Archivio del Tag ‘Gran Bretagna’
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Macron: ho paura, i francesi voterebbero per uscire dall’Ue
In un’intervista shock, Macron ammette che la Francia voterebbe per l’uscita dalla Ue, se si tenesse un referendum. In un’intervista alla “Bbc”, il capo dell’Eliseo afferma a sorpresa che un equivalente francese della Brexit avrebbe «probabilmente» condotto allo stesso esito: l’uscita dall’Unione Europea. «La dichiarazione del leader francese suona particolarmente insolita in un momento in cui gli alfieri dell’establishment cercano di rassicurare che c’è “ripresa” e che i “populisti” sono in ritirata», scrive Henry Tougha su “Voci dall’Estero”. «Ma suona insolita anche per la spiegazione esatta e puntuale del problema: l’ipotetico voto per l’uscita dalla Ue sarebbe l’espressione delle classi medie e delle classi lavoratrici che si oppongono a una globalizzazione fatta contro di loro». Quando lo scorso anno Marine Le Pen perse le elezioni presidenziali francesi, ed Emmanuel Macron vinse con ciò che sembrò una valanga di voti, l’establishment tirò un sospiro di sollievo, «non solo perché la celebre euroscettica populista era stata battuta, ma anche perché sembrò che il vento fosse cambiato», scrive “Zero Hedge”. Perciò, dopo un 2016 tumultuoso, il 2017 iniziò con un bel colpo a favore degli eurocrati non-eletti di Bruxelles. «Dopotutto la gente si era espressa e aveva detto di volere più Europa (e più euro), non meno». E invece non è vero, dice oggi Macron: i problemi restano, e anche i francesi “scapperebbero” da Bruxelles.Il presidente francese, scrive “Zero Hedge” in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, ha scioccato tutti in Europa quando ha ammesso che gli elettori francesi voterebbero per uscire dalla Ue se in Francia si tenesse un referendum del tipo “dentro o fuori” sull’appartenenza al blocco di paesi guidati da Bruxelles. «Non sorprende che nessun altro paese Ue abbia messo a rischio la propria appartenenza al blocco tramite un voto pubblico, dopo che la Gran Bretagna ha sorpreso gli altri paesi membri con un voto per l’uscita nel 2016, a dispetto di tutti i sondaggi che mostravano come un esito del genere fosse praticamente impossibile». Durante un’intervista con il giornalista Andrew Marr della “Bbc”, Emmanuel Macron ha ammesso che potrebbe perdere un eventuale referendum francese sull’appartenenza alla Ue. Interpellato sul voto della Brexit, il presidente ha candidamente detto a Marr: «Non sono io a dover giudicare o commentare le decisioni del vostro popolo». Ma, ha aggiunto, «la mia interpretazione è che ci siano molti sconfitti della globalizzazione che hanno improvvisamente deciso che quest’ultima non fa più per loro». Quindi, se la Francia avesse indetto lo stesso referendum, avrebbe avuto lo stesso risultato? «Sì, probabilmente», ha ammesso Macron. «Sì, in un contesto simile».Certo, ha precisato Macron, «abbiamo un contesto molto diverso, in Francia». Ma attenzione: Londra ha divorziato dall’Ue pur non avendo il capestro finanziario dell’euro, né gli stessi vincoli di bilancio della Francia. Quindi, confessa Macron, «avrei dovuto combattere molto duramente per averla vinta», la battaglia per mantenere la Francia nel perimetro di Bruxelles. Spiegazione: «La mia idea è che le classi medie, le classi lavoratrici e i più anziani hanno deciso che ciò che è successo negli ultimi decenni non è andato a loro favore, e che gli aggiustamenti fatti all’interno della Ue non erano a loro favore». Ancora: «Penso che l’organizzazione della Ue sia andata troppo oltre con la libertà ma senza coesione, con la libertà dei mercati ma senza regole». Frasi pesantissime, pronunciate da un ex banchiere del gruppo Rothschild nonché pupillo della supermassoneria eurocratica più reazionaria, incarnata da Jacques Attali. Libertà d’azione illimitata solo per i capitali finanziari, e “carcere duro” per la finanza pubblica, costretta al suicidio dei tagli che hanno messo in ginocchio l’economia reale, le aziende, le società. Macron, l’uomo dell’élite, avverte che il pericolo – per loro, gli oligarchi – è tutt’altro che sparito dai radar: i boss che contano (da Parigi a Berlino, da Francoforte a Bruxelles) hanno paura che ai cittadini venga permesso di votare, per scegliere se restare ancora in questa Europa o se scappare verso la perduta sovranità.In un’intervista shock, Macron ammette che la Francia voterebbe per l’uscita dalla Ue, se si tenesse un referendum. In un’intervista alla “Bbc”, il capo dell’Eliseo afferma a sorpresa che un equivalente francese della Brexit avrebbe «probabilmente» condotto allo stesso esito: l’uscita dall’Unione Europea. «La dichiarazione del leader francese suona particolarmente insolita in un momento in cui gli alfieri dell’establishment cercano di rassicurare che c’è “ripresa” e che i “populisti” sono in ritirata», scrive Henry Tougha su “Voci dall’Estero”. «Ma suona insolita anche per la spiegazione esatta e puntuale del problema: l’ipotetico voto per l’uscita dalla Ue sarebbe l’espressione delle classi medie e delle classi lavoratrici che si oppongono a una globalizzazione fatta contro di loro». Quando lo scorso anno Marine Le Pen perse le elezioni presidenziali francesi, ed Emmanuel Macron vinse con ciò che sembrò una valanga di voti, l’establishment tirò un sospiro di sollievo, «non solo perché la celebre euroscettica populista era stata battuta, ma anche perché sembrò che il vento fosse cambiato», scrive “Zero Hedge”. Perciò, dopo un 2016 tumultuoso, il 2017 iniziò con un bel colpo a favore degli eurocrati non-eletti di Bruxelles. «Dopotutto la gente si era espressa e aveva detto di volere più Europa (e più euro), non meno». E invece non è vero, dice oggi Macron: i problemi restano, e anche i francesi “scapperebbero” da Bruxelles.
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La Cina spende, investe e vola. L’Italia? Finirà fuori dal G8
«L’Italia si è auto-esclusa da ogni chance di sopravvivere nella globalizzazione del III millennio, quindi sappiate con assoluta certezza che perderemo il nostro posto nel G8 fra meno di 10 anni – se non di nome, almeno di fatto». Parola di Paolo Barnard. La Cina, rivela il Mit di Boston, ha scavalcato la Gran Bretagna come meta prestigiosa per gli studenti internazionali, e sta insidiando lo storico podio degli Usa. «Una laurea italiana con 110 e lode, e intesa come speranza d’ingresso a un lavoro da colletto bianco stabile, varrà fra meno di 10 anni come un vecchio gabinetto se non accompagnata da almeno due fattori», secondo Barnard: la conoscenza perfetta del cinese, insieme all’inglese, e conoscenze universitarie in matematica, fisica, biologia o ingegneria informatica «ma conseguite in università straniere». La Brookins Institution di Washington ha condotto forse il più attento studio sulle nuove opportunità di lavoro per noi occidentali, e in sostanza ha concluso che, appunto, «il fattore che deciderà se guadagnerai 1.000 euro al mese o 8.000 non è il tipo di laurea che hai preso e neppure che voto, ma il livello di conoscenze digitali che hai».La “buona” notizia, aggiunge Barnard nel suo blog, è che il flusso migratorio dei ragazzi istruiti, «cioè desiderosi di un futuro fuori dai call center», sta deviando verso Est «a stormi giganteschi». Il presidente cinese Xi Jinping, racconta il giornalista, è in sella al più faraonico progetto economico del III millennio, «avendo buttato, solo come antipasto, 900 miliardi di dollari nella conquista economica globale chiamata La Nuova Via della Seta». Si immagini quindi – nell’era dove le super-tech & Artificial Intelligence (Ai) sono come la scoperta della macchina a vapore nel XVIII secolo – la mole di esperti che la Cina sta cercando per sostenere quel progetto immenso. «Infatti, Pechino ha lanciato il cosiddetto Risveglio Cinese con un primo centro di studio sulle Ai del valore di 2,1 miliardi di dollari». Ma c’è un altro fattore che rende la Cina oggi il posto giusto dove spedire un figlio a studiare, o a cercare un lavoro di prestigio, «ed è che nel solo 2016 qualcosa come 440.000 super-tecnici, docenti universitari, colletti bianchi cinesi cresciuti e arrivati al top in Usa e Canada, sono tornati in Cina a portarvi la crème de la crème del sapere occidentale in diversi campi cruciali. Ed è una fuga di cervelli in continuo aumento».Ma non solo: «La Cina investe con denaro pubblico cifre immani in istruzione superiore ed economia». Di più: «Anche i soldi privati internazionali stanno seguendo il sopraccitato flusso di studenti esteri che mirano a Pechino come terra per il loro futuro». I soldi occidentali vanno là, a cascate: «Cina e sud-est asiatico (cioè Cina al 98%) erano solo pochi anni fa una specie di luogo dove investire 10 dollari per pagare 100 lavoratori a far scarpe da tennis; oggi sono sulla soglia del sorpasso sugli Usa come beneficiari d’investimenti, con un astronomico 71 miliardi di dollari investiti dai “venture capitals” occidentali nel solo 2017. Sommate quel “gruzzolo” a quello che ci mette il Tesoro cinese, e capite perché là i posti di lavoro e le imprese crescono come i batteri nel brodo tiepido». D’altronde, aggiunge Barnard, cosa si aspettavano gli yankees da un paese con 751 milioni di persone che usano Internet, col più affollato social del pianeta che è WeChat, e su cui “Bloomberg” ammette: «Tre delle 5 più ricche startup del mondo sono in Cina, non in California».«Nella Tolemaica, “Travagliata”, fantozziana Italietta dove per davvero la gggènte di ogni sorta e livello crede che “l’Italia è al centro del mondo” solo perché neppure si rende conto che “è l’Italia che resta ferma e tutto il mondo le gira intorno”, io scrivo con un senso d’incurabile disperazione, e scrivo per i vostri figli», dice Barnard, rivolto ai lettori, ai quali racconta di averne appena parlato a Bologna col titolare di un ristorante cinese. «Te lo confesso – gli ha detto il cinese – io venni qui 15 anni fa convinto di fare un figurone con la famiglia in Cina. Oggi mi vergogno a tonare, anche se lo vorrei disperatamente. Perché non posso tornare più povero dei miei amici studenti-contadini che lasciai là».«L’Italia si è auto-esclusa da ogni chance di sopravvivere nella globalizzazione del III millennio, quindi sappiate con assoluta certezza che perderemo il nostro posto nel G8 fra meno di 10 anni – se non di nome, almeno di fatto». Parola di Paolo Barnard. La Cina, rivela il Mit di Boston, ha scavalcato la Gran Bretagna come meta prestigiosa per gli studenti internazionali, e sta insidiando lo storico podio degli Usa. «Una laurea italiana con 110 e lode, e intesa come speranza d’ingresso a un lavoro da colletto bianco stabile, varrà fra meno di 10 anni come un vecchio gabinetto se non accompagnata da almeno due fattori», secondo Barnard: la conoscenza perfetta del cinese, insieme all’inglese, e conoscenze universitarie in matematica, fisica, biologia o ingegneria informatica «ma conseguite in università straniere». La Brookins Institution di Washington ha condotto forse il più attento studio sulle nuove opportunità di lavoro per noi occidentali, e in sostanza ha concluso che, appunto, «il fattore che deciderà se guadagnerai 1.000 euro al mese o 8.000 non è il tipo di laurea che hai preso e neppure che voto, ma il livello di conoscenze digitali che hai».
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Clinton, pedofili al potere: e Trump mobilita il Pentagono
Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dai Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, prove alla mano) hanno il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.«Che i media siano controllati e che si auto-censurino per salvarsi il sedere, lo sa anche un cacciavite», premette. «Ma che due notizie bomba sul presidente della nazione più potente del mondo, e accessibili a tutti, scomparire nel nulla sui maggiori media occidentali, per un ordine di scuderia, questo non lo credevo». Attenti: nei Pentagon Papers, nel Watergate, nell’Iran-Contras, nell’Iraq-gate, i fatti erano occulti. Qui invece «sono pubblici e accessibili da una pensionata, riguardano l’uomo più potente del pianeta, eppure sono stati ‘suicidati’ e sepolti da tutti i grandi media con un accordo e con una sincronia scioccanti». In pratica, «i media non esistono più». Trump è sotto attacco da parte di due “Stati ombra” ben noti: il raggruppamento dei servizi segreti (Cia, Nsa, Nga, Fbi) che va sotto il nome di Shadow Government, e le maggiori corporations coi loro lobbysti che foraggiano il Congresso: Big Oil, Big Pharma, Big Banks, Big Media, Arms Industry e Silicon Valley, che passano sotto il nome di Deep State. Nota per gli scettici: chiunque neghi l’esistenza e i poteri di questi apparati, liquidandoli con la parola “complottismo”, «non ha mai letto una pagina del “New York Times”, del “Washington Post” o sentito di P2 e stragismo in Italia, quindi è un cretino».Donald Trump? Un presidente «incontrollabile, e forse anche mentalmente instabile», ma proprio per questo «ha devastato la sacra tradizione di almeno 70 anni di presidenze americane, dove le politiche reali furono sempre influenzate o truccate da Shadow Government e Deep State, fino alla presidenza Obama inclusa». Conclusione: «Trump va quindi abbattuto. Ma quest’uomo è molto meno fesso di ciò che appare», scrive Barnard. O meglio: «Si è circondato di alcuni dei più brillanti ‘Rasputin’ di tutta la storia moderna». Messo sotto assedio, ha quindi contrattaccato con quei due numeri, 13818 – 82 FR 60839. Premessa: «Donald Trump è sotto una ‘Dresda’ di bombe per abbatterlo», fra cui il presunto accordo-scandalo con Putin per truccare le elezioni 2016, che coinvolge anche la sua famiglia (e la relativa inchiesta è nelle mani dell’implacabile ex direttore dell’Fbi Robert Mueller). Sconta «accuse di grave instabilità mentale da impeachment», apparentemente documentate dall’esplosivo bestseller “Fire and Fury” di Michael Wolff: «Una presunta serie di abusi sessuali ai danni di donne lungo la sua carriera sia da businessman che come politico». Poi c’è una sfilza di accuse a membri del suo governo (Steve Mnuchin, Ryan Zinke, Tom Price) per uso personale di denaro pubblico. «Tutti questi scandali s’appoggiano pesantemente sui poteri e/o sulle spiate dello Shadow Government».Ce n’è a sufficienza per demolire chiunque, osserva Barnard. E Trump, senza quel micidiale documento (che ha firmato il 20 dicembre 2017) sembrava un gigante dai piedi d’argilla. «Non controlla l’Fbi, prima diretta dal suo arci-nemico Comey e oggi da Christopher Wray che a sua volta non controlla l’Fbi». In più Trump «non controlla la Cia, diretta da Mike Pompeo, che a sua volta non controlla la Cia». Di più: «Non controlla la Nsa diretta dall’ammiraglio Michael Rogers, che a sua volta non controlla la Nsa». Donald Trump «non ha nessuna influenza sulla Nga, che gioca un ruolo centrale in tutte le inchieste di massima sicurezza in America». Questo, per quanto riguarda lo Shadow Government. «Poi è troppo ricco per poter essere comprato dal Deep State, che – specialmente con Wall Street e la dirigenza ebraica americana – è lo sponsor principale dei democratici, e di tutti i repubblicani ostili al presidente». Poi, continua Barnard, quattro giorni prima di Natale cade la bomba 13818 – 82 FR 60839. «E, usando un’impareggiabile espressione americana, “the shit hit the fan” (la merda finì nelle pale del ventilatore)». Attenzione: l’ordine esecutivo «è uno degli atti legislativi americani più dirompenti da sessant’anni». Cosa dice? Colpisce con le massime armi – militari, giuridiche e finanziarie – chiunque si renda colpevole di violazioni dei diritti umani e di corruzione, negli Usa e nel mondo».L’ordine esecutivo presidenziale «colpisce anche i governi esteri coinvolti, i loro funzionari, e qualsiasi complice in qualsiasi forma». Di più: «Va a colpire queste infami catene là dove gli fa più male, cioè nei soldi, con il blocco e la confisca dei loro denari, proprietà, titoli, azioni, anche nelle loro forme più maliziosamente nascoste o lontanamente imparentate». Certo, «sappiamo che Trump non è Mandela», e infatti quel decreto è stato scritto «per mitragliare a morte un settore ben preciso delle violazioni dei diritti umani». Nel mirino c’è una piaga indicibile: «Il mercato dei minori per pedofilia, nel bacino più ampio dei trafficanti di persone». Infatti, spiega Barnard, il presidente aveva anticipato questa legge il 23 febbraio 2017 in conferenza stampa, rilanciata dalla “Associated Press”, «dove parlò proprio di traffici umani per pedofilia». Ma perché? «Perché Trump sa bene che questo abominio, l’abuso di minori venduti, sembra aver infettato la maggioranza dei vertici del Deep State, col silenzio dello Shadow Government, e con un presunto forte coinvolgimento di una notissima beneficienza: la Clinton Foundation». Come fa Trump a saperlo? «Da anni ne parla in pubblico un ex pezzo grosso della Cia, più altre fonti autorevoli». Sicché, il suo “executive order” «colpirà proprio i suoi nemici».In questo preciso momento, giura Barnard, «negli Stati Uniti alcuni altissimi nomi stanno tremando, e precisamente dalla mattina del 21 dicembre scorso, quando l’“executive order” 13818 – 82 FR 60839 è stato pubblicato ‘in Gazzetta’ a Washington». Un conrattacco mortale: «Jfk fu ucciso per meno, a quanto sappiamo fino ad oggi. Infatti i ‘Rasputin’ di Trump sapevano che la vita del presidente sarebbe stata immediatamente in pericolo dopo quell’ordine esecutivo». Proprio per questo, infatti, «hanno fatto la pensata di tutte le pensate». Cioè: il ricorso d’emergenza al Pentagono. Nelle prime righe dell’“executive order”, il presidente scrive: «Io perciò decido che i gravi abusi dei diritti umani, e la corruzione, nel mondo costituiscono un’insolita e straordinaria minaccia alla sicurezza nazionale». Notare: le parole “minaccia” e “sicurezza nazionale”, pronunciate dal presidente degli Stati Uniti, «implicano l’immediata mobilitazione di tutto l’esercito americano, cioè del Pentagono. E’ di fatto un preallarme di guerra, e di conseguenza le protezioni intorno al presidente divengono massime. E quando si muove il Pentagono non esiste nulla al mondo, se non un arsenale nucleare straniero, che possa batterlo. Questo è ultra-chiaro a tutti gli apparati di Deep State e Shadow Government, che ora sono in “deep shit”, nella merda fino al collo, per essere chiari».Non è stato un caso che Trump abbia messo nei posti chiave a Washington tre generali, e un ammiraglio a capo dei più potenti 007 degli Usa, sottolinea Barnard. «Abbiamo il generale James “Mad Dog” Mattis come ministro della difesa, il generale John Kelly come White House Chief of Staff e il generale H. R. McMaster come Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Poi, anche se boicottato dai suoi sottoposti, c’è l’ammiraglio Michael Rogers a capo dalla Nsa. Insomma, il Pentagono. Trump sarà anche scemo, ma cosa sia lo Shadow Government lo sapeva benissimo, e si è protetto». Protezioni salva-vita, ora che Trump – per sfuggire all’assedio di cui è vittima – incalza i suoi nemici, capeggiati da Hillary Clinton, con quell’ordine esecutivo concepito «per metterli in un angolo con indagini profonde sul traffico internazionale di minori per pedofilia, in cui sarebbero coinvolti molti vertici Usa del Deep State, inclusi i Clinton, col silenzio dello Shadow Government». “The Donald” lo sta facendo «coprendosi le spalle con l’intero esercito degli Stati Uniti». Del resto, l’argomento toccato è off limits: pedofilia e potere, “non aprite quella porta”. Nessuno aveva mai osato tanto: l’abuso di bambini, nelle alte sfere, è un tabù inaccessibile. Chi tocca, muore.«Esisterebbe dunque un traffico di minori per pedofili di altissimo livello ai vertici del Deep State, inclusi i Clinton», scrive Barnard. «Trump apprende questo da molte fonti, la prima delle quali è l’ex agente e dirigente pluridecorato della Cia Kevin M. Shipp. Costui, senza la fama attribuita al suo collega ‘whistleblower’ Edward Snowden, sta rivelando da anni il livello di marciume criminale che davvero permea lo Shadow Government in America». Shipp è stato esperto di anti-terrorismo, guardia del corpo di due direttori della Cia. Era ai vertici della Counterintelligence, ed è stato citato dal “New York Times” come «veterano della Central Intelligence Agency». In altre parole: «Non è proprio un signor nessuno nello Shadow Government americano». Barnard ricorda che da anni il “Washington Times”, il “New York Post” e l’inglese “Guardian” «riportavano notizie certe sui cosiddetti “Voli Lolita” – cioè voli su un jet privato per orge con minori – organizzati dal miliardario pedofilo Jeffrey Epstein». Per dire: «Bill Clinton, secondo gli atti del processo che condannò Epstein, fu ospite 26 volte su quei voli». Altri nomi di alto rango trovati nell’agenda “nera” del miliardario «furono Tony Blair, Michael Bloomberg, Richard Branson fra molti altri, e i cellulari delle minori schiave del sesso fra cui “Jane Doe N.3”», una ragazzina che negli atti processuali ha dichiarato di «essere stata costretta a rapporti sessuali con diversi politici americani, top businessmen, un premier famosissimo e altri leader internazionali».Nel 2006, continua Barnard, «Epstein fece una grassa donazione alla Clinton Foundation». Nella capitale Usa, la Ong di Conchita Sarnoff, “Alliance to Rescue Victims of Trafficking”, ha decine di files su “potere e pedofilia”. Un incubo? Certo. «Ora, provate a trovare traccia sui grandi media italiani o americani dell’esplosivo affare». Niente: silenzio assoluto sui nomi coinvolti, «come Bill e Hillary Clinton, Robert Mueller, Kevin M. Shipp». Sui media, le espressioni Deep State e Shadow Government neppure compaiono. «Attenti, non parliamo di una legge del Nicaragua, ma del presidente americano più discusso e delegittimato della storia». Silenzio stampa totale: ne accenna il solo “Financial Times”, «ma svuotando tutta la news». Peggio: il 19 gennaio, giunge al Congresso un memorandum «che sembra contenere le prove delle azioni della Clinton, coi soldi del Partito Democratico, col silenzio di Cia ed Fbi, per usare i poteri “tech” della Nsa permessi dalla legge Fisa, sotto la presidenza di Obama… e il tutto per spiare la campagna elettorale di Trump, per corrompere testimoni russi a dire il falso contro il neo-eletto presidente, e con la collusione di Londra».“Fox News” titola: “Molto più grave del Watergate”. Il sito di finanza “Zero Hedge” pubblica all’istante i Tweet di alcuni senatori americani sotto shock, con parole come «questo memorandum manderà a spasso un sacco di gente, al Dipartimento della Giustizia, e certi nomi finiranno in galera», dalla bocca del senatore Matt Gaetz. Roba da invadere le prime pagine di “New York Times” e “Repubblica”, passando per “Cnn”, “Bbc” e “Rai”. «Nulla. Vado su “Fox News”, e in prima non c’è più nulla! Perdo il fiato. Ma lo recupero quando “Zero Hedge” pubblica un Tweet del più autorevole fra gli autorevoli, Edward Snowden, che conferma tutto». Eppure, di nuovo – scrive Barnard – ago e filo «hanno cucito la bocca e le dita di tutto il mondo dei media che contano in un istante, e con un potere di assolutismo che davvero non credevo possibile a questo livello». Ipotesi: «E’ possibile che lo stesso Donald Trump sia parte di questa incredibile congiura del silenzio, per barattare coi suoi nemici e per poterli poi ricattare per anni, ma ciò non cambia la sostanza». Sotto i nostri piedi si sta spalancando un abisso: «Non fate figli», chiosa Barnard.Pedofili al potere, ai massimi vertici. Traffico di bambini, orge con minorenni. Nomi coinvolti? I maggiori, a cominciare dal clan Clinton. Da chi viene la denuncia? Da Donald Trump, che sta cercando di salvarsi – dall’impeachment e forse dall’omicidio, visto che «Kennedy fu ucciso per molto meno». Ma attenzione: mentre il Deep State trema, i grandi media tacciono: congiura del silenzio. Siamo in pericolo, scrive Paolo Barnard: Trump si fa difendere direttamente dal Pentagono, evocando lo stato di guerra, mentre i suoi nemici (accusati di pedofilia, probabilmente ricattabili a vita) hanno comunque il potere di silenziare giornali e televisioni. In altre parole: sta accadendo qualcosa di mai visto, a Washington. Una lotta mortale, tra un presidente sotto assedio e i suoi avversari “mostruosi”. Trump agisce solo per opportunismo, per salvarsi minacciando di spiattellare quello che sa, e che gli hanno rivelato ex funzionari della Cia come Kevin Shipp? Per contro, chi vuole farlo fuori adesso è nel panico da quando il presidente ha contrattaccato «con due numeri»: 13818, cioè l’ordine presidenziale esecutivo, e 82 FR 60839, cioè «il protocollo del medesimo presso l’Us Government Publishing Office». Una mossa “nucleare”, «ma talmente tanto che quegli apparati di potere, Shadow Government e Deep State, faticano a riprendersi». Una storia «agghiacciante», che Barnard ricostruisce nei dettagli.
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Sudditi: la verità che nessuno vuole. E buone elezioni a tutti
Gli slogan elettorali nell’Italia del 2018? Piccoli corvi, che banchettano sui resti di un cadavere. «Voi ora vivete in uno Stato che non esiste più, avete delle leggi che non contano più niente: la vostra sovranità economica non esiste più». La voce sembra quella del vecchio marinaio di Coleridge, che insiste nel raccontare una storia atroce, che nessuno vuole ascoltare: la storia di un naufragio che si trasforma in catastrofe, dove ciascuno tenta disperatamente di sopravvivere a spese degli altri. E’ inaccettabile, il racconto del superstite. Troppo duro da digerire: «Nell’arco di pochi decenni, sono riusciti ad ammazzare la cittadinanza occidentale: eravamo persone capaci di cambiare la propria storia. L’Italia, con un solo partito e una sola televisione, ha fatto divorzio e aborto: eravamo figli del Vaticano ma siamo riusciti a ribaltare il paese». Dov’è finita quell’Italia? Davanti al televisore, ad ascoltare le amenità di Renzi e Grasso, Berlusconi e Di Maio. Di loro si occupano i giornalisti, gli stessi che ignorano l’altro giornalista, quello vero. Il vecchio marinaio. Il folle, l’eretico. L’ostinato reduce che insiste nel raccontare la verità che nessuno vuole sentire. Verità semplice e drammatica: c’è solo una politica in campo, quella del vero potere. E’ il potere antico, quello dei Re. E si è ripreso tutto. Distruggendo cittadini, leggi e Stati.
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I generali: Mussolini deve sparire e morire come Matteotti
«Posdomani Mussolini andrà dal Re, al Quirinale, per la solita udienza. Quando starà per uscire, tu devi farlo scomparire. Hai capito? Devi farlo scomparire com’è scomparso Matteotti: Mussolini va “spedito” senza lasciar traccia, in modo che il Re non dovrà mai sapere nulla dell’accaduto». Così parlò il generale Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore, nelle primissime ore del mattino del fatidico 25 luglio del 1943, giornata che poi si concluderà con la sconfitta del Duce alla riunione d’emergenza del Gran Consiglio del Fascismo. In realtà, riferisce Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, il voltafaccia dei gerarchi fascisti era stato pianificato dallo stesso Mussolini, con l’appoggio di settori massonici. Obiettivo: uscire (fuori tempo massimo) dalla Seconda Guerra Mondiale e dall’abbraccio mortale di Hitler. Galeazzo Ciano avrebbe guidato la futura Repubblica Sociale Italiana, che avrebbe soppiantato la monarchia e voltato le spalle all’altro grande sponsor del fascismo, il Vaticano, con il quale il Duce aveva stipulato i Patti Lateranensi, in cambio del consenso cattolico al regime. Mussolini, scrive Carpeoro, fu tradito dal massone Filippo Naldi, che informò Vittorio Emanuele III e la diplomazia pontificia, la quale a sua volta si affrettò a riferire ai nazisti. E in quelle ore concitate, scrive Lara Pavanetto, erano già in corso prove di golpe da parte dei vertici militari.L’esortazione a far sparire Mussolini, ricevuta dal generale Ambrosio, era rivolta al generale Angelo Cerica, comandante dell’arma dei carabinieri. Anziché riservare al Duce “la stessa fine di Matteotti”, però, il generale Cerica vuotò il sacco – sempre il 25 luglio – con il colonnello Tito Torella di Romagnano, “aiutante di campo” di Vittorio Emanuele III. Il sovrano «apprense così il piano dei suoi generali di rapire e assassinare Mussolini, e si infuriò», racconta Lara Pavanetto sul suo blog. Chi erano i capi militari che avevano ordito il piano? Tra i cospiratori figura il generale Giuseppe Castellano, primo aiutante di Ambrosio: era il più giovane generale dell’esercito, quello che avrebbe poi firmato l’armistizio di Cassibile, il 3 settembre del ‘43, sancendo la resa dell’Italia agli Alleati. Ma il cervello della congiura, sostiene Pavanetto, era il generale Giacomo Carboni, che dopo l’8 settembre sarà accusato della mancata difesa di Roma dai tedeschi. Nato a Reggio Emilia, da padre mazziniano e madre di origine anglo-americana, tra il 1936 e il 1937 svolse una serie di operazioni speciali in Etiopia che lo avvicinarono al Sim, Servizio informazioni militare. «Lo si ricorda soprattutto per aver diretto il Sim nel periodo della cosiddetta “non belligeranza”, fino alla drammatica estate del 1943». Il generale Carboni «fu il regista che aprì e chiuse l’esperienza bellica italiana al fianco dei tedeschi».Su posizioni antitedesche, nei mesi precedenti la dichiarazione di guerra, Giacomo Carboni «mantenne, per conto di Galeazzo Ciano e Pietro Badoglio, relazioni con gli addetti militari di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e redasse rapporti pessimistici sulle capacità militari italiana e germanica». Come scrive Solange Manfredi nel suo saggio “Psyops”, «Carboni era assai vicino a Giuseppe Cambareri, spia-mago-esoterista al servizio degli Alleati». Proprio a Carboni, «Cambareri offrì la sua casa e la sua organizzazione come sede del quartier generale impegnato nella difesa di Roma dopo l’armistizio del 1943». Aggiunge Pavanetto: «Carboni era un conoscitore attento della realtà americana e, in dichiarazioni e scritti, si vanterà più volte di essere stato il primo, tra gli esponenti della fronda militare, a proporre al generale Ambrosio l’adozione di misure energiche contro il Duce». E infatti «ebbe un ruolo essenziale negli avvenimenti che seguirono la caduta di Mussolini». Il 18 agosto 1943 «fu nominato da Badoglio commissario del Sim, carica che mantenne sino alla capitolazione delle forze armate italiane».Sempre Carboni entrò a far parte del Consiglio della Corona, presieduto dal sovrano, cui erano deputate le decisioni politiche più importanti. Vi fece parte assieme a Badoglio, il generale Ambrosio e il capo di stato maggiore dell’esercito, Mario Roatta. Ambrosio affidò a Carboni il comando del corpo d’armata “motocorazzato” per la difesa di Roma dai nazisti. Il 7 settembre 1943, Carboni ricevette due ufficiali americani, Maxwell Taylor e William Gardiner, che gli comunicarono ufficialmente che l’indomani, alle 18.30, doveva essere resa nota l’avvenuta sottoscrizione dell’armistizio. Nel frattempo, si dovevano concordare i particolari dell’Operazione Giant 2 per la difesa della capitale. «Carboni sostenne che lo schieramento italiano non avrebbe potuto resistere più di sei ore alle truppe tedesche». Per decidere su come agire al meglio, lo stesso Carboni e i due ufficiali americani incontrarono Badoglio, e sempre Carboni riuscì a convincere il maresciallo della sua posizione. Badoglio richiese dunque l’annullamento dell’operazione-Roma al generale Eisenhower, che però, irritato dal tira e molla italiano, dalle onde di “Radio Algeri” rese nota la stipula dell’armistizio. Al Consiglio della Corona non restò che ordinare a Badoglio di ufficializzare la capitolazione, ai microfoni dell’“Eiar”.Il 9 settembre, a battaglia in corso e all’insaputa del suo superiore Ambrosio, il generale Roatta ordinò a Carboni di spostare su Tivoli parte del corpo d’armata “motocorazzato” posto a difesa di Roma, le divisioni Ariete e Piave, e di disporre una linea del fronte che escludesse la difesa della capitale. Roatta informò inoltre Carboni che a Tivoli avrebbe ricevuto ulteriori ordini dallo stato maggiore, che si sarebbe provvisoriamente insediato a Carsoli. «Più tardi pervenne a Carboni il formale ordine scritto con il quale lo si nominava anche comandante di tutte le truppe dislocate in Roma». Ma nel frattempo Vittorio Emanuele III e la sua famiglia, il maresciallo Badoglio, i capi di stato maggiore Ambrosio e Roatta e i ministri militari erano già in fuga, alla volta di Brindisi. Carboni raggiunse Tivoli per organizzare le truppe. Non riuscendo a rintracciare Roatta proseguì sino ad Arsoli, dove apprese che la colonna dei sovrani (con Badoglio) era ormai lontana. «Rimase alcune ore ospite del produttore Carlo Ponti, sino a quando il suo aiutante di campo non gli comunicò che l’ordine di Roatta delle ore 5.15 era stato confermato e, pertanto, provvide a riportarsi a Tivoli, dove insediò il suo comando. Nel frattempo, a Roma, in virtù del grado gerarchicamente più elevato, il maresciallo Enrico Caviglia stava procedendo a contattare i tedeschi per la cessazione del fuoco».Nel primo pomeriggio del 9 settembre, Carboni dette ordine alla divisione Granatieri di Sardegna, che stava fronteggiando la 2ª divisione paracadutisti tedesca al Ponte della Magliana, di resistere a oltranza. E chiese alle divisioni Ariete e Piave di predisporsi a sud (per prendere alle spalle la “paracadutisti”) e anche verso nord, tagliando la strada alla 3ª divisione Panzergrenadier che stava sopraggiungendo dalla via Cassia. Mentre ciò avveniva, però, il colonnello Giuseppe di Montezemolo e il generale Giorgio Carlo Calvi di Bergolo, a Frascati, incontravano il comandante tedesco Albert Kesselring, preparando la resa delle truppe di Carboni. Prima di sera, sempre il 9 settembre, fu ordinato ai Granatieri di Sardegna di lasciare il conteso ponte della Magliana, lasciando affluire verso nord le truppe naziste. La mattina del 10, rientrano nella capitale ormai assediata, Carboni scoprì – dai manifesti fatti affiggere dal maresciallo Caviglia – che ormai Roma era in mani tedesche.«Dopo la resa – annota Lara Pavanetto – Carboni fece distruggere buona parte degli archivi del Sim, custoditi nelle due sedi di Forte Braschi e Palazzo Pulcinelli, occultandone una parte superstite nelle catacombe di San Callisto». Nonostante la capitolazione, lo storico Ruggero Zangrandi ritiene il generale Carboni il vero vincitore della “battaglia di Roma”, avendo tenuto impegnate le efficienti divisioni paracadutisti e Panzergrenadier, impenendo loro di ricongiungersi al resto dell’armata germanica nei pressi di Salerno, in modo da permettere agli anglo-americani di effettuare lo sbarco sulla Piana del Sele il 9 settembre. Il generale Carboni, la mente del tentato golpe contro Mussolini, agì sicuramente nell’interesse degli aglo-americani. «Nel giugno 1944 fu spiccato nei suoi confronti un mandato di cattura per la mancata difesa di Roma, ma eluse il provvedimento e si rese latitante grazie alle protezioni dei servizi di intelligence degli Alleati, in particolare l’Oss americano». Più tardi fu processato in contumacia, e il 19 febbraio 1949 fu assolto da ogni accusa per aver adottato «determinazioni indirizzate all’intendimento di arrestare fuori dalle porte della capitale l’invasione ad opera delle forze germaniche».Nel secondo dopoguerra, ricorda Pavanetto, lo stesso Carboni si avvicinò ai partiti della sinistra e fornì loro numerosi elementi di lettura sulla intelligence italiana, dal Sim al Sifar. Nel 1951, un precedente ordine di congedo assoluto emesso nei suoi confronti venne annullato e fu deciso il suo trasferimento nella riserva. Il 25 luglio del ‘43 non era riuscito ad attuare il golpe per eliminare Mussolini, data l’opposizione dei carabinieri? Il destino del Duce, però, era comunque segnato. Uscito sconfitto in piena notte dalla riunione del Gran Consiglio, il capo del fascismo chiese al segretario del partito, Carlo Scorza, di accompagnarlo in auto alla sua residenza romana di Villa Torlonia. Poche ore prima, tramite il generale Cerica dei caraninieri, il Re aveva appreso del tentato golpe militare. Al comandante dell’Arma, il sovrano rispose che avrebbe preso in mano la situazione, ricevendo Mussolini l’indomani, nel pomeriggio del 26 luglio, per chiedergli di dimettersi, cedendo il posto a Badoglio. Tre giorni prima, il 22 luglio, il Re aveva saputo – tramite il genero, Filippo d’Assia – del fallimento dell’incontro di Feltre e della decisione di Hitler: era pronta per l’Italia l’operazione Alarico, pensata nel caso che l’Italia rompesse, unilateralmente, l’alleanza con il Reich.L’operazione prevedeva l’istituzione del controllo militare diretto tedesco sulla penisola, dopo la fuga di notizie sulle ultimissime intenzioni di Mussolini: «Aggregare attorno all’Italia le potenze dell’Asse per imporre con forza alla Germania la pace separata con la Russia». Scrive Pavanetto: «Una parte dei vertici militari tedeschi erano favorevoli, non Hitler». Mussolini aveva messo al corrente il sovrano sulla linea che intendeva seguire, e Vittorio Emanuele III gli aveva inizialmente espresso il suo appoggio. Ma poi, dopo l’ambasciata di Filippo d’Assia, tutto cambiava: non ci sarebbe stato più spazio per nessuna mediazione, la penisola sarebbe stata invasa dai nazisti. Appena dopo i febbrili contatti con l’ambasciata del Giappone, anche Mussolini – dopo il Re – seppe della decisione di Hitler. Lo stesso Vittorio Emanuele III gli riferì del complotto dei generali: anche per questo, forse, l’ex Duce accettò di buon grado la protezione dei carabinieri, senza sapere però che il Re sarebbe poi scappato a Brindisi, con Badoglio, a gambe levate. «Quello che accadde poi lo sappiamo – o meglio, ancora oggi sappiamo solo alcune cose, di sicuro mezze verità», conclude Lara Pavanetto. «Certo la caduta di Mussolini non fu provocata dall’ordine del giorno Grandi, come scritto nei libri di storia e come raccontato nelle fiction televisive».«Posdomani Mussolini andrà dal Re, al Quirinale, per la solita udienza. Quando starà per uscire, tu devi farlo scomparire. Hai capito? Devi farlo scomparire com’è scomparso Matteotti: Mussolini va “spedito” senza lasciar traccia, in modo che il Re non dovrà mai sapere nulla dell’accaduto». Così parlò il generale Vittorio Ambrosio, capo di stato maggiore, nelle primissime ore del mattino del fatidico 25 luglio del 1943, giornata che poi si concluderà con la sconfitta del Duce alla riunione d’emergenza del Gran Consiglio del Fascismo. In realtà, riferisce Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Il compasso, il fascio e la mitra”, il voltafaccia dei gerarchi fascisti era stato pianificato dallo stesso Mussolini, con l’appoggio di settori massonici. Obiettivo: uscire (fuori tempo massimo) dalla Seconda Guerra Mondiale e dall’abbraccio mortale di Hitler. Galeazzo Ciano avrebbe guidato la futura Repubblica Sociale Italiana, che avrebbe soppiantato la monarchia e voltato le spalle all’altro grande sponsor del fascismo, il Vaticano, con il quale il Duce aveva stipulato i Patti Lateranensi, in cambio del consenso cattolico al regime. Mussolini, scrive Carpeoro, fu tradito dal massone Filippo Naldi, che informò Vittorio Emanuele III e la diplomazia pontificia, la quale a sua volta si affrettò a riferire ai nazisti. E in quelle ore concitate, scrive Lara Pavanetto, erano già in corso prove di golpe da parte dei vertici militari.
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Bordin: è la Cina il vero bersaglio della finta rivolta in Iran
Che gli americani sognino di controllare l’Iran lo sanno anche gli eremiti sordi che vivono di pastorizia ai piedi dell’Himalaya. Vicinanza con la Russia, controllo di risorse petrolifere, dominio su turchi e siriani … hiiiii, e quanti motivi ci sono stati nella storia passata e recente per giustificare questo progetto? Troppi per stupirci della finta rivolta in Iran, giunta ormai al sesto giorno senza che vi siano a supporto video e testimonianze convincenti. Da quando il popolo iraniano è riuscito a fare un “cambio di regime” nel ’79, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno aperto le ostilità, con alti e bassi, appoggi esterni e sanzioni, ma da allora non è più finita. Ma alle motivazioni Nato poco sopra citate, se ne è aggiunta in questi mesi una nuova che ritengo quella decisiva: la collaborazione fattiva tra Teheran e Pechino. Pochi sanno, infatti, che è partito un progetto infrastrutturale tra Cina e Iran. Una nuova Via della Seta, come quella che aveva collegato persiani ed estremo oriente nel medioevo. Insomma, il presidente Xi Jinping sta cercando di costruire una rotta commerciale preferenziale per collegare in maniera più efficiente l’Asia all’Europa, come il suo lontanissimo predecessore Qubilai Khan.Gli interessi cinesi. La vecchia Via della Seta aveva il grande vantaggio della stabilità. Le carovane che passavano per Samarcada erano ricche di spezie e di tessuti e viaggiavano tranquille durante la pax mongolica. Poi dopo secoli di sostanziale calma, sono arrivati arabi, Tamerlano e poi gli ottomani e quella via devenne pericolosa, impraticabile e troppo costosa. Insomma, non più conveniente, tanto è vero che gli occidentali preferirono prendere la via del mare per raggiungere l’Oriente senza più passare per la Persia. Oggi, per la Cina, l’Iran è il partner ideale per portare avanti l’ambizioso progetto, bypassando nazioni problematiche come Pakistan e Afghanistan. Per l’Iran, invece, la Cina è importante non solo in quanto primo partner commerciale e generoso importatore di petrolio, ma anche per contrastare l’isolamento cui la comunità internazionale continua a relegarla con la scusa della teocrazia (doppiopesismo con i sauditi fin troppo evidente, qui).Non è certo un caso che il primo capo di Stato straniero che ha visitato l’Iran dopo la cancellazione delle sanzioni voluta da Obama sia stato proprio Xi Jinping, che ha approfittato dell’occasione per impegnarsi a far aumentare l’interscambio commerciale tra le due nazioni. Naturalmente la Cina non fa preferenze e cerca scambi e accordi con tutti, dal Sudan al Perù, ma il Medio Oriente vale doppio, per via della presenza strategica di Israele, Russia e America, come tutti ben sappiamo. Come rovinare il piano sino-iraniano? Ma con una bella instabilità, che diamine! Ed eccoci a queste inaspettate (!) ore di scontri, tra allarmismi, cassonetti della monnezza bruciati e le solite ragazze che si tolgono il velo a favor di Instagram. Fallito al momento il lavoretto ai fianchi della Cina con i colpi andati a vuoto in Corea, ora si tenta un bel gancio al premier Rohani. La prossima scenetta? Si girerà a New York, presso il palazzo di vetro dell’Onu.(Massimo Bordin, “I neocon lavorano la Cina ai fianchi, ora tocca all’Iran”, dal blog “Micidial” del 3 gennaio 2018).Che gli americani sognino di controllare l’Iran lo sanno anche gli eremiti sordi che vivono di pastorizia ai piedi dell’Himalaya. Vicinanza con la Russia, controllo di risorse petrolifere, dominio su turchi e siriani … hiiiii, e quanti motivi ci sono stati nella storia passata e recente per giustificare questo progetto? Troppi per stupirci della finta rivolta in Iran, giunta ormai al sesto giorno senza che vi siano a supporto video e testimonianze convincenti. Da quando il popolo iraniano è riuscito a fare un “cambio di regime” nel ’79, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno aperto le ostilità, con alti e bassi, appoggi esterni e sanzioni, ma da allora non è più finita. Ma alle motivazioni Nato poco sopra citate, se ne è aggiunta in questi mesi una nuova che ritengo quella decisiva: la collaborazione fattiva tra Teheran e Pechino. Pochi sanno, infatti, che è partito un progetto infrastrutturale tra Cina e Iran. Una nuova Via della Seta, come quella che aveva collegato persiani ed estremo oriente nel medioevo. Insomma, il presidente Xi Jinping sta cercando di costruire una rotta commerciale preferenziale per collegare in maniera più efficiente l’Asia all’Europa, come il suo lontanissimo predecessore Qubilai Khan.
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Grimaldi: golpe Cia in corso in Iran, via rivoluzione colorata
«Si è scatenato quello che promette essere un rinnovato tentativo USraeliano, con il conforto saudita e il beneplacito dell’Ue, al cambio violento di regime in Iran, stavolta mettendoci tutto l’impegno dei due terroristi di Stato della cosiddetta “comunità internazionale (leggi Nato), Trump (con lo Stato Profondo Usa) e Netanyahu (sostenuto dalla lobby) e arrivando fino all’aggressione armata, con conseguenze apocalittiche non solo per il Medioriente». Fulvio Grimaldi, per lunghi anni giornalista Rai e autore del documentario “Target Iran”, che racconta la nuova realtà dell’ex Persia affrancatasi dall’Occidente, teme che la guerriglia scatenatasi a Teheran sia l’antipasto dell’ennesima, sanguinosa “rivoluzione colorata” per rovesciare il governo iraniano, che insieme a quello russo si è opposto con successo, in Siria, alla guerra contro Assad organizzata dalla Cia utilizzando i miliziani dell’Isis. «L’anticipazione di questa strategia, lubrificata dallo tsunami di falsità e diffamazioni di cui si incaricano i media mainstream, con particolare efficacia quelli di “sinistra” e la loro clientela di utili idioti e amici del giaguaro imperialista – scrive Grimaldi – la si è avuta nel 2009, al tempo delle elezioni che hanno rinnovato il mandato al migliore, più laico, antimperialista (si ricordi la sua amicizia con Hugo Chavez) e socialmente sensibile presidente iraniano, Mahmud Ahamdinejad».All’epoca, scrive Grimaldi sul suo blog, venne scatenata la sedicente “rivoluzione verde”, dove «settori della borghesia ricca, nostalgica della sanguinaria dittatura del fantoccio occidentale Reza Pahlevi e famelica di neoliberismo per poter sottrarre beni e diritti ai ceti popolari valorizzati da Ahmadinejad, vennero mandati, da agenti infiltrati del terrorismo internazionale, allo scontro con lo Stato». Il pretesto era il solito: «Brogli nella vittoria di Ahamedinejad, riscatto delle donne oppresse da burka e bigottismo patriarcale». Allora, continua Grimaldi, si trattava di ridurre la crescente influenza di Teheran sul cosiddetto “arco scita”, «espressione depistante utilizzata per descrivere governi e popolazioni resistenti all’imperialismo Usa e israeliano, neutralizzare il suo ruolo di prezioso fornitore di gas e petrolio a paesi su cui l’Occidente intende esercitare il dominio energetico, bloccare il modello di emancipazione sociale messo in atto da Ahmadinejad e l’impetuoso sviluppo industriale del paese». Al centro della “sceneggiata” era la presunta volontà di Teheran di dotarsi di armamento atomico, quando la stessa Aiaea, l’agenzia Onu per l’energia atomica, insisteva a dimostrare che lo sviluppo nucleare dell’Iran era dedicato esclusivamente a uso civile, sanitario ed energetico.Con l’avvento del “moderato” Hassan Rouhani, reso possibile dal fatto che il “conservatore” Ahmadinejad non poteva presentarsi per un terzo mandato e che il suo schieramento aveva fronteggiato le elezioni diviso (“moderato” e “conservatore” sono i termini «che i media ci infliggono per designare chi è gradito e chi sgradito all’Occidente»), avviene secondo Grimaldi «l’indecorosa resa, la rivincita dei “quartieri alti” di Teheran, un’offensiva privatizzatrice e, pietra angolare dell’indipendenza o meno del paese, l’accordo sul nucleare con gli Usa che ha privato l’Iran quasi interamente del suo potenziale di nucleare civile». Il che avrebbe dovuto portare alla normalizzazione dei rapporti con Usa e Occidente, alla fine di sanzioni tra le più feroci e genocide mai inflitte, alla pacificazione della regione. Invece, «è sotto gli occhi di tutti a cosa ha portato l’arrendevolezza di Rouhani». Il progetto di “regime change” mancato da Obama, Hillary Clinton e Netanyahu è fallito clamorosamente, ma i nemici dell’Iran non hanno mai mollato la presa, tra fake news e attentati terroristici contro scienziati iraniani e contro la stessa popolazione civile, «affidati a una setta di fuorusciti riparata a Parigi e a Washington e da lì foraggiata e armata: i Mek, Mujahedin del Popolo».A far saltare i nervi al blocco occidentale, aggiunge Grimaldi, è stato il sostegno dato dall’Iran «alla resistenza irachena e iraniana contro Usa, Israele, Nato e loro mercenariato jihadista», nonché «l’impetuosa crescita del suo prestigio e della sua influenza nella regione». E così «siamo ai pogrom di oggi, che annunciano una nuova “rivoluzione verde” che in Occidente si spera risolutrice». Ma che non lo sarà, sostiene sempre Grimaldi, «alla luce dell’unità del popolo iraniano, della sua coscienza politica, del suo patriottismo». Dal giorno in cui la rivoluzione khomeinista ha posto fine alle ingerenze colonialiste e poi imperialiste (si ricordi il colpo di Stato angloamericano contro il premier Mossadeq nel 1952 e la restaurazione imperiale sotto lo Shah), «l’Occidente non ha mai cessato di fornire all’opinione pubblica un quadro grottescamente distorto dell’Iran e dei suoi 80 milioni di abitanti». Oggi, prosegue Grimaldi, «si riparte con la totale falsità di una dittatura, una società oppressa dal clero, una catastrofe economico-sociale, una matrice di terrorismo e instabilità in tutta la regione». Tutto “merito” degli Stati Uniti: «La potenza che s’inventa interferenze russe nelle proprie elezioni, ma che non ha trascurato di intervenire, con tangenti, ricatti, manipolazione di settori sociali, tsunami mediatici e colpi di Stato, in praticamente ogni processo elettorale e genericamente politico dove fosse in gioco il dominio Usa, rinnova l’operazione fallita del 2009: obiettivo, ancora una volta il “regime change” e, in mancanza, l’aggressione, o diretta, o affidata a surrogati».Secondo Grimaldi, le politiche neoliberiste di Rouhani «hanno annullato in parte il progresso delle classi popolari realizzato da Ahmadinejad». Soprattutto, le sanzioni che l’accordo nucleare avrebbe dovuto far sospendere (ma che Trump ha rafforzato) hanno peggiorato le condizioni di vita di vaste masse: aumento dei prezzi di carburanti ed energia, annullamento dei sussidi alimentari, inflazione, crisi del bazar, disoccupazione. «Ed è successo quanto s’è visto e documentato a Kiev, Bengasi in Libia, Deraa in Siria, Caracas». Un copione: «Parte una pacifica rivendicazione di piazza in varie città iraniane, nel giro di ore, secondo un programma dettagliato pubblicato in rete, in varie città spuntano gruppetti di non più di 50 soggetti che, alle richieste di aumenti salariali e altri interventi economici, sovrappongono slogan anti-sistema, contro il governo e, con particolare virulenza contro il “dittatore” Khamenei, che è dittatore quanto lo è il capo di Stato di qualsiasi paese europeo». Se “morte al dittatore” e “morte a Khamenei” ci riportano dritti agli auspici indirizzati a Maduro, Gheddafi o Assad, «l’inconfutabile marchio israeliano risuona nelle imprecazioni contro il ruolo regionale dell’Iran e contro l’impegno per la Palestina, Gaza e il Libano: “Giù le mani dal Medioriente”, “No Gaza”, “No Libano”».Non passano che poche ore e, immancabili, partono colpi di arma da fuoco, non si capisce bene da quale parte (per i media occidentali inconfutabilmente dalla polizia) e cadono le prime vittime. Poi, a tempo scaduto, «escono fuori prove, video, testimonianze e confessioni che attestano la presenza di infiltrati impegnati a sparare sulla folla: su questo aspetto, tuttavia, i mass media appaiono distratti». Intanto, aggiunge Grimaldi, «hanno lucidato le proprie trombe tutti gli squalificatissimi arnesi della cosiddetta “società civile” e dei “diritti umani”, gli scontati travestimenti dell’intelligence imperialista, da Amnesty International a Hrw e alla National Endowment for Democracy, con pesce pilota, da noi, il “Manifesto”, zelantissimo su tutte le campagne delle false sinistre e vere destre internazionali: russofobia, “dittatori”, migranti e Ong sorosiane, molestie, gender, “populisti”, “sovranisti”, “minaccia fascista” incombente (che, per carità, non riguarda mica censura, militarizzazione, securitarismo, bellicismo, colonialismo, guerra ai poveri su entrambi i lati dell’Atlantico)».Una di queste entità, «la Foundation for Defense of Democracies, del talmudista Mark Dubowitz», ha sintetizzato il programma di distruzione dell’Iran, nel plauso del direttore della Cia, Mike Pompeo e del segretario di Stato Tillerson, nei termini di un appello a Trump di lanciare «l’offensiva finale contro il regime di Teheran, indebolendone le finanze attraverso più massicce sanzioni economiche e minandone la direzione attraverso la mobilitazione delle forze pro-democrazia». E il Congresso «ha votato cospicui finanziamenti ai terroristi del Mek, la cui presidente, Maryam Rajavi, non ha perso l’occasione peri incitare “l’eroico popolo dell’Iran” all’assassinio del dittatore Khamenei e alla liberazione dei prigionieri politici». Presto, conclude Grimaldi, emergerà anche una nuova eroina-simbolo della “rivoluzione democratica”, sul modello di Neda Soltan. Ricordate la giovane manifestante di Teheran “uccisa” dagli agenti del regime «di cui, poi, un video dimostrava la finta morte allestita con finto sangue dai suoi compari e un giornale tedesco, la “Sueddeutsche Zeitung”, la “resurrezione” in Germania». Nulla di nuovo sotto il sole: «Solo che questa volta temo che, constatati i propri rovesci in Medio Oriente, grazie anche all’Iran, i veri Stati canaglia vogliano andare fino in fondo. E qui, amici, la controinformazione è vitale».«Si è scatenato quello che promette essere un rinnovato tentativo USraeliano, con il conforto saudita e il beneplacito dell’Ue, al cambio violento di regime in Iran, stavolta mettendoci tutto l’impegno dei due terroristi di Stato della cosiddetta “comunità internazionale (leggi Nato), Trump (con lo Stato Profondo Usa) e Netanyahu (sostenuto dalla lobby) e arrivando fino all’aggressione armata, con conseguenze apocalittiche non solo per il Medioriente». Fulvio Grimaldi, per lunghi anni giornalista Rai e autore del documentario “Target Iran”, che racconta la nuova realtà dell’ex Persia affrancatasi dall’Occidente, teme che la guerriglia scatenatasi a Teheran sia l’antipasto dell’ennesima, sanguinosa “rivoluzione colorata” per rovesciare il governo iraniano, che insieme a quello russo si è opposto con successo, in Siria, alla guerra contro Assad organizzata dalla Cia utilizzando i miliziani dell’Isis. «L’anticipazione di questa strategia, lubrificata dallo tsunami di falsità e diffamazioni di cui si incaricano i media mainstream, con particolare efficacia quelli di “sinistra” e la loro clientela di utili idioti e amici del giaguaro imperialista – scrive Grimaldi – la si è avuta nel 2009, al tempo delle elezioni che hanno rinnovato il mandato al migliore, più laico, antimperialista (si ricordi la sua amicizia con Hugo Chavez) e socialmente sensibile presidente iraniano, Mahmud Ahamdinejad».
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Soldati italiani in Niger, a proteggere l’uranio dei francesi
Soldi e uranio, col rischio di finire in mezzo a una guerra. L’Italia in Niger con 500 soldati, su invito della Francia? Motivo ufficiale: fermare, nel Sahel, la tratta dei migranti e il fondamentalismo islamico. Ma attenzione: il Niger ha appena ottenuto, dalla conferenza parigina dei donatori, un super-finanziamento da 23 miliardi di dollari. Un pacchetto di aiuti, come si dice in gergo, “allo sviluppo e alla sicurezza”, i cui appalti sono destinati a imprese europee. «Di sicuro vedremo quindi imprese italiane su quel campo, per non parlare della fornitura di armi necessaria alla “stabilizzazione”», scrive il blog “Senza Soste”, che mette a fuoco anche l’altra possibile motivazione della strana missione italiana, annunciata da Gentiloni dal ponte di una portaerei. «Il punto è che in Niger, oltre ai 23 miliardi di dollari in aiuti che andranno trasformati in appalti, c’è qualcosa che vale, come sempre, una spedizione militare: qualcosa di serio, come quel tipico prodotto da green economy che è l’uranio». Non è certo una novità: proprio per l’uranio destinato al nucleare fu montato, nel 2002, il caso Nigergate. «In poche parole, si scrive Niger e si legge uranio. Stiamo parlando del quinto produttore di uranio al mondo ma con una popolazione, di venti milioni di persone, stimata tra le dieci più povere del pianeta».In Niger c’è anche Arlit, una delle capitali mondiali della produzione di uranio impoverito, continua il newsmagazine. E’ proprio il pericolosissimo materiale «che provocò la morte dei soldati italiani al ritorno dalle missioni coloniali in Kosovo, Afghanistan e Jugoslavia (340 morti, 4000 malati, una strage silenziata al massimo dai media, con D’Alema e Mattarella, all’epoca ministro della difesa, che in materia negarono l’impossibile)». Ma in Niger, continua “Senza Soste”, «se si scrive uranio si legge Areva, una multinazionale francese a proprietà pubblica, con un proprio distinto grattacielo al quartiere parigino della Défense». Il campo si fa quindi più chiaro: resta in mano francese lo sfuttamento e l’export dell’uranio del Niger, i cui proventi non vanno certo ad una popolazione ben al di sotto del livello di povertà. «L’export di uranio del Niger, oltre a non fruttare niente per il popolo di quel paese e inquinarne pesantemente le acque, fornisce energia per il 50 per cento della popolazione francese». E’ evidente quindi che «lo sviluppo drammaticamente ineguale in Niger è un affare interno della Francia». Ma anche esterno, «perchè nella fornitura di energia atomica in Ue, che è circa un terzo di quella complessiva, l’uranio permette alla Francia di essere la principale produttrice di energia del continente, con una quota del 17,1% sulla produzione totale Ue e davanti a Germania (15,3%) e Regno Unito (in calo, ma al 13,9%)».Così è tutto più chiaro, scrive “Senza Soste”: «Gli scafisti di un paese senza sbocco al mare c’entrano poco, se non come fake news all’amatriciana». L’Italia? Forse potrebbe ricavarne, in cambio, anche una quota di energia. Ma, al netto degli eventuali appalti per Roma – una possibile fetta dei 23 miliardi concessi in “aiuti” – il blog segnala che le nostre truppe saranno inserite in un disegno, interamente francese, di ristrutturazione “coloniale” dell’area, dopo la crisi apertasi nel 2011 per Areva, costretta a rivedere una serie di reattori dopo il disastro giapponese di Fukushima. Il 2011, ricorda la “Bbc”, è anche l’anno del cosiddetto “uranium-gate”, che coinvolge l’Areva in fenomeni di corruzione in Niger, con fondi neri finiti in Russia e in Libano, fuori dal controllo di Parigi. Altro obiettivo, per la Francia: contrastare la presenza della Cina sul terreno: «E visto che in Africa i cinesi non esistono, sul piano militare, non c’è niente di meglio che ristrutturare Areva dall’interno e far valere la propria presenza sul campo in termini di truppe, con l’aiuto dell’Italia». Il rischio? La guerriglia: dopo la sollevazione dei Tuareg che ha minacciato proprio le miniere di uranio, si è già fatta sentire una guerriglia definita “islamista”, che ha già colpito siti francesi nel 2013.«Secondo fonti africane in lingua inglese, la guerra dell’uranio in Niger sembra essere appena cominciata: una guerra con gli Usa che forniscono i droni, mentre la Francia e l’Italia sono sul campo – la prima a difendere i propri interessi diretti, la seconda a supporto», cercando di rimediare appalti o magari una posizione privilegiata nella produzione di energia. Gruppi islamisti? In un articolo seguito all’uccisione di quattro soldati americani nell’area, il “Guardian” parla di gruppi in grado di colpire ma difficili da identificare, «in una delle più remote e caotiche zone di guerra del pianeta». Ed è in questo tipo di zona che la Francia vuol rimettere ordine, con l’aiuto italiano, anche per fronteggiare la minacciosa concorrenza del Kazakhstan, super-produttore di uranio. «Se ne può stare certi: le mosse legate al Niger vedranno un piano di decisione politico, su più capitali dell’Occidente, e uno legato alla situazione sui mercati finanziari. Poi si potrà raccontare degli scafisti, dei progressi contro la guerriglia islamista», a beneficio dei grandi media e del loro pubblico ignaro. Non a caso, è già partito il ritornello degli “aiuti” per fronteggiare la devastante emergenza-siccità che sta flagellando l’area. «Per evitare tragedie nel Sahel, legate alla fuga dai territori, basterebbe intervenire sulle crisi idriche, favorendo le naturali economie locali, e non immaginare di creare fortezze da fantascienza».Se però andiamo a vedere la vastità della crisi idrica che tocca il Niger, aggiunge “Senza Soste”, vediamo che non comprende solo quel paese ma anche tutta la grande fascia sub-sahariana, dalla Mauritania all’Eritrea. E spesso, le zone toccate dalla crisi idrica coincidono con quelle interessate dalla cosiddetta guerriglia islamica: è il caso del Mali, oggetto di intervento francese a inizio 2013. «Parigi interviene, quando la crisi economica e politica precipita, per “stabilizzare” economia e situazione politica del paese e far valere gli interessi francesi. La novità è che, stavolta, interviene anche l’Italia», coinvolta anche nell’intricato dopoguerra in Libia. Riusciranno a pesare sulla crisi, i maxi-appalti in arrivo? «A essere cinici – scrive “Senza Soste” – con 150 milioni annui, e qualche cerimonia militare, l’Italia si dovrebbe garantire un po’ di appalti, per una cifra magari 20 o 30 volte superiore, per le proprie imprese dal settore infrastrutture a quello della fornitura». Secondo Gianandrea Gaiani di “Analisi Difesa”, non è né garantito l’affrancamento dalla subalternità militare a Parigi, già evidenziatosi con la crisi libica del 2011, né il processo di razionalizzazione dei flussi migratori. La politica italiana? Considera “naturale” «l’assenza di qualsiasi visione strategica sull’Africa, continente la cui sinergia tra miseria e boom demografico è ottima candidata ad essere un futuro problema per l’Europa».Soldi e uranio, col rischio di finire in mezzo a una guerra. L’Italia in Niger con 500 soldati, su invito della Francia? Motivo ufficiale: fermare, nel Sahel, la tratta dei migranti e il fondamentalismo islamico. Ma attenzione: il Niger ha appena ottenuto, dalla conferenza parigina dei donatori, un super-finanziamento da 23 miliardi di dollari. Un pacchetto di aiuti, come si dice in gergo, “allo sviluppo e alla sicurezza”, i cui appalti sono destinati a imprese europee. «Di sicuro vedremo quindi imprese italiane su quel campo, per non parlare della fornitura di armi necessaria alla “stabilizzazione”», scrive il blog “Senza Soste”, che mette a fuoco anche l’altra possibile motivazione della strana missione italiana, annunciata da Gentiloni dal ponte di una portaerei. «Il punto è che in Niger, oltre ai 23 miliardi di dollari in aiuti che andranno trasformati in appalti, c’è qualcosa che vale, come sempre, una spedizione militare: qualcosa di serio, come quel tipico prodotto da green economy che è l’uranio». Non è certo una novità: proprio per l’uranio destinato al nucleare fu montato, nel 2002, il caso Nigergate. «In poche parole, si scrive Niger e si legge uranio. Stiamo parlando del quinto produttore di uranio al mondo ma con una popolazione, di venti milioni di persone, stimata tra le dieci più povere del pianeta».
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Bordin: Putin lavora per i russi, cederà il potere a Dyumin
L’Europa del rigore sta distruggendo la classe media? La Russia di Putin sta cercando di costruirne una, per consolidare una base affidabile che nei prossimi anni possa sostitire lo Zar. Lo afferma Massimo Bordin, indignato dalla «macchina del fango russofoba» messa in moto dai veri «campioni di fake news, come “Repubblica”, “Corriere”, “Ansa”», secondo cui il leader dell’opposizione a Putin – Alexei Navalny – non potrà correre per le presidenziali russe del 2018 perchè la commissione elettorale ne ha bloccato la candidatura. Obiettivo della manovra, il solito: demonizzare il capo del Cremlino. Nello sparare la notizia, scrive Bordin sul suo blog, i media mainstream fingono di non sapere che Navalny non è affatto leader dell’opposizione, dato che «la sua importanza nel mondo della politica russa è rilevante come quella di Civati in quella italiana». Quindi è impossibile che Navalny, «ancorchè candidato, potesse minacciare minimamente la leadership di Vladimir Putin». In realtà, «Navalny non è stato candidato perchè ha commesso più reati di Toni Negri, punto». Ma, soprattutto, «quel che non si dice è che finalmente Putin lavora per la costruzione di una vera classe dirigente in Russia, e questo è il reale motivo della sua quarta candidatura». Questa sì che è una notizia: «Putin, infatti, non è stato un mago su tutto, e ha fallito finora nel tentativo di costruire una élite competente e un successore credibile alla sua presidenza».
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Della Luna: tengono in vita l’Italia solo per finire di svuotarla
Il re è nudo ma niente succede. I numerosi scandali e, ultimamente, la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, hanno messo a nudo la realtà della politica e della burocrazia, le sistematiche e trasversali ruberie del regime, la sua strutturale illegalità di funzionamento – e niente succede, la società accetta tutto passivamente. Così come fa la “giustizia”, il popolo non reagisce, accetta ingiustizia e illegalità. Sempre più subisce e non agisce. L’esperienza gli ha insegnato che votare e manifestare è improduttivo. Una ribellione popolare contro il marcio regime è impossibile: il popolo italiano è vecchio e sfiduciato, anche in se stesso, e senza fiducia in se stesso un popolo non organizza una ribellione. E il voto non consente di cambiare, come si dirà. I banksters saccheggiano impuniti il risparmio, mentre autorità di controllo giudiziarie e amministrative chiudono un occhio o due e non agiscono nemmeno dopo il fatto. Il governo, con dentro parenti e amici dei banchieri, li copre e scarica sulla società civile i danni dei loro abusi. Grillo ruggiva dichiarando che il suo movimento avrebbe aperto i palazzi del potere come scatolette di sardine per mettere alla luce del giorno tutte le illegalità, come se ciò potesse suscitare reazioni tali da riformare il sistema. Ma non è così: il sistema continua come prima, e la gente subisce passivamente.E perché stupirsi? La legalità è l’interesse più diffuso, dunque il più disperso, il più debole, quindi il più perdente. E’ un interesse impotente a difendere se stesso. Il popolo è bue perché è popolo, non per altra ragione. Per contro, gli interessi concentrati, dei pochi contro i molti, soprattutto se illeciti e nascosti, sono anche poteri forti, e hanno buon gioco a comprare chi gli serve e a mettere nei posti giusti i loro fiduciari. Gli esponenti del regime italiano vantano oggi una ripresa economica, sia pur da fanalino di coda, ma non dicono che le previsioni per i prossimi 25 anni mostrano il sistema-paese Italia in costante perdita di produttività-competitività rispetto agli altri paesi comunitari e Ocse. Il che comporta che, per competere sui costi di produzione, si dovrà continuare a tagliare i salari reali, i diritti dei lavoratori, le pensioni, gli investimenti, e che in prospettiva l’Italia è spacciata, perché già da 25 anni sta perdendo in produttività comparata, e 50 anni così implicano che il paese non è più vitale. Spacciata, anche perché il governo deve perseguire una politica di saldi primari attivi (cioè togliere con le tasse dalla società più denaro di quanto riversa in essa, nonostante che la società sia in grave carenza di denaro).Altro che virtuosità, risanamento, ripresa: tutto deve andare ai banchieri che prestano i soldi, compresa la proprietà delle aziende. Senza investimenti strategici non vi è recupero di produttività, non vi è fine del declino. Ciò accelererà la fuga di capitali, imprenditori, lavoratori qualificati e cervelli. Questo destino fallimentare è connaturato all’Italia unitaria, a questo Stato voluto e creato dall’estero per servire ed essere sfruttato da potenze straniere, come spiegato in precedenti articoli. Uno Stato sbagliato per composizione, che è stata fatta accozzando nazioni preunitarie troppo diverse tra loro e che perciò non hanno mai legato ma hanno generato una governance parassitaria e incompetente, che sa solo arricchirsi rubando sui trasferimenti dalle aree efficienti a quelle inefficienti, e in generale sulle risorse pubbliche e private. Uno Stato vassallo, in cui la politica è decisa dall’estero e alla classe politica interna, come unico spazio di azione, rimane la competizione-lottizzazione nel saccheggio del cittadino e della spesa pubblica. Non potendo procurarsi consensi con le buone politiche nell’interesse nazionale, i nostri politicanti se li procurano distribuendo privilegi clientelari. Questo è il modo di produzione della legittimazione elettorale in Italia.I potentati stranieri dominanti sostengono e legittimano quelle forze politiche e burocratiche italiane che meglio servono i loro interessi a spese degli italiani (fino a mandare eserciti italiani a combattere servilmente guerre americane e francesi contro gli interessi italiani), consentendo loro in cambio di continuare i loro traffici con piccole banche, appalti truccati. E’ grazie a siffatti rapporti con la partitocrazia e la burocrazia italiane che potentati stranieri hanno acquisito il controllo di (quasi) tutte le imprese di punta e strategiche italiane, nonché della Banca d’Italia e del sistema creditizio. E’ così che il governo ha regolarmente sottoscritto, sotto ricatto di rating, contratti finanziari scientemente rovinosi a vantaggio delle controparti dominanti come Morgan Stanley, con perdite per decine di miliardi – vedasi il commento dell’onorevolele Brunetta all’audizione della dottoressa Cannata in commissione banche, audizione che si è cercato di mettere in ombra col polverone sulle dichiarazioni del presidente di Consob Giuseppe Vegas alla medesima commissione sul caso Etruria-Boschi, tacendo sul ministro e sugli alti dirigenti del Tesoro che sono poi passati a Morgan Stanley.Un simile Stato, come apparato, non può vivere se non attraverso una corruzione sistemica, quindi intessuta nelle istituzioni anche di controllo (le campagne di lotta contro la corruzione, ovviamente, sono una presa per i fondelli). I suoi partiti politici sono galassie di comitati di affari dediti ad operazioni illecite o quantomeno scorrette. Le rispettive segreterie fanno da organo di coordinamento tra tali comitati, e di ricezione delle richieste di interessi stranieri (talvolta anche nazionali) dominanti. Che forza avrebbero i partiti di potere se non gestissero (clientelarmente) appalti, crediti, assunzioni, licenze? Nessuna. I partiti che si staccano da quelli di potere per perseguire ideali sociali e di giustizia, sistematicamente, si spengono; non sono vitali, sebbene abbiano talora ottime idee e grande onestà, proprio perché non si portano dietro alcuna fetta di spesa pubblica, alcuna risorsa clientelare. Laddove vi sono seri interessi in gioco, le leggi, anche dagli organi di controllo e giustizia, sono osservate solo marginalmente, soprattutto per mantenere una minima facciata di legittimità agli occhi della gente comune.In realtà, vi è una netta divisione tra chi è soggetto alla legge e chi sta sopra di essa e la usa sugli altri per schiacciarli e spremerli. Il potere pubblico è inteso come proprietà privata, come diritto di passare sopra le regole e di togliere diritti agli altri, cioè di derogare alla legalità. Adesso, in campagna elettorale, è inevitabile che i partiti millantino, ciascuno, di avere la capacità e la volontà di salvare il paese e di combattere la corruzione. Lo afferma quella (pseudo) sinistra che è stata l’esecutore più attivo e fedele degli interessi stranieri, che più ha collaborato nel sottomettere ad essi tutto il paese, nello spremerlo per arricchire gli squali della finanza predona, nel sabotare l’economia e l’ordine pubblico, nell’imporre un pensiero e un linguaggio unico che impedissero persino di descrivere ciò che essa stava e sta perpetrando. Poi abbiamo un Berlusconi, proprietario del principale partito del centrodestra, che ha sempre usato i voti di chi gli dava fiducia per sostenere la linea della (pseudo) sinistra e della Germania, persino il rovinoso governo Monti, al fine di difendere i propri interessi aziendali e processuali – un Berlusconi da sempre condizionabile mediante attacchi giudiziari che scattano quando serve.Abbiamo una Lega con analisi e propositi condivisibili, la quale un tempo era indipendentista e ora non lo è più, almeno nelle dichiarazioni, e si propone come tutrice degli interessi nazionali pan-italiani entro un’Ue e un euro in cui vuole rimanere. Purtroppo, sino ad ora, su scala nazionale, la Lega ha realizzato niente o quasi dei suoi programmi, pur essendo stata a lungo al governo. Abbiamo infine una M5S che conta numerosi esponenti validi, coraggiosi e liberamente agenti, ma i cui titolari – quelli che enunciano che “uno vale uno” – non si sa che mete abbiano e che interessi incarnino, anche se appaiono significativi legami con gli Usa. Abbiamo infine una nuova, furbesca legge elettorale, che lascia nelle mani delle segreterie (negandole agli elettori) non solo la scelta dei parlamentari, ma anche la decisione sul nuovo governo: una legge tipicamente partitocratica. No, signori miei, non illudetevi: il processo di disfacimento e la parassitosi maligna interna ed esterna continueranno più saldamente che mai, con la Bce che sosterrà il debito pubblico, differendo il collasso, per consentire di portare a compimento il piano di trasferimento delle risorse del paese. Niente cambierà con le prossime elezioni. L’unico cambiamento possibile e concreto lo realizza chi emigra.(Marco Della Luna, Il Re è nudo ma niente succede, dal blog di Della Luna del 17 dicembre 2017).Il re è nudo ma niente succede. I numerosi scandali e, ultimamente, la commissione parlamentare di inchiesta sulle banche, hanno messo a nudo la realtà della politica e della burocrazia, le sistematiche e trasversali ruberie del regime, la sua strutturale illegalità di funzionamento – e niente succede, la società accetta tutto passivamente. Così come fa la “giustizia”, il popolo non reagisce, accetta ingiustizia e illegalità. Sempre più subisce e non agisce. L’esperienza gli ha insegnato che votare e manifestare è improduttivo. Una ribellione popolare contro il marcio regime è impossibile: il popolo italiano è vecchio e sfiduciato, anche in se stesso, e senza fiducia in se stesso un popolo non organizza una ribellione. E il voto non consente di cambiare, come si dirà. I banksters saccheggiano impuniti il risparmio, mentre autorità di controllo giudiziarie e amministrative chiudono un occhio o due e non agiscono nemmeno dopo il fatto. Il governo, con dentro parenti e amici dei banchieri, li copre e scarica sulla società civile i danni dei loro abusi. Grillo ruggiva dichiarando che il suo movimento avrebbe aperto i palazzi del potere come scatolette di sardine per mettere alla luce del giorno tutte le illegalità, come se ciò potesse suscitare reazioni tali da riformare il sistema. Ma non è così: il sistema continua come prima, e la gente subisce passivamente.
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Michele Proclamato: i segni del Dio che ci parla, da sempre
Ogni volta che posso, ricordo con piacere a chi mi avvicina che “Il Genio Sonico” è un libro, tra quelli che ho scritto, molto particolare: vale la pena di essere letto, poiché dimostra, anche attraverso immagini chiare e ben precise, come e quanto uno dei maestri ufficiali della scienza e della tecnica utilizzasse in tutte le sue opere il sapere dell’Ottava. Ho provato sulla mia pelle come, in Italia, determinati personaggi siano stati cooptati dall’ufficialità, tanto da non permettere nessun altro tipo di interpretazione al vero senso della loro stupefacente e immensa opera creativa. A meno che l’input conoscitivo, spesso molto sbiadito e discutibile, ma sorretto da una campagna pubblicitaria ineccepibile per mezzi e bibliografia, non arrivi dall’estero. Io ho dimostrato che, per creare, Leonardo da Vinci usava il sapere senza tempo, posto per ultimo all’interno dei Cerchi nel Grano, ma magistralmente utilizzato, a determinati livelli, da tutte le civiltà del passato, fino ad arrivare, grazie a personalità uniche, a tutto il Rinascimento. Eppure, nessuna associazione che si professa dedita alla diffusione della sua opera ha avuto il coraggio di invitarmi, quantomeno a un contraddittorio, auspicato e auspicabile ai fini della comprensione.Altra cosa è parlare del mio libro “Quando le stelle fanno l’amore”, dove occuparsi di uno scienziato capace di trasformare in equazioni insuperabili i suggerimenti onirici di una dea indiana è stato, come dire, veramente interessante e coinvolgente. Ma soprattutto, l’essermi occupato di processi cognitivi non formali e di “intuizione”, mi ha fornito lo spunto per poter affrontare con grandissimo interesse la mia nuova fatica dedicata a Giordano Bruno, forse il più grande rappresentante del “mio” sapere. Sostanzialmente, attraverso l’Ottava, posso occuparmi di quasi tutto, con la coscienza di chi sa che sulla Terra di segreti non ce ne sono molti: anzi, probabilmente solo uno, che volendo si potrebbe riassumere con soli due numeri: 5 e 8. Cosa mi ha spinto ad affrontare in un certo modo questi argomenti anche spirituali? Forse la voglia di possedere una verità che potesse soddisfarmi, che potesse dare alla mia vita un senso migliore, più nobile, capace di rendere ogni mia giornata degna di essere vissuta, al di fuori da una realtà oggi per me completamente indegna. Ma probabilmente non direi esattamente il vero, se non ammettessi che, nel momento in cui osservai per la prima volta il Rosone di Collemaggio, “qualcuno” con un’arma insuperabile, non mi avesse aiutato a scegliere la mia nuova vita.Sapete, una volta anche in Occidente si credeva agli dèi, alla loro presenza e al loro operato, e fra questi uno era particolarmente indicato per creare nuove strade, attraverso l’amore. Ebbene, Cupido con me si è comportato, come sempre, in modo piuttosto dispettoso: prima mi ha fatto innamorare di una meravigliosa frequenza in pietra, posta sulla facciata di una basilica unica. Poi ho capito che quell’amore era diretto a Dio. E così oggi so che l’Ottava non è altro che la codifica di una creazione divina, dove non c’è posto per le civiltà incapaci di creare senza distruggere. La codifica del Rosone di Collemaggio e del suo Labirinto, il sapere dell’Ottava, Celestino V, Giordano Bruno. E ancora: Pitagora, i cinque intervalli di quinta, la lista dei Re sumerica, i numeri di Fibonacci e lo zodiaco di Dendera. Qual è il filo conduttore che lega questi grandi pensatori ed opere che si distanziano tra di loro di millenni? Tutti questi popoli e grandi pensatori sapevano che il suono, il numero, la geometria, il tempo, la luce, il movimento, il colore e il calore, ma soprattutto la forma, sono tutte espressioni del pensiero divino. Tutti sapevano che la realtà è “puro pensiero divino vivente”, cimaticamente concepito in modo geometrico, ma spiralicamente in grado di diventare realtà.L’Ottava è questo: è la codifica della “mente di Dio”, una mente dotata di enorme immaginazione e intuito, temperata da un ordine. E’ puro Dna codificato e donato a noi, in tempi imprecisati e imprecisabili, utile a creare qualsiasi cosa, a tutti i livelli dello sviluppo umano. E’ chiaramente qualcosa che va oltre le possibilità umane. Quale potrebbe essere il collegamento tra la Basilica di Collemaggio, Celestino V e i Templari in un quadro gnostico? Vi dico solo questo: a Collemaggio c’è un labirinto fatto dalle tre Ottave; intorno ad esse sono disposti 6 Graal, e per Graal ne intendo davvero l’immagine più classica. Secondo voi, Celestino V, che volle e costruì la basilica dove sarebbe diventato Papa, avrebbe disposto per caso, intorno a tre 8, un simbolo del sapere assoluto come il Graal? E, visti i suoi contatti con i Templari, questi ultimi, data la loro storia, potevano non sapere che l’uomo da sempre dispone di una “scienza” in grado di creare civiltà? Tutti, a certi livelli, sapevano. Hanno sempre saputo e hanno bramato il “segreto dell’Ottava”: ovunque, in tutto il mondo. Le piramidi egizie sono state fatte da una civiltà che nulla ha a che fare con le nostre, anche se millenarie. Una civiltà in grado di utilizzare la scienza platonica, di cui sono una delle più lampanti dimostrazioni.Cosa penso del prossimo futuro? L’uomo, in qualsiasi momento, può e potrà cambiare il suo destino, poiché i modi con cui l’universo dialoga con lui sono molti, diretti e indiretti. Dialoga in modo diretto, quando suoi figli “altri”, qui da sempre, tanto si danno da fare per proteggere il pianeta, anche attraverso “cerotti” di migliaia di metri quadri, volgarmente chiamati Cerchi nel Grano: veri e propri talismani, in grado di curare un essere umiliato e ferito come il nostro pianeta e di risvegliare migliaia di persone al sapere degli dèi. In modo indiretto dialoga quando, psichicamente, interviene su di noi, per esempio attraverso un semplice sogno fatto da una sintesi numerica ben precisa, come può essere questa: 8 – 12 – 24 – 36 – 48 – 72, eccetera, in grado di mettere in moto l’anima di tutti, verso un Dio e delle civiltà che per noi trepidano, operano e si disperano da millenni. Il problema, oggi, non è posto nel numero-soglia ottenibile, bensì nel tempo che ci resta per ottenerlo.David Wilcock e Nassim Haramein sono due studiosi che sanno collaborare, utilizzando ogni strada utile per ottenere il sapere con magnifici risultati conoscitivi. Ma, come al solito, noi in Italia esprimiamo singolarmente delle capacità di apprendimento non formale a volte superiori alle loro. Il tutto, però, viene vanificato dalla lingua e dal nostro assurdo provincialismo autodistruttivo. L’Italia è una terra unica, speciale: lo è sempre stata, a tutti i livelli. E se le prossime generazioni riusciranno a “cambiare canale”, forse potremo ancora esprimere personalità speciali e invidiate da tutto il mondo, come un tempo. Era dell’Acquario, inversione dei poli magnetici, precessione degli equinozi, profezie Hopi, calendario Maya… L’uomo sta già cambiando, e queste date e ricorrenze precessionali, che ciclicamente si ripresentano, non solo altro che trampolini disponibili all’uso di chi vuole un livello di autocoscienza superiore, sostenuto dai meccanismi stessi di rinnovamento universale. Ma le cose non succedono per tutti a allo stesso modo, alcuni uomini saranno sempre più consci della loro appartenenza, divina e non. Il nostro Dna è preparato a questo e altro: siamo stati creati per appartenere a questo cosmo e ai suoi compleanni solari, tutto qui. Altre interpretazioni, spesso ingiustamente catastrofiche, servono solo a “vendere”.Ho scritto “La storia millenaria dei cerchi nel grano”, attraverso il quale faccio passare il messaggio della loro presenza da sempre. Qual è la loro origine e perchè da sempre la vita degli esseri umani è accompagnata da questi fenomeni? Capiamoci. Il “sapere” dei cerchi è sempre stato sulla Terra. Si è espresso in migliaia di modi, creando civiltà, cultura, tecnologia, arte e spiritualità. La sua origine è quanto di più enigmatico e lontano si possa concepire, a meno che non si eccepisca una costante presenza “altra”, di una o più civiltà, in grado di domare il tempo, codificare Dio, superare con successo la dicotomia scienza–spiritualità e…viaggiare. La pseudoscienza cimatica? L’ho definita così, perché ufficialmente la cimatica non è diventata una scienza. Vero è che può darci un’idea di come un essere androgino possa geometricamente prepararsi a diventare tutto, attraverso 8 frequenze temporali ben precise. Il pianeta Nibiru? Posso solo dire che riuscii a codificare il Rosone di Collemaggio attraverso il Piatto del Pinches, un reperto di cui Sitchin parlava con dovizia di particolari, proprio nell’ambito della tecnologia mesopotamica, secondo lui di chiara provenienza Anunnaki.Molti pensatori, come Edgar Cayce e Gustavo Rol, anche definiti chiaroveggenti, hanno da sempre sostenuto che il pianeta Terra ha una sua memoria, una vibrazione energetica fatta di ricordi ove tutto è registrato. In questa memoria, definita Akascica, si sostiene sia possibile leggere tutto ciò che è avvenuto dal momento della creazione. Giordano Bruno definiva i pianeti e le stelle “animali”, poiché dotati di anima. Quindi, esseri dotati di un’anima e di un livello di autocoscienza simile a quello di un pianeta, hanno tutti i numeri per avere anche una memoria trasmissibile a degli esseri come noi che, chiaramente, si dimostrano inferiori al loro stato animico. L’Akasha può esistere: è trasmissibile a livello planetario e universale. Viviamo in modo frattale in un immenso essere vivente – capace esprimersi, come noi, attraverso tutta una serie di capacità mentali. Ci si può aiutare a vivere diversamente, frequentando luoghi preposti da secoli alla crescita dell‘animo. Oggi ci siamo dimenticati di come il simbolo, il numero, l’immaginazione, l’intuito, possano diventare un modo per rapportarsi con luoghi in grado di parlare “la lingua di Dio”. Vogliamo vivere diversamente? Io conosco solo un modo. Ho amato e riamato una basilica nella quale la geometria ancora integra di un pavimento sussurrò al mio intuito come tutto, intorno a noi, è vivo e parlante. E come nulla, davvero nulla, sia stato fatto per caso, nel creato. Quel sussurro silente, per alcuni attimi, mi ha permesso di “smettere di pensare”. E finalmente mi ha dato il modo di “essere” – ora, adesso – seguendo una cosa sola: “La luce, che tutte le conosceneze contiene”.(Michele Proclamato, dichiarazioni rilasciate alla redazione di “Altrogiornale” in un post ripreso da “La Crepa nel Muro” il 12 dicembre 2017).Ogni volta che posso, ricordo con piacere a chi mi avvicina che “Il Genio Sonico” è un libro, tra quelli che ho scritto, molto particolare: vale la pena di essere letto, poiché dimostra, anche attraverso immagini chiare e ben precise, come e quanto uno dei maestri ufficiali della scienza e della tecnica utilizzasse in tutte le sue opere il sapere dell’Ottava. Ho provato sulla mia pelle come, in Italia, determinati personaggi siano stati cooptati dall’ufficialità, tanto da non permettere nessun altro tipo di interpretazione al vero senso della loro stupefacente e immensa opera creativa. A meno che l’input conoscitivo, spesso molto sbiadito e discutibile, ma sorretto da una campagna pubblicitaria ineccepibile per mezzi e bibliografia, non arrivi dall’estero. Io ho dimostrato che, per creare, Leonardo da Vinci usava il sapere senza tempo, posto per ultimo all’interno dei Cerchi nel Grano, ma magistralmente utilizzato, a determinati livelli, da tutte le civiltà del passato, fino ad arrivare, grazie a personalità uniche, a tutto il Rinascimento. Eppure, nessuna associazione che si professa dedita alla diffusione della sua opera ha avuto il coraggio di invitarmi, quantomeno a un contraddittorio, auspicato e auspicabile ai fini della comprensione.
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Israele in Patagonia, coi soldi inglesi. E quel sommergibile
Perché un miliardario britannico Joe Lewis sta acquistando terre in Patagonia, dove Israle sta mandando “in vacanza” migliaia di soldati, proprio di fronte al mare – affacciato sull’Antartide – dove è scomparso il sommergibile argentino San Juan, alle prese con una imprecisata “missione segreta” di cui però gli inglesi erano al corrente? Se lo domanda un giornista internazionale come Thierry Meyssan, di stanza in Libano: «Probabilmente il San Juan è esploso: la stampa argentina è convinta che abbia urtato una mina o sia stato distrutto da missile nemico». E gli immensi territori in via di acquisizione sud dell’Argentina e anche nel vicino Cile? Per il momento, ragiona Meyssan, «è impossibile stabilire se Israele abbia avviato un programma di sfruttamento dell’Antartide o se stia costruendo una base in cui ripiegare in caso di disfatta in Palestina». Ma il reporter si interroga sulle possibili connessioni “invisibili” che sembrano legare Patagonia e Antartide, Tel Aviv e Londra, la guerra in Siria e la strana sparizione del sottomarino, scomparso (in fondo al mare?) dopo l’ultima comunicazione con la terraferma, il 15 novembre, con a bordo 44 marinai.Nel XIX secolo, ricorda Meyssan su “Rete Voltaire” in un post ripreso da “Megachip”, il governo britannico era indeciso se istallare lo Stato di Israele nell’attuale Uganda, in Argentina o in Palestina. «All’epoca l’Argentina era controllata dal Regno Unito e, per iniziativa del barone francese Maurice de Hirsch, era diventata terra di accoglienza per gli ebrei che fuggivano dai pogrom dell’Europa centrale». Nel XX secolo, dopo il colpo di Stato militare contro il generale Juan Domingo Peron, presidente democraticamente eletto, nelle forze armate si affermò una corrente antisemita: «Questa fazione dell’esercito diffuse una brochure in cui accusava il nuovo Stato d’Israele di preparare un’invasione della Patagonia, il Piano Andinia». Oggi emerge che, «nonostante l’esagerazione dei fatti dell’estrema destra degli anni ’70», esisteva davvero un progetto di insediamento (e non di invasione) in Patagonia, sottolinea Meyssan. «Tutto cambiò con la guerra delle Malvine del 1982, quando la giunta militare argentina tentò di rientrare in possesso delle isole Malvine, della Georgia del Sud e del Sandwich del Sud, territori dal suo punto di vista occupati da un secolo e mezzo dai britannici».L’Onu riconobbe la legittimità della rivendicazione dell’Argentina, ma il Consiglio di Sicurezza ne condannò il ricorso alla forza al fine di recuperare i territori contesi. «La posta in gioco era considerevole», spiega il giornalista francese, «perché le acque territoriali di questi arcipelaghi danno accesso alle ricchezze del continente antartico». Alla fine della guerra delle Malvine, che fece oltre un migliaio di morti (i numeri ufficiali britannici sono di molto inferiori), Londra impose a Buenos Aires un trattato di pace particolarmente duro, che riduceva al minimo le forze armate argentine. «In particolare, all’Argentina venne sottratto il controllo dello spazio aereo del sud del paese e dell’Antartico, che passò alla Royal Air Force». Inoltre, continua Meyssan, ancora oggi «Buenos Aires deve informare il Regno Unito di ogni sua operazione militare». E non tutto è andato liscio, da quelle parti, dopo la guerra della Falkland: «Nel 1992 e nel 1994 due misteriosi attentati, particolarmente sanguinosi e devastanti, distrussero l’ambasciata d’Israele e la sede dell’associazione israelita Amia». Il primo attentato, rivela Meyssan, avvenne subito dopo che i capi della sezione dell’intelligence israeliana per l’America Latina avevano lasciato l’edificio.Il secondo attentato ebbe luogo durante le ricerche congiunte egiziano-argentine per i missili balistici Condor. «Nello stesso periodo la fabbrica principale dei Condor esplose, e i figli dei presidenti Carlos Menem e Hafez al-Assad morirono entrambi in incidenti. Le numerose inchieste che seguirono furono inquinate da una serie di manipolazioni». Dopo aver designato la Siria come responsabile dei due attentati, aggiunge Meyssan, il procuratore Alberto Nisman passò all’Iran, accusandolo di esserne il committente, e a Hezbollah, accusandolo di esserne l’esecutore. «L’ex presidente peronista Cristina Kirchner fu accusata di aver negoziato la chiusura del procedimento contro l’Iran in cambio di un prezzo vantaggioso per il petrolio». Poco dopo, però, «il procuratore Nisman è stato trovato morto in casa e la presidente Kirchner è stata incolpata di alto tradimento». La settimana scorsa, infine, «un nuovo colpo di scena ha mandato all’aria quello che si dava per certo: l’Fbi ha tirato fuori analisi del Dna che dimostrano che il presunto terrorista non era tra le vittime e che tra queste vi era invece un corpo mai identificato». Morale: «Venticinque anni dopo, non si sa ancora nulla degli attentati di Buenos Aires».E intanto, l’interesse anglo-israeliano per il Sud dell’Argentina non ha fatto che aumentare: «Nel XXI secolo, approfittando dei vantaggi ottenuti con il Trattato della guerra delle Malvine, Regno Unito e Israele intraprendono un nuovo progetto in Patagonia. Le sue proprietà si estendono ormai su una superficie più volte multipla dello Stato d’Israele», avverte Meyssan. «Si trovano nella Terra del Fuoco, all’estremo Sud del continente. In particolare, circondano il Lago Escondido, cui impediscono l’accesso nonostante un’ingiunzione della magistratura argentina». Il miliardario inglese Joe Lewis «ha costruito un aeroporto privato con una pista di due chilometri, su cui possono atterrare aerei di trasporto civile e militare». Dalla fine della guerra delle Malvine, l’esercito israeliano organizza in Patagonia “campi di vacanza” (sic) per i suoi soldati. «Ogni anno, da 8.000 a 10.000 soldati trascorrono due settimane nelle proprietà di Joe Lewis». Se negli anni ’70 l’esercito argentino lanciò l’allarme per 25.000 nuovi alloggi rimasti inabitati, dando vita al mito del piano Andinia, oggi ne sono stati costruiti centinaia di migliaia. «È impossibile verificare lo stato di avanzamento dei lavori perché, essendo proprietà privata, Google Earth oscura le fotografie satellitari della zona, così come fa per le istallazioni militari dell’Alleanza Atlantica».Poi c’è il ruolo del vicino Cile, aggiunge Meyssan, che «ha ceduto una base di sottomarini a Israele, dove sono stati scavati tunnel per sopravvivere al rigore dell’inverno polare». Gli indiani Mapuche, che abitano la Patagonia argentina e cilena, sono rimasti sorpresi nell’apprendere che a Londra è stata riattivata la Resistencia Ancestral Mapuche (Resistenza Ancestrale Mapuche – Ram), misteriosa organizzazione che rivendica l’indipendenza. «Inizialmente accusata di essere una vecchia associazione rispolverata dai servizi segreti argentini, la Ram è ora considerata dalla sinistra un movimento secessionista legittimo e dai leader Mapuche un’iniziativa finanziata da George Soros». Infine, in questo scenario opaco, si è inserita la sparizione del sommergibile San Juan, con il quale la marina argentina ha perso i contatti il 15 novembre 2017, dichiarandolo poi “inabissato in mare”. Era uno dei due sottomarini diesel-elettrici Tr 1700, fiore all’occhiello della difesa argentina. «Alla fine il governo ha dovuto ammettere che il sottomarino era in “missione segreta”, non meglio specificata, di cui Londra era a conoscenza». L’esercito statunitense ha partecipato alle ricerche e la marina russa ha inviato un drone in grado di scandagliare i fondali marini a 6.000 metri di profondità, che però non ha trovato nulla. Che sta succedendo, dunque, all’estremo confine meridionale del pianeta?Perché il miliardario britannico Joe Lewis sta acquistando terre in Patagonia, dove Israele sta mandando “in vacanza” migliaia di soldati, proprio di fronte al mare – affacciato sull’Antartide – dove è scomparso il sommergibile argentino San Juan, alle prese con una imprecisata “missione segreta” di cui però gli inglesi erano al corrente? Se lo domanda un giornalista internazionale come Thierry Meyssan, di stanza in Libano: «Probabilmente il San Juan è esploso: la stampa argentina è convinta che abbia urtato una mina o sia stato distrutto da missile nemico». E gli immensi territori in via di acquisizione nel sud dell’Argentina e anche nel vicino Cile? Per il momento, ragiona Meyssan, «è impossibile stabilire se Israele abbia avviato un programma di sfruttamento dell’Antartide o se stia costruendo una base in cui ripiegare in caso di disfatta in Palestina». Ma il reporter si interroga sulle possibili connessioni “invisibili” che sembrano legare Patagonia e Antartide, Tel Aviv e Londra, la guerra in Siria e la strana sparizione del sottomarino, scomparso (in fondo al mare?) dopo l’ultima comunicazione con la terraferma, il 15 novembre, con a bordo 44 marinai.