Archivio del Tag ‘giustizia’
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Contro Usa e Israele: il Mandela che non osano citare
«Se c’è un paese che ha commesso atrocità indicibili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti d’America. A loro non importano gli esseri umani». Parola di Nelson Mandela. Mentre il mondo ricorda l’eredità di “Madiba” in veste di primo presidente nero del Sudafrica e icona anti-apartheid, va ricordato che fu anche profondamente scettico nei confronti della potenza americana, criticata all’epoca dell’invasione dell’Iraq. Inoltre, Mandela era un sostenitore cruciale dell’Olp di Arafat. «Qui di seguito», annuncia “Rt” in un servizio ripreso da “Megachip”, «potrete leggere le sette citazioni del leader che hanno meno probabilità di essere pubblicate, anche laddove si sta rendendo onore alla sua vita e si commemora la sua morte nei media mainstream». Prima dell’invasione Usa dell’Iraq, Mandela sferzò duramente gli Stati Uniti: al Forum Internazionale delle Donne a Johannesburg, dichiarò che il movente principale dell’allora presidente Bush era «il petrolio». Rincarò la dose intervistato da “Newsweek”: «L’atteggiamento degli Stati Uniti d’America è una minaccia per la pace nel mondo».Mandela è stato da lungo tempo sostenitore dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, offrendosi come mediatore politico tra Israele e i suoi vicini. «Israele dovrebbe ritirarsi da tutte le aree che ha conquistato a danno degli arabi nel 1967, e in particolare dovrebbe ritirarsi completamente dalle Alture del Golan, dal sud del Libano e dalla Cisgiordania», dichiarò Mandela, come riferì Suzanne Belling dell’agenzia “Jewish Telegraph”. Storico l’incontro con Fidel Castro nel 1991, insieme a cui tenne un discorso intitolato “Quanto lontano siamo andati noi schiavi”. Il paese stava commemorando il 38° anniversario della presa della caserma Moncada da parte dei castristi, e Mandela salutò il «posto speciale» di Cuba nel cuore della gente dell’Africa. «Fin dai suoi primi giorni, la rivoluzione cubana è stata anche una fonte di ispirazione per tutte le persone che amano la libertà. Ammiriamo i sacrifici del popolo cubano nel mantenere la propria indipendenza e sovranità di fronte alla malvagia campagna imperialista orchestrata per distruggere l’impressionante miglioramento realizzato nel corso della rivoluzione cubana».Sempre il leader sudafricano invitò a porre fine alle dure sanzioni imposte dall’Onu alla Libia nel 1997, e promise il suo sostegno a Gheddafi, a sua volta un suo sostenitore di lunga data. «È nostro dovere dare sostegno al leader fratello, soprattutto per quanto riguarda le sanzioni, che non stanno colpendo solo lui ma stanno colpendo la massa della gente qualunque, i nostri fratelli e sorelle africani», dichiarò Mandela. In occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, il 4 dicembre 1997, Mandela assemblò un gruppo «in qualità di sudafricani, di palestinesi nostri ospiti e di umanisti, per esprimere la nostra solidarietà nei confronti del popolo della Palestina». Nel discorso, fece appello affinché le fiamme metaforiche della solidarietà, della giustizia e della libertà fossero tenute accese. «L’Onu ha preso una posizione forte contro l’apartheid, e nel corso degli anni è stato costruito un consenso internazionale, che ha contribuito a porre fine a questo sistema iniquo. Ma sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi».«Se c’è un paese che ha commesso atrocità indicibili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti d’America. A loro non importano gli esseri umani». Parola di Nelson Mandela. Mentre il mondo ricorda l’eredità di “Madiba” in veste di primo presidente nero del Sudafrica e icona anti-apartheid, va ricordato che fu anche profondamente scettico nei confronti della potenza americana, criticata all’epoca dell’invasione dell’Iraq. Inoltre, Mandela era un sostenitore cruciale dell’Olp di Arafat. «Qui di seguito», annuncia “Rt” in un servizio ripreso da “Megachip”, «potrete leggere le sette citazioni del leader che hanno meno probabilità di essere pubblicate, anche laddove si sta rendendo onore alla sua vita e si commemora la sua morte nei media mainstream». Prima dell’invasione Usa dell’Iraq, Mandela sferzò duramente gli Stati Uniti: al Forum Internazionale delle Donne a Johannesburg, dichiarò che il movente principale dell’allora presidente Bush era «il petrolio». Rincarò la dose intervistato da “Newsweek”: «L’atteggiamento degli Stati Uniti d’America è una minaccia per la pace nel mondo».
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Truce Germania smemorata: noi le condonammo i debiti
Strana, pericolosa Germania: è risorta dalla vergogna mondiale del nazismo ricorrendo alla “politica della memoria” che l’ha riabilitata, beneficiando di un colossale taglio del debito accordatole nel ’53 (per motivi geopolitici, certo) da ben 65 paesi, tra cui l’Italia. Ma ora pare vittima di un’amnesia capitale, pretendendo che il debito altrui venga saldato, costi quel che costi, foss’anche la morte per fame dei poveri greci o la devastazione economica di un grande paese come il nostro. Per Barbara Spinelli, rischia di tornare in scena il peggio della storia europea: proprio i tedeschi stanno infliggendo al resto d’Europa la stessa “punizione” che furono i primi a subire, per mano della Francia, che dopo la Prima Guerra Mondiale demolì la Repubblica di Weimar spianando la strada alle camicie brune. Stessa ricetta degli “austeritari” di allora: deflazione spietata, super-export, crollo dei consumi interni, crescente irresponsabilità bellicosa verso i vicini.
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Cuperlo e Renzi, pokeristi del bluff: non cambierà nulla
Sul tavolo verde delle primarie Pd due gambler stanno giocando la loro partita all’insegna del bluff, inteso come finzione (“to bluff”, ingannare), sotto gli occhi di un terzo giocatore smarrito e di un pubblico che va assottigliandosi, sempre meno disponibile a lasciarsi affascinare dalle manovre dei prestigiatori politici. Difatti il protrarsi nel tempo di questo confronto sta smascherando le tattiche furbesche in campo. Gli ultimi giorni sono stati decisivi al riguardo: giovedì scorso (“Servizio Pubblico”) per portare alla luce lo stile del pokerista Gianni Cuperlo, venerdì (“Agorà”) quello di Matteo Renzi. “Pompierista” il primo, “Benaltrista” l’altro. Due fumisterie diverse, accomunate dall’obiettivo di catturare consensi attraverso posizionamenti verbali di esclusiva valenza simbolica. Il deputato triestino vuole assicurarsi il voto dell’elettorato tradizionale sopravvissuto alle innumerevoli mutazioni del vecchio Pc, il sindaco fiorentino promuove campagne di conquista nei territori della destra, della protesta e del non voto.Il primo pensa che per vincere bisogna tenersi stretto in bocca il vecchio osso, l’altro lo dà per acquisito e si preoccupa di incettarne altri. Fin qui niente di male, ovvio. Ma quali sono i retropensieri (azzardati) che stanno venendo alla luce? Il pompierismo di Cuperlo, dietro rituali riferimenti a tutto il politicamente corretto di sinistra (priorità del lavoro, politiche distributive, programmazione per lo sviluppo, ecc.), funziona (se funzionerà) da foglia di fico per consentire l’ennesima operazione camaleontica alla nomenklatura e all’apparato burocratico superstiti; quanti hanno svenduto quello stesso patrimonio in cambio della propria perpetuazione. Operazione da promuovere sotto le coltri di quelle larghe intese all’insegna della stabilità immobile assicurate dal governo Napolitano-Letta, a cui una segreteria Cuperlo risulterebbe altamente funzionale. Difatti, interrogato sull’attuale compagine governativa e sul suo personal sponsor Massimo D’Alema, l’aspirante segretario preferisce tessere le lodi degli ipotetici successi riformistici (?) di chi ha concorso a preservare il berlusconismo come asse portante della Seconda Repubblica, assicurando a lungo l’impunità “inciucesca” al suo copyrighter, a scapito della salute morale e materiale del paese.Il benaltrismo di Renzi funziona come sciorinatura di un’agenda dei problemi roventi ad alta condivisione, spostando sempre più in là l’indicazione del nodo da sciogliere. Lo si è visto quando su Rai 3 si è avventurato sul terreno insidioso della riforma della giustizia, la cui enunciazione raccoglie consensi trasversali mentre qualsivoglia soluzione non può che dividere: separazione delle carriere? Ben altro! Amnistia? Ben altro! Bossi-Fini? Ben altro! Depenalizzazione delle droghe leggere? Ben altro! E così via, trasformando la politica in un supermercato di preliminari, in cui tutti possono trovare esposto il contenitore del problema che più gli sta a cuore (anche se poi l’imballaggio si rivela vuoto). In cui il “fare” ripetuto fino allo sfinimento diventa un messaggio subliminale, a jingle per indurre sensazioni artificiali di attivismo. Un po’ come il “partiam, partiamo” o l’arditismo mussoliniano dell’“armiamoci e partite”.Dunque una tecnica propagandistica imbonitoria che agli occhi dei veri sponsor renziani (la parte di nomenklatura che vuole tornare a puntare sul veltronismo del “partito a vocazione maggioritaria”, liquidando le stabilizzazioni napolitano-lettiane) sembra in grado di contrastare e terminare l’ennesimo ritorno sul terreno elettorale del campione ventennale di pokerismo Silvio Berlusconi. Insomma, pompierismo e benaltrismo come ennesimi azzardi per tenere sotto controllo la democrazia dei cittadini. Quanto sembra avere ben chiaro il terzo incomodo della partita – lo smarrito Pippo Civati – a cui non manca acume e franchezza. Semmai difetta di quel quid (spina dorsale? Fegato?) per tradurre buoni propositi in azione politica. Visto che siamo in pieno revival kennediano, valga il commento di Bob: «Il coraggio morale è ancora più prezioso del coraggio in battaglia o di una grande intelligenza. È la dote indispensabile di chi voglia cambiare un mondo che accetta così faticosamente il cambiamento». Purtroppo siamo assai lontani dallo spirito di qualsivoglia “Nuova Frontiera”. Come ne darà puntuale conferma il flop annunciato di partecipazione a queste primarie da casinò.(Pierfranco Pellizzetti, “Cuperlo e Renzi, pokeristi del bluff”, da “Micromega” del 24 novembre 2013).Sul tavolo verde delle primarie Pd due gambler stanno giocando la loro partita all’insegna del bluff, inteso come finzione (“to bluff”, ingannare), sotto gli occhi di un terzo giocatore smarrito e di un pubblico che va assottigliandosi, sempre meno disponibile a lasciarsi affascinare dalle manovre dei prestigiatori politici. Difatti il protrarsi nel tempo di questo confronto sta smascherando le tattiche furbesche in campo. Gli ultimi giorni sono stati decisivi al riguardo: giovedì scorso (“Servizio Pubblico”) per portare alla luce lo stile del pokerista Gianni Cuperlo, venerdì (“Agorà”) quello di Matteo Renzi. “Pompierista” il primo, “Benaltrista” l’altro. Due fumisterie diverse, accomunate dall’obiettivo di catturare consensi attraverso posizionamenti verbali di esclusiva valenza simbolica. Il deputato triestino vuole assicurarsi il voto dell’elettorato tradizionale sopravvissuto alle innumerevoli mutazioni del vecchio Pc, il sindaco fiorentino promuove campagne di conquista nei territori della destra, della protesta e del non voto.
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Sapelli: Italia kaputt, la Germania ci prenderà tutto
Doppia mossa del cavallo europeo. Prima si colpisce la Germania invocando un articolo dei trattati ultra-nascosto e dimenticato – eccesso di surplus commerciale, pensate un po’– e in tal modo ci si accoda obbedienti al diktat Usa che ha attaccato Berlino con una violenza inaudita, mai resa manifesta da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Poi si attacca l’Italia, tutta protesa a dar buon esempio di sé, e la si critica; non la si colpisce a morte, la si ferisce per la legge di stabilità, soprattutto per l’enormità degli emendamenti. È un imprevisto. Vuol dire che gli Usa contano sino a un certo punto e un contentino alla Germania bisogna pur darlo. Del resto è Berlino che controlla e dirige la macchina tecno-burocratica. In primo luogo, per capacità e patriottismo nazionalistico dei suoi funzionari, che hanno via via egemonizzato attorno a sé i rappresentati dei paesi ex comunisti e quelli nordici dell’Europa scandinava che tutto è meno che europea, ossia è una formazione economico-sociale a sé stante come ricorda del resto la storia dei trattati economici post-bellici, Efta in testa.Ma lasciamo perdere, queste cose nel tempo dei reset non le ricorda più nessuno, anche se contano. Questo attacco dell’Ue è ingiustificato, formalmente e politicamente. Ma esso è il frutto di un’enormità politica che ha offerto al dominio teutonico la testa dell’Italia su un piatto d’argento: un governo di pacificazione coalizionista che non riesce a presentare al Parlamento una finanziaria bloccata e su di essa chiedere la fiducia. Così si litiga mesi e mesi su qualche punto di Iva e sull’Imu sì o no, con un ministro del Tesoro incapace di trovare un miliardo nel bilancio dello Stato e che ci rappresenta in Europa con un’incapacità che non si è mai vista… Ma certo il problema è grande: se inviassero la troika cosa dovrebbe fare Letta? Dovrebbe in ogni caso farle fare un passo indietro e mandarla a casa a Bruxelles. Se cediamo ora su questo punto siamo finiti: ossia, il sistema industriale ed economico è finito. Chiunque parli con le cuspidi del potere economico tedesco sa che la battaglia d’Italia sono ora decisi a vincerla loro, i tedeschi, comprando a prezzi di svendita tutto ciò che è possibile.Ai francesi danno qualche spaziale consolazione e agli Usa non possono opporsi rispetto ai grandi gruppi, ma le medie imprese tascabili e co. – tra parentesi, ne abbiamo perse il 20% in questi ultimi due anni, ossia circa mille! – debbono finire in mano tedesca, secondo una logica di complementarietà nella maggioranza dei casi e non di distruzione, tipo quella operata da Prodi e compagni quando fecero le privatizzazioni. È quindi nella distruzione generale un passo avanti per occupazione e reddito e conservazione del patrimonio cognitivo. Ma vuol dire la subalternità economica assoluta. Questo non piace agli Usa, lo ripeto da sempre e da sempre ripeto che la via di uscita non è economica ma diplomatica e strategica: è geostrategica sino a nuovi rapporti con la Russia. Se non fanno questo, Letta e Alfano, se non si opporranno direttamente, come dovrebbero patriotticamente fare, alle misure ingiuste che si profilano venire dall’Europa, faranno entrambi la fine di Papandreou: chiese un referendum prima dell’arrivo della troika, ora è sparito, non se ne parla più, non si sa neppure dove sia finito.(Giulio Sapelli, “La Germania prepara la campagna d’Italia”, da “Il Sussidiario” del 19 novembre 2013).Doppia mossa del cavallo europeo. Prima si colpisce la Germania invocando un articolo dei trattati ultra-nascosto e dimenticato – eccesso di surplus commerciale, pensate un po’– e in tal modo ci si accoda obbedienti al diktat Usa che ha attaccato Berlino con una violenza inaudita, mai resa manifesta da dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Poi si attacca l’Italia, tutta protesa a dar buon esempio di sé, e la si critica; non la si colpisce a morte, la si ferisce per la legge di stabilità, soprattutto per l’enormità degli emendamenti. È un imprevisto. Vuol dire che gli Usa contano sino a un certo punto e un contentino alla Germania bisogna pur darlo. Del resto è Berlino che controlla e dirige la macchina tecno-burocratica. In primo luogo, per capacità e patriottismo nazionalistico dei suoi funzionari, che hanno via via egemonizzato attorno a sé i rappresentati dei paesi ex comunisti e quelli nordici dell’Europa scandinava che tutto è meno che europea, ossia è una formazione economico-sociale a sé stante come ricorda del resto la storia dei trattati economici post-bellici, Efta in testa.
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Le Pen e Orban fascisti? Ma Grillo non sa di cosa parla
Passi la condanna dell’atroce “Alba Dorata” che sfrutta la disperazione della Grecia affamata dalla Troika, richiamandosi direttamente all’iconografia nazista. Ma mettere sullo stesso banco egli imputati – categoria: epigoni del fascismo – l’ungherese Viktor Orban e la francese Marine Le Pen è più che assurdo: è ridicolo. Orban? «Quello che il blog di Grillo definisce un estremista è in realtà un moderato che combatte contro quelle lobby europee che anche Grillo dice di combattere», protestano gli analisti del blog “Scenari economici”. Tema: il “ritorno del fascismo in Europa”, evocato dal leader del M5S in vista dell’apertura della campagna elettorale per le europee 2014, in programma con terzo V-Day il 1° dicembre a Genova, destinato a segnare la svolta anti-euro del network coordinato da Casaleggio. Pietra dello scandalo, per “Scenari economici”, un recente post nel quale Grillo tenta di smarcarsi dai “colleghi” europei anti-Ue dopo la dura reprimenda impartita ai suoi parlamentari, troppo “teneri” con i profughi di Lampedusa, su cui per Grillo deve continuare a gravare il reato di clandestinità confezionato dalla Bossi-Fini.Il Grillo del novembre 2013 non spara più solo contro la piccola casta italiana dei “maggiordomi”, ma prende di mira quella vera: «Le oligarchie finanziarie si baloccano con governi compiacenti o direttamente imposti da loro». Si è “accorto”, Grillo, che «la Bce ha ormai il potere di influenzare la composizione dei governi nazionali». Brutta gente: «Questi alchimisti dello spread evocano una nuova guerra santa contro i “populismi”, rei di mettere in discussione un’architettura economica costruita sopra le teste dei cittadini». Povertà e la disoccupazione dilagano ovunque, in Europa: «La Grecia è stata lasciata morire dai “fratelli” europei, sacrificata sull’altare delle banche tedesche e francesi che volevano indietro la loro “libbra di carne”». L’Ue pretende «la spoliazione dei beni dello Stato e la distruzione del tessuto sociale, dei servizi di prima necessità, come la sanità». L’Europa? «Sta diventando un lazzaretto. Chi si ammala è lasciato alla sua sorte». Che razza di Europa è questa? «Assomiglia a quelle riunioni di mafiosi in cui chi sgarra viene assassinato».“Solidarietà”, insiste Grillo, doveva essere la prima parola, il primo mattone dell’edificio europeo. E invece, «i garanti dello status quo ormai insopportabile (in Italia la coppia al comando è Napolitano-Letta) continuano imperturbabili nelle loro convinzioni ignorando il mondo che gli sta crollando intorno. Indifferenti a un mostro che si sta svegliando e che sarà difficile, quasi impossibile, rinchiudere nelle gabbie del suo passato se diventerà più forte». Per questi «finti democratici», ma anche per le nostre democrazie, è in arrivo una minaccia che proviene direttamente dal cimitero della storia: «Il fascismo sta avanzando grazie a questi sciagurati in tutta Europa». Un sondaggio trasforma “Alba Dorata” nel primo partito in Grecia con il 26%, proprio come in Francia il Front National di Marine Le Pen, quotato al 24%. In Norvegia avanzano i conservatori, ma si afferma anche il Partito del Progresso, «nel quale militò Anders Breivik, responsabile dell’uccisione di 77 persone». E in Ungheria «il governo di estrema destra ha stilato una lista nera di personalità che avrebbero fornito ai media stranieri informazioni contro l’immagine del paese». Il premier Orban «ha cambiato la Costituzione minando l’indipendenza della banca centrale, l’autonomia della magistratura e dell’autorità garante della privacy e ha come obiettivo la Grande Ungheria nazionalista».Orban e Marine Le Pen nello stesso zoo del killer Breivik? «Quali sono le cause della nascita dei nuovi fascismi?», taglia corto Grillo. «Chi sono i veri responsabili? Chi ha tradito la democrazia?». Ora, che la politica «assurda» imposta dall’Ue ai paesi del Sud stia spingendo movimenti antisistema è senza dubbio vero, ma siamo sicuri che sia un male? Non è un sollievo, al contrario, se qualcuno comincia ad affrontare la “dittatura” di Bruxelles? «Grillo non si rende conto che quello che lui ha detto su questi movimenti, all’estero (ma anche in Italia), potrebbero dirlo tranquillamente su di lui», scrive “Scenari economici”. Se infatti un giudizio netto su “Alba Dorata” è più che comprensibile, «ben diverso è il discorso già con Marine Le Pen, una donna relativamente giovane che ha rinnovato un movimento profondamente nostalgico e che rifiuta la dicotomia destra-sinistra: quale fascismo potrebbe portare Marine Le Pen?». E poi: «Grillo ha mai letto il programma del Front National? Si può veramente aver paura di Marine Le Pen?». Certo non la temono i milioni di francesi che a maggio la voteranno, per spedirla a Strasburgo a difendere la Francia, cioè a fare il “mestiere” al quale, da Parigi, François Hollande continua a sottrarsi.Capitolo Orban. «Di solito, chi scrive sul premier ungherese è un ignorante disinformato», magari vittima della “distorsione mediatica” che, secondo “Scenari economici”, colpisce regolarmente Budapest. «Per esempio, nessuno ha mai detto che l’Ungheria sta vivendo una buona ripresa economica, sta riassorbendo la disoccupazione mentre la sua valuta, il fiorino ungherese, regge il mercato senza troppi problemi: i tempi del Fmi sono un ricordo». Orban un autocrate dittatoriale? Gli ungheresi sono con lui, democraticamente: l’hanno rieletto nel 2010 in modo schiacciante, con oltre il 50% del consensi, perché prometteva di liberare l’Ungheria dai ricatti della cupola di Bruxelles. Quanto alla banca centrale, Orban l’ha semplicemente ri-nazionalizzata, togliendola al controllo dell’élite finanziaria privatizzatrice. «Fino a quando Grillo continuerà a inserire tra indubbie verità alcune menzogne sarà sempre meno credibile», conclude “Scenari economici”. «Parlare male dell’Ungheria di Orban significa mentire», ovvero «continuare sulla strada di quell’estremismo di sinistra, in linea con i parlamentari del Movimento eletti in Parlamento, che sta distruggendo il Movimento e facendo perdere ogni voto moderato che Grillo aveva raccolto nel febbraio 2013».Passi la condanna dell’atroce “Alba Dorata” che sfrutta la disperazione della Grecia affamata dalla Troika, richiamandosi direttamente all’iconografia nazista. Ma mettere sullo stesso banco egli imputati – categoria: epigoni del fascismo – l’ungherese Viktor Orban e la francese Marine Le Pen è più che assurdo: è ridicolo. Orban? «Quello che il blog di Grillo definisce un estremista è in realtà un moderato che combatte contro quelle lobby europee che anche Grillo dice di combattere», protestano gli analisti del blog “Scenari economici”. Tema: il “ritorno del fascismo in Europa”, evocato dal leader del M5S in vista dell’apertura della campagna elettorale per le europee 2014, in programma con terzo V-Day il 1° dicembre a Genova, destinato a segnare la svolta anti-euro del network coordinato da Casaleggio. Pietra dello scandalo, per “Scenari economici”, un recente post nel quale Grillo tenta di smarcarsi dai “colleghi” europei anti-Ue dopo la dura reprimenda impartita ai suoi parlamentari, troppo “teneri” con i profughi di Lampedusa, su cui per Grillo deve continuare a gravare il reato di clandestinità confezionato dalla Bossi-Fini.
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Panni sporchi: Napolitano e la resa della sinistra italiana
Dalle amicizie pericolose di Bersani a quelle di D’Alema, dalle ambigue innovazioni di Renzi alle ombre dell’Ilva su Vendola. Fino al “nuovo compromesso storico” di Enrico Letta e ai segreti di Giorgio Napolitano. Non risparmia nessuno “I panni sporchi della sinistra”, il libro di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara (edito da “Chiarelettere”) che mette a nudo le magagne del centrosinistra. Un lavoro nel quale i due autori analizzano una serie di inchieste giudiziarie che riguardano, a vario titolo, il mondo della sinistra. Dalla galassia-Bersani, quella dei Penati, Pronzato e Veronesi, alla vicenda di Flavio Fasano, referente di D’Alema invischiato in una storia di mafia. Dallo scandalo Ilva al caso Unipol, passando per i trasferimenti di due magistrate, Clementina Forleo e Desirée Digeronimo, che avevano indagato sulle responsabilità di importanti esponenti politici di sinistra. Per l’ex sinistra italiana, una vera e propria “mutazione genetica”: tra Quirinale e Berlusconi, Cia e massoneria.
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Giulietto Chiesa: ma il nemico è Bruxelles, non l’Europa
«Voglio un’Europa democratica e solidale, giusta e pacifica, forte abbastanza per contare nell’arena mondiale», nonché «libera da ogni alleanza militare». Problema: «Nessuno dei nemici giurati dell’Europa e dell’euro dice queste cose: e questa è la ragione principale che mi fa diffidare di loro – di tutti, siano essi di destra o di sinistra». Giulietto Chiesa avverte: questa Unione Europea è indifendibile, ma il coro che sta salendo – in vista delle decisive elezioni europee del maggio 2014 – rischia di confondere le acque, promuovendo nazionalismi isterici e pericolose xenofobie. E’ il capolavoro finale dell’euro, moneta non più a disposizione degli Stati ed emblema di un sistema oppressivo. Nel suo “Manifesto per l’Europa”, firmato da grandi economisti come Bruno Amoroso, il laboratorio politico “Alternativa” propone un deciso ritorno alla sovranità finanziaria, attraverso la conquista di un governo finalmente democratico del continente: abolire il potere della Commissione Europea, da sostituire con un esecutivo legittimo, eletto dal Parlamento Europeo. Senza questo ripristino della legalità democratica, ogni scorciatoia può diventare pericolosa.
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Casta, cosca e cupola: le tre C che ci stanno divorando
Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo si sono guadagnati un posto nella storia recente di questo sfortunato paese usando una definizione di una categoria sociale privilegiata e separata – la casta – per intitolare il più famoso dei loro instant-book: quello che metteva in fila nomi, cognomi e indirizzi dello sperpero del denaro pubblico e degli abusi di potere. Ma, dopo sei anni, ci si domanda: il loro indagare è servito a qualcosa? Oggi si scopre che «parlare di casta ha rappresentato quantomeno un limite», nonostante l’irrompere sulla scena di un movimento anti-casta come il 5 Stelle. «Quel che caratterizza infatti la causa prima della decadenza conclamata del nostro paese – osserva Claudio Giorno – non è ascrivibile solo alla inettitudine e alla corruzione, cresciute in modo esponenziale negli ultimi vent’anni, ma al legame indissolubile con altri due fenomeni di cui si parla, e molto, ma come fossero collegati solo occasionalmente tra di loro». La cosca e la cupola. Insieme alla casta, formano «le tre C che io credo siano indissolubilmente legate tra di loro». Sono «metastasi del cancro di cui l’Italia sembra affetta in forma terminale».
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La via dei lupi, per resistere. Vale un film: facciamolo
Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia. E’ la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via dei lupi”. Grazie al lavoro di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del grande ribelle che osò muovere guerra al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film, se il progetto verrà adottato da Hollywood. Il prezzo di questa follia? Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film, visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso: indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.«Viviamo in città lontano dalla natura, mangiamo senza fame e beviamo senza sete, ci stanchiamo senza che il corpo fatichi, rincorriamo il nostro tempo senza raggiungerlo mai». Così scriveva, Carlo Grande, nel libro-confessione “Terre alte”. «Abbiamo bisogno di riprenderci le nostre vite, di trovare una strada che ci riporti al centro di noi stessi». Era solo il 2008, ma sembra un secolo fa. «Quando si ha, come noi, una tale sicurezza materiale da non temere più di tanto per il futuro, quando non ci si domanda cosa succederà la settimana prossima, quando si ha sempre di che vivere e non si sa più per cosa, si forma intorno a noi una prigione senza confini, da cui è difficile fuggire». Oggi, col precipitare della crisi, molte di queste sicurezze sono cadute: sono migliaia, milioni, i cittadini italiani ed europei che hanno ripreso a preoccuparsi per la loro sorte immediata, a causa di una sofferenza decretata dall’alto di un potere oscuro, percepito come ostile. Un potere accusato di aver tradito la sua promessa, venendo meno al suo dovere.E’ proprio il dolore per il tradimento – quello del principe che gli ha sedotto la figlia – a scatenare la furia del feudatario valsusino: il Delfino francese ha calpestato le regole, su cui si regge la civiltà medievale del “paratge”, l’onore tra uomini liberi che accettano volontariamente di mettersi al servizio l’uno dell’altro. E’ la “civiltà mediterranea”, nella quale Simone Veil individua l’ultima reincarnazione dell’Atene di Pericle (il culto della bellezza) prima che le forze più aggressive della storia spegnessero la luce, dalle legioni conquistatrici alla sanguinosa repressione delle eresie libertarie. Se oggi i critici più intransigenti puntano il dito contro il nazi-capitalismo finanziario che muove i burattini di Bruxelles imponendo la “desmisura” di condizioni-capestro assolutamente insostenibili per il 99% dei cittadini, i territori riscoprono il valore dimenticato della comunità solidale, come dimensione indispensabile non solo per l’autodifesa, ma anche per la coltivazione di quell’umanesimo in mancanza del quale non potremmo vivere. Anche così si può rileggere la vicenda di François: senza il coraggioso sostegno della sua gente non sarebbe mai riuscito a ribellarsi né a evadere dal carcere, né tantomeno a resistere così a lungo tra le nevi delle sue montagne.E’ esattamente questo tipo di bellezza che il film è ansioso di esprimere, nel silenzio incantato delle foreste. C’è anche una salutare nostalgia per il “mondo bambino” del medioevo più luminoso, la civiltà di uomini e donne che sapevano gioire, piangere, commuoversi, tra montagne che – per secoli – tennero in vita la Repubblica degli Escartons, straordinario esperimento di autogoverno cantonale, nel cuore dell’Europa. Si parlava occitano, la lingua di François, quella in cui Dante avrebbe voluto scrivere la Commedia, perché solo i trovatori provenzali – i primi, dall’avvento della cristianità – avevano riscoperto la tenerezza dell’amore, quella dei lirici greci, e avevano cominciato a cantarla, sfidando l’oscurantismo vaticano grazie alla protezione di autorità politiche tolleranti. «Il film – dice oggi Carlo Grande – sarebbe un fecondo generatore di bellezza, un balsamo alla solitudine morale: credo in questo film perché credo in questa storia, in questo libro, in tempi di carestia fisica (di aria, di acqua, di terra) e spirituale (etica ed estetica)». Il cinema italiano non è in grado di produrre il film, per questo si pensa a Hollywood. Un percorso da fare insieme, appropriandosi della causa. Basta anche solo un piccolo tributo d’onore, per co-finanziare l’adattamento in inglese. E far sentire che la comunità non se la sente di abbandonare il suo antico eroe: oggi come allora, il vecchio François – guerriero riluttante, partigiano della libertà – per tornare a lottare sulla “via dei lupi” ha davvero bisogno di noi.(Per aderire alla sottoscrizione è sufficiente prenotarsi, senza alcun anticipo di denaro, sulla piattaforma di social crowdfundig “Produzioni dal basso”, dichiarando la propria disponibilità a sostenere il progetto, anche solo con la quota minima di 20 euro. Più quote danno diritto alla presenza nei titoli coda, al dvd e all’invito a proiezioni nei cinema. L’obiettivo è vicino: ancora pochi click e si raggiungeranno i 4.000 euro necessari a finanziare la revisione della sceneggiatura, che consentirà di impostare la produzione del film).Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia. E’ la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via dei lupi”. Grazie al lavoro di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del grande ribelle che osò muovere guerra al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film, se il progetto verrà adottato da Hollywood. Il prezzo di questa follia? Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film, visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso: indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.
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Vandana Shiva: perché la crescita è nemica della vita
La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato sia il numero più potente che il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura, la quale a sua volta porta a comunità incapaci di provvedere a se stesse. Durante la seconda guerra mondiale il concetto di crescita fu presentato come una misura per la movimentazione delle risorse. Il Pil si basa sulla creazione di un confine artificiale e fittizio, il quale parte dal presupposto che se produci ciò che consumi, non produci. In effetti, la “crescita” misura la trasformazione della natura in denaro e dei beni comuni in merci. Così i magnifici cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono qualificati non produttivi.I contadini di tutto il mondo, che forniscono il 72% del cibo, non producono; le donne che coltivano o fanno la maggior parte dei lavori domestici non rispettano questo paradigma di crescita. Una foresta vivente non contribuisce alla crescita, ma quando gli alberi vengono tagliati e venduti come legname, abbiamo la crescita. Le società e le comunità sane non contribuiscono alla crescita, ma la malattia crea crescita attraverso, ad esempio, la vendita di medicine brevettate. L’acqua disponibile come bene comune condiviso liberamente e protetto da tutti viene fornita a tutti. Tuttavia, essa non crea crescita. Ma quando la Coca-Cola impone una pianta, estrae l’acqua e con essa riempie le bottiglie di plastica, l’economia cresce. Ma questa crescita è basata sulla creazione di povertà – sia per la natura sia per le comunità locali. L’acqua estratta al di là della capacità della natura di rigenerarsi crea una penuria d’acqua. Le donne sono costrette a percorrere lunghe distanze in cerca di acqua potabile. Nel villaggio di Plachimada nel Kerala, quando la passeggiata per l’acqua è diventata 10 chilometri, la tribale donna locale Mayilamma ha detto che il troppo è troppo. Non possiamo camminare ulteriormente, l’impianto della Coca-Cola deve chiudere. Il movimento che le donne incominciarono ha portato infine alla chiusura dello stabilimento.Nella stessa ottica, l’evoluzione ci ha regalato il seme. Gli agricoltori lo hanno selezionato, allevato e lo hanno diversificato – esso è la base della produzione alimentare. Un seme che si rinnova e si moltiplica produce semi per la prossima stagione, così come il cibo. Tuttavia, il contadino di razza e il contadino che salva i semi non sono visti come un contributo alla crescita. Ciò crea e rinnova la vita, ma non porta a profitti. La crescita inizia quando i semi vengono modificati, brevettati e geneticamente resi sterili, portando gli agricoltori ad essere costretti a comprarne di più ad ogni stagione. La natura si impoverisce, la biodiversità è erosa e una risorsa aperta libera si trasforma in una merce brevettata. L’acquisto di semi ogni anno è una ricetta per l’indebitamento dei poveri contadini dell’India. E da quando è stato istituito il monopolio dei semi, l’indebitamento degli agricoltori è aumentato. Dal 1995, oltre 270.000 agricoltori in India sono stati presi nella trappola del debito e si sono suicidati.La povertà è anche ulteriore spreco quando i sistemi pubblici vengono privatizzati. La privatizzazione di acqua, elettricità, sanità e istruzione genera crescita attraverso i profitti. Ma genera anche povertà, costringendo la gente a spendere grandi quantità di denaro per ciò che era disponibile a costi accessibili come bene comune. Quando ogni aspetto della vita è commercializzato e mercificato, vivere diventa più costoso e la gente diventa più povera. Sia l’ecologia che l’economia sono nate dalla stessa radice – “oikos”, la parola greca per “casa”. Fino a quando l’economia è stata incentrata sulla famiglia, riconosceva e rispettava le sue basi nelle risorse naturali e i limiti del rinnovamento ecologico. Era focalizzata a provvedere ai bisogni umani di base all’interno di questi limiti. L’economia basata sulla famiglia era anche incentrata sulle donne. Oggi l’economia è separata sia dai processi ecologici che dai bisogni fondamentali e si oppone ad ambedue. Mentre la distruzione della natura veniva motivata da ragioni di creazione della crescita, la povertà e l’espropriazione aumentavano. Oltre ad essere insostenibile, è anche economicamente ingiusta.Il modello dominante di sviluppo economico è infatti diventato contrario alla vita. Quando le economie sono misurate solo in termini di flusso di denaro, i ricchi diventano più ricchi e i poveri sempre più poveri. E i ricchi possono essere ricchi in termini monetari – ma anche loro sono poveri nel contesto più ampio di ciò che significa essere umani. Nel frattempo, le richieste del modello attuale dell’economia stanno portando a guerre per le risorse come quelle per il petrolio, guerre per l’acqua, guerre alimentari. Ci sono tre livelli di violenza implicati nello sviluppo non sostenibile. Il primo è la violenza contro la terra, che si esprime come crisi ecologica. Il secondo è la violenza contro l’uomo, che si esprime come povertà, miseria e migrazioni. Il terzo è la violenza della guerra e del conflitto, come potente caccia alle risorse che si trovano in altre comunità e paesi per i propri appetiti illimitati.L’aumento del flusso di denaro attraverso il Pil si è dissociato dal valore reale, ma coloro che accumulano risorse finanziarie possono poi reclamare pretese sulle risorse reali delle persone – la loro terra e l’acqua, le foreste e i semi. Questa sete li conduce all’ultima goccia d’acqua e all’ultimo centimetro di terra del pianeta. Questa non è la fine della povertà. É la fine dei diritti umani e della giustizia. Gli economisti e premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen hanno riconosciuto che il Pil non coglie la condizione umana e hanno sollecitato la creazione di altri strumenti per misurare il benessere delle nazioni. Questo è il motivo per cui paesi come Bhutan hanno adottato la “felicità nazionale lorda” al posto del prodotto interno lordo per calcolare il progresso. Abbiamo bisogno di creare misure che vadano oltre il Pil, ed economie che vadano al di là del supermercato globale, per ringiovanire la ricchezza reale. Dobbiamo tener presente che la vera valuta della vita è la vita stessa.(Vandana Shiva, “Come la crescita economica è diventata nemica della vita”, intervento pubblicato dal “Guardian” e ripreso il 4 novembre 2013 da “Come Don Chisciotte”).La crescita illimitata è la fantasia di economisti, imprese e politici. La vedono come una misura del progresso. Come risultato, il prodotto interno lordo (Pil), che dovrebbe misurare la ricchezza delle nazioni, è diventato sia il numero più potente che il concetto dominante del nostro tempo. Tuttavia, la crescita economica nasconde la povertà creata attraverso la distruzione della natura, la quale a sua volta porta a comunità incapaci di provvedere a se stesse. Durante la seconda guerra mondiale il concetto di crescita fu presentato come una misura per la movimentazione delle risorse. Il Pil si basa sulla creazione di un confine artificiale e fittizio, il quale parte dal presupposto che se produci ciò che consumi, non produci. In effetti, la “crescita” misura la trasformazione della natura in denaro e dei beni comuni in merci. Così i magnifici cicli naturali di rinnovamento dell’acqua e delle sostanze nutritive sono qualificati non produttivi.
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La verità su Ert, il super-clan che domina i nostri politici
Accanto all’oscuro Carlo Bozotti, re della micro-elettronica che controlla l’infrastruttura web, siedono Paolo Scaroni dell’Eni e rampolli delle più importanti dinastie dell’élite italiana, da John Elkann del gruppo Fiat a Rodolfo De Benedetti della Cir. Sono gli onnipotenti signori della Ert, European Round Table, la super-lobby più potente della Terra. Fondata trent’anni fa su iniziativa di Reagan per controllare l’Europa, con la partecipazione di italiani come Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti, la Ert è oggi la vera struttura di comando dell’Unione Europea, quella che “detta” le direttive ai vari Barroso e Van Rompuy, le quali poi – a catena – le passano agli ultimi esecutori periferici, che in Italia si chiamano Berlusconi e D’Alema, Letta e Monti. La notizia? «Ormai, convinti di aver vinto, si sono aperti il loro bravo sito dove si presentano per ciò che sono, suddivisi per settori di competenze e segmenti di mercato». Prova a smascherarli un documentario dirompente, “The Brussels Business”, diretto da Friedrich Moser e Mathieu Lieuthert, che verrà proiettato nelle principali città europee.Sono la vera cupola che sovrintende al destino degli europei, scrive il blogger Sergio Di Cori Modigliani: «Decidono chi governa e chi non lo fa, stabiliscono se l’Italia avrà le larghe intese, se la Germania avrà la grosse koalition e se è il caso che il Belgio abbia o non abbia un governo. Decidono quali leggi far passare in Italia e nel resto d’Europa. Decidono quanti disoccupati ci devono essere o non essere, e se le imprese italiane devono o non devono essere pagate. Sono tutti membri del più potente club del pianeta Terra. In confronto, il Bilderberg è folklore per nuovi ricchi a caccia di status sociale da esibire». La foto di gruppo dei fondatori parla chiaro: sul ponte di comando figurano i signori Thyssen, Siemens, Shell, Philips, Nestlé, Volvo, Renault. Oggi sono ancora più potenti, da quando Bruxelles ha centralizzato ogni decisione sul nostro futuro. Bce, Fmi, Commissione Europea, Eurozona. Siamo nelle loro mani. Hanno migliaia di funzionari, miliardi di budget. «Controllano il 75% della produzione mediatica europea», e inoltre presidiano «le borse, i mercati, gli investimenti industriali». Stabiliscono tutto: «Le assunzioni nelle corporation e nelle aziende statali strategiche, le commesse militari, chi deve andare su e chi giù, chi andrà a dirigere i canali televisivi, i giornali, le banche». Leggi, capitali, leader. Decidono tutto loro: «Parlare di Berlusconi o di Letta è inutile, sono persone che non contano nulla».Il documentario di Moser e Lieuthert li mette a nudo: «Loro sono i monarchi, noi siamo i loro sudditi. Per queste persone noi non esistiamo come esseri umani, siamo – come ha ben sintetizzato il grande sociologo Zygmunt Bauman – un danno collaterale». Il loro obiettivo, in questa fase? «Distruggere ogni tentativo di costruire modelli di cittadinanza attiva e di opposizione ai partiti che loro controllano e finanziano in Europa». E’ intorno a questo club che si gioca la partita d’Europa, continua Modigliani: è fondamentale quindi conoscerne la genesi, le modalità di comportamento e la strategia di impiego. Solo così potremo «cominciare a parlare delle questioni vere, sapendo chi sono gli interlocutori veri, di cui in televisione e sul cartaceo non sentirete mai neppure una parola al riguardo». Chiaro: «Sapere chi sono e cosa fanno è fondamentale per aumentare le possibilità statistiche di poter vincere la battaglia europea per fermare questo massacro e avviare un processo di rifondazione dell’Europa dei diritti civili, della cultura, della civiltà: se non sappiamo neppure chi sono, come possiamo minimamente pensare di essere in grado di poterli contrastare?».Accanto all’oscuro Carlo Bozotti, re della micro-elettronica che controlla l’infrastruttura web, siedono Paolo Scaroni dell’Eni e rampolli delle più importanti dinastie dell’élite italiana, da John Elkann del gruppo Fiat a Rodolfo De Benedetti della Cir. Sono gli onnipotenti signori della Ert, European Round Table of Industrialists, la super-lobby più potente della Terra. Fondata trent’anni fa su iniziativa di Reagan per controllare l’Europa, con la partecipazione di italiani come Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti, la Ert è oggi la vera struttura di comando dell’Unione Europea, quella che “detta” le direttive ai vari Barroso e Van Rompuy, i quali poi – a catena – le passano agli ultimi esecutori periferici, che in Italia si chiamano Berlusconi e D’Alema, Letta e Monti. La notizia? «Ormai, convinti di aver vinto, si sono aperti il loro bravo sito dove si presentano per ciò che sono, suddivisi per settori di competenze e segmenti di mercato». Ora prova a smascherarli un documentario dirompente, “The Brussels Business”, diretto da Friedrich Moser e Mathieu Lieuthert, che verrà proiettato nelle principali città europee.
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Nato economica: giudici scavalcati, il business sarà legge
«Vi ricordate di quel referendum sulla creazione di un mercato unico con gli Stati Uniti? Sapete, quello in cui ci è stato chiesto se le multinazionali dovrebbero avere il potere di annullare le nostre leggi? No, nemmeno io». Geroge Monbiot, sul “Guardian”, avverte: è in arrivo l’ennesimo attacco letale a quel che resta della nostra sovranità: «Dopo tutta quella lunga e penosa discussione sul fatto se dobbiamo o meno restare nell’Unione Europea, il governo non cederà la nostra sovranità a qualche organismo-ombra antidemocratico senza consultarci. O no?». Lo scopo della Ttip, “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, nota anche come “la Nato economica”, è quello di eliminare le differenze normative tra Usa e paesi europei. Dettaglio fatale: il nuovo potere «concederebbe al grande business di citare in giudizio i governi che cercano di difendere i propri cittadini». Ovvero, «consentirebbe a una giuria formata da giuristi d’impresa che operano a porte chiuse di non tener conto della volontà del Parlamento e annullare le nostre protezioni legali». E ovviamente, «i difensori della nostra sovranità» (politici, governi, partiti) «non ci dicono nulla».Il meccanismo attraverso cui si arriva a tutto ciò, scrive Monbiot in un servizio ripreso da “Megachip”, è noto come “investor-State dispute settlement”, cioè: risoluzione delle controversie tra Stati e investitori. «E’ già utilizzato in molte parti del mondo per togliere di mezzo le regolamentazioni a tutela delle persone e del pianeta vivente». Primo esempio, l’Australia: dopo un lungo dibattito dentro e fuori del Parlamento, il governo ha deciso che le sigarette avrebbero dovuto essere vendute in semplici pacchetti, contrassegnati solo con delle scioccanti avvertenze per la salute. Decisione convalidata dalla Corte Suprema australiana. «Ma, in seguito a un accordo commerciale tra l’Australia e Hong Kong, la società del tabacco Philip Morris ha agito presso un tribunale offshore per ottenere una ragguardevole somma a titolo di risarcimento per la perdita di quella che definisce una sua proprietà intellettuale». Altro caso, l’Argentina: durante la crisi, in risposta alla rabbia popolare, Buenos Aires aveva imposto il congelamento delle tariffe dell’energia e dell’acqua. Anche lì, però, il governo è stato citato in giudizio da quelle stesse società (internazionali) decise a lucrare sui servizi. Morale: «L’Argentina è stata costretta a pagare più di un miliardo di dollari di risarcimento».Stesso copione nel Salvador, dove le comunità locali hanno pagato un caro prezzo (tre attivisti uccisi) per convincere il governo a rifiutare la concessione per una grande miniera d’oro che minacciava di contaminare le riserve idriche. «Una vittoria per la democrazia? Non per molto, forse», annota Monbiot. «La società canadese che aveva chiesto la concessione ora sta citando El Salvador per 315 milioni di dollari – per la perdita dei suoi profitti futuri». Dal Salvador al Canada: un tribunale aveva revocato due brevetti di proprietà della società americana Eli Lilly, perché la società non aveva prodotto prove sufficienti sui presunti effetti benefici dei suoi prodotti. Eli Lilly ora sta facendo causa al governo canadese per 500 milioni di dollari, e chiede che le leggi sui brevetti del Canada siano cambiate. «Queste aziende (insieme a centinaia di altre) stanno utilizzando le regole sulla risoluzione delle controversie investitore-Stato incorporate nei trattati commerciali firmati dai paesi», scrive il giornalista del “Guardian”. «Le regole sono applicate da giurie che non offrono nessuna delle garanzie assicurate nei nostri tribunali».Le audizioni si svolgono a porte chiuse e i giudici sono avvocati aziendali, molti dei quali lavorano per le stesse società che agiscono in giudizio. I cittadini e le comunità colpite dalle loro decisioni non hanno più alcun valore legale: attraverso quei “giudici del business”, le aziende «possono rovesciare la sovranità dei Parlamenti» e perfino le sentenze delle corti supreme nazionali. Ammette uno dei giudici di questi tribunali: «A tre individui privati è affidato il potere di rivedere, senza alcun limite e senza possibilità di appello, tutte le azioni dei governi, tutte le decisioni dei tribunali, e tutte le leggi di regolamentazione emanate dal Parlamento. Non ci sono dei corrispondenti diritti dei cittadini, osserva Monbiot. «Non possiamo agire in questi tribunali per chiedere una migliore protezione dall’avidità delle società». Come dice il Democracy Centre, questo è «un sistema di giustizia privatizzata per società globali». Parlando delle regole introdotte dal North American Free Trade Agreement, un funzionario del governo canadese rivela: «Ho visto lettere in arrivo da New York e da studi legali con sede a Washington, praticamente su tutte le nuove normative e proposte a tutela dell’ambiente degli ultimi cinque anni. Riguardano prodotti chimici per lavaggio a secco, prodotti farmaceutici, pesticidi, diritti dei brevetti. Praticamente tutte le nuove iniziative sono state prese di mira e la maggior parte non ha mai visto la luce del giorno».Tecnicamente, è la fine della democrazia. E questo, aggiunge Monbiot, è esattamente «il sistema che ci governerà se il trattato transatlantico va avanti». Gli Usa e la Commissione Europea? Entrambi “catturati” dalle multinazionali. Per Bruxelles, i tribunali nazionali non offrono alle aziende una protezione adeguata perché «potrebbero essere prevenuti o non indipendenti». E’ vero il contrario, scrive il “Guardian”: «E’ proprio perché i nostri tribunali generalmente non hanno pregiudizi e sono indipendenti che le imprese vogliono bypassarli». Così, le nuove regole sulle controversie tra investitori e Stati «potrebbero essere utilizzate per distruggere ogni tentativo di salvare il sistema sanitario nazionale dal controllo societario, di regolamentare di nuovo le banche, di frenare l’avidità delle compagnie energetiche, di rinazionalizzare le ferrovie, di lasciare i combustibili fossili nel terreno». Queste regole, sintetizza Monbiot, «distruggono le alternative democratiche» e «mettono fuorilegge le politiche di sinistra», decretando la fine del welfare e della sicurezza sociale, storico pilastro dell’Europa nella quale siamo tutti cresciuti. “Riforme” clandestine, sostenute di soppiatto dai nostri attuali politici: «Questo è il motivo per cui non vi è stato alcun tentativo da parte del governo britannico di informarci su questa mostruosa aggressione alla democrazia, per non parlare poi di fare una consultazione popolare». A tacere sono i politici che «sbuffano a sentir parlare di sovranità», conclude Monbiot. «Svegliamoci, gente: ci stanno fregando».«Vi ricordate di quel referendum sulla creazione di un mercato unico con gli Stati Uniti? Sapete, quello in cui ci è stato chiesto se le multinazionali dovrebbero avere il potere di annullare le nostre leggi? No, nemmeno io». Geroge Monbiot, sul “Guardian”, avverte: è in arrivo l’ennesimo attacco letale a quel che resta della nostra sovranità: «Dopo tutta quella lunga e penosa discussione sul fatto se dobbiamo o meno restare nell’Unione Europea, il governo non cederà la nostra sovranità a qualche organismo-ombra antidemocratico senza consultarci. O no?». Lo scopo della Ttip, “Transatlantic Trade and Investment Partnership”, nota anche come “la Nato economica”, è quello di eliminare le differenze normative tra Usa e paesi europei. Dettaglio fatale: il nuovo potere «concederebbe al grande business di citare in giudizio i governi che cercano di difendere i propri cittadini». Ovvero, «consentirebbe a una giuria formata da giuristi d’impresa che operano a porte chiuse di non tener conto della volontà del Parlamento e annullare le nostre protezioni legali». E ovviamente, «i difensori della nostra sovranità» (politici, governi, partiti) «non ci dicono nulla».