Archivio del Tag ‘Giuseppe Conte’
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Cure ignorate, ecco la strage Covid: denunciato il governo
«Le cure c’erano, ma sono state ignorate». In sostanza: è stata l’ostinata negligenza del governo Conte a trasformare in una strage (35.000 morti) la comparsa del coronavirus? Insieme al virologo Giulio Tarro e al magistrato Angelo Giorgianni, il medico ricercatore Paquale Bacco presenterà una denuncia presso la procura della Repubblica di Roma e un ricorso alla Corte Europea di Giustizia contro i provvedimenti presi dal governo durante l’apice della pandemia in Italia. I tre esperti, annuncia il “Giornale”, lo faranno attraverso la loro associazione “L’Eretico” cui fanno parte circa 2.000 medici e giuristi. Nell’esposto, come si legge in una nota stampa, si mettono in evidenza una serie di aspetti della malagestione dell’emergenza Covid-19 in Italia, in particolare sotto il profilo medico-scientifico, epidemiologico e giuridico. «Approcci diagnostici sbagliati, cure inappropriate, misure di contenimento del contagio e di sicurezza scriteriate, in vigore ancora oggi». Per gli esperti dell’Eretico, «sono stati calpestati i diritti dei cittadini tutelati dalla Costituzione italiana e in sede internazionale», scrivono Tarro, Bacco e Giorganni nella nota. «Noi abbiamo ucciso le persone, anche se in buona fede, perché si era dinanzi ad una situazione nuova, ma in terapia intensiva è stata applicata una cura sbagliata». Accusano i sanitari: «Si diceva di non utilizzare gli antinfammatori, che ora invece sono alla base della nuova terapia».Oggi si sa che il protocollo terapeutico per contrastare il coronavirus era sbagliato: è stato quello – e non il virus – a provocare migliaia di decessi. Il ministero della salute si è difeso sostenendo che poichè il virus era nuovo, non sapevano come affrontare l’epidemia? «In realtà, nella gestione della crisi sanitaria sono state violate le più elementari regole che in casi del genere sarebbe stato obbligatorio seguire», scrive il newsmagazine “Formazione Concorsi Magistratura”. «Non veniva utilizzata l’eparina ed è stata effettuata la ventilazione profonda». Accusa Bacco: «Io ho visto le basi dei polmoni di pazienti Covid, durante le autopsie, ed erano completamente ustionate perché l’ossigeno puro mandato ad una certa pressione ha creato una vera e propria ustione. Poi si creavano le tromboembolie, perché l’ossigeno non circolava in quanto i polmoni erano occlusi». I medici, aggiunge Bacco, hanno seguito le linee-guida del governo utilizzando un protocollo completamente sbagliato: «È stato come curare un diabetico con lo zucchero». Non è finita. Sotto accusa, nell’esposto, c’è anche l’uso delle mascherine, «per il quale lo stesso ministero della salute prevede possibili controindicazioni».Attenzione anche alla ventilata somministrazione del vaccino: può avvenire solo a patto che sia volontaria e trasparente. Il comitato legale dell’associazione “L’Eretico” ha già predisposto il modulo che i cittadini potranno utilizzare per chiedere al proprio datore di lavoro (o al dirigente scolastico, in caso di scuole) «di assumersi la responsabilità civile e penale per gli eventuali danni alla salute derivanti dall’uso del dispositivo». Un modulo analogo è stato preparato per l’assunzione di responsabilità del medico o del pediatra: si chiede di rispettare la “libera scelta” nei confronti del paziente (e nei confronti del medico, da parte dell’Asl) «laddove sia disposta la somministrazione di un vaccino obbligatorio». Precisa sempre Bacco: «Il consenso informato del paziente è richiesto per legge: eventuali controindicazioni derivanti dalla cura devono essere indicate dal medico, perché il paziente possa decidere se accettare o meno la cura e i suoi possibili danni». I moduli sono stati pubblicati sul sito dell’associazione, ed è già possibile scaricarli gratuitamente.«La cosa più brutta – conclude il medico legale – è che nessuno ha chiesto scusa. Ora è un dato: sono state applicate le terapie sbagliate, e nessuno ha detto “abbiamo sbagliato”». Così, dopo una prima istanza in autotutela inviata già a maggio al governo, all’Istituto Superiore di Sanità e ai presidenti delle Regioni, l’associazione “L’Eretico” presenterà nelle prossime ore questa richiesta di valutazione penale. L’accusa: sono state mantenute misure palesemente errate, «nonostante i presupposti su cui erano fondate non abbiano trovato concorde la comunità scientifica». Misure che poi sono state «smentite da studi e ricerche di carattere internazionale, nonché dalla stessa realtà dei fatti», riassume il blog economico-finanziario “Il Denaro”. «In particolare, rispetto all’operato del Comitato tecnico-scientifico del governo, l’associazione rileva che non ha approfondito le indicazioni e le evidenze scientifiche alternative suggerite da alcuni esperti». Alla magistratura si chiederà dunque di verificare «se sussistano condizioni di conflitto di interesse tali da influenzare le decisioni assunte».«Le cure c’erano, ma sono state ignorate». In sostanza: è stata l’ostinata negligenza del governo Conte a trasformare in una strage (35.000 morti) la comparsa del coronavirus? Insieme al virologo Giulio Tarro e al magistrato Angelo Giorgianni, il medico ricercatore Pasquale Bacco presenterà una denuncia presso la procura della Repubblica di Roma e un ricorso alla Corte Europea di Giustizia contro i provvedimenti presi dal governo durante l’apice della pandemia in Italia. I tre esperti, annuncia il “Giornale“, lo faranno attraverso la loro associazione “L’Eretico”, di cui fanno parte circa 2.000 medici e giuristi. Nell’esposto, come si legge in una nota stampa, si mettono in evidenza una serie di aspetti della malagestione dell’emergenza Covid-19 in Italia, in particolare sotto il profilo medico-scientifico, epidemiologico e giuridico. «Approcci diagnostici sbagliati, cure inappropriate, misure di contenimento del contagio e di sicurezza scriteriate, in vigore ancora oggi». Per gli esperti dell’Eretico, «sono stati calpestati i diritti dei cittadini tutelati dalla Costituzione italiana e in sede internazionale», scrivono Tarro, Bacco e Giorganni nella nota. «Noi abbiamo ucciso le persone, anche se in buona fede, perché si era dinanzi ad una situazione nuova, ma in terapia intensiva è stata applicata una cura sbagliata». Accusano i sanitari: «Si diceva di non utilizzare gli antinfammatori, che ora invece sono alla base della nuova terapia».
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Magaldi: socialismo liberale, il virus salva-Italia siamo noi
«Siamo piccoli, ma attentamente monitorati: ai piani alti, c’è chi si domanda in che modo contiamo di riuscire nell’impresa, e non manca chi vorrebbe attuare le nostre proposte. Che poi sono le uniche in grado di ribaltare la situazione: perché le nostre idee sono uno scandalo, un’eresia. Un virus benefico, destinato a contaminare finalmente il sistema». Gioele Magaldi sintetizza il concetto in due parole: socialismo liberale. Keynes e Roosevelt, Carlo Rosselli, Olof Palme. I semi migliori del Novecento: l’antidoto contro l’ingiustizia. Dove sono finiti? Dispersi: soffocati dalla sovragestione del neoliberismo globalizzato. Ma oggi, per un movimento d’opinione come quello fondato nel 2015 da Magaldi, rappresentano l’unico salvagente per evitare il naufragio della democrazia, schiacciata dalle possenti oligarchie planetarie che ora speculano anche sul disastro del coronavirus. Il loro piano: mantenere il potere a tutti i costi, anche instaurando una sorta di polizia sanitaria mondiale, pronta a usare il ricatto della paura e il fantasma della depressione economica. Risultato: l’Europa ridotta a nullità politica, capace però di tenere in ostaggio un paese come l’Italia, il cui governo – lasciato senza soldi – non ha la minima idea di come evitare il massacro sociale a orologeria che già si annuncia per l’autunno. «Famiglie e aziende avranno l’acqua alla gola, per effetto del terribile lockdown imposto senza nessun vero paracadute economico».«A Conte faremo una proposta che non potrà rifiutare», annunciò Magaldi tempo fa, tra il serio e il faceto, indossando una maglietta con l’icona di Marlon Brando nei panni del “Padrino”. Ora rilancia: «In settimana, il nostro piano salva-Italia sarà pronto e illustrato anche in un video, sul nuovo canale MrTv». Il succo: proposte ragionevoli, il “minimo sindacale” per evitare il peggio. Attenti: «La nostra non è una provocazione arrogante, tutt’altro: sono iniziative che qualsiasi governo (di centrodestra o centrosinistra, non importa) avrebbe dovuto adottare già durante il lockdown». Un pacchetto di misure «attuabili da subito», che il Movimento Roosevelt guidato da Magaldi insiste nel voler impacchettare sotto forma di “ultimatum”: «Sarà recapitato nei prossimi giorni all’esecutivo, che avrà a disposizione l’intera estate per valutare le nostre proposte. L’ultimatum scadrà in occasione dell’election-day del 20-21 settembre». Giuseppe Conte accoglierà quei consigli? Tanto meglio: «Se saranno soddisfatte le esigenze minime degli italiani – dice Magaldi – ne prenderemo atto e ringrazieremo: in una prospettiva laica come la nostra non ci sono nemici, né antagonisti o pregiudizi».Se Conte e i suoi ministri, «da quei brocchi che hanno mostrato di essere sinora, dimostrassero di diventare dei purosangue, a partire da settembre», allora «mi toglierei il cappello e ne sarei felice, come cittadino italiano e come europeo», assicura il leader “rooseveltiano”. «C’è però la “legittima suspicione” che così non sarà», aggiunge: «E allora, in quel caso si avrà il debutto della Milizia Rooseveltiana il 5 ottobre, nell’anniversario della data fatidica del 1789 in cui le donne della Rivoluzione Francese marciarono su Versailles per chiedere al Re perché mai non volesse sottoscrivere la nuova Costituzione». Milizia Rooseveltiana? Una formazione “marziale” solo a livello teatrale, con uno slogan (”dubitare, disobbedire, osare”) che capovolge ironicamente il mussoliniano “credere, obbedire, combattere”. «Missione: incalzare il governo, in modo nonviolento ma divenendo una vera spina nel fianco: nelle piazze italiane, la Milizia chiederà conto – ogni giorno – dell’eventuale, mancato recepimento del piano salva-Italia».Altra avvertenza: non è un’iniziativa di parte, contro Conte. «Neppure l’opposizione ha brillato», sottolinea Magadi: Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia «non hanno strutturato una vera proposta alternativa per il paese». Un consiglio? «Qualcuno di loro dovrebbe andare politicamente in pensione. Altri dovrebbero guardarsi dentro e sviluppare un vero progetto per l’Italia, che oggi non hanno». Ce l’ha Magaldi, il progetto? La sua risposta è scontata: certamente sì. Ma chi è, il presidente del Movimento Roosevelt? Due cose insieme: un intellettuale, e un massone. Laureato in filosofia, appassionato storico, tagliente politologo. E’ ultra-trasparente, il suo impegno nel mondo libero-muratorio: nel suo saggio “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere (bestseller italiano, oscurato dai media), da un lato denuncia le superlogge sovranazionali neo-oligarchiche e il loro sogno di Nuovo Ordine Mondiale neoliberista, “neoaristocratico” e post-democratico, e dall’altro rivendica il ruolo della massoneria settecentesca nella fondazione dell’attuale modernità: suffragio universale, libere elezioni, laicità e Stato di diritto.«La democrazia è un’anomalia della storia: e non ce l’ha portata la cicogna, è il frutto della massoneria rivoluzionaria che riuscì ad abbattere l’Ancien Régime in Europa a partire dalla Francia fino poi a guidare il Risorgimento italiano, dopo aver animato la stessa Rivoluzione Americana». Insiste: «L’architettura istituzionale del mondo in cui viviamo è interamente massonica. Per questo mi domando se siano in grado di fare il loro mestiere i magistrati come Nicola Gratteri, che tendono a criminalizzare la massoneria: si rendono conto che la stessa Costituzione italiana nasce dalle idee ultra-massoniche alla base della primissima Costituzione della Repubblica Romana di Mazzini e di Garibaldi, primo “gran maestro” del Grande Oriente d’Italia?». Discorsi lunari, in un’Italia che associa regolarmente i grembiulini alla P2 di Gelli, o a qualche congrega infiltrata dalla mafia. «Quelle sono conventicole che non contano niente, e lo sanno tutti. Ma fingono di non sapere che i grandi decisori dei nostri tempi – anche italiani, da Monti a Napolitano – appartengono tutti all’aristocrazia massonica internazionale: il mondo delle Ur-Lodges, quello che orienta davvero i destini del pianeta».Ne fa parte lo stesso Magaldi, già “iniziato” alla superloggia “Thomas Paine”, punta di lancia del progressismo novecentesco. Una filiera che ha “allevato” e sostenuto personaggi come Gandhi e Papa Giovanni XXIII, i Kennedy e i Roosevelt, Martin Luther King, Nelson Mandela, Yitzhak Rabin. Sempre di massoneria si tratta, ma di segno opposto. Ed ecco il punto: «Il sistema massonico oligarchico stava perdendo la sua presa sul mondo, lo si è visto con l’inattesa elezione di Donald Trump, fiero avversario del globalismo neoliberista: Trump ha imposto uno stop all’egemonia della Cina, che era e resta la creatura preferita dell’élite massonica reazionaria». Il progetto: efficienza economica, ma senza democrazia. Un modello da esportare in Occidente? «Sicuramente è stato esportato il modello-Wuhan per il coronavirus: massimo rigore e sospensione della libertà. Ed è successo appena dopo che Trump ha inflitto a Xi Jinping l’umiliazione dei dazi». Come dire: è in corso una partita cruciale per le sorti del pianeta, di portata epocale. Da una parte i neoliberisti, che si sono riciclati come gendarmi sociali in nome del Covid, favoloso pretesto per rendere eterna l’austerity degli ultimi decenni. Dall’altra, sono in campo quelli che Magaldi chiama massoni progressisti: avversari del rigore già prima della pandemia, e ora impegnati a evitare che il virus diventi un alibi per seppellire quel che resta della nostra democrazia.Di più: per il fronte in cui Magaldi milita, la crisi pandemica è un’occasione irripetibile. Il collasso indotto dal lockdown rappresenta un assist perfetto, per archiviare il dogma della scarsità – solo immaginaria – e il falso riformismo sulla pelle degli altri (”ce lo chiede l’Europa”). Il Piano-B l’ha esposto Mario Draghi a fine marzo, sul “Financial Times”: tornare a Keynes. Cioè: inondare di miliardi l’economia, senza paura di spendere. Soldi che non si trasformino in debiti: proprio come in tempo di guerra. Ma Draghi non era il sommo custode dell’ordoliberismo europeo in salsa teutonica? Lo era, dice Magaldi, ma nell’ultimo anno ha abbandonato la comitiva. «Il “fratello” Draghi è tornato alle sue origini keynesiane e ha chiesto di essere accolto nel circuito massonico progressista, come anche la “sorella” Christine Lagarde». A muoversi sono pesi massimi del potere economico, come la stessa Kristalina Georgieva del Fmi e Premi Nobel del calibro di Krugman e Stiglitz. Tutti a dire che non è possibile insistere con la “terapia” che ha impoverito l’Europa: vista la gravità della crisi economica indotta dal Covid, bisogna buttare a mare trent’anni di rigore finanziario e metter mano al “bazooka” dell’emissione monetaria illimitata e gratuita, non a debito, pena il collasso del sistema economico.«Ci stiamo accorgendo che nessun denaro verrà dato all’Italia con spirito solidaristico e risolutivo», riassume Magaldi. «Concedere denaro in prestito, vincolato alle solite condizionalità – poco importa che si tratti del Mes o di altro – è inaccettabile, in questa temperie. E se la classe politica europea non è all’altezza, quella italiana rispecchia perfettamente questa mediocrità complessiva». Così almeno la vede Magaldi: «L’Europa è un nano politico, economicamente sempre più problematico (benché ricco, perché eredita posizioni di privilegio). Ma il nanismo politico, geopolitico, diplomatico e militare, nella nuova guerra fredda tra sistema-Cina e sistema-Usa, con in mezzo la Russia a fare da terzo incomodo, non aiuta i futuri sviluppi economici dell’Europa». Lo spettacolo è eloquente: «L’Ue è incapace di darsi un’unità fiscale, evitando il dumping che molti paesi esercitano, ed è incapace di costruire un tessuto socio-economico più equo e lungimirante». E intanto il mondo non ci aspetta: «La Cina ci ha insegnato che un paese molto povero può aumentare in modo significativo il proprio Pil, anno dopo anno, e proiettarsi sullo scenario globale da protagonista neo-imperiale». Domani, tutto potrebbe cambiare. E noi, semplicemente, subiamo gli eventi: «C’è davvero un’assenza di visione, da parte di tutti i leader europei».A soffrire le pene dell’inferno, tanto per cambiare, è in primo luogo l’Italia: «Troppe famiglie, lavoratori, aziende ed esercizi sono ancora appesi a decisioni che non vengono prese. C’è un menare il can per l’aia, del governo e anche delle opposizioni: litigano e cazzeggiano. Gli uni (al governo) sono del tutto inefficaci, ma non è ben chiaro cosa farebbero al loro posto gli altri, che stanno all’opposizione». La verità, dice il presidente “rooseveltiano”, è che l’emergenza coronavirus non è mai cessata: «Ieri c’era un’emergenza sanitaria, e adesso c’è un’emergenza che è economica e sociale. Ce ne accorgeremo proprio a settembre: molti nodi verranno al pettine e ci sarà il baratro, per molti». A partire da settembre, «diventeranno lampanti i disastri che la cattiva gestione e la mancata reazione del governo provocherà, nella società e nell’economia italiana». E il guaio è che i leader europei sembrano ectoplasmi: «Troppi cincischiamenti, al di là dell’azione benemerita di Christine Lagarde, contro ogni previsione (salvo la mia). Per il resto solo parole, passi indietro e traccheggiamenti odiosamente studiati: quando era forte la pressione mediatica sul lockdown e sull’emergenza sanitaria strombazzata, si parlava del dovere dell’Europa di intervenire subito. E invece, di Recovery Fund stiamo ancora soltanto discutendo».Quest’anno il bilancio è molto negativo, sin qui, perché secondo Magaldi si è persa anche la grande opportunità – generata dal coronavirus – per un cambio di paradigma. Obiettivo mancato: archiviare gli ultimi disastrosi decenni di austerity. «La mia previsione però non è catastrofica: io continuo a rilanciare l’ottimismo della volontà, a patto però che diventi anche “ottimismo del fare”». Spiegazioni: «I massoni progressisti operano dietro le quinte, mentre il Movimento Roosevelt opera davanti alle quinte». Ma da solo non basta: «Si decidano a operare tutti i cittadini, aderendo a strumenti di azione politica». Concretezza e realismo: «Bisogna evitare di andare appresso ai soliti piagnoni apocalittici, che parlano di uscire dalla Nato e dall’euro, e magari strizzano l’occhio alla Russia ma odiano gli americani. Tutto questo “pastone” di “alternativi” non ha mai prodotto nulla, in questi anni, e continuerà a non produrre niente. Se si vuole cambiare la situazione, occorre iniziare dalle cose che si possono fare già da domani: e questo è l’unico cammino serio che il Movimento Roosevelt vuole intraprendere».Piccola profezia: «Il Movimento Roosevelt è destinato a crescere, perché la censura che l’ha finora colpito sarà destinata a crollare». Quel giorno, «risulterà che in questi anni si sono avvicendati partitini e partitoni, grandi e piccoli protagonisti, piccole narrazioni, litanie e piagnistei, mentre il Movimento Roosevelt è stato granitico, dal punto di vista ideologico, nel proporre qualcosa che è ancora un’eresia, uno scandalo». Ovvero: «Il socialismo liberale di cui parliamo noi non è quella parodia che ne ha fatto Renzi, e che tuttora ne fanno Calenda e altri, che declinano una forma di neoliberismo “de sinistra”». Magaldi allude al socialismo liberale in versione rooseveltiana, post-keynesiana, rosselliana. «Ci richiamiamo alla migliore tradizione del socialismo democratico, quella di Olof Palme. E’ il socialismo liberale che, in qualche modo, anche l’esecrato e demonizzato Bettino Craxi aveva comunque cercato di introdurre, tra luci e ombre, nella coscienza politica degli italiani». Già, Craxi: «Ebbe indubbie benemerenze, che però vennero stroncate: in Italia, quei socialisti che non erano subalterni ai comunisti erano definiti “social-traditori”. E Craxi era odiato da quella sedicente sinistra che da Pci si trasformò in Pds, poi in Ds, poi in Pd, e che certo non ha operato bene».Secondo Magaldi, «oggi è paradossale che il Pd appartenga al Partito Socialista Europeo, considerando che non c’è più nulla, di socialista, nella politica del Pd». Peraltro, «non c’è più nulla di socialista neppure nel Pse: dovrebbero vergognarsi, i sedicenti socialisti europei, ricordando l’esempio di personaggi come Olof Palme». Non solo: «Dovrebbero vergognarsi i socialdemocratici tedeschi, come anche i socialisti francesi, guardando a cosa si sono ridotti, e a quanto sono subalterni a narrative neoliberiste che in altri tempi sarebbero state definite “di destra conservatrice”. Il loro è un mondo fasullo, capovolto». Il Movimento Roosevelt, al contrario, rivendica un’assoluta e granitica coerenza: «Parliamo di socialismo liberale e democrazia sostanziale, e denunciamo i riti fasulli, vuoti e retorici di una democrazia priva di anima. Abbiamo idee all’avanguardia sull’istruzione, sull’ambiente, sull’energia, sulla difesa, sull’economia, sulla stessa riforma costituzionale dello Stato. Tutti seguono le nostre mosse con attenzione, e si chiedono cosa ne sarà di queste nostre idee forti, che qualcuno vorrebbe attuare. Domani, io credo che questa nostra influenza uscirà alla luce del sole e diventerà pienamente percepibile». Tanto ottimismo è motivato: «Per fortuna, c’è chi – accanto a noi, a livello globale – agisce dietro le quinte e prepara le condizioni più propizie perché le nostre idee possano affermarsi, presso la coscienza del popolo sovrano».Questo, ribadisce Magaldi, deve fare la differenza: «Il Movimento Roosevelt non vuole candidarsi a raccogliere voti alle elezioni, ma vuole influenzare politica e cittadini in modo solare, come una lobby apertamente dichiarata: una lobby della democrazia e del socialismo liberale». La missione: «Contaminare, come un virus benigno, le coscienze e le istituzioni. E vogliamo farlo in Italia, in Europa e nel mondo: per far sì che diventi un imperativo categorico, quello che è scritto nel nostro statuto, cioè la promozione e l’estensione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani». Il mondo di oggi è pieno di piaghe: «Democrazia assente, diritti calpestati, disuguaglianze mostruose. Oligarchie e teocrazie che dominano, imperterrite, con la loro arroganza». Ci dimentichiamo, ricorda Magaldi, che nel 1948 tutte le nazioni si erano impegnate a promuovere i diritti umani. «Il Movimento Roosevelt è qui per ricordarlo a tutti. E io credo che la sua influenza si misurerà negli anni e resterà nella storia: il giorno in cui certe cose verranno affermate, non si potrà non ricordare che questo è stato, perché a un certo punto il Movimento Roosevelt ha suonato la campana, e ha detto “la ricreazione è finita”».Pensieri visionari? Forse, dando per scontato che ogni avanguardia tende a esplorare orizzonti lunghi. Il monitor italiano, peraltro, s’è incantato su un fermo-immagine: il paese è a terra, e il governo non sa dove trovare i soldi per rianimarlo. «Quei soldi non c’erano nemmeno prima», dice Magaldi, che già un anno fa parlava di «almeno duemila miliardi» per rimettere in sesto infrastrutture, servizi e occupazione. Come trovare quel fiume di soldi, ora che la crisi post-Covid morde gli italiani? Nel solo modo possibile: creandoli dal nulla, come sempre si è fatto di fronte alle grandi crisi. L’Ue non lo consente? Male: perché l’alternativa non esiste. Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, predica da anni il ricorso – temporaneo – all’emissione di moneta parallela, di Stato, spendibile solo in Italia: un toccasana, per resuscitare stipendi e consumi. Chi pensa in grande – da Draghi in giù – sa che un’Unione Europea così conciata non ha futuro: è indispensabile cambiare le regole, gettando a mare la religione del rigore finanziario. Rosselli credeva nel socialismo come ricetta socio-economica bilanciata dalla giustizia sociale. Un altro campione democratico come Olof Palme, autore del rinomato welfare svedese, impegnò lo Stato per salvare aziende traballanti e posti di lavoro.Lo stesso Roosevelt, che ereditò un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione, adottando le ricette di Keynes trasformò gli Stati Uniti nella prima superpotenza mondiale. E noi che facciamo, stiamo ancora a pietire le concessioni usuraie dei signori di Bruxelles, mentre milioni di italiani tra poco non sapranno come arrivare a fine mese? «Per inciso: Rosselli, Palme, Keynes e Roosevelt erano tutti massoni progressisti», precisa Magaldi, come per rimarcare che – se qualcuno oggi li evoca – intende avvertire il pubblico che s’è messo in moto qualcosa di importante, che affonda le sue radici in cent’anni di battaglie per i diritti sociali. «L’essenziale, in un momento come questo, è non cadere nella tentazione del complottismo stupido che demonizza qualsiasi potere, a prescindere: il cospirazionismo apocalittico è l’alleato perfetto della peggior oligarchia, quella che noi democratici vogliamo abbattere». Ecco perché non è il caso di sottilizzare, su Conte e soci: «Se saranno loro, ad accettare il nuovo corso, benissimo. Ridurre la politica a tifo da stadio è una pessima idea: serve solo ad allungare la vita al sistema che ci ha messo di fronte avversari solo apparenti, come Prodi e Berlusconi, di fatto esecutori dei medesimi diktat». Magaldi ne è certo: sarà la durezza della crisi a imporre le scelte giuste. E allora cadranno, di colpo, tutte le storielle che ci hanno finora propinato: dalla criminalizzazione del deficit all’odio tribale che spinge le tifoserie a dilaniarsi l’un l’altra, come i capponi di Renzo destinati a finire in padella.«Siamo piccoli, ma attentamente monitorati: ai piani alti, c’è chi si domanda in che modo contiamo di riuscire nell’impresa, e non manca chi vorrebbe attuare le nostre proposte. Che poi sono le uniche in grado di ribaltare la situazione: perché le nostre idee sono uno scandalo, un’eresia. Un virus benefico, destinato a contaminare finalmente il sistema». Gioele Magaldi sintetizza il concetto in due parole: socialismo liberale. Keynes e Roosevelt, Carlo Rosselli, Olof Palme. I semi migliori del Novecento: l’antidoto contro l’ingiustizia. Dove sono finiti? Dispersi: soffocati dalla sovragestione del neoliberismo globalizzato. Ma oggi, per un movimento d’opinione come quello fondato nel 2015 da Magaldi, rappresentano l’unico salvagente per evitare il naufragio della democrazia, schiacciata dalle possenti oligarchie planetarie che ora speculano anche sul disastro del coronavirus. Il loro piano: mantenere il potere a tutti i costi, anche instaurando una sorta di polizia sanitaria mondiale, pronta a usare il ricatto della paura e il fantasma della depressione economica. Risultato: l’Europa ridotta a nullità politica, capace però di tenere in ostaggio un paese come l’Italia, il cui governo – lasciato senza soldi – non ha la minima idea di come evitare il massacro sociale a orologeria che già si annuncia per l’autunno. «Famiglie e aziende avranno l’acqua alla gola, per effetto del terribile lockdown imposto senza nessun vero paracadute economico».
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Zangrillo: nessuna seconda ondata, ora il Covid è curabile
Il messaggio che voglio dare anche a nome dei miei colleghi è: siamo tutti dalla stessa parte della scienza; la nostra iniziativa, pacata e responsabile, non è di contrapposizione, ma di divulgazione scientifica obiettiva. È innanzitutto una notizia positiva, che le autorità sanitarie devono recepire per quello che è: un messaggio da chi la clinica la vive quotidianamente, perché noi abbiamo vissuto in mezzo alla malattia, perché io mi sono spaventato personalmente, ho rischiato di prenderla, ho lavorato fin dall’inizio a fianco dei miei collaboratori per salvare delle vite umane. Secondo l’Oms, il Covid si comporterà come la Spagnola, tornando in autunno e mietendo molte vittime? Non ci sarà una seconda ondata perché nessuno di noi vuole rivederla. Poi non posso negare che in autunno inoltrato, con la ripresa del freddo, come per tutti i virus respiratori, si possa verificare un risveglio del Covid. Ma sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia. Il crollo dei malati di coronavirus è ormai inequivocabile. Abbiamo verificato che la carica virale naso-faringea dei tamponi eseguiti in maggio era assolutamente più bassa rispetto a una popolazione omogenea, cioè con le stesse caratteristiche, di quanto lo fosse due-tre mesi fa. Questo warning della virologia è stato poi verificato a livello italiano e internazionale, trovando più conferme.Io non ricovero un paziente in terapia intensiva dal 18 aprile e non ricovero di fatto dall’inizio di maggio pazienti che arrivano al pronto soccorso del San Raffaele, grande ospedale metropolitano con uno dei pronto soccorsi più importanti della città, per una sintomatologia clinica da Covid. Al San Raffaele eseguiamo il tampone a tutti i malati che vengono ricoverati per le più diverse patologie: organiche, internistiche, chirurgiche, cardiovascolari, oncologiche. Ebbene, di questi pazienti non ce n’è uno nell’ultimo mese che sia stato ricoverato qui per ragioni correlate con l’infezione da Covid. Non siamo un caso isolato: dai contatti avuti con i colleghi di diversi ospedali, da Crema a Parma, da Bergamo al Niguarda, tutti dicono la stessa cosa. La malattia in Italia è completamente cambiata e come l’abbiamo conosciuta nelle sue forme gravi non c’è più. Tant’è vero che tutti i trial che prevedevano la somministrazione di farmaci per andare a perlustrare l’efficacia nella malattia di taluni antinfiammatori, antivirali o immunomodulatori, sono stati sospesi. Perché? Per mancanza di questi pazienti Covid. È da qui che nasce la mia dichiarazione “il virus è clinicamente morto”. Se l’ho fatto è perché ho veramente vissuto questa epidemia fin dal primo giorno, ho le idee chiare e forse anche un po’ di severità, di intolleranza verso coloro che parlano per sentito dire o verso coloro che non hanno mai visto un malato in corsia.Il lockdown ha dunque funzionato? Il documento firmato con Remuzzi, Bassetti, Gattinoni, Lorini e gli altri non è stato fatto per andare contro Brusaferro o Locatelli. Anzi, ho detto e confermo che non avrei voluto essere al posto del premier Conte; ho detto e confermo che Conte ha tenuto, sanitariamente parlando, il timone saldo; ho detto e confermo che ha dovuto compiere delle scelte che nella sostanza si sono rivelate vincenti e hanno fatto scuola, perché abbiamo chiuso il paese prima degli altri e forse lo abbiamo riaperto tempestivamente. Dal momento che gli italiani si sono comportati bene e abbiamo ribadito quali sono le norme da rispettare, ora arriva un supporto straordinario dall’evidenza clinica, che conferma i meriti dell’Iss e del governo sul fatto che le misure di contenimento hanno funzionato, meglio che in Francia, in Spagna, in Inghilterra o negli Stati Uniti. Abbiamo difeso Milano e abbiamo circoscritto l’epidemia in Lombardia nonostante il virus circolasse già tre mesi prima che fosse scoperto il paziente-1. Perché questo virus ha colpito come uno tsunami la Lombardia? Hanno giocato vari fattori: la densità demografica della regione, l’età media di talune zone e l’alta concentrazione di polveri sottili in Pianura Padana, che possono aver influito in misura negativa sul rapporto virus-recettore.Ci accusano di mandare segnali fuorvianti e incitare al “liberi tutti”? Due cose. Innanzitutto, ci tengo a dire che noi non ci poniamo in una logica di contrapposizione, perché le nostre osservazioni si basano su un paradigma inviolabile che è la definizione di scienza. La scienza è osservazione, valutazione, calcolo, esperienza. In secondo luogo, il nostro documento non dice “liberi tutti, d’ora in avanti ognuno faccia come crede”. Noi diciamo: se continuiamo a comportarci con buon senso, la situazione, come si vede, clinicamente sta migliorando. E penso che in determinate circostanze ambientali – gli spazi aperti o i luoghi tipici della vita estiva, in montagna o al mare – si possa abbandonare col tempo anche l’uso della mascherina. Oltre al buon senso, però, la prima misura deve essere quella dell’igiene personale: stare molto attenti alla detersione delle mani. La curva dei contagi ha ripreso a risalire? È quella che io chiamo la tempesta dei numeri: anche oggi 250 positivi, anche oggi 50 morti… Bisogna operare una netta separazione tra la positività al tampone e la malattia. Essere positivi oggi vuol dire, il più delle volte, essere debolmente positivi: non vuol dire essere malati. Non è corretto dare per automatico il passaggio tra numero dei positivi (che allo stato attuale sono per lo più debolmente positivi) e numero dei malati. Altrimenti li avrei in ospedale.Focolai in Germania, a Roma, in Calabria, a Mondragone nel Casertano e presso un’azienda di Bologna? Io non ho mai detto che il virus è scomparso, né che si sia modificato; e se qualcuno osa dire il contrario, dice una falsità. Ma dobbiamo altresì riconoscere che la carica virale ha una sua importanza. E a mio avviso la carica virale si è abbassata, per le mascherine e per il distanziamento sociale. Ma questo non impedisce al virus di svilupparsi in contesti ambientali di un certo tipo: che sono, appunto, quelli dei casi sopra citati. Ripeto: dobbiamo stare attenti, usare norme igieniche che evidentemente in quei contesti non sono state rispettate e fare in modo che all’interno degli spazi di associazione lavorativa vengano prese le opportune precauzioni. Ma a parte qualche ricovero, non si è verificato nulla di particolare. Sapere che la curva epidemica in Lombardia non si azzererà mai, a me importa relativamente, se coincide con il fatto che non ci si tornerà ad ammalare gravemente come una volta. Ancora oggi, però, si continuano a spaventare troppo le persone: è da irresponsabili, come ha fatto il professor Crisanti, continuare a dire che a settembre l’Italia tornerà come è oggi il mattatoio in Germania.L’Oms fa il paragone con la Spagnola? Non ci sarà una seconda ondata, in autunno: sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia, perché conosciamo il virus, sappiamo come affrontarlo terapeuticamente, come gestirlo dal punto di vista organizzativo e soprattutto perché ci sarà una maggiore coesione tra l’istituzione ospedaliera e i medici del territorio, che prima non c’è stata. Al San Raffaele abbiamo studiato tutti i malati, eseguendo prelievi sierologici e prelievi a campione, per cui abbiamo creato una banca dati con migliaia di soggetti; e da questi nostri studi emergeranno evidenze fondamentali per sviluppare adeguati processi terapeutici utili a tenere sotto controllo le epidemie del futuro. Se è consigliabile che il prossimo autunno ci si vaccini contro l’influenza? Sì, invito caldamente le categorie a rischio a vaccinarsi contro l’influenza. Sono stato il primo, a metà aprile, a dire: prepariamoci a convivere con il Covid. E convivere con il Covid non vuol dire suicidarsi. Dire adesso “forse non faremo tornare i bambini a scuola, non dobbiamo prendere gli aerei, dobbiamo rimanere a casa” equivale a dire che dobbiamo morire.(Alberto Zangrillo, dichiarazioni rilasciate a Marco Biscella nell’intervista “Nessuna seconda ondata perché sappiamo cosa fare”, pubblicata dal “Sussidiario” il 27 giugno 2020. Primario di anestesia e rianimazione generale all’ospedale San Raffaele di Milano, già a maggio il professor Zangrillo fece scalpore definendo “clinicamente morto” il virus responsabile della sindrome Covid. Nei giorni scorsi, per ribadire che il virus non fa più paura perché i contagiati sono ormai solo “debolmente positivi” e inoltre i medici hanno trovato le opportune contromisure terapeutiche, Zangrillo ha firmato un documento insieme ad altri 9 colleghi scienziati: Matteo Bassetti, Arnaldo Caruso, Massimo Clementi, Luciano Gattinoni, Donato Greco, Luca Lorini, Giorgio Palù, Giuseppe Remuzzi e Roberto Rigoli).Il messaggio che voglio dare anche a nome dei miei colleghi è: siamo tutti dalla stessa parte della scienza; la nostra iniziativa, pacata e responsabile, non è di contrapposizione, ma di divulgazione scientifica obiettiva. È innanzitutto una notizia positiva, che le autorità sanitarie devono recepire per quello che è: un messaggio da chi la clinica la vive quotidianamente, perché noi abbiamo vissuto in mezzo alla malattia, perché io mi sono spaventato personalmente, ho rischiato di prenderla, ho lavorato fin dall’inizio a fianco dei miei collaboratori per salvare delle vite umane. Secondo l’Oms, il Covid si comporterà come la Spagnola, tornando in autunno e mietendo molte vittime? Non ci sarà una seconda ondata perché nessuno di noi vuole rivederla. Poi non posso negare che in autunno inoltrato, con la ripresa del freddo, come per tutti i virus respiratori, si possa verificare un risveglio del Covid. Ma sono certo che sapremo controllare questa ripresa della viremia. Il crollo dei malati di coronavirus è ormai inequivocabile. Abbiamo verificato che la carica virale naso-faringea dei tamponi eseguiti in maggio era assolutamente più bassa rispetto a una popolazione omogenea, cioè con le stesse caratteristiche, di quanto lo fosse due-tre mesi fa. Questo warning della virologia è stato poi verificato a livello italiano e internazionale, trovando più conferme.
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Saper lottare per la libertà: Giulietto Chiesa in valle di Susa
«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.E’ un mese stranissimo, quel giugno 2011, nella valle piemontese dove gli amici di Bersani intendono tornare, dopo il primo clamoroso sfratto subito nel 2005 a furor di popolo: migliaia di manifestanti in strada, con davanti i sindaci in fascia tricolore. Scene mai viste, in Italia, dai tempi dei Moti di Reggio Calabria. Sembrava fatta, allora: progetto ritirato, bocciato come inutile e dannoso, oltre che inviso alla popolazione. «Se qualcuno mi riparla ancora di Tav Torino-Lione – aveva scritto Giorgio Bocca – tiro fuori il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo seppellito dopo il 25 aprile del ‘45». Una favola, quella del Villaggio di Asterix che si oppone alla potenza di Roma. A dire il vero, l’Impero aveva già tuonato minaccioso: il G8 di Genova, l’11 Settembre, l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Giulietto Chiesa, altro glorioso giornalista italiano, non era certo rimasto in silenzio: alla sua età non più verde, come inviato della “Stampa” era stato tra i primi a entrare a Kabul con i carri armati dell’Alleanza del Nord, quelli dell’unica fazione presentabile: i Tagiki dell’appena assassinato Ahmad Shad Massud, eroe nazionale. E poi aveva scritto la sua versione dei fatti in un libro memorabile, edito da Feltrinelli ma silenziato dai giornali: “La guerra infinita”. Rivelazione: una tragica barzelletta, la versione ufficiale del maxi-attentato alle Torri Gemelle. Così, il prestigioso inviato (una vita a Mosca, per le testate più importanti) si era guadagnato la nomea di visionario complottista.Di tutti i big del giornalismo italiano – gli ha reso omaggio Paolo Barnard, cofondatore di “Report” – Giulietto Chiesa è il solo che abbia saputo mettere a repentaglio la sua carriera per amore della verità, rinunciando a onori e privilegi. Oggi, i tremila architetti e ingegneri americani che si sono dannati l’anima per ricostruire gli eventi di quel maledetto 11 settembre 2001 sono pervenuti a una certezza: le Twin Towers (insieme all’Edificio 7) crollarono per demolizione controllata, non certo per l’impatto di aerei di linea dirottati. Era così indistruttibile, il World Trade Center, che il Comune di New York pretese che il progetto edilizio venisse corredato con un piano obbligatorio per l’eventuale demolizione: in quel caso, i tecnici stabilirono che solo delle bombe atomiche – installate nelle fondamenta – avrebbero potuto garantirne il crollo. Non è un mistero: costruirono dei bunker per alloggiare all’occorrenza le famose mini-nukes. E’ tutto scritto, nelle carte dell’ufficio edilizia newyorkese. Ma guai a ricordarlo: si passa per malati di mente. Ormai va così, il mondo: il giornalismo mainstream diventa “embedded”, abdicando alla sua antica funzione di “cane da guardia della democrazia”. Restano in circolazione solo i battitori liberi. Ragazzi coraggiosi, qualche raro “senatore”. Ma uno solo – ricorda Barnard – capace di rischiare tutto. Uno che da perdere aveva tantissimo: gli appoggi nell’editoria, l’ospitalità dei talkshow e molto altro.Giugno 2011, si diceva: valle di Susa. Che succede, in quei giorni? Semplice: ripartita la Banda del Buco, la grande cordata politico-finanziaria che vuole il tunnel ferroviario italo-francese, perfetto e inutile doppione del Traforo del Fréjus lungo la linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle, i NoTav si sono accampati tra i vigneti alpini della Maddalena di Chiomonte, prescelti per il cantiere-bis. Una tendopoli festosa, formato famiglia, come quelle dei boy-scout. La Libera Repubblica della Maddalena. Canti e balli, concerti, assemblee. E un profumo stranissimo di libertà: l’orgoglio di chi pensa di essere dalla parte del giusto, e si illude di rappresentare un’avanguardia per l’Italia intera, a cui manda un avvertimento. In spiccioli: attenzione, oggi tocca a noi montanari, ma domani ci rimetterete tutti. Ormai siamo alle prese con un potere brutale, senza volto, sempre meno democratico, che ne se infischia di tutti. I partiti? Scomparsi. Il cittadino è solo, di fronte alla minaccia. Non ci sono più corpi intermedi, nessuno che tuteli i diritti sociali elementari. Sembra quasi l’antipasto di una possibile dittatura orchestrata da tecnocrati. Prendere o lasciare, non c’è alternativa: quel che è stato deciso si deve fare, punto e basta. E voi toglietevi di mezzo, altrimenti vi spazziamo via con le cattive. Oggi, le orecchie si sono abituate: dal “ce lo chiede l’Europa” all’attuale “è il coronavirus, bellezza, e tu non puoi farci niente”. Suona familiare?Domenica 26 giugno, Torino, aeroporto di Caselle. Mezzanotte. Tanto per cambiare, il volo Alitalia atterra con un’ora di ritardo. Il Vecchio è di ottimo umore: non vede l’ora di vederla, la Libera Repubblica, prima che alla Maddalena – di lì a poche ore – irrompano le truppe antisommossa spedite fin lassù dal ministro dell’interno Roberto Maroni e dal capo della polizia, Antonio Manganelli. La valle è avvolta nel buio, la vecchia Volvo arranca lungo la salita. Una volta a Chiomonte, lo spettacolo di una luminaria infinita: cinquemila fiaccole che sciamano dalla Maddalena, sfollando verso il paese. «Ma che fanno, se ne vanno via?». «Sì, hanno paura: temono che domattina la polizia arrivi davvero». A fermare la Volvo, una barricata in mezzo alla strada. «Ah, siete voi? Un attimo di pazienza, e vi apriamo». Il varco si spalanca, così l’auto si può arrampicare tra i vigneti scuri e la processione delle ultime fiaccole in ritirata. In cima alla salita, c’è una specie di stato maggiore ad accogliere l’Anziano. Strette di mano, silenzi. L’aria è tesa. Presidiano l’area quasi mille manifestanti, rimasti sul posto per attendere l’alba. Ci sono le tende, ma nessuno chiude occhio. Tutti in allerta: chi sul prato, chi a sorvegliare barricate e sbarramenti. Una specie di assedio medievale, ma senza armi. «Speravamo di cenare: si può avere almeno un panino?». Macché: chiusa la cucina da campo, sprangato anche il chiosco delle bibite. Tutta la notte, senza nemmeno il conforto di una birra.Uno alla volta, al Vecchio venuto da Roma si avvicinano in tanti. Qualche sindaco, che vuole ringraziarlo di essersi preso la briga di infilarsi, alla sua veneranda età, in un pasticcio come quello. Tra i più entusiasti c’è un coetaneo, Enzo Debernardi: ha scoperto che, in gioventù, con l’Anziano aveva condiviso la stessa scuola di partito, le mitiche Frattocchie. A proposito di comunisti: ecco Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione; inganna l’attesa sotto un tendone, giocando a carte. Sono tanti, i visi amici che popolano l’ultima notte della Libera Repubblica. Per esempio il sociologo Marco Revelli e i giovani giornalisti del “Fatto Quotidiano”, Cosimo Caridi e Lorenzo Gaelazzi. Il clima cambia quando compaiono Maurizio Tropeano della “Stampa” e Marco Imarisio del “Corriere della Sera”, poi autore di un esemplare reportage. Colpisce il loro abbigliamento: scarponi e caschetti, fazzoletto per proteggersi il volto, scorte di limone per resistere ai lacrimogeni. Alle quattro di mattina, nel buio ancora fondo, c’è chi si ostina a sperare che si sia trattato solo di un falso allarme, illudendosi che lo sgombero non ci sarà. Mezz’ora dopo, i primi sms: «Attenti, i poliziotti hanno lasciato gli alberghi: si stanno preparando». Duemila in tutto: tra agenti, carabinieri e finanzieri.Prima del sorgere del sole, compaiono le colonne blindate. I NoTav prendono posto sulle barricate. La consegna è precisa: opporre una resistenza passiva, senz’ombra di violenza. I sindaci fanno da tramite con la Digos: «Se non voleranno pietre, non ci sarà nessuna carica». La missione della polizia: conquistare il pratone della Maddalena lentamente, senza fretta, prima di sera. Una giornata che si annuncia lunghissima, snervante, infinita. Rischio: qualche spintone, al massimo. Questo, almeno, in teoria. Perché poi, in pratica, non si può mai sapere come andrà a finire. Il Vecchio scruta lo spettacolo dall’alto, dal belvedere della Maddalena. Tutto come da copione: la polizia che avanza con calma, mentre gli elicotteri presidiano il cielo. Se appena qualche sconosciuto afferra una pietra, le sentinelle NoTav gli volano addosso per disarmarlo. Le ore scorrono lentissime, e gli agenti ormai sono di fronte agli sbarramenti. Urla, concitazione, nuvole di lacrimogeni. E il Vecchio? Eccolo là, stanchissimo, sprofondato su una poltroncina di plastica. E’ avvolto in un poncho rosso, che gli hanno gettato sulle spalle: sembra Garibaldi. E’ provato: il volo serale, la pancia vuota. Tutta la notte in piedi, e poi l’intera mattinata in stato di tensione. In quei momenti, anche solo un caffè farebbe miracoli. Ma non c’è tempo. Di colpo, il pratone viene invaso dai NoTav in fuga, inseguiti. Bisogna scappare. Dove? Su per il bosco, decide Garibaldi, d’istinto.Un attimo, ed è già tardi: l’aria diventa grigia, visibilità zero. E’ la nebbia chimica dei gas Cs. Così si brancola, accecati. Manca il respiro: quel gas regala un’autentica sensazione di soffocamento. Panico e caos, in mezzo alla marea dei NoTav in rotta: corrono a centinaia, nella nebbia, incalzati agli agenti. Sono una grandine, i lacrimogeni che piovono da ogni parte. Nel nebbione, una ragazza si accorge del Vecchio che tossisce, rantola, non riesce a riaprire gli occhi. Gli passa una bottiglia d’acqua. Torna la vista, e pian piano anche il fiato. Bisogna risparmiarlo: il sentiero nel bosco – unica via di fuga – è roba da alpinisti (e il Vecchio scivola tra i sassi, zampettando sui mocassini). Lentamente, si forma una colonna di profughi. Un serpentone in rotta, tra gli alberi, tallonato dagli elicotteri. Una fatica devastante, nel caldo che intanto si è fatto insopportabile. Finito il bosco, compare una borgata. Gli abitanti sembrano caschi blu dell’Onu: offrono caffè e un bicchiere di vino. I profughi, stremati, si tuffano nelle fontane. Sollievo generale: è davvero finita, a quanto pare? Non ancora: dalla borgata alpina lo si vede benissimo, quello che sta succedendo laggiù. Nel fondovalle, centinaia di manifestanti NoTav hanno bloccato la statale, per protesta. Chi ha raggiunto le case in cima al bosco è rimasto intrappolato: non potrà allontanarsi in auto.Poco più in là, gli sherpa che guidano l’Anziano bussano a una baita, a dieci minuti di strada, che funziona anche come ristorante. C’è davvero bisogno, finalmente, di mettere qualcosa sotto i denti. «Oggi siamo chiusi», è la risposta. Sguardi interrogativi. «Ma voi venite dalla Maddalena?». E certo, non si vede? «Entrate, allora. Vediamo cos’è rimasto, da mangiare». In un amen, prende forma una specie di banchetto. Dalla dispensa esce ogni ben di Dio, taglieri di salumi e formaggi, persino uno spettacolare arrosto con patate di montagna. A un certo punto, l’oste si accorge che il Vecchio è sparito. «E’ fuori, dev’essere uscito a telefonare». Va ad avvertirlo che il suo arrosto è pronto, ma rimane interdetto: «Dorme, non oso svegliarlo. Si è addormentato, seduto sui gradini». Naturale: tutti stanno crollando dal sonno. Solo che non hanno settant’anni suonati, e non sono partiti da Roma la sera prima. «Scusate, ma chi è? Mi sembra di averlo giù visto, in televisione».Esatto, è proprio lui: Giulietto Chiesa. L’unico grande veterano dell’informazione, capace di spingersi in quella valle della malora per viverla fino in fondo, in prima persona, l’ultima notte di quella avventurosa Libera Repubblica. Tutti bravi, i colleghi, a storcere poi il naso di fronte alle prime violenze esplose in seguito, generate dalla rabbia, dopo anni di proteste prima accorate e poi disperate, sempre inascoltate. Nel frattempo dov’erano, i giornalisti? Comodo, a cose fatte, liquidare la questione: mera faccenda di ordine pubblico. Inaccettabile, lasciar degradare una battaglia civile tollerando la comparsa di frange violente? Giusto, ma nessuno s’è domandato il perché di tutto questo? Lui sì, l’aveva fatto. L’unico, davvero, a rispondere «presente, eccomi qua». Capace addirittura di tornare a Torino, anni dopo, a deporre in tribunale. La differenza? Sta nel coraggio di non tirarsi indietro, di fronte a rogne che chiunque altro eviterebbe. Significa saper entrare nel cuore delle cose, scoprire i fatti, guardare negli occhi le persone. Specie se sono sole, senza amici che contino, senza difensori. E alle prese con un avversario onnipotente, che poi alla fine tanti altri italiani – col tempo – riconosceranno come problema comune: un nemico subdolo e bugiardo, pronto a a mentire a reti unificate pur di calpestare qualsiasi residua sovranità, trasmettendo il seguente messaggio: tu, semplice cittadino, ormai non conti più niente. Descansate, niño.Un anno più tardi, ci volle l’eroismo solitario e nonviolento di Luca Abbà, precipitato dal traliccio in cima al quale s’era arrampicato, per scomodare la mitica troupe di Michele Santoro: vuoi vedere che in valle di Susa c’è un problema grosso come una casa, per la democrazia italiana? Archiviato intanto il Cavaliere, il paese – con Letta, Renzi e Gentiloni – scivolava sul piano inclinato del meno peggio, fino all’attuale molto peggio: l’incubo della polizia sanitaria e gli arresti domiciliari di massa, il Distanziamento, il suicidio dell’economia stabilito per decreto. Qualcuno decide tutto, lassù, sopra la testa di sessanta milioni di persone. L’alibi può cambiare, la sostanza no: fine della libertà, attraverso l’imposizione (a mano armata, anche) dei voleri di un potere oscuro – finanziario, addirittura sanitario – che nessuno ha mai scelto, votato, approvato. Si può cominciare con un’inutile super-ferrovia, e si finisce con le museruole imposte ai bambini ai giardinetti, in attesa del vaccino universale obbligatorio, del tracciamento orwelliano, del microchip sottopelle. Dove portasse, quel vicolo maledetto – sbarrato dalle innocue barricate dimostrative della valle di Susa – erano stati davvero in pochi, a capirlo. Quel memorabile lunedì 27 giugno del 2011, a tarda sera, Giulietto Chiesa era ancora nella vallata in rivolta. Volle raggiungere Bussoleno, la cittadina del fondovalle dove i reduci NoTav erano radunati in assemblea. Una folla oceanica. Quando lo videro, esplose un’ovazione. Era per pronunciare l’unica frase possibile: grazie, Giulietto.Chi esce dai ranghi per affrontare l’ignoto va sempre incontro a grossi guai, e finisce per collezionare insulti: la destra ottusa ha accusato il Vecchio di essere una specie di incorreggibile nostalgico del comunismo sovietico, mente la sinistra l’ha detestato (altrettanto cordialmente) per la sua lucida, imperdonabile diserzione. «Non avete capito niente, della mutazione del mondo», ripeteva, agli ex compagni: «Quelli di voi che sono in buona fede perdono ancora tempo ad accanirsi contro i piccoli politici italiani, che non contano nulla, senza vedere che i leader “riformisti” si sono venduti all’élite mondialista, ai Padroni dell’Universo: quelli che se decidono di costruire una ferrovia miliardaria e inutile sono capaci di schiacciare la popolazione, senza nessuna pietà e senza dare spiegazioni». Ai NoTav, secoli prima dell’avvento della Salvini-Fobia, regalò queste parole: «E’ stata l’élite neoliberista, appoggiata anche dalla sinistra, a impoverire tutti, esasperando gli animi: al punto che, domani, avrà buon gioco il primo cialtrone che si metterà a incolpare i neri, gli zingari o qualsiasi altro disgraziato». Veniva dalla Luna, Giulietto Chiesa? «Canto l’uomo che è morto, non il Dio che è risorto», recita Lucio Dalla tra i versi di quella sua canzone, “Comunista”, riflettendo sull’eroismo di chi si dispone controvento, a proprio rischio, perché sente – prima e meglio degli altri – che soccorrere l’umanità in pericolo è l’unico modo dignitoso di essere uomini, prima ancora che giornalisti.(Giorgio Cattaneo, 27 giugno 2020).«Ciao, ascolta: da fonte riservata, so che la polizia arriverà lunedì mattina alle prime luci dell’alba. Voglio esserci: ho già prenotato il volo, arrivo domani sera». Sabato 25 giugno 2011, l’Italia dorme. Su “Repubblica”, non ancora incorporata dall’ex Fiat, Ezio Mauro reitera le “dieci domande” con cui perseguitare il mascalzone Berlusconi, vera sciagura vivente e unica causa della rovina nazionale. Ci sono le Olgettine, su cui si scatenano i Travaglio di tutta la penisola (è il loro momento d’oro). E ci sono le mani lunghe, assai meno vistose, dei signori che speculano sui bond, senza che la Bce faccia una piega. Una tempesta perfetta, a orologeria, in arrivo per l’autunno: “Fate presto”, titoleranno tutti, stendendo il tappeto rosso al becchino spedito in carrozza da Bruxelles, col placet del Quirinale, per dare agli italiani una mazzata epocale. Altro che Olgettine: rigore brutale, super-tasse e tagli spietati al welfare, cominciando dalla sanità. La scure di Madame Fornero sulle pensioni, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione con l’avallo del “compagno” Bersani. Già, Bersani: pronto a piegarsi ai peggiori diktat. Eppure irremovibile, il bonario Smacchiatore, su un punto: la stramaledetta storia del Tav Torino-Lione, l’alta velocità ostacolata da quei puzzoni dei valsusini. Appalto colossale assegnato alla Cmc, maxi-cooperativa di Ravenna di cui l’allora segretario del Pd era stato presidente. Dettagli irrilevanti, peraltro, in un paese in cui l’unico possibile conflitto d’interessi, notoriamente, è domiciliato ad Arcore.
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Conte cade a luglio, governo-tampone e poi Draghi al Colle
Conte avrà gioco facile nel dire che non ha abbassato l’Iva perché il Pd non ha voluto. Qualcosa si sta rompendo, perché in questa situazione, in cui si sa che il Pil andrà sotto del 10% e il rapporto debito-Pil arriverà al 160%, ormai i politici populisti vanno a briglie sciolte. Siamo al “tana libera tutti”. È come mettere un obeso in pasticceria. Nel disastro totale, che differenza fa spendere 10 miliardi in più o in meno? È per questo che il Pd sente tremare la terra sotto i piedi. Gualtieri deve stare attento, perché è lui quello che paga le pensioni e gli stipendi degli statali. Questo potrebbe indurre il Pd ad accelerare la resa dei conti, cioè a tentare la strada della crisi. Potrebbe: le certezze sono poche. L’unica cosa che si sa del Recovery Fund è che non arriverà prima del 2021. Il Mes provocherà una scissione nel M5S, ci saranno almeno 20-30 parlamentari grillini che voteranno contro. Finché possiamo emettere Btp a tassi bassi grazie all’aiuto della Bce, il gioco regge. Ma potrebbe anche scatenarsi la speculazione, e a quel punto cambierebbe tutto. Ci ritroveremmo nel 2011 con Monti o nel 1992 con Amato.Il Pd si è imbarcato in questa avventura di governo nella convinzione di condizionare Conte, ma non pare ci stia riuscendo. Sta accadendo l’opposto: la linea di Bettini e Zingaretti è fallita anche sul fronte 5 Stelle. Il Pd sperava di completare l’annientamento dei grillini realizzato a metà da Salvini, che li ha fatti scendere dal 32 al 17%. Invece il M5S si mantiene intorno al 15-16% nei sondaggi. C’è un precedente storico che dovrebbe preoccupare il Pd: esattamente cento anni fa, i liberali di Giolitti si illudevano di addomesticare i fascisti. Fecero il listone e Mussolini se li mangiò. Sarà Berlusconi a salvare Conte sul Mes e non solo, se dovessero esserci defezioni nei 5 Stelle? Sì. Forza Italia – e non solo la Carfagna, da sempre favorevole – è pronta a subentrare, e direi che non vede l’ora. Ovviamente non gratis. A quali condizioni? Via Conte da Palazzo Chigi, e Forza Italia puntella la maggioranza Pd-M5S in cambio di un nuovo premier. Noi vi appoggiamo, ma si apre una nuova fase politica, eccetera. Potrebbe essere prima di settembre? Difficile dirlo. La politica è imprevedibile. Anche la crisi economica.Se a Conte va male, va avanti fino a luglio, se gli va bene può durare fino a settembre. Anche le regionali, non solo la crisi economica, potrebbe scalzarlo da Palazzo Chigi. Il 20 settembre i grillini verranno ulteriormente massacrati, al Nord scenderanno sotto il 10%, quindi non si capirà perché debbano esprimere il premier. Chi accreditare come capo del governo? Guerini o Franceschini? Sono nomi possibili. Girano anche outsider tipo Cantone. Salvini ha lanciato un amo al M5S, auspicando l’elezione del prossimo presidente della Repubblica con il centrodestra, ma il M5S non vuole escludere il Pd. Salvini tecnicamente ha ragione: dopo la terza votazione non ci vogliono più i due terzi, basta la maggioranza assoluta. Quella di Pd e M5S sarebbe risicata. Potrebbero riuscire ad imporre il Capo dello Stato se anche Fi votasse con loro. Le danze sono già iniziate. Alcuni nomi? Prodi, Veltroni… Anche Mattarella ci crede? Non penso ci possa essere un bis del Napolitano-bis. Se a un anno e mezzo di distanza dovessi scommettere, direi Draghi. Avrebbe con sé la maggioranza assoluta degli italiani.Non è la prima volta che si parla di uno scenario in cui lo Stato non ha più soldi per pagare gli stipendi agli statali. Cosa succederebbe? La stessa cosa del novembre 2011, quando lo spread arrivò a 500 e cadde il governo Berlusconi. Come allora si arrivò subito a una unità nazionale con Monti, così adesso salterebbe il quadro politico e si farebbe un governo di emergenza. È il rischio cui andiamo incontro. Adesso i lavoratori privati sono protetti dal divieto di licenziamento, ma vietare i licenziamenti significa dover pagare miliardi di cassa integrazione. Quando cadrà il divieto, i disoccupati fioccheranno a decine di migliaia. Subentrerà il sussidio di disoccupazione, il Naspi, che però dura 6 mesi, e a scalare. Allora il M5S dovrà elargire ad altri il suo reddito di cittadinanza, ma non si sa con quali soldi.(Mauro Suttora, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Conte sfiduciato a luglio e governo Fi-Pd-M5S”, pubblicata sul “Sussidiario” il 23 giugno 2020. Già redattore per “L’Europeo” e “Oggi”, Suttora ha lavorato come inviato e corrispondente per varie testate, italiane e americane).Conte avrà gioco facile nel dire che non ha abbassato l’Iva perché il Pd non ha voluto. Qualcosa si sta rompendo, perché in questa situazione, in cui si sa che il Pil andrà sotto del 10% e il rapporto debito-Pil arriverà al 160%, ormai i politici populisti vanno a briglie sciolte. Siamo al “tana libera tutti”. È come mettere un obeso in pasticceria. Nel disastro totale, che differenza fa spendere 10 miliardi in più o in meno? È per questo che il Pd sente tremare la terra sotto i piedi. Gualtieri deve stare attento, perché è lui quello che paga le pensioni e gli stipendi degli statali. Questo potrebbe indurre il Pd ad accelerare la resa dei conti, cioè a tentare la strada della crisi. Potrebbe: le certezze sono poche. L’unica cosa che si sa del Recovery Fund è che non arriverà prima del 2021. Il Mes provocherà una scissione nel M5S, ci saranno almeno 20-30 parlamentari grillini che voteranno contro. Finché possiamo emettere Btp a tassi bassi grazie all’aiuto della Bce, il gioco regge. Ma potrebbe anche scatenarsi la speculazione, e a quel punto cambierebbe tutto. Ci ritroveremmo nel 2011 con Monti o nel 1992 con Amato.
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Gli Stati Generali servirebbero all’opposizione: è scomparsa
Gli Stati generali sono un assurdo per un governo in carica perché sostituiscono il fare col dire, e questo soprattutto nella nostra emergenza è un gravissimo tradimento; sarebbero invece utili alle opposizioni se mettessero a fuoco una risposta organica, una compagine e una proposta alternativa di governo. E sarebbero il segno di un’iniziativa politica dell’opposizione, non solo di una piazzata. Ci sono in Italia tre forze principali all’opposizione che formano il cosiddetto centro-destra, due sovraniste e una intermittente. Ci sono tre principali quotidiani d’opposizione, quasi nella stessa situazione, più qualche programma televisivo, che battagliano contro il potere in carica. C’è mezza Italia con loro, anche se i lettori sono una piccola minoranza di questo popolo. Nel mezzo, però, tra l’opposizione e la gente, c’è un vuoto, un deserto, manca qualcosa d’essenziale: mancano classi dirigenti o luoghi di formazione e di selezione, mondi, imprese, movimenti, culture, visioni, strategie. E manca soprattutto un racconto diverso sull’Italia, sul mondo, sulla storia passata e presente, differente da quello che passa il regime. Come mai?La soluzione al problema è facile e pure vistosa: l’egemonia culturale ha il monopolio della narrazione, ed è tutta dall’altra parte, un tempo marxista e gramsciana, poi sessantottina, radical-progressista e antifascista, e ora pure grillo-trasformista. Il potere culturale si annoda all’establishment ed è nelle mani sinistre, non solo da noi; ed è esercitato, non ci stancheremo mai di ripeterlo, come una cupola mafiosa, con gli stessi metodi, protezioni, esclusioni, ostracismi e omertà, anche se incruenti. Possono fallire le loro idee, finire gli slanci rinnovatori, mancare gli autori all’altezza; e sostituirli coi palloni gonfiati, gli slogan, i riflessi condizionati, i pugni chiusi, le sentenze di qualche magistrato, i precetti della nuova religione politically correct, il catechismo del nuovo bigottismo progressista. Ma il quadro non cambia. E allora torniamo a un nostro tormento che ad alcuni di voi sembrerà un tormentone. Ma perché a quel consenso politico alle forze d’opposizione che sono tuttora maggioranza nel paese e dunque governo potenziale d’Italia, non corrisponde poi nulla a livello sociale, culturale, mediatico, narrativo?Perché non c’è un altro racconto oltre quello unico, globale, ossessivo, che ci viene propinato ogni giorno? Perché l’agenda dei temi e delle narrazioni, il senso della nostra epoca, è sempre in quelle mani e chi vi si oppone al più gioca di rimessa, avversa i loro discorsi, contrasta le loro dominazioni, ma senza lanciare modelli, linguaggi, valori, racconti alternativi? C’è chi si consola dicendo che va così, loro dominano la cultura e l’ideologia, ma ad altri tocca governare e affrontare la realtà, con spirito pratico. Loro parlano parlano ma poi perdono al voto, sono una minoranza. Versione finto-consolatoria, perché sappiamo bene quanto invece siano impediti e condizionati coloro che vanno a governare, avendo contro la bolla ideologica di scomunica; ne subiscono la fatwa, la pubblica interdizione. E sappiamo pure quanto conta in termini d’intimidazione e dominazione il monopolio del discorso rispetto a chi ne è bersaglio e vittima. Vedete che succede a Trump, la violenta campagna a tutti i livelli per impedire la sua rielezione con ogni mezzo.Se parli di opposizione, alla fine non vai oltre i nomi, le facce, la gag dei leader; e quando immagini un’Italia alternativa non riesci ad andare oltre la piazza del 2 giugno, del 4 luglio o poco altro. E magari, a ulteriore conforto, ti soccorrono i nomi di alcuni governatori, sindaci e giunte. Ma finisce lì. L’opposizione in Italia è una forza politico-elettorale, un paio di facce e cognomi; la sinistra invece non ha leader ma è una forza socio-culturale, ideologico-politico-morale diffusa, ramificata, a ogni livello. La destra è realtà nuda e cruda, la sinistra è rappresentazione, molteplice e polivalente. La destra è piazza e urna, la sinistra è salotto, terrazza, poteri, cattedra, pulpito, sacrestia, editoria, libro, premio, film, tribunale, teatro, tendenza, regime, anarchia, eccetera. Viviamo, non solo in Italia, in una democrazia asimmetrica, squilibrata.Non si può far nulla, allora? Lasciate che io vi dica una cosa. Parlo a titolo personale. Preferisco anch’io che al governo ci vadano forze di destra, sovraniste, nazional-popolari, antisinistra, antigrilline. Penso che farebbero poco di quel che dicono ma almeno un po’ meglio di quel che dicono e fanno i loro avversari; meno danni perlomeno, più qualche piccolo tentativo di riforma (avendo l’inferno contro). Però, tenetevi forte: considero quei cambiamenti, quei correttivi meno importanti della mancata sfida sul piano delle idee, dei valori, dei linguaggi, dei comportamenti. Ovvero, più che governare, prima che governare, a me piacerebbe un serio tentativo di cambiare la mentalità dominante, di rovesciare l’egemonia e i suoi derivati o perlomeno di contenderla in modo adeguato. Perché quello sarebbe un vero cambiamento, strutturale, epocale, non effimero e occasionale; un cambiamento destinato a durare e non a passare con una folata di leggi e poi controleggi.E quel che più sconforta è che questo tema non viene minimamente sfiorato o solo compreso da chi potrebbe da un giorno all’altro trovarsi a governare l’Italia. Non dico che si debba creare un’egemonia culturale uguale e contraria, ma almeno avere due chiavi di lettura diverse della realtà. Non dico che si debba riuscire nella titanica impresa, ma nemmeno provarci, però, è imperdonabile. E se non si affronta questa contesa su questo piano, l’atteso cambiamento si riduce a una piccola roba di breve respiro, che non lascia tracce. Non ci cambia la vita se Salvini o Meloni vanno al governo; invece cambia davvero se qualcosa muta nelle idee dominanti, nella vita reale, nella mentalità dell’epoca.(Marcello Veneziani, “Gli Stati Generali ci vorrebbero all’opposizione”, da “La Verità” del 22 giugno 2020).Gli Stati generali sono un assurdo per un governo in carica perché sostituiscono il fare col dire, e questo soprattutto nella nostra emergenza è un gravissimo tradimento; sarebbero invece utili alle opposizioni se mettessero a fuoco una risposta organica, una compagine e una proposta alternativa di governo. E sarebbero il segno di un’iniziativa politica dell’opposizione, non solo di una piazzata. Ci sono in Italia tre forze principali all’opposizione che formano il cosiddetto centro-destra, due sovraniste e una intermittente. Ci sono tre principali quotidiani d’opposizione, quasi nella stessa situazione, più qualche programma televisivo, che battagliano contro il potere in carica. C’è mezza Italia con loro, anche se i lettori sono una piccola minoranza di questo popolo. Nel mezzo, però, tra l’opposizione e la gente, c’è un vuoto, un deserto, manca qualcosa d’essenziale: mancano classi dirigenti o luoghi di formazione e di selezione, mondi, imprese, movimenti, culture, visioni, strategie. E manca soprattutto un racconto diverso sull’Italia, sul mondo, sulla storia passata e presente, differente da quello che passa il regime. Come mai?
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Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende
Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?Lo scorso 26 aprile l’Italia ha perso uno dei suoi osservatori più scomodi, Giulietto Chiesa: emarginato come complottista, quasi che i complotti non esistessero. Davvero? La Guerra del Vietnam esplose dopo l’incidente del Golfo del Tonchino; nel 1964, gli Usa accusarono la marina nordvietnamita di aver attaccato l’incrociatore statunitense Uss Maddox. Ci ha messo quarant’anni, la verità, a emergere: nel 2005, tramite la Nsa, l’intelligence di Washington ha finalmente ammesso che quello scontro navale non era mai avvenuto: era solo una fake news, per inscenare il casus belli. Molto più recentemente, siamo stati capaci di invadere l’Iraq, disastrando un’area che poi sarebbe diventata il brodo di coltura del cosiddetto terrorismo “islamico”, grazie alla maxi-bufala mondiale delle inesistenti armi di distruzione di massa in dotazione a Saddam Hussein. Era anche quella un’invenzione, rilanciata in mondovisione dalla “fialetta di antrace” agitata all’Onu da Colin Powell.La preparazione della realtà virtuale da somministrare al pubblico era stata accuratissima, come sempre. Il britannico Tony Blair, in primis, si era dato da fare per accreditare la bufala, in collaborazione con l’intelligence (anche italiana) che fabbricò la falsa pista del Nigergate, in base alla quale il regime di Baghdad – già armato dagli Usa contro l’Iran, anni prima – avrebbe cercato di approvvigionarsi di uranio in quel paese africano. Non che qualcuno possa rimpiangere (a parte molti iracheni, forse) un regime dispotico come quello di Saddam. Ma possibile che loro, i “padroni del discorso”, debbano ricorrere in modo sistematico alla manipolazione, fondata su clamorose menzogne, per ottenere il consenso necessario a supportare grandi cambiamenti? Non potrebbero autorizzare i nostri governanti a dire semplicemente la verità, ancorché sgradevole? Gliene manca il coraggio?Retropensiero: se tanto impegno viene profuso per raccontare il contrario del vero, non viene il sospetto che la nostra opinione in fondo conti parecchio, nonostante si cerchi di declassarla a fenomeno irrilevante? Certo, votiamo inutilmente: i partiti – tutti – poi si piegano sempre a direttive sovrastanti. Parla da sola la vicenda incresciosa dei 5 Stelle, che hanno tradito per intero le loro promesse elettorali. Idem, la storia tutta italiana dei recenti referendum: regolarmente celebrati, ma poi ignorati; il risultato quasi mai applicato, spesso annacquato se non aggirato e sostanzialmente azzerato. Eppure: se il cosiddetto potere ormai scavalca impunemente la democrazia, mortificandola e sterilizzandola nei suoi effetti, perché si affanna così tanto a imporci la sua narrazione disonesta? Non sarà che teme, nonostante tutto, che prima o poi possa insorgere una reazione, da parte del pubblico?Negli anni Ottanta, agli italiani è stato raccontato che era meglio che Bankitalia smettesse di finanziare direttamente lo Stato, a costo zero: era più trendy avvalersi della finanza privata speculativa, pagandole i salatissimi interessi che fecero esplodere di colpo il famoso debito pubblico. Negli anni Novanta, i medesimi narratori hanno cantato le magnifiche sorti e progressive della sottospecie deforme di Unione Europea fabbricata a Maastricht, quella che oggi impedisce all’Italia – devastata dalle conseguenze del lockdown – di rimettere in piedi le aziende che non riescono a riaprire o che chiuderanno tra poco, quelle che licenzieranno i dipendenti in autunno, quelle che scapperanno all’estero o, meglio ancora, si svenderanno agli attuali committenti esteri, specie tedeschi, prima di cedere il timone al capitale cinese o alla mafia nostrana, che già pregusta il banchetto.Tutti a ridere, nel 2020, quando Giulietto Chiesa scrisse – per primo – che non era possibile credere alla versione ufficiale dell’11 Settembre. Ora la voglia di ridere è passata, dopo che i pompieri di New York hanno cercato di far riaprire le indagini, in base alle loro testimonianze personali e alle evidenze scientifiche schiaccianti fornite dai tremila ingegneri e architetti americani del comitato “Verità sull’11 Settembre”: le torri di Manhattan non potevano crollare in quel modo, su se stesse e in pochi secondi, se non fossero state “minate” ben prima dell’impatto degli aerei. Una cosa però è la verità, e un’altra il suo sdoganamento. Tanto per cominciare, certe verità sono troppo indigeste: se anche venissimo scoperti, dicevano i nazisti, nessuno crederà mai che siamo stati capaci di inventarci una cosa come Auschwitz. E’ un fatto che la mente umana, semplicemente, non accetta. La prima risposta è invariabile: non può essere vero, mi rifiuto di crederlo.Il tempo è galantuomo, si dice; solo che se la prende comoda. Caso classico: John Kennedy, assassinato a Dallas nel 1963. Tuttora, le fonti manistream – da Wikipedia in giù – seguitano a incolpare Lee Harvey Oswald, presentato come una specie di squilibrato solitario, confinando nelle “ipotesi cospirazionistiche” la nuda verità dei fatti, fiutata da subito ma emersa solo quando l’allora numero due della Cia, Howard Hunt, scomparso nel 2007, ha confessato in punto di morte che quello di Dallas fu un complotto del Deep State, attuato attraverso varie complicità: la Cia, l’Fbi, la manovalanza della mafia di Chicago e ben tre futuri presidenti degli Stati Uniti (Lyndon Johnson, Richard Nixon e George Bush). A sparare a Kennedy non fu Oswald, ma il mafioso Chuck Nicoletti. Ma a far saltare il cervello al presidente della New Frontier fu il killer di riserva, James Files: reo confesso, tuttora detenuto per altri reati e mai interrogato, su quei fatti, da nessun magistrato.Di Kennedy ha riparlato due mesi fa il grande Bob Dylan, con l’epico brano “Murder Most Foul”. L’omicidio di Dallas messo in relazione addirittura con il coronavirus: come se la pandemia che ha paralizzato il mondo nascesse da una regia occulta, direttamente ispirata dagli eredi dei criminali al potere che organizzarono il complotto costato la vita a Jfk. Il 19 giugno è finalmente uscito “Rough and Rowdy Ways”, il disco che contiene la denuncia kennedyana: non si contano gli elogi che la grande stampa profonde per quest’opera musicale del 79enne Premio Nobel per la Letteratura, ma nessun giornalista s’è peritato di scavare tra le righe per decifrare il codice esoterico attraverso cui Dylan lancia un’accusa esplicita, accennando al 33esimo grado che contrassegnava i massoni oligarchici e reazionari che vollero spegnere il sogno di un mondo libero, giusto mezzo secolo fa.Quanto ci vorrà, ancora, prima che un nuovo Howard Hunt confessi il suo ruolo nella strage dell’11 Settembre? Meno di quanto si pensi, forse, calcolando la velocità della crisi in corso e il prestigio dei personaggi che, in vario modo – da Dylan a Mario Draghi, fino a Christine Lagarde e Joseph Stiglitz – si stanno mettendo di traverso, rispetto al copione (emergenza, dunque crisi) messo in scena a livello planetario con la presunta pandemia frettolosamente dichiarata da una strana Oms, supportata dalla Cina. Proprio l’Oms ha provato a imporre ovunque il modello Wuhan, lockdown e coprifuoco, anche a paesi come l’Italia: non avendo più sovrantià finanziaria, a differenza di Pechino, noi non ce lo possiamo proprio permettere, un blocco di tre mesi che già quest’anno costerà 15 punti di Pil e chissà quanti milioni di disoccupati. Questo, almeno, è quello che sta finalmente emergendo, giorno per giorno, agli occhi di tutti: non è stato un affare, rinunciare a Bankitalia. E non era d’oro, la promessa europea che i super-privatizzatori come Prodi avevano fatto luccicare.Unire i puntini? Non è mai facilissimo, specie in mezzo al frastuono assordante di un mainstream che tace l’essenziale e ridonda di gossip politico irrilevante. In primo e piano, ora e sempre, la superficie epidermica della realtà: viene esibita la rozzezza retorica e spesso inaccettabile di Donald Trump, mettendo in ombra il cuore del fenomeno. Un vero e proprio incidente della storia, che ha proiettato alla Casa Bianca un outsider incontrollabile, capace di imporre uno stop alla super-globalizzazione che ha schiantato i lavoratori americani. Istrionico, ambiguo, già aggregato ai democratici, nel 2016 Trump s’è travestito da repubblicano sui generis, riuscendo a fermare il pericolo pubblico numero uno, Hillary Clinton, grande sponsor della nuova guerra fredda contro la Russia. Poi Trump – teoricamente, “di destra” – ha fatto cose che la sinistra (americana ed europea) si poteva solo sognare, negli ultimi decenni: ha dimezzato le tasse e raddoppiato il deficit. Risultato: disoccupazione azzerata. Infine, ha imposto uno storico stop – con i dazi – alla creatura preferita dei globalizzatori atlantici più reazionari e guerrafondai: la Cina.Manco a dirlo, l’emergenza Covid è esplosa a Wuhan un minuto dopo il “niet” inflitto da Trump a Xi Jinping, facendo dilagare la crisi giusto alla vigilia delle presidenziali americane. Come dire: è in gioco qualcosa di enorme, due versioni del mondo. La prima ce l’hanno fatta intravedere anche i prestanome italiani del governo Conte, peraltro non ostacolati minimamente dall’altrettanto farsesca opposizione: lockdown e niente aiuti, repressione orwelliana, distanziamento, mascherine, panico amplificato (bare sui camion militari) e cure efficaci contro il Covid regolarmente oscurate, emarginando i medici che per primi erano riusciti a sconfiggere il nuovo morbo, trasformandolo in malattia normalmente curabile. La seconda ipotesi di mondo – quella per la quale morì Kennedy – è tutta da difendere e da ricostruire, dopo il “golpe” mondiale della finanza neoliberista che s’è inventata persino l’eurocrazia stracciona che impoverisce i popoli e oggi li avvelena, mettendoli l’uno contro l’altro. Di Nuova Frontiera, probabilmente, si può riparlare solo se rivince Trump: se invece perde, prepariamoci a farci spiegare da Bill Gates come sarà la nostra vita domani.(Giorgio Cattaneo, “Il complotto dei bugiardi e la Nuova Frontiera che ci attende”, dal blog del Movimento Roosevelt del 24 giugno 2020).Tutti a tifare viva Conte, abbasso Conte, forza Meloni, morte a Salvini. Ma chi se ne accorge, quando certe cose accadono e il mondo finisce per cambiare passo? Lì, per lì, in pochi: per decenni – dice un’autorità culturale come lo storico Alessandro Barbero – abbiamo creduto alla bufala del medioevo, un tunnel di secoli oscuri, quando invece non s’era mai vista, tutta insieme, una tale esplosione di progressi, conquiste, signorie illuminate e benessere socialmente percepito. Mille anni, di cui sappiamo ancora pochissimo. Una sola, grande certezza: tutto quello che credevamo di sapere, dice Barbero, era inesatto, se non falso. Indicatori esemplari: la leggenda barbarica dello jus primae noctis e, meglio ancora, quella del terrore millenaristico; a pochi mesi dal fatidico Anno Mille, si firmavano regolarmente carte e contratti pluriennali, come se il mondo non dovesse finire mai. E se questo vale per l’epoca medievale, oltre che per tanti altri periodi storici (di cui non esistono fonti dirette, ma solo storiografiche e quindi fatalmente soggettive), non potrebbe valere anche per oggi?
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Bizzi: giudici e banche, nuova Tangentopoli. Ora crolla tutto
«I segnali di una grande operazione in corso sono ormai evidenti: il governo Conte sta nervosamente e istericamente procedendo a tappare le falle di una diga che sta ormai per crollare e travolgere tutto». E Luca Palamara, personaggio liquidato in tempi non sospetti da Francesco Cossiga e ora espulso dall’Anm, sta per cantare: «Si rifiuterà di affondare da solo e scoperchierà una pentola molto pericolosa per il sistema-Italia». Per lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, siamo alla vigilia di una nuova Tangentopoli: quella del 1992 «decretò il funerale del primato della politica, la svendita del nostro paese ai grandi potentati della finanza internazionale e la definitiva perdita della nostra sovranità monetaria». Questa, invece, «ormai nei fatti già avviata e che con molta probabilità ed evidenza anch’essa pianificata e orchestrata a Washington», potrebbe avere un effetto diametralmente inverso: «Potrebbe cioè essere portata avanti, nel contesto dello scandalo dell’Obamagate, da quelle parti sane della Cia e dell’Fbi che sostengono l’amministrazione Trump nella sua lotta al Deep State, nella sua azione di “prosciugamento della palude”, per far cadere un esecutivo – quello italiano, ormai palesemente ostile alla Casa Bianca – e per far fuori, per via giudiziaria, un’intera classe politica che negli ultimi due decenni a tale Deep State si è piegata e asservita». La tempesta in arrivo, aggiunge Bizzi, potrebbe persino far cadere l’ultimo tabù: il legame invisibile tra banche e magistrati.La tempesta giudiziaria innescata negli anni Novanta da Mani Pulite, ricorda Bizzi in una riflessione pubblicata sulla sua pagina Facebook, venne scatenata con l’attiva partecipazione di una parte del Deep State americano di allora, attraverso fazioni della Cia e dell’Fbi, «utilizzando come cavallo di Troia una certa sinistra (leggasi Pci-Pds-Ds), già di per sé profondamente in crisi politica e ideologica in seguito alle ripercussioni della caduta del Muro di Berlino». Vedendo sfumare ogni concreta possibilità di arrivare al governo del paese, quella sinistra «non esitò, pur di garantirsi un futuro politico, a siglare un vero e proprio “patto col diavolo”, prostituendosi ai burattinai della grande finanza internazionale, alle lobby di Bruxelles e a organizzazioni criminali quali il Gruppo Bilderberg e la Commissione Trilaterale». Inutile dire, aggiunge Bizzi, che ancora oggi, in Italia, «stiamo scontando le terribili conseguenze di quel “patto”, senza il quale, del resto, non ci sarebbero neanche state le due trattative Stato-Mafia (l’ultima delle quali risale ad appena due mesi fa)». Bizzi allude alle accuse rivolte al ministro Alfonso Bonafede, che avrebbe ceduto alla richiesta di non premiare un magistrato antimafia come Nino Di Matteo.Come suggerisce il saggista Marco Della Luna, secondo Bizzi manca però ancora un passaggio fondamentale per chiudere il cerchio e scatenare la Tangentopoli finale per questo sistema-Italia, e cioè «lo screening dei rapporti di cointeressenza tra magistrati e banche». Lo scandalo Palamara, che ha investito il Csm, l’Anm e alcuni vertici della magistratura fino alla Corte di Cassazione, «con le varie correnti ha rivelato all’opinione pubblica il potere sulla gestione della giustizia è in mano a ristretti comitati d’affari, che operano con metodi e scopi illegittimi, di concerto coi comitati d’affari politici». Per Bizzi, lo scandalo ha anche mostrato che il potere intrecciato di questi comitati, «che si associano per violare la legge e stabilire rapporti clientelari e condizionamenti illegittimi», isolando i magistrati onesti. Le diverse correnti, inoltre, «non servono a rappresentare differenti concezioni ideali o teoriche del diritto per il bene generale», ma mirano solo «a conquistare potere e a perseguire interessi pratici». Interessi di parte, «nel mercato dei concorsi e delle nomine nella giustizia, delle sentenze, delle ordinanze, delle intercettazioni, delle iscrizioni nei registri degli indagati».Palamara ha commentato la sua espulsione, decisa dai probiviri della stessa Anm, dicendo che non ci sta, a fare il capro espiatorio: del resto, ha aggiunto, anche i probiviri fanno parte del sistema. «Insomma, politica e giustizia funzionano in modo simile, ed è logico che si spalleggino, legittimino e assolvano a vicenda». E’ illusorio sperare che la politica riformi la giustizia per risanarla, e che la giustizia indaghi per risanare la politica: «Entrambe fingono di farlo, ma niente più». Di fatto, «vengono colpiti solo gli indipendenti che disturbano». La novità, continua Bizzi, è che oggi «abbiamo in parte scoperchiato i rapporti illeciti tra politici e banchieri, e quelli tra magistrati e politici». E quindi, «per chiudere la triangolazione del sistema di potere italiano resta da portare alla luce i rapporti tra magistrati e banchieri». Ovvero: «Il sistema bancario è in crisi cronica perché, per azione dei politici nelle fondazioni bancarie e nei Cda, ha sistematicamente concesso prestiti clientelari a soggetti che non li avrebbero rimborsati». E’ un sistema «che si regge compensando queste perdite con una diffusa pratica di usura (in varie forme) e di smercio di prodotti finanziari fraudolenti ai risparmiatori inesperti».Queste pratiche, accusa Bizzi, non sarebbero attuabili su scala sistemica «senza una copertura da parte della giustizia». Infatti, «solo in piccola parte emergono i casi di usura, di frode al risparmio, e quasi mai quelli di prestiti clientelari, che sono i più importanti per gli interessi coinvolti». Lo stesso Bizzi cita Thomas Sigmund, giornalista d’inchiesta meranese, autore del libro bianco “La Magistropoli”. «Dopo aver osservato un caso di usura conclamata da ben quattro perizie indipendenti, e che però veniva negata contro l’evidenza dai giudici di prima e di seconda istanza di un certo tribunale in favore della banca interessata, si mise a indagare i rapporti tra i magistrati di quel tribunale e quella banca». La sua scoperta? «Tutti i magistrati che si occupavano di quella banca, non solo nel suo caso, avevano (in proprio o attraverso familiari) rapporti di interesse economico con essa: azioni, mutui di favore, incarichi remunerati di vario tipo». Sigmund è stato denunciato, processato a Trieste e poi assolto: aveva detto la verità. Eppure, «i magistrati esposti dalla sua indagine sono ancora al loro posto, sebbene siano stati deferiti al Csm: il sistema fa quadrato a difesa delle sue proprie impunità». E così, Thomas Sigmund «ha pensato bene di emigrare all’estero».Quello illuminato da Sigmund, dice Bizzi, non è un caso isolato: «E’ logico che le banche, dovendo operare sistematicamente ai limiti od oltre i limiti delle regole, investano per assicurarsi una giurisprudenza benevola, che respinga quasi tutte le opposizioni alle loro pretese». E sta appunto qui, secondo Bizzi, «la chiave da girare per aprire la nuova e definitiva Tangentopoli». Ovvero: «Uno screening a tappeto dei rapporti di interessenza (azionariato, credito, compravendita, consulenze, cariche, incarichi arbitrali) tra magistrati da una parte, e dall’altra banche di cui questi magistrati si occupano». La tesi: «Se si scoperchia questo mondo, il sistema-Italia finisce davvero, perché perde un puntello indispensabile». E il “buco nero” più grosso, aggiunge Bizzi, è quello dei “falsi sistematici” nei bilanci bancari, con la conseguente evasione Ires e Iva. Una voragine di grandezza tale da risanare sia le banche che le finanze pubbliche, arrivando finalmente a tassare un’evazione fiscale di proporzioni mostruose. «Non parlerei di questa cosa», precisa Bizzi, «se non fosse imminente la divulgazione di una scoperta eseguita in una perizia giudiziale civile “ante causam” (Atp), ordinata da un giudice nei confronti di una primaria banca su richiesta di un’impresa che si ritiene usurata e si sta difendendo da un pignoramento».Da quanto trapela, prosegue Bizzi, attraverso il controllo della contabilità interna della banca, è emerso che – quando la banca deve erogare un mutuo – non fa ciò che ci si immagina dovrebbe fare una banca, cioè attingere alle proprie riserve, ma si limita ad accreditare la cifra richiesta sul conto del cliente. «e ad addebitargliela su un altro conto, intestato alla banca stessa, per poi procedere all’incasso delle rate di capitale e interesse». Quindi, in sostanza, «la banca non tira fuori nulla dalle proprie tasche». A livello di filiale, «crea una disponibilità al cliente mediante semplice digitazione sul conto corrente», e contemporaneamente – attenzione – registra a credito questo importo. «Cioè incamera un credito per soldi che non ha sborsato, realizzando un ricavo netto senza registrarlo come ricavo, quindi sottraendolo al fisco». Due problemi: evasione fiscale e fondi neri. «Considerando che la creazione di questi prestiti ha un volume medio annuo, in Italia, di 1.000 miliardi, fate voi i conti di quanto sfugge al fisco». Ora, per la prima volta nella storia – scrive Bizzi – un giudice ha accettato di impegnarsi a scoprire la verità. «Se diverrà di dominio pubblico, se la gente la capirà (quella schiacciata dalle tasse, dai debiti, dalla disoccupazione soprattutto), sarà lo sputtanamento finale anche per gli ipocriti paladini del Mes, dello spread e della lotta al contante».«I segnali di una grande operazione in corso sono ormai evidenti: il governo Conte sta nervosamente e istericamente procedendo a tappare le falle di una diga che sta ormai per crollare e travolgere tutto». E Luca Palamara, personaggio liquidato in tempi non sospetti da Francesco Cossiga e ora espulso dall’Anm, sta per cantare: «Si rifiuterà di affondare da solo e scoperchierà una pentola molto pericolosa per il sistema-Italia». Per lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, siamo alla vigilia di una nuova Tangentopoli: quella del 1992 «decretò il funerale del primato della politica, la svendita del nostro paese ai grandi potentati della finanza internazionale e la definitiva perdita della nostra sovranità monetaria». Questa, invece, «ormai nei fatti già avviata e che con molta probabilità ed evidenza anch’essa pianificata e orchestrata a Washington», potrebbe avere un effetto diametralmente inverso: «Potrebbe cioè essere portata avanti, nel contesto dello scandalo dell’Obamagate, da quelle parti sane della Cia e dell’Fbi che sostengono l’amministrazione Trump nella sua lotta al Deep State, nella sua azione di “prosciugamento della palude”, per far cadere un esecutivo – quello italiano, ormai palesemente ostile alla Casa Bianca – e per far fuori, per via giudiziaria, un’intera classe politica che negli ultimi due decenni a tale Deep State si è piegata e asservita». La tempesta in arrivo, aggiunge Bizzi, potrebbe persino far cadere l’ultimo tabù: il legame invisibile tra banche e magistrati.
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Magaldi: fermiamo Zingaretti, vuole imporre il Tso al Lazio
Ma che razza di paese siamo? Nella sua circolare per impostare le campagne vaccinali d’autunno, il ministero della sanità sposa la “forte raccomandazione” della Regione Lazio, che invita a vaccinare contro l’influenza anche i bambini dai 6 mesi ai 6 anni, anche se – come scrive lo stesso ministero – a sconsigliarlo sono voci autorevoli della comunità scientifica. «Esilarante: anziché ai cittadini del Lazio, che Zingaretti vorrebbe sottoporre al trattamento sanitario obbligatorio, io il Tso lo prescriverei per i funzionari che scrivono cose come quelle. Ma come: la comunità scientica sconsiglia, e noi – impunemente – raccomandiamo?». Gioele Magaldi annuncia l’ennesima azione, sulla crisi Covid, intrapresa dal Movimento Roosevelt: un ricorso al Tar del Lazio, affidato all’avvocato “rooseveltiamo” Vanni Oddino, per annullare l’ordinanza che, nella regione, impone da ottobre l’obbligo del vaccino antinfluenzale per medici, infermieri e over-65. Un atto «assurdo, rischioso e ingiusto, perché incostituzionale». Magaldi condanna il “trattamento sanitario obbligatorio” imposto da Zingaretti, che ha spinto gli stessi medici laziali a rivolgersi alla magistratura. Attenti: il Lazio – già imitato dalla Calabria – potrebbe fare da battistrada per l’Italia intera. Tanti i denari in ballo: 115 milioni di euro, per prenotare i vaccini antinfluenzali destinati alle due Regioni. E i soldi dei vaccini, avverte Magaldi, spesso finanziano gli apparati politici.Di fronte all’ordinanza della giunta Zingaretti, osserva il presidente “rooseveltiamo”, «si capisce perché molti sono esacerbati e scivolano nell’insensato antivaccinismo: le autorità politiche e sanitarie hanno abdicato al principio scientifico e anche a quello del buon senso». Secondo Magaldi, ormai «è passata l’idea che più vaccini imponiamo, e meglio tuteliamo la popolazione. In realtà – obietta – a essere tutelato è chi ha approfittato di questa situazione: a chi arrivano poi tutti questi milioni? E chi ha avuto interesse a muovere un tale flusso di denaro? L’unica cosa certa – aggiunge Magaldi – è che queste vaccinazioni plurime, con gli inconvenienti che si iniziano a comprendere e i benefici che non sempre si comprendono, hanno foraggiato potentemente il sistema politico. E questo può spiegare anche la crociata ideologica dei No-Vax». Beninteso, precisa Magaldi: «Non sono mai stato No-Vax e non ho mai apprezzato quella canea di strepiti, alimentati da suggestioni antiscientifiche, ma nemmeno ho apprezzato l’obbligo di tanti vaccini imposti ai bambini con motivazioni friabili». Motivazioni che poi, nel caso dell’ordinanza laziale, diventano ridicole e insostenibili, sia dal punto di vista legale che sotto l’aspetto medico-scientifico.«C’è una diffusa indignazione per le modalità dello strumento adottato dal Lazio», conferma Monica Soldano, coordinatrice del servizio di Sostegno Legale del Movimento Roosevelt, sportello che difende gratuitamente i cittadini colpiti da sanzioni ingiuste durante il lockdown: «L’ordinanza regionale non può imporre un Tso, visto che l’articolo 32 della Costituzione lo consente solo se c’è un pericolo imminente: e l’influenza stagionale non rappresenta certo un pericolo così grave, né tantomeno imminente, al punto da imporre un trattamento sanitario obbligatorio». Non solo: «Sempre in base alla Costituzione, un ente come la Regione non ha il potere di emanare una simile ordinanza: chiediamo infatti al Tar che venga annullata per eccesso di attribuzione di potere (abuso di potere, quasi) e per assenza di competenza costituzionale». Il Lazio, poi, si rifà al Dpcm sull’emergenza Covid firmato da Giuseppe Conte lo scorso 27 aprile, «quando ormai la pandemia si stava attenuando», mentre l’obbligo vaccinale nel Lazio scatterebbe solo a ottobre, «cioè 5 mesi dopo l’emergenza». Infine, serviva almeno un cospicuo avallo scientifico: invece, il Lazio dichiara solo di aver “sentito per vie brevi” il Comitato tecnico-scientifico del governo. Solo una telefonata? «Questa ordinanza – sottolinea Monica Soldano – è nata in maniera preoccupante, sul piano del rispetto delle procedure».Tante le perplessità, a livello sanitario: il vaccino antinfluenzale può essere un rimedio peggiore del male, avverte il dottor Antonino Laudani, direttore del Dipartimento Salute del Movimento Roosevelt. «Esistono vaccini sicuri e più che giustificati, come quello contro la poliomielite: ma paragonare l’antinfluenzale all’antipolio non ha senso, visto che molti studi evidenziano come i benefici, in questo caso, non siano affatto rilevanti». Azzardato, quindi, puntare sull’obbligo del vaccino antinfluenzale, specie in relazione al Covid. «La Sars è scomparsa da sola, e senza “seconde ondate”: nessuno può sapere se il Covid tornerà in autunno, oppure no». Avverte il dottor Laudani: «L’antinfluenzale, oltretutto, è tra i vaccini meno efficaci: lo dicono i dati clinici». Meglio essere prudenti: «Oltre i 65 anni, la mortalità aumenta del 12%». Vaccinare contro l’influenza nel caso in cui dovesse riapparire il Covid, insiste Laudani, potrebbe essere deleterio: «Dove gli anziani sono stati vaccinati in maniera massiccia, quella degli over-65 è stata la fascia di popolazione che ha avuto il maggior numero di morti per Covid: anche questo dovrebbe costringerci a essere cauti, evitando le “vie brevi” adottate dalla Regione Lazio».Semplificare è sempre un errore, aggiunge il medico: «Ogni anno muoiono 12.000 persone per polmonite di origine batterica, e chi è defedato potrebbe aver bisogno di una vaccinazione specifica per lo streptococco, non per il virus influenzale». Altra complicazione: «Il vaccino antinfluenzale viene sviluppato sulla base di un gruppo di virus che sono già vecchi, relativi a una precedente infezione: quindi non è detto che il vaccino sia efficace sul ceppo di virus in circolazione durante l’inverno». Inoltre, la stessa Aifa ricorda che, nei vaccini, è sempre da valutare il rapporto rischio-beneficio, «e nel caso dell’influenza il rischio è basso». Inoltre, il vaccino antinfluenzale sfugge al diritto del paziente (e anche a quello del medico, di curare “secondo scienza e coscienza”). «Medico e paziente vengono cioè esautorati da questo loro diritto naturale», sostiene Laudani. «Mi sembra una violazione dei diritti della categoria: se il vaccino viene imposto, i medici non possono prendere la decisione che reputano migliore». Dover far firmare al paziente un consenso informato per un trattamento che magari non gli servirà, ribadisce il dottor Laudani, è un aspetto medico-legale tutto da valutare: «Stando all’ordinanza del Lazio, il medico dovrebbe assumersi la responsabilità di vaccinare una persona che invece ha altre problematiche, che magari sconsigliano di somministrare il vaccino».Dal canto suo, Gioele Magaldi punta l’indice contro quelli che hanno messo in piedi «questa sorta di dittatura vaccinista, aumentando a dismisura la retorica sul vaccino come chiave risolutiva di ogni malattia», senza contare «il bombardamento di vaccini a cui sono stati sottoposti i bambini». E aggiunge: «Attraverso queste derive, poi si arriva a dire che devono essere vaccinati anche gli adulti, gli insegnanti, i medici, gli anziani. Si finirà per proporre una vaccinazione plurima per tutti? Siamo all’assurdo». Quello del Movimento Roosevelt – sottolinea il presidente – resta un approccio laico, «non basato sulla fede o sull’abbraccio mortale con qualche suggestione alla quale aggrapparsi, e per la quale militare in modo fazioso e tribale: noi vogliamo ragionare, e vogliamo che la dignità umana possa mostrarsi anche nell’esercizio dello spirito critico». Per questo, conclude, «intendiamo combattere contro l’ordinanza iniqua e anticostituzionale promossa dalla Regione Lazio per imporci un vaccino antinfluenzale che molto probabilmente non serve a nessuno: se vogliamo vivere in Italia e non in un sistema come quello cinese, certe imposizioni lasciamole alla Cina».Ma che razza di paese siamo? Nella sua circolare per impostare le campagne vaccinali d’autunno, il ministero della sanità sposa la “forte raccomandazione” della Regione Lazio, che invita a vaccinare contro l’influenza anche i bambini dai 6 mesi ai 6 anni, anche se – come scrive lo stesso ministero – a sconsigliarlo sono voci autorevoli della comunità scientifica. «Esilarante: anziché ai cittadini del Lazio, che Zingaretti vorrebbe sottoporre al trattamento sanitario obbligatorio, io il Tso lo prescriverei per i funzionari che scrivono cose come quelle. Ma come: la comunità scientifica sconsiglia, e noi – impunemente – raccomandiamo?». Gioele Magaldi annuncia l’ennesima azione, sulla crisi Covid, intrapresa dal Movimento Roosevelt: un ricorso al Tar del Lazio, affidato all’avvocato “rooseveltiamo” Vanni Oddino, per annullare l’ordinanza che, nella regione, impone da ottobre l’obbligo del vaccino antinfluenzale per medici, infermieri e over-65. Un atto «assurdo, rischioso e ingiusto, perché incostituzionale». Magaldi condanna il “trattamento sanitario obbligatorio” imposto da Zingaretti, che ha spinto gli stessi medici laziali a rivolgersi alla magistratura. Attenti: il Lazio – già imitato dalla Calabria – potrebbe fare da battistrada per l’Italia intera. Tanti i denari in ballo: 115 milioni di euro, per prenotare i vaccini antinfluenzali destinati alle due Regioni. E i soldi dei vaccini, avverte Magaldi, spesso finanziano gli apparati politici.
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Bugiardi, spiegateci perché il Covid ha colpito la Lombardia
Inquinamento, antenne 5G e sovra-vaccinazioni (influenza e meningite). Tutto ciò ha a che fare con la strage Covid che ha devastato la Lombardia? «Soprattutto a causa degli inceneritori, quella tra Bergamo e Brescia è la zona più inquinata d’Europa: e tra fine 2019 e inizio 2020, in quell’area, ci sono stati 180.000 inoculi vaccinali, somministrati agli anziani», dice Marcello Pamio, nutrizionista, presente – fra gli altri – alla grande manifestazione (12.000 persone) organizzata a Firenze il 21 giugno dal Movimento 3V (Vaccini Vogliamo Verità), con oratori come Mauro Scardovelli e la coraggiosa parlamentare ex grillina Sara Cunial, promotrice del progetto di mobilitazione popolare R2020. Il tema: l’emergenza coronavirus nasconde un disegno totalitario. E nessuno, intanto, ci ha ancora spiegato perché la Lombardia è finita nell’occhio del ciclone: 238.000 contagi e oltre 16.500 morti, a fronte dei 4.000 di Piemonte e Veneto. Colpite in misura minore altre Regioni non lontane (1500 vittime in Liguria e 1000 nelle Marche), mentre nel resto d’Italia i numeri oscillano: da qualche centinaio a poche decine di decessi, ben al di sotto del bilancio di una normale influenza stagionale. Cosa c’è, dunque, dietro all’esplosione lombarda del fenomeno Covid? «Non lo sappiamo ancora, perché non ci vengono forniti i dati essenziali», dice un medico rianimatore, Stefano Manera.
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Italia tradita e svenduta, e le stellette stanno a guardare
Dopo gli Stati Generali tenuti in segreto, il Conte annuncia che gli interventi per l’economia dovranno aspettare ancora mesi. Il Quirinale sta a guardare, come pure i militari, che hanno giurato di difendere la Patria e la Costituzione, mentre il governo abbandona e tradisce l’Italia. La tradisce in senso non giuridico, ma etimologico: il verbo tradire, tradisco, vene dal latino tràdere, trado, che significa passare di mano, consegnare. Conte, il Pd, i 5S, stanno spezzando le reni all’Italia, cioè rinviano, rinviano, non intervengono, la lasciano precipitare economicamente e socialmente, come da mandato europeo, in modo che poi cada in mano ai capitali stranieri, soprattutto tedeschi: riempiti di debiti, fallimenti e disoccupati, gli italiani fra un poco accetteranno, anzi invocheranno qualsiasi cosa, qualsiasi ‘condizionalità’, per tirare un poco il fiato: accetteranno Mes, Troika, diktat, grecizzazione, cessione di infrastrutture e assets strategici. Forse anche dei monumenti. Era questo l’obiettivo, no?Il grande presidente Napolitano mi correggerebbe: «Non è tradimento, perché non esiste più una sovranità, una fedeltà nazionale italiana: esiste solo una sovranità e una fedeltà europea». Lo vada a insegnare alla Corte Costituzionale tedesca, la quale, nella storica sentenza del 5 maggio scorso, ha detto che la sovranità e la Costituzione tedesca esistono ancora e prevalgono su quelle europee. Dopo il disastro in arrivo, Conte & soci non saranno molto popolari, non avranno più possibilità di farsi rieleggere normalmente dagli italiani; potranno continuare la loro carriera politica solo in un modo: facendosi sostenere dalla forza dei conquistatori stranieri, ed è appunto con essi che si sono alleati: Colao innanzitutto, che li rappresenta oggi come li ha sempre rappresentati nelle operazioni di cessione di industrie strategiche agli stranieri. Conte & soci si sono alleati con gli stranieri contro gli italiani. Cacciano il ferro a fondo.Nel Parlamento snobbato da Conte, che fa proclami senza lasciarsi interrogare, la Boschi si vanta che Mattarella ipsissimus avrebbe esortato a questo nuovo corso. E le stellette stanno a guardare. Forse è meno peggio così. L’importante è che resti aperta la dogana per andarsene da questo schifo.(Marco Della Luna, “Le stellette stiano a guardare” dal blog di Della Luna del 18 giugno 2020).Dopo gli Stati Generali tenuti in segreto, il Conte annuncia che gli interventi per l’economia dovranno aspettare ancora mesi. Il Quirinale sta a guardare, come pure i militari, che hanno giurato di difendere la Patria e la Costituzione, mentre il governo abbandona e tradisce l’Italia. La tradisce in senso non giuridico, ma etimologico: il verbo tradire, tradisco, vene dal latino tràdere, trado, che significa passare di mano, consegnare. Conte, il Pd, i 5S, stanno spezzando le reni all’Italia, cioè rinviano, rinviano, non intervengono, la lasciano precipitare economicamente e socialmente, come da mandato europeo, in modo che poi cada in mano ai capitali stranieri, soprattutto tedeschi: riempiti di debiti, fallimenti e disoccupati, gli italiani fra un poco accetteranno, anzi invocheranno qualsiasi cosa, qualsiasi ‘condizionalità’, per tirare un poco il fiato: accetteranno Mes, Troika, diktat, grecizzazione, cessione di infrastrutture e assets strategici. Forse anche dei monumenti. Era questo l’obiettivo, no?
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Il disastro del lockdown e i valori dei poeti del vino italiano
Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.Tutto sta a rimboccarsi le maniche, ancora una volta? Lo assicura un genio del marketing come Oscar Farinetti, che in mezzo a quei vigneti è cresciuto. Ha ragione? Solo a metà: giusto attingere all’ottimismo della volontà, mobilitando risorse anche morali per fronteggiare una crisi paurosa, cercando di trasformarla in un’occasione per riconvertire l’economia, premiando il profilo anche ecologico del “food & wine”. Ma forse i conti sarebbe meglio farli con l’oste, cioè con il convitato di pietra della grande depressione: la macroeconomia, questa sconosciuta. Se privatizzi il pianeta, appaltando la politica a piccoli mestieranti locali, puoi scordarti che lo Stato abbia il potere – aiutando, agevolando, detassando – di far decollare l’economia privata. Il visionario patron di Eataly – che ha fatto davvero moltissimo, per far brillare il sistema-Italia nel mondo, e pure in anni difficili – viene da una tradizione socialista: il padre partigiano, poi vicesindaco di Alba. L’Italia che seppe rimboccarsele davvero, le maniche, era quella del dopoguerra: miracolata dal Piano Marshall e poi trainata dall’economia mista alimentata dal colosso Iri, il più grande complesso industriale d’Europa. Un sistema smantellato in modo brutale prima con la “privatizzazione” del debito pubblico e poi con la svendita dei maggiori asset pubblici, strategici per il Made in Italy.Per un capriccio della storia, proprio nel periodo più buio per l’Italia – la grande precarizzazione, le delocalizzazioni selvagge, la folle austerity imposta dall’Ue – ha potuto fiorire, di colpo, il paradiso del vino. Anno dopo anno, i numeri di Vinitaly hanno stracciato ogni record, facendo volare l’intero sistema vinicolo italiano, dalla Val d’Aosta alla Sicilia, con fenomeni-mostro come il Prosecco e i suoi 800 milioni di bottiglie vendute in tutto il pianeta. La festa sembrava non dovesse finire mai, nelle colline piemontesi – Langhe, Monferrato – ora elevate al rango di patrimonio paesaggistico dell’umanità sotto la tutela delle Nazioni Unite, attraverso l’Unesco. Un volano formidabile: paesini fino a ieri sconosciuti, trasformati all’improvviso in mete internazionali, con un indotto virtuoso e declinato a livello “glocal”, all’insegna della valorizzazione dell’ambiente e della genuinità delle filiere corte. In questo piccolo paradiso, c’è un’area Unesco quasi altrettanto nota – il Roero, sulla riva sinistra del Tanaro proprio di fronte ad Alba e Barbaresco – che di bottiglie ne produce solo 8 milioni, cioè la centesima parte del potenziale di fuoco di Treviso e Valdobbiadene. Un mondo di artigiani: il loro passaporto per gli Stati Uniti si chiama Arneis, un bianco che tradizionalmente era il meno prestigioso, tra i vitigni coltivati su quelle colline.Nomi che hanno fatto storia, nel Piemonte vinicolo – Ceretto, Negro – hanno ripescato l’Arneis dall’oblio contadino, facendone un signor vino, modernissimo, a suo agio sulle migliori tavole di Tokyio e di Los Angeles. E anche l’Arneis – insieme al Barolo – ha contribuito a trasformare il periferico Piemonte, a lungo rassegnato a languire come entroterra dell’universo Fiat, in un attore di primissima grandezza, nel mondo (felicemente globalizzato, in questo caso) delle degustazioni per veri indenditori. Oggi, anche il sistema-Piemonte piange le amare lacrime del maledetto coronavirus: il Monferrato, patria della Barbera, sconta una contrazione delle vendite che viaggia attorno al 40%. Una specie di ecatombe, da cui non si sa come uscire: c’è chi propone addirittura di mandare al macero il vino invenduto per distillarlo e ricavarne alcol, così da recuperare almeno i costi di produzione. Se nelle Langhe del Barolo il grande silenzio della primavera 2020 resterà negli annali come immane sciagura memorabile, forse il piccolo Roero soffre meno: con la sua economia differenziata (agricoltura mista, tanta frutta), è meno dipendente dal turismo internazionale. «Però anche qui la batosta è stata forte: paragonabile alla grandine che, quarant’anni fa, avrebbe fatto saltare la vendemmia, facendoci perdere un anno intero di lavoro, e quindi di entrate vitali per la famiglia».A parlare è Sergio Marchisio, un autentico pioniere: il primo a spumantizzare l’Arneis, il primo a vinificare il Nebbiolo in anfora. Un’azienda modello, certificata biologica, e con un debole per la biodonamica di Rudolf Steiner. Missione: scommettere innanzitutto sul recupero della fertilità naturale del suolo. «Dopo dieci anni il risultato lo senti nel bicchiere, in termini di pienezza e ampiezza di profumi». La sua cantina, a Castellinaldo d’Alba, sembra uno scrigno di silenziosa energia alchemica: nel ventre della terra riposano anfore panciute, contrassegnate dall’effigie del benefico serpente che avvolge l’uovo primordiale. Impatto zero, pannelli fotovoltaici e verdissimi filari che avvolgono l’officina delle delizie. «Certo, la processione dei turisti venuti da lontano si è interrotta anche qui. Ma non per questo ci scoraggiamo: i nostri valori sono più grandi, più forti del coronavirus». A proposito di valori: se c’è qualcosa di eroico, nel sistema-vino che negli ultimi decenni ha tenuto alta nel mondo l’eccellenza italiana, è la sua capacità di offrire bellezza raffinata, worldwide, attingendo con notevole coraggio alla passione, tipica del miglior Made in Italy, nutrito di praticità artigiana. Il paese crollava – Pil, disoccupazione – e le cantine conquistavano il pianeta, imparando l’inglese e sbalordendo pubblico e critica.Una storia che per certi aspetti sembra dar ragione all’incrollabile ottimismo di Farinetti. E che oggi – di fronte alle macerie del lockdown, tra mercati che franano – fa capire quando può essere feroce questo disastro, che è risucito a spiazzare persino gli invincibili, appassionati guerrieri del grande vino italiano. «Personalmente – confessa Sergio Marchisio – a cambiare il mio modo di vivere e di pensare è stata una frase di Steiner: quella in cui invita a riflettere sul fatto che l’uomo, in fondo, è l’unico abitante del pianeta che riesce ad avvelenare il cibo di cui si nutre». Se è per questo, siamo riusciti ad avvelenare l’acqua, i terreni, i cieli. «Esatto. Ecco perché, se le viti hanno nostalgia del sole, anziché usare prodotti chimici le accontento con semplici micro-cristalli di quarzo, minerale specchiante che conserva in sé la memoria della luce e del calore». Filosofi e poeti, tra i filari? Un amico e collega di Marchisio – Paolo Carlo Ghislandi di Cascina I Carpini, maestro del Timorasso (super-bianco dei Colli Tortonesi) – sa che ai suoi filari piace ascoltare la musica classica: Rachmaninov, di preferenza. E cita una poetessa francese, Colette: «Nel regno vetegale, la vite è l’unica che rende intellegibile, all’uomo, il valore della terra». Quando saremo usciti dall’incubo che ci è piovuto addosso, sarà naturale ripensare a loro, i pensatori-contadini che, custodendo le loro verdissime colline, sembrano rinnovare una specie di promessa, prodigiosamente alchemica. Viene che il sospetto che non si tratti solo di vino: come se in qualche modo, in punta di piedi, lavorassero anche per l’armonia dell’universo.(Giorgio Cattaneo, 21 giugno 2020).Per capire quanto in profondità abbia colpito, l’epocale coprifuoco “cinese” istituito dall’Italia di fronte alla comparsa del coronavirus, basta fare un giro tra le colline del vino: alla vigilia dell’estate erano una meta ambitissima del turismo internazionale, e adesso sono un deserto. Export bloccato e cantine con montagne di bottiglie rimaste invendute, winery desolatamente vuote e ristoranti con ai tavoli solo qualche italiano, regolarmente distanziato e costretto a indossare la mascherina. Vale anche per le Langhe, le colline di Pavese e Fenoglio che videro esplodere un clamoroso boom economico a partire dagli anni Novanta grazie ai cosiddetti Barolo Boys, i ragazzi che rivoluzionarono l’antico vino nobile dei Savoia mettendosi a vinificarlo alla francese, affinandolo in botte piccola. Dalle Langhe all’America il passo è stato brevissimo: in un amen, a Barolo e dintorni s’è cominciato a parlare soprattutto inglese, in mezzo a tedeschi e svizzeri, belgi e giapponesi. E’ fiorita una specie di Toscana, in un angolo di Piemonte che portava ancora i segni dell’atavica povertà contadina: persino Bob Dylan ha voluto partecipare ai concerti di “Collisioni”, in quell’isola di vigneti con attorno wine-tasting, cantine di design interrate e climatizzate, bed & breakfast e cucine di charme, wine-bar di stampo newyorkese. Una specie di Rinascimento cosmopolita, con tanto di università: la scuola superiore di scienze gastronomiche aperta a Pollenzo da Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food.