Archivio del Tag ‘giustizia’
-
Magaldi: Salvini e Meloni si decideranno a battersi per noi?
Salvini che sparacchia su Bruxelles ma poi incarica Giorgetti di correggere il tiro, e intanto (evidentemente mal consigliato) bacchetta le donne che scambierebbero l’aborto per un’alternativa alla contraccezione, giusto per deliziare gli antiabortisti cronici. La Meloni risponde da par suo: condanna il bieco Fiscal Compact ma al tempo stesso assolve il suo gemello, il pareggio di bilancio. Gli altri politici? Non pervenuti: quei temi, nemmeno li sfiorano per scherzo. In questo frangente si salva solo l’indifendibile, inesistente Renzi: almeno, ha il coraggio di puntare sulla prescrizione, come ciambella di salvataggio in un sistema-giustizia che impiega secoli per emettere una sentenza, spesso dopo aver messo alla gogna presunti colpevoli che poi si scoprono innocenti. Ma che razza di paese è mai questo? C’è qualcuno che ha idea di come si potrebbe pilotare l’Italia, nel 2020 e soprattutto nei prossimi anni, in base a una parvenza di disegno strategico? Pare di no, purtroppo: si vive solo alla giornata, rincorrendo effimeri consensi. E mentre Lega e Fratelli d’Italia colpiscono nel mucchio, senza un piano preordinato né una visione leggibile, il Pd si limita all’eterno ruolo di cameriere italiano dell’Ue, attorniato dal fantasma imbarazzante dei 5 Stelle: dopo aver tradito tutte le promesse, i grillini credono di cavarsela tagliando futuri parlamentari e attuali vitalizi.
-
Le altre foibe: furono i fascisti a inaugurare l’orrenda strage
Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.Dalle terre annesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale – cioè all’ampliamento ad est dei territori di Trieste e di Gorizia, all’Istria intera, alla provincia di Fiume detta del Quarnaro ed all’enclave dalmata di Zara – le violenze fasciste e la snazionalizzazione forzata costrinsero ad andarsene più di 80.000 sloveni, croati, tedeschi e ungheresi, ma anche alcune migliaia di italiani antifascisti. Nel 1939, un anno prima che l’Italia fosse gettata nella seconda guerra mondiale, le autorità fasciste della Venezia Giulia attuarono in segreto un censimento della popolazione di quelle terre annesse venti anni prima, accertando che in esse vivevano 607.000 persone, delle quali 265.000 italiani e cioè il 44%, e 342.000 slavi detti allogeni, ovvero il 56%. Una cifra notevole nonostante l’esodo degli ottantamila, nonostante che agli slavi fossero stati italianizzati i cognomi, fosse stato vietato di parlare la loro lingua, fossero state tolte le scuole e qualsiasi diritto nazionale.Nonostante le persecuzioni subite, nonostante che migliaia di loro fossero finiti nelle carceri o al confino, e che alcuni dei loro esponenti – Vladimir Gortan, Pino Tomazic ed altri – fossero stati fucilati in seguito a condanne del Tribunale speciale fascista oppure uccisi dalle squadre d’azione fasciste a Pola (Luigi Scalier), a Dignano (Pietro Benussi), a Buie (Papo), a Rovigno (Ive) e in altre località istriane. Emblematici di queste persecuzioni contro slavi e antifascisti italiani in Istria e Venezia Giulia sono i sistemi coercitivi per inviare i contadini al lavoro nelle miniere di carbone di Arsia-Albona dove, per duplicare la produzione senza però adeguate protezioni dei minatori sui posti di lavoro, nel 1938 ci fu una tragedia (allora taciuta dalla stampa) in cui persero la vita 180 minatori, lasciando oltre mille vedove ed orfani. Emblematica di quel periodo in Istria è anche una canzoncina cantata dei gerarchi che diceva: “A Pola xe l’Arena / la Foiba xe a Pisin: butaremo zo in quel fondo / chi ga certo morbin”. E alludendo alle foibe, un’altra poesiola minacciava chi si opponeva al regime: “… la pagherà / in fondo alla Foiba finir el dovarà”.Nell’aprile del Quarantuno, infine, si arrivò all’aggressione alla Jugoslavia senza dichiarazione di guerra, seguita dall’occupazione di larghe regioni della Slovenia e della Croazia, dall’intero Montenegro e del Kosovo, infine dall’annessione al Regno d’Italia di una grossa fetta della Slovenia ribattezzata Provincia di Lubiana, di una lunga fascia della costa croata che formò il Governatorato della Dalmazia con tre provincie da Zara fino alle Bocche di Cattaro, e la creazione della nuova provincia allargata di Fiume detta “Provincia del Quarnaro e dei Territori annessi della Kupa” comprendente tutta la parte montana della Croazia alle spalle del Quarnero più le isole di Veglia ed Arbe che si univano a quelle di Cherso e Lussino. Così l’Italia incorporò nel proprio territorio nazionale regioni abitate al 99% da sloveni e croati con una popolazione di oltre mezzo milione di persone che si aggiungevano al 342.000 “allogeni” già assoggettati all’Italia ed al fascismo italiano da due decenni. Il Montenegro intero fu trasformato a sua volta in un Governatorato italiano. Il Kosovo, territorio della Macedonia, fu annesso invece alla cosiddetta Grande Albania che già dal ’39 era una colonia dell’Italia.Le violenze contro i civili dei territori annessi o occupati furono compiuti in base a “una ben ponderata politica repressiva” come ci rivela una ben nota circolare del generale Roatta del marzo 1942 nella quale si legge: «Il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato nella formula dente per dente, ma bensì da quella testa per dente». A sua volta il generale Robotti, ordinando rastrellamenti a tappeto nel giugno e agosto 1942, indicava queste soluzioni alle truppe dell’XI Corpo d’Armata: «Internamento di tutti gli sloveni per rimpiazzarli con gli italiani» e per «far coincidere le frontiere razziali e politiche»: «Esecuzione di tutte le persone responsabili di attività comunista o sospettate tali». Infine, «Si ammazza troppo poco!». Mi limiterò a un piccolo territorio alle spalle di Fiume e ad un solo mese, luglio del 1942. Nelle borgate di Castua, Marcegli, Rubessi, Viskovo e Spincici furono incendiate centinaia di case e fucilate decine di persone come “avvertimento”. Nel Comune di Grobnik, il villaggio di Podhum fu completamente raso al suolo per ordine del prefetto Temistocle Testa.All’alba del 13 luglio, per “vendicare” due fascisti scomparsi il giorno prima da quel villaggio, furono dapprima saccheggiate e poi incendiate 484 case, portati via mille capi di bestiame grosso e 1300 pecore, deportati nei campi di concentramento in Italia 889 persone (412 bambini, 269 donne e 208 uomini anziani) e fucilate altre 108 persone. Uno sterminio. I fascisti italiani, passati al servizio del tedeschi dopo il settembre 1943, continuarono a battersi “per l’italianità” dei territori ceduti al Terzo Reich. Fra tanti sia ricordato l’episodio di Lipa (30 aprile 1944) dove 269 vecchi, donne e bambini sorpresi quel giorno in paese, furono sterminati: parte fucilati, parte rinchiusi in un edificio e dati alle fiamme. Di tali eccidi ce ne furono a centinaia in Istria, nel territorio quarnerino, in Slovenia, in Dalmazia, in Montenegro, ovunque arrivarono i militari fascisti e le altre formazioni inviate da Mussolini. Nei miei scritti ho documentato lo sterminio di 340.000 civili slavi fucilati e massacrati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre 1943 nel corso dei cosiddetti “rastrellamenti” ed operazioni di rappresaglia contro le forze partigiane insorte.Ho anche scritto, ma non sono stato il solo in Italia, di altri 100.000 civili montenegrini, croati e sloveni deportati nei capi di concentramento approntati dalla primavera all’estate del 1942 dall’esercito italiano per rinchiudervi vecchi, donne e bambini colpevoli unicamente di essere congiunti e parenti dei “ribelli”. In quei campi disseminati dalle isole di Molat e Rab/Arbe in Dalmazia fino a Gonars nel Friuli ed altri in tutto lo Stivale, morirono di fame, di stenti e di epidemie circa 16.000 persone nel giro di poco più di un anno di deportazione. Tutto questo viene taciuto nella Giornata del Ricordo che si celebra in Italia da una decina d’anni. Si ricordano soltanto le nostre perdite: il dolore dei nostri connazionali costretti a lasciare le terre concesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale, il dolore delle famiglie degli infoibati nel settembre 1943 in Istria e nel maggio 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito.È giusto, è doveroso ricordare foibe ed esodo, le nostre vittime, i nostri dolori, ma non si dovrebbero tacere il contesto storico, le colpe del fascismo che portarono alla sconfitta ed alla perdita di quelle regioni. Non si dovrebbero tacere o volutamente ignorare le vittime delle popolazioni slave oppresse, martoriate e decimate dapprima nel ventennio fascista in Istria ed a Zara, ma soprattutto nella seconda guerra mondiale. Sulla bilancia e nel contesto storico vanno messi, dunque, anche i dolori che noi abbiamo arrecato agli altri.(Giacomo Scotti, estratto dal’articolo “Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi”, apparso sul “Manifesto” il 5 febbraio 2014 e ora ripubblicato integralmente il 10 febbraio 2020, vista la sua scottante attuatità. Saggista e storico, da giovane antifascista emigrò in Istria e visse tra Pola e Fiume. Dal 1986 vive tra Italia e Croazia, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti).Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche». Dopo quel discorso, l’Istria fu messa a ferro e fuoco. Venti anni dopo quel discorso le truppe di Mussolini invasero Dalmazia, Slovenia e Montenegro, dando inizio a nuove stragi in nome della civiltà italiana.
-
Foibe a senso unico: così il Mago nasconde la verità storica
Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia entica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.Di foibe, come aperta minaccia terroristica, i primi a parlare furono proprio i fascisti. Ma è come se fosse vietato ricordarlo, oggi, mentre il paese commemora gli italiani atrocemente inghiottiti dalle cavità carsiche. Si dimentica regolarmente che quel massacro, per decenni oscurato, fu una vendetta: spaventosamente inaccettabile, ma pur sempre innescata da eventi predecenti, altrettanto abominevoli. Il periodo sembra particolarmente favorevole, per cancellare interi capitoli del passato. Oggi l’Unione Europea tenta di equiparare il comunismo al nazifascismo: pessima idea, secondo un storico come Alessandro Barbero. Mentre il fascismo durò vent’anni in Italia e il nazismo poco più di un decennio in Germania, la parola comunismo cominciò a risuonare nell’Ottocento come sinonimo di riscatto degli oppressi: 150 anni di speranze, in tutto il mondo, per lo più tradite in modo spietato dove il comunismo è andato al potere imponendo una feroce dittatura, ma comunque coltivate da milioni di persone, convinte di poter liberare l’umanità dalle catene dello sfruttamento. Sempre oggi, in modo sfrontato, Israele tenta di equiparare il virus razzista dell’antisemitismo alla semplice avversione per gli eccessi politici del sionismo, calpestando così anche i milioni di ebrei sterminati – in quanto ebrei, non sionisti – dal nazismo hitleriano, in quell’inarrivabile unicum nella storia umana che fu la lucida pianficazione dell’annientamento su base “razziale”.In un mondo in cui è “normale” che una superpotenza si permetta di assassinare impunemente un leader ostile in visita in un paese terzo, seppellendolo sotto una pioggia di missili, l’ultima cosa che può sorprendere è il coro nazionale italiano che, nel rendere giustamente omaggio alle vittime delle foibe titine, dimentica di interrogarsi sulle eventuali ragioni di quella tragedia: non certo per giustificarla, ovviamente, ma almeno per provare a decifrarne la genesi. La domanda mancante è quella fondamentale: perché. Nel suo studio sulla costante manipolazione della realtà, il simbologo Gianfranco Carpeoro mette a fuoco una dicotomia rivelatrice: da una parte quello che chiama “pensiero magico”, dall’altra il razionale “pensiero simbolico”. Carpeoro chiama “magico” il pensiero manipolatorio offerto dal “mago”, l’illusionista. La sua missione: indurre gli altri a fare quello che vuole lui, spiegando solo come farlo, e non anche perché. Al contrario, il “pensiero simbolico” costringe a domandarsi il perché di tutto. Come mai i partigiani di Tito gettarono nelle foibe migliaia di italiani in Istria e nella Venezia Giulia? Perché i titini erano mostri comunisti e slavi, cioè due volte cattivi. E’ imbarazzante il fatto che questa risposta – fornita dal “mago” – sia l’unica, oggi, in circolazione. Se non ci si vaccina, dal “pensiero magico”, domani colpirà ancora (non importa chi). E nessuno si accorgerà del trucco.(Giorgio Cattaneo, 17 febbraio 2020).Nella cosiddetta Giornata del Ricordo, l’Italia celebra la memoria dei connazionali massacrati da Tito alla fine della Seconda Guerra Mondiale: un debito storico, verso vittime che per decenni rimasero semplicemente innominabili. Nel clima della guerra fredda, l’ipocrisia generale “impediva” ai comunisti e ai governanti italiani di accusare le forze di Tito, responsabili di quella immane strage. In questo modo, migliaia di istriani e dalmati subirono una doppia ingiustizia: prima la feroce esecuzione, poi la condanna all’oblio. Oggi, la tardiva retromarcia sulla tragedia delle foibe finisce però per oscurarne le cause: l’italianizzazione forzata delle regioni slave a sud-est della Venezia Giulia cominciò vent’anni prima, su iniziativa del fascismo. Fu l’Italia mussoliniana ad avviare la pulizia etnica in Slovenia e Croazia, perseguitando e massacrando la popolazione autoctona. Se le squadracce fasciste seminarono subito il terrore e la strage in Istria e Dalmazia, la carneficina divenne spaventosa durante la Seconda Guerra Mondiale: furono 340.000 i civili slavi sterminati dall’aprile 1941 all’inizio di settembre del 1943, nel corso di rastrellamenti e fucilazioni. Operazioni di rappresaglia, contro gli inermi, per rispondere all’azione militare delle forze partigiane jugoslave.
-
Ti svuoto il conto, violando l’home banking su smartphone
Il primo pensiero, quando se ne sente parlare, è che a noi non capiterà mai. Eppure, con gli smartphone ormai diventati dei veri e propri terminali bancari, il rischio c’è. E per perdere i risparmi di una vita possono bastare poche ore. Lo scrive Stefano Galeotti sul “Fatto Quotidiano”, denunciando lo svuotamento improvviso dei conti correnti. Parla una delle vittime: «I soldi sono spariti tramite quattro bonifici, ordinati con causali fantasiose». E addio denaro: «Abbiamo provato a fare il richiamo delle operazioni, ma non è stato possibile». Il giorno dopo è scattata la denuncia alla polizia postale. Il verdetto: vittime di “sim swap”. È una tipologia di frode informatica articolata in vari passaggi, spiega Marcello La Bella, dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, che nel 2018 ha compiuto la prima operazione in Italia contro questo tipo di truffa, con 13 persone arrestate e un bottino totale di oltre 600.000 euro. «Una volta individuata la vittima si procede all’acquisizione delle credenziali di home banking tramite tecniche di hacking. Poi, utilizzando documenti falsi, si sostituisce la sim card della vittima e, attraverso lo stesso numero telefonico, si ottengono dalla banca le credenziali per operare sul conto corrente online».La pericolosità di questa truffa, aggiunge il “Fatto”, sta nel superamento del secondo fattore di autenticazione, di recente legato al numero di telefono: «Il cellulare viene identificato con la sim, e chi ne entra fisicamente in possesso ha un grande vantaggio», rivela Stefano Zanero, docente di elettronica al Politecnico di Milano ed esperto di cyber-sicurezza: « Il numero di telefono infatti è anche il canale di comunicazione utilizzato dalle banche per notificare i movimenti e per fare eventuali controlli di sicurezza. In questo caso però messaggi e chiamate di verifica arrivano a chi sta commettendo il reato». I guai cominciano con l’assenza di segnale sul telefono. «Da Tim ci rassicurano, dicono che si tratta di un errore nella configurazione», racconta uno dei derubati: «Consigliano di spegnere e riaccendere il telefono, di farlo più volte». Ma è inutile: ormai quel numero è collegato a una sim che sta nelle mani del truffatore. Agli operatori, le vittime raccontano: «Lo stesso giorno abbiamo ricevuto un messaggio che confermava l’avvenuta disattivazione della sim, da noi però mai richiesta». Nel pomeriggio, la Tim conferma: alle 10 del mattino la sim era stata sospesa per furto e smarrimento e poi, in un altro centro, era stato fatto un duplicato della scheda.Le ore trascorse, continua il “Fatto”, hanno permesso a chi ha rubato la sim di utilizzare il numero di telefono per effettuare bonifici, verosimilmente istantanei, e svuotare completamente il conto. Recuperare il maltolto, almeno in parte? Su questa materia regna il caos, e la lentezza della giustizia italiana non aiuta. «Questa truffa informatica – scrive il quotidiano – è strettamente legata alla recente entrata in vigore di una direttiva europea dedicata ai servizi di pagamento digitali, la “Psd2”, Payment Services Directive 2, che ha reso necessario un doppio fattore di autenticazione, in aggiunta a username e password dell’internet banking, legato al contenuto dell’operazione». Per sostituire i vecchi “token” fisici, quasi tutti gli istituti bancari hanno deciso di puntare sull’autenticazione tramite un’applicazione su smartphone. L’introduzione di un passaggio ulteriore ha aumentato il livello di sicurezza complessivo, ma espone a un altro tipo di rischio: «Chi entra in possesso della sim – dice il professor Zanero – ottiene l’accesso a tutte le comunicazioni legate ai pagamenti». Ovvero: «Nel caso di un’operazione sospetta, come un bonifico molto consistente, la banca manda un sms al cliente per verificare che tutto sia regolare. Con l’attacco di sim swap, l’avviso arriva a chi ha rubato la sim. E se l’utente ha già presentato login e password corretti, il secondo fattore e anche il codice contenuto nel messaggio di avviso, è difficile dubitare della sua identità».Insomma, le banche non possono farci granché, se non insistere con gli operatori telefonici per ottenere un cambiamento nelle procedure di duplicazione della sim: «Negli Stati Uniti, dove questa truffa è molto diffusa già da qualche anno, i clienti che si sentono a rischio possono chiedere al proprio operatore di non rilasciare duplicati della sim in centri servizi standard», dice ancora Zanero. «Questo passaggio è scomodo quando capita di perdere per davvero la sim, ma forse è il momento di rivalutarlo vista la crescita di questo tipo di truffe». Il punto di partenza rimane in ogni caso il furto delle credenziali di home banking, che nella grande maggioranza dei casi avviene tramite il cosiddetto phishing: «Il caso classico è una mail che sembra provenire dalla nostra banca. All’interno, con tecniche di inganno differenti, ci viene chiesto di inserire le nostre credenziali, magari tramite il link a un sito che presenta la stessa interfaccia di quello della nostra banca, ma che in realtà è un falso». Inserendo il codice utente e la password, stiamo regalando le chiavi di accesso del nostro conto online. E questo rende pressoché impossibile indurre la banca a restituire il denaro. Mai aprire quei link, ovviamente. Altro consiglio, aggiornare il sistema operativo dei dispositivi cui cui operiamo: «Molti attacchi avvengono tramite l’installazione di malware sul pc, e questo spesso accade perché non abbiamo aggiornato il sistema operativo e i browser con cui navighiamo».Il primo pensiero, quando se ne sente parlare, è che a noi non capiterà mai. Eppure, con gli smartphone ormai diventati dei veri e propri terminali bancari, il rischio c’è. E per perdere i risparmi di una vita possono bastare poche ore. Lo scrive Stefano Galeotti sul “Fatto Quotidiano”, denunciando lo svuotamento improvviso dei conti correnti. Parla una delle vittime: «I soldi sono spariti tramite quattro bonifici, ordinati con causali fantasiose». E addio denaro: «Abbiamo provato a fare il richiamo delle operazioni, ma non è stato possibile». Il giorno dopo è scattata la denuncia alla polizia postale. Il verdetto: vittime di “sim swap”. È una tipologia di frode informatica articolata in vari passaggi, spiega Marcello La Bella, dirigente della polizia postale della Sicilia Orientale, che nel 2018 ha compiuto la prima operazione in Italia contro questo tipo di truffa, con 13 persone arrestate e un bottino totale di oltre 600.000 euro. «Una volta individuata la vittima si procede all’acquisizione delle credenziali di home banking tramite tecniche di hacking. Poi, utilizzando documenti falsi, si sostituisce la sim card della vittima e, attraverso lo stesso numero telefonico, si ottengono dalla banca le credenziali per operare sul conto corrente online».
-
L’Iran: perché noi sciiti detestiamo l’Occidente, che ci odia
L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.Personalmente, ho percorso questa strada della conoscenza fin dalla fine degli anni ’90 e sono ancora solo uno umile studente. Nello spirito di un primo approccio, per iniziare un dibattito informato Est-Ovest su un importante problema culturale, in Occidente totalmente accantonato o affogato in uno tsunami di propaganda, ho chiesto a tre validissimi studiosi quali fossero le loro prime impressioni. Questi sono: il professor Mohammad Marandi, dell’Università di Teheran, esperto di orientalismo; Arash Najaf-Zadeh, che scrive sotto lo pseudonimo di Blake Archer Williams ed è esperto di teologia sciita, e la coltissima principessa Vittoria Alliata, siciliana, tra le migliori islamiste italiane e autrice, tra le altre cose, di libri come l’incantevole “Harem”, che descrive in dettaglio i suoi viaggi in terra araba. Due settimane fa sono stato ospite della principessa Vittoria a Villa Valguarnera in Sicilia. C’eravamo immersi in una lunga ed avvincente discussione geopolitica, in cui uno dei temi chiave era stato lo scontro Usa-Iran, solo poche ore prima che un attacco di droni all’aeroporto di Baghdad uccidesse i due principali combattenti sciiti nella vera guerra al terrorismo dell’Isis/Daesh e di al-Qaeda/al-Nusra: il maggiore generale iraniano Qāsem Soleymānī e l’iracheno Hashd al-Shaabi, il braccio destro di Abu Mahdi al-Muhandis.Il professor Marandi fornisce una spiegazione sintetica: «L’odio irrazionale americano nei confronti dello Sciismo deriva dalla sua forte propensione a resistere all’ingiustizia: la storia di Karbala e Imam Hussein e lo sforzo sciita nel proteggere e difendere gli oppressi e lottare contro l’oppressore. Questo è qualcosa che gli Stati Uniti e le potenze egemoniche occidentali non riescono assolutamente a tollerare». Blake Archer Williams mi ha inviato una risposta che ho pubblicato come pezzo originale. Questo passaggio, che sviluppa il concetto di sacralità, sottolinea chiaramente l’abisso che separa il concetto sciita di martirio dal relativismo culturale occidentale: «Non c’è niente di più glorioso, per un musulmano, che raggiungere il martirio mentre combatte nel nome di Dio. Il generale Qāsem Soleymānī ha combattuto per molti anni con l’obiettivo di risvegliare il popolo iracheno e indurlo a riprendere nelle proprie mani il timone del destino del paese. Il voto del Parlamento iracheno ha dimostrato che il suo obiettivo è stato raggiunto. Il suo corpo ci è stato portato via, ma il suo spirito è stato amplificato mille volte e il suo martirio ha fatto sì che i frammenti della sua luce benedetta arrivassero ai cuori e alle menti di ogni uomo, donna e bambino mussulmano, immunizzandoli dal mortifero cancro dei relativisti culturali del diabolico Novus Ordo Seclorum».Un punto da chiarire: Novus Ordo Seclorum, o Saeculorum, significa “nuovo ordine dei secoli” e deriva da un famoso poema di Virgilio che, nel medioevo, era considerato dai cristiani la profezia della venuta di Cristo. Su questo punto, Williams ha risposto che «mentre questo significato etimologico della frase è vero e rimane valido, la frase era stata usata da George Bush figlio per caratterizzare la cabala globalista del Nuovo Ordine Mondiale, ed è questo il senso che è attualmente predominante». La principessa Vittoria preferirebbe centrare il dibattito sull’indiscutibile atteggiamento americano nei confronti del Wahhabismo: «Non credo che tutto ciò abbia a che fare con l’odiare o l’ignorare lo Sciismo. Dopotutto, l’Aga Khan è molto ben integrato nella sicurezza degli Stati Uniti, una sorta di Dalai Lama del mondo islamico. Credo che l’influenza satanica derivi dal Wahhabismo e dai reali sauditi, che, per tutti i Sunniti del mondo, sono molto più eretici degli Sciiti, ma che, per i governanti statunitensi, sono l’unico contatto con l’Islam. I sauditi hanno dapprima finanziato la maggior parte degli omicidi e delle guerre della Fratellanza Islamica, poi le altre forme di Salafismo, tutte incentrate su una base wahhabita».Quindi, continua la principessa Vittoria, «non proverei tanto a spiegare lo Sciismo, quanto il Wahhabismo e le sue devastanti conseguenze: ha dato origine a tutte le forme di estremismo, al revisionismo, all’ateismo, alla distruzione dei santuari e dei leader Sufi in tutto il mondo islamico. E ovviamente, il Wahhabismo è molto vicino al Sionismo. Ci sono anche ricercatori che hanno prodotto documenti secondo cui Casa Saud sarebbe una tribù Dunmeh di ebrei convertiti e scacciati da Medina dal Profeta, dopo che avevano tentato di ucciderlo, nonostante avessero firmato un trattato di pace». La principessa Vittoria sottolinea anche il fatto che «la Rivoluzione Iraniana e i gruppi sciiti in Medio Oriente sono oggi l’unica forza di successo in grado di resistere agli Stati Uniti, e questo li fa odiare più degli altri. Ma solo dopo che tutti gli altri avversari sunniti sono stati eliminati, uccisi, terrorizzati (basti pensare all’Algeria, ma ci sono dozzine di altri esempi) o corrotti. Questa ovviamente non è solo la mia opinione, ma quella della maggior parte degli islamologi di oggi».Essendo al corrente delle ampie conoscenze di Williams sulla teologia sciita e della sua padronanza della filosofia occidentale, l’ho spinto, letteralmente, a “cercare la giugulare”. E mi ha risposto: «La domanda sul perché i politici americani non siano in grado di comprendere l’Islam sciita (o l’Islam in generale) è semplice: lo sfrenato capitalismo neoliberista ingenera l’oligarchia, e gli oligarchi ‘selezionano’ i candidati che rappresentano i loro interessi prima ancora che vengano ‘eletti’ dalle masse ignoranti. Eccezioni populiste come Trump, di tanto in tanto, filtrano tra le maglie della rete (o non ci riescono, come nel caso di Ross Perot, che si era ritirato sotto coercizione), ma anche Trump è stato poi messo sotto controllo dagli oligarchi attraverso minacce di impeachment, ecc. Quindi, il ruolo dei politici nelle democrazie non sembra essere quello di cercare di capirci qualcosa, ma, semplicemente, quello di portare a termine l’agenda delle élite che li controllano». “L’attacco alla giugulare” di Williams è un saggio lungo e complesso che mi piacerebbe pubblicare per intero solo quando il nostro dibattito si sarà approfondito, insieme a possibili confutazioni.Per riassumerlo, Williams delinea e discute le due principali tendenze della filosofia occidentale: i dogmatici contrapposti agli scettici. Spiega come «la santa trinità del mondo antico fosse, in effetti, la seconda ondata dei dogmatici che cercavano di salvare le città-Stato della Grecia e, più in generale, il mondo greco dalla decadenza dei sofisti», approfondisce il concetto di “terza ondata di scetticismo” che era iniziata con il Rinascimento e aveva raggiunto il culmine nel 17° secolo con Montaigne e Cartesio, e poi traccia connessioni «con l’Islam sciita e l’incapacità dell’Occidente di comprenderlo». E questo lo porta al “nocciolo della questione”: «Una terza opzione e un terzo flusso intellettuale su e al di sopra dei dogmatici e degli scettici: questa è la posizione degli studiosi di religione sciiti tradizionali (non quelli di indirizzo filosofico)». Ora confrontatelo con l’ultimo sforzo degli scettici, «come ammette lo stesso Cartesio quando parla del ’demone’ che gli era apparso in sogno e che lo aveva indotto a scrivere il “Discorso sul metodo” (1637) e “Meditazioni sulla prima filosofia” (1641).L’Occidente si sta ancora riprendendo dal colpo, e sembra che abbia deciso di mettere da parte i trampoli della ragione e dei sensi (che Kant aveva cercato invano di conciliare, rendendo le cose mille volte peggiori, più contorte e circonvolute) e voglia sguazzare in quella forma auto-congratulativa di irrazionalismo nota come postmodernismo, che dovrebbe essere giustamente chiamato ultra-modernismo o iper-modernismo, dal momento che non è meno radicato nella ‘svolta soggettiva’ cartesiana e nella ‘rivoluzione copernicana’ kantiana di quanto non lo fossero i primi moderni e i moderni veri e propri». Per riassumere un accostamento piuttosto complesso, «tutto ciò significa che le due civiltà hanno due visioni completamente diverse di quello che dovrebbe essere l’ordine mondiale. L’Iran crede che l’ordine del mondo dovrebbe essere quello che è sempre stato e che attualmente è nella realtà, che ci piaccia o no o che crediamo, o meno, nella realtà (come alcuni in Occidente non fanno). E l’Occidente secolarizzato crede in un nuovo ordine mondiale (contrapposto ad un ordine mondiale o divino). E quindi non è tanto uno scontro di civiltà quanto uno scontro di sacro contro profano, con gli elementi profani di entrambe le civiltà schierati contro le forze sacre di entrambe le civiltà. È lo scontro del sacro ordine di giustizia con l’ordine profano dello sfruttamento dell’uomo da parte dei suoi simili; [è lo scontro] della profanazione della giustizia di Dio per il beneficio (a breve termine o di questo mondo) dei ribelli rispetto alla giustizia di Dio».Williams fornisce un esempio concreto per illustrare questi concetti astratti: «Il problema è che anche se tutti sanno che lo sfruttamento del Terzo Mondo nel 19° e nel 20° secolo da parte delle potenze occidentali era stato ingiusto e immorale, questo stesso sfruttamento continua ancora oggi. Il persistere di questa vergognosa ingiustizia è la ragione principale delle differenze esistenti tra Iran e Stati Uniti, che continueranno inevitabilmente finché gli Stati Uniti insisteranno nelle loro politiche di sfruttamento e fintanto che continueranno a proteggere i loro governi di occupazione, che riescono a sopravvivere contro la schiacciante volontà dei loro cittadini solo grazie alla ingombrante presenza delle forze statunitensi che li sostengono affinché possano continuare a servire gli interessi americani piuttosto che quelli delle loro popolazioni. È una guerra spirituale per il trionfo della giustizia e dell’autonomia nel Terzo Mondo. L’Occidente può continuare ad apparire bello ai propri occhi perché controlla tutta la messa in scena (del discorso mondiale), ma la sua immagine reale è evidente a tutti, anche se l’Occidente continua a vedersi come il Dorian Gray del romanzo di Oscar Wilde: una persona giovane e bella i cui peccati si riflettevano solo nel suo ritratto. Così, il ritratto riflette la realtà che il Terzo Mondo vede ogni giorno, mentre il Dorian Gray occidentale si vede come viene rappresentato dalla Cnn, dalla Bbc e dal “New York Times”».«L’imperialismo dell’Occidente in Asia occidentale è di solito simboleggiato dalla guerra di Napoleone Bonaparte contro gli Ottomani in Egitto e in Siria (1798-1801). Sin dall’inizio del 19° secolo, l’Occidente ha succhiato la vena giugulare del corpo politico musulmano come un vero vampiro, mai sazio di sangue musulmano, che si rifiuta di lasciare il corpo. Dal 1979, l’Iran, che ha sempre avuto il ruolo di leader intellettuale del mondo islamico, si è ribellato per porre fine a questo oltraggio contro la legge e la volontà di Dio e contro ogni decenza. Si tratta quindi del processo di revisione di una visione falsa e distorta della realtà per ritornare a ciò che la realtà è e dovrebbe effettivamente essere: un ordine giusto. Ma questa revisione è ostacolata sia dal fatto che i vampiri controllano la rappresentazione della realtà, sia dall’inettitudine degli intellettuali musulmani e dalla loro incapacità di comprendere anche solo i rudimenti della storia del pensiero occidentale, nel suo periodo antico, medievale e moderno».C’è una possibilità di distruggere tutta questa messa in scena? Forse: «Quello che deve succedere è il passaggio dell’autocoscienza mondiale dal paradigma in cui le persone credono che un pazzo come Pompeo e un buffone come Trump rappresentino l’essenza della normalità, ad un paradigma in cui le persone vedano Pompeo e Trump solo come un paio di gangster che fanno tutto ciò che vogliono, non importa quanto disgustoso e depravato, in completa e totale impunità. E questo è un processo di revisione ed un processo di risveglio verso un nuovo e più alto stato di coscienza politica. È un processo di rigetto del paradigma dominante e di unione all’Asse della Resistenza, il cui leader militare era il generale martire Qāsem Soleymānī. Non da ultimo, [questo processo] comporta il rifiuto dell’assurdo concetto di verità relativa (ed anche della relatività del tempo e dello spazio, scusaci Einstein), l’abbandono dell’assurda e nichilista filosofia dell’umanesimo, e il risveglio alla realtà dell’esistenza di un Creatore e del suo ruolo di comando. Ma, ovviamente, questo è troppo per la mentalità moderna, così illuminata da sapere tutto». Eccoci qua. E questo è solo l’inizio. Commenti pro e contro sono i benvenuti. Date una voce a tutte le anime bene informate: il dibattito è aperto.(Pepe Escobar, “Le radici della demonizzazione dell’Islam sciita da parte dell’America”, da “Unz.com” del 17 gennaio 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).L’uccisione con un drone del maggiore generale Qāsem Soleymānī da parte degli Stati Uniti, insieme ad un fiume di cruciali ramificazioni geopolitiche, porta ancora una volta al centro dell’attenzione una verità abbastanza scomoda: l’incapacità congenita delle cosiddette élite statunitensi anche solo di tentare di comprendere lo Sciismo, e la sua costante demonizzazione, avvilente non solo per gli Sciiti ma anche per i governi guidati dagli Sciiti. Washington aveva iniziato la Lunga Guerra ancor prima che il concetto fosse reso popolare dal Pentagono nel 2001, subito dopo l’11 settembre: è la Lunga Guerra contro l’Iran. Era iniziata nel 1953, con il colpo di Stato contro il governo democraticamente eletto di Mosaddegh, sostituito dalla dittatura dello Shah. L’intero processo aveva raggiunto l’apice più di 40 anni, fa quando la Rivoluzione Islamica aveva messo fine ai bei vecchi tempi della Guerra Fredda, epoca in cui lo Scià ricopriva il ruolo di “gendarme privilegiato del Golfo (Persico)” americano. Comunque, tutto questo va ben oltre la geopolitica. Non c’è assolutamente alcun modo, per chiunque, di riuscire a cogliere le complessità e il favore popolare dello Sciismo senza prima una seria ricerca accademica, integrata da visite a siti sacri selezionati in tutto il sud-ovest asiatico: Najaf, Karbala, Mashhad, Qom e il santuario di Sayyida Zeinab vicino a Damasco.
-
Greta, Sala e Salvini: Trio-Apocalisse della neo-Inquisizione
Vietato respirare, senza il permesso dell’autorità. Nel 2020, due politici italiani gareggiano nel nuovissimo sport: il sindaco di Milano declassa il fumatore al rango di quasi-delinquente, mentre il capo della Lega dà dello spacciatore al ragazzo della porta accanto. Due pagine eroiche della nuova politica italiana che riscrive le leggi in giornata, a colpi di sondaggi, calpestando diritti e libertà. Due crociate – contro la sigaretta e “la droga” – che si trasformano in capitoli della nuova Inquisizione. Bersaglio: il cittadino, un tempo convinto di essere tutelato dall’ordinamento repubblicano. «Il problema di Palermo è il traffico», dice Benigni nel film “Johnny Stecchino”. Per Sala, analogamente, sono i fumatori a rendere irrespirabile l’aria di Milano. Su “Libero”, Vittorio Feltri lo smonta in tre parole: «Prima di vietare il fumo, si spengano le caldaie che soffocano la cittadinanza e impongono il blocco della circolazione solo d’inverno: infatti, quando in primavera si fermano, lo smog non c’è più». Quanto a Salvini, che a Bologna citofona a un giovane tunisino chiedendogli se è vero che sia uno spacciatore, «il gesto è così paradossale che conviene persino augurarsi che quel ragazzo sia davvero uno spacciatore, perché ormai la citofonata rende inutile la verità».Lo afferma Vincenzo Muscatiello, docente di diritto penale all’università di Bari, intervistato dal “Sole 24 Ore”: quel gesto, dice il professore, ha travolto i principi della nostra civiltà. Diffamazione, calunnia, violazione della privacy? «Quello che colpisce – afferma Muscatiello – è l’inutilità giuridica di un gesto che, nella “costruzione del nemico”, contiene l’indifferenza al vero e al giusto, e soprattutto l’idea, spesse volte ripetuta, che la sanzione mediatica debba abitare forme sbrigative e superficiali, aperte al pregiudizio, chiuse alle prove contrarie». Se a Bologna il nemico è “lo spacciatore” (vero, presunto o immaginario, non importa), a Milano il nuovo pericolo pubblico è il fumatore, cui si vieta di accendere sigarette all’aperto, per ora solo nei luoghi affollati. “Greta colpisce ancora”, verrebbe da dire, considerando il gretinismo mediatico universale che ormai attribuisce solo all’uomo la responsabilità del surriscaldamento terrestre, in barba alla storia del pianeta (glaciazioni e periodi torridi) e ignorando gli scienziati che, a centinaia, ripetono che i modelli matematici su cui si basa il neo-millenarismo gretino sono pieni di falle, non superando mai i limiti di una climatologia solo teorica. Ma il punto è un altro: a chi importa, la verità?Il messaggio è inequivocabile: siamo colpevoli. Noi, non i grandi avvelenatori. Noi fumatori, noi cittadini: tutti. E’ un atto di dolore, quello che si pretende: un atto medievale di sottomissione. Non importa se Greta è un idolo delle Sardine, se il rude securitario Salvini è la loro bestia nera, e se Sala (in quota al formidabile Pd) passa per governatore progressista e illuminato. Tutti e tre fanno lo stesso mestiere, e in fondo stanno dalla stessa parte: grazie a loro siamo tutti virtuali colpevoli, anziché presunti innocenti. Greta, Sala e Salvini compiono la stessa operazione: pescano a piene mani in materie complesse e utilizzano vere e proprie tragedie, proponendo non-soluzioni immediate e illusorie, ingiuste e grottesche. Il risultato è identico: vessazioni, per tutti. Nessuno può più sentirsi al sicuro. Altro vantaggio: ancora una volta, il polverone consente di eludere i problemi, quelli veri. E’ il massimo dell’ipocrisia: si condanna senza processo il fumatore (di sigarette o cannabis, a questo punto è uguale) mentre si impongono vaccini polivalenti in batteria, senza spiegarne la necessità né dimostrarne la sicurezza. E si tace sull’allarme medico-scientifico per la diffusione ormai incombente del wireless 5G. Il giorno che Greta, Sala e Salvini si metteranno a parlare di vaccini e 5G, allora saranno più credibili.Vietato respirare, senza il permesso dell’autorità. Nel 2020, due politici italiani gareggiano nel nuovissimo sport: il sindaco di Milano declassa il fumatore al rango di quasi-delinquente, mentre il capo della Lega dà dello spacciatore al ragazzo della porta accanto. Due pagine eroiche della nuova politica italiana che riscrive le leggi in giornata, a colpi di sondaggi, calpestando diritti e libertà. Due crociate – contro la sigaretta e “la droga” – che si trasformano in caposaldi della nuova Inquisizione. Bersaglio: il cittadino, un tempo convinto di essere tutelato dall’ordinamento repubblicano. «Il problema di Palermo è il traffico», dice Benigni nel film “Johnny Stecchino”. Per Sala, analogamente, sono i fumatori a rendere irrespirabile l’aria di Milano. Su “Libero“, Vittorio Feltri lo smonta in tre parole: «Prima di vietare il fumo, si spengano le caldaie che soffocano la cittadinanza e impongono il blocco della circolazione solo d’inverno: infatti, quando in primavera si fermano, lo smog non c’è più». Quanto a Salvini, che a Bologna citofona a un giovane tunisino chiedendogli se è vero che sia uno spacciatore, «il gesto è così paradossale che conviene persino augurarsi che quel ragazzo sia davvero uno spacciatore, perché ormai la citofonata rende inutile la verità».
-
La Cupola ha in mano il governo. Ma l’alternativa dov’è?
Ma davvero vi aspettavate che la Corte costituzionale desse il via libera al referendum promosso dalla Lega? Ma in che mondo vivete, conoscete le biografie dei giudici costituzionali, chi li ha voluti lì, e più in generale conoscete le leggi inesorabili del potere, il loro reciproco sostegno? E la stessa cosa vale per la decisione della Cassazione in merito alla questione Carola Rackete; pensavate davvero che accadesse il contrario? Per anni siamo stati abituati a considerare chi è al potere come la Casta. È tempo di fare un salto di qualità e considerare che il potere è oggi piuttosto la Cupola. La casta riguardava solo i privilegi, la Cupola è un assetto di potere interdipendente e non espugnabile in modo fortuito. La cupola è una struttura sovrastante che non accetta né immissioni di estranei, né circolazione delle classi dirigenti, né il minimo cedimento dei suoi assetti consolidati. I suoi metodi e i suoi scopi sono finalizzati alla pura conservazione del potere, allo scambio di favori tra poteri, all’associazione di scopo finalizzata al reciproco sostegno. Quello che il popolino al sud sintetizzava nella formula “mantienimi-che-ti-mantengo”, ossia uno regge l’altro ed ambedue impediscono l’accesso di estranei, outsider.
-
Della Luna: addio politica, video e web ci hanno disabilitati
In principio era la fiducia: la fiducia nel progresso, nella giustizia, nella democrazia, nella società liberale aperta, nel benessere garantito, nella crescita illimitata. «Col benessere venne la società huxleyana, del piacere, del divertimento, del consumismo, della droga popolare, dei diritti inflazionati, del rilassamento, in cui si assopirono la coscienza di classe, la vigilanza razionale, la partecipazione attiva, perché si evitava tutto ciò che non diverte e che responsabilizza, rendendo così superfluo il controllo dell’informazione». Avanti così, fino a quando le masse non persero la loro rilevanza economica, quindi il loro potere di contrattazione: Marco Della Luna lo spiega nel suo “Oligarchia per popoli superflui”, rieditato nel 2018 da Aurora Boreale. Le minoranze «leggenti e pensanti», secondo Della Luna, persero anche «la capacità psichica di essere un soggetto politico pro-attivo». Allora, il “sogno huxleyano” basato «sulle gratificazioni rimbecillenti che creano consenso sociale» ha iniziato a offuscarsi e trasformarsi in incubo orwelliano, «basato sulla paura e sulla rabbia che fanno accettare tutto». La trasformazione «è iniziata con le grandi angosce lanciate dai media su terrorismo globale, disastri finanziari, crolli economici, sovraindebitamenti e crisi climatiche, esaurimento delle risorse, precarietà irreversibile».Questa crisi, prosegue Della Luna sul suo blog, è passata per le grandi privatizzazioni, le cessioni di sovranità statale e l’imposizione del pensiero unico, fino ad arrivare alla società tecno-controllata e tecno-macellata (cominciando con la Grecia) da un’oligarchia globale che sta dietro a primedonne come Angela Merkel e Ursula von der Leyen, Christine Lagarde e Hillary Clinton, senza trascurare Emmanuel Macron. «Un’oligarchia che mostra esattamente i tratti psicologici e comportamentali dei signori della villa nel film “Salò, o le centoventi giornate di Sodoma”, ultima opera di Pier Paolo Pasolini». In quell’affresco spaventoso, l’autore «non descriveva le gesta trascorse di alcuni perversi gerarchi fascisti», ma di fatto «ci preavvertiva del tipo di sistema politico a cui eravamo portati e in cui adesso siamo arrivati». Studi sociologici e psicologici hanno messo a fuoco il progressivo scadimento delle facoltà psichiche prodotto dalla “fase huxleyana” anche sulla minoranza leggente-pensante, «ossia su quel 3 o 4% della società che si informa e riflette sul ‘mondo’ studiando e discutendo la saggistica, anziché recepire passivamente quel che passano i mass media», cioè su quell’aliquota del corpo sociale che genera i mutamenti culturali.Ben prima del dilagare dello smartphone, Marshall McLuhan osservava “il mezzo è il messaggio”: oggi, ormai, il mezzo riforma anche la psiche, sostiene Della Luna. Con l’avvento della televisione (e poi dei video su web, scapito della lettura) si punta sulle emozioni per catturare l’attenzione, «ricorrendo al sensazionalismo, alla rapida successione, all’estrema semplificazione, ai dibattiti superficiali e contumeliosi», Si evita come la peste qualsiasi possibilità di approfondimento: la complessità è nemica dell’audience. E i risultati sono catastrofici: «Rispetto all’era della lettura, il ricevere passivamente lasciando guidare la propria attenzione ha atrofizzato la capacità di attenzione selettiva, volontaria, autoimposta», scrive Della Luna. «E lo spettacolarismo emotigeno ha avvezzato a non usare e non sviluppare la riflessione, il ragionamento, il dubbio critico, la verificazione, la contestualizzazione, il confronto». La stimolazione neurofisiologica del monitor «porta nei fanciulli a un indebolimento delle facoltà cognitive e mnemoniche». E se la televisione commerciale ha massimizzato la superficialità, i media cartacei l’hanno rincorsa. Risultato: il video impigrisce il cervello e atrofizza la capacità di analisi.A un livello superiore, osserva Della Luna, si indebolisce la facoltà – esclusiva dell’uomo – di discorrere di se stesso, del proprio pensiero, del proprio dire e rappresentare. «Buona parte della minoranza leggente e pensante è finita sotto questi effetti della televisione, assimilando il modo distorto, impoverito e frammentato di percepire il mondo, a cui essa educa; e in tal modo ha perso buona parte del suo potenziale critico-creativo dei modelli socio-culturali. E’ stata politicamente neutralizzata attraverso i suoi canali emotivi». E’ stata una rivoluzione antropologica, in sostanza, che «ha cambiato il sistema, ha destrutturato l’opinione pubblica e i comportamenti politici». Dalla dissoluzione della sintassi del pensiero siamo arricati a dissolvere «la sintassi della socialità», dopo decenni di sovraesposizione totalizzante al dominio del video. Tutto questo, sempre secondo Della Luna, ormai «rende semplicemente impossibile l’esistenza di un’opinione pubblica informata e ragionante, quindi di una partecipazione o anche una consapevolezza dal basso rispetto alle “policies” del potere».Contrariamente alle ottimistiche previsioni di qualcuno, «Internet non ha affatto prevenuto la disinformazione e il degrado cognitivo di massa». E quindi «non ha avuto un effetto ‘democratizzante’». Tutt’altro: «Fornisce potentissimi strumenti di disinformazione, manipolazione e profilazione, oltre a compromettere ulteriormente le funzioni psichiche», tanto che si configura in sindrome patologica. Lo psichiatra Manfred Spitzer (Garzanti, 2013) la chiama “Demenza digitale”. In conclusione: per Della Luna non siamo solo di fronte alla fine della politica pubblica, ma proprio «alla fine della possibilità a priori della politica pubblica». Da un lato, il super-potere effettivo, che opera in condizioni di assoluto isolamento tecnocratico, «non lascia più uno spazio decisionale effettivo a una politica pubblica, a porte aperte». Dall’altro, purtroppo, è venuto meno un soggetto pubblico a cui rivolgersi, per cambiare la governance. L’opinione pubblica è stata sostituita da un’audience anonima, intrattenuta da quella che sembra «una compagnia di teatranti della politica, sostanzialmente uomini di spettacolo», personaggi «seguiti per le loro capacità comunicative, concentrati sui sondaggi e sull’immagine, privi di reale competenza». Di fatto, «soggetti a rapida obsolescenza».In principio era la fiducia: la fiducia nel progresso, nella giustizia, nella democrazia, nella società liberale aperta, nel benessere garantito, nella crescita illimitata. «Col benessere venne la società huxleyana, del piacere, del divertimento, del consumismo, della droga popolare, dei diritti inflazionati, del rilassamento, in cui si assopirono la coscienza di classe, la vigilanza razionale, la partecipazione attiva, perché si evitava tutto ciò che non diverte e che responsabilizza, rendendo così superfluo il controllo dell’informazione». Avanti così, fino a quando le masse non persero la loro rilevanza economica, quindi il loro potere di contrattazione: Marco Della Luna lo spiega nel suo “Oligarchia per popoli superflui”, rieditato nel 2018 da Aurora Boreale. Le minoranze «leggenti e pensanti», secondo Della Luna, persero anche «la capacità psichica di essere un soggetto politico pro-attivo». Allora, il “sogno huxleyano” basato «sulle gratificazioni rimbecillenti che creano consenso sociale» ha iniziato a offuscarsi e trasformarsi in incubo orwelliano, «basato sulla paura e sulla rabbia che fanno accettare tutto». La trasformazione «è iniziata con le grandi angosce lanciate dai media su terrorismo globale, disastri finanziari, crolli economici, sovraindebitamenti e crisi climatiche, esaurimento delle risorse, precarietà irreversibile».
-
Il coraggio civile di Pansa e l’omertà mafiosa che lo silenziò
Appena è morto, è cominciata la pansectomia; hanno fatto a pezzi Giampaolo Pansa, salvando il giornalista buono dallo storico cattivo. Ovvero il giornalista di sinistra dallo storico revisionista, che scopre gli orrori compiuti dalla Resistenza nel nome dell’antifascismo. Ma Pansa è stato l’uno e l’altro, e non si può cancellare l’uno per salvare l’altro, e questa la sua originalità e la sua forza. Pansa portò a fondo quel che Giorgio Bocca non ebbe il coraggio di fare. Anche lui, prima di lui, benché partigiano dei monti, ebbe un periodo revisionista nei primi anni Ottanta, scrisse di Mussolini socialfascista, rivide alcuni suoi giudizi d’epoca, dialogò con gente di destra, persino con Giorgio Almirante. Ma presto tornò all’ovile della Repubblica antifascista, anche per farsi perdonare la sua gioventù da fascista sfegatato. Dove finì Bocca, incominciò Pansa. Che il fascismo lo aveva conosciuto solo da bambino, ma scrisse una serie di formidabili opere, una vera e propria saga sul sangue dei vinti. Ed ebbe uno straordinario successo di pubblico che registrò un odio militante alla base e un’ostilità mafiosa nei giornali in cui lui stesso aveva scritto, con un ruolo primario.Il fatto che molte delle sue scoperte le avesse già fatte e scritte Giorgio Pisanò, e la pubblicistica neofascista, non sminuisce il coraggio di farle sue e l’amore aspro per la verità storica che lo contraddistinse. Con Giampaolo mai parlammo di un capitolo mancante al suo libro “La Grande Bugia”, o al suo libro sui “Gendarmi della memoria”, dedicati alle falsificazioni e omertà del conformismo sinistrorso nei suoi confronti. Riguardava la trasformazione del suo testo in racconto televisivo, in una fiction per la Rai. Pansa nel suo libro se la prendeva con Sandro Curzi, consigliere di Rifondazione comunista in Rai, che perlomeno alla luce del sole, senza peli sulla testa e sulla lingua, bocciò lo sceneggiato, invocandone altri politicamente corretti, come novene per estinguere il peccato di averlo solo pensato. Ma la storia è più ampia e merita di essere raccontata come un’appendice, o un’appendicite, del viaggio di Pansa nella viltà carognesca e ideologica del nostro paese. Ne parlo con cognizione di causa, avendo io proposto, quando ero nel Consiglio della Rai, di tradurre il “Sangue dei vinti” in sceneggiato Tv.L’emorragia postuma del “Sangue dei vinti” in versione televisiva avvenne in tre tappe. La prima. Per far passare uno sceneggiato sugli eccidi partigiani a guerra finita, furono portate al vaglio del consiglio della Rai, altre tre fiction che riguardavano i nazisti, anzi i nazifascisti, la persecuzione degli ebrei, le fosse ardeatine. Per ogni fiction considerata “revisionista” i medici della sinistra militante prescrivevano come protezione antibiotica tre ortodosse. E non fa niente se ripetevano cose già fatte, bisogna fare il lavaggio del cervello. Era già accaduto quando riuscimmo a varare la fiction sulle foibe che fu pesantemente controbilanciata e neutralizzata in parole, soggetti e testi. Ma andò ugualmente bene. Ma il terrore di quel successo aveva evidentemente allertato le caserme dei militanti. Il libro di Pansa era già esploso in libreria; se fosse esploso nelle case con la Tv, sarebbe stata una catastrofe. Bisognava correre ai ripari. Il secondo atto fu lo svuotamento e la deviazione dal libro di Pansa.Per cominciare furono proposti come sceneggiatori, consulenti e attori gente con rigoroso pedigree di sinistra e antifascista, magari militante. Come consulente storico del film non fu chiamato, come sarebbe stato normale, l’autore del libro ma uno dei suoi più acerrimi stroncatori e nemici, Claudio Pavone. Che di fronte agli eccidi a guerra finita e a fascismo sepolto come quelli descritti da Pansa, distinse tra violenza “per fini giusti” e “per necessità” e violenza fascista. Arrivando a dire, lui che non nascose mai la sua militanza e la sua partigianeria anche in tempo di pace, che il revisionismo storico è un fatto più politico che storiografico. Ma revisionisti sono stati definiti De Felice e i suoi allievi, i filosofi Del Noce e Nolte, gli storici Fest e Furet e molti rispettabili studiosi, assolutamente apolitici. Insomma il risultato fu una trama irriconoscibile, dove i massacri sparivano, il cattivo era comunque un ex fascista, i buoni erano naturalmente dalla parte opposta, e il male restavano comunque i nazisti. In Consiglio non proposi nessuna epurazione ma chiesi perlomeno una revisione del testo più fedele al libro da cui scaturiva la fiction e un riequilibrio dei consulenti con storici di estrazione defeliciana (come Giuseppe Parlato) e soprattutto con l’autore, Giampaolo Pansa che da me contattato, accolse l’invito. La cosa fu approvata. E poi? Silenzio.Terzo atto, il “Sangue dei vinti” scomparve dal palinsesto. Non se ne fece più nulla, mi pare. Il Consiglio andò via, ne arrivò un altro, l’oblio prevalse, misto a odio, anche se gli altri sceneggiati in programma, compresi quelli riparatori per bilanciare il “Sangue dei vinti”, poi si sono visti, eccome. Non andò più in onda il sangue dei vinti, ma lo sputo sui vinti. Ennesimo. Ecco come fu cancellato il sangue dei vinti, in tre atti gloriosi. Pansa perlomeno ha il privilegio di essere discusso e confutato, perché di sinistra, antifascista e coinquilino sui giornali dei medesimi accusatori. E non fu accusato di vittimismo e mania persecutoria. Agli altri si addice l’oblio e il disprezzo. E poi vi chiedete: ma perché non ci sono autori e storici di altra estrazione? Ma se vi mangiate vivi i vostri stessi amici, colleghi e compagni revisionisti, figuratevi gli altri. Oltre i gendarmi della memoria, c’erano pure gli agenti in borghese dell’oblio. Nella nostra epoca anemica, il sangue dei vinti non scorre più, ma il livore dei cretini scorre, eccome, nei titoli di testa e i veleni di coda.(Marcello Veneziani, “Giampaolo il buono, Pansa il cattivo”, da “La Verità” del 13 gennaio 2020; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Appena è morto, è cominciata la pansectomia; hanno fatto a pezzi Giampaolo Pansa, salvando il giornalista buono dallo storico cattivo. Ovvero il giornalista di sinistra dallo storico revisionista, che scopre gli orrori compiuti dalla Resistenza nel nome dell’antifascismo. Ma Pansa è stato l’uno e l’altro, e non si può cancellare l’uno per salvare l’altro, e questa la sua originalità e la sua forza. Pansa portò a fondo quel che Giorgio Bocca non ebbe il coraggio di fare. Anche lui, prima di lui, benché partigiano dei monti, ebbe un periodo revisionista nei primi anni Ottanta, scrisse di Mussolini socialfascista, rivide alcuni suoi giudizi d’epoca, dialogò con gente di destra, persino con Giorgio Almirante. Ma presto tornò all’ovile della Repubblica antifascista, anche per farsi perdonare la sua gioventù da fascista sfegatato. Dove finì Bocca, incominciò Pansa. Che il fascismo lo aveva conosciuto solo da bambino, ma scrisse una serie di formidabili opere, una vera e propria saga sul sangue dei vinti. Ed ebbe uno straordinario successo di pubblico che registrò un odio militante alla base e un’ostilità mafiosa nei giornali in cui lui stesso aveva scritto, con un ruolo primario.
-
Gilad Atzmon: Soros e il totalitarismo dell’Ebreo Universale
Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, presidente dell’Agenzia Ebraica e già presidente ad interim di Israele, plaude a George Soros come alla perfetta icona di “ebreo-universale”. In un suo recente articolo su “Haaretz” intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society”, il politico israeliano afferma che solo «alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali». Apparentemente «una di queste persone di coraggio è Soros». Secondo Burg, Soros «rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori». Secondo il concetto del cosiddetto “ebraismo-universale,” il 52% degli inglesi che vogliono separarsi dall’Ue sono da considerarsi una «rumorosa minoranza suicida». Sembra che il cosiddetto “ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i conservatori, Trump o Netanyahu.Questo “ebreo-universale” sembrerebbe essere anche piuttosto ostile nei confronti di coloro che apprezzano i punti di vista dei conservatori o che sono così sfortunati da avere la pelle bianca. E, come abbiamo scoperto, l’”ebreo-universale” non è molto tollerante neanche nei confronti della letteratura e della libertà di parola. Abbiamo visto gli enti finanziati da Soros lavorare instancabilmente per bruciare libri, eliminare testi e persino rimuovere reperti storici ritenuti importanti dalle persone con cui [Soros] è in disaccordo. Il concetto di Burg di ebreo-universale non ha alcuna relazione con la nozione greca di “universale ” o di “universalismo”. Anche se Burg non approva il volto barbaro di Israele e del sionismo, in qualche modo considera Soros come l’incarnazione dell’impegno ebraico al Tikun Olam, cioè al perfezionamento del mondo. «Mentre così tanti ebrei stanno facendo del loro meglio per diventare criminali ultra-nazionalisti e violenti, duri e insensibili, Soros rappresenta, forse inconsapevolmente, l’altro volto della civiltà ebraica, quello nascosto e incantato, il cui obbligo principale è l’impegno di riparare le ingiustizie del mondo, non solo per gli ebrei ma per tutti». Tendo a pensare che il mondo sarebbe un posto molto più bello e più sicuro se gli ebrei decidessero di essere leggermente meno appassionati nel salvare gli altri e si concentrassero invece nel mettere a posto il loro Stato Ebraico.Nel suo commento su “Haaretz”, Burg fa riferimento al mentore di Soros, Karl Popper, autore di “The Open Society and its Enemies” [L’Open Society e i suoi nemici]. Secondo Popper, nessuna persona o organizzazione ha il monopolio della verità, quindi, maggiore è il numero di opinioni diverse tra le persone che vivono in pace e tolleranza l’una con l’altra, maggiori sono i benefici che ne derivano per tutti. Sfortunatamente, Soros e la sua Open Society non seguono il mantra filosofico di Popper. L’”universalismo-ebraico” di Soros è un costrutto divisivo. Frantuma la società in una varietà di segmenti identitari che sono definiti dalla biologia (razza, genere, preferenza sessuale). Nel regno dell’”ebreo-universale”, le persone non vengono identificate come semplici esseri umani che cercano di vivere la loro comune esperienza umana. Al contrario, ogni identità impara a parlare nel dialetto di “come un” (“come una donna …,” “come un ebreo …,” “come un nero …,” “come un gay”, ecc.). Nel mondo dell’”ebreo-universale” le persone cercano caratteri identificativi che li differenziano dal resto dell’umanità. L’esclusività e la differenza vengono tenute nella massima considerazione, anche se contraddicono la ricerca del valore ultimo della fratellanza umana.La “giurisdizione” ebraica-universale riduce l’universo ad una semplice versione ampliata delle “tribù di Israele“: tribù di identitari impegnate in guerre settarie, razziali e di genere. La falsa “diversità” e la fasulla “tolleranza” offerte dall’”ebreo-universale” sono, in effetti, autoritarie e intolleranti nei confronti delle masse. Il cosiddetto “ebreo-universale” è un concetto eccezionalista, progettato per “estraniare” quelli con cui non si va d’accordo. Inavvertitamente, Burg ci ha rivelato che la «guerra tra aperto e chiuso, tra gli isolazionisti e i fautori dell’inclusione» è, in realtà, una battaglia interna ebraica tra i Netanyahu del mondo (Trump, Giuliani, Orban) e gli ebrei-universalisti che chiama “ebrei Soros”: quelli che, secondo Burg, «combattono senza paura affinché il nuovo decennio sia il nostro». Nostro?Immagino che un Gentile possa chiedersi, chi è il “nostro” e “sono compreso anch’io?”. Coloro che hanno votato Trump, Johnson, la Brexit, Orban o Bibi sono anch’essi inclusi nell’”utopia ebraica-universale”? Certamente no! Sono il paniere dei deplorevoli, come li definiva l’”ebrea-universalista” Clinton, appena prima che i suoi sogni presidenziali svanissero nel nulla. Quelli che si fanno infinocchiare da Soros e dal concetto di “ebreo-universale” non dovrebbero essere sorpresi dal successo travolgente della politica della destra. Nei sogni dell’”ebreo-universale” il mondo è spezzato in un amalgama di identità cosmopolite destinate a combattersi tra loro, invece di lottare contro Wall Street e la City. Nella realtà dell’”ebreo-universale“, la sinistra è tenuta in piedi da un “filantropo” capitalista. Se la sinistra intende sostenere i valori dei lavoratori e delle classi lavoratrici, dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sostenere i valori e le esigenze dei lavoratori, piuttosto che accettare il denaro sporco di un magnate capitalista. Se la sinistra vuole essere rilevante, è meglio che capisca come ripristinare l’universale e l’universalismo. Chiudo questo breve articolo rilevando che non vi è alcuna indicazione che la sinistra voglia ripristinare il suo ruolo politico o sociale. Essere pagata da una istituzione della società ebraica-universale sembra essere il suo modo preferito di agire.(Gilad Atzmon, “Burg, Soros e l’Ebreo-Universale”, dal blog di Atzmon del 1° gennaio 2020; post tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ebreo, Atzmon è uno scrittore e brillante musicista jazz formatosi a Gerusalemme, che vive e lavora a Londra. E’ noto come militante anti-sionista. Nel 2006 ha rilasciato la seguente dichiarazione ad “Al Jazeera”: «Non si può fare un confronto tra Israele e il nazismo: dobbiamo ammettere che Israele è il male assoluto, più della Germania nazista»).Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, presidente dell’Agenzia Ebraica e già presidente ad interim di Israele, plaude a George Soros come alla perfetta icona di “ebreo-universale”. In un suo recente articolo su “Haaretz” intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society”, il politico israeliano afferma che solo «alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali». Apparentemente «una di queste persone di coraggio è Soros». Secondo Burg, Soros «rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori». Secondo il concetto del cosiddetto “ebraismo-universale,” il 52% degli inglesi che vogliono separarsi dall’Ue sono da considerarsi una «rumorosa minoranza suicida». Sembra che il cosiddetto “ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i conservatori, Trump o Netanyahu.
-
Vietato stupirsi se gli Usa, popolo eletto, calpestano i diritti
Gli Usa, giovani come sono, quasi mai sono stati in pace e hanno una lunga storia di soprusi, di omicidi e di violazioni dei diritti dell’uomo nonché del diritto internazionale, il quale ultimo si dimostra, ancor più del diritto nazionale, pieghevole nella sua interpretazione ed effettività a seconda dei rapporti di forze in lizza. Nei libri di storia per le scuole non lo si racconta, ma durante la IIª Guerra Mondiale, gli Usa hanno violato le convenzioni internazionali in modo non sporadico, ma metodico. Bombardavano frequentemente quartieri residenziali e persino scuole (Gorla) e giostre (Grosseto). Eseguivano anche mitragliamenti di civili a volo radente. Me lo hanno confermato testimoni oculari e vittime. Ricordiamo i 300.000 civili circa bruciati vivi con un bombardamento al fosforo su Dresda, bersaglio strategicamente inutile; i circa due milioni di prigionieri tedeschi, dopo la fine della guerra, nei campi di concentramento, prigionieri che gli Usa ridefinirono giuridicamente Disarmed Enemy Forces onde esimersi dalla Convenzione di Ginevra del 1929 a tutela dei prigionieri di guerra e darsi così il diritto di ridurre le loro razioni sotto le soglie di sopravvivenza, negando loro anche i ripari contro le intemperie.
-
Cabras a Salvini: per gli sciiti, Soleimani era come Garibaldi
Per rendersi conto – da italiani – dell’impatto morale e politico dell’assassinio deciso da Donald Trump e dai suoi falchi, potremmo paragonare il generale Qasem Soleimani alla forza iconica celebratissima di un Giuseppe Garibaldi, ma senza gli sbiadimenti e le annacquature dei secoli che passano. Un Garibaldi contemporaneo, dunque, con l’audacia propria del militare di razza, ma dotato anche di un’aura da predestinato – percepita a livello popolare in molti paesi – assimilabile a quella di un difensore della giustizia disinteressato, una sorta di Paolo Borsellino del mondo sciita. Per le caratteristiche dello sciismo contemporaneo – molto propenso ad attualizzare nella Storia di oggi le proprie tradizioni e la propria identità più profonda – un’altra figura eroica e martire diventa un’indispensabile termine di paragone: l’Imam Hussein. Il che crea una saldatura dalla forza inimmaginabile tra fede e passione politica rispetto alle inaridite passioni occidentali. Donald Trump non ha decapitato una forza. Nell’ascoltare il suo partito della guerra ha invece appiccato, come i suoi predecessori, un incendio che non saprà spegnere, perché circonda il Medio Oriente di basi militari ma non lo capisce.Un incendio che costerà lutti e caos, e che va fermato spegnendo anche le complicità dei mentecatti. Fra questi includo quel Salvini che si dimostra una volta di più un sovranista di cartone con l’anima del vassallo che si vende per un piatto di lenticchie ai padroni da lui cercati spasmodicamente, un irresponsabile impreparato che mette da subito in pericolo migliaia di militari italiani in Libano e in Iraq. Occorre risollevare la capacità di analisi, mettere da parte i sovranisti di cartone e i bacia-pantofole, e capire immediatamente qual è il nostro preminente interesse nazionale in un momento di così gravi tensioni internazionali. L’epoca del comando unilaterale ha superato ogni soglia di pericolo. Va evitata ogni escalation del conflitto, a partire dai rischi di guerra civile in Iraq e in tutta la Mezzaluna sciita. Potrà riuscirci solo un sistema di relazioni multilaterali che coinvolga tutte le capitali che contano, con cui parlare e da far parlare immediatamente.(Pino Cabras, “Capire la gravità di un omicidio politico. Mettiamo da parte i sovranisti di cartone”, da “Megachip” del 4 gennaio 2020. Storico collaboratore di Giulietto Chiesa, Cabras è stato eletto deputato nel 2018 con i 5 Stelle ed è membro della commissione affari esteri della Camera. Ha pubblicato svariati saggi, tra cui “Balducci e Berlinguer. Il principio della speranza”, edito da La Zisa nel 1995, nonché “Strategie per una guerra mondiale. Dall’11 settembre al delitto Bhutto”, pubblicato da Aìsara nel 2008. Insieme allo stesso Chiesa, per Ponte alle Grazie, nel 2012 ha pubblicato “Barack Obush. La liquidazione di Osama, l’intervento in Libia, la manipolazione delle rivolte arabe, la guerra all’Europa e alla Cina: colpi di coda di un impero in declino”. Veemente, lo scorso anno, la sua denuncia delle violenze scatenate a Caracas dai seguaci di Juan Guaidò, appoggiato dagli Usa, nel tentativo di rovesciare il presidente venezuelano Nicolas Maduro).Per rendersi conto – da italiani – dell’impatto morale e politico dell’assassinio deciso da Donald Trump e dai suoi falchi, potremmo paragonare il generale Qasem Soleimani alla forza iconica celebratissima di un Giuseppe Garibaldi, ma senza gli sbiadimenti e le annacquature dei secoli che passano. Un Garibaldi contemporaneo, dunque, con l’audacia propria del militare di razza, ma dotato anche di un’aura da predestinato – percepita a livello popolare in molti paesi – assimilabile a quella di un difensore della giustizia disinteressato, una sorta di Paolo Borsellino del mondo sciita. Per le caratteristiche dello sciismo contemporaneo – molto propenso ad attualizzare nella Storia di oggi le proprie tradizioni e la propria identità più profonda – un’altra figura eroica e martire diventa un’indispensabile termine di paragone: l’Imam Hussein. Il che crea una saldatura dalla forza inimmaginabile tra fede e passione politica rispetto alle inaridite passioni occidentali. Donald Trump non ha decapitato una forza. Nell’ascoltare il suo partito della guerra ha invece appiccato, come i suoi predecessori, un incendio che non saprà spegnere, perché circonda il Medio Oriente di basi militari ma non lo capisce.