Archivio del Tag ‘golpe’
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Solo il Papa Buono si oppose all’orrore Usa in America Latina
Che l’America Latina debba essere proprietà privata degli Stati Uniti fu deciso nel 1823 dal presidente americano James Monroe, che nella sua celebre “dottrina” già aveva definito le terre che vanno dal Messico alla Patagonia come proprietà naturale degli Usa, cioè terre che per una “naturale legge di gravità politica” sarebbero prima o poi cadute nel “giardino di casa” di Washington (citaz. Chomsky). L’unico ostacolo, prevedeva Monroe, erano gli inglesi, le cui flotte erano a quel tempo troppo potenti per permettere la conquista yankee, ma che prima o poi si sarebbero ritirate, predisse il presidente. E infatti è accaduto. Quello che sta succedendo in queste ore in Venezuela è, in una sua parte, banale: il Padrone non molla mai, e siamo da capo, cioè all’intervento illegale N. 300 degli Stati Uniti in America Latina secondo la dottrina di Monroe. Naturalmente, agli Usa devono conformarsi i vassalli – cioè gli Stati latinoamericani oggi in mano a pupazzi del Fondo Monetario Internazionale, come il gruppo di Lima, poi la Gran Bretagna e anche noi della Ue. E la cosa farsesca è che, mentre in America si strilla isterici per le presunte interferenze di Putin a favore di Trump, accade che come nulla fosse il ministro degli esteri americano Mike Pompeo telefona al neo-autoproclamato presidente del Venezuela, Juan Guaidò, 24 ore prima dell’annuncio della sua candidatura a presidente. Ma va’?Prima domanda: “Ma se Pompeo fa questo, allora perché Putin non avrebbe potuto telefonare a Trump 24 ore prima dell’annuncio della sua candidatura?”. Poi, la risposta alla domanda “cosa si saranno detti?” la si può fare a una scatoletta di tonno, fiduciosi di avere la risposta giusta. E siccome è noto che – da Kennedy, finanziatore dell’orrendo golpe in Brasile; a Kissinger, finanziatore dei golpe dappertutto; passando per Carter e Reagan, torturatori del Nicaragua in particolare; i Bush contro Haiti in particolare; Bill Clinton, finanziatore degli squadroni della morte in Colombia; fino a Obama, sostenitore del golpe in Honduras e armatore della nuove basi militari – siccome è noto che, dicevo, Washington ci tiene così tanto agli ideali democratici che vanno esportati nel suo “giardino di casa”, è notizia di oggi che Mike Pompeo ha nominato il “neocon” Elliot Abrams come suo inviato speciale in Venezuela, giusto per dar l’impressione di essere equidistanti. Abrams è un neo-nazista, un pregiudicato (graziato da Bush I), che ha finanziato il genocidio in Guatemala del generale Rios Montt, che ha passato le bustarelle dello scandalo Iran-Contras sotto Reagan e che organizzò il fallito golpe contro Chavez nel 2002. E’ “the Monroe doctrine on steroids”, si direbbe in slang.Ma vedete, l’articolo N. 231 di oggi sul Venezuela e tutti i dettagli da Google-journalism non vi servono a molto. Piuttosto va dato ancora un po’ di retroterra per capire Maduro e come uscirne. In un indicibile paradosso, le tragedie dell’America Latina iniziarono nel XVI secolo con la conquista nel nome del Vaticano, ma ebbero la loro unica speranza di terminare proprio grazie al Vaticano, quello del Concilio Secondo di Papa Giovanni XXIII nel 1959. Fra le maggiori istanze che esso annunciò, ve n’era una di portata rivoluzionaria scioccante: l’opzione della Chiesa dei Poveri. Dall’infame Costantino, nel IV secolo, la Chiesa aveva scelto senza ombra di dubbio l’opzione per i ricchi e per i potenti e il tripudio per lo sterminio dei poveri e dei dissidenti, non stop per i 1.700 anni successivi anni fino al grande Papa Giovanni XXIII (poi ci è ricascata, ahimè). Questo pontefice, invece, di colpo invertì gli ordini di squadra: no, disse, la Chiesa ora sceglie i poveri. Quasi nessuno qui da noi ci fece molto caso; ovvio, eravamo italiani in pieno boom economico. Ma nell’America Latina invece il messaggio del Concilio Secondo prese piede in modo sorprendente sotto forma della Teologia della Liberazione. Cos’era?In due parole: si trattò di ampi numeri di preti e suore, e qualche rarissimo caso nei ranghi ecclesiastici superiori, che proprio ispirati dal Concilio Vaticano Secondo si spogliarono di ogni bene e semplicemente fecero quello che fece Cristo, cioè lottarono nelle bidonville dei poverissimi, morirono per e accanto a loro, e ovviamente entrarono in aperto conflitto con i superiori, cioè i loro vescovi, arcivescovi e cardinali, fra cui anche il buon Bergoglio. Nota: lunga e fetente storia per questo mistificatore, che sempre tenne i piedi in 3 staffe. Un minino stette coi suoi gesuiti teologi della liberazione (ne tradì due in circostanze orribili e silenziò molti altri), ma poi in maggioranza stette invece zitto con le dittature, e alla fine fu un fedele facilitatore del Fondo Monetario Internazionale di Washington fino al Papato. Ma torniamo alla storia. Nel 1962, il venerato (da voi…) presidente Usa J.F. Kennedy notò questi clamorosi fatti e scosse il capo. Ma scherziamo? Adesso ’sti quattro preti straccioni si mettono a fare i “socialisti” contro gli interessi degli investitori americani? Ma che crepino (non poté “prepensionare” Giovanni XXIII perché era troppo popolare).Quindi Kennedy per primo (ma nel mezzo fu assassinato) e poi il suo successore Lyndon B. Johnson diedero il semaforo verde (per usare un’espressione tutta americana) al peggior terrore neonazista della storia del Brasile, quando con la cacciata del democratico Goulart i militari ripresero il potere nel paese (1964) inaugurando la notoria stagione del National Security States, quella cioè dei golpe fascisti latinoamericani per tre decadi successive. Nei files segreti dell’epoca, oggi desecretati e disponibili presso i National Security Archives di Washington, si possono leggere le euforiche parole dell’ambasciatore statunitense in Brasile Lincoln Gordon, un uomo del “democratico” Kennedy, che definì il golpe dei torturatori «una grande vittoria per il mondo libero» e «un punto di svolta per la storia» (un intero capitolo del mio “Perché ci odiano” della Rizzoli è dedicato a questi abomini). Spiacenti, caro Papa Giovanni XXIII, la tua Opzione per i Poveri deve morire, disse Jfk. E fu olocausto di massacri, torture, campi di concentramento, furti di risorse per trilioni di dollari, tutto di fila in America Latina fino alla fine anni ’90 e proprio a partire dalla nascita della Teologia della Liberazione laggiù.Fra l’altro quest’anno ricorre il 30esimo anniversario di uno degli ultimi atti di macellazione post-Jfk della giustizia in America Latina, cioè la strage di sei accademici gesuiti teologi della liberazione e di due loro domestiche da parte degli squadroni della morte Atlacatl in Salvador nel 1989. Nota: col benestare evidente e più volte espresso nei fatti dell’infame Papa Wojtyla, l’uomo piantato a Roma da Washington non solo per abbattere l’Urss ma proprio per disintegrare l’Opzione per i Poveri in America Latina, visto che rodeva nelle tasche delle corporations, degli hedge funds e degli asset manager americani (e nostri). E arriviamo a Maduro oggi, passando, come già scritto sopra, per tutti i presidenti Usa di fila che mai hanno smesso di finanziare e armare ogni porcheria antidemocratica a sud del Texas (ripeto: da Kennedy, finanziatore del golpe in Brasile; a Kissinger, finanziatore dei golpe dappertutto; passando per Carter e Reagan, torturatori del Nicaragua in particolare; i Bush contro Haiti in particolare; Bill Clinton, finanziatore degli squadroni della morte in Colombia; fino a Obama, sostenitore del golpe in Honduras e armatore della nuove basi militari).Washington non molla, e oggi col naufragio delle rivoluzioni “bolivariane” in America Latina, siamo a questa realtà: l’85% del continente è tornato nelle mani delle destre-stuoini del Fondo Monetario. Ma qui l’onestà intellettuale impone un “ma”… Verissimo che la guerra di sanzioni americane contro Cuba e Venezuela è un abominio della legalità internazionale e ruba miliardi all’anno a quei due paesi. Verissimo che la fetente lustrascarpe del Fmi, cioè la Ue, non è capace di un belato di giustizia internazionale da nessuna parte (Palestina, Siria, Egitto, Yemen, America Latina) mentre ruggisce contro le pecorelle Piigs. Verissimo che quella che fu la culla della democrazia, la Gran Bretagna, ha di nuovo sputato sulla propria storia bloccando l’oro di Maduro in un momento drammatico per il Venezuela. Ma… è altrettanto verissimo che l’America Latina, almeno nella leadership (ma non solo), non ce la può fare, come si dice gergalmente. E inizio da questo: sono “cattolici dentro”, anche quando sono comunisti. Dal 2001/2 fino a ieri, le sinistre latinoamericane hanno avuto in mano quasi tutto per salvare il continente e per finalmente usare le loro immani risorse e le loro monete sovrane sganciate dal dollaro per rafforzare la base sociale povera, cioè il 90% degli elettori.Gli Usa erano in ritirata ormai decennale sia economica che militare, e in affanno, anzi, panico, proprio mentre dall’altra parte esplodeva il potere degli “astri benevoli” dell’America Latina di sinistra, cioè Cina e Russia a far da contraltare. Ma cosa è successo invece? Siamo minimamente onesti, per favore: i leader latinoamericani hanno sbagliato economie nel 100% dei casi, e con una pervicacia sbalorditiva, limitandosi a programmi-elemosina per la base sociale povera, cioè il 90% (vi ricorda qualcuno? RdC?). Hanno fatto parrocchie a sinistra come a destra nel 100% dei casi. Come ogni bravo “cattolico dentro” sono stati ipocriti da vomitare, corrotti da barzellette, e alla fine (in Brasile in modo cosmico) hanno rubato il rubabile. Chiunque non sia un partigiano in malafede si è accorto che sia in Brasile ma soprattutto in Venezuela l’elettorato di maggioranza detesta la sinistra come la destra, derubato e tradito da entrambi, oggi. Nomi come Maduro e Guaidò non rappresentano più nulla, sono screditati alla morte, e figurano solo nei media per via di quel 10% a testa di esagitati che riescono ancora a far comparire davanti alle telecamere in piazza, mentre l’80% sta a casa a sbattere la testa contro il muro. Quindi?Quindi di certo nel mondo dei sogni andrebbe messo uno stop immediato ai 196 anni d’illegalità della dottrina Monroe (con la pietosa Ue al seguito); di certo l’unica via è oggi il negoziato, visto che laggiù la scelta realistica per quella povera gente è fra lo schifo di Maduro e lo schifo di Guaidò. Ma come sempre dico in quasi totale isolamento da decenni (come nel caso dei paesi africani), finché le sinistre, intese come base di popolo, non accetteranno di guardarsi dentro e di capire come hanno fatto a diventare ovunque nel mondo delle tali schifezze, mafie, parrocchie e traditrici di lotte centenarie, possiamo pure continuare a gridare “yankee go home!”, ma in America Latina le maggioranze continueranno a sbattere la testa contro il muro. O le sinistre imitano l’immenso atto di autocritica di Giovanni XXIII e anch’esse ritornano a una vera storica Opzione per i Poveri (si spera con maggior successo oggi), oppure non si andrà da nessuna parte (neppure qui da noi).(Paolo Barnard, “Da Monroe a Papa Giovanni XXIII a Kennedy, fino a Obama, e allora si capisce il disastroso Maduro”, dal blog di Barnard del 29 gennaio 2019).Che l’America Latina debba essere proprietà privata degli Stati Uniti fu deciso nel 1823 dal presidente americano James Monroe, che nella sua celebre “dottrina” già aveva definito le terre che vanno dal Messico alla Patagonia come proprietà naturale degli Usa, cioè terre che per una “naturale legge di gravità politica” sarebbero prima o poi cadute nel “giardino di casa” di Washington (citaz. Chomsky). L’unico ostacolo, prevedeva Monroe, erano gli inglesi, le cui flotte erano a quel tempo troppo potenti per permettere la conquista yankee, ma che prima o poi si sarebbero ritirate, predisse il presidente. E infatti è accaduto. Quello che sta succedendo in queste ore in Venezuela è, in una sua parte, banale: il Padrone non molla mai, e siamo da capo, cioè all’intervento illegale N. 300 degli Stati Uniti in America Latina secondo la dottrina di Monroe. Naturalmente, agli Usa devono conformarsi i vassalli – cioè gli Stati latinoamericani oggi in mano a pupazzi del Fondo Monetario Internazionale, come il gruppo di Lima, poi la Gran Bretagna e anche noi della Ue. E la cosa farsesca è che, mentre in America si strilla isterici per le presunte interferenze di Putin a favore di Trump, accade che come nulla fosse il ministro degli esteri americano Mike Pompeo telefona al neo-autoproclamato presidente del Venezuela, Juan Guaidò, 24 ore prima dell’annuncio della sua candidatura a presidente. Ma va’?
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Oro, petrolio e sanzioni: strangolato il Venezuela di Maduro
Negli ultimi tre anni, il Venezuela ha usato il suo oro come garanzia per ottenere miliardi di prestiti da istituti di credito internazionali. Tuttavia, gli accordi di scambio sono diventati difficili per il Venezuela nel 2017, dopo che Washington ha vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di finanziare le operazioni dello Stato del Venezuela. Lo scrive “L’Antidiplomatico”, secondo cui «la crisi in Venezuela non è un problema di democrazia, ma di guerra energetica e finanziaria». Dal novembre del 2018, aggiunge il blog, la Banca d’Inghilterra si rifiuta di consegnare il rapporto sull’oro del Venezuela. In particolare, la Bank of England si rifiuta di consegnare 550 milioni di dollari in oro (di proprietà del Venezuela) a fronte della richiesta di Caracas per 14 tonnellate di lingotti. Le partecipazioni nella stessa banca, tra l’altro, sono più che raddoppiate a dicembre (31 tonnellate o circa 1,3 miliardi di dollari), dopo che il Venezuela ha restituito i fondi che aveva preso in prestito da Deutsche Bank attraverso un accordo di finanziamento (Swap) che utilizza l’oro come garanzia. La motivazione del rifiuto da parte dei funzionari britannici verte «sull’adozione di misure volte a prevenire il riciclaggio di denaro sporco». Come riporta il “Times”, «ci sono preoccupazioni sul fatto che Maduro possa prendere l’oro, che è di proprietà dello Stato, e venderlo per guadagno personale».Per cercare di aggirare le sanzioni degli Usa, aggiunge “L’Antidiplomatico”, il Venezuela aveva cercato di scambiare il suo greggio con beni, ma le trattative sarebbero state bloccate per «crescenti difficoltà nell’ottenere l’assicurazione per la spedizione necessaria per spostare un grosso carico d’oro». Per impedire al Venezuela di riavere i suoi beni, scrive sempre il blog, «gli Usa hanno aggravato le sanzioni, estenderndole anche ai singoli individui e alle società coinvolti nelle vendite di oro in Venezuela». Negli ultimi anni, «Washington ha introdotto una vasta gamma di misure punitive contro la Repubblica Bolivariana, colpendo le sue finanze, l’emissione di debito e l’attività commerciale della compagnia petrolifera statale Pdvsa». Il Venezuela ha recentemente tentato di eliminare la dipendenza dalle istituzioni e dagli strumenti finanziari controllati dagli Stati Uniti, incluso il dollaro Usa. Il mese scorso, il paese si è impegnato a negoziare in euro, yuan e «altre valute convertibili».«Ecco perché fa tanta paura il Venezuela di Maduro», sostiene “L’Antidiplomatico”: se agli Usa riuscisse il “regime change”, «questo esperimento sarà esportato in qualsiasi situazione geopolitica, in qualsiasi Stato sovrano sia d’intralcio alle mire energetiche del blocco (Israele, Canada, Brasile, ma anche Germania, Francia, Spagna) che fa capo al mercato neoliberista degli Usa». Secondo Usa e Ue, in realtà, la situazione è precipitata quando Maduro ha rifiutato l’esito delle elezioni del 2016, a lui sfavorevoli, mettendo fuori gioco l’opposizione con la manovra per creare una nuova Costituzione. Manovra boicottata dall’opposizione, che ha rinunciato per protesta a partecipare alle elezioni 2018. Le crescenti sanzioni sono parallele all’involuzione autocratica del regime di Maduro, ora fronteggiato da Juan Guaidò, presidente del Parlamento e leader di “Volontà Popolare”, autoproclamatosi “presidente ad interim” il 23 gennaio, in aperta sfida a Maduro.Il Venezula (32 milioni di abitanti) è uno dei due membri latino-americani dell’Opec, insieme all’Ecuador. Vanta la prima riserva petrolifera al mondo: 302 miliardi di barili di greggio. Nel 2014 il Venezuela è stato colpito dal crollo del costo del petrolio, che rappresenta il 96% delle entrate del paese. La mancanza di moneta ha fatto precipitare lo Stato in una crisi acuta, «generando un esodo di venezuelani in fuga da carenze alimentari e di medicine, non senza conseguenze su diversi paesi vicini». Tre milioni di venezuelani vivono all’estero e, di questi, secondo le stime dell’Onu almeno 2,3 milioni hanno lasciato il paese a partire dal 2015. Un dato che, stando alle stime, dovrebbe salire a 5,3 milioni nel 2019. In cinque anni, secondo il Fmi, il Pil è calato del 45%. E la Banca Mondiale prevede una contrazione del Pil dell’8% nel 2019, dopo il -18% del 2018. Davanti a una iper-inflazione, «che dovrebbe raggiungere quest’anno il 10 milioni per cento», a metà gennaio «Maduro ha quadruplicato il salario minimo a 18.000 bolivar (20 dollari, secondo il tasso ufficiale), cioè l’equivalente di due chilogrammi di carne. Ad agosto aveva lanciato un piano di rilancio, svalutando il bolivar del 96%».L’erede di Hugo Chavez sostiene che la crisi in Venezuela sia il risultato di una “guerra economica” da parte della destra e degli Stati Uniti per rovesciare il suo governo, visto che Washington ha imposto diverse serie di sanzioni. A novembre del 2017 il Venezuela e la compagnia petrolifera nazionale Pfvsa sono stati dichiarati in default parziale da diverse agenzie di rating. «Il tasso di povertà, cavallo di battaglia della rivoluzione bolivariana, è schizzato all’87%, secondo un’indagine delle principali università del paese», aggiunge “Quotidiano.net”. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, sostiene che la crisi venezuelana ricorda quella che precedette il golpe nel Cile di Allende, con una differenza sostanziale: Allende non fece mai ricorso alla repressione della protesta, mentre Nicolas Maduro si è macchiato di gravi crimini, sospendendo di fatto la democrazia e violando i diritti umani.Negli ultimi tre anni, il Venezuela ha usato il suo oro come garanzia per ottenere miliardi di prestiti da istituti di credito internazionali. Tuttavia, gli accordi di scambio sono diventati difficili per il Venezuela nel 2017, dopo che Washington ha vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di finanziare le operazioni dello Stato del Venezuela. Lo scrive “L’Antidiplomatico”, secondo cui «la crisi in Venezuela non è un problema di democrazia, ma di guerra energetica e finanziaria». Dal novembre del 2018, aggiunge il blog, la Banca d’Inghilterra si rifiuta di consegnare il rapporto sull’oro del Venezuela. In particolare, la Bank of England si rifiuta di consegnare 550 milioni di dollari in oro (di proprietà del Venezuela) a fronte della richiesta di Caracas per 14 tonnellate di lingotti. Le partecipazioni nella stessa banca, tra l’altro, sono più che raddoppiate a dicembre (31 tonnellate o circa 1,3 miliardi di dollari), dopo che il Venezuela ha restituito i fondi che aveva preso in prestito da Deutsche Bank attraverso un accordo di finanziamento (Swap) che utilizza l’oro come garanzia. La motivazione del rifiuto da parte dei funzionari britannici verte «sull’adozione di misure volte a prevenire il riciclaggio di denaro sporco». Come riporta il “Times”, «ci sono preoccupazioni sul fatto che Maduro possa prendere l’oro, che è di proprietà dello Stato, e venderlo per guadagno personale».
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Magaldi a Di Battista: cialtrone, il vero golpista è Maduro
«Ma che cialtrone, Alessandro Di Battista: anziché andarsene a spasso con la famiglia in Centramerica, pagato dal “Fatto Quotidiano” e dalla Mondadori, avrebbe fatto a meglio a studiarla, la storia dell’America Latina». E’ durissimo, Gioele Magaldi, con il battitore libero del Movimento 5 Stelle, pronunciatosi in difesa del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che ora deve vedersela con il leader dell’opposizione, Juan Guaidò, autoproclamatosi addirittura “presidente ad interim” il 23 gennaio, nel corso di una manifestazione antigovernativa. Crisi profondissima: da una parte l’Ue è schierata con gli Usa, che assediano accanitamente il Venezuela dai tempi del “ribelle” socialista Hugo Chavez, mentre con Maduro si posizionano Russia e Cina, cioè i paesi che hanno aiutato il governo del Venezuela a sopravvivere, acquistando il petrolio di cui il paese sudamericano è ricchissimo. In molti hanno gridato al golpe contro Maduro? Sbagliano, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt: secondo Magaldi, il vero golpista è proprio Maduro, ancora al potere solo perché protetto dalla polizia e dall’esercito. Una commedia degli equivoci, dice Magaldi, che assicura che Guaidò, «massone progressista», è di fede liberal-socialista, mentre Maduro – massone anche lui – si è rivelato «un contro-iniziato, deciso a restare al potere con qualsiasi mezzo».Autore del saggio “Massoni”, che illumina i retroscena dell’élite mondiale, Magaldi interviene su YouTube, in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”, per fornire il suo punto di vista: non è vero che Maduro rappresenti “il popolo” venezuelano e Guaidò la punta di lancia del golpe “americano” contro la repubblica “bolivariana” di Chavez. E’ vero anzi che Maduro «è la bruttissima copia di Chavez, che aveva molte luci accanto a qualche ombra». Quando tentò di cambiare la Costituzione, un referendum lo fermò. Maduro invece non ha esitato a ricorrere alla repressione più dura, mettendo in carcere anche magistrati che avevano osato contrastarlo. Ma l’aspetto peggiore, sottolinea Magaldi, è che l’autocrazia di Maduro non ha alcuna legittimità per un motivo semplicissimo: aveva escluso dalle elezioni “Voluntad Popular”, il partito di Guaidò. Maduro è succeduto a Chavez nel 2013, divenendo rapidamente impopolare: 43 i morti nel solo 2014 per la repressione delle proteste, innescate dalla grave crisi economica. A gennaio del 2016, l’opposizione aveva ottenuto la maggioranza in Parlamento: la Corte Suprema però ha annullato l’esito del voto. Nel 2017 sono quindi scattate le manifestazioni per chiedere le dimissioni di Maduro, con un nuovo bilancio di sangue: 125 morti in quattro mesi di proteste.Nel tentativo di arginare la crisi, Maduro ha deciso di creare una Assemblea Costituente, incaricata appunto di redigere una nuova Costituzione. Per l’opposizione, si tratta di una manovra per conservare il potere. Così, il partito di Guaidò ha boicottato le elezioni del luglio 2017 per la Costituente e poi anche quelle del maggio 2018, in cui Maduro è stato rieletto – senza avversari – per un secondo mandato presidenziale. Ora, nei panni di presidente del Parlamento, Guaidò si è addirittura autoproclamato presidente ad interim del Venezuela. E’ stato immediatamente riconosciuto dagli Usa e da diversi paesi latino-americani, mentre Maduro mantiene il sostegno di paesi sudamericani come il Messico, Cuba e la Bolivia. Guaidò ha anche tentato un’apertura verso i militari, incrollabili sostenitori di Maduro. La situazione è confusa e la crisi si annuncia tutt’altro che breve e indolore, ammette Magaldi, che però non transige su un punto: è da cialtroni negare l’evidenza, come fa Di Battista, e cioè non voler vedere che l’opposizione sta solo cercando, con ogni mezzo e a carissimo prezzo, di ripristinare la democrazia in Venezuela, brutalmente soppressa dal regime di Maduro.«Ma che cialtrone, Alessandro Di Battista: anziché andarsene a spasso con la famiglia in Centramerica, pagato dal “Fatto Quotidiano” e dalla Mondadori, avrebbe fatto a meglio a studiarla, la storia dell’America Latina». E’ durissimo, Gioele Magaldi, con il battitore libero del Movimento 5 Stelle, pronunciatosi in difesa del presidente venezuelano Nicolas Maduro, che ora deve vedersela con il leader dell’opposizione, Juan Guaidò, autoproclamatosi addirittura “presidente ad interim” il 23 gennaio, nel corso di una manifestazione antigovernativa. Crisi profondissima: da una parte l’Ue è schierata con gli Usa, che assediano accanitamente il Venezuela dai tempi del “ribelle” socialista Hugo Chavez, mentre con Maduro si posizionano Russia e Cina, cioè i paesi che hanno aiutato il governo del Venezuela a sopravvivere, acquistando il petrolio di cui il paese sudamericano è ricchissimo. In molti hanno gridato al golpe contro Maduro? Sbagliano, sostiene il presidente del Movimento Roosevelt: secondo Magaldi, il vero golpista è proprio Maduro, ancora al potere solo perché protetto dalla polizia e dall’esercito. Una commedia degli equivoci, dice Magaldi, che assicura che Guaidò, «massone progressista», è di fede liberal-socialista, mentre Maduro – massone anche lui – si è rivelato «un contro-iniziato, deciso a restare al potere con qualsiasi mezzo».
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Savi di Sion e Terra Piatta: se il “fake” aiuta i negazionisti
“YouTube contro le teorie stravaganti”, titola “Repubblica”: “La Terra non sarà più piatta”. La video-piattaforma web annuncia che implementerà i filtri, a partire dagli Stati Uniti, per evitare suggerimenti di video «che reclamizzano cure miracolose o asseriscono notizie palesemente false su eventi storici, come l’11 Settembre». Tombola, commenta Massimo Mazzucco: visto a cosa “serve”, un’idiozia come la teoria della Terra Piatta? E’ perfetta, per fare di tutta l’erba un fascio: la barzelletta della Terra Piatta, stranamente strombazzatissima (e mai stroncata con decisione dai solerti “debunker”, normalmente prontissimi a demolire i “complottisti”) ora viene utilizzata per liquidare anche una storia, purtroppo serissima, come quella dell’11 Settembre, cui Mazzucco – regista e video-reporter – ha dedicato anni di studio, realizzando documentari come “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, che smontano da cima a fondo la versione ufficiale, secondo cui le Twin Towers sarebbero crollate esclusivamente per via dell’impatto degli aerei. Manipolazioni infinite e verità a doppio fondo, come la madre di tutte le “fake news” – i Protocolli dei Savi di Sion – nel quale è appena “inciampato” Elio Lannutti, ora senatore 5 Stelle, sommerso dalle polemiche per aver preso per buona quella vecchissima teoria del complotto sionista. Però attenzione, avverte Mazzucco: i Protocolli sono un falso storico, ma il loro contenuto?Siamo così sicuri che sia peregrina, l’idea del “golpe” pianificato dai grandi banchieri per dominare il mondo? Mazzucco lo chiama “il falso del falso”. E spiega: a volte, se un gruppo di potere sa di essere al centro di pesanti sospetti, fa produrre del gossip contro se stesso. Estrema sottigliezza: fabbrichi un documento palesemente farlocco, sapendo già che la frode verrà scoperta. Risultato: liquidato come “fake” il documento, verrà archiviato come “fake” anche il suo contenuto di denuncia. Com’è noto, i Protocolli – presentati come antichi e profetici – vennero invece redatti solo all’inizio del ‘900 dall’Ochrana, la polizia segreta zarista, per poi essere “smascherati” già nel 1921 come un falso, costruito a tavolino. Da quel momento, “bruciati” i Protocolli di Sion, fu ridotto a puro “complottismo” qualsiasi retroscena inerente la scalata al potere da parte della finanza ebraica internazionale, incarnata ad esempio dalla dinastia Rothschild. Siamo certi – si domanda Mazzucco – che dietro a quella cartaccia ci fossero solo gli 007 dello zar, e non anche qualche acutissimo stratega del futuro Nuovo Ordine Mondiale in salsa sionista?Non sarebbe l’unico caso di “falso del falso”, apparente autogoal costruito per silenziare le polemiche, giocando d’anticipo. Un altro esempio perfetto, aggiunge Mazzucco, è quello della celebre “autopsia dell’alieno”, presentata come autentica in un video che fece epoca. «Chi girò quel filmato non poteva non sapere che sarebbe stato smascherato, col risultato di far declassare come “fake news” la notizia retrostante, cioè il misterioso incidente di Roswell». Per anni non si parlò d’altro, negli Usa: l’8 luglio del 1947 il “Roswell Daily Record” citò diversi testimoni che avrebbero visto un’astronave precipitare, in fiamme, nei cieli del New Mexico. L’aviazione si affrettò a mostrare al pubblico i rottami di un pallone sonda. Sì, dissero i testimoni: questo che ci mostrate è un pallone sonda, ma quello che abbiamo visto precipitare era proprio un disco volante. L’eco dell’avvistamento non si spense. Poi saltò fuori il video (troppo grossolano per essere credibile) della pretesa “autopsia dell’alieno” caduto a Roswell: il successivo smascheramento del trucco ebbe l’effetto di far dimenticare il mistero del presunto disco volante in avaria.Non manca chi fa notare che, proprio dopo i fatti di Roswell, furono depositati moltissimi brevetti arospaziali, al punto da far fare un balzo impensabile all’industria aeronautica statunitense. Siamo sempre lì? Al “falso del falso”? Dopo i Protocolli e Roswell, è la volta della Terra Piatta, utile per depennare anche l’11 Settembre? «Un grande ringraziamento – chiosa Mazzucco – a tutti quei fessacchiotti che promovono teorie stupide, perché poi vengono usate – esattamente come ripeto da mesi – per motivi molto diversi». Aggiunge Mazzucco, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ai tanti che mi chiedevano per quale motivo avessi perso tempo nel fare un video per smontare una scemenza come la teoria della Terra Piatta, ora rispondo: adesso il motivo lo sapete». Se cerchi un contenuto “eretico”, YouTube non porporrà più, in automatico, il collegamento con altri filmati “non ortodossi”, come appunto quelli sull’11 Settembre e sulle “cure miracolose”, vale a dire sulla medicina alternativa o complementare, cui moltissimi pazienti ormai si rivolgono, delusi dai fallimenti della medicina ufficiale.“YouTube contro le teorie stravaganti”, titola “Repubblica”: “La Terra non sarà più piatta”. La video-piattaforma web annuncia che implementerà i filtri, a partire dagli Stati Uniti, per evitare suggerimenti di video «che reclamizzano cure miracolose o asseriscono notizie palesemente false su eventi storici, come l’11 Settembre». Tombola, commenta Massimo Mazzucco: visto a cosa “serve”, un’idiozia come la teoria della Terra Piatta? E’ perfetta, per fare di tutta l’erba un fascio: la barzelletta della Terra Piatta, stranamente strombazzatissima (e mai stroncata con decisione dai solerti “debunker”, normalmente prontissimi a demolire i “complottisti”) ora viene utilizzata per liquidare anche una storia, purtroppo serissima, come quella dell’11 Settembre, cui Mazzucco – regista e video-reporter – ha dedicato anni di studio, realizzando documentari come “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, che smontano da cima a fondo la versione ufficiale, secondo cui le Twin Towers sarebbero crollate esclusivamente per via dell’impatto degli aerei. Manipolazioni infinite e verità a doppio fondo, come la madre di tutte le “fake news” – i Protocolli dei Savi di Sion – nel quale è appena “inciampato” Elio Lannutti, ora senatore 5 Stelle, sommerso dalle polemiche per aver preso per buona quella vecchissima teoria del complotto sionista. Però attenzione, avverte Mazzucco: i Protocolli sono un falso storico, ma il loro contenuto?
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Tutte le altre stragi, senza nessuna Giornata della Memoria
E’ possibile celebrare la Giornata della Memoria per ricordare, tra tutti i genocidi della storia recente, solo quello nazista ai danni degli ebrei? Se lo domanda implicitamente un ex giornalista della Rai come Fulvio Grimaldi, nell’elencare – il 27 gennaio, sulla sua pagina Facebook – moltissime altre pagine atroci che hanno costellato il Novecento. «Il maresciallo Rodolfo Graziani massacra la Libia, occupata e seviziata dal 1911, e uccide seicentomila libici, tra civili e partigiani della resistenza, un terzo della popolazione», e poi «brucia centinaia di villaggi, bombarda centri abitati e carovane, avvelena i pozzi, impicca centinaia di libici, tra cui l’ottantenne leader della Resistenza, Omar al Mukhtar». Gli Stati Uniti, dal 1945 ad oggi, «iniziando con l’invasione della Corea e poi del Vietnam e poi proseguendo con la storica media di una guerra d’aggressione all’anno, con colpi di Stato, guerre civili innescate ad arte, sanzioni genocide», di fatto «uccidono 50 milioni di persone nel mondo». Nel solo Vietnam sono uccisi 3 milioni di civili, mentre gli effetti del napalm e dell’agente Orange continuano a far nascere e morire decine di migliaia di bambini deformi. Dagli Usa all’Europa: «Re Leopoldo del Belgio, occupante colonialista del Congo, provoca la morte di 20 milioni di congolesi».Il genocidio africano prosegue nel ‘900 «per opera di fantocci dell’Occidente e delle multinazionali che controllano i territori delle risorse minerarie attraverso l’intervento del protettorato franco-statunitense del Ruanda e l’uso di milizie tribali». Ma l’Italia non è da meno, ricorda Grimaldi: «Mussolini, nella guerra d’Etiopia, fa uccidere da Graziani e Badoglio 280mila abissini, 5 milioni di buoi, 7 milioni di ovini, 1 milione di cavalli, 700mila cammelli». Vengono bruciate 2.000 chiese e distrutte 525.000 case e capanne. L’Italia perde 4.350 militari, coscritti o volontari. Per «colonizzare il Sud Tirolo» e assicurare all’Italia Trento e Trieste, «che l’Austria è pronta a cedere se l’Italia non dovesse entrare in guerra», il potere industriale e bancario italiano «commissiona al governo Salandra e al re Vittorio Emanuele III l’ingresso in guerra». Nel primo conflitto mondiale «cadono 600mila italiani, perlopiù contadini e operai, molti fucilati dai propri ufficiali». Di fatto, annota Grimaldi, «scompare una generazione». Poi c’è la pagina nera della decolonizzazione del Nordafrica, cui la Francia si oppone strenuamente all’indomani della Seconda Guerra Mondiale: «Nella guerra d’Algeria il regime colonialista francese rinchiude 3 milioni di algerini in campi di concentramento, della tortura e dello stupro».Il bilancio della carneficina algerina è terrificante: «Un milione di algerini, su 10 milioni scarsi di abitanti, viene ucciso». Grimaldi calcola che un altro milione di persone, composto da «tedeschi antinazisti», fosse stato ucciso dal regime di Hitler tra il 1933 e il 1940. Aggiunge: «Vogliamo parlare di Palestina 1945-2019?». Di tutte le stragi divenute croniche, quella ai danni dei palestinesi è la più “invisibile”, sui media che celebrano il ricordo della Shoah. L’argomento resta controverso: se da una parte si contesta il fatto che la memoria sia “obbligatoria” solo per l’ecatombe di Auschwitz, dall’altro vale ricordare che soltanto lo sterminio nazista degli ebrei sia stato così meticolosamente progettato e realizzato, e per motivi dichiaratamente “razziali”: tutte le altre stragi, sostengono gli storici, hanno avuto motivazioni diverse, più tristemente “convenzionali” (geopolitica, imperialismo, economia, nazionalismo). Solo nel caso del nazismo, si sottolinea, il motore del genocidio fu l’odio, alimentato dal fanatismo ideologico della “purezza razziale”. A Grimaldi non basta: lo indigna il fatto che non si celebri nessuna “giornata della memoria” per tutte gli altri abissi di abominio. «Ci fermiamo qui – conclude – con un pensiero al bambino che, oggi, ogni 3 secondi muore di fame e malattia nel mondo per il modo di gestire l’umanità da parte dell’Occidente (il primo servizio su questo infanticidio planetario del capitalismo lo feci nel 1992 per il Tg3)».E’ possibile celebrare la Giornata della Memoria per ricordare, tra tutti i genocidi della storia recente, solo quello nazista ai danni degli ebrei? Se lo domanda implicitamente un ex giornalista della Rai come Fulvio Grimaldi, nell’elencare – il 27 gennaio, sulla sua pagina Facebook – moltissime altre pagine atroci che hanno costellato il Novecento. «Il maresciallo Rodolfo Graziani massacra la Libia, occupata e seviziata dal 1911, e uccide seicentomila libici, tra civili e partigiani della resistenza, un terzo della popolazione», e poi «brucia centinaia di villaggi, bombarda centri abitati e carovane, avvelena i pozzi, impicca centinaia di libici, tra cui l’ottantenne leader della Resistenza, Omar al Mukhtar». Gli Stati Uniti, dal 1945 ad oggi, «iniziando con l’invasione della Corea e poi del Vietnam e poi proseguendo con la storica media di una guerra d’aggressione all’anno, con colpi di Stato, guerre civili innescate ad arte, sanzioni genocide», di fatto «uccidono 50 milioni di persone nel mondo». Nel solo Vietnam sono uccisi 3 milioni di civili, mentre gli effetti del napalm e dell’agente Orange continuano a far nascere e morire decine di migliaia di bambini deformi. Dagli Usa all’Europa: «Re Leopoldo del Belgio, occupante colonialista del Congo, provoca la morte di 20 milioni di congolesi».
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Facebook cancella membri dai gruppi in vista delle europee
Quando si parla dell’algoritmo di Facebook tutti pensano subito alla matematica. Eppure quante volte è capitato che vengano aggiunti amici al profilo senza che ciò venisse richiesto? Quante volte scompaiono i like senza motivo? Si elimina un commento e scompare l’intero thread del post. Il politically correct censura parole come “negri” dalle canzoni di Edoardo Vianello, mentre lascia passare minacce e ingiurie della paggior specie. Chi frequenta con assiduità il Re dei social sa benissimo di cosa stiamo parlando. E la matematica non c’entra nulla. In questi giorni, Facebook cancella in automatico gli iscritti dai gruppi. Tutti se ne sono accorti e gli admin lamentano la scomparsa improvvisa di centinaia, se non di migliaia di membri dal gruppo da loro gestito. Poichè il social di Zuckerberg è incontrollabile se non dagli sviluppatori di Menlo Park, viene da chiedersi perchè proprio i gruppi, e, soprattutto, quali gruppi? Pier Paolo Pasolini, in un celeberrimo articolo sul “Corriere della Sera”, scriveva così: «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere)».«Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, (…) Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero (…)». Ebbene, anche se a fronte del repulisti censorio di Facebook verrebbe facile evocare Pasolini ed il suo “io so”, nel caso dei gruppi, direi che ci sono anche le prove. I gruppi dai quali sono spariti centiania di membri automaticamente sarebbero tutti, incondizionatamente, ma i soli a lamentarsene pubblicamente sono i gruppi che parlano di politica, specialmente quelli che trattano di controinformazione.I gruppi tacciati di “rossobrunismo” o che propongono politiche economiche di stampo keynesiano o molto critici nei confronti dell’Unione Europea. E’ in quei gruppi che si registrano i danni maggiori. La scusa per bannare è la passività dei membri. Detto diversamente, Facebook si è arrogata il diritto di cancellare tutti quei membri che non partecipano alla vita del gruppo, non mettono i like, non condividono nè postano notizie. Eppure, chi è iscritto in gruppi come “amici che rivogliono Pippo Baudo alla tele”, pur silenti da anni, non si sono visti scippare l’iscrizione da Zuckerberg… come mai? Ora i soliti siti antibufala si affrettano a garantire che è tutto un malinteso, perchè il messaggio di chiarimento inviato dal social californiano precisa che non compariranno più tra i membri quei soggetti che sono stati iscritti in passato da altri e che d’ora in avanti, per rimanerci, dovranno confermarlo in modo esplicito. Dunque, se rimani iscritto agli “amici che rivogliono Pippo Baudo” è solo perchè, quella volta, tu hai chiesto l’iscrizione. Qualora, invece, fossi stato iscritto “di nascosto”, ban automatico in attesa di conferma esplicita.Niente Zuckerberg cattivo, dunque. Ma questa difesa antibufala puzza come le bufale scadute da un mese. Se applicassimo lo stesso criterio alle democrazie occidentali, cadrebbero tutte domani mattina, perchè nessuno dei viventi ha sottoscritto di suo pugno la dichiarazione d’indipendenza americana del 1876 o la Costituzione italiana del 1948. E tornando a Internet, basta scivolare sul mouse per accettare i cookies di qualsivoglia sito web, oppure accedere ad un servizio tramite Facebook per vedersi arrivare in posta elettronica email spazzatura da tutto il mondo. Questo zelo – “ti elimino dai gruppi se ti ha iscritto un amico anni fa” – a pochi mesi dalle elezioni, puzza di bruciato. Il confronto politico di maggio 2019 potrebbe cancellare un’intera classe politica dal vecchio continente. lobby comprese. I gruppi che si sono visti dimezzare gli iscritti, infatti, molto difficilmente pubblicano approfondimenti di “Repubblica” o del “Sole 24 Ore”, e la scusa per azzopparli con astruse motivazioni tecniche può convincere solo chi è ingenuo. O in malafede.(Massimo Bordin, “Facebook cancella membri dai gruppi a pochi mesi dalle elezioni europee”, dal blog “Micidial” del 21 gennaio 2019).Quando si parla dell’algoritmo di Facebook tutti pensano subito alla matematica. Eppure quante volte è capitato che vengano aggiunti amici al profilo senza che ciò venisse richiesto? Quante volte scompaiono i like senza motivo? Si elimina un commento e scompare l’intero thread del post. Il politically correct censura parole come “negri” dalle canzoni di Edoardo Vianello, mentre lascia passare minacce e ingiurie della paggior specie. Chi frequenta con assiduità il Re dei social sa benissimo di cosa stiamo parlando. E la matematica non c’entra nulla. In questi giorni, Facebook cancella in automatico gli iscritti dai gruppi. Tutti se ne sono accorti e gli admin lamentano la scomparsa improvvisa di centinaia, se non di migliaia di membri dal gruppo da loro gestito. Poiché il social di Zuckerberg è incontrollabile se non dagli sviluppatori di Menlo Park, viene da chiedersi perché proprio i gruppi, e, soprattutto, quali gruppi? Pier Paolo Pasolini, in un celeberrimo articolo sul “Corriere della Sera”, scriveva così: «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere)».
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Italia assediata, Francia e Germania ci imporranno Draghi
Se il governo Conte crolla di colpo, c’è già pronto Cottarelli. Ma il vero pericolo si chiama Mario Draghi: il presidente uscente della Bce potrebbe ripiegare su Palazzo Chigi, se non andasse in porto il piano principale che lo riguarda, cioè arrivare alla presidenza del Fmi e sottrarre il Fondo Monetario all’egemonia Usa, per metterlo al guinzaglio di Berlino e Parigi. Secondo l’analisi di Gianfranco Carpeoro, per l’Italia si è acceso l’allarme rosso: l’incredibile Trattato di Aquisgrana, che demolisce qualsiasi prospettiva comunitaria proiettando anche ufficialmente Germania e Francia nel ruolo di “padrone” neo-coloniali dell’Ue, ha come vittima principale proprio il Belpaese. A Roma non si perdona l’insubordinazione del governo gialloverde, l’unico esecutivo teoricamente all’opposizione di Bruxelles. Lo dimostra la “macchina del fango” scatenatasi contro Lega e 5 Stelle, per indebolirne la leadership. Il polverone sul padre di Di Maio (lavoro nero) e su quello di Di Battista (debiti), unitamente alla mazzata giudiziaria sui leghisti (maxi-risarcimento da 49 milioni di euro) a questo servono: a impedire che l’elettorato italiano si sollevi, nel caso in cui una crisi pilotata – banche, spread – precipitasse il paese nella bufera, replicando le condizioni del “golpe bianco” che nel 2011 consentì alla “sovragestione” europea di costringere alla resa Berlusconi e imporre il commissariamento dell’Italia, tramite Monti.Autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela i retroscena supermassonici di area Nato dietro ai recenti attentati affidati in Europa alla manovalanza dell’Isis, Carpeoro individua la Loggia P1 (mai riconosciuta, ufficialmente) come la vera “quinta colonna” del peggior potere internazionale, utilizzata per manipolare e indebolire la politica italiana, grazie al prezioso contributo di un establishment “collaborazionista”, reclutato da poteri stranieri per dominare il nostro paese. L’oligarchia Ue è in fibrillazione, in vista delle europee, dal momento in cui Lega e 5 Stelle – con tutti i loro limiti – hanno inserito l’Italia in una traiettoria di collisione con Bruxelles. Da qui le pressioni della Bce e della Banca d’Italia, le impennate dello spread e il “niet” di Mattarella per impedire a Paolo Savona l’accesso al ministero dell’economia. Infine, il lungo braccio di ferro sul deficit 2019 – non ancora concluso – con il governo italiano sottoposto alla minaccia della procedura d’infrazione. Obiettivo dei “sovragestori”: spuntare le armi dei gialloverdi e costringerli a rimediare una figuraccia davanti ai loro elettori, non consentendo loro di mantenere nessuna delle promesse elettorali. Guai se il “virus” della ribellione italiana – aumentare il deficit, violando il rigore di Maastricht – dovesse propagarsi in altri paesi, incoraggiando analoghe svolte politiche. Ad aumentare la tensione ha contribuito certamente anche la rivolta francese dei Gilet Gialli, capaci di spaventare seriamente i poteri che hanno insediato Macron all’Eliseo.Ora, su questo scenario già instabile piomba come un macigno l’inaudito accordo siglato da Francia e Germania, che toglie qualsiasi residua credibilità alla dimensione comunitaria dell’Ue: i due paesi si impegnano a coordinare le loro politiche economiche, fino al punto di istituire formalmente un “Consiglio dei ministri franco-tedesco”. «Si tratta di un atto gravissimo e senza precedenti», dichiara Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un accordo apertamente ostile agli altri partner europei, «al quale si uniranno sicuramente anche quei lestofanti degli olandesi, che hanno già contribuito a impoverire l’Italia introducendo una normativa fiscale sleale, che ha sottratto al nostro paese ingenti risorse, attraverso il trasferimento in Olanda della domiciliazione fiscale di grandi aziende italiane». Con il nuovo trattato, dice Carpeoro, l’asse franco-tedesco getta la maschera e si prepara a colpire l’Italia in modo frontale, contando anche sull’immancabile collaborazione delle “quinte colonne” interne, «sempre pronte, come già nel Rinascimento, ad allearsi con lo straniero pur di far cadere il governo in carica».Ora il cerchio si stringe, par di capire: il Trattato di Aquisgrana – con l’Italia esclusa dall’Europa che conta – piomba come un fulmine su una situazione già molto allarmante, con la spada di Damocle della procedura d’infrazione (sempre presente) e la lettera della Bce che chiede alle banche italiane di liberarsi dei crediti inesigibili, dopo che il governo ha appena compiuto il salvataggio della genovese Carige. All’affronto franco-tedesco, dice Carperoro, l’Italia dovrebbe rispondere in modo simmetrico: cercando di siglare analoghi trattati – altrettanto ostili – con paesi mediterranei, come la Spagna e la stessa Grecia. Lo farà? Difficile dirlo: bombardato dai grandi media, tutti allineati al potere Ue, il governo Conte potrebbe cedere. Di Maio è stato bersagliato da un killeraggio inaudito, e presto potrebbe venire il turno di Salvini. L’unico vero alleato dell’Italia, cioè Donald Trump, appare isolato. Starebbe sostanzialmente evaporando una certa “sovragestione” americana esercitata fin dall’inizio sui 5 Stelle, quand’era il neocon Michael Ledeen, esponente del Jewish Institute, ad accompagnare Di Maio nei santuari del potere finanziario supermassonico. Ora si punta a indebolire e “sovragestire” l’imprudente Salvini, sommerso dalle polemiche (giustificate) per aver partecipato alla cena romana con l’entourage Pd di Maria Elena Boschi, che sulle banche interveniva per motivi di famiglia.Tutto questo, sintetizza Carpeoro, non fa che indebolire l’Italia: se il governo Conte dovesse cadere all’improvviso, sarebbe spianata la strada per il solito – orrendo – governo “tecnico”, i realtà pilotato dalla consueta élite supermassonica e, nel caso, affidato al neoliberista Carlo Cottarelli, già dirigente del Fmi, tra i massimi responsabili della catastrofe che ha messo in ginocchio la Grecia sotto i colpi dell’austerity. In prospettiva, comunque, secondo Carpeoro la minaccia maggiore viene da Draghi: proprio sul presidente della Bce, ormai in scadenza, punterebbero le oligarchie reazionarie europee per commissariare l’Italia in modo devastante, se a Draghi non riuscirà di conquistare la guida del Fondo Monetario Internazionale con l’obiettivo di sottrarlo all’influenza statunitense. Il piano: mettere il Fmi a completo servizio dell’ordoliberismo europeo: quello che oggi utilizza Francia e Germania come potenze neo-coloniali, come già alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, per spegnere sul nascere qualsiasi tentazione di riforma dell’Ue in senso democratico. Uno scenario che i “sovragestori” temono possa rafforzarsi se alle prossime europee dovesse imporsi l’onda “populista” in diversi paesi, grazie anche al “cattivo esempio” dell’odiata Italia gialloverde, cioè il paese a cui il Trattato di Aquisgrana punta a “spezzare le reni”.Se il governo Conte crolla di colpo, c’è già pronto Cottarelli. Ma il vero pericolo si chiama Mario Draghi: il presidente uscente della Bce potrebbe ripiegare su Palazzo Chigi, se non andasse in porto il piano principale che lo riguarda, cioè arrivare alla presidenza del Fmi e sottrarre il Fondo Monetario all’egemonia Usa, per metterlo al guinzaglio di Berlino e Parigi. Secondo l’analisi di Gianfranco Carpeoro, per l’Italia si è acceso l’allarme rosso: l’incredibile Trattato di Aquisgrana, che demolisce qualsiasi prospettiva comunitaria proiettando anche ufficialmente Germania e Francia nel ruolo di “padrone” neo-coloniali dell’Ue, ha come vittima principale proprio il Belpaese. A Roma non si perdona l’insubordinazione del governo gialloverde, l’unico esecutivo teoricamente all’opposizione di Bruxelles. Lo dimostra la “macchina del fango” scatenatasi contro Lega e 5 Stelle, per indebolirne la leadership. Il polverone sul padre di Di Maio (lavoro nero) e su quello di Di Battista (debiti), unitamente alla mazzata giudiziaria sui leghisti (maxi-risarcimento da 49 milioni di euro) a questo servono: a impedire che l’elettorato italiano si sollevi, nel caso in cui una crisi pilotata – banche, spread – precipitasse il paese nella bufera, replicando le condizioni del “golpe bianco” che nel 2011 consentì alla “sovragestione” europea di costringere alla resa Berlusconi e imporre il commissariamento dell’Italia, tramite Monti.
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Magaldi: terrorismo sempre sfruttato da chi teme il popolo
Fateci caso: lo schema è sempre lo stesso. Non appena sorge una rivolta democratica contro leggi oppressive, la sua spinta viene puntualmente manipolata e fatta naufragare, con il ricorso alla violenza terroristica. Così i rivoluzionari democratici vengono emarginati. E la situazione, per chi pativa l’assenza di diritti, peggiora ulteriomente. E’ successo dopo la Grande Guerra: le speranze del socialismo sono state sabotate dai massimalisti, molti dei quali – come Mussolini – hanno poi dato vita al fascismo (con tanti saluti ai diritti dei lavoratori). Tragico replay negli anni Settanta, col movimento studentesco “spento” attraverso l’emergenza terroristica, la strategia della tensione che ha strumentalizzato per i propri fini l’estremismo più acceso. Mai dimenticare la genesi dell’involuzione post-democratica della società di oggi: può servire a inquadrare meglio anche la tormentata vicenda di Cesare Battisti, ora estradato in Italia dopo l’arresto in Bolivia, ma a lungo protetto dalla Francia grazie a un sostanziale equivoco: l’indulgenza che si riteneva meritasse chiunque, benché macchiatosi di crimini, avesse condotto una lotta politica anche violenta, nel nome dell’antifascismo. Come se il bene comune dovesse essere il comunismo, anziché la democrazia.Avete idea di dove saremmo, oggi, se ne gli anni Sessanta non fossero stati assassinati i maggiori leader democratici e progressisti del mondo, dai Kennedy a Martin Luther King? Una riflessione che Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del saggio “Massoni”, ripropone – nel giorno dell’estradizione di Battisti – al pubblico di “Border Nights”, nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti. Un’analisi puntuale, storiografica, dalla quale emerge che – a fronteggiare il terrorismo delle Brigate Rosse, insieme a quello neofascista delle stragi nelle piazze – furono i socialisti come Pertini, che da giovani erano stati emarginati dal Mussolini massimalista che dirigeva “L’Avanti”. Anche allora, tra le due guerre – ricorda Maglaldi – la società era agitata da attentati e violenze: servivano a mettere in minoranza i fautori del socialismo liberale e democratico. Dopo Yalta, i riformisti italiani erano riusciti a contribuire in modo decisivo al benessere delle classi popolari: basti pensare allo Statuto dei Lavoratori promosso dal socialista Gino Giugni. Erano gli anni Settanta, e i lavoratori italiani stavano assai meglio di oggi. Come è stata fermata, la lunga marcia dei diritti del lavoro? Con quel terrorismo “rosso”, nel quale militarono esponenti dell’estrema sinistra come Cesare Battisti.Nel suo libro, edito da Chiarelettere nel 2014, Magaldi evidenzia il ruolo nefasto delle superlogge massoniche reazionarie come la “Three Eyes”, cui si opposero i circuiti massonici progressisti, protagonisti della Rivoluzione dei Garofani in Portogallo e alla fine del regime dei colonnelli in Grecia. In Italia, secondo Magaldi, la stessa “Three Eyes” gestì la cabina di regia della strategia della tensione, utilizzando – come braccio operativo – la Loggia P2 di Licio Gelli. Risultato: manipolando l’estremismo, sfociato in terrorismo aperto, si spense l’onda lunga nata con il Sessantotto. Già nel ‘75 guardava lontano, la “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller, lanciando – attraverso la Trilaterale – il manifesto “La crisi della democrazia”, che avrebbe gettato le basi per l’esplosione del neoliberismo globalizzato. Un dramma che in Europa si è concretizzato nello strapotere tecnocratico dell’Ue, che vieta agli Stati di ricorrere al deficit per sostenere la società, famiglie e aziende, tramite investimenti pubblici. Proprio all’Europa, che secondo Magaldi può salvarsi solo grazie un New Deal del terzo millennio, è dedicato il convengno internazionale che il Movimento Roosevelt organizza a Londra, il 30 marzo, con prestigiosi economisti post-keynesiani. Tutto si tiene, comunque: e alla fine, si scopre che il terrorismo lavora sempre per i nemici della democrazia. Possono piovere pallottole o politiche di rigore, ma il risultato non cambia: a rimetterci è sempre il popolo.Fateci caso: lo schema è sempre lo stesso. Non appena sorge una rivolta democratica contro leggi oppressive, la sua spinta viene puntualmente manipolata e fatta naufragare, con il ricorso alla violenza terroristica. Così i rivoluzionari democratici vengono emarginati. E la situazione, per chi pativa l’assenza di diritti, peggiora ulteriomente. E’ successo dopo la Grande Guerra: le speranze del socialismo sono state sabotate dai massimalisti, molti dei quali – come Mussolini – hanno poi dato vita al fascismo (con tanti saluti ai diritti dei lavoratori). Tragico replay negli anni Settanta, col movimento studentesco “spento” attraverso l’emergenza terroristica, la strategia della tensione che ha strumentalizzato per i propri fini l’estremismo più acceso. Mai dimenticare la genesi dell’involuzione post-democratica della società di oggi: può servire a inquadrare meglio anche la tormentata vicenda di Cesare Battisti, ora estradato in Italia dopo l’arresto in Bolivia, ma a lungo protetto dalla Francia grazie a un sostanziale equivoco: l’indulgenza che si riteneva meritasse chiunque, benché macchiatosi di crimini, avesse condotto una lotta politica anche violenta, nel nome dell’antifascismo. Come se il bene comune dovesse essere il comunismo, anziché la democrazia.
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Della Luna: aria di recessione, verso un golpe stile 2011?
Serie tanto ripetute e brutte di perdite sui titoli, sia azionari che obbligazionari (e in quasi tutti i comparti dei portafogli dei fondi di investimento) si erano avute solo nel 1929. Ma oggi, rispetto al 1929, ci sono aggravanti: un rallentamento in atto dell’economia su scala globale; banche in crisi per migliaia di miliardi di perdite su derivati e crediti; prossima riduzione o fine del quantitative easing, sia in Europa che in America; ripetuti rialzi dei tassi; un tedesco o simile a capo della Bce al posto di Draghi. Con quanto sopra si prepara la tempesta perfetta, che – a volerlo – si poteva facilmente prevenire sin dagli interventi statali nella crisi del 2008, ma che l’oligarchia bancaria globalista ha per contro voluto permettere (con la solita strategia del pump-and-dump, ma elevata al cubo), perché grazie ad essa potrà rastrellare tutti gli asset e tutti i residui di autonomia politica dalle nazioni che sta mettendo in ginocchio. Pare che questo piano sia contrastato da una forza politica incarnata soprattutto negli alti gradi del Pentagono nell’amministrazione Trump, il quale, oltre ad aver imposto alla Fed moderazione nei rialzi dei tassi, nel 2018 ha emesso decreti presidenziali idonei a colpire con sequestri, arresti e corti marziali chi attacca i diritti umani e l’economia, anche dall’estero.Se la tempesta perfetta non verrà sventata, l’Italia, col suo debito pubblico e la sua inefficienza comparata, e con un tedesco o finlandese a capo della Bce, verrà colpita più duramente di molti paesi che, dal 2008 ad oggi, hanno recuperato fortemente sia nel Pil che nel mercato immobiliare, acquisendo così la capacità di assorbire i colpi dei mercati. L’Italia cadrà in recessione e lo spread diverrà insostenibile. A quel punto, delle due, l’una: o uscirà dall’euro e magari anche dall’Ue, recuperando la sovranità monetaria e sperando che i suoi governanti siano tecnicamente capaci di gestire il cambiamento; oppure il trinomio Bce-Ue-Quirinale farà un nuovo golpe, mettendo su un governo alla Monti, si dice con Draghi premier, o con una Trojka europeista, che imporrà una nuova stangata fiscale, ovviamente anche patrimoniale, e dovrà reprimere con la forza le inevitabili proteste.Questo nuovo golpe avrebbe come protagonisti: un presidente della Repubblica nominato da una maggioranza parlamentare frutto di una legge già dichiarata incostituzionale, e scelto da Renzi e soci, cioè dal partito dei banchieri, pensando a tornare al governo senza passare per nuove elezioni. Nel suo passato, di notevole vi è solo la sua importante partecipazione, come vicepremier, a un governo che, in violazione della Costituzione e senza nemmeno dichiarare la guerra, bombardò i civili serbi su richiesta e per conto di interessi stranieri, al fine – come ha ricordato Diego Fusaro – di fare del Kosovo una grande piattaforma Nato anti-russa; e un Draghi, che dapprima, il 2 giugno ‘92, partecipò quale direttore generale del Tesoro al famigerato Britannia party, nel quale fu pianificata la destabilizzazione e privatizzazione dell’Italia in favore di capitalisti stranieri, e poi si impose sulle perplessità della Sorveglianza di Bankitalia al fine di permettere l’acquisto di Antonveneta da parte di Mps – che, fatto appositamente senza previa “due diligence”, mandò in rovina la banca senese, arricchendo enormemente soggetti la cui identità è ancora ben coperta. Si avvicina, insomma, il termine ultimo per potersi trasferire con le proprie attività in terre più salubri.(Marco Della Luna, “Le nozze di golpe e recessione”, dal sito di Della Luna del 5 gennaio 2019).Serie tanto ripetute e brutte di perdite sui titoli, sia azionari che obbligazionari (e in quasi tutti i comparti dei portafogli dei fondi di investimento) si erano avute solo nel 1929. Ma oggi, rispetto al 1929, ci sono aggravanti: un rallentamento in atto dell’economia su scala globale; banche in crisi per migliaia di miliardi di perdite su derivati e crediti; prossima riduzione o fine del quantitative easing, sia in Europa che in America; ripetuti rialzi dei tassi; un tedesco o simile a capo della Bce al posto di Draghi. Con quanto sopra si prepara la tempesta perfetta, che – a volerlo – si poteva facilmente prevenire sin dagli interventi statali nella crisi del 2008, ma che l’oligarchia bancaria globalista ha per contro voluto permettere (con la solita strategia del pump-and-dump, ma elevata al cubo), perché grazie ad essa potrà rastrellare tutti gli asset e tutti i residui di autonomia politica dalle nazioni che sta mettendo in ginocchio. Pare che questo piano sia contrastato da una forza politica incarnata soprattutto negli alti gradi del Pentagono nell’amministrazione Trump, il quale, oltre ad aver imposto alla Fed moderazione nei rialzi dei tassi, nel 2018 ha emesso decreti presidenziali idonei a colpire con sequestri, arresti e corti marziali chi attacca i diritti umani e l’economia, anche dall’estero.
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Comanda il denaro: la politica obbedisce e il popolo subisce
«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».Il capitale, aggiunge il filosofo transalpino, vuole l’abolizione delle frontiere per porre fine una volta per tutte a ciò che nell’ambito delle nazioni e dei paesi è stato ottenuto con secoli di lotte sociali. Lo se Stato teoricamente prevede una sicurezza sociale e offre scuole gratuite, il pensionamento a un’età decorosa, diritti del lavoro e un autentico progresso sociale, il neoliberismo si fa beffe delle tutele sociali e pratica la medicina con due pesi e due misure, o quella dei poveri o quella dei ricchi. «Dispone di un sistema di istruzione, certo, ma a misura di genitori facoltosi in grado di pagare le rette per la loro progenie e privo di utilità per i genitori indigenti». E poi «ignora i limiti dell’orario di lavoro e fa sgobbare i lavoratori tutta la giornata, tutta la settimana, tutta la vita, come ai tempi della schiavitù». E’ un sistema che «non conosce il codice del lavoro e trasforma gli operai, gli impiegati, i salariati, i proletari, i precari, gli stagisti in soggetti sottomessi, che devono sobbarcarsi ogni tipo di corvè». Quel che vuole il nuovo capitale, neoliberismo «nella sua versione di destra come nella sua versione di sinistra», è l’affermazione dei sempre più ricchi, a scapito dei sempre più poveri. «Da qui la sua ideologia che prevede l’abolizione delle frontiere, degli Stati e delle tutele di qualsiasi tipo – simboliche, reali, giuridiche, legali, culturali, intellettuali».Non appena viene meno tutto ciò che protegge i deboli dai forti, scrive Onfray, questi ultimi «possono disporre dei deboli a loro piacere, e i deboli possono essere terrorizzati dal fatto di trovarsi in costante concorrenza, possono essere sfruttati con posti di lavoro precari, maltrattati con contratti a tempo determinato, imbrogliati con gli stage di formazione, minacciati dalla disoccupazione, angosciati dalle riconversioni, messi kappaò da capetti che giocano anche con i loro stessi posti di lavoro». Evaporato lo Stato, è il mercato a dettare legge. «Giocando la carta del liberalismo – aggiunge Onfray – la sinistra al governo spinge nella medesima direzione del capitalismo con i suoi banchieri». E giocando invece la carta dell’antiliberalismo, «la sinistra definita radicale spinge nella medesima direzione», premiando la finanza. Queste due modalità d’azione della sinistra, aggiunge il filosofo, hanno gettato il popolo alle ortiche: «Non ci sarebbero più operai, impiegati, proletari, poveri contadini, ma soltanto un popolo-surrogato, un popolo di migranti in arrivo da un mondo non giudeo-cristiano, con i valori di un Islam che assai spesso volta le spalle alla filosofia dei Lumi. Questo popolo-surrogato non è tutto il popolo, ne è soltanto una parte che, però, non deve eclissare tutto ciò che non è».Il proletariato? «Esiste ancora, e così pure gli operai». Esistono ancora anche gli impiegati (per non parlare dei precari, più importanti che mai). «La pauperizzazione analizzata così bene da Marx è diventata la vera realtà del nostro mondo: i ricchi sono sempre più ricchi e sempre meno numerosi, mentre i poveri sono sempre più poveri e sempre più numerosi». Se nell’ambito dell’Europa si pratica l’islamofilia empatica, aggiunge Onfray, fuori dalle sue frontiere il liberalismo che ci governa pratica un’islamofobia militare. «Al potere, in Francia, la sinistra socialista ha rinunciato al socialismo di Jaurès nel 1983 e in seguito, nel 1991, ha rinunciato al pacifismo del medesimo Jaurès prendendo parte alle crociate decise dalla famiglia Bush, che così ha dato all’apparato industriale-militare che lo sostiene l’occasione di accumulare benefici immensi, conseguiti grazie alle guerre combattute nei paesi musulmani». Queste guerre «si fanno nel nome dei diritti dell’uomo: di fatto, si combattono agli ordini del capitale che ha bisogno di esse per dopare il suo business e migliorarne artificialmente le prestazioni». Usare armi, insiste Onfray, significa poterne costruirne altre, collaudandole sul campo. A chiudere il conto, poi, provvede il business della ricostruzione, che – sempre ai soliti monopolisti – garantisce «introiti smisurati».Se all’Occidente importasse qualcosa, dei diritti umani, eviterebbe di allearsi con paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, la Corea del Nord e la stessa Cina, che secondo Amnesty International non rispettano i diritti dell’uomo. «Queste false guerre per la democrazia, che di fatto sono vere e proprie guerre coloniali – sottolinea Onfray – prendono di mira le comunità musulmane». Dal 1991 hanno provocato 4 milioni di morti tra le popolazioni civili dei paesi coinvolti. «Come si può anche solo immaginare che l’Umma, la comunità planetaria dei musulmani, non sia solidale con le sofferenze di quattro milioni di correligionari?». Di conseguenza, aggiunge Onfray, non ci si deve stupire se in virtù di quella che Clausewitz definì la “piccola guerra”, quella che i deboli combattono contro i forti, l’Occidente gregario della politica statunitense si trova adesso esposto alla reazione che assume la forma di terrorismo islamico. «La religione continua a essere “l’oppio dei popoli”, e l’oppio è tanto più efficace quanto più il popolo è oppresso, sfruttato e, soprattutto, umiliato. Non si umiliano impunemente i popoli: un giorno quei popoli si ribelleranno, è inevitabile. E la cultura musulmana ha mantenuto potentemente quel senso dell’onore che l’Occidente ha perduto».Il ritorno del popolo alle urne, per Onfray, è una risposta «alla bassezza di questo mondo capitalista e liberale che è impazzito». Dalla caduta del Muro di Berlino, le ideologie dominanti «hanno assimilato la gestione liberale del capitalismo all’unica politica possibile». L’Europa di Maastricht «è una delle macchine con le quali si impone il liberalismo in maniera autoritaria, ed è un vero colmo per il liberalismo: negli anni Novanta, la propaganda di questo Stato totalitario maastrichtiano ha presentato il suo progetto asserendo che esso avrebbe consentito la piena occupazione, la fine della disoccupazione, l’aumento del tenore di vita, la scomparsa delle guerre, l’inizio dell’amicizia tra i popoli». Dopo un quarto di secolo di questo regime trionfante e senza opposizione, «i popoli hanno constatato che ciò che era stato promesso loro non è stato mantenuto e, peggio ancora, che è accaduto esattamente il contrario: impoverimento generalizzato, disoccupazione di massa, abbassamento del tenore di vita, proletarizzazione del ceto medio, moltiplicarsi di guerre e incapacità di impedire quella dei Balcani, concorrenza forzata in Europa per il lavoro».A fronte di questa evidenza, il popolo sembra prepararsi a reagire. «Per il momento si affida a uomini e donne che si definiscono provvidenziali». Certo, il doppio smacco di Tsipras con “Syriza” in Grecia e di Pablo Iglesias con “Podemos” in Spagna «mostra i limiti di questa fiducia nella capacità di questo o quello di cambiare le cose restando in un assetto di politica liberale». Per Onfray, anche Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle «vivono un flop di egual misura». La Francia, che nel 2005 ha detto “no” a questa Europa di Maastricht, «ha subito una sorta di colpo di Stato compiuto dalla destra e dalla sinistra liberale» che, nel 2008, hanno imposto tramite il Parlamento «l’esatto contrario di ciò che il popolo aveva scelto». Onfray si riferisce al Trattato di Lisbona, ratificato da Hollande e dal partito socialista, come pure da Sarkozy e dal suo partito. «Gli eletti del popolo hanno votato contro il popolo, determinando così una rottura che ora si paga con un astensionismo massiccio o con decine di voti estremisti di protesta». Altri paesi ancora che hanno manifestato il loro rifiuto nei confronti di questa configurazione europea liberale – Danimarca, Norvegia, Irlanda, Svezia, Paesi Bassi – sono dovuti tornare a votare per rivedere le loro prime scelte. «La Brexit è in corso, e assistiamo in diretta a una sfilza di pressioni volte a scavalcare la volontà popolare».Oggi, riassume Onfray, il popolo «sembra deciso a voler fare tabula rasa di tutti coloro che, vicini o lontani, hanno avuto una responsabilità precisa nel creare la terribile situazione nei loro paesi». Lo scenario contro cui si ribella è quello innescato dalla globalizzazione neoliberista, «alle prese con le guerre neocoloniali statunitensi, davanti ai massacri planetari di popolazioni civili musulmane e a guerre che distruggono paesi come Iraq, Afghanistan, Mali, Libia e Siria, provocando migrazioni di massa di profughi in direzione del territorio europeo». Un panorama sul quale si staglia ingloriosamente «l’inettitudine dell’Europa di Maastricht, forte con i deboli e debole con i forti». Rabbia e frustrazione: è il carburante che, in Francia, spinge in strada i Gilet Gialli. «Una volta ottenuta questa tabula rasa – conclude Onfray – non è previsto che ci sia alcun castello nel quale riparare, perché è impossibile che vi resti un castello». A quel punto, aggiunge, «sembra che non ci resterà che un’unica scelta: la peste liberale o il colera liberale». Trump e Putin? «Non potranno farci nulla: è il capitale a dettar legge. I politici obbediscono e i popoli subiscono».«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».
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Noi ciechi, nella caverna di Platone chiamata neoliberismo
Il neoliberismo, che è la base economica del moderno capitalismo assoluto (speculativo-finanziario), va necessariamente compreso per inquadrare le attuali dinamiche socio-politico-economiche e poiché costituisce quello che viene definito Pensiero Unico (che sostiene il primato dell’economia sulla politica). In parole povere si tratta della dottrina economica (cui corrisponde ovviamente un’inscindibile ideologia politica) all’origine di tutti i nostri problemi e, semplificando, altro non è che la coronazione di un progetto di restaurazione del potere di classe (risalente già agli anni Venti del Novecento ma iniziato ad attuarsi negli anni Settanta) da parte della “classe dominante”; è la reazione delle élite che, nell’età contemporanea, tanto avevano perso in termini di potere e di ricchezza (soprattutto nei “trenta gloriosi” successivi al secondo dopoguerra, quando le Costituzioni socialiste associate alle politiche economiche keynesiane avevano portato benessere ai popoli e forza alle democrazie, tanto che nello studio “Crisi della democrazia” del 1975, commissionato dalla Trilaterale, si parlava della necessità di apatia e spoliticizzazione delle masse e di indebolimento del sindacato a causa di un pericoloso “eccesso di democrazia” da risolvere anche con l’introduzione di tecnocrazie).Quindi, partendo dalle teorie di Von Hayek e con la Scuola di Chicago di Friedman, andò imponendosi in campo accademico questo nuovo pensiero (grazie, tra le tante, alla influente Mount Pelerin Society fondata già nel 1947 da Hayek con l’intento di aggregare varie personalità del mondo intellettuale al fine di ridiscutere il liberalismo classico della “mano invisibile” di Adam Smith). Essi misero in discussione il liberismo espansivo con intervento statale di tipo keynesiano (l’embedded liberalism della piena occupazione e della redistribuzione della ricchezza) e suggerirono di passare alla deregulation, a politiche di tagli alla spesa sociale, alle privatizzazioni (degli utili, e socializzazione delle perdite), alla finanziarizzazione dell’economia, alla deificazione del mercato e quindi alla definitiva sottomissione dello Stato e della politica agli interessi economici dei potentati privati. Il tutto andò in porto grazie alla diffusione a reti unificate del nuovo credo tramite le “categorie previane” del circo mediatico, del clero giornalistico e accademico e del ceto intellettuale (che, con la sintassi di Bourdieu, è da sempre il gruppo dominato della classe dominante).Tutto iniziò dal “test pilota” dopo il golpe di Pinochet in Cile del ’73, e poi dai governi occidentali di Thatcher, Reagan, Mitterrand e Kohl per arrivare al capolavoro degli arbitrari parametri di Maastricht (fulcro dell’ordoliberismo) e della moneta unica europea a cambio fisso con banca centrale indipendente (e sostanzialmente privata). Fin da allora la distribuzione di ricchezza avrà un’inversione di tendenza e andrà concentrandosi sempre più nelle mani di quella che è di fatto un’oligarchia finanziaria che non fa che portare avanti programmi a proprio vantaggio e a detrimento dei popoli (vedasi dati oggettivi sulla sperequazione crescente). Ciò che si è riassunto in poche righe va contestualizzato all’epoca ed è solo la lotta di classe dopo la lotta di classe (Gallino) ovvero la ribellione delle élite (Lasch); è l’operato di un gruppo, dell’1%, che fa i propri interessi a spese di un altro, quello del 99% (come è lecito, anche se non etico). Il problema è stata la mancata risposta delle classi subalterne e dei loro rappresentanti (politici e sindacali) che non hanno saputo interpretare e comprendere i fatti e tendono a non vederli o capirli tuttora (alcuni “stupidamente”, altri in malafede, sia a destra che a sinistra, con l’esaurimento della storica dicotomia).Bisogna liberarsi dei mantra del “There Is No Alternative” (Thatcher) e dell’ineluttabile “fine della storia” (Fukuyama) che abbiamo introiettato; in realtà tutto è frutto di scelte politiche ed economiche deliberate e pianificate; il sistema socio-economico nel quale viviamo non è un fatto naturale e irriformabile e, in quanto tale, non è necessario subirlo, basta pensare ed agire altrimenti (poiché, parafrasando Einstein, non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che l’ha generato). Purtroppo però le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti (Marx). Per giungere ad un cambiamento è necessario arrivare ad una “massa critica” di persone consapevoli, che comprendano che è in atto una “guerra” (la mai estinta contrapposizione hegeliana servo-signore) e che si compattino riconoscendo il “nemico” comune da combattere (che personalmente, credo a ragione, ho identificato nel neoliberismo e nelle sue ricadute politiche e sociali).Cerco di spiegarmi meglio: dal sistema economico vigente scaturisce l’onnipervaviso e catechizzante Pensiero Unico, nel quale si innervano tutte le esiziali logiche sociali hobbesiane della competizione, dell’homo homini lupus, del mors tua vita mea, del do ut des, del narcisismo individualista, dell’egoismo, dell’edonismo, del materialismo, del consumismo e della spietatezza di cui è malata la nostra società nichilistica egocentrata, e che ci rendono “schiavi” perfetti poiché, come abitatori della caverna di Platone, siamo incapaci di vedere le nostre “catene” e quindi impossibilitati a liberarcene. All’interno di quel coagulo di interessi economici e di valori culturali e morali (il blocco storico di gramsciana memoria) appare chiaro come il pensiero economico egemone abbia influito cambiando la società che, come propugnava la Thatcher, davvero non esiste più, esistono solo gli individui: non più una comunità di animali sociali (Aristotele) ma una massa di homines oeconomici, di imprenditori di sé, di monadi (da qui, complice il politicamente corretto, l’attenzione focalizzata con successo esclusivamente sui diritti civili a spese di quelli sociali).Perciò, dunque, occorre una rivoluzione culturale che può partire solo da chi ha una propria coscienza infelice (Hegel) rifuggendo dalla crematistica e ritornando all’equilibrio e quindi ai concetti di misura e limite (come ci insegnano gli antichi greci). Rimane un unico problema che il già citato Platone conosceva fin da 2400 anni fa: l’eventuale “liberatore” verrà dapprima deriso e finanche ammazzato da quelli in “catene”. È davvero eloquente ed attuale l’allegoria della caverna, in cui Platone descrive come una realtà mediata e manipolata viene invece percepita come “verità” dagli sventurati protagonisti che, poiché nati in cattività, non possono immaginare un’esteriorità rispetto alla caverna stessa e quindi, non sapendosi schiavi ingannati, tantomeno ambire alla libertà.(Enrico Gatto, “Il problema – contro il quale unirsi”, da “L’Interferenza” del 2 gennaio 2018).Il neoliberismo, che è la base economica del moderno capitalismo assoluto (speculativo-finanziario), va necessariamente compreso per inquadrare le attuali dinamiche socio-politico-economiche e poiché costituisce quello che viene definito Pensiero Unico (che sostiene il primato dell’economia sulla politica). In parole povere si tratta della dottrina economica (cui corrisponde ovviamente un’inscindibile ideologia politica) all’origine di tutti i nostri problemi e, semplificando, altro non è che la coronazione di un progetto di restaurazione del potere di classe (risalente già agli anni Venti del Novecento ma iniziato ad attuarsi negli anni Settanta) da parte della “classe dominante”; è la reazione delle élite che, nell’età contemporanea, tanto avevano perso in termini di potere e di ricchezza (soprattutto nei “trenta gloriosi” successivi al secondo dopoguerra, quando le Costituzioni socialiste associate alle politiche economiche keynesiane avevano portato benessere ai popoli e forza alle democrazie, tanto che nello studio “Crisi della democrazia” del 1975, commissionato dalla Trilaterale, si parlava della necessità di apatia e spoliticizzazione delle masse e di indebolimento del sindacato a causa di un pericoloso “eccesso di democrazia” da risolvere anche con l’introduzione di tecnocrazie).
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Ue sleale con l’Italia, mentre alla Francia perdona il deficit
Lo stallo con i funzionari europei. Ministri che volano a Bruxelles per negoziare un accordo d’ultimo minuto. Grida di tradimento a casa. Oscuri avvertimenti di calamità economiche e di agitazione sociale. No, non è il serial della Brexit a Westminster ma la crisi europea che tutti sembrano avere dimenticato: il confronto tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. A ottobre, la coalizione italiana di governo, compresa la Lega di estrema destra e il movimento populista Cinque Stelle (M5S) hanno presentato una bozza di bilancio con molte delle promesse elettorali dei partiti come il reddito di cittadinanza per i disoccupati e l’accantonamento di una precedente proposta di aumentare l’età pensionabile. Il bilancio avrebbe aumentato il deficit italiano al 2.4% del Pil, un tasso più alto di quello previsto dal governo precedente ma più basso del limite europeo del 3%. Ciononostante, in una mossa senza precedenti, la Commissione Europea ha bocciato il bilancio per la violazione della regola fiscale. La previsione di crescita di Roma, ha insistito, è fin troppo ottimista e il vero rapporto deficit-Pil aumenterebbe al 3%. L’Italia è stata minacciata di sanzioni.La settimana scorsa il governo a Roma ha ceduto stilando un bilancio più austero. Se sia sufficiente per placare la Commissione rimane ancora tutto da vedere. L’Italia taglia il bersaglio del deficit del 2019 al 2.04% per evitare le sanzioni Ue. La reale difficoltà dell’Italia deriva non tanto dal suo deficit annuo quanto dal suo debito, che ammonta adesso a 2.600 miliardi, circa il 133% del Pil, dietro solo alla Grecia, nell’Eurozona. Se l’Italia dovesse fare default, il fragile sistema finanziario europeo potrebbe cadere a pezzi. Così la Commissione vuole che Roma vada avanti per far quadrare i conti, e rapidamente. In Gran Bretagna, il perseguimento da parte dei Tories di una simile strategia ha squartato il tessuto sociale della nazione. In Italia, dove solo un terzo dei giovani ha un lavoro, e oltre 5 milioni di persone vivono in “povertà assoluta”, l’impatto potrebbe essere devastante. Lo stallo sul bilancio non è solo un argomento economico ma è un dibattito politico, che solleva interrogativi sulla democrazia. Bruxelles sta dicendo a Roma: «Non ci interessa il voto degli italiani. La democrazia importa meno delle nostre regole fiscali». Questo non è solo antidemocratico ma è anche politicamente pericoloso.La coalizione attuale al governo fa parte del prodotto della risposta europea all’ultima crisi del debito in Italia nel 2011. L’Ue chiese allora che il Parlamento italiano approvasse un pacchetto di misure altamente austere, imponendo quasi 60 miliardi di tagli. Il primo ministro Silvio Berlusconi dovette rassegnare le dimissioni per essere sostituito da un tecnocrate non eletto, Mario Monti, che vigilò sul programma di austerity. Venne poi rivelato che l’Ue aveva brigato per mesi per sostituire Berlusconi con Monti. Due anni dopo, quando si tennero le elezioni, la rabbia popolare sia per la sospensione delle procedure democratiche sia per le conseguenze dell’austerity condotte da Monti, respinsero il partito di Monti e fecero pregustare al Movimento 5 Stelle il suo primo successo elettorale. Cinque anni dopo, la rabbia pubblica (che proseguiva) propulsò il M5S e la destra anti-immigrati, la Lega, al potere alle elezioni di marzo scorso. Oggi la Lega è il partito più popolare in Italia. L’Ue sembra non avere imparato niente dalla storia.Il contrasto tra il trattamento europeo dell’Italia e quello della Francia è sintomatico. Fino all’anno scorso, la Francia aveva violato la regola del deficit ogni anno, dal 2008. Non è mai stata sanzionata. La capitolazione del presidente Emmanuel Macron davanti alle proteste dei Gilets Jaunes, promettendo di aumentare lo stipendio minimo e la defiscalizzazione degli aumenti delle pensioni minime, ha reso probabile lo sforamento della Francia della regola del 3% l’anno prossimo. Ai primi del 2003, la Corte europea di giustizia aveva sentenziato che i ministri delle finanze europee erano stati negligenti nel non penalizzare la Francia e la Germania per le violazioni delle regole dell’Eurozona. Quindici anni dopo, i colossi europei rimangono liberi di calpestare le regole mentre le nazioni più piccole (e meno piccole come l’Italia) devono sopportare penalità sociali. Il governo italiano ha varie politiche odiose, in particolare l’attacco brutale ai migranti da parte del ministro degli interni e leader della Lega, Matteo Salvini. Le politiche dei 5 Stelle, sebbene non siano così utopistiche, sono tuttavia tra le più progressiste della coalizione. E così quale è la reazione dell’Unione Europea? Accetta le politiche reazionarie in materia d’immigrazione ma non accetta alcun pacchetto di misure economiche per aiutare gli indigenti?(Kenan Malic, estratto da “Lo spietato trattamento europeo dell’Italia non fa che rafforzare il risentimento popolare”, articolo apparso sul “Guardian” il 16 dicembre 2018 e tradotto da Nicoletta Forcheri per “Scenari Economici”).Lo stallo con i funzionari europei. Ministri che volano a Bruxelles per negoziare un accordo d’ultimo minuto. Grida di tradimento a casa. Oscuri avvertimenti di calamità economiche e di agitazione sociale. No, non è il serial della Brexit a Westminster ma la crisi europea che tutti sembrano avere dimenticato: il confronto tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. A ottobre, la coalizione italiana di governo, compresa la Lega di estrema destra e il movimento populista Cinque Stelle (M5S) hanno presentato una bozza di bilancio con molte delle promesse elettorali dei partiti come il reddito di cittadinanza per i disoccupati e l’accantonamento di una precedente proposta di aumentare l’età pensionabile. Il bilancio avrebbe aumentato il deficit italiano al 2.4% del Pil, un tasso più alto di quello previsto dal governo precedente ma più basso del limite europeo del 3%. Ciononostante, in una mossa senza precedenti, la Commissione Europea ha bocciato il bilancio per la violazione della regola fiscale. La previsione di crescita di Roma, ha insistito, è fin troppo ottimista e il vero rapporto deficit-Pil aumenterebbe al 3%. L’Italia è stata minacciata di sanzioni.