Archivio del Tag ‘globalizzazione’
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A chi obbediscono le docili istituzioni del Protettorato Italia
Finalmente anche all’opinione pubblica è arrivato il problema della condizione internazionale dell’Italia come paese dominato da altri paesi – Francia e Germania – che sono in grado di imporre, anche con l’aiuto della Ue e della Bce che stringono o allargano la borsa all’Italia secondo le convenienze di Parigi e Berlino, politiche e governi contro l’interesse e la volontà nazionale. Da diversi anni vado spiegando che la funzione reale del Presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale – è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive. Affinché possa svolgere cotale ruolo contrario al bene della nazione, il Presidente, nella struttura costituzionale, è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche. Grazie a ciò può metter su governi che sa benissimo non avere il consenso del popolo, bensì quello di potentati stranieri portatori di interessi contrapposti a quelli italiani e ammantati di falso europeismo. Sia pure con differenziazioni tra loro, i sociologi della scuola italiana (Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Robert Michels) ravvisano una costante, ossia una legge empirica, nella strutturazione sociale: ogni società è dominata da una élite od oligarchia e non si governa da sé.
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5 Stelle, l’inganno mortale taglia le gambe al cambiamento
Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.L’ingloriosa agonia del Movimento 5 Stelle – 17% alle europee, votato da meno di un italiano su dieci e letteralmente sparito dai radar alle regionali – è da ascrivere all’impietoso confronto tra le mirabolanti promesse del 2018 e l’incresciosa cronachetta gialloverde, impregnata di codardia verso Bruxelles e costellata di tradimenti sfrontati. Leggasi obbligo vaccinale, F-35 e spese militari, Muos di Niscemi e Ilva di Taranto, gasdotto Tap, trivelle petrolifere in Adriatico, Tav Torino-Lione in valle di Susa. «Avete mai avuto la sensazione di essere presi per il culo?», domandò il rocker Johnny Rotten. «Affermativo», rispondono oggi i milioni di italiani che – dall’Alpe al Lilibeo – hanno smesso di votare 5 Stelle. Perché lo fecero, nel 2018, pur vedendo benissimo che le iperboliche fanta-promesse di Di Maio non sarebbero mai state realizzabili, se non in minima parte? Probabilmente speravano proprio in quella “minima parte”, non immaginando che si sarebbero invece ridotte a zero. C’era un equivoco, alla base dell’epocale malinteso. Ovvero: la speranza che, da qualche parte, i soldi necessari alle riforme sociali (le famose coperture) potessero spuntare. Dove? Nell’unico posto possibile: in un deficit adeguato, strappato in un energico negoziato con Bruxelles. Sarebbe stato il minimo sindacale, per avvicinare l’Italia alla generosissima flessibilità concessa alla Francia. Per non parlare del debito-fantasma cui attinge la Germania, truccando i bilanci alla faccia dell’austerity altrui.Di che pasta fosse, la fermezza grillina, lo si è visto con Di Maio, Conte e Tria. Ma c’erano precedenti allarmanti: come il trasloco tentato da Grillo nel 2016 per trasferire il gruppo europarlamentare pentastellato tra gli ultra-euristi dell’Alde, gli amici di Mario Monti, dopo aver sbandierato in Italia lo spauracchio di un referendum sull’euro. Acquattato nel suo apparente buen retiro di Genova, l’Elevato si sveglia sempre al momento opportuno per impartire i suoi diktat indiscutibili: l’idea di piazzare Conte a Palazzo Chigi, l’ordine di far eleggere Ursula von der Leyen alla Commissione Europea e lo sdoganamento improvviso del Pd renziano come alleato di governo. Un atto politico violento, quest’ultimo, come di consueto imposto dal centralismo di stampo sovietico con cui il signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, gestisce i sottoposti. Sapeva di poter contare sulla docilità dei parlamentari, terrorizzati dai sondaggi di fronte all’incubo delle elezioni anticipate. E non ha esitato a esibire lo spettacolo dell’amore per le poltrone, inflitto ai militanti che parlamentari non sono e, a differenza di deputati e senatori, non hanno stipendi d’oro a rischio di evaporazione. Ancora una volta, il pastore ha portato le pecore dove voleva. E l’ha fatto a reti unificate: tutta l’Europa ha visto di che sostanza è fatto il nostro ribellismo all’amatriciana in salsa pentastellata.Il colpo inferto dai 5 Stelle alla dolente democrazia italiana non è irrilevante: hanno dimostrato che si possono maneggiare valori forti – giustizia sociale, trasparenza, condivisione – facendone tranquillamente strame, dopo aver ingannato gli elettori. Al punto da indurre molti osservatori a ritenere che l’abbaglio collettivo del MoVimento non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un’abile operazione di gatekeeping per dirottare con sapienza il malcontento sociale verso lidi innocui. Malcontento peraltro esasperato dal neoliberismo globale, la “lotta di classe a rovescio” che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, interpretato in Europa da politici come Angela Merkel e la sua candidata Ursula von der Leyen, a cui non a caso è giunto in soccorso proprio il partito-caserma di Grillo. Neoliberismo feroce, altro che “reddito di cittadinanza”: Stato minimo, tagli al welfare, erosione dei risparmi, fine della classe media, precarizzazione del lavoro. In cambio, piccole battaglie di cartapesta come quella sulla riduzione dei parlamentari (funzionale, anche quella, alla diminuzione della rappresentatività democratica). Amara lezione, dai 5 Stelle: gli italiani che sognavano il cambiamento hanno imparato a non fidarsi più di chi lo promette, chiunque sia, specie se alza la voce nelle piazze. Un vero capolavoro politico, per la gioia dell’oligarchia che detesta la sovranità democratica.Alzi la mano chi non ha mai pensato, neppure per un attimo, che i grillini potessero fare sul serio. A prima vista, la loro sembrava una rivolta democratica genuina: che infatti ha attratto migliaia di sinceri attivisti, prima ancora che milioni di elettori. C’è chi ricorda che, in Italia, la discesa in campo di Grillo ha rotto l’equilibrio stagnante dei finti avversari, centrodestra e centrosinistra, imponendo un nuovo tipo di lessico nuovista (senza il quale, per dire, non sarebbe mai nato nemmeno il populismo rottamatore di Renzi, a sua volta erede del populismo paternalistico di Berlusconi). Non mancarono però le voci profetiche come quelle di Paolo Barnard, fin dall’inizio avverso ai pentastellati: servì loro su un piatto d’argento l’agenda della Modern Money Theory di Warren Mosler per il recupero della sovranità nazionale, ma li vide fuggire atterriti non appena i loro padroni Grillo e Casaleggio mostrarono di non gradire l’idea che qualcuno potesse affrontare davvero i nodi della tragedia economica nazionale. In piccolo, il parmense Federico Pizzarotti – cacciato a pedate – fornì per primo, a sue spese, un bel compendio della democraticità del MoVimento, al di là del mitico “uno vale uno” fischiettato dai ragazzi del coro. E questo, quando ancora non avevano cominciato a deludere nel modo più sfacciato i loro elettori, imboccando il viale del tramonto che li ha portati oggi a diventare gli sparring partner di Matteo Renzi e Maria Elena Boschi, insieme al loro finto premier osannato dagli anti-italiani di tutta Europa.
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Grillopardi e mercenari franco-tedeschi governano l’Italia
Giuseppe Conte, l’uomo che visse due volte, la prima a destra, la seconda a sinistra, l’uomo che sussurrava alla Merkel le sue ricette per far fuori Matteo Salvini e aprire i porti, l’uomo mai votato da nessuno, se non dalle cancellerie europeiste e globaliste, e dalla massoneria vaticana, lavorava da tempo alla riammissione della prodiga Italia a pieno titolo tra i paesi europeisti. Le trame del novello Andreotti sono state candidamente rivelate dal ministro all’agricoltura Teresa Bellanova, quando ha detto apertamente chez madame Gruber che l’accordo tra 5S e Dem è stato tessuto a Bruxelles per «dare a questo paese un presidente della Repubblica che non sia ostile all’Europa». Una gigantesca operazione di trasformismo ad opera di due partiti che si sono odiati fino al giorno prima, e si ritrovano in un governo dove il presidente del Consiglio è lo stesso del governo precedente, ma che dice che sarà in discontinuità con se stesso. Non solo per scongiurare le politiche “razziste e fasciste” della Lega, quanto per poter manovrare la prossima elezione del presidente della Repubblica, in programma per il 2022, l’anno in cui scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale.Nulla di particolarmente oscuro quindi, visto che al ribaltone hanno partecipato i Dem, augurandosi di poter conquistare lo scranno del Colle, cui non potrebbero certo rinunciare per quel diritto egemonico di appartenenza al sistema di potere cattocomunista erede della Resistenza, che però strada facendo ha perso di vista le istanze popolari e si è sempre più asservito agli interessi oligarchici della finanza apolide. La fine del governo gialloverde è stata segnata da accordi segreti presi in Europa da Giuseppe Conte, che appare sempre più chiaramente un emissario della massoneria vaticana, la crisi infatti è letteralmente esplosa con il cosiddetto Russiagate, quando contro Salvini si è prontamente scatenata al momento opportuno la stampa mainstream, dall’“Espresso” al “Fatto Quotidiano”. Ha fatto male Salvini a negare il tutto, ma restano oscure le dinamiche ed appare risibile il fatto che la tangente avrebbe dovuto passare per Eni, che è controllata dal Pd di Renzi. E comunque l’avvocato democristiano venuto dal nulla, indicato da Grillo e stimato da De Mita nonché dal Vaticano, alla nascita del governo gialloverde aveva tenuto per sé la delega ai servizi (Aise, Aisi e Dis), che negli esecutivi precedenti (Renzi e Gentiloni) era stata affidata come di consueto al ministro dell’interno (Minniti).Probabilmente gli azionisti occulti del governo gialloverde non si fidavano di Salvini e non intendevano lasciare nelle sue mani l’arma dell’intelligence. Questo spiegherebbe anche l’intransigenza di Salvini nel voler liquidare ad ogni costo l’avvocato venuto in apparenza dal nulla, ma in realtà solidamente pilotato dai veri responsabili della crisi, pronti a schierare i grillini con la Merkel per far eleggere Ursula von del Leyen alla Commissione Ue, contro Salvini e contro gli interessi nazionali italiani. Il nuovo governo giallorosso è nato quindi in Europa, ben prima delle elezioni europee, che hanno solo drasticamente rimarcato l’ascesa inarrestabile della Lega e la vorticosa perdita di consensi del M5S. Trattative che portarono allo scambio tra David Sassoli e Fabio M. Castaldo e all’elezione, per soli 9 voti dei 5S, di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue, già membro della Cdu, e ministra per vari portafogli in tutti i governi presieduti da Angela Merkel. Una Commissione che è il risultato dell’alleanza obbligata di quei partiti che hanno visto ridursi notevolmente i loro consensi, così come è avvenuto per il ribaltone italiano.Infatti proprio le europee hanno registrato la tenuta del Partito popolare, la crescita dei sovranisti (pur divisi tra di loro), il boom del Brexit Party, e la virata a destra di molte correnti interne ai moderati, ma in pratica non hanno sortito alcuna novità se non quella di conservare l’Ue nelle mani del Ppe, più i socialisti di Pse, con l’appoggio dei liberali di Alde e i conservatori di Ecr. La spartizione delle deleghe nella Commissione di Ursula Von der Leyen è stato solo un tragico tentativo di serrare le file per scongiurare ogni forma di cambiamento. L’asse franco-tedesco non avrebbe certo permesso che la trasformazione dell’Italia a paese più euroscettico dell’Ue potesse proseguire oltre, i rischi sarebbero stati troppo consistenti per gli oligarchi mondialisti, interessati a scongiurare ogni tentativo di resistenza nei confronti della demolizione degli Dtati nazionali, ultimo baluardo democratico contro lo strapotere elitario che tutela i poteri forti a scapito dei popoli. Unica soluzione il superamento degli Stati nazionali, la cancellazione delle frontiere e la moneta unica.In particolare si sta cercando di realizzare un sistema giuridico sovranazionale al quale gli Stati-nazione democratici sono chiamati a sottomettersi, un modo simulato per esautorare le democrazie nazionali sostituendole con una non-democrazia sovranazionale. Quindi non può esistere nessun potere dei popoli in Eurozona, visto che governano i capitali, che trovano qui i più compiacenti paradisi fiscali. Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflue, ridondanti ed eliminabili (Marco Della Luna). Esiste anche la possibilità tecnologica di gestirle come mandrie al pascolo, ridotte completamente a strumento, merce, file formattabile, usa e getta. E intanto in Italia il Conte Zio, proveniente dai corridoi vaticani (Silvestrini, Parolin), si è rivelato il grimaldello che doveva far saltare il governo giallo verde, un breve intermezzo durato appena 14 mesi, una parvenza di sovranismo, marcato stretto dal Quirinale e dal sistema europeista, poi tutto è tornato come prima, nessuna volontà di cambiamento, archiviato in fretta il populismo, asfaltato rapidamente il sovranismo.Ha vinto il CamaleConte democristiano, duttile, multitasking e paraculista, servitore di mille padroni, esponente occulto del partito-sistema, il partito-apparato, il partito-deepstate, il partito di Mafia Capitale, quello del Jobs Act, di Mps, del prelievo forzoso agli obbligazionisti, della Pessima Scuola… previo naturalmente bacio della morte all’Ue col voto a Ursula, ed endorsement internazionali di tutto il gotha neoliberista globalizzato: Merkel, Macron, Vaticano, Trump. Da trent’anni il Deep State, il Potere Profondo, il Sistema, ha sempre avuto la meglio. L’Europa franco-tedesca si è compattata con il recente patto di Aquisgrana proprio per contrastare e schiacciare i tanti nazionalismi sorti in Europa.Mentre i grillopardi, sostenuti da numerosi androidi fanatizzati e autoproclamatisi dei missionari della San Francesco Associati, finti giacobini di una finta rivoluzione, che vivono di pane amore e sacrificio per il bene dell’Italia, ora l’hanno svenduta ai poteri forti italiani ed europei, che possono tornare speditamente all’assalto del benessere degli italiani. Il Sì di Rousseau fa volare MpS a +13%, e le Ong tornano all’assalto dei porti aperti. I simulacri di Philip Dick vivono tra noi…(Rosanna Spadini, “I mercenari del trasformismo vivono tra noi”, da “Come Don Chisciotte” del 15 settembre 2019).Giuseppe Conte, l’uomo che visse due volte, la prima a destra, la seconda a sinistra, l’uomo che sussurrava alla Merkel le sue ricette per far fuori Matteo Salvini e aprire i porti, l’uomo mai votato da nessuno, se non dalle cancellerie europeiste e globaliste, e dalla massoneria vaticana, lavorava da tempo alla riammissione della prodiga Italia a pieno titolo tra i paesi europeisti. Le trame del novello Andreotti sono state candidamente rivelate dal ministro all’agricoltura Teresa Bellanova, quando ha detto apertamente chez madame Gruber che l’accordo tra 5S e Dem è stato tessuto a Bruxelles per «dare a questo paese un presidente della Repubblica che non sia ostile all’Europa». Una gigantesca operazione di trasformismo ad opera di due partiti che si sono odiati fino al giorno prima, e si ritrovano in un governo dove il presidente del Consiglio è lo stesso del governo precedente, ma che dice che sarà in discontinuità con se stesso. Non solo per scongiurare le politiche “razziste e fasciste” della Lega, quanto per poter manovrare la prossima elezione del presidente della Repubblica, in programma per il 2022, l’anno in cui scadrà il mandato di Sergio Mattarella al Quirinale.
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Sapelli: Ursula e Macron affondano l’Italia, complice Renzi
Luna di miele con l’Europa? Per nulla. Anzitutto, l’Europa è di nuovo un protettorato tedesco, che ha un formidabile alleato come la Francia. È il duopolio scritto nel Trattato di Aquisgrana. E il prossimo passo sarà che la Francia farà il trattato italo-francese, già scritto da Renzi sotto dettatura di Macron e sulla cui bozza non abbiamo ancora assistito ad alcun dibattito parlamentare, in base al quale la Francia si piglierà tutto. Basta vedere chi è la nuova commissaria all’industria militare, alla difesa e all’industria spaziale: la francese Goulard, che ha già lavorato con Monti e con Prodi. Però la partita è ancora aperta, perché gli italiani, durante il governo gialloverde, hanno concluso un accordo per il caccia Tempest inglese, che è un attacco al predominio franco-tedesco nell’industria degli armamenti. Non so se il Conte-2 terrà ancora duro su questo punto. La nuova Commissione Ue ci tratterà meglio? No, perché, Ursula von der Leyen non è solo la mamma di sette figli, di cui uno siriano adottato, ma è soprattutto la figlia del più grande intellettuale protestante, Ernst Albrecht, il primo segretario generale dell’Ue. Quindi è senz’altro europeista, ma è figlia di quel protestantesimo che ha visto nell’Europa la possibilità di riscattarsi dal nazismo. E’ una persona che prende sul serio l’ordoliberismo, di cui sono un convinto avversario.
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Parla Conte, come se fosse antani: ma gli italiani non ridono
Ci vuole impegno, per credere che la partita italiana abbia davvero a che fare, in qualche modo, con le grandi decisioni del mondo – di questo mondo, poi, che sembra preda di un caos mai visto prima, lacerato da verti incrociati e guerre finanziarie interpretate da oligarchi globali, l’un contro l’altro armato. Visto col telescopio, dalla Luna, sembra surreale il ciuffo di Giuseppe Conte, reduce dalla più goffa delle manovre: Gentiloni promosso all’Ue, che in cambio commissaria il governo (già auto-commissariato, peraltro) sistemando l’euro-tecnocrate Roberto Gualtieri all’economia. Intanto si ciancia, “come se fosse antani”: Green Deal sostenibile, rinascita del Mezzogiorno, eccetera, come neppure il grande Tognazzi di “Amici miei”. A tre italiani su quattro, il Conte-bis fa ribrezzo: lo confermano tutti i sondaggi. E mentre il fantasma di Di Maio si aggira per i ministeri ex gialloverdi, il Pd neo-renziano trascina in tribunale il disertore Matteo Richetti, costringendolo a versare i contributi arretrati alla “ditta”. Nel frattempo, gli italiani parlano coi fatti: le ultime elezioni regionali hanno relegato i 5 Stelle tra specie in via di estinzione, lungo il viale del tramonto dove si attarda l’inguardabile Pd. Esito confermato in modo spietato dalle europee, con in più un dato eloquentissimo: un italiano su due ha evitato di votare.
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Della Luna: siamo in trappola, e la politica non conta nulla
Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.Davvero nulla che conti davvero, sostiene l’avvocato Della Luna, brillante saggista euroscettico, sia che si tratti di migranti o di «diritti civili consolatori come l’eutanasia, la droga, il matrimonio e l’adozione da parte di coppie omosessuali, l’affitto di utero e la fecondazione eterologa». Al livello più profondo «si trovano fattori strutturalmente molto più potenti, come gli effetti recessivi e deindustrializzanti dell’euro». Effetti «visibili a tutti, e dei quali i partiti nostrani, erroneamente ritenuti sovranisti, populisti e antisistema, parlavano prima di andare al governo contemplando la possibilità di uscire dall’euro, mentre subito dopo hanno dichiarato fedeltà ad esso senza condizioni, rivelandosi non sovranisti né populisti, ma sottomessi ai gestori dell’Ue». Del resto, «quando si hanno incarichi istituzionali, certi principi e certi dati di realtà bisogna rinnegarli: così è avvenuto con Syriza in Grecia e Podemos in Spagna: si sono omologati», a differenza – secondo Della Luna – dello Ukip di Nigel Farage e del Brexit Party. Ma c’è un livello ancora più profondo, e quindi «mai o quasi mai proposto al pubblico dalla politica», dove affiorano «tematiche quali la intenzionale, dolosa pianificazione dell’uso dell’euro e dei suoi effetti nocivi per alcuni paesi a vantaggio della Germania, e l’analisi della stessa costruzione europeista come concepita per questo fine».In quel livello decisionale, inaccessibile alla politica ordinaria, «si trovano pure fatti come l’imperialismo e il neocolonialismo cinese, francese e statunitense, con il land grabbing e la rimozione dei popoli locali, come causa della marea migratoria dall’Africa verso l’Europa, della quale noi dovremmo farci carico». Si trovano inoltre temi come “l’inestinguibilità” del debito pubblico di quasi tutti i paesi, la tendenza nazionale italiana (dopo 27 anni di declino) ad almeno altri 25 anni di perdita di efficienza comparata. Ci sono «la sostituzione etnica (afro-islamizzazione) congiunta alla fuga di cervelli, capitali e imprese», nonché «gli ingravescenti effetti di una coesione nazionale mantenuta e mantenibile solo spogliando Veneto e Lombardia del loro reddito (quindi della capacità di investimento e innovazione) per integrare il reddito di una Roma e di un Meridione storicamente dimostratisi incapaci di crescere nonostante gli aiuti». A una maggior profondità, quindi a una maggior lontananza dalla “notiziabilità” popolare e dalla pubblica “dibattibilità” politica nelle istituzioni, c’è poi «il problema dei rapporti gerarchici tra le potenze (Stati, ma anche potentati bancario-finanziari)», che è «il problema delle sovranità limitate».Quanta libertà di autodeterminazione politica resta, all’Italia, “colonia” statunitense com 130 basi militari sul suo territorio? Cosa resta, di un’Italia vincolata all’Eurosistema a guida franco-tedesca, che dopo l’equivoco gialloverde torna pienamente sottomessa grazie al Conte-bis? «E’ divenuto manifesto, ma non se ne parla in Parlamento, il fatto che un paese che non controlla la propria moneta è diretto politicamente da chi gliela fornisce, cioè dai banchieri». Nel frattempo, «si è constatata la capacità di Ue, Bce e agenzie di rating di prescrivere coercitivamente (con la minaccia di impedire il finanziamento del debito pubblico) all’Italia e ad altri paesi deboli politiche e riforme socio-economiche favorevoli al grande capitale finanziario di tipo liberista, recessivo, sperequante, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione». Questo potere di ricatto manifesta «l’illusorietà dei principi fondamentali della Costituzione italiana, alla luce del reale ordinamento e funzionamento gerarchico internazionale: niente governo del popolo (democrazia) ma dei capitali; niente sovranità nazionale; niente primato del lavoro; niente perseguimento dell’eguaglianza sostanziale». Ancora: «Niente equa e dignitosa retribuzione; niente subordinazione dell’impresa privata all’interesse collettivo; niente intervento pubblico keynesiano per uscire dalla depressione e dalla disoccupazione». E quindi «mancano i presupposti per la legittimazione del potere politico delle istituzioni».Queste sono le tematiche della post-democrazia, ampiamente analizzate e illuminate da giuristi come Luciano Barra Caracciolo, da valenti sociologi come Luciano Gallino. Secondo Della Luna, al filosofo Diego Fusaro, onnipresente sui media, sarebbe «riuscita l’unica impresa rivoluzionaria del dopoguerra, ossia sfondare la muraglia di censura culturale (costruita dalla falsa sinistra) portando davanti al naso del grande pubblico la spiegazione cristallina di che cosa è e che cosa fa il sistema liberal-finanziario». Fusaro avrebbe anche smascherato «l’ipocrisia delle forze presentate e presentantisi come di sinistra o progressiste, cioè in Italia soprattutto del Pd», traditrici del socialismo (cioè della difesa dei lavoratori contro lo sfruttamento) e al servizio dell’élite bancaria. Per contro, c’è chi guarda con sospetto a Fusaro: non sarà che il suo presenzialismo mediatico in fondo è comodo, al potere, perché appare stravagante e quasi cariturale, dunque innocuo? Ma a parte il giudizio su Fusaro (positivo, per Della Luna), l’autore di “Euroschiavi” e “Cimiteuro”, “Traditori al governo”, “Sbankitalia” e “I signori della catastrofe” punta il dito contro «livelli ancora più profondi» nella ricerca delle vere cause delle nostre sciagure socio-economiche.La moneta, per esempio: domina un monopolio «privato e irresponsabile della creazione dei mezzi monetari, della loro distribuzione, della fissazione del loro ‘costo’ (tasso di interesse)». E questo monopolio abusivo grava sulla politica e sulla società, soprattutto in relazione precisi fattori. Primo: quella imposta «è una moneta indebitante, che dà luogo a un indebitamento pubblico e privato che, per ragioni matematiche, non può essere estinto e continua a crescere, anche perché il reddito da creazione monetaria non viene contabilizzato e sfugge così alla tassazione». Secondo punto: questo tipo di moneta, nel lungo termine, «grazie all’indebitamento inarrestabile sta portando tutto e tutti, come debitori insolventi, nel dominio dei monopolisti monetari, azzerando la dimensione pubblica della politica e dello Stato». E infine: scontiamo «i falsi dogmi» con cui questi monopolisti «nascondono o legittimano» il loro potere abusivo, dogmi come «quello della scarsità e costosità della moneta». Pura invenzione: la moneta è illimitata, e la sua emissione è ormai a costo zero. «Portare tali temi nel pubblico dibattito non è fattibile – scrive Della Luna – perché la gente non li capirebbe, ma soprattutto perché renderebbero manifesta l’impotenza della politica bassa, palese, e dello stesso Stato».Un dibattito del genere, oltretutto, demolirebbe «la fede popolare (e il consenso) verso la falsa narrazione economica che legittima tutte le scelte di fondo finalizzate agli interessi dell’oligarchia che le formula a suo beneficio». Della Luna ha espresso lo stesso concetto nel saggio “Oligarchia per popoli superflui”: «Le masse, come strumenti di produzione di potere e ricchezza per le oligarchie, ormai sono divenute superflui (quindi impotenti poiché prive di potere negoziale, ma anche ridondanti, eliminabili) per effetto della concentrazione globale del potere e della smaterializzazione-automazione dei processi produttivi e bellici». E ora la possibilità tecnologica di gestirli in modo zootecnico, ossia non più semplicemente attraverso leve economiche e psicologiche «ma entrando nei loro corpi, nel loro Dna, e modificandoli biologicamente e geneticamente, soprattutto attraverso una manipolazione attuata per via legislativa (somministrazione forzata a generazioni di bambini di sostanze dagli effetti non chiari e non garantiti), avvia la decostruzione ontologica dell’essere umano, della specie homo, e la sua completa riduzione a strumento, merce, cosa illimitatamente formattabile, disponibile, fungibile». “Tecnoschiavi”, appunto: e senza scampo, almeno secondo Della Luna.Mentre gli animi si infuocano sulle manovre politiche in corso per il nuovo governo, definito da alcuni “dei cialtroni voltagabbana al servizio dello straniero”, Marco Della Luna passa oltre: «Rispetto alla politica alta e segreta, che pianifica e decide a porte chiuse, tacendo gli obiettivi che persegue, tutta quest’altra politica bassa, palese, narrata e recitata al grande pubblico, consiste solo di riflessi, conseguenze e di atti esecutivi della politica vera, con minimi margini di libertà». La politica visibile, in altre parole, conta pochissimo: «I politici bassi, dediti a tatticismi, spartizioni e obiettivi ristretti, presentano questi come se fossero fondamentali e decisivi, così come i loro programmi elettorali e i loro provvedimenti esecutivi o legislativi, ma non lo sono». Ultimamente, il bipolarismo popolo-élite ha sostituito quello precedente, tra destra e sinistra. «Ma lo hanno presentato in modo illusorio, come cioè se tale struttura fosse un’anomalia correggibile, e non una costante universale ineluttabile, connaturata all’organizzarsi stesso della società». La politica palese, riflessa nel teatrino dei media mainstream, «dibatte di millesimi in più o in meno che si possono fare di deficit sul Pil», grazie a cui «ricollocare altri millesimi tra sanità, pensioni, investimenti, sgravi o aggravi fiscali per lavoratori o imprese». Briciole, in realtà.
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Grillo decisivo: dalla “rivoluzione” alla palude giallorossa
Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.Eminente dietrologo, autore del saggio “Massoni” in cui smaschera i maggiori protagonisti della politica italiana rivelandone l’identità supermassonica (l’affiliazione alle superlogge internazionali), Magaldi inforca gli occhiali della politologia per rivendicare giustizia per i 5 Stelle: solo la “discesa in campo” di Grillo – sostiene, in video-chat su YouTube – ha reso fluido il panorama politico italiano, prima ingessato nel finto scontro tra centrodestra e centrosinistra. Due forze che hanno paralizzato per decenni qualsiasi riforma progressista, sottoponendo entrambe il paese alla ricetta imposta dal neoliberismo imperante, somministrato agli europei (sotto forma di austerity) attraverso la tecnocrazia di Bruxelles. Taglio dei deficit, aumento delle tasse, privatizzazioni e precarizzazione del lavoro. Vero obiettivo, fissato dall’élite neo-oligarchica della massoneria reazionaria: impedire allo Stato di continuare a produrre benessere diffuso. Il sociologo Luciano Gallino la chiamò “lotta di classe alla rovescia”, sintetizzando: è stata un’operazione storica, che ha drenato risorse dal basso verso l’alto, grazie alla finanziarizzazione globalizzata dell’economia che ha impoverito la classe media, erodendo i risparmi e costringendo i giovani alla disoccupazione o alla precarietà di lavoretti iper-flessibili e sottopagati. Risultato automatico: il boom dei grillini e ora della Lega.E’ stato proprio Grillo, ricorda Magaldi, a terremotare la palude italiana: senza di lui, staremmo ancora a parlare (in modo sempre più surreale) di destra e sinistra. Terminologie sepolte dalla storia e dall’attualità, oggi tornate in voga in modo abusivo: il nuovo ministro dell’economia Roberto Gualtieri, in quota alla componente teoricamente “di sinistra” del governo “giallorosso”, in realtà «viene dai bassi ranghi della cucina neoliberista e neoaristocratica europea», vale a dire «la destra economica più reazionaria». Non a caso, Gualtieri fu addirittura «applaudito da Christine Lagarde», la lady di ferro del Fmi che mise in ginocchio il popolo greco, costringenolo alla fame. Per contro, tra le fila della Lega spiccano gli unici economisti virtualmente “di sinistra” sulla scena politica, come i keynesiani Alberto Bagnai (Senato) e Antonio Maria Rinaldi (Parlamento Europeo). Meglio rottamarla, la dicotomia destra-sinistra, se serve solo a imbrogliare le carte. E il primo a farlo – ricorda sempre Magaldi – fu proprio Beppe Grillo, dieci anni fa, con il movimento creato insieme a Gianroberto Casaleggio. Lo stesso Magaldi, peraltro, non ha mai fatto sconti ai grillini, colpevoli di troppe confusionarie incongruenze e qualche imperdonabile ipocrisia. Per esempio, quella sulla massoneria: demonizzata in pubblico ma frequentata sottobanco.«Era massone, Gianroberto Casaleggio», dice Magaldi: «E fu lui stesso a dirmi che non intendeva rivelarlo». Il figlio, Davide, lo ha smentito a mezzo stampa: «Mio padre non è mai stato massone». Casaleggio junior, però, si è sottratto all’invito di Magaldi: «Partecipi con me a un incontro pubblico: gli spiegherò quando e come suo padre fu iniziato massone, e perché non voleva che si sapesse». Da Casaleggio a Di Maio, il passo è breve: «In modo ipocrita e anche incostituzionale, i 5 Stelle hanno vietato ufficialmente ai massoni l’accesso al Movimento e all’area gialloverde, pur sapendo che il primo governo Conte era imbottito di massoni, da Tria a Moavero, per non parlare dei sottosegretari». Primo: discriminare qualcuno per la sua appartenenza è contrario alla Costituzione. Secondo: era massone Meuccio Ruini, coordinatore della Costituente. «Niente di strano: se l’Italia fosse meno ipocrita, ammetterebbe che la stessa democrazia – libertà, diritti, suffragio universale – è una conquista storica della massoneria». Ma a parte i grembiulini, a sconcertare è stato il vuoto politico dei 5 Stelle. Ai tanti proclami non è mai seguito quasi nulla. In un solo anno, i grillini al governo hanno disatteso tutte le loro promesse: elettori traditi sull’obbligo vaccinale, sul Muos e gli F-35, sulle trivelle in Adriatico, sull’Ilva di Taranto, sul gasdotto Tap, e infine anche sul Tav Torino-Lione. Politica alternativa? Non pervenuta. Mai una parola chiara sul paradigma economico da adottare. Un caso?A proposito di gatekeeping: già nel 2016, Grillo tentò in modo tragicomico di traslocare il gruppo europarlamentare, lasciando l’Ukip populista di Farage per gli ultra-euristi dell’Alde. E questo, dopo aver agitato lo spettro di un referendum sull’euro. Almeno a parole, la Lega lo ha affrontato davvero, il problema-Bruxelles (i grillini, mai). Era stato Salvini, infatti, a candidare all’economia Paolo Savona: già ministro con Ciampi – e non a caso temuto da Draghi e Juncker – Savona avrebbe avuto l’autorevolezza necessaria a rinegoziare condizioni favorevoli all’Italia. Azzoppato sul nascere, il governo gialloverde si è ridotto alla misera elemosina del “reddito di cittadinanza” trasformato in un’amara beffa, mentre solo la Lega (con le pensioni facilitate da Quota 100) ha messo mano, davvero, all’economia delle famiglie. La Flat Tax? Sabotata con le dimissioni forzate del suo ideatore, Armando Siri, e poi insabbiata da Tria e da Conte insieme all’altro escamotage leghista per aggirare l’euro-rigore, cioè l’introduzione di moneta parallela (“minibiot”, crediti fiscali scambiabili). Dai grillini, nessuna vera battaglia. Ma peggio: i 5 Stelle hanno gatto harariki facendo eleggere la tedesca Ursula von der Leyen, candidata della Merkel, alla Commissione Europea: un ceffone plateale, rifilato a Salvini (e agli italiani).Checché ne pensi Bordin, che evoca il possibile giallo politico sul figlio di Grillo, non stupisce più di tanto il voltafaccia del Beppe nazionale, che ora ha costretto Di Maio a ingoiare Renzi e accettare Conte come nuovo “leader di fatto”, perfetto supplente per la smarrita scolaresca grillina, terrorizzata all’idea di perdere la poltrona in caso di elezioni anticipate. Nemmeno Salvini, peraltro, sarebbe sufficiente a cambiare le regole del gioco. A differenza della maggioranza degli osservatori, Magaldi sostiene comunque che il leader della Lega abbia scelto accuratamente di rompere, consapevole del fatto che, viceversa, sarebbe finito in trappola: la nuova finanziaria lo avrebbe costretto a deludere gli elettori, grazie all’azione frenante esercitata da Conte su ordine dei poteri eurocratici anche attraverso i consueti terminali italiani, dal Quirinale a Bankitalia. Ci si sono messi anche i giornali, che hanno gonfiato la barzelletta del Russiagate, polpetta avvelenata cucinata da servizi segreti (di quelli italiani la delega è rimasta a Conte, non al ministro dell’interno). Ma neppure i magistrati hanno scherzato: quelli siciliani hanno accusato Salvini di “sequestro di persona” per aver impedito lo sbarco di migranti (che in realtà erano liberi di andarsene altrove). E quelli di Genova hanno condannato la Lega a versare 49 milioni di euro allo Stato: il conto esorbitante di un ammanco presunto, solo teorico, calcolato in base ai rimborsi elettorali pluriennali, e non legato alla cifra contestata a Bossi (inferiore al milione di euro) quando Salvini era solo consigliere comunale a Milano. Messaggio chiarissimo: tagliare i fondi a un partito, impedendogli materialmente di fare politica, significa privare gli elettori di precisi diritti democratici. Evidente il fine: sbarazzarsi di Salvini, con ogni mezzo. Magari il più classico: la congiura di palazzo all’italiana, attingendo all’endemico trasformismo parlamentare, alla faccia degli elettori.Attenzione: Salvini non ha subito gli eventi. Secondo Magaldi, al contario, li ha calcolati con precisione e tempismo. Se ha tardato tanto a staccare la spina (Giorgetti premeva per la rottura già alle europee) è stato per lasciare pochissimo tempo all’inciucio, di fronte allo spettro dell’aumento dell’Iva nel caso saltasse la finanziaria: se avessero voluto davvero evitare le elezioni, o almeno un super-rimpasto (cacciando Conte e Tria) i “traditori” avrebbero dovuto ribaltare la loro posizione dalla sera alla mattina, di fronte agli italiani – come infatti è avvenuto. Risultato: lo sconcio è visibile dalla Luna. E questo pone Salvini (non vittima, ma regista dell’operazione) in una posizione privilegiata: potrà demolire ogni giorno gli eroi del Conte-bis, preparandosi all’incasso. Non senza prima “aver studiato”, aggiunge Magaldi: Salvini sa benissimo che la sua Lega – già profondamente migliorata, rispetto al Carroccio nordista di Bossi – non è ancora adeguata alla guida del paese. Per molti aspetti è assai meglio della concorrenza, ma non basta: occorre crescere ancora in senso keynesiano, per sfidare la Disunione Europea – non con l’arma spuntata del sovranismo, opportunistico e miope, ma chiedendo a Bruxelles una Costituzione democratica capace di restituire vera sovranità ai cittadini europei.Senza riscrivere i trattati non si va da nessuna parte: il Conte di turno non potrà che replicare gli inchini di Letta, Renzi e Gentiloni, sperando solo nelle briciole (come quelle che ora probabilmente saranno elargite, assolutamente insufficienti a rilanciare l’economia italiana). Primo passo: chiedere di stralciare dal bilancio le misure salva-Italia. E cioè: taglio del cuneo fiscale per le aziende, abbattimento delle tasse per tutti, investimenti produttivi e rigenerazione delle infrastrutture strategiche. Temi su cui insiste il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi, tra i padri del cantiere politico del “Partito che serve all’Italia”. Obiettivo: rianimare la prospettiva progressista, resuscitando la democrazia sostanziale. «Non serve creare l’ennesimo partitino autoreferenziale», chiarisce Magaldi: occorre un partito di massa, capace di cavalcare «le praterie che si sono aperte». Alle europee un elettore su tre ha votato Lega, ma quasi metà degli aventi diritto ha disertato le urne: italiani nauseati dal Pd, delusi dai 5 Stelle, non convinti da Salvini. Magaldi appare fiducioso: presto o tardi, sembra dire, la verità risulterà evidente anche ai più sprovveduti. E chi ancora dorme sarà svegliato dalle “meraviglie” del Conte-bis, condannato in partenza a obbedire ai diktat di chi ha messo l’Italia nei guai. Con buona pace dei grillini, che hanno sconcertato il loro elettorato. Oggi risalirebbero nei sondaggi manistream? Strano: alle ultime regionali sono letteralmente scomparsi. E ora il voto in Umbria e in Emilia dirà cosa resta, davvero, del grande bluff pentastellato.08:37 11/09/2019Vuoi vedere che c’è un nesso tra il voltafaccia di Grillo, improvvisamente innamoratosi del “partito di Bibbiano e della Boschi”, e le indagini su suo figlio Ciro, indiziato per stupro, emerse solo dopo l’accordo per il Conte-bis anche se i fatti risalirebbero a luglio? L’ipotesi è maliziosamente ventilata su “Micidial” da Massimo Bordin, vicino all’elettorato dei 5 Stelle: chi votò Di Maio nel 2018 lo fece «perché contrario alla politica del governo precedente, guidato da un partito – il Pd – a torto o a ragione considerato la quintessenza del “sistema”». Come accettare che ora il M5S vada a braccetto con Renzi? Voltagabbana, d’accordo: ma non è che li hanno minacciati? Suona perlomeno sospetto, sostiene Bordin, il perfetto sicronismo tra le rotture simmetriche di Salvini e Grillo per staccare la spina al governo gialloverde. Alla richiesta di Salvini (elezioni anticipate), Grillo ha risposto a stretto giro di posta, sdoganando improvvisamente il Pd. Ma a parte le dietrologie di Bordin, dichiaratamente sopra le righe («questo pezzo è ironico e vietato ai cretini: dunque non leggetelo, se non avete senso dell’umorismo») c’è chi pensa che il M5S non sia mai stato altro, fin dall’inizio, che un semplice contenitore di dissenso, per dirottare la rabbia popolare verso esiti innocui. Solo gatekeeping per elettori ingenui? Non la pensa così Gioele Magaldi: senza i 5 Stelle, dice, la politica italiana sarebbe ancora congelata nel vecchio freezer.
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Sovragestione buia: Epstein sacrificato in nome della Rosa
La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.Dare in pasto al popolino in astinenza da rogo un singolo caso di un presunto colpevole, talvolta innocente, come fu in piccolo per il caso di Kevin Spacey, oppure, di un vero colpevole, in modo da fare distrazione di massa. La cosa importante è spostare i bersagli e l’attenzione in modo da non far percepire l’elefante in salotto, continuando ad aggiornare questo secolare sistema criminale, con il suo annesso mercato, mentre si fa credere alla massa dei sudditi che si combatte strenuamente il problema, che sia in corso addirittura una rivoluzione dei “buoni”, che interverrà la giustizia divina e sanerà tutto. E’ lo stesso semplice e basico meccanismo che avviene quando si fanno le guerre ai vertici delle mafie, che a loro volta fanno le loro guerre interne per il controllo del narcotraffico, facendo credere che si stia operando per il bene della comunità, quando invece si sacrifica il superfluo (morto un Papa…). Alcuni reparti dei servizi segreti, attigui soprattutto a una certa ala conservatrice americana, trasversale partiticamente, quelli che appunto gestiscono storicamente il narcotraffico, i colpi di Stato, il mercato di minori e la pedofilia, si sono inventati il vendicatore Q, fantomatico vendicatore degli oppressi che, curiosamente, colpisce solo una certa parte politica e determinati ambienti, salvandone altri.Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere, e la gente ci crede; una parte della controinformazione si affida a questo nuovo Zorro digitale 2.0, un po’ come nel film “V x Vendetta”, credendo di essere riscattata dall’oppressione dell’élite; invece, questo rappresenta il punto massimo della manipolazione che si presenta al grande pubblico con la maschera dei buoni. Epstein, il miliardario pedofilo arrestato e ucciso in carcere dallo stesso sistema di cui in piccolo faceva parte, come monito e ricatto a tutti gli altri attori coinvolti riguardo a cosa potrebbe succedere se qualcuno si esponesse malamente o rischiasse di svuotare il sacco per crisi di coscienza od opportunità, rientra in questo gioco. Sacrificato per evitare che altri parlino, ucciso perché non si sappia cosa c’è oltre al suo specifico caso giudiziario, per evitare che si vada oltre e si comprenda la vera natura sacrificale ed infernale della nostra realtà. Nessuna giustizia è stata fatta, anzi, il sistema si è parato il culo e ha fatto credere si trattasse della solita mela marcia da dare in pasto ai media e agli indignati di ogni dove, affinché le persone ingenuamente pensassero che l’autorità, lo status quo, li difende come un buon padre di famiglia è solito fare, rimuovendo, come nella sindrome di Stoccolma, il vero padre padrone pedofilo.Cambiare tutto per non cambiare nulla: Trump prova a colpire il Deep State per proteggersi dagli attacchi dei nemici e dal “fuoco amico”, c’è una guerra in atto fatta a suon di scandali sessuali; ma lo stesso Stato Parallelo lo controlla, nel senso che si aspetta proprio questo dal suo operato, essendo in qualche modo un suo prodotto o sottoprodotto. Il presidente Usa, essendo da sempre uomo di quel sistema, conoscendolo ed avendolo frequentato assiduamente in passato, ha piazzato trappole e uomini chiave in molte stanze dei bottoni, per salvarsi e difendersi dalle minacce di morte che riguardano la sua persona e anche i suoi figli. A sua volta, però, Trump è stato costretto, “convinto”, a scendere in campo, come successe in piccolo in Italia per Berlusconi, proprio perché è un prodotto di questo sistema, restituendo in questo modo favori all’entità, che sono stati parte della sua fortuna imprenditoriale. Tutti gli attori sono coinvolti loro malgrado nella stessa sceneggiatura; anche se talvolta se lo scordano o fingono di non saperlo, sono manipolabili dallo stesso network di potere.Esiste una sovrastruttura che attende in silenzio si “faccia un po’ di apparente pulizia”, tramite araldi come Trump, tramite inchieste come quella contro Epstein e altri personaggi, per aggiornare il sistema. Un po’ come per Mani Pulite, lo schema è identico; i giudici furono occultamente protetti e spinti nella loro opera di destrutturazione della 1° Repubblica dai servizi Usa, utilizzati come cavalli di Troia, strumentalmente per poter aggiornare il nostro sistema in termini più liberisti, creando i presupposti di una nuova Italia che rispondesse maggiormente ai bisogni della globalizzazione in atto. Una sovragestione “permette” si colpiscano alcuni attori, alcune comparse, alcuni più noti (per rendere credibile l’operazione), altri meno, 4 mosche in croce in una palude immensa di insetti, per cambiare alcuni vertici nelle posizioni chiave dello Stato Parallelo, per spostare in termini reazionari e sempre più antidemocratici il sistema e magari giustificare nuovi Patriot Act, leggi liberticide, implementare lo stato marziale, ove questo ancora non ci fosse.Tre sono i livelli di potere in campo. 1- Il primo livello è quello del backstage di certi poteri massonici che hanno favorito strumentalmente l’ascesa di Trump, proprio per cercare di produrre discontinuità positiva e costruttiva nel sistema, in modo da poter impostare in futuro nuove politiche keynesiane che ribaltino l’attuale paradigma neocon, ma che rischiano di aver creato un mostro che si ribella al proprio creatore e che potrebbe favorire, direttamente o indirettamente, la fazione dei poteri forti avversari. Una trappola rischiosa che, a mio avviso, si sta rivelando una fregatura. 2- Il secondo livello è quello che riguarda il Deep State, quello che controlla il traffico di bambini, la vendita illegale di organi, si occupa della gestione e delle controversie riguardo la guerra per il controllo del narcotraffico, produce conflitti e colpi di Stato, invisibili e meno invisibili, nel terzo mondo, e di cui spesso ignoriamo l’esistenza, con i relativi indotti bellici, ma anche come agenzia criminale di omicidi mediatici, politici, rituali; una sovragestione assolutamente apolitica, anche se, nel metodo, conservatrice e reazionaria.3- Infine, esiste un terzo livello che riguarda la sovragestione complessiva che “contiene” tutte le fazioni in campo e le guerre fratricide interne in atto, che permette possa accadere qualcosa, per poi raccoglierne i frutti. Questo processo occulto e magico servirà a favorire una trasformazione più dispotica e distopica dell’intera globalizzazione, colpendo il cuore delle democrazie mondiali, facendola accettare alla popolazione, attraverso i vari capri espiatori o pesci piccoli sbattuti in prima pagina, veicolandosi sistema buono e saggio dalla parte della gente. I social giocano un ruolo importante, ovvero: far credere ci sia un vero cambiamento, per far accettare nuove visioni totalitarie e incanalare il pensiero e la psicologia di massa verso altri lidi. L’avallo politico, energetico e religioso dei sudditi è fondamentale per la riuscita del progetto. L’accettazione dal basso di certe dinamiche è di primaria importanza. Ogni attore in campo lavora per il suo livello di appartenenza, spesso non conosce e non ha interesse a comprendere il progetto e la sua visione complessiva.Il 3° livello, che oltre ad essere incarnato da uomini, è anche un modello astratto e concettuale, potrebbe coincidere con tutto ciò che incarna lo schema del potere attuale e che, a mio modesto avviso, sta ben sopra le massonerie, le Ur-logge, le Corporation, l’apparato militare, i servizi segreti e ovviamente la politica, che conta poco più di zero. Vive come “idea del potere”, questa è la sua linfa vitale. Anche all’interno di questo livello di potere “arcontico” esistono scissioni dell’atomo infinite e contrapposizioni fratricide, perché esse fanno parte della natura di tutti gli esseri viventi. Questo permettere di scorgere gli scheletri nei vari armadi, di capire le contraddizioni e le dinamiche del potere al suo interno, e ci consente di sopravvivere in questo inferno. Quando non sarà più così, se un giorno mai ci sarà solo un grande vecchio al timone dell’arca – e la visione generale del progetto tende proprio a questo modello unico – saremo in pieno transumanesimo realizzato e potremo candidamente implodere. “Snowpiercer”, capolavoro del sud-coreano Bong Joon-ho, è un film che parla in termini metaforici di come la testa del serpente caldeggi e prepari il terreno per colui che lo sostituirà; con la sua morte favorirà una rinascita, nuova vita e nuova linfa allo schema del potere: quello che, in altri termini, chiamo “aggiornamento di sistema”.(“Epstein sacrificato in nome della Rosa”, post pubblicato il 29 agosto 2019 dal blog “Maestro di Dietrologia”, curato da Simone Galgano).La Rosa, l’entità, ma se vogliamo chiamarla diversamente, la sovragestione, conosce la psicologia di massa, sa come produrre casi giudiziari per celebrarsi, potenziarsi, aggiornarsi, difendersi, ed anche questa volta è riuscita nei suoi intenti. Ha volutamente abbandonato il miliardario Epstein al suo destino, favorendo il suo arresto, eliminando le sue protezioni politiche e altolocate, distogliendo l’attenzione dal vero mercato pedofilo, strutturato su base nazionale e internazionale, e infine ammonendo i suoi epigoni ricattabili, in questo caso solo di una parte politica. Due piccioni con una fava, anzi, tre piccioni, se ci mettiamo anche parte dell’opinione pubblica, che poi diventerà succube di questo marketing dell’orrore giustizialista, e sarà ovviamente incanalata politicamente verso chi saprà sfruttare la giusta propaganda del momento. Il potere pedofilo usa i social per veicolarsi giustiziere. Mentre il grande traffico criminale di bambini, il traffico di organi, di “snuff movie”, le reti statali e private che gestiscono il mercato della pedofilia si espandono a dismisura, qualcuno dall’alto ha capito come salvare l’albero secolare, sacrificando un piccolo ramoscello, con l’ausilio dei media.
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Sisci: prima la Brexit, il nostro futuro si deciderà a Londra
Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è eplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.Comunque, spiega Sisci, alla Brexit si è arrivati per errore: David Cameron voleva solo rinegoziare, con Bruxelles, per trasformare il Regno Unito in un ponte europeo tra Usa e Cina. E come sappiamo, non ci è riuscito. La minaccia della Brexit, ricorda l’analista, è stata un’idea di Cameron per strappare più concessioni dall’Ue nel 2016. «Il piano di Cameron non era quello di uscire dall’Ue, ma di mostrare la consistenza, che si supponeva ingente ma non maggioritaria, dei pro-Brexit. Il referendum sarebbe fallito con un piccolo margine, e questo avrebbe dato a Cameron la possibilità di negoziare con Bruxelles da una posizione rafforzata». Un azzardo pericoloso, come si è visto. Ma perché rischiare? Qual era l’obiettivo? «Dietro c’era un altro piano, ammirevole per la sua ambizione e visione: trasformare la Gran Bretagna nel prossimo crocevia di scambi tra Stati Uniti, Ue e Cina. Per realizzarlo – spiega Sisci – Cameron aveva bisogno di ottenere più diritti speciali dall’Ue. Il Regno Unito avrebbe fatto da facilitatore su ogni lato del triangolo». Invece, il referendum del 23 giugno 2016 ha cambiato tutto.«Il piano è fallito miseramente, e non solo per il referendum. Un altro lato del triangolo è franato: i legami Usa-Cina stavano peggiorando. Nel 2016, l’America stava diventando molto nervosa con la Cina su questioni commerciali, ma anche strategiche e di diritti umani, e Donald Trump è arrivato al potere alla fine del 2016 giurando di rinegoziare il commercio con Pechino». Ma senza un risultato positivo sulla Brexit, riassume Tedesco sul “Sussidiario”, Londra non aveva più un ruolo speciale per discutere migliori accordi tra Cina, Ue e Stati Uniti. «L’ambizioso piano britannico aveva bisogno di rapporti scorrevoli su ogni lato dell’architettura di comunicazioni economico-commerciali tra Regno Unito, Ue, Stati Uniti e Cina», conferma Sisci. E quei rapporti «si erano ormai incrinati su più lati». Da quel momento in poi, continua l’analista, «la Gran Bretagna ha proseguito il suo progetto per uscire dall’Ue, ma senza un piano chiaro». E cioè: «Senza sapere molto bene cosa avrebbe ottenuto, lasciando l’Unione». Era tuttavia molto chiaro ciò che il Regno Unito, lasciando l’Ue, avrebbe perduto. E questo dilemma «ha provocato l’attuale, profonda spaccatura nella politica britannica».Molti parlamentari inglesi oggi «vorrebbero trovare un modo per uscire dal pasticcio, evitare la Brexit vera senza perdere troppo la faccia», aggiunge Sisci. «Johnson, evidentemente, lo percepisce e lo sa, e sente che l’unico modo per arrivare alla Brexit è aggirare il Parlamento». Ci riuscirà? «Non lo sappiamo. Ma questa decisione è un duro doppio colpo per l’architettura politica del Regno Unito e dell’Unione Europea». I due sistemi come accuseranno la botta? E cosa farà il resto del mondo? Finora è rimasto sconvolto davanti al duello commerciale tra Cina e Stati Uniti. In che modo il dramma britannico interferirà con esso? Alla luce di tiutto questo, continua Sisci, «si capisce bene perché gli Stati Uniti e l’Ue hanno visto con preoccupazione l’attuale crisi politica italiana, che stava conducendo il paese a caotiche elezioni anticipate: preferirebbero che l’Italia si stabilizzasse con una certa parvenza di governo, come lo è il nuovo governo di coalizione possibile tra M5S e Pd». Insomma, l’ultima cosa che gli Stati Uniti e l’Unione Europea volevano, mentre si trovavano di fronte al dramma britannico, era «impantanarsi in un incomprensibile complotto italiano con riverberi europei e globali», anche se Salvini rappresentava pur sempre, almeno virtualmente, una spina nel fianco del sistema di potere oligarchico che si ripara dietro l’Ue, imponendo il massimo rigore a paesi come l’Italia. E ora?«Sicuramente – ragiona Sisci – anche un euroscettico americano vede che la leadership franco-tedesca in Europa sarebbe rafforzata dall’uscita frenetica e indisciplinata della Gran Bretagna dall’Ue, e ciò rappresenterebbe un forte freno contro qualsiasi paese dell’Unione che aspettasse il momento giusto per lasciarla». In passato, gli Usa «sostenevano la Brexit per indebolire la Ue», e questo «è comprensibile», ma il caos britannico di questi giorni «nei fatti rafforza l’Unione», e ciò «pone gli Usa davanti a un bivio». Ovvero: «Se gli Stati Uniti guidassero una qualche forma di riconciliazione tra Regno Unito e Ue, Washington dimostrerebbe a Bruxelles che ancora una volta l’Unione Europea ha bisogno dell’America e che gli europei da soli non sanno badare a se stessi». Per Sisci, «potrebbe essere un’occasione d’oro per Trump di riscattare un importante punto d’appoggio politico in Europa». E se invece gli Stati Uniti sosterranno la Hard Brexit, che oggi forse è una posizione minoritaria nel Regno Unito? Una simile scelta «potrebbe minare ulteriormente il ruolo americano nel vecchio continente». E questo, avverte Sisci, «a sua volta potrebbe avere conseguenze enormi anche con la Cina, poiché Pechino potrebbe vedere una debolezza degli Stati Uniti in Europa e forse trarne vantaggio». Dopotutto, la “Belt and Road Initiative” termina in Europa.E in questo contesto terremotato, che potrebbe accrescere l’egemonia Usa sull’Europa, che fine farà l’Italia? «Con i suoi intrighi incomprensibili», il Belpaese «non deve rompere le scatole». E’ meglio che si rassegni a «fare la legge di bilancio». Poi «se ne riparla a fine anno o all’inizio del 2020, quando la questione Brexit si sarà chiarita». Il tweet di Trump come endorsement a Conte? «E’ chiaro che c’è un interesse americano e franco-tedesco a non avere i pasticci italiani fra i piedi», afferma Sisci, secondo cui non c’è un vero sostegno per Conte. Semmai c’è una debolezza di Salvini, «che non si è reso conto di come certe sue azioni e agende “sovraniste” andassero contro interessi molto generali, in Europa e oltre Atlantico». In questa fase, aggiunge l’analista, gli Stati Uniti e l’Ue vedono Pd e 5 Stelle come l’ultimo dei problemi: «In questo momento, il mondo non vuole dall’Italia controversie incomprensibili». Se però il Pd rappresenta il vecchio establishment europeista, anti-italiano e dunque “affidabile” per i dominatori di Bruxelles, la stampa internazionale appare molto confusa sui 5 Stelle: «È concorde solo nel vederne la debolezza intellettuale e progettuale». E comunque, attenzione: «Ricordiamoci che l’obiettivo era non avere elezioni e una crisi politica italiana in coincidenza con la Hard Brexit».Il vero destino dell’Italia si deciderà a Londra, quando si capirà se funzionerà o meno la Hard Brexit di Boris Johnson, che intanto ha chiuso il Parlamento britannico per cinque settimane. Prima di allora, sostiene il sinologo Francesco Sisci, sarà arduo leggere il futuro politico italiano: Usa, Europa e Cina vogliono prima sapere come si metteranno le cose, tra il Regno Unito e Bruxelles. Finora, se si eccettuano le interferenze di Macron e le voci di un allentamento europeo dei vincoli di bilancio, l’impatto della politica estera sulla crisi italiana si è limitata al tweet di Donald Trump a sostegno di Giuseppe Conte, mentre Steve Bannon si è affrettato a dire che Trump non appoggerà mai il governo M5S-Pd. In realtà, sostiene Sisci, intervistato da Marco Tedesco sul “Sussidiario”, l’Italia è la variabile di una partita molto più grande, che riguarda i rapporti tra Stati Uniti ed Europa. E a decidere il risultato saranno le sorti della Brexit, dice Sisci, editorialista di “Asia Times”. Da qui dunque occorre partire. Il “no deal”, l’uscita della Gran Bretagna senza nessun accordo con l’Ue, «significa che la Hard Brexit può effettivamente essere il tentativo di una minoranza di imporre le proprie convinzioni alla maggioranza». Non a caso, è esplosa la protesta degli inglesi per la chiusura delle Camere.
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Giulietto Chiesa: incombe una rivoluzione, come attuarla?
Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.Quindi il primo compito, per chi ragiona come me, è quello di individuarli, censirli, convincerli a camminare insieme: perché solo in questo modo si potrà creare una massa critica sufficiente a rovesciare il corso delle cose. Queste donne e uomini ci sono; non sono numerosissimi, ma ci sono. Sono in gran parte isolati e fuori dalla politica (e sono tali proprio perché la politica attuale li esclude e li isola, temendoli). Il fatto più serio, tuttavia, è che non c’è ormai quasi nulla che possa unirli. Non c’è una visione comune della crisi epocale in cui viviamo. Che non è “italiana”, né “europea” soltanto. È mondiale, è globale, è universale. Per essere compresa richiede nuovi paradigmi, visto che quelli vecchi sono ormai inutilizzabili. Il mondo brucia e il tempo stringe. Dunque quello che manca è una comune interpretazione della crisi, che è crisi dell’Uomo e della sua collocazione nell’Universo. È questo quello che manca e che, a mio avviso dev’essere costruito. Non ri-costruito, ma proprio costruito. Senza questo passaggio non ci può essere alcun movimento o partito capace di avviare la trasformazione. Si resterà divisi, ciascuno a contemplare il proprio tassello di sapere. Che, in quanto tale, sarà inutile.È una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla. Altrimenti essa non sarà certamente guidata dall’Uomo, perché sarà immensamente più vasta e potente di lui. All’uomo resterà il compito di comprenderla, se ne sarà capace, e di adattarvisi, se vuole sopravvivere. Ecco perché ci vuole adesso molta pazienza e umiltà, per cominciare a costruire quello che manca. La politica farà il suo corso miope e superficiale, ma non potrà affrontare quello che incombe. Ecco perché non credo alla fretta, alle fughe in avanti, alle speranze senza fondamento, a una palingenesi rapida e indolore. Penso che l’impatto con forze enormi, che l’Uomo ha evocato irresponsabilmente, provocherà dolori immensi e aiuterà a temprare gli spiriti molli che questa società umana ha lasciato putrefare. Il che significa rimboccarsi le maniche e mettere ordine nelle nostre idee, prima di tutto. Solo dall’ordine, dalla saggezza e dalla solidarietà tra sapienti e popolo può venire il riscatto.(Giulietto Chiesa, estratto del post “E’ una rivoluzione quella che incombe. Senza una teoria, non sarà possibile compierla”, pubblicato su “Megachip” il 1° settembre 2019. Il testo integrale, in risposta a una lettera di Enrico Sanna, si apre con una citazione biblica dal Libro dei Re: “Concedi al tuo servo un cuore prudente, capace di giudicare il tuo popolo innumerevole e discernere il bene dal male”).Da tempo ho capito che quello che si sogna è quello che si spera, ma che in politica non si deve sognare. Siamo di fronte a un popolo confuso e inquieto, da troppo tempo sballottato e insultato, che ha perduto anche le sue speranze. Un popolo che non ha gli strumenti per capire, senza guida. Nemmeno quella della propria coscienza, perché anche la sua coscienza è stata corrotta. Perché – come ha scritto Antonio Scurati nel suo davvero memorabile “M” – sono troppi i nostri contemporanei ad essere «sopraffatti da un’esistenza che non capiscono». Dunque occorre prudenza per giudicare un popolo, grande di numero, e per proporsi di aiutarlo a discernere il bene dal male. È vero, verissimo, che non c’è una guida, un partito, un movimento che lo guidi e lo difenda, questo nostro popolo. Ma la constatazione porta con sé la domanda: come si fa a creare questa guida? E l’altra domanda: è ancora possibile? Questo è il punto. La mia risposta, personale, è che sia ancora possibile. Ma richiede quella che Antonio Gramsci individuava come una necessità imprescindibile: una profonda «riforma intellettuale e morale» del nostro paese. È un compito da far tremare le vene ai polsi, perché richiede uomini nuovi, intrepidi, competenti e saggi, che non vedo all’orizzonte.
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Menti raffinatissime: i poteri a cui Grillo ora svende l’Italia
“Fare la storia, cambiare l’Italia: occasione irripetibile”. Ogni volta che parte la supercazzola di Beppe Grillo, ci siamo: sta per succedere qualcosa di orrendo. Il segnale: basta che il padrone del Movimento 5 Stelle si metta a parlare come un rivoluzionario dei cartoni animati. Caricatura di se stesso solo in apparenza, l’infido Grillo: è il servitore decisivo del potere europeo, l’unico capace di ripristinare la totale sottomissione del Belpaese. Dopo l’ambigua e velleitaria sbornia gialloverde, che aveva illuso la Lega (e gli italiani) che le regole potessero davvero cambiare, è intervenuto l’uomo del Britannia: è stato l’ex comico a dare il via libera alla “soluzione finale”. Senza il suo intervento padronale, i valletti grillini – pur traumatizzati dall’incubo delle elezioni anticipate – non ce l’avrebbero fatta, a calare le brache fino al punto di arrendersi all’odiato Matteo Renzi, decretando in questo modo la morte politica del Movimento 5 Stelle. L’indecorosa trattativa è stata affidata a manovali recalcitranti come Di Maio e Zingaretti, che hanno finto di prendere sul serio l’imbarazzante prestanome Giuseppe Conte. Ma è evidente che a decidere è stato il Giglio Magico, che ha colto al volo l’assist – decisivo – del Mago di Genova.
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Dietro al gesuita Conte, il clan occulto che gestiva Andreotti
E’ stato dato l’incarico di governo a Giuseppe Conte, il professore. Ma chi è Conte? La situazione è complessa ma, per capirla, forse basta capire chi è Conte. I giornali non lo dicono. Si sa solo che, un giorno, il signor Bonafede (poi diventato ministro della giustizia) ha detto: io conosco un professore tanto carino, tanto bravo; perché non gli facciamo fare il presidente del Consiglio? E tutti han detto: ma sì, facciamoglielo fare. Ma chi ci crede, a questa favola per bambini? Quanti professori bravi avete conosciuto? Li avete presentati e gli hanno fatto fare il presidente del Consiglio? Non è così, chiaramente, anche perché poi questo Signor Nessuno ha dimostrato che a livello internazionale tutti gli davano retta. Tutti ne parlano bene, adesso vogliono fargli rifare il presidente del Consiglio. E intanto ha preso delle decisioni autonome – alla faccia dei 5 Stelle e della Lega – basandosi sul suo potere. Che significa? Che probabilmente rappresenta un grande potere, anziché essere “nessuno”. Diciamolo oggi, per la prima volta: il professor Giuseppe Conte altri non è che il successore di Andreotti. Letteralmente: nel senso che il potere che era dietro ad Andreotti, con la sua potenza di fuoco e la grande influenza che Andreotti poteva esercitare, era esattamente lo stesso potere che ha dietro Giuseppe Conte, e che attraverso Conte ha cominciato a manovrare, nuovamente, con la stessa potenza.