Archivio del Tag ‘globalizzazione’
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Chiesa, Mazzucco, Messora, Fusaro: quante verità oscurate
«È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente». Lo dice uno straordinario Humphrey Bogart alla fine del film “Deadline” di Richard Brooks (in italiano, “L’ultima minaccia”). Era il 1952: una profezia. Ancora oggi, ufficialmente, le Torri Gemelle sono crollate per colpa dell’impatto con aerei dirottati. La “demolizione programmata” è stata ormai dimostrata da oltre duemila architetti e ingegneri, eppure per l’11 Settembre la “verità” resta quella palesemente falsa. Grazie a chi? Ai media mainstream, che spacciano “fake news” governative. Il primo a denunciarlo, riguardo al caso delle Twin Towers, in Italia fu Giulietto Chiesa, con il libro “La guerra infinita”, uscito nel 2003 per Feltrinelli (e vendutissimo, nonostante il silenzio di giornali e televisioni). Ebbe più fortuna mediatica qualche anno dopo Massimo Mazzucco, con il suo esplosivo documentario “Inganno globale”, trasmesso da Mentana in prima serata a “Matrix”, su Canale 5. Un’eccezione, mai più ripetuta. «Arrivato a La7 – dice Mazzucco – Mentana poteva essere “il primo degli ultimi”, dando voce agli esclusi, e invece ha scelto di restare “l’ultimo dei primi”, accodandosi all’ufficialità». In compenso, ormai l’opinione pubblica più disincantata è letteralmente esplosa: milioni di persone, anche in Italia, la verità ufficiale non se la bevono più.Fino a ieri, ad esempio, sarebbe stato impensabile organizzare un evento come quello in programma il 13 gennaio a Treviso: con Mazzucco e Chiesa, insieme a personaggi come Claudio Messora di “ByoBlu”, Diego Fusaro, Enrica Perucchietti. A promuovere l’operazione-verità è l’associazione SalusBellatrix, coordinata da Francesca Salvador: una delle voci della nuova cultura italiana, indipendente dai circuiti mainstream. Verità “altre”, in tutti i campi: dalla sconcertante Bibbia tradotta (alla lettera) da Mauro Biglino, al potere occulto delle 36 superlogge che dominano il mondo, svelato da Gioele Magaldi in “Massoni”, altro bestseller-fantasma (gettonatissimo dai lettori e oscurato da giornali e televisioni). Quanto conta, questa Italia? Abbastanza, se è vero che il Movimento 5 Stelle nato dal web ora è al governo, e che Marcello Foa (autore de “Gli stregoni della notizia”, che mette alla berlina i media e le loro menzogne) oggi è presidente della Rai. Conta parecchio, la nuova società in subbuglio, non solo nel nostro paese: se l’oligarca tedesco Günther Oettinger (Commissione Ue) ottiene una legge-bavaglio per frenare il web limitando i link e obbligando le piattaforme a filtrare i contenuti dei blog, un altro oligarca (Emmanuel Macron, prodotto massonico di casa Rothschild) è costretto a vedersela con i Gilet Gialli che paralizzano la Francia.Vuoi vedere che i pionieri come Francesca Salvador avevano visto giusto, anni fa, quando cominciarono ad aggregare platee attorno ai primi narratori eretici? Sono tante, in Italia, le entità culturali come la trevigiana SalusBellatrix: attraverso YouTube, sono riuscite a fare opinione diffondendo informazioni e idee. C’è un’Italia che il mainstream l’ha semplicemente aggirato, prendendolo alle spalle. Un dirigente del Cnr si lascia scappare, da Bruno Vespa, che è in un corso un esperimento di controllo climatico mondiale? A completare l’informazione provvede Mazzucco, nell’appendice YouTube della web-radio “Border Nights”: spiega che, già durante l’alluvione di Firenze, lo stesso Cnr emise un rapporto sui test, allora in corso, di “inseminazione” delle nubi per aumentare le precipitazioni. Forse così risulta meno oscura la possibile origine di fenomeni disastrosi, come i nubifragi che hanno raso al suolo le foreste delle Dolomiti. Il cielo è sempre meno blu, rigato fin dal mattino dalle scie stranamente persistenti rilasciate dagli aerei? Mentre il mainstream tenta di deridere chi “crede alle scie chimiche” (neanche fossero un dogma di fede, anziché un fenomeno visibile), sempre su “Border Nights” il generale Fabio Mini, già dirigente della Nato, avverte: i cittadini hanno il diritto di pretendere spiegazioni esaurienti, finora mai fornite, su questo fenomeno.«Remare contro la corrente della menzogna e dell’inganno – ammette Giulietto Chiesa – è faccenda che richiede pazienza quasi infinita, e anche rischio: può costare la vita». Costa sicuramente «la rinuncia a onori e prebende». E comporta «la disponibilità di non avere, in vita, alcun riconoscimento pubblico delle verità che sono state scoperte». Perché i “padroni universali” e i loro “gate keepers” hanno i mezzi per impedire che le vere notizie arrivino agli occhi e alle orecchie delle grandi masse popolari, spesso così condizionate – ormai da decenni – da non riuscire neppure ad accettarle, certe verità imbarazzanti. Lo sanno benissimo anche gli altri relatori della conferenza di Treviso: non poteva sperare, Mazzucco, che facesse il giro dei telegiornali la rivelazione dell’ultimo suo documentario “American Moon”, che dimostra – grazie al contributo dei più famosi fotografi del mondo – che le immagini del presunto “allunaggio” diffuse in mondovisione nel 1969 erano state realizzate in studio. Dalla trincea di “ByoBlu”, lo stesso Messora – cui Google ha rimosso di colpo la possibilità di finanziarsi con la pubblicità – sa benissimo quanto cosa lottare per informare i concittadini.Per dirla con Diego Fusaro, si tratta di dribblare «i padroni del discorso e la manipolazione di massa». Ne sa qualcosa Enrica Perucchietti, che ha spiegato – in brillanti saggi – come le “fake news” spacciate dai media servano anche a coprire il terrorismo “false flag”, quello che in Europa non colpisce mai nessun centro di potere, ma solo e sempre innocui passanti. “Fake news” sono anche quelle che proteggono, molto spesso, il business di Big Pharma, specie nel caso dei vaccini: ben poco spazio è stato concesso, mesi fa, alla notizia dei 7.000 militari italiani ammalatisi dopo frettolose somministrazioni. Quasi-silenzio anche sulla Puglia, dove la Regione – l’unica ad aver istituito un servizio di “farmacovigilanza atttiva” – ha scoperto che, tra i bambini appena vaccinati, 4 su 10 subiscono reazioni avverse. Là dove invece non si può tacere, perché la fonte è il presidente dell’ordine dei biologi, si cerca di far passare per pazzo il “disturbatore”, peraltro intervistato da un unico giornale, “Il Tempo”, diretto da Franco Bechis. Eppure, la notizia veicolata dal rappresentante dei biologi italiani, Vincenzo D’Anna, è clamorosa: sono stati scoperti vaccini contaminati (con antibiotici, feti abortiti e persino diserbanti agricoli) e vaccini inefficaci, perché privi nei necessari agenti immunizzanti.Di verità scientiche occultate è esperto Giorgio Iacuzzo, un altro degli esperti attesi a Treviso: ha lavorato nel cinema scientifico e tecnologico, scrive per periodici italiani e stranieri ed è pronto a rivelare alcuni dei “segreti di Stato in pillole” di cui è a conoscenza. Verità indicibili attorno al mondo scientifico, come quella sull’espianto degli organi: si intitola “Morte cerebrale, verità o finzione”, la relazione a cura del professor Rocco Maruotti, primario di chirurgia. Ulteriori informazioni, al pubblico di Treviso, saranno fornite da Sonia Saterini Burighel, della Lega Antipredazione Veneto. Tema: “La confusione in atto, in ordine alla donazione di organi, imposta nelle anagrafi quando il cittadino va a rinnovare la carta d’identità”. Primo passo: evitare gli equivoci. Che sono quotidiani (e spesso voluti, nel mondo dell’informazione) specie se c’è di mezzo una traduzione: lo conferma Paola Iacobini, laureata a Londra in mediazione linguistica. E’ un oceano, ormai, l’ambito di quella che un tempo si sarebbe chiamata controinformazione, all’epoca in cui il giornalismo aveva ancora una sua dignità: magari era reticente in qualche caso per compiacere l’editore, ma non aveva ancora abdicato alla sua funzione. Per il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh, oggi non piangeremmo milioni di morti, se solo la stampa avesse smesso di fare il suo dovere: avremmo avuto meno stragi, meno guerre, meno terrorismo “sotto falsa bandiera”.Secondo Giulietto Chiesa, sempre assai pessimista sul destino che ci attende, c’è però uno spiraglio di luce, che si è aperto soltanto in quest’ultimo decennio: «La perdita del controllo da parte di coloro che erano certi di esserselo già definitivamente assicurato, per i secoli dei secoli». Sempre per Chiesa, la fibrillazione dei “gate keepers” sta assumendo vertici così acuti «da lasciarci supporre che temano di essere travolti dagli stessi strumenti di controllo e dominio che ritenevano le loro creazioni più perfette». Aggiunge: «Sono ora impegnati allo spasimo per costruire dighe atte a frenare il fiume e i canali per deviarne le correnti». Certo, siamo ancora molto lontani dall’ora della verità. «Ma a noi resta la sottile soddisfazione di osservare il terrore che pervade i dominatori e la loro affannosa ricerca di una via d’uscita». Fausto Carotenuto, già analista geopolitico dell’intelligence Nato (ora passato a una visione spiritualistica dell’esistenza), insiste su una tesi: almeno un terzo dell’umanità starebbe letteralmente uscendo dal letargo. «Se il mondo sta diventando così feroce – dice – è proprio perché i decisori lo sanno, e temono questo risveglio che ormai è in corso, e che sarà inarrestabile». Il sistema di dominio affina strumenti di manipolazione sempre più sofisticati? Vero, ma c’è anche il rovescio della medaglia: «Ci controllano perché ci temono. Facciamo paura, perché siamo tanti. Il nostro problema? Non ce ne rendiamo conto. Crediamo che i dominatori siano invincibili. Ma non lo sono, e lo sanno».(Sul sito dell’associazione SalusBellatrix sono rintracciabili tutte indicazioni per partecipare alla conferenza “E’ la stampa, bellezza”, domenica 13 gennaio 2019 a Treviso).«È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente». Lo dice uno straordinario Humphrey Bogart alla fine del film “Deadline” di Richard Brooks (in italiano, “L’ultima minaccia”). Era il 1952: una profezia. Ancora oggi, ufficialmente, le Torri Gemelle sono crollate per colpa dell’impatto con aerei dirottati. La “demolizione programmata” è stata ormai dimostrata da oltre duemila architetti e ingegneri, eppure per l’11 Settembre la “verità” resta quella palesemente falsa. Grazie a chi? Ai media mainstream, che spacciano “fake news” governative. Il primo a denunciarlo, riguardo al caso delle Twin Towers, in Italia fu Giulietto Chiesa, con il libro “La guerra infinita”, uscito nel 2003 per Feltrinelli (e vendutissimo, nonostante il silenzio di giornali e televisioni). Ebbe più fortuna mediatica qualche anno dopo Massimo Mazzucco, con il suo esplosivo documentario “Inganno globale”, trasmesso da Mentana in prima serata a “Matrix”, su Canale 5. Un’eccezione, mai più ripetuta. «Arrivato a La7 – dice Mazzucco – Mentana poteva essere “il primo degli ultimi”, dando voce agli esclusi, e invece ha scelto di restare “l’ultimo dei primi”, accodandosi all’ufficialità». In compenso, ormai l’opinione pubblica più disincantata è letteralmente esplosa: milioni di persone, anche in Italia, la verità ufficiale non se la bevono più.
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L’Oxfam: povera Europa, continua a suicidarvi con il rigore
Attraverso un briefing paper del settembre 2013, passato piuttosto in sordina ai globocrati di Bruxelles e ai neoliberisti impenitenti, l’Oxfam aveva lanciato lanciato un monito deciso e inequivocabile all’Europa, affinché abbandonasse le rovinose politiche economiche dell’austerità. Lo ricorda sul suo blog Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, autrice di saggi sulla catastrofe del neoliberismo di cui in Europa l’Ue e la Bce sono i principali guardiani. Una politica – quella dell’austerity – che preoccupa seriamente l’Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni no-profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo. «I programmi di austerità attuati in Europa hanno smantellato le misure di riduzione della disuguaglianza e di stimolo alla crescita equa», scrive l’Ofxam. «Con tassi di disuguaglianza e povertà in crescita, l’Europa sta vivendo un decennio perduto: se queste misure continueranno – scriveva l’associazione, nel suo rapporto di ormai cinque anni fa – altri 15-25 milioni di persone in Europa potrebbero diventare poveri entro il 2015».
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Rolling Stone: ma che rabbia, quel Rinaldi sempre in tivù
Ma come si permette, Antonio Maria Rinaldi, di dire quello che pensa? Come osa trascinare il suo ciuffo argenteo nei migliori salotti televisivi, da cui dispensare il suo sub-pensiero economico declinandolo sfrontatamente in romanesco? Non sa, Rinaldi, che negli studi di Giletti, di Floris e della Gruber, come in quelli di Mediaset e della Rai, devono avere accesso solo personaggi collaudati come Beppe Severgnini, Paolo Mieli, Massimo Cacciari e altri analoghi, rassicuranti esponenti del clero regolare? Se qualcuno si domandasse come mai l’Italia è classificata al 46esimo posto nella graduatoria di “Reporters sans frontières” sulla libertà d’informazione, forse una risposta potrebbe trovarla dando uno sguardo alla demolizione programmata di Antonio Maria Rinaldi, eseguita dal giovane Steven Forti sul magazine musicale “Rolling Stone”. Non vive di sola musica, “Rolling Stone”. Lo si capisce da titoli come questo: “Il troll di Salvini è meglio di Salvini”. Oppure: “Sapreste riconoscere il fascismo, se tornasse?”. O ancora, sotto una foto di Beppe Grillo: “La politica non fa più ridere”. Quanto all’autore della sommaria rottamazione cartacea di Rinaldi, per lui parlano titolazioni altrettanto eloquenti: “La bestia, ovvero del come funziona la propaganda di Salvini”. Va da sé: “Un fantasma si aggira per l’Europa: il rossobrunismo”, dal momento che “Piccoli Salvini crescono”.
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Dai padroni oscuri nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni
Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica” fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. Ma speriamo bene, soprattutto nelle risposte delle coscienze. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2019. Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, comincia a mostrare alcune crepe.Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2019.Ora queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico Cinquestelle, convivono con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero, preparando la stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista. Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici, pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea è ormai entrato in una fase di crisi: il vento del divide et impera, sulla spinta della Brexit, delle proteste di piazza francesi, delle spinte leghiste, pentastellate, ungheresi, austriache, polacche, soffia forte sulle strutture europee, accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata emergenza immigratoria. Tutto ciò avrà un peso nelle elezioni per il Parlamento Europeo del 2019, e da queste potrebbe emergere un nuovo equilibrio delle strutture europee.Un cambiamento possibile perché nulla cambi, in fondo, nella tenuta dei grandi poteri dietro le quinte, sul modello di quanto sta gattopardescamente avvenendo in Italia. Come già detto lo scorso anno, le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite di sovranità. Ma non è detto riescano. Dipenderà molto dal grado di risveglio dell’opinione pubblica. I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie. Mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente, e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture, e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo. Mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente.Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza climatica e spingere il mondo a creare nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento dell’emergenza ambientale). L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Prepariamoci a una lotta dura e intensa, nella quale avremo l’appoggio del Cielo. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel 2019, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta.Anche nel 2019 ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima volta nella storia umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della natura, gli animali e gli altri esseri umani, quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un terzo dell’umanità – cominci a pensare che non siamo venuti qui per predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la natura e volendo l’uno il bene dell’altro. Cominciando finalmente ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Ecco, anche nel 2019 grandi e oscuri poteri di manipolazione cercheranno di bloccare o rallentare questa rivoluzione delle coscienze, il cui effetto sarà un giorno la liberazione dell’umanità proprio da quei poteri.(Fausto Carotenuto, estratto da “Come sarà il 2019?”, post pubblicato su “Coscienze in Rete” il 29 dicembre 2018. Già analista geopolitico dell’intelligence Nato, Carotenuto è approdato a una visione spiritualistica del mondo, condensata nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato da UnoEditori. Carotenuto considera i gesuiti come il vertice della piramide vaticana, e giudica altrettanto negativamente la massoneria nel suo complesso, in quanto organismo di ispirazione mondialista, a suo parere interamente funzionale a un disegno di dominio).Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…
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Comanda il denaro: la politica obbedisce e il popolo subisce
«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».Il capitale, aggiunge il filosofo transalpino, vuole l’abolizione delle frontiere per porre fine una volta per tutte a ciò che nell’ambito delle nazioni e dei paesi è stato ottenuto con secoli di lotte sociali. Lo se Stato teoricamente prevede una sicurezza sociale e offre scuole gratuite, il pensionamento a un’età decorosa, diritti del lavoro e un autentico progresso sociale, il neoliberismo si fa beffe delle tutele sociali e pratica la medicina con due pesi e due misure, o quella dei poveri o quella dei ricchi. «Dispone di un sistema di istruzione, certo, ma a misura di genitori facoltosi in grado di pagare le rette per la loro progenie e privo di utilità per i genitori indigenti». E poi «ignora i limiti dell’orario di lavoro e fa sgobbare i lavoratori tutta la giornata, tutta la settimana, tutta la vita, come ai tempi della schiavitù». E’ un sistema che «non conosce il codice del lavoro e trasforma gli operai, gli impiegati, i salariati, i proletari, i precari, gli stagisti in soggetti sottomessi, che devono sobbarcarsi ogni tipo di corvè». Quel che vuole il nuovo capitale, neoliberismo «nella sua versione di destra come nella sua versione di sinistra», è l’affermazione dei sempre più ricchi, a scapito dei sempre più poveri. «Da qui la sua ideologia che prevede l’abolizione delle frontiere, degli Stati e delle tutele di qualsiasi tipo – simboliche, reali, giuridiche, legali, culturali, intellettuali».Non appena viene meno tutto ciò che protegge i deboli dai forti, scrive Onfray, questi ultimi «possono disporre dei deboli a loro piacere, e i deboli possono essere terrorizzati dal fatto di trovarsi in costante concorrenza, possono essere sfruttati con posti di lavoro precari, maltrattati con contratti a tempo determinato, imbrogliati con gli stage di formazione, minacciati dalla disoccupazione, angosciati dalle riconversioni, messi kappaò da capetti che giocano anche con i loro stessi posti di lavoro». Evaporato lo Stato, è il mercato a dettare legge. «Giocando la carta del liberalismo – aggiunge Onfray – la sinistra al governo spinge nella medesima direzione del capitalismo con i suoi banchieri». E giocando invece la carta dell’antiliberalismo, «la sinistra definita radicale spinge nella medesima direzione», premiando la finanza. Queste due modalità d’azione della sinistra, aggiunge il filosofo, hanno gettato il popolo alle ortiche: «Non ci sarebbero più operai, impiegati, proletari, poveri contadini, ma soltanto un popolo-surrogato, un popolo di migranti in arrivo da un mondo non giudeo-cristiano, con i valori di un Islam che assai spesso volta le spalle alla filosofia dei Lumi. Questo popolo-surrogato non è tutto il popolo, ne è soltanto una parte che, però, non deve eclissare tutto ciò che non è».Il proletariato? «Esiste ancora, e così pure gli operai». Esistono ancora anche gli impiegati (per non parlare dei precari, più importanti che mai). «La pauperizzazione analizzata così bene da Marx è diventata la vera realtà del nostro mondo: i ricchi sono sempre più ricchi e sempre meno numerosi, mentre i poveri sono sempre più poveri e sempre più numerosi». Se nell’ambito dell’Europa si pratica l’islamofilia empatica, aggiunge Onfray, fuori dalle sue frontiere il liberalismo che ci governa pratica un’islamofobia militare. «Al potere, in Francia, la sinistra socialista ha rinunciato al socialismo di Jaurès nel 1983 e in seguito, nel 1991, ha rinunciato al pacifismo del medesimo Jaurès prendendo parte alle crociate decise dalla famiglia Bush, che così ha dato all’apparato industriale-militare che lo sostiene l’occasione di accumulare benefici immensi, conseguiti grazie alle guerre combattute nei paesi musulmani». Queste guerre «si fanno nel nome dei diritti dell’uomo: di fatto, si combattono agli ordini del capitale che ha bisogno di esse per dopare il suo business e migliorarne artificialmente le prestazioni». Usare armi, insiste Onfray, significa poterne costruirne altre, collaudandole sul campo. A chiudere il conto, poi, provvede il business della ricostruzione, che – sempre ai soliti monopolisti – garantisce «introiti smisurati».Se all’Occidente importasse qualcosa, dei diritti umani, eviterebbe di allearsi con paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, la Corea del Nord e la stessa Cina, che secondo Amnesty International non rispettano i diritti dell’uomo. «Queste false guerre per la democrazia, che di fatto sono vere e proprie guerre coloniali – sottolinea Onfray – prendono di mira le comunità musulmane». Dal 1991 hanno provocato 4 milioni di morti tra le popolazioni civili dei paesi coinvolti. «Come si può anche solo immaginare che l’Umma, la comunità planetaria dei musulmani, non sia solidale con le sofferenze di quattro milioni di correligionari?». Di conseguenza, aggiunge Onfray, non ci si deve stupire se in virtù di quella che Clausewitz definì la “piccola guerra”, quella che i deboli combattono contro i forti, l’Occidente gregario della politica statunitense si trova adesso esposto alla reazione che assume la forma di terrorismo islamico. «La religione continua a essere “l’oppio dei popoli”, e l’oppio è tanto più efficace quanto più il popolo è oppresso, sfruttato e, soprattutto, umiliato. Non si umiliano impunemente i popoli: un giorno quei popoli si ribelleranno, è inevitabile. E la cultura musulmana ha mantenuto potentemente quel senso dell’onore che l’Occidente ha perduto».Il ritorno del popolo alle urne, per Onfray, è una risposta «alla bassezza di questo mondo capitalista e liberale che è impazzito». Dalla caduta del Muro di Berlino, le ideologie dominanti «hanno assimilato la gestione liberale del capitalismo all’unica politica possibile». L’Europa di Maastricht «è una delle macchine con le quali si impone il liberalismo in maniera autoritaria, ed è un vero colmo per il liberalismo: negli anni Novanta, la propaganda di questo Stato totalitario maastrichtiano ha presentato il suo progetto asserendo che esso avrebbe consentito la piena occupazione, la fine della disoccupazione, l’aumento del tenore di vita, la scomparsa delle guerre, l’inizio dell’amicizia tra i popoli». Dopo un quarto di secolo di questo regime trionfante e senza opposizione, «i popoli hanno constatato che ciò che era stato promesso loro non è stato mantenuto e, peggio ancora, che è accaduto esattamente il contrario: impoverimento generalizzato, disoccupazione di massa, abbassamento del tenore di vita, proletarizzazione del ceto medio, moltiplicarsi di guerre e incapacità di impedire quella dei Balcani, concorrenza forzata in Europa per il lavoro».A fronte di questa evidenza, il popolo sembra prepararsi a reagire. «Per il momento si affida a uomini e donne che si definiscono provvidenziali». Certo, il doppio smacco di Tsipras con “Syriza” in Grecia e di Pablo Iglesias con “Podemos” in Spagna «mostra i limiti di questa fiducia nella capacità di questo o quello di cambiare le cose restando in un assetto di politica liberale». Per Onfray, anche Beppe Grillo e i suoi 5 Stelle «vivono un flop di egual misura». La Francia, che nel 2005 ha detto “no” a questa Europa di Maastricht, «ha subito una sorta di colpo di Stato compiuto dalla destra e dalla sinistra liberale» che, nel 2008, hanno imposto tramite il Parlamento «l’esatto contrario di ciò che il popolo aveva scelto». Onfray si riferisce al Trattato di Lisbona, ratificato da Hollande e dal partito socialista, come pure da Sarkozy e dal suo partito. «Gli eletti del popolo hanno votato contro il popolo, determinando così una rottura che ora si paga con un astensionismo massiccio o con decine di voti estremisti di protesta». Altri paesi ancora che hanno manifestato il loro rifiuto nei confronti di questa configurazione europea liberale – Danimarca, Norvegia, Irlanda, Svezia, Paesi Bassi – sono dovuti tornare a votare per rivedere le loro prime scelte. «La Brexit è in corso, e assistiamo in diretta a una sfilza di pressioni volte a scavalcare la volontà popolare».Oggi, riassume Onfray, il popolo «sembra deciso a voler fare tabula rasa di tutti coloro che, vicini o lontani, hanno avuto una responsabilità precisa nel creare la terribile situazione nei loro paesi». Lo scenario contro cui si ribella è quello innescato dalla globalizzazione neoliberista, «alle prese con le guerre neocoloniali statunitensi, davanti ai massacri planetari di popolazioni civili musulmane e a guerre che distruggono paesi come Iraq, Afghanistan, Mali, Libia e Siria, provocando migrazioni di massa di profughi in direzione del territorio europeo». Un panorama sul quale si staglia ingloriosamente «l’inettitudine dell’Europa di Maastricht, forte con i deboli e debole con i forti». Rabbia e frustrazione: è il carburante che, in Francia, spinge in strada i Gilet Gialli. «Una volta ottenuta questa tabula rasa – conclude Onfray – non è previsto che ci sia alcun castello nel quale riparare, perché è impossibile che vi resti un castello». A quel punto, aggiunge, «sembra che non ci resterà che un’unica scelta: la peste liberale o il colera liberale». Trump e Putin? «Non potranno farci nulla: è il capitale a dettar legge. I politici obbediscono e i popoli subiscono».«Il liberalismo si è imposto in modo autoritario, portando con sé impoverimento generalizzato, precarietà, disoccupazione di massa e concorrenza forzata per il lavoro». Per lo scrittore francese Michel Onfray, il neoliberismo ha ormai gettato la maschera: «E’ un sistema economico che ha promesso tutto ma non ha mantenuto niente», scrive Onfray su “L’Espresso”, guardando al caos che ci assedia, con «una plebe che vuole fare piazza pulita, ma senza progetti». Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica, il capitalismo ha potuto espandersi senza più freni: è allora, ricorda Onfray, che siamo precipitati nell’accelerazione atomica della globalizzazione, «voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro», che poi «ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e, in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale». Per Onfray, il mercato «odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge», per usare «la definizione chimicamente pura del liberalismo».
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Magaldi: senza paura, ecco il “partito che serve all’Italia”
Toh, se n’è accorta anche la televisione: il “partito che serve all’Italia” è entrato nel piccolo schermo grazie a “Coffee Break”, il talkshow mattutino condotto su La7 da Andrea Pancani. Ottima notizia, prende nota Gioele Magaldi, finora tenuto a debita distanza dalle dirette televisive. “Colpa” delle rivelazioni contenute nel suo bestseller, “Massoni”, che mette in piazza l’identità supermassonica di tanti player del massimo potere. Fatto sta che la prima riunione operativa verso il futuro partito, il 22 dicembre, è salita agli onori della cronaca nonostante fosse un incontro informale, neppure annunciato da comunicati stampa. Oltre a Magaldi, all’assise romana c’era Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, nonché Claudio Quaranta, da mesi al lavoro per far convergere su una piattaforma unitaria le tante voci dell’altra Italia, quella che non riesce a vedersi rappresentata politicamente. Con loro c’era l’economista Antonio Maria Rinaldi di “Scenari Economici”, reduce da una visita al ministro Paolo Savona. E c’era Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” e ormai volto televisivo, spesso chiamata – come Rinaldi – a fare da contraltare al pensiero unico neoliberista, quello del rigore santificato da Bruxelles come una sorta di teologia dogmatica imposta da invisibili divinità tecnocratiche. Ma nel caso la nuova formazione politica dovesse davvero sorgere, nei prossimi mesi, l’Italia sarebbe pronta a ricevere l’offerta del “partito che serve all’Italia”?Tutto può succedere, confida Magaldi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in una diretta web-streaming prenatalizia su YouTube. Esponente del circuito massonico progressista internazionale, il presidente del Movimento Roosevelt ha sostenuto a lungo il governo gialloverde: per mesi è stato l’unico, in Europa, a tentare di rompere l’incantesimo dell’austerity. Poi, la prima delusione: troppo timido, il 2,4% di deficit inizialmente previsto per il Def 2019. E ora, la Caporetto del governo Conte: se già il 2,4 era troppo poco per rianimare l’economia, figurarsi il 2,04 cui l’Ue ha costretto l’esecutivo italiano, che alla fine si è piegato al diktat. Sta tutta qui, probabilmente, la tempistica del rilancio del “partito che serve all’Italia”: davanti ai signori di Bruxelles non si può piegare la testa in questo modo. Anche perché – come Magaldi si incarica spesso di spiegare – dietro alla “disciplina di bilancio” non c’è un disegno orientato al benessere europeo, ma solo il piano delle oligarchie finanziarie supermassoniche di segno reazionario, che manovrano i burattini della Commissione Europea. Il vero senso della “punizione” inflitta ai gialloverdi? Dimostrare, davanti a tutti, che nell’Ue non ci si può ribellare all’autocrazia “aliena” di una nuova “aristocrazia del denaro” ben poco nobile, quella degli eurocrati non-eletti, longa manus del potere economico che ha sottomesso la politica.E’ il momento di essere eretici: non sta scritto da nessun parte che il deficit affossi l’economia. Al contrario: di contrazione della spesa si muore. Meno disavanzo vuol dire più tasse, meno consumi, meno lavoro. Come spiega il post-keynesiano Galloni, un investimento oculato in termini di spesa pubblica può “rendere” tre o quattro volte tanto, a partire dall’anno seguente, a patto però che non sia esiguo. Tradotto: già nella prossima primavera l’Italia avrebbe visto effetti benefici, sull’economia, se avesse avuto il coraggio di alzare il deficit almeno al 4%. Al governo Conte, ora che si è sostanzialmente arreso, vengono avanzate «critiche pretestuose e strumentali da parte delle pseudo-opposizioni», dalla Bonino al Pd, fino a Forza Italia. «Il governo Conte suscita simpatia – ammette Magaldi – se addirittura Monti lo rimprovera di essersi fatto scrivere la legge di bilancio dalla Commissione Europea». Aggiunge: «Con malafede e con ipocrisia plateale si contesta al governo Conte quello che hanno fatto tutti i governi della Seconda Repubblica, e in particolare quelli che si sono succeduti da Monti in poi». Governi che, naturalmente, «non facevano la manfrina che ha fatto il governo gialloverde». Non ci provavano neppure, a inscenare la rivolta contro il mortale rigore (ideologico) imposto da Bruxelles.Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: nessuno di loro «osava dire che si sarebbe preoccupato di fare l’interesse del popolo italiano, anche scontrandosi coi vertici della tecnocrazia europea». Non hanno mai neppure finto di «fare la voce grossa e assumere atteggiamenti muscolari, per poi calarsi le braghe: se le erano già calate prima». Quindi, aggiunge Magaldi, non hanno titolo, oggi, per contestare il governo Conte. «Questi cialtroni, poi, in Parlamento lamentano presunte mancanze: Emma Bonino ha parlato di esautoramento antidemocratico delle funzioni dell’Aula». Magaldi si dice sbalordito dalla leader di “+Europa”, data la stima nella “vita precedente” dell’ex dirigente radicale: «Sono esterrefatto da questa deriva risibile e ipocrita». La Emma nazionale «è tra quelli che inneggiano a un sistema in cui il Parlamento Europeo non ha i poteri che in un qualunque contesto democratico dovrebbe avere». E, inutile negarlo, «ha fatto il cane da guardia di questa Europa». Tanti sedicenti europeisti, sostiene Magaldi, in realtà sono anti-europeisti: «Nessuno di loro, la Bonino in primis, ha mosso un dito per contestare l’attuale forma di Disunione Europea, antidemocratica o post-democratica che dir si voglia».E ora, «adusi ai meccanismi post-democratici delle istituzioni europee», i nostri finto-europeisti «vengono a fare il pianto greco, in Italia, dove il Parlamento ha comunque una sua sovranità garantita dalla Costituzione», nonostante la camicia di forza dell’Ue. Tutto ciò premesso, ribadisce Magaldi, «è chiaro che il governo Conte se le è calate, le braghe». Salvini dà segnali di malumore e fa trapelare di non essere contento? Lui e Di Maio «lanciano il sasso e nascondono la mano». Hanno preso parzialmente le distanze dallo stesso Conte: «E questo, francamente, è un modo poco dignitoso di agire», sottolinea Magaldi, «visto che Conte non era a Bruxelles per conto proprio, ma in quanto portavoce di una maggioranza parlamentare di cui Salvini e Di Maio sono i leader». Salvini diceva: «Non mi preoccupano i numeri, contano le cose che facciamo». Non è così, purtroppo: «I numeri sono le cose che fai o non fai, perché proprio da quei numeri discende la possibilità di avere risorse per fare le cose che hai promesso».Per Magaldi, questa manovra è «gravemente insufficiente». Non produrrà l’auspicato aumento del Pil, in relazione al deficit e al debito. Non ridarà dinamismo all’economia italiana, né conforto «a tutti quelli che vorrebbero una drastica riduzione delle tasse e un massiccio piano di investimenti pubblici, tale da garantire l’assorbimento della disoccupazione». E la mancanza di lavoro «è una delle cose più gravi che una generazione può subire: siamo pieni di giovani disoccupati, male occupati o rassegnati a un impiego precario». Quindi, intile nasconderselo, «questa manovra è davvero il classico topolino partorito dalla montagna: non c’è proprio di che essere contenti, e non si può certo dire di aver corrisposto alle promesse elettorali». Voltare pagina? Senz’altro: con il “partito che serve all’Italia”. Non per rinnegare gli sforzi comunque prodotti dai gialloverdi, ma per dare risposte più chiare. Imperativo categorico: muoversi a testa alta, senza più piegarsi ai diktat dei soliti noti. Brutto spettacolo, infatti, quello degli elettori delusi. Sondaggi impietosi: Lega in calo, dopo il cedimento a Bruxelles.Tutto cambia velocemente, ormai: Salvini aveva portato il partito al 36%, dopo averlo resuscitato partendo dal 4%. L’importante, dice Magaldi, è che i media non facciano finta di non saperlo: è un errore dare spazio solo a chi oggi ha più voti. «Più che sui numeri, sempre fluttuanti, i media dovrebbero basarsi sulle idee in campo, permettendo al pubblico di ascoltarle tutte. Cosa che invece – segnala Magaldi – continua a non avvenire, ad esempio riguardo ai contenuti di strettissima attualità da me portati all’attenzione del pubblico con il libro “Massoni”, uscito a fine 2014». Una specie di scandalo nazionale: un bestseller “silenziato”, che dopo quattro anni è ancora in testa alla classifica Ibs tra i saggi di argomento politico. «Eppure non c’è stato un cane che ne abbia parlato, in televisione», aggiunge l’autore. Sul piccolo schermo è invitata «gente che scrive libretti e libracci, peraltro poco letti». Sul suo libro, invece, «evidentemente c’è una circolare per tutte le televisioni del regno, in cui si dice: non invitate l’autore e non parlate del libro». Perché fa tanta paura, “Massoni”? Perché fa nomi e cognomi, ma senza scadere nel complottismo: offre un filo rosso, storico, per rileggere il Novecento tenendo conto dell’aspetto meno visibile del potere, quello incarnato dalle 36 superlogge sovranazionali che, di fatto, decidono i destini del pianeta. E oggi più che mai cercano di condizionare anche quello dell’Italia, nello scontro con l’Ue.«Sappiamo che quel libro l’hanno letto in tantissimi: tutti gli addetti al lavori». Perché Magaldi non viene invitato a parlarne nei principali talkshow? «La risposta temo sia questa: anche solo pochi minuti miei, in una qualunque trasmissione di punta, avrebbero conseguenze non digeribili dal sistema. Per cui vengono invitate persone che, anche quando dissonanti, fanno meno paura». Eppure, le idee dell’area attorno al Movimento Roosevelt non passano inosservate, se è vero che La7 ha segnalato l’assemblea del 22 dicembre a Roma: i fatti, annota Magaldi, «sembrano dare ragione al conduttore David Gramiccioli, secondo cui i media mainstream – anche senza citare la fonte – affrontavano spesso i temi toccati il lunedì, con me, nella sua trasmissione radiofonica “Massoneria On Air”». Ora, però, “Coffee Break” sembra aver sdoganato, giornalisticamente, l’ambiente politico nel quale è impegnato Magaldi. Che commenta: «Accolgo con sorpresa e compiacimento questa attenzione, non richiesta, da parte de La7: forse si stanno aprendo le maglie di un certo muro di omertà? Forse qualche giornalista televisivo ritiene di poter avere la libertà di parlare anche di progetti politici legati al sottoscritto?».Magaldi si mostra ottimista: si stanno muovendo «élite al servizio della democrazia» ma anche «molti cittadini, che dal basso vogliono rivendicare la loro sovranità». Anche i media mainstream potrebbero quindi decidersi a smettere di censurare tutto il pensiero sgradito ai padroni del vapore? Innanzitutto servono spiegazioni: se il Movimento Roosevelt è aperto a esponenti di qualsiasi partito, il “partito che serve all’Italia” vuol essere un soggetto plurale, senza protagonismi narcisistici. «Posto che in Italia c’è una crisi dei partiti e dei movimenti, ormai da tantissimi anni, e che anche Lega e 5 Stelle non appaiono più tanto convincenti, ci siamo detti che forse è il caso di perseguire anche la strada della costruzione di un partito». Ma attenzione, avverte Magaldi: non esiste ancora neppure un soggetto giuridico, c’è solo la proposta di iscriversi a una futura assemblea costituente del “partito che serve all’Italia” (nome provvisorio, in attesa che il nuovo soggetto venga poi battezzato dai suoi stessi costituenti). «In questa iniziativa sono coinvolte tante persone di pregio». Per sé, Magaldi non prenota alcun ruolo preminente: «Vogliamo contribuire a una casa comune di cittadini e rappresentati di associazioni, partiti e movimenti preesistenti, che vogliono fondersi in un nuovo progetto unitario».Quella del 22 dicembre è stata un’ottima partenza, assicura Magaldi: molti entusiasmi e parecchia concretezza. Prossima tappa, il 10 febbraio: un altro passo verso l’assemblea costituente del futuro partito. «Sarà una riunione ancora più allargata, dove verrà messa a punto un’agenda più definita». C’è anche chi annuncia l’imminente comparsa di Gilet Gialli all’italiana: «Ottima cosa, specie se tutto fosse fatto con razionalità e sapienza, cioè senza quel caos che in passato ha caratterizzato movimenti come quello dei Forconi». In altre parole: a stimolare il governo potrebbe anche servire «una protesta pacifica, forte e ferma, ma mai violenta», proprio in nome di quella democrazia che si rivendica, lungi dalle convulsioni che, in passato, sono state cavalcate dalla strategia della tensione al servizio di poteri oscuri. Eventuali Gilet Gialli a parte, secondo Magaldi «questa Italia a cavallo tra 2018 e 2019 promette bene: credo si stiano aprendo nuovi margini di manovra, e mi fa piacere che il “partito che serve all’Italia” si vada arricchendo di entusiasmi e di sguardi incuriositi, anche da parte del mainstream». Forse, nell’attuale caos politico, le maglie si diradano.In ogni caso, sul cambio di passo necessario, Magaldi ha le idee chiare: «Io credo che il riscatto democratico – per l’Italia, per l’Europa, per il mondo – nasce se gente la smette di rimproverare semplicemente gli altri, gli oligarchi, i cattivoni, i buratttinai che gestiscono male la globalizzazione e l’Europa, insieme alla casta politica che ammorba l’Italia, e così i ladroni e i corrotti, i banchieri». Lo stesso Magaldi ricorda che la sovranità democratica «è stata costruita, attraverso lotte sanguinose, da avanguardie massoniche alleate di fasce popolari più coraggiose e consapevoli». E dunque «è qualcosa che va sempre mantenuto, difeso, consolidato». Insiste: «Invece di lamentarsi del potere degli altri, forse sarebbe il caso di rendersi conto che la propria impotenza è figlia della propria inconsapevolezza». Ovvero: «Il popolo è molto più forte e temibile di qualunque potere oligarchico. E’ che questo popolo, appunto, “se la fa raccontare”, si illude». Quanto cambierebbe, la situazione, se si acquisisse – a livello di massa – la conoscenza dei temi trattati in libri come quello di Magaldi? «Se milioni di persone si rendessero conto di certe cose, magari acquisirebbero quell’orgoglio che permetterebbe loro di rivendicare la propria sovranità. E invece di piangere sul potere altrui eserciterebbero un potere in proprio. E’ il potere pacifico della democrazia: quello che ti fa capire cosa devi fare tutti i giorni, come singolo cittadino, per indurre chi ti rappresenta nelle istituzioni a fare di più e meglio».Toh, se n’è accorta anche la televisione: il “partito che serve all’Italia” è entrato nel piccolo schermo grazie a “Coffee Break”, il talkshow mattutino condotto su La7 da Andrea Pancani. Ottima notizia, prende nota Gioele Magaldi, finora tenuto a debita distanza dalle dirette televisive. “Colpa” delle rivelazioni contenute nel suo bestseller, “Massoni”, che mette in piazza l’identità supermassonica di tanti player del massimo potere. Fatto sta che la prima riunione operativa verso il futuro partito, il 22 dicembre, è salita agli onori della cronaca nonostante fosse un incontro informale, neppure annunciato da comunicati stampa. Oltre a Magaldi, all’assise romana c’era Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, nonché Claudio Quaranta, da mesi al lavoro per far convergere su una piattaforma unitaria le tante voci dell’altra Italia, quella che non riesce a vedersi rappresentata politicamente. Con loro c’era l’economista Antonio Maria Rinaldi di “Scenari Economici”, reduce da una visita al ministro Paolo Savona. E c’era Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” e ormai volto televisivo, spesso chiamata – come Rinaldi – a fare da contraltare al pensiero unico neoliberista, quello del rigore santificato da Bruxelles come una sorta di teologia dogmatica imposta da invisibili divinità tecnocratiche. Ma nel caso la nuova formazione politica dovesse davvero sorgere, nei prossimi mesi, l’Italia sarebbe pronta a ricevere l’offerta del “partito che serve all’Italia”?
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Tav, la strana guerra contro i palestinesi della val di Susa
Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.Nemmeno l’umorismo iperbolico di Paolo Villaggio, forse, sarebbe riuscito a dipingere il carattere lunare, gaglioffo e cialtrone del fantasma ferroviario che insidia da più di vent’anni l’estremo nord-ovest italiano: un ipotetico super-treno pensato negli anni ’80 del secolo scorso per i passeggeri, surclassato in capo a un decennio dall’avvento dei voli low-cost e infine umiliato anche dal traffico merci, defunto pure quello. La globalizzazione “cinese” sbarca a Genova e punta verso Rotterdam, snobbando il Piemonte e le Alpi del Rodano. Dalla Fortezza Bastiani del Tav, a lungo presidiata dall’ineffabile Pd con la collaborazione del centrodestra (leghisti compresi), ormai si guarda con malinconia ai dati, impietosi, sciorinati ufficialmente anche a Palazzo Chigi: il flusso di merci è crollato, e la ferrovia internazionale che già collega Torino a Lione attraversando l’infelice valle di Susa (via Modane, traforo del Fréjus) potrebbe tranquillamente reggere un incremento di traffico del 900%, se solo ci fossero merci da trasportare. Bel guaio: cosa bisognerà inventare, ancora, per spillare soldi euro-italiani da spalmare su appalti e subappalti? Avverte il giallista Massimo Carlotto, vicino ai NoTav: le grandi opere sono perfette per riciclare denaro, nell’immensa “lavanderia a cielo aperto” chiamata Europa. Business is business: non è che si possa smontare così, su due piedi, un grande affare destinato a pompare milioni (miliardi) in una filiera che include industria e indotto cantieristico, studi e consulenze, progettisti, banche e partiti.Se sento ancora parlare di Tav Torino-Lione, scrisse Giorgio Bocca nel 2005, vado a ripescare il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo gettato alla fine della guerra partigiana. Si era documentato, l’ultimo grande vecchio del giornalismo italiano: aveva capito che i palestinesi inermi le avevano buscate in modo selvaggio, riempiti di botte – uomini e donne, ragazzi e anziani – dai robocop venuti da lontano, in piena notte, per sgomberare il prato di Venaus occupato dalle famiglie impegnate in una sorta di sit-in permanente. Ne seguì una sommossa popolare a carattere insurrezionale: qualcosa che in Italia s’era visto soltanto nei moti di Reggio Calabria del 1970. Un popolo sulle barricate, armato solo di indignazione. Scudi umani, i sindaci in fascia tricolore (e le loro auto, quelle dei vigili urbani, spedite a sbarrare le strade, coi lampeggianti accesi). Due giorni di follia collettiva, dopo il pestaggio notturno, fino alla paralisi della tangenziale di Torino e alla capitolazione del governo: progetto sospeso, ritirato, archiviato. Clamorosa vittoria dei palestinesi, che da quel momento cominciarono a credersi invincibili. O meglio: ritennero invincibile la forza della ragione, la sovranità democratica del cittadino, la legittimità della protesta di una comunità coesa e fasciata di tricolore.Durò anni, l’illusione. Una speranza radicata: il governo centrale si sarebbe deciso a cestinare il dossier – poi bocciato anche da 360 tecnici universitari – per concludere che sì, avevano ragione i palestinesi della valle di Susa: quella ferrovia andava dimenticata, gettata nella spazzatura della storia. Ma le trivelle tornarono, dopo un quinquennio di silenzio. Era il 2010. La tensione emotiva era scemata, molti sindaci erano spariti – non rieletti, o semplicemente rimasti a casa, non più disposti a fare da caschi blu. Fu allora che cominciò l’accerchiamento, lento e inesorabile. Senza più i sindaci in prima fila, i NoTav erano nudi. “Siete finiti”, li avvertì cordialmente il sindaco di Torino, Chiamparino. Risposero in quarantamila, con una marcia sotto la neve. I piani di Roma, intanto, erano cambiati: il cantiere per la prima galleria esplorativa, inizialmente programmato nel prato poi “espugnato” a Venaus nel 2005, sarebbe stato reimpiantato a Chiomonte, sopra le gole della Dora Riparia, in posizione militarmente difendibile. I NoTav risposero asserragliandosi proprio lì, tra le loro Termopili. Nacque la Libera Repubblica della Maddalena, il villaggio di Asterix attrezzato – con barricate – per tentare di resistere all’esercito imperiale. I reparti antisommossa, duemila uomini, si presentarono puntuali all’alba del 27 giugno 2011. Agirono con calma, minimizzando la loro forza d’urto. In cabina di regia il ministro Maroni e il capo della polizia Manganelli. Niente più cariche, solo lacrimogeni.Ci rimasero malissimo, i palestinesi: avevano sperato di ripetere il “miracolo” del 2005, quand’erano riusciti – sciamando in 80.000 attraverso i boschi – a sfrattare la polizia da Venaus. Una settimana dopo lo sgombero della “Libera Repubblica”, il 3 luglio 2011 tentarono di riprendersi Chiomonte. Erano in centomila: un corteo lungo chilometri. Pullman da tutta Italia, decine di migliaia di valsusini. E anche giovani dei centri sociali: quelli che poi, nel pomeriggio, avrebbero contribuito a trasformare la protesta in guerriglia. “Volevano il morto”, dichiarò Maroni. Bilancio ufficiale: 200 feriti per parte. E fine di una lunga, gloriosa anomalia: la lotta popolare esclusivamente nonviolenta, nata e cresciuta in mezzo ai monti, che tanto aveva spaventato la politica. Inammissibile che una comunità di sessantamila valligiani riuscisse a fermare le ruspe. Intollerabile, che lo facesse in modo pacifico. Inaccettabile, che imponesse al governo di lasciarsi ascoltare, e lo costringesse a prender nota del fatto che, secondo tutti gli esperti, la linea Tav Torino-Lione era (ed è) una pazzia completamente inutile, destinata a pesare per decine di miliardi sul debito pubblico dopo aver reso invivibile il territorio, cioè i 50 chilometri che separano Torino dalla Francia. Rocce piene di amianto, montagne dove l’Agip scavò decine di gallerie per estrarre l’uranio al tempo del nucleare italiano. Falde acquifere a rischio, salute in pericolo e addio agricoltura. Dissesto idrogeologico irrimediabile, apocalisse urbanistica, catastrofe idrica incombente sulla stessa area metropolitana torinese. Ma perché, di grazia? A beneficio di chi?“Diteci almeno a cosa servirebbe, tutto questo”. Domanda rimasta sempre inevasa. Lo vuole l’Europa, c’è un impegno con la Francia. Davvero? Sì e no. L’Europa ha cambiato idea: ha archiviato l’originaria, fantascientifica direttrice Kiev-Lisbona, di cui la Torino-Lione sarebbe stata il passante alpino. Quanto alla Francia, varie istituzioni parigine hanno via via intiepidito la loro posizione. Analoga retromarcia tattica dal governo Renzi: è vero, la nuova linea costa troppo; meglio limitarsi al solo traforo, facendo poi passare i treni sull’attuale linea (perfettamente idonea, dunque – percorsa, già oggi, dal Tgv francese). Nel frattempo, sui NoTav si è scatenata una campagna di demonizzazione parossistica, da parte della politica istituzionale e dei grandi media. E il movimento valsusino, senza più la tutela diretta dei sindaci, ha fatto miracoli per arginare il pericolo di infiltrazioni da parte delle frange virtualmente violente (un conto è gestire un corteo, un altro controllare manifestanti in ordine sparso, nei boschi). Anni durissimi, rischiosi, in bilico, ma durante i quali – nonostante tutto – la resistenza dei palestinesi ha conquistato piena cittadinanza in larghi strati del paese, anche grazie al generoso impegno di opinion leader di prima grandezza, scrittori e artisti, cantanti, giuristi, intellettuali. Senza con questo riuscire minimamente a scalfire il muro di omertoso silenzio che ancora protegge, misteriosamente, il progetto della grande opera: un dogma marmoreo, quasi mistico, che sembra imposto da una religione sconosciuta, alla quale gli stessi politici (ministri, premier) appaiono sottomessi.C’è altro, poi, che i valsusini sanno e gli altri italiani per lo più ignorano. E’ una storia complicata, tra loro e il governo. Una storia tormentata e opaca, per molti aspetti, che risale addirittura alla Liberazione, quando molti partigiani – in maggioranza comunisti – rifiutarono di consegnare le armi agli alleati, per poi tirarle fuori, occupando fabbriche, in risposta all’attentato a Togliatti. Ha radici antiche, il ribellismo della valle di Susa, industriale e operaia già alla fine dell’800. Dopo il Sessantotto, mentre i padri issavano bandiere rosse sui cotonifici, decine di figli cedettero alla tentazione della lotta armata. La valle di Susa è stata l’unica area non metropolitana, in tutta Italia, ad allevare una colonna di terroristi, arruolati tra le file di Prima Linea. Poi vennero gli anni ’80, con l’autostrada del Fréjus che la valle non voleva. Le solite mazzette e, a seguire, la relativa Tangentopoli, con arresti eccellenti, mentre la commissione parlamentare antimafia denunciava il radicamento della ‘ndrangheta nell’alta valle, il paradiso sciistico che a Sestriere avrebbe ospitato i Mondiali di sci e poi le Olimpiadi Invernali. Quello di Bardonecchia è stato il primo Consiglio comunale italiano, a nord del Po, a essere disciolto per mafia.L’onorata società tornò a occupare la cronaca della valle di Susa poco dopo gli attentati siciliani costati la vita a Falcone e Borsellino, quando la magistratura di Torino scoprì che erano finite a una cosca calabrese le pistole uscite illegalmente, a centinaia, da un’armeria di Susa. Chi avrebbe dovuto vigilare non l’aveva fatto: emerse l’ombra dei servizi segreti. Gli inquirenti avevano scoperto il traffico di armi grazie a un pentito della ‘ndrangheta, che smise di parlare (di colpo) dopo che gli fu ucciso il fratello, proprio in valle di Susa, da un ex agente del Sismi, reo confesso. Uno stillicidio di notizie inquietanti, che il valsusino medio – non ancora palestinese – apprendeva con sgomento, a metà degli anni ’90. A seguire, cominciarono a esplodere bombe: una dozzina di attentati dinamitardi, notturni e devastanti ma tutti incruenti, colpirono le prime trivelle del futuro Tav ma anche centraline Enel, tralicci telefonici, ripetitori televisivi. I giornali, in coro, parlarono di eco-terrorismo anarco-insurrezionalista. Comparve una sigla, “Lupi Grigi”, con rivendicazioni deliranti contro le grandi opere. Finirono in manette tre giovani anarchici, due dei quali (“Sole e Baleno”) poi trovati morti in stato di detenzione, impiccati. L’accusa: banda armata e associazione sovversiva. Lui, Edoardo Massari, un anarchico piemontese. Lei, Maria Soledad Rosas, argentina, giovanissima, venuta in Europa in vacanza premio, dopo il liceo, e poi rimasta in Italia perché innamoratasi del suo “Edo”. Il pm annunciò di avere “prove granitiche”, contro di loro. Salvo poi ammettere il tragico errore, fuori tempo massimo. Scagionati post mortem, alla fine del processo: non erano stati quei ragazzi, a far saltare in aria mezza valle di Susa. Chi, allora?Aveva in testa anche questi pensieri, il valsusino medio (mediamente colto e informato, mediamente scettico) quando cominciò a diventare un po’ palestinese, trascinando la famiglia nei prati di Venaus dove, nel 2005, si era accampata la polizia, spedita lassù da un governo che sosteneva fosse fondamentale far passare proprio di lì, spianando l’intera vallata, la famosa super-ferrovia miliardaria destinata a collegare il Portogallo all’Ucraina. Non può essere, si dicevano i valligiani: avranno capito male, a Roma. E così studiarono, si documentarono, mobilitarono i migliori specialisti. Non sta né in cielo né in terra, conclusero: è un’opera faraonica e devastante, tragicamente inutile. Ne parlavano anche coi poliziotti infreddoliti, inviati a Venaus a presidiare il prato prescelto per accogliere il primo cantiere. Dai NoTav, una protesta formato famiglia: bambini, polenta, bicchieri di tè caldo offerti agli stessi agenti – non quelli che li avrebbero sgomberati (per l’operazione, il reparto presidiario fu avvicendato). Gli incursori notturni colpirono alla cieca, travolgendo tende e sacchi a pelo. Una gradine di manganellate, al buio. Le ambulanze, le urla, i feriti. L’inizio della saga, già l’indomani: i valsusini, a migliaia, nelle strade. La circolazione paralizzata, i treni fermi. Il ministro dell’interno, Pisanu, scomparso dai radar. Imbarazzo, fra i palazzi romani. I palestinesi in rivolta ospitati per la prima volta in televisione, da Gad Lerner, per poi ricevere i primi rumorosi endorsement a reti unificate: Beppe Grillo, Dario Fo. E quei benedetti sindaci, avvolti nel tricolore, a ripetere che la legalità comincia dal rispetto del cittadino, democraticamente sovrano e tutelato da diritti costituzionali.Era solo il 2005, ma sembrano passati cent’anni. Le famiglie di allora avevano una luce particolare, negli occhi. La crisi era ancora lontana. C’era lavoro per tutti, i negozi non avevano ancora cominciato a chiudere, uffici e fabbriche funzionavano. All’ora dell’aperitivo i bar tracimavano di giovani – tutti palestinesi, naturalmente, tra svolazzi di bandiere NoTav. Un clima festoso, di fiducia. “Capiranno, a Roma. Si decideranno a ragionare”. I valsusini: riscopertisi comunità, proprio grazie allo scampato pericolo. Idee politiche forse rudimentali, antiche: la destra, la sinistra. A dire il vero, nella valle ribelle non s’era visto nessuno dei big: tutti spariti, i grandi partiti. La parte del cattivo era toccata a Berlusconi, ma poi Prodi (frenato dai ministri filo-valsusini Paolo Ferrero e Alfonso Pecoraro Scanio) non aveva comunque mai mostrato entusiasmo, per il fervore democratico dei palestinesi garibaldini, alle prese con quello strano risorgimento alpino, montanaro, periferico ma non provinciale. E’ come se si fosse laureato honoris causa, il valsusino medio, in questi anni grami: si è probabilmente conquistato il suo diploma di cittadino di prima classe, quanto a consapevolezza, mentre buona parte dell’Italia dormiva ancora sugli allori, prima di essere svegliata nel peggiore dei modi dal professor Monti, dalla professoressa Fornero.Si racconta che dal massiccio dell’Ambin, nel quale si è andato scavando il dannato tunnel esplorativo, sia disceso Annibale coi suoi elefanti. In direzione opposta avanzò Giulio Cesare alla conquista delle Gallie, facendo base a Susa, dove poi l’imperatore Costantino assediò Massenzio. Poco più a valle, Carlomagno sbaragliò i Longobardi manzoniani di Adelchi e Desiderio per poter fondare il Sacro Romano Impero, il cui erede Barbarossa mise a soqquadro Susa. Napoleone aprì la strada del Moncenisio, Cavour fece scavare il traforo del Fréjus. Quasi ogni sasso, in valle di Susa, ha molti secoli da raccontare, all’ombra dell’imponente Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte, eretto prima dell’anno Mille. Sul versante opposto, da una roccia emerge il Giove Dolicheno, scolpito dai soldati mediorientali arruolati da Roma nella Legione Siriana, di stanza nella valle conquistata dai Cesari. I valsusini amano le loro montagne, le frequentano con devozione. Le guardano diventare rosse, e poi viola, quando il tramonto illanguidisce nel crepuscolo lungo la cordigliera transalpina, dalla piramide del Rocciamelone alla mole nevosa del Niblè. Prima di altri, a loro spese, hanno imparato che il nuovo impero ha un’unica legge davvero sacra, quella dei soldi. A loro modo, da palestinesi, sono stati tra gli ultimi difensori di una repubblica di cui tutti gli italiani, oggi, hanno nostalgia.(Giorgio Cattaneo, “Tav, la strana guerra contro i palestinesi della valle di Susa”, dal blog “Petali di Loto” dell’11 dicembre 2018).Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.
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Carpeoro: fatevi un regalo, ricordatevi che dovrete morire
Quello della presenza del male nella nostra vita, nel mondo, è un vecchio problema: se ne sono occupati in tanti, anche Agostino di Ippona. Il concetto di male bisogna distinguerlo, perché noi a volte possiamo confondere un po’ le carte, scambiando una cosa per un’altra. Bisogna stare attenti a definirlo, il male. Certo, la nostra è un’epoca di grandissima confusione. Ma non è definibile come male assoluto, soprattutto in senso etico assoluto. Noi abbiamo fatto un po’ di pasticci, e questi pasticci derivano da scelte, alcune fatte nel Novecento ma altre anche prima, che poi hanno prodotto le loro “belle” conseguenze: scegliendo l’energia che deriva dagli idrocarburi abbiamo mandato a ramengo la natura. Ma abbiamo mandato a ramengo anche i rapporti, perché poi le cose che succedono in Siria e in Libia succedono proprio per la presenza dei giacimenti di idrocarburi. Diciamo che il protagonista negativo degli ultimi 20-30 anni è la Francia. Lo so che tutti si aspetterebbero che parlassi degli Stati Uniti d’America, ma in realtà non è così. Quello che è successo in Siria e in Libia è colpa della Francia. E al 50-60%, gli attentati commessi in Europa sono colpa della Francia.
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Natale sull’abisso: useranno la recessione per annientarci
Inverno 2018: è incominciata una flessione globale dell’economia in un quadro pericolosissimo, e non solo per i 2,2 milioni di miliardi di titoli potenzialmente tossici in giro per il mondo, 33 volte il prodotto mondiale (“Il Sole 24 Ore” del 6 dicembre), ma soprattutto per l’attuale struttura sociopolitica del genere umano nel suo complesso. Da un lato, la popolazione generale avrebbe l’interesse a rilanciare l’economia e uscire dalla recessione, ma non sa come, e nel mondo globalizzato e finanziarizzato il suo peso sociale è divenuto pressoché nullo, come pure la sua forza di contrattazione col potere; essa non ha più alcuna capacità politica di farsi valere, e del resto le istituzioni politiche sono sottomesse ai potentati finanziari apatridi. I leader ‘populisti’ vengono sistematicamente stoppati o piegati. Per giunta, il popolo non ha le basi per capire le dinamiche economico-monetarie e fondamentalmente beve lo story-telling ufficiale; anche le contestazioni dei movimenti sé-credenti antisistema restano all’interno del sistema, che non capiscono, prendendosela soltanto con aspetti marginali di esso.Dall’altro lato, abbiamo una global class che detiene il potere politico reale e possiede gli strumenti per rilanciare facilmente la crescita economica ma non ha alcun interesse a farlo, anzi essa ha l’interesse opposto, essendosi oramai accaparrata le ricchezze e le fonti di reddito primarie del pianeta e avendo oramai indebitato verso di sé in modo indissolubile gli Stati stessi – gli emissari di questi interessi sono i vari Macron, Juncker, Merkel, Moscovici, Draghi. Oggi la global class si concentra piuttosto sul rafforzamento del suo controllo della società e sui relativi strumenti tecnologici, mediatici e legislativi. Per queste ragioni, l’incipiente recessione ha un potenziale distruttivo abissale, senza precedenti per la società e, prima che essa sia finita, potremmo ritrovarci a vivere in condizioni molto diverse dalle attuali, e non solo economicamente: questa recessione potrebbe essere portata avanti e usata, in congiunzione con la montante crisi del cambiamento climatico, per risolvere il problema ecologico e demografico.Questa volta la recessione è cominciata in modo graduale, ma diverrebbe un crollo ingovernabile e dagli effetti imprevedibili qualora esplodesse, per cominciare, la bomba dei circa 6.700 (si stima) miliardi di “junk bonds” e crediti irrecuperabili nei bilanci delle banche dell’Eurozona, soprattutto di quelle francesi e tedesche, e principalmente nella Deutsche Bank. Fino ad ora le crisi sono state governate e ammortizzate, e le rotture di sistema sono sempre state evitate, mediante gigantesche creazioni e iniezioni di denaro (palesi o sottobanco) da parte delle banche centrali. Potenza della sovranità monetaria, elasticità del capitalismo finanziario. Ma non si può dar per certo che lo facciano anche questa volta. Buon Natale.(Marco Della Luna, “Natale sull’abisso”, dal blog di Della Luna dell’8 dicembre 2018).Inverno 2018: è incominciata una flessione globale dell’economia in un quadro pericolosissimo, e non solo per i 2,2 milioni di miliardi di titoli potenzialmente tossici in giro per il mondo, 33 volte il prodotto mondiale (“Il Sole 24 Ore” del 6 dicembre), ma soprattutto per l’attuale struttura sociopolitica del genere umano nel suo complesso. Da un lato, la popolazione generale avrebbe l’interesse a rilanciare l’economia e uscire dalla recessione, ma non sa come, e nel mondo globalizzato e finanziarizzato il suo peso sociale è divenuto pressoché nullo, come pure la sua forza di contrattazione col potere; essa non ha più alcuna capacità politica di farsi valere, e del resto le istituzioni politiche sono sottomesse ai potentati finanziari apatridi. I leader ‘populisti’ vengono sistematicamente stoppati o piegati. Per giunta, il popolo non ha le basi per capire le dinamiche economico-monetarie e fondamentalmente beve lo story-telling ufficiale; anche le contestazioni dei movimenti sé-credenti antisistema restano all’interno del sistema, che non capiscono, prendendosela soltanto con aspetti marginali di esso.
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Gilet Gialloverdi, ora gli italiani si aspettano risposte vere
In campagna elettorale sembravano impazziti: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano? Ovvio, ma lo facevano anche gli altri. Loro di più? Infatti hanno vinto. O meglio: hanno vinto i 5 Stelle, col doppio dei voti di Salvini. Già l’indomani, però, Di Maio disorientava il pubblico votante, dichiarandosi disposto ad allearsi con chicchessia, dalla Lega al Pd, pur di andare al governo. D’accordo, ma per fare cosa? Poi è arrivato il Contratto, con dentro quasi tutto: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano ancora? Possibile, ma forse a fin di bene: sapevano che sarebbe stata dura, con Bruxelles, ma ne erano consapevoli e si preparavano a dare battaglia. Davvero? Non si direbbe, vista la mala parata di fronte ai cani da guardia della Commissione Europea, gli stessi che invece ora si preparano a condonare all’anti-italiano Macron persino il massimo sacrilegio possibile, nell’euro-santuario: la violazione del sacro vincolo del 3% nel rapporto deficit-Pil. Prima ancora che il “governo del cambiamento” nascesse, del resto, i gialloverdi avevano dovuto ingoiare un super-rospo: il “niet” del Quirinale su Paolo Savona all’economia. Di Maio ventilò l’impeachment per Mattarella, Salvini se ne guardò bene. Oggi Di Maio è in caduta libera, mentre Salvini si muove da padrone della scena. Un caso?Salvini è abile, si dice. Ha osato rompere il tabù dell’accoglienza obbligatoria a costo di fare la faccia feroce coi più deboli, anche per smascherare l’ipocrisia egoistica dell’Ue e quella di chi – sui migranti – ha costruito carriere milionarie. Poi però è arrivato il decreto sicurezza, con limitazioni allarmanti alle libertà personali, specie quelle di chi ha motivo di esprimere la propria sofferenza sociale e quindi potrebbe protestare: pesantissime sanzioni per il blocco stradale e l’occupazione di terreni. Poi Salvini ha difeso a oltranza il topo morto che sta marcendo nella pancia del Piemonte, cioè un progetto-vergogna come il Tav Torino-Lione, notoriamente utile solo a chi costruisse tunnel e ferrovia. Infine, dopo aver chiesto mandato “a 60 milioni di italiani” per trattare con l’Ue, ha proposto alla Germania “un asse Roma-Berlino” (alla Germania, cioè al paese che più di ogni altro ha danneggiato l’Italia da quando esiste l’Eurozona). Poco dopo s’è involato verso Israele per la più classica delle genuflessioni diplomatiche, sperando di ottenere l’agognato sdoganamento come leader credibilmente moderato. Solo che si è fatto fotografare “alla Salvini”, tra soldati sorridenti e Stelle di David. Una foto lo ritrae mentre, addirittura, impugna una mitragliatrice. Non pago, il neoleghista post-padano s’è sbilanciato sul terreno della politica estera, definendo “terrorista” il network libanese Hezbollah, impegnato in Siria contro i terroristi veri, quelli dell’Isis.Baravano fin dall’inizio, i gialloverdi? Hanno preso in giro gli elettori italiani fin dal primo giorno di vita del “governo del cambiamento” o si sono semplicemente accorti di aver catastroficamente sottovalutato l’avversario? La flessione ingloriosa di fronte ai ragionieri finto-europeisti della Commissione Europea è un ultimo tentativo (tattico) per prendere tempo in attesa di una prossima controffensiva pro-Italia o è solo il classico inizio della fine, con la sepoltura delle illusioni e la rassegnazione alla consueta chemio-economia del rigore ammazza-Stati? Domande sospese ma ormai ridondanti, vista la rapida evoluzione dello scenario: i francesi nelle strade fanno tremare l’ex onnipotente Macron costringendolo alla resa, mentre il governo italiano (“populismo” in carica, regolarmente insediato) anziché rilanciare sull’onda dei Gilet Gialli si lascia prendere a sberle dal primo Moscovici di passaggio. Era sbagliato sbilanciarsi in campagna elettorale per un’espansione del deficit? Niente affatto. Però poi bisognava tenere il punto, a tutti i costi, pena la perdita della propria reputazione pubblica, italiana e internazionale. Era così assurdo, dare credito ai gialloverdi? No, perché l’espansione del deficit è esattamente la direzione appropriata – necessariamente eretica – per sconfessare il pretestuoso economicismo delle oligarchie finanziarie che utilizzano per i loro scopi la tecnocrazia di Bruxelles.Chi sono, in realtà, i due politici che avrebbero dovuto condurre una storica vertenza “sindacale” a favore dell’Italia? Di Maio è sbucato quasi dal nulla, attraverso il videogame elettorale interno messo in piedi da Grillo e Casaleggio, e prima delle elezioni vagava tra gli Usa e Londra in cerca di endorsement nei palazzi del massimo potere, quello che ha organizzato la globalizzazione unilaterale che ha messo in ginocchio anche l’Italia. Fino ad allora, sull’euro e l’Europa, i 5 Stelle erano riusciti a dire tutto e il contrario di tutto, senza mai delineare né un’analisi chiara né una linea politica definita, fino alla clamorosa pagliacciata del trasloco (tentato, ma non riuscito) tra gli ultra-euristi dell’Alde al Parlamento Europeo. La nuova Lega salviniana, per converso, è partita da posizioni radicalmente euroscettiche, arrivando a portare in Parlamento un economista keynesiano come Bagnai, salvo poi cominciare progressivamente a cedere ai soliti diktat di Bruxelles – spettacolo triste, solo in parte occultato dal quotidiano agitarsi di Salvini, nel tentativo di distrarre l’opinione pubblica dai fallimenti governativi. Al di là dei limiti strutturali di un’alleanza debole – i grillini “anticasta” e i leghisti “anti-migranti” – restano oscuri i piani della sovragestione da parte del vero potere, vista la confusione che regna sovrana dalle parti dell’esecutivo.Ancora non è dato sapere quanto durerà la coabitazione gialloverde, e se per caso i suoi sponsor dietro le quinte non abbiano già mollato Di Maio per puntare sul solo Salvini, a patto che scenda a più miti consigli – cosa che ha tutta l’aria di fare, a giudicare dalle recenti sterzate verso l’elettorato più tradizionalmente cauto. C’è un disegno di più lungo respiro, non ancora visibile? L’unica vera certezza riguarda la crisi dell’assetto europeo: la Francia in panne, la Germania in affanno, la Gran Bretagna ancora alle prese con l’irrisolta Brexit, l’Est Europa che scalpita per ritagliarsi spazi di autonomia. Salvini e Di Maio avevano illuso moltissimi spettatori, lasciando credere che l’Italia potesse diventare il motore di un cambiamento capace di smontare i dogmi dell’Ue, che hanno rapidamente impoverito il continente. Se non altro, i due esponenti gialloverdi hanno costretto gli italiani (e gli europei) a prendere atto, almeno, della necessità di una diversa narrazione: non è più possibile continuare ad accettare passivamente le politiche di rigore, che l’élite finanziaria neoliberista somministra alle nazioni attraverso i tecnocrati dell’Unione. Il funesto “ce lo chiede l’Europa” non è più proponibile, anche grazie a Salvini e Di Maio. Troppo poco, certo.Persino il tormentato governo Conte, comunque, potrebbe rivelare a posteriori una sua effettiva utilità, se domani – dopo le europee – prendesse corpo un vasto movimento politico, trasversale, disposto a rivendicare per l’Europa il diritto alla sovranità democratica, cominciando da una Costituzione Europea che insedi finalmente a Bruxelles un vero governo federale, regolarmente votato dal Parlamento Europeo eletto dai cittadini. Sogni, speranze e grandi incognite, a cominciare dalla paventata grande recessione in arrivo, che potrebbe far precipitare tutte le crisi politiche in atto. E gli italiani come reagirebbero, se dovessero arrendersi all’evidenza di una vera e propria resa? Che fine farebbe Di Maio, se non riuscisse a varare neppure l’ombra dello sbandieratissimo reddito di cittadinanza? E dove finirebbero i tatticismi del disinvolto Salvini, di fronte alla porta che l’Ue pare stia per sbattere il faccia all’Italia? Da più parti si osserva come manchi, tuttora, una classe dirigente all’altezza della situazione politica. Grazie al governo gialloverde sono caduti alcuni tabù e un bel po’ di leggende, per esempio sull’intoccabilità dei deficit. Ma resta, a monte, il macigno di un’Europa non democratica, non alleata, non amica. Anche grazie alla Lega e ai 5 Stelle, oggi gli italiani il problema lo vedono benissimo. A farsi attendere, ancora, è la soluzione.(Giorgio Cattaneo, “Bravi i gialloverdi a denunciare il rigore Ue, ma ora gli italiani si aspettano i fatti”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 dicembre 2018).In campagna elettorale sembravano impazziti: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano? Ovvio, ma lo facevano anche gli altri. Loro di più? Infatti hanno vinto. O meglio: hanno vinto i 5 Stelle, col doppio dei voti di Salvini. Già l’indomani, però, Di Maio disorientava il pubblico votante, dichiarandosi disposto ad allearsi con chicchessia, dalla Lega al Pd, pur di andare al governo. D’accordo, ma per fare cosa? Poi è arrivato il Contratto, con dentro quasi tutto: reddito di cittadinanza, Flat Tax, abolizione della legge Fornero. Baravano ancora? Possibile, ma forse a fin di bene: sapevano che sarebbe stata dura, con Bruxelles, ma ne erano consapevoli e si preparavano a dare battaglia. Davvero? Non si direbbe, vista la mala parata di fronte ai cani da guardia della Commissione Europea, gli stessi che invece ora si preparano a condonare all’anti-italiano Macron persino il massimo sacrilegio possibile, nell’euro-santuario: la violazione del sacro vincolo del 3% nel rapporto deficit-Pil. Prima ancora che il “governo del cambiamento” nascesse, del resto, i gialloverdi avevano dovuto ingoiare un super-rospo: il “niet” del Quirinale su Paolo Savona all’economia. Di Maio ventilò l’impeachment per Mattarella, Salvini se ne guardò bene. Oggi Di Maio è in caduta libera, mentre Salvini si muove da padrone della scena. Un caso?
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Magaldi: noi massoni coi Gilet Gialli, mentre Roma dorme
La rivolta dei Gilet Gialli? Un clamoroso “assist” destinato proprio al governo italiano, l’unico che abbia finora contestato il rigore europeo da un’aula istituzionale. Chi si è opposto frontalmente ai gialloverdi, fin da subito? Lui, Emmanuel Macron. E proprio ora che il presidente francese barcolla, travolto dalla marea della protesta, l’Italia che fa? «Abbassa le orecchie, e accetta di farsi amputare il deficit che aveva orgogliosamente rivendicato, illudendo mezza Europa che proprio da Roma fosse cominciato il grande disgelo, la fine dello strapotere della tecnocrazia Ue». Ma se qualcuno pensa che i Gilet Gialli siano un fenomeno esclusivamente spontaneo, non sorretto da una precisa regia, si illude come chi pensa che l’attentato di Strasburgo non sia stato cinicamente pianificato, per aiutare Macron, da settori deviati dei servizi segreti francesi. «Secondo i loro piani doveva finire 1-1, con l’attentato destinato a sedare la protesta, pareggiando i conti. E invece è finita 2-0, la partita, perché tutti – tranne i media mainstream – hanno mangiato la foglia: una strage smaccatamente tempestiva, attuata all’indomani della “resa” di Macron ai Gilet Gialli e condotta nel solito modo, con il misterioso attentatore sbucato dal nulla e poi immancabilmente ucciso, prima che potesse essere interrogato».Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista internazionale, rilancia le accuse anticipate da Gianfranco Carpeoro in web-streaming su YouTube” con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Vero, la strage dell’11 dicembre a Strasburgo è stata condotta da manovalanza pseudo-jihadista. Ma Cherif Chekatt, collegato alle brigate Al-Nusra asserragliate a Idlib in Siria sotto protezione francese, era solo l’ennesima, sciagurata pedina della famigerata “sovragestione” del peggior potere: quella che ha insanguinato l’Europa negli ultimi anni, con attentati “a orologeria” affidati a killer dell’Isis, filiazione diretta del network terroristico prima noto come Al-Qaeda ma sempre controllato da settori dell’intelligence Nato. Si tratta di servizi infiltrati dalla stessa supermassoneria neo-oligarchica che ha sfigurato il mondo, a partire dall’11 Settembre. Una guerra sporca, sotto falsa bandiera e nutrita di “fake news” governative: gli attentati “false flag” (che attaccano la folla inerme, mai i centri di potere) sono perfettamente simmetrici rispetto al marmoreo autoritarismo neo-feudale di Bruxelles, che ha confiscato democrazia e sovranità in Europa sulla base di dogmi ideologici come il rigore di bilancio imposto agli Stati.Contro questo diktat si era levato il governo gialloverde. E proprio per sostenere l’esecutivo italiano contro il suo maggiore nemico – afferma Magaldi – in Francia “qualcuno” ha promosso la sollevazione dei Gilet Gialli. Ma a Roma, anziché approfittarne, si sono lasciati spaventare dalla Commissione Europea. Sono esplosive, le dichiarazioni che Magaldi rilascia a Frabetti, nel colloquio online trasmesso su YouTube il 17 dicembre: ebbene sì, il circuito massonico progressista agisce dietro le quinte della protesta francese dei Gilet Gialli. «E’ vero», ammette Magaldi, «dovrei fare nomi e cognomi: sigle, associazioni». Ma, assicura, «non mancherò di metterli per iscritto, i nomi dei massoni sostenitori della rivolta francese». Per ora, il presidente del Movimento Roosevelt fa appello «alla sottigliezza di tutti». Come dire: aprite gli occhi, signori. Pensare che un paese come la Francia possa esser messo ko da una protesta di massa esclusivamente spontanea è davvero ingenuo, almeno quanto il credere che un giovane malavitoso, pluri-pregiudicato e sospettato di radicalismo islamista, possa davvero andarsene a spasso (armato) per il centro ultra-presidiato di Strasburgo, a due passi dal Parlamento Europeo, per poi fare comodamente una strage – 4 morti e 16 feriti – e quindi tornarsene a casa indisturbato, in taxi, senza che nessuno abbia vigilato sulla sua ignobile impresa.«Stavolta – dice Magaldi – il teatro mostra quello che c’è dietro il palcoscenico, nei camerini: il Re è sempre più nudo». Peccato che l’ultimo ad accorgersene sembra sia il governo italiano: non toccava proprio ai gialloverdi salire per primi sulle barricate francesi per rilanciare in Europa la sfida della democrazia contro l’oligarchia? E se qualcuno pensa che Magaldi vaneggi, quando intesta alla massoneria progressista un ruolo determinante, dietro le quinte dello scenario europeo in rivolta, si sbaglia di grosso. Magaldi non è solo l’autore del bestseller “Massoni”, che svela il ruolo occulto delle superlogge neo-oligarchiche nella globalizzazione neoliberista, fino alle estreme conseguenze del terrorismo “false flag”. Il presidente del Movimento Roosevelt è organico al circuito massonico progressista che a livello internazionale si oppone al dominio neo-feudale dell’élite finanziaria. E il primo a saperlo è proprio il governo italiano. Non a caso, racconta sempre Magaldi nello streaming su YouTube con Frabetti, alcuni esponenti della Lega lo hanno avvicinato, nei giorni scorsi, per chiedergli una sorta di intercessione: intervenire, a livello europeo, per aiutare l’Italia nella drammatica trattativa con Bruxelles. La risposta: ma non vedete quello che sta succedendo in Francia? Di cos’altro avete bisogno, per mandare a stendere gli spaventapasseri della Commissione Europea?Magaldi cita il rammarico di un amico come Aldo Storti, «uno degli animatori della scuola politica della Lega, che è forse lo strumento migliore grazie a cui la Lega è maturata negli ultimi anni». Scontenti, i leghisti, delle pesanti critiche mosse da Magaldi all’eccessiva timidezza della manovra gialloverde: «Nonostante i proclami altisonanti e le dichiarazioni virili, muscolari e sprezzanti – ribadisce il presidente del Movimento Roosevelt – alla fine il governo italiano ha abbassato le orecchie e adesso sta col fiato sospeso per paura che la manovra non venga approvata dall’Ue, cui ha purtroppo riconosciuto l’ultima parola». Di fatto quella del governo Conte «è una manovrina, nonostante tutti ripetano che contiene le misure innovative e rivoluzionarie annunciate: in realtà contiene poche cose, alcune anche interessanti, ma non la sfida ai paradigmi europei che gli elettori si aspettavano». Esponenti della maggioranza gialloverde chiedono più impegno, da parte della massoneria progressista, nel sostenere il governo Conte in sede politica europea e magari anche sul piano finanziario, contribuendo a spuntare l’arma di ricatto dello spread? Un po’ di franchezza a questo punto non guasterebbe: perché non essere trasparenti?Sarebbe stato meglio, sottolinea Magaldi, se questa richiesta di aiuto fosse stata formulata in modo esplicito. Invece il governo, in modo ipocrita, ha messo addirittura nel suo “contratto” l’incompatibilità tra massoneria e cariche istituzionali, senza neppure distinguere tra massoni neoaristocratici e massoni progressisti, salvo poi reclutare alcuni grembiulini (non dichiarati) in vari ministeri, come quello di Giovanni Tria. In realtà, ribadisce Magaldi, quell’aiuto c’è stato, eccome, anche se «di segno diverso, più intonato a questo modo di comportarsi alquanto sibillino, da parte di tutti – anche di quelli che chiedono aiuti ma non sono disposti a offrire una narrazione sincera, sul rapporto con la massoneria». Un soccorso pesantissimo, dunque, proprio dalla Francia: «Un aiuto tanto importante, ancorché raffinato, sottile e benignamente machiavellico, al punto da creare qualche difficoltà ai negoziatori europei». E l’Italia? Se c’era, dormiva. Lega e 5 Stelle non bastano? Anche per questo, probabilmente, Magaldi pensa – tra le altre cose – al progetto del “partito che serve all’Italia”, i cui promotori si incontreranno il 22 dicembre a Roma per mettere insieme un’agenda che, dal 2019, possa ispirare la costruzione di un progetto politico non disponibile a cedere alle mediazioni con l’Ue alle quali si è rassegnato il governo Conte.Se non altro, dal fronte francese arrivano soltanto ottime notizie: la “sovragestione” è in affanno, Macron alza bandiera bianca di fronte ai Gilet Gialli (annunciando che sforerà il 3% del deficit per alzare i salari) e le solite “manine” specializzate nella strategia della tensione non vanno oltre il sanguinoso autogoal di Strasburgo, dove tutti hanno capito che chi vigilava sulla sicurezza non poteva non sapere cosa stesse accadendo. «Non nascondiamoci dietro ai veli», insiste Magaldi: «Abbiamo rivisto il solito copione dell’attentatore misteriosamente sfuggito alle maglie della polizia e dei servizi, per poi allontanarsi in taxi e venire immancabilmente ucciso, ad evitare la possibilità di interrogatori». Aggiunge: «Questo bisogna dirlo, perché ormai il teatro è tragicamente farsesco». Ovvero: «Si immagina che si cerchi di prenderlo vivo, un killer dai contorni come al solito irrisolti. E infatti ci sono molti modi in cui le forze di sicurezza (polizia, antiterrorismo, servizi) possono braccare un uomo solo, metterlo in condizioni di non nuocere, arrestarlo e interrogarlo». Invece la sceneggiatura è ancora una volta la seguente: compare dal nulla «un lupo solitario, che poi naturalmente viene rivendicato come “soldato” dell’Isis, ma poi viene fatto fuori. E così la questione viene chiusa».Certo, magari «i complottisti le sparano grosse, perché non sanno bene di cosa parlano: vedono il complotto, ma non capiscono di che complotto si tratti». Però, aggiunge Magaldi, l’evento di Strasburgo «è riuscito male, stavolta è stato davvero grossolano – così come la tempistica, troppo smaccata – e quindi non avrà affetti su quello che sta accadendo in Francia e nel resto d’Europa». I servizi francesi? Pagine ingloriose: gli organi di sicurezza transalpini «hanno dato dimostrazione della loro efficienza anche sotto Hollande, con gli attentati di Parigi a due passi dal presidente stesso». Magaldi allude a «segmenti deviati, asserviti a interessi non istituzionali». Uno spettacolo increscioso: «Nessuno, sano di mente (se non il coro mediatico mainstream) avrebbe potuto ritenere “normale”, a suo tempo, quello che è stato fatto dai terroristi. E nessuno, sano di mente, penserebbe che un tizio come l’attentatore di Strasburgo possa davvero agire indisturbato, senza aiuti da parte di precisi settori delle forze di sicurezza». Ma stavolta, insiste ancora Magaldi, ai gestori dell’auto-terrorismo è andata male: otto francesi su dieci continuano a sostenere i Gilet Gialli, e non credono affatto che Cherif Chekat, a Strasburgo, abbia fatto tutto da solo. Meglio ancora: non credono neppure alle ultime promesse di Macron, e infatti continuano a protestare.Credevano che la rivolta finisse, in Europa, rimettendo in riga il ribelle governo gialloverde? Errore: il focolaio della protesta anti-establishment si è trasferito proprio nel paese il cui governo si era maggiormente distinto nel bacchettare l’Italia. E non è che l’inizio, dice Magaldi. A maggior ragione, c’è da mangiarsi le mani per la pavidità dell’esecutivo Conte: ha sbagliato un goal a porta vuota, sempre per restare nella metafora calcistica. Proprio così: il “governo del cambiamento” «si è messo nella condizione di non poter sfruttare (come andava sfruttato) quello che sta accadendo in Francia», accontentandosi di ricevere pacche sulle spalle dagli oligarchi Ue. «I signori dell’Europa ora dicono: va bene, vi concediamo questo 2,04% di deficit; fatevi pure le vostre cosine, tanto avete abbassato le penne e vi siete rimessi in riga, e questo è più importante di qualunque numero decimale, al di là delle dichiarazioni fokloristiche di Salvini». Il leader leghista giura che i numeri non gli interessano? Strano: «Proprio di numeri, invece, è andato a parlare il premier a Bruxelles. Si preoccupano tutti, dei numeri: tant’è che adesso l’Italia – da nazione che sembrava in procinto di sfidare il vigente paradigma tecnocratico dell’austerity – è una nazione che non osa nemmeno fare le cose che Macron è ora costretto a fare, sull’onda della protesta».Per Magaldi, la rivolta dei Gilet Gialli è «molto proficua, anche sul piano dell’immaginario collettivo – più ancora che su quello dei risultati che potrà ottenere, e più della confusione che regna tra chi mette in atto la protesta stessa». Quello che conta, riassume il presidente del Movimento Roosevelt, è che la contestazione francese «è animata anche da un’intenzione più profonda: ed è a questa che mi riferisco – precisa – quando parlo dei massoni democratici e progressisti». Circuiti che, sempre secondo Magaldi, «stanno dimostrando – in Europa – di agire nel back-office nella giusta direzione, che è quella che deve mettere in discussione il paradigma esistente e far tremare le poltrone di quelli che pensavano di poter guidare impunemente il carretto nella direzione da loro auspicata». Loro, i sovragestori dell’Unione: «Da parte di alcuni c’è una incapacità di gestire lo “strumento Macron”, e c’è anche l’incapacità di gestire questi attentati, nel tentativo di arginare il valore anzitutto simbolico, evocativo e ideologico della protesta dei Gilet Gialli». Come dire: governo gialloverde o meno, quelli che Magaldi chiama “fratelli progressisti” starebbero di fatto «riguadagnando terreno». Una previsione: «Giocheranno questa grande partita a scacchi con sapienza e lungimiranza». L’altra buona notizia? «Sul fronte opposto vedo molta confusione, molta ansia, molti errori». Qualcosa sta cambiando, insomma, in modo radicale. Ne prendano nota, i mancati “rivoluzionari” gialloverdi.La rivolta dei Gilet Gialli? Un clamoroso “assist” destinato proprio al governo italiano, l’unico che abbia finora contestato il rigore europeo da un’aula istituzionale. Chi si è opposto frontalmente ai gialloverdi, fin da subito? Lui, Emmanuel Macron. E proprio ora che il presidente francese barcolla, travolto dalla marea della protesta, l’Italia che fa? «Abbassa le orecchie, e accetta di farsi amputare il deficit che aveva orgogliosamente rivendicato, illudendo mezza Europa che proprio da Roma fosse cominciato il grande disgelo, la fine dello strapotere della tecnocrazia Ue». Ma se qualcuno pensa che i Gilet Gialli siano un fenomeno esclusivamente spontaneo, non sorretto da una precisa regia, si illude come chi pensa che l’attentato di Strasburgo non sia stato cinicamente pianificato, per aiutare Macron, da settori deviati dei servizi segreti francesi. «Secondo i loro piani doveva finire 1-1, con l’attentato destinato a sedare la protesta, pareggiando i conti. E invece è finita 2-0, la partita, perché tutti – tranne i media mainstream – hanno mangiato la foglia: una strage smaccatamente tempestiva, attuata all’indomani della “resa” di Macron ai Gilet Gialli e condotta nel solito modo, con il misterioso attentatore sbucato dal nulla e poi immancabilmente ucciso, prima che potesse essere interrogato».
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Galloni: Gilet Gialli, l’ennesima rivolta senza guida politica
«Può darsi che il percorso del cambiamento storico – ormai evidentemente necessario – non passi per le rivolte di strada (e forse, nemmeno per elezioni democratiche), ma per un mutamento di forme e di formule dell’economia e dei rapporti umani che, pian piano all’inizio e, poi, in modo più dirompente, impongano modelli di comportamento diversi rispetto a quelli cui siamo stati abituati nei trascorsi decenni». Lo afferma l’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, in una riflessione su “Scenari Economici” innescata dalla rivolta francese dei Gilet Gialli. La buona notizia per i “marxiani”, scrive Galloni, è che la lotta di classe è riapparsa in Europa (sebbene il fantasma del comunismo non vi si aggiri più, almeno apparentemente): la “plebe” si è rivoltata a Macron e ha propugnato i propri interessi in contrapposizione all’establishment rappresentato dal presidente-oligarca e dal suo governo. «Il conflitto di interessi è dappertutto ma, si diceva, mancano consapevolezza di classe (perché le vecchie classi non esistono più) e, soprattutto, un partito “classista”». Secondo Galloni, peraltro, le piccole e piccolissime imprese «hanno abbandonato il capitalismo da tempo, rinunciando al profitto o alla valorizzazione finanziaria per, invece, controllare risorse reali e darsi un ruolo ed una funzione nella società».Tuttavia, aggiunge, le piccole imprese italiane «non hanno trovato mai un partito di riferimento», un po’ per le carenze della nostra politica, e un po’ anche «per i limiti della crescita della loro coscienza», almeno «della grande maggioranza dei piccoli imprenditori». Inoltre, la classe media (che comprende anche «gli eredi dell’antico proletariato che aveva scambiato – dopo gli anni ’60 – la spinta rivoluzionaria col consumismo»), può dividersi in due componenti o classi: da una parte «quelli che possono scaricare le tasse e i maggiori oneri su clienti e pubblico», e dall’altra «quelli che hanno visto un continuo peggioramento delle proprie condizioni di vita per la ragione opposta a fronte di un’inflazione nascosta, dovuta all’aumento vertiginoso di imposte, assicurazioni, obblighi condominiali, costi di mantenimento delle automobili». Anche qui, secondo Galloni, «le forze politiche prevalenti non hanno fatto chiarezza, a parte i proclami e la denuncia di situazioni a dir poco scandalose». La soluzione proposta dai più avveduti critici del sistema – continua Galloni – è la seguente: poiché il mondo è dominato da poche famiglie o gruppi e, comunque, il 99% della gente ha interessi opposti all’1% di ricchissimi, cosa manca ad una rivolta del 99% (ma forse del 99,9%) contro lo 0,1?E qui, purtroppo, viene la brutta notizia per i “marxiani”: «Le classi e la lotta di classe esistono, ma il contrasto di interessi è più forte all’interno di ciascuna classe rispetto a quanto ci sarebbe da aspettarsi fra le classi (per avventura pur contrapposte)». Ne deriva che «l’unica formula rivoluzionaria sarebbe quella interclassista», ma il termine interclassista era usato a proposito della Democrazia Cristiana – ad esempio – per indicare come evitare un esito radicalizzato e rivoluzionario. «Un bel pasticcio. Ecco perché rivolte come quella dei Gilet Gialli (al pari dei nostri Forconi) rischiano di non avere un seguito: la spaccatura interna a ciascun ceto fa sì che, in mancanza di una rappresentanza (guida) ben organizzata, si determini un conflitto insanabile tra l’ala moderata e quella estremista, che viene infiltrata da elementi di cui sarebbe meglio fare a meno». Se invece la guida politica fosse adeguata, «sarebbe coerente con i partiti tradizionali, e quindi destinata ad abbandonare la prospettiva rivoluzionaria». Vie d’uscita? Dal basso: Galloni spera appunto in un cambiamento di «forme e formule dell’economia e dei rapporti umani», che finiscano per imporre «modelli di comportamento diversi», rispetto alla deludente consuetudine degli ultimi decenni, perdente per tutti tranne che il famoso 1%.«Può darsi che il percorso del cambiamento storico – ormai evidentemente necessario – non passi per le rivolte di strada (e forse, nemmeno per elezioni democratiche), ma per un mutamento di forme e di formule dell’economia e dei rapporti umani che, pian piano all’inizio e, poi, in modo più dirompente, impongano modelli di comportamento diversi rispetto a quelli cui siamo stati abituati nei trascorsi decenni». Lo afferma l’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, in una riflessione su “Scenari Economici” innescata dalla rivolta francese dei Gilet Gialli. La buona notizia per i “marxiani”, scrive Galloni, è che la lotta di classe è riapparsa in Europa (sebbene il fantasma del comunismo non vi si aggiri più, almeno apparentemente): la “plebe” si è rivoltata a Macron e ha propugnato i propri interessi in contrapposizione all’establishment rappresentato dal presidente-oligarca e dal suo governo. «Il conflitto di interessi è dappertutto ma, si diceva, mancano consapevolezza di classe (perché le vecchie classi non esistono più) e, soprattutto, un partito “classista”». Secondo Galloni, peraltro, le piccole e piccolissime imprese «hanno abbandonato il capitalismo da tempo, rinunciando al profitto o alla valorizzazione finanziaria per, invece, controllare risorse reali e darsi un ruolo ed una funzione nella società».