità dei combattimenti, vittime, presenza di militari Usa, mezzo milione di profughi già accolti da Mosca). Nel mirino, scrive Thierry Meyssan, c’è la Russia, ovvero «la principale potenza in grado di guidare la resistenza all’imperialismo anglosassone». Con la Russia si schierano i Brics, protagonisti di una spettacolare contromossa: la creazione di una loro banca in alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, cioè al sistema basato sul dollaro.«Già prima di questo annuncio – rileva Meyssan in un’analisi tradotta da “Megachip” – gli anglosassoni avevano messo in atto la loro risposta: la trasformazione della rete terroristica di Al-Qa’ida in un califfato». Per questo, gli Usa e i loro alleati hanno proseguito la loro offensiva in Siria, espandendola poi contemporaneamente sia in Iraq che in Libano, mentre hanno fallito nell’espulsione di una parte dei palestinesi verso l’Egitto e nel destabilizzare la regione ancor più profondamente. «Infine, si tengono lontani dall’Iran per dare la possibilità al presidente Hassan Rohani di indebolire la corrente anti-imperialista dei Khomeinisti». Due giorni dopo l’annuncio dei Brics, gli Stati Uniti hanno accusato la Russia di aver abbattuto il volo Mh17 della Malaysia Airlines nel Donbass, uccidendo 298 persone. «Su questa base, puramente arbitraria, hanno imposto agli europei di intraprendere una guerra economica contro la Russia». Come fosse un tribunale, l’Ue ha processato e condannato Mosca, «senza alcuna prova e senza darle la possibilità di difendersi», promulgando “sanzioni” contro il sistema finanziario russo.«Consapevole del fatto che i governanti europei non lavorano nell’interesse dei propri popoli, ma di quello degli anglosassoni – prosegue Meyssan – la Russia ha morso il freno e si è trattenuta fino ad ora dall’entrare in guerra in Ucraina. Sostiene con armi e intelligence gli insorti, e accoglie più di 500.000 rifugiati, ma si astiene dall’inviare truppe e dall’entrare nell’ingranaggio. È probabile che non interverrà prima che la grande maggioranza degli ucraini si ribelli al presidente Poroshenko, a costo di entrare nel paese soltanto dopo la la caduta della Repubblica popolare di Donetsk». Di fronte alla guerra economica, aggiunge Meyssan, Mosca ha scelto di rispondere con misure analoghe, ma riguardanti l’agricoltura e non la finanza. «A breve termine, gli altri paesi Brics possono mitigare le conseguenze delle cosiddette “sanzioni”». Poi, a medio e lungo termine, «la Russia si prepara alla guerra e intende ricostruire completamente la sua agricoltura per poter vivere in autarchia».Intanto, Mosca dovrà vedersela con le trame Usa per destabilizzare il Cremlino, a cominciare dalla contestazione mediatica in occasione delle elezioni municipali del 14 settembre. «Considerevoli somme di denaro sono state fornite a tutti i candidati di opposizione nelle circa 30 grandi città interessate, mentre almeno 50.000 agitatori ucraini, mescolati ai rifugiati, si stanno raggruppando a San Pietroburgo». La maggior parte di loro ha doppia cittadinanza, ucraina e russa. «Si tratta chiaramente di replicare nella provincia le proteste che erano seguite alle elezioni a Mosca nel dicembre 2011 – aggiungendoci la violenza – e di impegnare il paese in un processo di “rivoluzione colorata”, al quale una parte dei funzionari e della classe dirigente è favorevole». Per fare questo, spiega Meyssan, Washington ha nominato un nuovo ambasciatore in Russia: John Tefft, lo stesso che aveva preparato la “rivoluzione delle rose” in Georgia e il colpo di stato in Ucraina. Per Putin sarà quindi fondamentale poter contare sul suo primo ministro, Dmitry Medvedev, «che Washington sperava di reclutare per rovesciarlo».Considerando l’imminenza del pericolo, sostiene Meyssan, Mosca sarebbe riuscita a convincere Pechino ad accettare l’adesione dell’India in cambio di quella dell’Iran (ma anche quelle di Pakistan e Mongolia) all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Mossa che «dovrebbe porre fine al conflitto che oppone da secoli India e Cina e impegnarle in una cooperazione militare». Un cambiamento che «metterebbe ugualmente fine alla luna di miele tra Nuova Delhi e Washington, che sperava di allontanare l’India dalla Russia dandole, com’è noto, accesso alle tecnologie nucleari». L’adesione di Nuova Delhi è anche una scommessa sulla sincerità del suo nuovo primo ministro, Narendra Modi. Inoltre, l’adesione dell’Iran – che per Washington è una provocazione – dovrebbe portare russi e cinesi a controllare finalmente i movimenti jihadisti, togliendo agli Usa una decisiva pedina terroristica. L’Iran di Rohani rinncerà dunque a «negoziare una tregua con il “Grande Satana”»? Sarebbe una scommessa sull’autorità del capo supremo della Rivoluzione Islamica, l’ayatollah Ali Khamenei. Di fatto, dice Meyssan, queste gigantesche evoluzioni geopolitiche segnerebbero l’inizio di una spettacolare inversione di rotta, spostando verso Oriente il baricentro del mondo.Gli Usa hanno organizzato il caos in Medio Oriente creando il Califfato Islamico, cioè l’ultima versione di Al-Qaeda: un pretesto perfetto per riprendere i bombardamenti. Obiettivo: destabilizzare Russia e Cina, agitando le loro popolazioni musulmane. Grande obiettivo americano: imporre il dollaro come moneta unica sul mercato del gas, la fonte energetica del XXI secolo, così come fu per il petrolio. Di qui la doppia offensiva in corso da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna e Israele: attacco simultaneo in Iraq, Siria, Libano e Palestina, e offensiva nell’Est Europa per separare Mosca dall’Ue, attraverso la crisi promossa in Ucraina, di cui i media non raccontano le reali proporzioni (entità dei combattimenti, vittime, presenza di militari Usa, mezzo milione di profughi già accolti da Mosca). Nel mirino, scrive Thierry Meyssan, c’è la Russia, ovvero «la principale potenza in grado di guidare la resistenza all’imperialismo anglosassone». Con la Russia si schierano i Brics, protagonisti di una spettacolare contromossa: la creazione di una loro banca in alternativa al Fmi e alla Banca Mondiale, cioè al sistema basato sul dollaro.
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Troika, rottamare l’Italia: a Renzi restano solo 100 giorni
Troppo grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che, nonostante tutto, è ancora la terza economia europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex demoocrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di “Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».Secondo il blog, che per Maria Grazia Bruzzone della “Stampa” ha «occhi sempre aperti sull’Europa», il primo ministro italiano «ha lanciato un messaggio pericoloso: ha rotto la regola numero 3». Non è stato il primo leader nazionale a farlo, e sappiamo quanto salato sia «il prezzo della trasgressione». Il primo fu il premier greco Andreas Papandreou, che ruppe la “regola numero 2” annunciando nell’ottobre 2011 l’intenzione del suo governo di tenere un referendum sul nuovo accordo di salvataggio dell’Eurozona. «In due settimane venne rimpiazzato dall’ex banchiere centrale ed ex “goldmaniano” Lucas Papademos. Come se non bastasse, uscirono indiscrezioni sul fatto che sua madre avrebbe avuto su un conto svizzero 500 milioni di euro non dichiarati. Un prezzo pesante per un momento di coraggio». Il secondo fu l’allora primo ministro Silvio Berlusconi: nel settembre 2011 «osò discutere in incontri privati con leader dell’Eurozona, presumibilmente Merkel e Sarkozy, l’uscita dell’Italia dall’Eurozona». Risultato: «Prima di dicembre Berlusconi era fuori, rimpiazzato dal tecnocrate Mario Monti, già commissario europeo e “goldmaniano” pure lui».Il messaggio agli altri leader era chiaro: non pensate di mettere a repentaglio il Progetto. Da allora, scrive la Bruzzone citando il blog, la disciplina è stata ripristinata e nessun leader ha più osato infrangere le regole. Fino a Renzi. Che nell’intervista al “Financial Times” «ha pericolosamente rotto» la disposizione numero 3, «che impone di non criticare mai le azioni della Troika o dei suoi componenti». Nemici pericolosi: il bersaglio di Renzi, scrive “La Stampa”, era il presidente della Bce Mario Draghi, «il più intoccabile dei membri della Troika (e rappresentante senior di Goldman Sachs in Europa)». La sua chiacchierata fuori dalle righe – continua il post – era l’ultima escalation in una “guerra verbale” scoppiata dopo l’insinuazione (leggi: minaccia) di Draghi verso l’Italia, da commissariare perché caduta in recessione, visto che non ha fatto abbastanza per “riformare” mercato del lavoro, burocrazie e sistema giudiziario. Il risultato è «un clima sfavorevole per gli investimenti».In altre parole, quello di cui l’Italia avrebbe bisogno, per Draghi, è «una bella dose di intervento amministrato dalla Troika, che magari finisca per accelerare la spirale del debito arricchendo gli investitori internazionali». Renzi è sembrato avere altre idee: «Il nostro modello non è la Spagna ma la Germania», ha detto al “Financial Times”. Il blog di Richter ricorda che il premier è arrivato in febbraio promettendo di far uscire l’Italia dalla stagnazione che dura da un decennio. Ma i progressi sono stati lenti: finora si è limitato a togliere 80 euro di tasse ai salari più bassi. Dovrebbe arrivare una riforma della giustizia, ma non ci sono garanzie. E col poco da rivendicare su riforma fiscale e del lavoro, la comunità imprenditoriale si sta innervosendo: temono che Renzi sia solo «un piccolo manager, che punta troppo su un gruppo di amici fidati mentre avrebbe bisogno di consiglieri con esperienza», ha osservato il giornale. Magari alludendo a consiglieri come Carlo Cottarelli, «lo zar della “spending revew”». Un tipo «perfetto, in quel ruolo, dopo una vita al Fmi», dove ha diretto il Dipartimento Affari Fiscali. Ma Cottarelli incontra resistenze: «Spetta a Renzi decidere dove fare i tagli, non a un tecnocrate», ha detto il primo ministro italiano al “Ft” parlando in terza persona.Renzi se l’è presa con le lobby degli affari: «Roma è una città piena di lobbisti. In Italia vige un capitalismo di relazioni. Io non sono parte di quel sistema che ha distrutto il paese. Sono solo col 20% degli italiani che mi hanno votato, con gli 11 milioni che hanno votato il mio partito, e soltanto con loro e con la mia squadra il paese cambierà». Questione di principio, arroganza, ingenuità o un mix di tutto questo? Se lo chiede il blogger arrivando alle conclusioni: «Può essere una frase a effetto da dare in pasto al pubblico, o il prodotto di un calcolo molto astuto: vale a dire che attualmente lui – Renzi – riveste in Europa una posizione molto più forte di quanto molti credano». Motivo: «Come terza economia dell’Ue, la debole performance dell’Italia è un grattacapo per Bruxelles tanto quanto, o anche di più, di quanto lo è per Roma. Con 2 trilioni di debito pubblico – il 133% del Pil – l’Italia non è solo troppo grande per fallire, è troppo grande per essere salvata».«Deporre Renzi – scrive il blog – si rivelerebbe ben più difficile che togliere di mezzo Berlusconi. Dopotutto, anche in un paese che vanta una storia politica moderna come l’Italia quattro leader non eletti in tre anni sarebbero probabilmente un po’ eccessivi: la gente comincerebbe a chiedersi che fine ha fatto la democrazia». Per cui, «se la Troika mirasse a sferrare un altro colpo senza spargimento di sangue, dovrebbe quasi certamente farlo seguire a nuove elezioni». E i maggiori beneficiari della tornata elettorale «potrebbero essere il Pdl di Berlusconi e il M5S di Grillo», cioè «due partiti che non vorrebbero nient’altro che scrivere l’epilogo della breve storia dell’euro». Dunque la Troika «deve per forza riporre eventuali piani nel freezer, almeno per ora». Nel frattempo, «il suo coraggioso (o forse solo pazzo) giovane leader pretende mille giorni per fare i cambiamenti economici e politici che ritiene necessari per il suo paese. Sarà fortunato se ne ottiene cento». Come che sia, conclude “La Stampa”, dopo aver «fatto lo spavaldo» col “Financial Times”, Renzi ha voluto fugare l’impressione di dissapori con la Troika volando subito in elicottero da Draghi e poi incontrando Napolitano. «Sarà anche più forte in Europa di quel che si crede – per mancanza di alternative. Ma è meglio non esagerare».Troppo grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che, nonostante tutto, è ancora la terza economia europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex demoocrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di “Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».
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Pilger: è tutto falso e disumano, ma chi se n’è accorto?
Geopolitica, massacri e guerre promosse dall’Occidente? «Si è realizzato nel modo più soffice il totalitarismo orwelliano, dietro l’illusione dell’“era dell’informazione” e del multiculturalismo». S’impone un’unica visione del mondo, e nessuno protesta: «Figure capaci di esprimere efficacemente un’alternativa radicale» mancano del tutto, oppure «sono sommerse dal frastuono» del mainstream, rileva John Pilger. A teatro, un’opera profetica come “1984” di Orwell viene liquidata come «un pezzo storico: remoto, innocuo, quasi rassicurante». Dunque, «come se Snowden non avesse rivelato niente, se il Grande Fratello non fosse ora una spia digitale, se lo stesso Orwell non avesse mai detto: “Per essere corrotti dal totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario”». Mentre le società avanzate vengono de-politicizzate, i cambiamenti sono sottili e spettacolari. «Nei discorsi di tutti i giorni il linguaggio politico viene capovolto, come profetizzato in “1984”».Lessico reinterpretato: la parola “democrazia” è ormai «una figura retorica», la pace è diventata «guerra perpetua», “globale” significa «imperiale». E il concetto di “riforma”, «un tempo foriero di speranze», nella neo-lingua del 2014 «significa aggressione, perfino distruzione», più o meno come “austerità”, che è «l’imposizione del capitalismo estremo ai poveri e il dono del socialismo ai ricchi: un sistema ingegnoso in cui la maggioranza paga il debito dei pochi». Nelle arti, scrive Pilger in un post ripreso da “Controinformazione”, l’ostilità verso la verità politica è un articolo di fede borghese, come dimostra l’“Observer” che se la prende col “periodo rosso” di Picasso. Suona strano, detto da «un giornale che ha promosso il bagno di sangue in Iraq presentandolo come una crociata liberale». Sicché, «l’opposizione di Picasso al fascismo durante tutta la sua vita è una nota a margine, così come il radicalismo di Orwell». Terry Eagleton, già professore di letteratura inglese all’università di Manchester, considerava che «per la prima volta negli ultimi 200 anni non c’è un eminente poeta, drammaturgo o romanziere britannico pronto a mettere in questione le fondamenta del modo di vita occidentale».Nessuna Mary Shelley che parli dei poveri, nessun William Blake che sforni sogni utopici, nessun Byron che condanni la corruzione della classe dominante, né un Thomas Carlyle o un John Ruskin che rivelino «il disastro morale del capitalismo». William Morris, Oscar Wilde e George Bernard Shaw «non hanno equivalenti al giorno d’oggi». Per Pilger, Harold Pinter fu l’ultimo a far sentire la sua voce. Non c’è più nessuna Virginia Woolf, che descrisse «l’arte di dominare altre persone, di governare, uccidere, acquisire terre e capitali». Sempre a teatro, lo spettacolo “Gran Bretagna” fa satira sullo scandalo delle intercettazioni telefoniche che ha visto alcuni giornalisti processati e condannati, compreso un ex redattore di “News of the World” di Rupert Murdoch. Descritto come «una farsa mordente che inchioda l’intera cultura dei media incestuosi e la ridicolizza senza pietà», ha come bersagli i «beatamente divertenti» personaggi della stampa scandalistica britannica. Ok, ma che dire dei media non scandalistici, «che si considerano rispettabili e credibili e invece svolgono il ruolo parallelo di braccio dello Stato e del potere aziendale, come nella promozione di guerre illegali?».L’inchiesta sulle intercettazioni telefoniche ha fornito uno scorcio su questo argomento tabù: Tony Blair si stava lamentando delle molestie dei tabloid su sua moglie, quando il regista David Lawley-Wakelin chiese che lo stesso Blair fosse arrestato e perseguito per crimini di guerra. «Ci fu una lunga pausa: lo shock della verità». Secondo copione, fu ordinato di cacciare «colui che diceva la verità», con mille scuse al «criminale di guerra». I complici di lunga data di Blair sono più rispettabili di chi intercetta le telefonate, scrive Pilger. Quando la presentatrice artistica della Bbc, Kirsty Wark, lo intervistò riguardo al decennale della sua invasione dell’Iraq, gli regalò un momento che poteva solo sognare: gli permise di angosciarsi della sua «difficile» decisione presa sull’Iraq, «anziché chiamarlo a rispondere del suo crimine epico». Nel nel 2003, la Bbc dichiarò che Blair poteva sentirsi «discolpato», e programmò l’influente serie televisiva “Gli anni di Blair”, per la quale David Aaronovitch fu scelto come scrittore, presentatore e intervistatore. «Quale valletto di Murdoch che aveva promosso gli attacchi militari in Iraq, Libia e Siria, Aaronovitch adulò da esperto». L’accusatore del Processo di Norimberga, Robert Jackson, definì l’invasione dell’Iraq «il crimine internazionale supremo»? Niente paura: «A Blair e al suo portavoce e complice principale, Alastair Campbell, è stato concesso ampio spazio sul “Guardian” per riabilitare la loro reputazione», anche se Blair manovra tuttora in Medio Oriente e lo stesso Campbell è consulente della dittatura militare egiziana.Mentre l’Iraq viene smembrato in conseguenza dell’invasione di Blair e Bush, il “Guardian” titola: “Rovesciare Saddam era giusto, ma ce ne siamo andati troppo presto”. Autore del pezzo: un ex funzionario di Blair, John McTernan, che aveva lavorato anche per il dittatore Iyad Allawi, installato dalla Cia. «Invocando una seconda invasione del paese che il suo ex padrone aveva contribuito a distruggere, non menzionava la morte di almeno 700.000 persone, la fuga di 4 milioni di rifugiati e i conflitti settari in una nazione un tempo fiera della sua tolleranza comunitaria». Per “bilanciare” politicamente il profilo del “Guardian”, Seumas Milne scrisse: «Blair rappresenta la corruzione e la guerra». Peccato che il giorno successivo lo stesso giornale abbia pubblicato a tutta pagina un maxi-annuncio sul caccia stealth F-35, prodotto dalla Lockeed Martin – la stessa azienda, ricorda Pilger, che fabbrica le bombe “di precisione” da 250 chili sganciate sulla popolazione civile in Afghanistan.A un’altra star del mainstream politico, Hillary Clinton, aspirante presidente degli Stati Uniti, il programma “Women’s Hour” della Bbc ha concesso di presentarsi come «un’icona di successo femminile», evitando accuratamente di interrogarla sulla «campagna di terrore della sua amministrazione che usava droni per uccidere donne, uomini e bambini». In effetti, ironizza Pilger, la conduttrice Jenni Murray una «domanda scottante» l’ha posta: la Clinton aveva perdonato Monica Lewinsky per aver avuto una storia con suo marito? Proprio lui, Bill Clinton, che all’epoca del sexgate «stava invadendo Haiti e bombardando i Balcani, l’Africa e l’Iraq». Per inciso, «stava anche distruggendo le vite di bambini iracheni: l’Unicef riportò la morte di mezzo milione di bimbi iracheni al di sotto dei 5 anni, in conseguenza di un embargo guidato da Usa e Gran Bretagna». Tutto normale: «I bambini per i media non erano persone, così come le vittime di Hillary Clinton nelle invasioni che ha supportato e promosso: Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia».In politica, così come nel giornalismo e nelle arti, sembra che il dissenso un tempo tollerato nei media “mainstream” sia regredito a dissidenza, osserva Pilger: negli anni ‘60, era perfettamente accettabile criticare il potere occidentale. Basta leggere i celebri resoconti di James Cameron sull’esplosione della bomba H nell’atollo di Bikini, la guerra barbarica in Corea e il bombardamento americano del Vietnam del Nord. «La grandiosa illusione di oggi è di essere in un’era dell’informazione mentre, in verità, viviamo in un’era dei media in cui l’incessante propaganda delle multinazionali mediatiche è insidiosa, contagiosa, efficace e liberal». Nel suo saggio del 1859, “Sulla libertà”, a cui i moderni liberali porgono omaggio, John Stuart Mill scrisse: «Il dispotismo è una forma di governo legittima nel trattare con i barbari, purché il fine sia il loro miglioramento e i mezzi siano giustificati dall’effettivo ottenere quel fine».I “barbari” erano vaste porzioni di umanità da cui era richiesta “obbedienza implicita”. «E’ un mito simpatico e conveniente che i liberali siano pacifisti e i conservatori guerrafondai», scrisse lo storico Hywel Williams nel 2001. Forse aveva in mente un discorso di Blair in cui l’allora primo ministro prometteva di «riordinare il mondo intorno a noi» secondo i suoi «valori morali». Richard Falk, rispettata autorità in campo di diritto internazionale e inviato speciale Onu in Palestina, una volta ha parlato di «uno scudo legale-morale autoreferenziale e unilaterale, con immagini positive di valori occidentali e di innocenza presentata in pericolo, che giustifica una campagna di sfrenata violenza politica, così largamente accettata da essere praticamente incontrastabile». Su Bbc Radio 4, Razia Iqbal ha intervistato Toni Morrison, la premio Nobel afro-americana: la Morrison si chiedeva come mai la gente fosse «così arrabbiata» con Barack Obama, che era «figo» e desiderava costruire «una forte economia e sanità». Aggiunge Pilger: «La Morrison era fiera di aver parlato al telefono con il suo eroe, che aveva letto uno dei suoi libri e l’aveva invitata alla sua inaugurazione».Né lei né la sua intervistatrice, scrive Pilger, hanno menzionato le 7 guerre di Obama, compresa la sua campagna del terrore con i droni, nella quale sono state assassinate intere famiglie, i loro soccorritori e chi li piangeva. «Quello che sembrava importare era che una uomo di colore “che parlava in modo raffinato” fosse salito ai livelli massimi di potere». In “The Wretched of the Earth” (Gli abietti della Terra) Frantz Fanon scrisse che la «missione storica» dei colonizzati era di fungere da «cinghia di trasmissione» per coloro che governavano e opprimevano. «Ai nostri giorni – aggiunge Pilger – l’impiego delle differenze etniche nei sistemi di potere e propaganda occidentali è visto come essenziale. Obama ne è l’epitomo, sebbene il gabinetto di George W. Bush – la sua banda di guerrafondai – fosse il più multirazziale nella storia presidenziale». Ieri, mentre la città irachena di Mosul veniva presa dai jihadisti dell’Isis, Obama ha affermato: «Il popolo americano ha fatto investimenti e sacrifici enormi per dare agli iracheni l’opportunità di forgiare un destino migliore».Quanto è “figa” questa bugia? E com’era “raffinato” il discorso di Obama all’accademia militare di West Point il 28 maggio sullo «stato del mondo», indirizzato a quanti «assumeranno la leadership americana» in tutto il pianeta. «Gli Stati Uniti – ha detto Obama – useranno la forza militare, unilateralmente se necessario, quando lo richiedono i nostri interessi cruciali. L’opinione internazionale ha importanza, ma l’America non chiederà mai il permesso». Ripudiando il diritto internazionale e i quelli delle nazioni, il presidente americano si presenta come una divinità basata sulla superpotenza della sua nazione. Inequivocabile: «E’ un messaggio famigliare di impunità imperiale». Evocando l’ascesa del fascismo negli anni ‘30, Obama ha aggiunto: «Credo nell’eccezionalismo americano con ogni fibra del mio essere». Lo rimbecca lo storico Norman Pollack: «A chi faceva il passo dell’oca sostituiamo l’apparentemente più innocua militarizzazione della cultura totale. E al posto del leader magniloquente abbiamo il riformatore mancato, allegramente al lavoro, che pianifica ed esegue assassinii mentre sorride tutto il tempo».A febbraio, gli Usa hanno montato uno dei loro golpe “colorati” in Ucraina, con la regia di Victoria Nuland, consigliera alla sicurezza nazionale di Obama, seguita dal vicepresidente Joe Biden e dal direttore della Cia John Brennan, giunti a Kiev per pilotare «le truppe d’assalto per il loro putsch», ovvero «fascisti ucraini». Così, «per la prima volta dal 1945, un partito neonazista apertamente antisemita controlla aree-chiave del potere statale in una capitale europea», senza che nessun leader occidentale abbia aperto bocca. «Dal collasso dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti hanno circondato la Russia con basi militari, bombardieri nucleari e missili come parte del loro progetto di allargamento della Nato». Rinnegando una promessa fatta a Gorbaciov nel 1990, secondo cui la Nato non si sarebbe espansa «un centimetro ad est», di fatto la Nato ha occupato militarmente l’Europa orientale, costituendo – a partire dal Caucaso – «il più grande accumulo militare dalla seconda guerra mondiale». Nel mirino l’adesione di Kiev, e sullo sfondo due operazioni, “Tridente rapido”, con truppe americane e britanniche sul confine russo dell’Ucraina, e “Brezza di mare”, con navi da guerra statunitensi a distanza di avvistamento dai porti russi. «Immaginate la reazione se questi atti di provocazione, o intimidazione, venissero compiuti ai confini americani?».Nel reclamare la russa Crimea, “regalata” all’Ucraina da Nikita Krushev nel 1954 – Mosca si è semplicemente difesa, come sempre: più del 90% della popolazione ha votato per tornare con la Russia, inoltre la Crimea è sede della flotta del Mar Nero, vitale per la marina russa. Putin ha spiazzato «i partiti guerrafondai a Washington e Kiev» esortando i russi di Ucraina ad abbandonare il separatismo? «In modo orwelliano, in Occidente ciò è stato invertito nella “minaccia russa”», e Hillary Clinton «ha paragonato Putin a Hitler». Altro problema: «Senza ironia, commentatori della destra tedesca hanno fatto altrettanto». Peggio ancora: «Nei media, i neonazisti ucraini vengono definiti eufemisticamente “nazionalisti” o “ultra-nazionalisti”». Quello che temono, continua Pilger, è che Putin stia abilmente cercando una soluzione diplomatica, che potrebbe avere successo. Il presidente russo ha chiesto al Parlamento di togliergli i poteri speciali di intervento in Ucraina? Puntuale l’ultimatum di John Kerry: la Russia doveva «agire entro le prossime ore, letteralmente» per far terminare la rivolta nell’est dell’Ucraina.«Nonostante Kerry sia ampiamente riconosciuto come un pagliaccio – sostiene Pilger – il vero scopo di questi “avvertimenti” è di attribuire alla Russia lo stato di paria e di sopprimere le notizie sulla guerra del regime di Kiev al proprio popolo». Un terzo della popolazione dell’Ucraina è russofona e bilingue. «Da tempo desiderano una federazione democratica che rifletta la diversità etnica ucraina e sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è né “separatista” né “ribelle”, ma composta da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria». Il separatismo? «E’ una reazione agli attacchi della giunta di Kiev contro di loro, che hanno causato la fuga di 110.000 rifugiati (stima Onu) verso la Russia. Generalmente, donne e bambini traumatizzati. Come i bambini iracheni vittime dell’embargo, e le donne e ragazze “liberate” dell’Afghanistan, terrorizzate dai signori della guerra della Cia, queste popolazioni dell’Ucraina per i media occidentali non sono persone: la loro sofferenza e le atrocità commesse contro di loro vengono minimizzate o taciute».I media mainstream occidentali non fanno percepire la dimensione della tragedia. L’ultimo libro di Phillip Knightley, “La prima vittima: il corrispondente di guerra come eroe, propagandista e creatore di miti”, ricorda la figura di Morgan Philips Price del “Manchester Guardian”, «l’unico reporter occidentale a restare in Russia durante la rivoluzione del 1917 e a riportare la verità di una disastrosa invasione degli alleati occidentali». Imparziale e coraggioso, Price «da solo disturbò quello che Knightley chiama un “oscuro silenzio” anti-russo in Occidente». I russi restano carne da macello: come i 41 manifestanti bruciati vivi a Odessa nella sede dei sindacati, mentre la polizia ucraina stava a guardare. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella nostra storia nazionale». Ma nei media americani e britannici, l’eccidio venne riportato come «una tragedia opaca», conseguenza di «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti», cioè le persone che raccoglievano le firme per il referendum sull’Ucraina federale.Il “New York Times” lo seppellì, liquidando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi agenti di Washington, mentre il “Wall Street Journal” condannò le vittime: “Mortale incendio ucraino probabilmente innescato dai ribelli, dice il governo”. E Obama si congratulò con la giunta golpista di Kiev – i carnefici – per la «moderazione» dimostrata. Il 28 giugno, il “Guardian” dedicò quasi una pagina alle dichiarazioni del “presidente” del regime di Kiev, l’oligarca Petro Poroshenko. «Di nuovo venne applicata la regola dell’inversione orwelliana». Non c’era alcun colpo di Stato, nessuna guerra contro la minoranza ucraina, la colpa di tutto era dei russi. «Vogliamo modernizzare il mio paese», disse Poroshenko. «Vogliamo introdurre libertà, democrazia e valori europei. A qualcuno questo non piace. A qualcuno non piaciamo per questo». Non una parola, dal reporter del “Guardian”, Luke Harding, sulla strage di Odessa, i bombardamenti sui quartieri, l’uccisione e il rapimento di giornalisti, l’incendio di un giornale di opposizione e la minaccia di Poroshenko di «liberare l’Ucraina dalla feccia e dai parassiti».Il nemico sono i «ribelli», i «militanti», gli «insorti», i «terroristi» e gli agenti del Cremlino. «Ripensate ai fantasmi del Vietnam, del Cile, di Timor Est, dell’Africa meridionale, dell’Iraq: notate le stesse etichette», avverte Pilger. «La Palestina è la calamita di questo immutevole inganno. L’11 luglio, in seguito all’ultimo massacro israeliano a Gaza – 80 persone, compresi 6 bambini in una famiglia – equipaggiato dagli americani, un generale israeliano scrive sul “Guardian”, titolando: “Una necessaria dimostrazione di forza”». Negli anni ‘70 Pilger incontrò Leni Riefenstahl, l’autrice dei film di propaganda che glorificavano il nazismo: usando «in modo rivoluzionario» la cinepresa e le tecniche di illuminazione, la Riefenstahl aveva prodotto «una forma di documentario che aveva ipnotizzato i tedeschi». Un “trionfo della volontà” che ha presumibilmente agevolato il maleficio di Hitler. Domanda: come funziona la propaganda nelle società che si ritengono “superiori”? La replica: i «messaggi» nei suoi film non dipendevano da «ordini dall’alto», ma dal «vuoto sottomesso» della popolazione tedesca. Compresa la borghesia liberale e istruita?, Ma certo: «Chiunque, e naturalmente anche gli intellettuali».Geopolitica, massacri e guerre promosse dall’Occidente? «Si è realizzato nel modo più soffice il totalitarismo orwelliano, dietro l’illusione dell’“era dell’informazione” e del multiculturalismo». S’impone un’unica visione del mondo, e nessuno protesta: «Figure capaci di esprimere efficacemente un’alternativa radicale» mancano del tutto, oppure «sono sommerse dal frastuono» del mainstream, rileva John Pilger. A teatro, un’opera profetica come “1984” di Orwell viene liquidata come «un pezzo storico: remoto, innocuo, quasi rassicurante». Dunque, «come se Snowden non avesse rivelato niente, se il Grande Fratello non fosse ora una spia digitale, se lo stesso Orwell non avesse mai detto: “Per essere corrotti dal totalitarismo non occorre vivere in un paese totalitario”». Mentre le società avanzate vengono de-politicizzate, i cambiamenti sono sottili e spettacolari. «Nei discorsi di tutti i giorni il linguaggio politico viene capovolto, come profetizzato in “1984”».