Archivio del Tag ‘Giulio Andreotti’
-
Piccole alchimie parlamentari per un paese in rottamazione
Di Maio ha stravinto nel centro-sud promettendo il reddito di cittadinanza (ma annunciando con Fioramonti di dimezzare il debito pubblico), mentre Salvini ha spopolato al nord garantendo di sbriciolare le tasse e sbarrare le frontiere ai migranti. Nell’offerta politica dei due schieramenti, svetta lo squillante sovranismo della Lega con la candidatura dell’economista Alberto Bagnai, che contesta il dirigismo dell’oligarchia di Bruxelles da posizioni keynesiane (lo Stato che torna protagonista dell’economia), mentre Di Maio si affanna a ricordare che sono i mercati, semmai, ad avere l’ultima parola. Premiante, per grillini e leghisti, la fedina politica immacolata, dopo anni di opposizione al renzismo, il regime propagandistico che all’Italia in crisi ha raccontato che tutto andava bene, anzi benissimo. Né i 5 Stelle né la Lega contestano organicamente il sistema liberista, di cui il Pd è stato il più zelante esecutore: si propongono soltanto di correggerne gli eccessi, con l’avvento di politici “dalle mani pulite” (ma legate, nel caso di Salvini, all’alleanza con un Berlusconi che si è prostrato come il Pd all’obbedienza feudale nei confronti dell’élite finanziaria che ha privatizzato le istituzioni europee). In questo contesto, appaiono piuttosto lunari le chiacchiere sull’ipotetica intesa, a distanza, tra i due vincitori delle elezioni – il Di Maio senza programmi e il Salvini con programmi vincolati agli umori di Arcore.Tiene banco, ancora, il surreale connubio tra i 5 Stelle e i rottami del Pd, cioè il “nemico” dei grillini; accordo invocato da quell’Eugenio Scalfari che, a Di Maio, avrebbe preferito l’odiato Berlusconi. Tra i “pontieri”, dopo Scalfari, figurano personaggi come Gustavo Zagrebelsky e Salvatore Settis, Barbara Spinelli e Massimo Cacciari. Un giornalista come Marco Travaglio accusa Di Maio di non ascoltarli. Arrivare primi con quasi il 33% significa partire favoriti per l’incarico di formare un governo – scrive Travaglio sul “Fatto” – ma questo non conferisce «il diritto divino di fare un governo con i voti altrui, per giunta gratis». E’ vero che l’inciucio lo vogliono solo i due “trombati” del 4 marzo, cioè Berlusconi e Renzi, «terrorizzati dalle rispettive ininfluenze e soprattutto da nuove elezioni», ma una maggioranza parlamentare va costruita, «facendo ai partner una proposta che non possano rifiutare». Ovvero? «La cosa sarebbe meno difficile se Di Maio aprisse la sua squadra di esterni ad altri indipendenti di centrosinistra, per un governo senza ministri parlamentari, e bilanciasse la sua premiership lasciando la presidenza di una Camera alla Lega». E poi «è sul programma che dovrebbe garantire il cambiamento che gli elettori hanno appena chiesto». Già: quale programma?Travaglio ricorda la proposta di Grillo nel 2013: «Eleggiamo Rodotà al Quirinale e poi governiamo insieme». E aggiunge: «Fu il Pd napolitanizzato e lettizzato, cioè berlusconizzato, a rifiutarla» (per Travaglio, dunque, il grande manovratore era Berlusconi, cioè l’omino ricattato e brutalmente disarcionato, due anni prima, dai padroni della Borsa). L’obiettivo di Napolitano, all’epoca: mantenere i 5 Stelle lontano dall’area di governo, dato che nel 2013 i grillini facevano ancora paura (più che al “povero” Silvio, ai veri poteri forti rappresentati da Napolitano: quelli che con Draghi e Trichet firmarono la condanna dell’Italia, affidata al commissario Monti). E oggi? Tutto è cambiato; da Scalfari in giù, è il vecchio mainstream a tifare per un’intesa che pare spaventi solo Renzi. Piccoli tatticismi, dove a contare non sono tanto le mosse dei leader, quanto il futuro dei rispettivi elettorati. Un italiano su quattro si è rifiutato di votare. Tra i votanti, il 55% ha scelto Di Maio, Salvini e la Meloni per gridare un “no”, forte e chiaro. Se il reddito di cittadinanza (arma vincente per mietere voti) è una misura ascrivibile alla voce welfare (sinistra), è piuttosto la Lega a sfidare il sistema europeo, con il taglio delle tasse (destra), sia pure da un’angolazione ancora liberista.Tra veti incrociati e opposte convenienze, resta solo lo spiraglio per il mini-governo a cui starebbe lavorando Mattarella, inevitabilmente imbottito di “tecnici” per incoraggiare tiepide convergenze eterodosse. Niente a che vedere, in ogni caso, con il “no” proclamato dalla maggioranza assoluta degli elettori italiani, cui si aggiunge l’astensionismo del 25% della popolazione, che non ha letto niente di convincente (o realisticamente praticabile) né sul programma grillino né su quello leghista. Se siamo a questo non-risultato, ribadisce Gianfranco Carpeoro, è perché – ancora una volta – abbiamo votato “contro” qualcuno, innanzitutto (votare “per qualcosa”, probabilmente, era impossibile). E senza una gestione nazionale autonoma, la regia delle operazioni passerà alla consueta “sovragestione” internazionale. E’ il potere-ombra che – licenziati Andreotti e Craxi – da 25 anni fa dell’Italia quello che vuole: fabbricando partiti, movimenti e leader senza idee né progetti, costruiti per durare una sola stagione, prima di essere rottamati da altri, futuri rottamandi. Una spirale senza fine, dove a essere rottamata è l’Italia, a cui è stato raccontato che il debito pubblico (cioè lo sviluppo, il benessere diffuso) è roba che non ci possiamo più permettere.Di Maio ha stravinto nel centro-sud promettendo il reddito di cittadinanza (ma annunciando con Fioramonti di dimezzare il debito pubblico), mentre Salvini ha spopolato al nord garantendo di sbriciolare le tasse e sbarrare le frontiere ai migranti. Nell’offerta politica dei due schieramenti, svetta lo squillante sovranismo della Lega con la candidatura dell’economista Alberto Bagnai, che contesta il dirigismo dell’oligarchia di Bruxelles da posizioni keynesiane (lo Stato che deve tornare protagonista dell’economia), mentre Di Maio si affanna a ricordare che sono i mercati, semmai, ad avere l’ultima parola. Premiante, per grillini e leghisti, la fedina politica immacolata, dopo anni di opposizione al renzismo, il regime propagandistico che all’Italia in crisi ha raccontato che tutto andava bene, anzi benissimo. Né i 5 Stelle né la Lega contestano organicamente il sistema liberista, di cui il Pd è stato il più zelante esecutore: si propongono soltanto di correggerne gli eccessi, con l’avvento di politici “dalle mani pulite” (ma legate alla finanza anglosassone o, nel caso di Salvini, all’alleanza con un Berlusconi che si è prostrato come il Pd all’obbedienza feudale nei confronti dell’élite che ha privatizzato le istituzioni europee). In questo contesto, appaiono piuttosto lunari le chiacchiere sull’ipotetica intesa, a distanza, tra i due vincitori delle elezioni – il Di Maio senza programmi e il Salvini con programmi vincolati agli umori di Arcore.
-
Elezioni-farsa in un paese invaso, dal Piano Marshall all’Ue
«Siamo un paese occupato. E in un paese occupato, le elezioni non sono soltanto inutili, sono una farsa». Proprio per questo, infatti, «non c’è un solo partito o sedicente tale che si presenti alle elezioni raccontandovi la verità». Su “Come Don Chisciotte”, Francesco Mazzuoli è esplicito: al netto della propaganda, «le elezioni avvengono in un paese occupato militarmente da più di settanta anni». Le basi militari Usa ufficialmente dislocate in Italia sono 59 e, «secondo gli stessi americani, la condiscendenza del governo italiano nei loro confronti è senza riserve». La cosa non deve destare meraviglia, aggiunge Mazzoni: «Il servilismo da noi è ereditario». La tesi: prima, il paese (sconfitto, nella Seconda Guerra Mondiale) è stato “comprato” coi miliardi del Piano Marshall, e poi è stato declassato al rango di sub-colonia, nell’Unione Europea “imperiale” e anti-russa, affidata alla Germania. Mazzuoli ricorda che, a guerra non ancora conclusa, nel libro “Lettere dall’Italia perduta” (Sellerio) lo storico Gioacchino Volpe «scriveva amaramente alla moglie che l’Italia si avviava a diventare un paese irrilevante, una grande Grecia». Volpe sognava un futuro «in cui i giovani si sarebbero ribellati al loro destino di bagnini». Per Mazzuoli «parole profetiche col senno di poi, ma di semplice buon senso per chi non si fosse venduto alla propaganda dei vincitori».Il mito della “liberazione” già imperversava in un paese bombardato, «di straccioni in ginocchio con il piattino dell’elemosina in bocca», scrive Mazzuoli dell’Italia dell’immediato dopoguerra: un paese «indebitato con la carta straccia delle Am-lire, e comprato a saldo stralcio con i soldi del Piano Marshall: come non avere davanti agli occhi lo squallido spettacolo di De Gasperi, ritornato dal viaggio in Usa sventolando il nostro nuovo vessillo, l’assegno con il quale era stata appena comprata la fedeltà italiana?». Basterebbe dare un’occhiata al libro che Cossiga licenziò nei suoi ultimi anni, dal titolo emblematico, “Fotti il potere”, per comprendere che in Italia non si è mai mossa foglia che lo Zio Sam non volesse, «a partire dal condizionamento delle elezioni del 1948, operazione che costituisce uno dei primi grandi successi della Cia, creata soltanto un anno prima». Venne poi il “miracolo italiano”, all’interno della più generale prosperità dell’Europa occidentale: «Benessere – si badi bene – voluto dai padroni americani per disporre di nuovi mercati e allontanare le sirene della propaganda social-comunista». Finita l’onda lunga del consumismo industriale, mentre negli Stati Uniti la componente finanziaria «acquisiva sempre più rilevanza e spingeva per un diverso modello di sfruttamento economico dei paesi occupati», anche attorno all’Italia «cominciò a stringersi il cappio insaponato dell’europeismo».Non fu il parto spontaneo di pacifisti ispirati da alti valori umani di collaborazione tra i popoli: come mostrato dallo storico Joshua Paul, il disegno europeista «altro non è che un progetto americano, teso a tenere sotto il proprio tallone l’Europa occidentale e impedire che una potenza antagonista possa mai ergersi a minacciare la supremazia americana in quest’area geopolitica cruciale». Secondo Mazzuoli, lo dimostra anche lo sforzo prodotto dal cinema: con il famoso film “Vacanze Romane”, «Hollywood riuscì a trasformare una commediola sentimentale in un pretesto per parlare della bontà e necessità della cooperazione tra i popoli europei». La pellicola è degli anni ‘50, e proprio nel 1957 Roma fu scelta come sede dello storico accordo fondativo della Cee. Poi, a fine anni ‘80, il crollo dell’Urss «fornì l’occasione per dare una vertiginosa accelerazione al progetto europeista, con la riunificazione tedesca», inutilmente osteggiata da Andreotti («Amo così tanto la Germania preferisco averne due»). Pietra tombale: il famigerato Trattato di Maastricht «che ci avviava, nel silenzio dei media, verso le nostre magnifiche sorti e regressive».Il progetto, continua Mazzuoli, è stato costruito dagli strateghi americani attorno alla Germania, conferendole «un esorbitante vantaggio al fine di tenerla saldamente legata al carro atlantico e di distoglierla da tentazioni di liaisons con la Russia, esiziali per gli interessi geopolitici a stelle e strisce». In questo quadro, «l’euro nasce appositamente per conferire alla Germania uno straordinario vantaggio economico: ed è per questa ragione che non può essere smantellato». Ecco perché l’appello No-Euro «è soltanto un argomento demagogico per raccogliere consenso». Coincidenze? Avvicinandosi alle elezioni, l’uscita dalla moneta unica è «sparita magicamente, e all’unisono, da tutti i programmi partitici». Salvini? Ha dichiarato che «la Nato non si discute». Di Maio? E’ volato a Washington «a giurare fedeltà al padrone». Dopo anni di propaganda, convegni e pubblicazioni come il libriccino “Basta euro”, «al momento di fare sul serio e di proporsi come potenziale forza di governo, la Lega ci presenta come soluzione alla morte del paese, l’emissione dei “mini bot”, perché – udite – non violano i trattati. Ci rendiamo conto di quale dichiarazione di sudditanza, di impotenza, di servilismo e di mancanza di coraggio è contenuta in questa proposta da piattino in bocca?».Nessuno di questi “statisti” che oggi chiedono il voto degli italiani oserà mai svelare come stanno davvero le cose: «C’è infatti una tragica verità, che nessun politico vi dirà mai». Ovvero: «L’unificazione europea prevede il sacrificio dell’Italia, la colonia più servile, la più indifesa, per motivi storici e antropologici», scrive Mazzuoli. «Chi si opponeva a questo progetto di marginalizzazione del paese (Moro, Craxi, parte della Dc) è stato eliminato con Tangentopoli e il paese è stato immolato agli interessi americani e dei loro alleati privilegiati», cioè «in primis la Germania e subito dopo la Francia». Finti alleati, che il nostro paese «lo divorano a brani, grazie allo zelante collaborazionismo della nostra classe dirigente, che quando non è venduta è perché non trova acquirenti». Siamo ancora in piedi, conclude Mazzuoli, solo grazie alla ricchezza reale che ci è rimasta. E adesso «attendiamo fiduciosi l’ultima aggressione al succulento boccone del nostro risparmio», che ancora regge il sistema-Italia, «assieme alle pensioni e alle case di proprietà (i soprammobili sono già al Monte dei pegni)». Il Belpaese? «Un territorio». L’Italia «non è mai stata una nazione e non è più nemmeno uno Stato». La minaccia più grave e immediata? «Oltre il 30% di disoccupazione effettiva». Questa è la storia, «il resto è propaganda».«Siamo un paese occupato. E in un paese occupato, le elezioni non sono soltanto inutili, sono una farsa». Proprio per questo, infatti, «non c’è un solo partito o sedicente tale che si presenti alle elezioni raccontandovi la verità». Su “Come Don Chisciotte”, Francesco Mazzuoli è esplicito: al netto della propaganda, «le elezioni avvengono in un paese occupato militarmente da più di settanta anni». Le basi militari Usa ufficialmente dislocate in Italia sono 59 e, «secondo gli stessi americani, la condiscendenza del governo italiano nei loro confronti è senza riserve». La cosa non deve destare meraviglia, aggiunge Mazzoni: «Il servilismo da noi è ereditario». La tesi: prima, il paese (sconfitto, nella Seconda Guerra Mondiale) è stato “comprato” coi miliardi del Piano Marshall, e poi è stato declassato al rango di sub-colonia, nell’Unione Europea “imperiale” e anti-russa, affidata alla Germania. Mazzuoli ricorda che, a guerra non ancora conclusa, nel libro “Lettere dall’Italia perduta” (Sellerio) lo storico Gioacchino Volpe «scriveva amaramente alla moglie che l’Italia si avviava a diventare un paese irrilevante, una grande Grecia». Volpe sognava un futuro «in cui i giovani si sarebbero ribellati al loro destino di bagnini». Per Mazzuoli «parole profetiche col senno di poi, ma di semplice buon senso per chi non si fosse venduto alla propaganda dei vincitori».
-
Fango, la “sovragestione” all’opera: è il turno dei 5 Stelle
«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».Gianfranco Carpeoro, autore di saggi su massoneria e terrorismo nonché sui legami tra Vaticano e logge all’origine del fascismo, è l’autore della “profezia” sui fatali travagli pre-elettorali dei 5 Stelle. Inevitabile: se sbandieri il monopolio politico dell’onestà, il sistema ti punirà severamente, con la classica legge del contrappasso. Trovare una “mela marcia” sarà l’ultimo dei problemi: dai parlamentari “infedeli” all’infido Borrelli, per anni seduto nel vertice-ombra del movimento che ha raccontano agli italiani che “uno vale uno” (purché non osi pensare in proprio, ad alta voce). Legge del taglione e contrappasso dantesco: puro dolore, per i pentastellati, vedere Renzi – Mister Etruria – pascolare da un telegiornale all’altro calpestando il mito grillino dell’onestà. «Ma in politica l’onestà non è nemmeno un valore», sostiene Carpeoro: «Al massimo è una conseguenza». Di cosa? «Della capacità, innanzitutto». Luoghi comuni? «Un politico ladro, ma capace, fa sicuramente meno danni, alla comunità, di un onestissimo cretino». Cosa ci siamo persi? «L’estetica», risponde Carpeoro. «E’ l’estetica a produrre l’etica: l’emozione contagiosa della bellezza. Il desiderio di giustizia, che poi è inevitabile, viene di conseguenza. E intendiamoci: la base dei grillini è diversissima da quella degli altri partiti. E’ fatta di gente che sogna un mondo migliore, per davvero».Il problema? Forse, un mondo migliore non ha bisogno di rabbia, ma di idee coerenti. Per esempio: cos’è più importante, la (presunta) scarsa trasparenza di Borrelli o il suo ruolo, emerso alla luce del sole, quando – da leader del gruppo grillino a Strasburgo – cercò di traghettare i 5 Stelle verso l’Alde, cioè la roccaforte politica della peggior eurocrazia che, a parole, in Italia, i 5 Stelle avevano sempre giurato di combattere? Nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, Carpeoro formula il concetto di “sovragestione”: manipolazione perenne, da parte del potere, delle sue pedine. Un potere che fabbrica candidati e, all’occorrenza, persino movimenti e partiti. Il collante? «Sempre lo stesso: l’odio, per il nemico di turno». Ieri Andreotti e Craxi, poi Berlusconi, poi Renzi. «E’ crollata, la mafia, dopo l’arresto di Riina e Provenzano? Nemmeno per idea: in una notte Cosa Nostra li ha sostituiti». Narrazioni, date in pasto al popolo: Gelli, Sindona. «Sono caduti, uno dopo l’altro. Ma è cambiato qualcosa, per noi?». Macché: la “sovragestione” ci ha proprosto altri personaggi da detestare, e noi abbiamo obbedito. Siamo tutti parte del problema, insiste Carpeoro: «Abbiamo gettato nella spazzatura le ideologie, che invece sono il futuro: rappresentano il progetto, l’immagine di come vorremmo che fosse la società domani».Inutile stupirsi, se oggi la “sovragestione” fa cadere qualcuno dal piedistallo. Solo ieri erano girate notizie sull’affare-Milan per “avvertire” Berlusconi, che infatti si è affrettato a rassicurare i boss europei: non toccherà il dogma del rigore Ue. Adesso tocca ai grillini? Logico: il Movimento 5 Stelle è anch’esso una creatura dei “sovragestori”, sostiene Carpeoro, che considera Di Maio «il peggior candidato possibile, non a caso (il meno preparato)» e gli imputa la vicinanza di un personaggio più che ingombrante: il politologo statunitense Michael Ledeen, espressione della supermassoneria più reazionaria nonché del B’nai B’rith, potentissima élite massonica ebraica, emanazione del Mossad. «Per mesi, Di Maio è entrato e uscito, quasi ogni settimana, dall’ambasciata americana di via Veneto», dice Carpeoro. «E i vari tour condotti nei santuari del potere atlantico, da Washington a Londra, glieli ha organizzati Ledeen». Oggi, guardacaso, Di Maio pesca dal cilindro un economista neoliberista, Lorenzo Fioramonti, per il quale il pericolo mortale per l’Italia non è l’austerity imposta dalla “sovragestione”, ma il debito pubblico. Siamo alle solite? Certo, ma con una differenza rispetto a ieri: i grillini sono una comunità organizzata, milioni di elettori. E se un giorno rompessero le righe, adottando idee utili per uscire dal tunnel in cui l’Italia è intrappolata?L’importante è non lasciarsi ipnotizzare dalle risse da saloon con cui si sta tentando di riempire il vuoto cosmico delle elezioni più inutili della storia. Laura Boldrini, vero e proprio ectoplasma politico, è riuscita a sopravvivere – sui media – solo grazie al teppismo del web, inventandosi la crociata orwelliana sulle fake news, su cui vigilierà il Ministero della Verità, la polizia di Minniti. Giorni di isteria collettiva – nel derby tra “fascisti” e “antifascisti” – per speculare elettoralmente sul sangue sparso da un folle a Macerata. L’Italia è praticamente senza governo. Da 25 anni il paese è privo di leadership, in balia della concorrenza tedesca e francese. La crisi economica non ha precedenti, dal dopoguerra, ma la campagna elettorale non va oltre la farsa: tutti i partiti sanno che nessuno vincerà. E nessuno, in ogni caso, ha in programma di ribaltare il paradigma che vede l’Italia subire i diktat di Bruxelles. Per Demopolis, solo 6 cittadini andranno alle urne, 17 milioni di italiani diserteranno i seggi (tra i giovani, uno su due). Siamo prossimi alla paralisi, nell’illusione di combattere il “cattivo” di turno. «Non sono le persone a fare progetti di potere: è il potere a fare progetti sulle persone», sostiene Carpeoro. Il problema non è “chi”, ma “cosa”. Questo sistema è da buttare, da rifondare. La medicina è una sola: la sovranità della democrazia. Ma invece di reclamarla, ci siamo sfogati a sparare contro sagome di cartone. Mario Monti arrivò a Palazzo Chigi tra gli applausi. Finalmente uno onesto, dissero. Peccato fosse il boia.«Tranquilli: prima delle elezioni salterà fuori una grana, per azzoppare i 5 Stelle». Detto fatto: a tre settimane dal voto esplode il caso dei parlamentari “furbetti” che avrebbero evitato di versare al fondo-aziende una parte dello stipendio. Giusto in tempo per consentire a Renzi (da che pulpito) di qualificare Di Maio come “il capo degli impresentabili”, mentre la crepa nel muro grillino diventa un Vajont, con l’oscuro e quasi onnipotente David Borrelli, braccio destro di Casaleggio, che divorzia precipitosamente dal movimento. Bufera su cui i media banchettano, mettendo alla berlina i presunti moralizzatori. La “Stampa” descrive Borrelli come «l’anello di congiunzione» tra Gianroberto Casaleggio e il mondo delle Pmi venete. «È membro del pensatoio di Confapri, l’associazione delle piccole imprese fondata dal futuro assessore di Roma Max Colomban e da Arturo Artom, due nomi chiave nel mondo imprenditoriale della galassia dei Casaleggio», scrive il quotidiano torinese. «Nel 2014 viene accusato di stalking dall’ex senatrice Paola De Pin, che parla di sue pressioni a favore delle imprese venete. Due anni dopo l’ex collaboratore del M5S Caris Vanghetti dimostra, intrecciando i dati, che molti soldi del fondo per la microimpresa finiscono alle aziende associate della Confapri. Una vera e propria lobby grillina. Nel frattempo Borrelli diventa europarlamentare e la sua società raddoppia il fatturato».
-
Strillo, dunque esisto. La Boldrini? Fa rimpiangere Andreotti
La notizia, in questa Italia in coma farmacologico? E’ che Laura Boldrini faccia ancora notizia. «Quando leggo che tutto il mondo giornalistico e della cultura di sinistra si scandalizza per il fotomontaggio della Boldrini con la testa insaguinata, mi viene da rimpiangere Andreotti, la sua intelligenza, la sua autoironia», scrive Federica Francesconi sulla sua pagina Facebook. “Tolleranti, ma con le proprie idee. Democratici sì, ma senza il popolo”. Sul blog del Movimento Roosevelt, redatto da Vincenzo Bellisario, la presidente della Camera compare, in un’immagine, in compagnia di Emma Bonino e Roberto Saviano. La dicitura: “Antifascisti, con il bastone in mano. Progressisti, sulla pelle degli altri. Antirazzisti, nei campi di pomodori”. Paolo Barnard cita il discorso pronunciato da Thomas Mann all’università di Princeton nel ‘42: «Una linea diretta unisce la follia della miseria tedesca, durante Weimar: i milioni che furono allora rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Aggiunge, Barnard: «Scrissi in tempi non sospetti che il Politically Correct dei Centrosinistra Internazionali ci stava riportando il Terzo Reich e la Fallocrazia violenta». Cosa lega il cecchino (virtuale) che si diverte a mandare al patibolo la Boldrini con il folle che a Macerata spara (davvero) sui migranti nigeriani? «Fra Luca Traini e il produttore delle donne-robot da stuprare, ovvero la TrueCompanion.com – scrive Barnard – c’è una linea diretta che si chiama il Politically Correct».La verità, agginge Barnard, è che i media “politically correct” non vi diranno mai che «nei Bar Sport di tutt’Italia le persone appena citate, e così represse, hanno bofonchiato in massa che Traini “ha fatto bene, ne avesse ammazzati di più”». Senza la loro rabbia repressa, «la percentuale di chi ha quell’opinione sarebbe oggi un ventesimo». La Boldrini? «La Presidenta deve capire che la sua persona è disprezzata dall’80% della popolazione italiana», sostiene Federica Francesconi. Il “politically correct”? «E’ in realtà strumento di repressione di massa del neoliberismo delle austerità, per rapinarci ma al contempo tapparci la bocca», scrive Barnard. «Ed è strumento della neo-arroganza del femminile occidentale», in una sua rivincita storica «del tutto cieca e alla deriva». Parafrasando Thomas Mann: «Una linea diretta unisce la follia della miseria popolana durante il Politically Correct – più le sue austerità – al Prossimo Reich e alla prossima valanga Fallocrate violenta… I milioni che sono oggi rapinati del loro diritto di esprimere rabbia, esasperazione, e sincere opinioni perché gli si tappa la bocca coi tabù politici o femminili del Politically Correct, stanno divenendo le masse con cui lavorano sempre più i partiti neo-nazisti e i venditori di stupri “tech”».Aggiunge Barnard: «Se sei popolano, se hai rabbia, paura, se vivi la precarietà economica per te e per i tuoi figli con angoscia, mentre vedi un immigrato e famiglia sepolto di sussidi pubblici – o vedi la Guardia di Finanza multare il macellaio per uno scontrino da 11 euro, ma i cinesi lavorano in nero in tutt’Italia e non gli capita mai nulla – ma osi lamentarti, allora scatta il Saviano Politically Correct a farti sentire una merda, un sub-umano razzista. Zitto! e pure vergognati! E tu taci, ingoi». Ancora: «Se sei popolano, se hai rabbia, paura, perché i magistrati rilasciano spacciatori e stupratori senza una traccia della certezza della pena, ma osi lamentarti, scatta la Boldrini Politically Correct a farti sentire una merda fascista. Zitto! e pure vergognati! E tu taci, ingoi. Nota: poi svolti l’angolo e prendi i volantini di Forza Nuova o Casa Pound». Sessismo alla rovescia, che gonfia «eserciti immensi di maschi oggi incarogniti che pagano sex-tech, porno e prostitute». Ogni maschio italiano, aggiunge Barnard, «oggi sa con assoluta precisione che la grande maggioranza dei compagni di genetica ha cisterne di veleno contro le donne, che “sono diventate incriticabili”».“Il futuro è donna”, recita il nuovo mantra che ti fa sentire misognino? «Poi svolti l’angolo e ordini da Amazon una donna-robot-stupro della TrueCompanion.com, o al meglio ti sfondi di porno o prostitute adorando quelle lì». E così, «ignorando le evidenze e l’allarme ormai grandi come un Tirannosauro in salotto, il Politically Correct ha tirato e continua a tirare quella linea diretta col Prossimo Reich e con la prossima valanga Fallocrate violenta». Beninteso: «Donne, le ragioni storiche le avete, ma non è con questa demenziale isteria di massa che avrete giustizia, anzi». E congratulazioni, da Barnard, «a voi Saviani e voi “Il Futuro è Donna” d’Italia», perché «le sopraccitate sono le masse con cui lavorerà Forza Nuova e con cui faranno miliardi le TrueCompanion.com, ancora più prostitute e ancora più porno. Alla fine verrete travolti e travolte da una Restaurazione abominevole di veri razzismi, di veri fallocrati, non quei poveracci spaventati di oggi senza voce». Quanto alla presidente (uscente) della Camera: senza i demenziali attacchi che subisce periodicamente sul web, qualcuno si sarebbe mai accorto della sua esistenza? A parte gli ovvi appelli “politically correct” sul rispetto dovuto all’umanità migrante, qualcuno ha mai sentito un’analisi politica da Laura Boldrini? Qualcuno le ha mai sentito dire qualcosa sui perché di questo esodo disperato, e sulle responsabilità di chi governa l’Europa e l’Occidente?La notizia, in questa Italia in coma farmacologico? E’ che Laura Boldrini faccia ancora notizia. «Quando leggo che tutto il mondo giornalistico e della cultura di sinistra si scandalizza per il fotomontaggio della Boldrini con la testa insaguinata, mi viene da rimpiangere Andreotti, la sua intelligenza, la sua autoironia», scrive Federica Francesconi sulla sua pagina Facebook. “Tolleranti, ma con le proprie idee. Democratici sì, ma senza il popolo”. Sul blog del Movimento Roosevelt, redatto da Vincenzo Bellisario, la presidente della Camera compare, in un’immagine, in compagnia di Emma Bonino e Roberto Saviano. La dicitura: “Antifascisti, con il bastone in mano. Progressisti, sulla pelle degli altri. Antirazzisti, nei campi di pomodori”. Paolo Barnard cita il discorso pronunciato da Thomas Mann all’università di Princeton nel ‘42: «Una linea diretta unisce la follia della miseria tedesca, durante Weimar: i milioni che furono allora rapinati dei loro stipendi e risparmi, divennero le masse su cui lavorò Goebbels». Aggiunge, Barnard: «Scrissi in tempi non sospetti che il Politically Correct dei Centrosinistra Internazionali ci stava riportando il Terzo Reich e la Fallocrazia violenta». Cosa lega il cecchino (virtuale) che si diverte a mandare al patibolo la Boldrini con il folle che a Macerata spara (davvero) sui migranti nigeriani? «Fra Luca Traini e il produttore delle donne-robot da stuprare, ovvero la TrueCompanion.com – scrive Barnard – c’è una linea diretta che si chiama il Politically Correct».
-
Davide Cervia, “sequestro di Stato”: condannato il ministero
Una donna senza più il marito, due figli senza più il padre. Scomparso. Catturato da sconosciuti, una sera, davanti al cancello di casa, nella campagna di Velletri. Che fine ha fatto? E’ stato “venduto” a paesi come la Libia, a cui l’Italia non avrebbe potuto né dovuto fornire armamenti? E’ stato poi ucciso, per cancellare la prova vivente di un affare inconfessabile? Chi sa, non parla: da quasi 28 anni. Quell’uomo? Preziosissimo. Un super-militare, con competenze Nato top secret: guerra elettronica. E’ ancora vivo? Invocano notizie la moglie, la figlia. E’ passato un quarto di secolo, e i militari non parlano. Un regista, Francesco Del Grosso, dopo 24 anni di silenzio decide di fare un film su quella storia, “Fuoco amico”. Ma alla vigilia delle riprese salta in aria la casa, esplode una finestra. Solo per miracolo la ragazza, Erika, non viene investita dall’esplosione. Lei e sua madre devono smetterla di chiedere dov’è finito quell’uomo, l’enfant prodige della marina militare italiana. Sapeva rendere invulnerabile una nave da guerra. Era il mago dei missili Teseo-Otomat, che colpiscono a 180 chilometri di distanza. Era stato il migliore, al corso d’élite frequentato a Taranto. Il miglior tecnico, imbarcato sulla miglior nave da battaglia italiana, la fregata Maestrale. Una sera è stato catturato. Sparito, inghiottito nel nulla. Lo Stato? Ha ostacolato la ricerca della verità. Lo afferma, oggi, la sentenza di una giudice, Maria Rosaria Covelli. Ma la verità è ancora lontana: che fine ha fatto Davide Cervia?«Nemmeno il “Fatto Quotidiano” ha voluto dare la notizia della sentenza: nemmeno Marco Travaglio, a cui ho scritto», dice la moglie di Davide, Marisa Gentile, a colloquio con Stefania Nicoletti e Paolo Franceschetti a “Forme d’Onda”, trasmissione web-radio. «Viviamo un assedio infinito: lettere minatorie, pedinamenti, telefonate mute, anonimi che dicono “sappiamo dov’è tuo marito”. Ogni volta che andiamo a parlare nelle scuole di Velletri, poi ci ritroviamo le gomme dell’auto tagliate. Un funzionario del ministero dell’interno arrivò a offrirmi un miliardo di lire purché lasciassimo perdere. Adesso, il 23 gennaio, il tribunale di Roma ha condannato il ministero della difesa. Il danno, secondo i nostri avvocati, ammontava a 5 milioni di euro. Ma abbiamo preteso solo un risarcimento simbolico: un euro. E comunque l’avvocatura dello Stato ci ha costretto a firmare la rinuncia ad altre cause civili, altrimenti avrebbero chiesto la prescrizione, che sarebbe stata la pietra tombale su questa storia». L’ultima sentenza è decisiva, come quelle su Ustica: sancisce la violazione, da parte dello Stato, del diritto alla verità. Lo sostengono gli avvocati, Alfredo Galasso e Licia D’Amico. L’ammiraglio a riposo Falco Accame, vicino alla famiglia, auspica che il coraggioso verdetto del tribunale di Roma possa rompere il silenzio che oscura le “morti bianche” di tanti militari uccisi dall’uranio impoverito nelle missioni all’estero. Secondo Franceschetti, domani potrebbero “svegliarsi” anche i familiari di altre vittime, quelle delle troppe stragi impunite.Di origine ligure, Davide Cervia si era trasferito a Velletri dopo aver lasciato la marina. E’ scomparso il 12 settembre 1990: assalito mentre rincasava e caricato a forza su un’auto verde. Lo Stato ha impiegato anni, per ammettere che fosse stato rapito: si fece credere che, semplicemente, avesse abbandonato volontariamente la famiglia. Poi la marina militare ha negato a lungo che fosse un tecnico altamente specializzato: il suo vero curriculum è saltato fuori soltanto dopo che i familiari hanno occupato fisicamente il ministero. Adesso, dopo quasi 28 anni, il tribunale romano condanna i militari: hanno ostacolato il diritto alla verità. Quale verità? Non è dato saperlo. Tanti inidizi portano alla Libia, che nel ‘90 era sotto embargo e immaginava di essere minacciata, alla vigilia della prima Guerra del Golfo. Due operai italiani sostengono di aver visto Davide Cervia quattro anni dopo, vivo e vegeto, in una base missilistica vicino a Sebha. Per anni, racconta il giornalista investigativo Gianni Lannes sul blog “Su la testa”, la marina militare negò che Davide Cervia avesse la qualifica di esperto “Ge”, guerra elettronica, fino al giorno in cui, appunto, «la moglie Marisa e il suocero Alberto occuparono, insieme al “Comitato per la verità su Davide Cervia”, gli uffici dall’allora ministro della difesa italiano Martino».Dopo otto ore di trattative serrate e tese, ricorda Lannes, «il vero foglio matricolare venne fuori: la specializzazione che la marina aveva sempre negato era lì, nero su bianco». Non si trattava di un attestato qualsiasi: comprovava «un addestramento di altissimo livello, che poche decine di tecnici avevano». Per la burocrazia della marina, Cervia era un tecnico Elt/Ete/Ge, specializzato nei dispositivi di disturbo dei radar nemici. Quella sigla rendeva l’ex sergente della marina scomparso «un pezzo prezioso che qualcuno aveva “venduto”, includendolo in uno dei sofisticati sistemi d’arma prodotti in Italia». E Davide non era uno qualsiasi, aggiunge Lannes, tanto che sul suo dossier gli ufficiali scrissero: «Ha contribuito in maniera fattiva alla esecuzione delle manutenzioni preventive e correttive sugli apparati “Ge”, facendosi apprezzare per l’elevata preparazione professionale, l’interesse e la dedizione al servizio». Per Gianni Lannes si è trattato di «un sequestro di Stato», sostanzialmente «favorito da agenti del Sismi, allora guidato dall’ammiraglio Fulvio Martini». Lo stesso Sismi che il giornalista considera implicato nella scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo (Libano, 1980), nonché nell’eliminazione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Somalia, 1994), e dei due sottufficiali piloti della Guardia di Finanza, Gianfranco Deriu e Fabrizio Sedda, caduti in Sardegna nel 1994 a bordo dell’elicottero “Volpe 132” (a loro volta, dopo indagini su armi-fantasma?).A quel tempo, ricorda Lannes, il capo di stato maggiore della marina era l’ammiraglio di squadra Filippo Ruggero. «Per la cronaca incombeva in quell’anno il governo Andreotti: alla difesa c’era Martinazzoli, mentre agli esteri figurava De Michelis, con l’apporto di Gava agli interni». Proprio la qualifica di specialista Ete/Ge, dice Lannes, «è la causa del rapimento di Davide Cervia, “venduto” a sua insaputa come tecnico esperto di guerra elettronica, in seguito al divieto delle Nazioni Unite di commerciare armi o addestrare militari nei paesi in guerra». In quel periodo, rammenta il suocero di Davide, Alberto Gentile, era vietato vendere armi alla Libia di Gheddafi. Ma, negli anni ‘80, i libici avevano riammodernato nei cantieri di Genova (su una fregata e due corvette) le stesse apparecchiature di cui era esperto Davide: Otomat, Aspide e Albatros. Nel dicembre del ‘96 la famiglia incontrò il sottosegretario Rino Serri, racconta Alberto Gentile in un’intensa ricostruzione realizzata da Marcello Michelini ed Enrico Chiarioni per “Crescere Informandosi”, trasmessa da “Pandora Tv”. «Davanti a testimoni – afferma il suocero di Davide – Serri raccontò che stavano facendo trattative con la Libia “per poter liberare Davide”, ma disse che non si poteva assolutamente parlare di “rapimento”».Nato a Sanremo nel ‘59, Davide Cervia si era arruolato volotario in marina il 5 settembre 1978, diciannovenne, con ferma di sei anni. A Taranto risultò il migliore del suo corso e venne qualificato specialista Ete/Ge, tecnico elettronico per la guerra hi-tech. All’epoca, tra tutti gli “Elt 78/B” fu l’unico a ottenere quella qualifica, ricorda Lannes. Avviato al Centro Addestramento Aeronavale per la specializzazione pre-imbarco, sempre a Taranto, venne poi inserito nell’equipaggio di quella che all’epoca era la più moderna nave italiana, la fregata Maestrale, «acquisendo una specializzazione preziosissima». Si congedò dalla marina il 1° gennaio 1984 e quattro anni dopo si trasferì a Velletri, dove iniziò a lavorare nella società Enertecnel Sud, con sede presso Ariccia. Davide Cervia, riassume Lannes, era dunque un tecnico della guerra elettronica, specializzato nei sistemi di arma Teseo-Otomat che l’industria militare italiana «aveva venduto fin dagli anni ‘70 ai tanti paesi-canaglia del mondo, Libia compresa». Gli elementi che collegano la sua scomparsa alla Libia sono molteplici: «L’assistenza militare del regime di Gheddafi è sempre stata una nostra specialità», scrive Lannes. Un tecnico come Cervia «era a dir poco preziosissimo», per gestire le attrezzature Teseo-Otomat installate su navi libiche a fine anni ‘80.Secondo il portale giuridico “Altalex”, il verdetto ora emesso dall’autorità giudiziaria romana rappresenta «una sentenza molto importante», perché, «oltre a dar ragione nella sostanza alla famiglia dello scomparso, sul fatto che si tratti di rapimento e non di allontanamento volontario, pone alcuni importanti principi di diritto, già affermati con la sentenza che riguarda il caso Ustica». E cioè: «Il diritto alla verità da parte dei parenti di un soggetto scomparso in circostanze misteriose è un diritto soggettivo, personalissimo e di rango costituzionale, contenuto nell’articolo 21». Diritto che viene leso da ogni attività che, senza un’adeguata giustificazione, «impedisca, limiti o condizioni» l’acquisizione di informazioni. «In questa sentenza c’è una novità assoluta, cioè il riconoscimento del fatto che il ministero della difesa ha violato questo diritto, e per questo viene condannato», dichiara l’avvocato Licia D’Amico a “Osservatore Italia”. «Non so quante altre volte sia accaduto che una istituzione dello Stato, un ministero, sia stato condannato a risarcire un danno ad una famiglia per aver nascosto la verità: insomma, non è poca cosa». Specie se si considera che gli “insabbiatori” hanno insistito fino all’ultimo sull’idea che Cervia – di cui hanno a lungo negato la decisiva specializzazione – avesse abbandonato la famiglia volontariamente. «Pura follia», racconta la figlia, Erika: «Papà era alle prese con grandi preparativi per l’anniversario di matrimonio».Molte cose su Davide, dice la moglie Marisa nel video realizzato da Michelini e Chiaroni, la famiglia le ha apprese solo dopo la sua scomparsa: aveva rivestito incarichi di particolare segretezza, anche svolgendo stage presso aziende belliche. «Tra i documenti di Davide abbiamo trovato persino il Nos, “nulla osta di segretezza Nato”, ammesso dalla marina dopo 6 anni di nostre pressanti richieste». Per la famiglia Cervia, un incubo senza fine: «Rapito Davide, eravamo a Velletri solo da due anni, e io ne avevo appena 28: fecero girare la voce che mio marito era scappato con un’altra». Eppure, i fatti gridavano la peggiore delle verità: la sera di quel maledetto 12 settembre l’anziano vicino di casa, Mario Cavagnero, vide tutto. «Testimoniò con le lacrime agli occhi di aver visto mio padre strattonato da alcune persone che lo aspettavano davanti al cancello di casa», racconta la figlia, Erika. «Immobilizzato, narcotizzato e spinto con la forza in un’auto color verde bottiglia. Mio padre gridò più volte il nome del vicino, nella speranza che lo potesse aiutare». Raccontò l’uomo: «“Mario!” mi chiamava, disperato: ma è stato tutto troppo rapido perché potessi intervenire». Era la prova regina del rapimento: solo che poi, racconta Erika, «dal verbale dei carabinieri emerse che mio padre stesse chiamando Mario per salutarlo, e che Mario (il testimone chiave) fosse un povero vecchio in stato confusionale».Poco dopo, un autista delle autolinee locali (oggi Cotral) sulla tratta Roma-Velletri «incrociò l’auto verde e la Golf bianca di mio padre guidata da un biondino». Un quasi-incidente, all’incrocio tra Colle dei Marmi e l’Appia. «Dovette fare una brusca frenata per evitare le due auto, che non si fermarono allo stop». L’autista del pullman notò sull’auto verde «due persone, sedute dietro, che con le spalle e le braccia coprivano qualcosa, come a voler nascondere qualcuno». E la Golf bianca di Davide Cervia? «I carabinieri “dimenticarono” di idicare nel verbale il numero di targa: per giorni, la polizia non potè cercarla», dice la moglie. Una vettura rimasta “fantasma” per addirittura sei mesi. «Poi, grazie a una lettera anonima indirizzata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, allora condotta da Donatella Raffai, l’auto venne ritrovata a Roma in via Marsala, vicino alla stazione Termini, dove (secondo la lettera) era parcheggiata da 6 mesi. Ma così non era: mio padre, ferroviere, coi suoi colleghi aveva setacciato la zona palmo a palmo», racconta Marisa Gentile. La Golf riapparsa? «Fatta ritrovare lì per far credere a un allontanamento volontario». Intervennero gli ispettori della Digos: «Frugarono dappertutto, ma senza guanti: addio impronte digitali». Prima ancora, l’auto fu aperta con una micro-carica esplosiva, osserva Marisa: «Quella Golf aveva un impianto a gas, e quindi far saltare la serratura con dell’esplosivo poteva essere pericoloso: a meno che non si sapesse che il serbatoio del gas era vuoto?».Nel frattempo, mentre le indagini “dormivano”, arrivò un indizio dalla Francia. Gianluca Cicinelli, autore di due libri sulla vicenda nonché presidente del “Comitato per la Verità su Davide Cervia”, nel ‘95 venne contattato da un ex funzionario dell’Air France, da poco in pensione. Raccontò: tra dicembre ‘90 e gennaio ‘91 era arrivata alla compagnia aerea transalpina una richiesta di verifica, per sapere se ci fosse un biglietto aereo a nome Davide Cervia. «Lo trovò: per il 6 o l’8 gennaio ‘91 (non ricordava bene la data) per la tratta Parigi-Cairo. Biglietto acquistato per un’agenzia che lavora per il ministero francese degli affari pubblici. Nessuno ne aveva mai parlato». Al che, Cicinelli fece denuncia alla Criminalpol, partì l’indagine e si scoprì che quel biglietto effettivamente esisteva. Ma l’Air France non aveva comunicato nulla agli inquirenti perché, secondo loro, apparteneneva a un omonimo di Davide: un militare francese (con nome italiano, in quanto originario della Corsica). Fino ad allora, la procura di Velletri non aveva potuto fare vere indagini «per carenze di organico». Nel ‘98-99, quando la procura di Roma avocò l’inchiesta riaprendo il caso del biglietto aereo, l’Air France cambiò versione: quel biglietto aereo non era più intestato al “Davide Cervia della Corsica”, bensì a una “signorina Cervia”; in più era cambiata la tratta, e “purtroppo” non si poteva più fare nulla perché tutti i documenti erano stati cestinati.Il 5 aprile del 2000, racconta Erika Cervia, il caso fu archiviato come sequestro di persona a opera di ignoti. «Per noi fu una grandissima vittoria, veder sparire la testi dell’allontamento volontario di mio padre. Ma anche una sconfitta: dopo dieci anni, con l’archiviazione, veniva messa una pietra tombale sulla vicenda. Scandaloso: per i primi 8 anni mio padre non fu assolutamente cercato dalla procura di Velletri, quindi si sono persi proprio gli anni fondamentali per la sua ricerca». Poi, nel 2012, la notizia su Ustica: i familiari delle vittime hanno avevano citato a giudizio i ministeri trasporti e difesa, per omissioni, depistaggi, negligenze e violazione del cosiddetto “diritto alla verità”. «Noi abbiamo denunciato il ministero della difesa e quello giustizia. Ma i testi sono stati finalmente ascoltati solo a partire dal 2016, dopo quattro anni di rinvii». Nel frattempo, la famiglia Cervia è stata incessantemente sottoposta al consueto trattamento: minacce e intimidazioni, fino all’esplosione della finestra di casa. «Spesso – rileva Paolo Franceschetti, avvocato – i parenti delle vittime, in casi analoghi, si piegano. I Cervia invece hanno resistito in modo commovente, per amore di Davide, spiazzando i loro persecutori». Oggi brindano: c’è l’immensa soddisfazione morale di una sentenza che condanna lo Stato per aver mentito. Ma all’appello manca ancora il premio più importante: Davide.«Il prossimo passo – annuncia Marisa Gentile – sarà un appello alla politica, appena il nuovo Parlamento sarà insediato, perché ci spieghi come mai alcune strutture dello Stato hanno depistato». Con la speranza, naturalmente, che «chi sa trovi il coraggio di parlare e di raccontarci quanto accaduto», dice la donna a Fabrizio Peronaci del “Corriere della Sera”, l’unico grande giornale che abbia dato la notizia della sentenza romana. «E’ sconcertente il silenzio dei media», dice Marisa, «per non parlare del silenzio del servizio pubblico Rai». Ancora ai giorni nostri il sequestro Cervia è un fatto indicibile, rileva Gianni Lannes, tant’è vero che ad alcuni atti parlamentari il governo Renzi non ha risposto, come nel caso di un’interrogazione del 10 aprile 2014. Perché tacere ancora su questa scottante vicenda, «coperta dall’affaristica ragion di Stato»? Il Sismi, aggiunge Lannes, «si è sempre occupato direttamente della vendita di armi all’estero, compresi i sistemi d’arma ed il personale altamente specializzato. In questa vicenda non bisogna farsi ingannare dai depistaggi istituzionali che hanno messo in atto più volte, per dirottare la famiglia ed eventuali ricercatori indipendenti su piste fantasma. Un classico: omissioni, reticenze e menzogne dell’apparato statale costellano la vicenda, nonché minacce e intimidazioni alla stessa famiglia Cervia, mai protetta dallo Stato».Per dipanare l’aggrovigliata matassa, insiste Lannes, «bisogna partire dal movente e dai mandanti: Cervia aveva forse rifiutato qualche offerta?». Ovvero: è stato rapito dopo essersi rifiutato di trasferirsi, magari in Libia? Nel blog “Su la Testa”, Gianni Lannes esibisce una vastra documentazione: a partire dal 1992, un anno dopo la scomparsa di Davide, su Camera e Senato è piovuta una grandine di richieste per far luce sulla vicenda. Risultato: silenzio di tomba. Domande scomode, che oggi Lannes riassume: «Qual è stato il ruolo svolto nella vicenda dai servizi segreti italiani? Come si spiegano le reticenze e la contraddittorietà degli interventi che emergono dalle risposte rese nel tempo ad alcuni atti di sindacato ispettivo inerenti la vicenda?». E poi: «Sono state condotte ricerche sulla sorte degli altri tecnici italiani che hanno conseguito la stessa specializzazione di Davide Cervia? Quanti sono, quanti di loro risultano in congedo e quanti sono ancora in servizio in Italia o all’estero?». Ancora: «Sono state effettuate ricerche e indagini giudiziarie presso i paesi ai quali gli armamenti in questione (Teseo-Otomat) sono stati venduti? E’ stata accertata l’effettiva destinazione finale delle suddette armi onde verificare che non sia in atto un traffico d’armi “triangolato” e che non vi siano state violazioni delle norme sulle esportazioni di armi verso paesi per i quali fossero in corso embarghi militari?». Se non altro, dopo quasi 28 anni di depistaggi e omissioni, ora c’è almeno un brandello di verità: lo Stato è colpevole. Ma dov’è finito il super-tecnico rapito? «Giustamente si chiede verità per Giulio Regeni», dice Marisa Gentile. «A quando la verità su Davide Cervia?».Una donna che non sa più dove sia il marito, E due figli senza più notizie del padre, specialista in guerra elettronica. Scomparso. Catturato da sconosciuti, una sera, davanti al cancello di casa, nella campagna di Velletri. Che fine ha fatto? E’ stato “venduto” a paesi come la Libia, a cui l’Italia non avrebbe potuto né dovuto fornire armamenti? E’ stato poi ucciso, per cancellare la prova vivente di un affare inconfessabile? Chi sa, non parla: da quasi 28 anni. Quell’uomo? Preziosissimo. Un super-militare, con competenze Nato top secret. E’ ancora vivo? Invocano sue notizie, inutilmente, i familiari. E’ passato un quarto di secolo, e i militari tacciono. Un regista, Francesco Del Grosso, dopo 24 anni di silenzio decide di fare un film su quella storia, “Fuoco amico”. Ma alla vigilia delle riprese salta in aria la casa, esplode una finestra: solo per miracolo la ragazza, Erika, figlia dello scomparso, non viene investita dall’esplosione. Lei e sua madre devono smetterla di chiedere dov’è finito quell’uomo, l’enfant prodige della marina militare italiana. Sapeva rendere invulnerabile una nave da guerra. Era il mago dei missili Teseo-Otomat, che colpiscono a 180 chilometri di distanza. Era stato il più bravo, al corso d’élite frequentato a Taranto. Il miglior tecnico, imbarcato sulla miglior nave da battaglia italiana, la fregata Maestrale. Una sera è stato catturato. Sparito, inghiottito nel nulla. Lo Stato? Ha ostacolato il diritto alla verità. Lo afferma, oggi, la sentenza di una giudice, Maria Rosaria Covelli. Ma la verità è ancora lontana: che fine ha fatto Davide Cervia?
-
“Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra
Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».
-
Barnard: voto i 5 Stelle, sono la peggior peste. Vacciniamoci
Vaccinarsi dall’orrore? Votare per il partito che più si teme, per immunizzare il corpo elettorale. «Non scherzo, non provoco», assicura Paolo Barnard, che annuncia che voterà per Grillo. E cita Tucidide, “La peste ad Atene”: a curare gli infetti erano gli ex malati, sopravissuti e ormai immuni. La triste realtà, premette Barnard, è che il 4 marzo «non siamo chiamati a poter decidere un’accidenti di democrazia o economia». La novità? Sarebbe la possibilità di «sbarazzarci una volta per tutte dal più micidiale partito politico dal 1948, e sono i 5 Stelle». Sbarazzarcene come? Votandoli, è la ricetta di Barnard: prima andranno al potere, e prima gli italiani capiranno, “immunizzandosi”. Secondo il giornalista, «il M5S è ormai un’epidemia di psicosi nazionale, ha la forza di penetrazione infermabile della peste in Europa del 1346. Sfonda ovunque col fideismo impazzito di milioni di farneticanti febbricitanti pazzi chiamati grillini, cioè il brand che ha stracciato in allucinata irrazionalità Scientology e il culto di Kim Jong-un in Nord Korea». E quindi, conclude, «per guarire l’Italia dal partito-azienda più falsario e dittatoriale della sua storia repubblicana dobbiamo “ammalarci” di 5 Stelle, cioè portarli a Palazzo Chigi, patire la strage civica per qualche anno ma poi guarire con l’immunizzazione: solo così la storia guarisce l’umanità dalle catastrofi».Barnard parla di «abietto pericolo insito in questa psicosi di massa chiamata 5 Stelle» a partire dall’azienda di Casaleggio «che è l’unica al mondo assieme a Mediaset ad avere i suoi lobbysti seduti in Parlamento». Beppe Grillo? «E’ riuscito a vendere un ‘ultra nazismo’ protocollare in pieno III millennio in un paese occidentale: 100.000 euro di multa agli espulsi o ai migranti politici». Ricorda, dice Barbard, il Saddam che «faceva sparare nelle ginocchia degli allenatori iracheni della nazionale se perdeva la partita». Secondo il saggista più imprevedibile d’Italia, autore de “Il più grande crimine”, il paese «sta segnando il suo secondo marchio d’infamia nella storia moderna dopo quei bei record di Mussolini e Berlusconi, per cui ancora siamo sbeffeggiati nel mondo (Andreotti era un criminale, ma era uno statista)». Scrive, Barnard: «Ho documentato in molti articoli quanto impostori siano Grillo e i Casaleggio, uomini che hanno cavalcato in modi diversi i Tronchetti Provera e i Colaninno a lor comodo. Ma qui, davvero, ciò che è peggio è che non esiste un eletto che abbia competenze per gestire una friggitoria, altro che il paese Italia: trovatemi una singola figura all’altezza, fra i 5 Stelle».Politiche monetarie e operazioni monetarie dello Stato, della banca centrale, del Tesoro. E poi gestione di assets, equity markets, “currency swaps” internazionali, “commodity markets” e ora blockchain e cryptovalute. Dove sono i 5 Stelle? Cosa ne sanno dell’ambiente “startup”, che ha bisogno di attirare i “venture capitals” internazionali? E poi: diplomazia del commercio e regole mondiali presso il Wto nei suoi intricatissimi ma vitali negoziati. Padronanza degli accordi (bilaterali e multilaterali) di “free-trade”. Politica estera e geostrategie legate alla sicurezza nazionale e alla razionalizzazione delle risorse? Peggio che andar di notte. Ancora: «Conoscenza vera dello sviluppo finanziario nelle energie rinnovabili. Comprensione dei nuovi “ecosystems” industriali, le piattaforme, e non quella cretinata dell’industria 4.0». Inoltre: «Analisi del rapporto fra interesse pubblico, potere sovrano e nuove super-tech & “artificial intelligence”. La nostra disperata necessità d’investimenti in ricerca, su cosa esattamente, ma soprattutto pagata da chi. L’agonizzante arretratezza del sistema Italia nell’era dalla IoT e delle “abstractions”, come padroneggiarla, pena la fine del paese come membro del G8».Mai sentito dai 5 Stelle qualcosa che lasci intravedere una visione geopolitica «per proteggere davvero l’Italia dalla crisi migrazione» con piani di risoluzione sistemica delle tensioni da cui si origina? «Statura e pedigree diplomatici necessari». Per esempio: «Voi sapete che razza di calibro è il Ceo dell’Eni Claudio Descalzi? Un Rex Tillerson gli può forse tenere testa. Ma voi ve l’immaginate il teatrino di Di Maio, Grillo e Casaleggino seduti davanti a Descalzi? Se li mangia vivi in 11 minuti, li rigira da fargli venire la labirintite mentre con la mano destra telefona a Igor Sechin di Rosneft. Ma non sto scherzando, c’è di mezzo la nostra vita, Cristo». E tutti i settori citati sopra? «Mario Monti è una bestia umana, ma Monti in mezza giornata fa e pensa quello che tutti i vertici 5S messi assieme fanno e pensano in sei mesi». Fico e la Taverna coi diplomi aziendali? «Io e l’insider di Wall Street per 30 anni, Warren Mosler, incontrammo a Roma alcuni deputati 5 Stelle della commissione bilancio: si doveva parlare di macroeconomia dello Stato, e ’sti ragazzini bofonchiavano proposte per modificare la partita doppia».Obiezione corrente: saranno degli sprovveduti, come del resto anche gli altri politici italioti; se non altro, i 5 Stelle almeno loro sono onesti. «Tutto sbagliato», sentenzia Barnard. «Il pericolo più micidialmente insidioso del Movimento 5 Stelle è che sono dei travestiti, tutti». Ovvero: «Non solo sono dei totali incompetenti come gli altri, ma sono omertosi perché sanno benissimo cosa sia la porcata del loro partito-azienda: cioè sanno dove i CasaleggioForProfit vogliono andare a parare, a spese di 60 milioni d’italiani, fra amicizie americane e banchieri dell’Ambrosetti. Sanno che Grillo è marcio fino al collo, ma, al contrario dei piddini o dei leghisti, i 5 Stelle vivono nello stesso ricatto della prostituta moldava schiava, a cui i papponi hanno sequestrato il passaporto e che se sgarra spaccano poi le ossa alla sua famiglia a casa. Questo è. E ’sti tizi si sono spacciati per “la speranza”. Ma ormai ci sono, si moltiplicano come l’E.coli nell’intestino». E allora ok, «ammaliamoci di 5 Stelle per qualche anno, ma poi almeno saremo immunizzati». Parola di Tucidide. O meglio di Paolo Barnard. Che a marzo, giura, ai 5 Stelle farà il peggior dispetto possibile: votarli.Vaccinarsi dall’orrore? Votare per il partito che più si teme, per immunizzare il corpo elettorale. «Non scherzo, non provoco», assicura Paolo Barnard, che annuncia che voterà per Grillo. E cita Tucidide, “La peste ad Atene”: a curare gli infetti erano gli ex malati, sopravvissuti e ormai immuni. La triste realtà, premette Barnard, è che il 4 marzo «non siamo chiamati a poter decidere un’accidenti di democrazia o economia». La novità? Sarebbe la possibilità di «sbarazzarci una volta per tutte dal più micidiale partito politico dal 1948, e sono i 5 Stelle». Sbarazzarcene come? Votandoli, è la ricetta di Barnard: prima andranno al potere, e prima gli italiani capiranno, “immunizzandosi”. Secondo il giornalista, «il M5S è ormai un’epidemia di psicosi nazionale, ha la forza di penetrazione infermabile della peste in Europa del 1346. Sfonda ovunque col fideismo impazzito di milioni di farneticanti febbricitanti pazzi chiamati grillini, cioè il brand che ha stracciato in allucinata irrazionalità Scientology e il culto di Kim Jong-un in Nord Korea». E quindi, conclude, «per guarire l’Italia dal partito-azienda più falsario e dittatoriale della storia repubblicana dobbiamo “ammalarci” di 5 Stelle, cioè portarli a Palazzo Chigi, patire la strage civica per qualche anno ma poi guarire con l’immunizzazione: solo così la storia guarisce l’umanità dalle catastrofi».
-
Galloni: dire no ai boss dell’euro, creato per uccidere l’Italia
Poniamo il caso che un grande economista italiano vi dicesse che l’euro è stato inventato per impedire all’Italia di rafforzarsi: ci credereste? Vi conviene farlo, dice Gianluca Scorla, se questo economista risponde al nome di Nino Galloni, già ricercatore a Berkeley e poi docente universitario a Modena, Milano e Roma. Di scuola post-keynesiana, tra il 1981 e il 1986 è stato collaboratore del professor Federico Caffè, il genio europeo dell’economia progressista. Nell’ultima stagione governativa di Andreotti, il “Divo Giulio” chiamò a sé proprio Galloni per aiutare l’Italia a non rimetterci le penne, in vista del Trattato di Maastricht. Risultato: l’allora cancelliere Kohl ingiuse al nostro governo di allontanare quel funzionario “ribelle”, che si ridusse – in ufficio – a comunicare con Andreotti mediante “pizzini”, per aggirare il rischio di intercettazioni ambientali. Galloni ha lavorato al ministero dell’economia e in quello del lavoro, all’Inpdap e all’Ocse, nonché presso gruppi come Agip, Nuova Satin, Fintext Corporation. E’ stato impegnato nell’Inps, poi nell’Inail. Oggi è vicepresidente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi. Obiettivo: costringere la politica italiana a leggere la crisi in modo corretto, capendo chi l’ha creata e perché.Sono passi indispensabili, per poterne uscire. Come? Restituendo allo Stato la sua piena sovranità operativa, monetaria e finanziaria, senza la quale ogni soluzione di rilancio non è credibile, è pura propaganda elettorale. Renzi e Berlusconi fanno a gara nel promettere bonus e sgravi fiscali? Stanno semplicemente barando: sanno benissimo che, se prima non si rovescia il tavolo europeo del rigore (che non è tecnico-economico ma solo politico, ideologico), non ci si saranno soldi per sostenere gli italiani. Era il 2014, quando Galloni – dopo aver denunciato il piano di “deindustrializzazione” dell’Italia pianificato via Eurozona dal nostro maggiore competitor, la Germania – ricordava la trama del film horror proiettato in Europa negli ultimi tre lustri. «Dalla fine della primavera del 2001 i grandi ecomomisti, i Premi Nobel, i centri di ricerca, i grandi esperti avevano previsto che “dal prossimo trimestre ci sarà la ripresa”, e che questa ripresa “slitterà al semestre successivo”, poi “all’anno successivo” e poi ancora a quello venturo, senza alcuna spiegazione sulle logiche che avrebbero dovuto guidare questa ripresa». Ma della ripresa, ovviamente, «nemmeno l’ombra», sintetizza tre anni fa Gianluca Scorla, sul “Giornale delle Buone Notizie”.E vi pare possibile che, di trimestre in trimestre, da allora, le banche abbiano emesso 800.000 miliardi di dollari di titoli derivati e altri 3 milioni di miliardi di dollari di derivati sui derivati, quindi di titoli tossici? Già nel 2014 il totale sfiorava i 4 quadrilioni di miliardi di dollari, cifra pari a 55 volte il Pil del mondo. Lacrime e sangue: quante ne hanno davvero versate gli italiani, obbedendo ai diktat degli ultimi governi euro-diretti, da Monti a Gentiloni passando per Letta e Renzi? «Nella fase storica in cui la politica è stata superata dall’economia e le scelte operate seguono il paradigma della speculazione internazionale piuttosto che del rilancio dello sviluppo», riassume Scorla, Galloni racconta come stanno realmente le cose, indicando anche la via da percorrere per risalire la china: utilizzare ogni mezzo (compresi quelli esistenti, non soppressi da Maastricht) per riattivare lo Stato come soggetto necessariamente protagonista dell’economia nazionale: per esempio emettendo moneta metallica o anche “moneta fiduciaria”, non a corso legale fuori dai confini nazionali, ma valida ad esempio per pagare le tasse. «Già solo questo – ricorda Galloni, in un recente intervento al convegno promosso a Roma dal Movimento Roosevelt sulla Costituzione – basterebbe a rimediare allo scellerato obbligo del pareggio di bilancio, introdotto dal governo Monti con i voti di Berlusconi e Bersani».“Chi ha tradito l’economia italiana” (Editori Riuniti) è uno dei recenti saggi ai quali Galloni ha affidato la sua circostanziata denuncia. In estrema sintesi: i 35 anni che vanno dal 1944 al 1979, riassume Scorla, sono lo specchio di uno stabile modello di capitalismo espansionista keynesiano che ha centrato l’obiettivo di massimizzare le vendite, i profitti complessivi e l’occupazione. Nel 1979, in concomitanza con il G7 di Tokyo, l’uscita dal sistema della solidarietà internazionale dà luogo alla genesi di un nuovo tipo di capitalismo, definito di “rivincita dei proprietari”, che durerà fino agli inizi degli anni ’90 con l’avvento della crisi del sistema monetario europeo. «Dalla fine degli anni ’70, la svolta liberista anti-keynesiana trova il suo apice devastatore nella logica del salvataggio bancario, che spinge le istituzioni e le banche stesse ad assoggettarsi, nel tempo, al sistema ultra-speculativo voluto dalla grande finanza». Dal 2001, quindi, «le banche affondano l’acceleratore nell’emissione di derivati e dei derivati sui derivati, generando così i titoli tossici. L’obiettivo raggiunto coincide con la massimizzazione del guadagno, non sul rendimento del titolo ma sul numero delle emissioni».Meglio di chiunque altro, Galloni ha spiegato come – tra il 1980 e l’anno seguente – lo sviluppo del paese fu letteralmente sabotato dal divorzio tra Bankitalia (Ciampi) e il Tesoro (Andreatta): prima ancora dell’euro, la banca centrale abdicò al suo ruolo istituzionale di “prestatore di ultima istanza”, cessando di fungere da “bancomat” del governo, a costo zero. Da allora, il deficit cominciò a essere finanziato – al prezzo di interessi salatissimi – da investitori finanziari privati: cosa che fece letteralmente esplodere, di colpo, il debito pubblico italiano, problema poi impugnato come una clava dal potere neoliberista, fin dall’inizio impegnato a fare la guerra allo Stato. Oggi, dice Galloni, la buona notizia è che l’Italia sta resistendo in modo imprevedibile al massacro sociale imposto da Bruxelles per via finanziaria. E senza alcun intervento da parte della politica: i lavoratori, semplicemente, hanno smesso di andare a votare, gonfiando l’oceano dell’astensionismo. Potremmo vivere un’accelerazione positiva esponenziale, aggiunge Galloni, se solo la politica si decidesse a dire la verità sull’accaduto, a denunciare i nemici del sistema-Italia e a mettere in campo politiche nuovamente espansive, fondate su investimenti strategici sorretti dall’emissione monetaria diretta. Premessa: innanzitutto, è urgente compiere una mossa semplice e drastica, di cui hanno paura tutti – dal Pd a Berlusconi, fino ai 5 Stelle. E cioè: mandare a stendere i poteri che manovrano i fantocci di Berlino, Bruxelles e Francoforte. Dicendo loro: se non si rinegozia tutto, da cima a fondo, l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei. Funzionerebbe: perché, senza più il nostro paese, il bunker antieuropeo chiamato Unione Europea crollerebbe un minuto dopo.Poniamo il caso che un grande economista italiano vi dicesse che l’euro è stato inventato per impedire all’Italia di rafforzarsi: ci credereste? Vi conviene farlo, dice Gianluca Scorla, se questo economista risponde al nome di Nino Galloni, già ricercatore a Berkeley e poi docente universitario a Modena, Milano e Roma. Di scuola post-keynesiana, tra il 1981 e il 1986 è stato collaboratore del professor Federico Caffè, il genio europeo dell’economia progressista. Nell’ultima stagione governativa di Andreotti, il “Divo Giulio” chiamò a sé proprio Galloni per aiutare l’Italia a non rimetterci le penne, in vista del Trattato di Maastricht. Risultato: l’allora cancelliere Kohl ingiuse al nostro governo di allontanare quel funzionario “ribelle”, che si ridusse – in ufficio – a comunicare con Andreotti mediante “pizzini”, per aggirare il rischio di intercettazioni ambientali. Galloni ha lavorato al ministero dell’economia e in quello del lavoro, all’Inpdap e all’Ocse, nonché presso gruppi come Agip, Nuova Satin, Fintext Corporation. E’ stato impegnato nell’Inps, poi nell’Inail. Oggi è vicepresidente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi. Obiettivo: costringere la politica italiana a leggere la crisi in modo corretto, capendo chi l’ha creata e perché.
-
Totò Riina, un progetto organico al tritacarne del potere
Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.«Il potere – spiega Carpeoro – cerca sempre di additare un responsabile con cui te la devi prendere, altrimenti fininisci per mettere in discussione il vero potere: l’autoconservazione del potere impone che tu te la prenda con qualcuno, non con qualcosa». Per contro, aggiunge, per uno Stato che si ponga obiettivi di progresso «è necessario sgominare un’organizzazione criminale come quella di Totò Riina». E’ esistita una trattativa Stato-mafia? «Sì, più volte», risponde Carpeoro. «Nel momento in cui la mafia ha un riferimento nel potere politico che governa, di questi accordi ce ne saranno stati migliaia». Molte volte, addirittura, «è stata la mafia stessa a consegnare alla pubblica gogna (e alle forze dell’ordine) alcuni suoi esponenti divenuti ingombranti, indifendibili e ingestibili, troppo nell’occhio del ciclone». E l’ha fatto «con l’obiettivo (concordato) di tacitare tutte le altre iniziative di contrasto della criminalità mafiosa». Aggiunge Carpeoro: «Se uno vuole fare davvero la lotta alla mafia, deve combattere lo schema di potere che ha deciso di utilizzare la mafia, così come si è configurata nell’arco di decenni», a partire dallo sbarco alleato in Sicilia nella Seconda Guerra Mondiale.«Per gestire anche la mafia – aggiunge Carpeoro – gli americani hanno creato appositamente una loggia massonica: hanno dato vita al cosiddetto Progetto Colosseum, da cui sono nate numerose logge». Gli statunitensi «hanno utilizzato la mafia anche a scopi bellici, per assicurarsi un’invasione indisturbata della Sicilia (a fin di bene, in quel caso, perlomeno rispetto al contrasto del nazifascismo)». I rapporti tra gli Usa e Cosa Nostra sono sempre stati organici, dice Carpeoro: «Non a caso Andreotti, nel suo processo d’appello, per ottenere l’assoluzione ha citato come testimoni consoli, diplomatici e alti dirigenti degli Stati Uniti d’America». I politici uccisi dalla mafia, da Salvo Lima a Piersanti Mattarella? «Alcuni erano obiettivi tattici, cioè davano fastidio in quel momento; altri erano obiettivi strategici, cioè rappresentavano battaglie da dissuadere fin dall’inizio». Dipende dalle circostanze, dal periodo: «Ci sono stati dei momenti in cui alla mafia è convenuto essere meno visibile, e altri momenti in cui la mafia ha valutato invece che riaffermare le proprie prerogative sul territorio comportasse una certa visibilità».Cosa conteneva la famosa Agenda Rossa di Borsellino? «Elementi delle sue indagini, credo», ipotizza Carpeoro. «Non penso fosse arrivato a indicazioni generali; credo abbia indagato sui rapporti tra la mafia e una certa politica siciliana, e che fosse andato molto avanti, in questa direzione. Non scordiamoci che quel tipo di politica, in realtà, è indispensabile per vincere le elezioni, in Sicilia: quel tipo di politica utilizza anche la mafia, il voto di scambio, tant’è vero che troviamo continuamente casi di politici siciliani coinvolti». Storicamente, continua Carpeoro, la mafia in Sicilia è stata sempre collegata alla Democrazia Cristiana: «Quindi, basta andare appresso agli ex democristiani e si trovano le radici del problema. Borsellino poi indagò anche su Forza Italia, ma perché Forza Italia, in Sicilia, per vincere le elezioni si fece infiltrare da quel tipo di politica democristiana». Le indagini di Borsellino potevano illuminare anche i retroscena della grande svendita finanziaria dell’Italia? «Quelle sono logiche che poi si sono sovrapposte, nel potere. Esistono logiche generali e logiche locali; a volte queste logiche coincidono, e allora si creano questi coaguli di pressione».Il pentito Vincenzo Calcara parla della mafia come di una “entità” accanto ad altre, come la massoneria e il Vaticano. «Tutto ciò che gestisce potere, alla fine, finisce nel tritacarne», insiste Carpeoro: «Tutto il tritato generale della nostra vita civile è fatto di tante componenti; nel momento in cui un certo modo di fare politica ha infiltrato anche la massoneria, la stessa massoneria (almeno quella locale, non so quella nazionale) è diventata uno dei gangli di questo schema di potere. D’altro canto, la stessa massoneria internazionale si è resa “fruibile”, da parte di meccanismi di potere, quindi la cosa non mi meraviglia minimanente». Mafia Capitale a Roma? «Interpretare il termine “mafia” in senso estensivo, cioè riferibile a qualunque associazione criminale, è possibile in linea teorica ma non so quanto sia utile sul piano pratico: perché la mafia, pur essendo diventata di portata ultra-nazionale, è pur sempre un fenomeno molto radicato su territori». La mafia siciliana come prodotto dell’Italia unita? «Cerchiamo di capirci: tutti quelli che collegano la mafia all’Unità d’Italia dicono un cazzata», sostiene Carpeoro, sottolineando che, prima dell’Unità d’Italia, nel Meridione, il potere era in mano ai latifondisti, i cosiddetti baroni, con i loro temutissimi “camperi”.«Il principale alleato del barone era il capobastone del posto», ricorda Carpeoro, «perché la polizia borbonica non era così efficiente e ramificata da garantire l’ordine pubblico. E quindi in ogni paese c’era uno – più furbo, più arrogante, più violento, magari anche dotato di un certo magnetismo nei confronti di coloro che formavano la sua banda – che garantiva ai latifondisti l’esercizio di un potere incontrastato e lo sfruttamento indisturbato delle altre persone. Questa era già mafia», inutile negarlo. Nel momento in cui si crea l’Unità d’Italia, poi, la mafia diventa brigantaggio, «nella dissidenza di quelli a cui il potere è stato tolto». Ma attenzione: «C’è anche una vasta area di trasformazione e di coesione di questi vecchi sistemi nei confronti del nuovo assetto politico: per cui, poi, si creerà il nuovo asse, sul territorio, tra il potere politico e la mafia». Nell’atroce storia mafiosa, suscitano orrore delitti come l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, il ragazzino rapito a 13 anni e poi, dopo oltre 700 giorni di prigionia, ucciso da Brusca e altri complici, che ne sciolsero il corpo nell’acido. «Come leggere un delitto di questo tipo? Come una barbarie, ricollegabile al basso livello della manovalanza mafiosa – basso livello da ogni punto di vista: non solo etico, ma anche pratico e strategico». Eppure, sottolinea Carpeoro, bisogna ricordarsi che la mafia di Brusca e Riina è stata usata e incorporata nello schema di potere dell’Uomo Nero, quello che fa in modo che ce la prendiamo sempre con qualcuno, non con il sistema stesso. E’ così che il gioco è destinato a non finire.Totò Riina? E’ stato un progetto di potere, inserito in uno schema. «Dobbiamo immaginare lo schema del potere come una specie di enorme tritacarne. Lo scopo del potere è realizzare la carne tritata. E’ indifferente di chi sia, la carne, nel senso che poi il potere utilizza di volta in volta schemi, persone, associazioni». E in Sicilia, storicamente, il potere ha utilizzato la mafia. Parola di Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” e del nuovissimo “Il compasso, il fascio e la mitra”, che illumina i retroscena dell’origine del fascismo. «Sicuramente – dice – Riina ha risposto allo schema generale del potere, che di volta in volta attiva i personaggi che gli sono funzionali». L’ex super-boss di Corleone è stato accusato di oltre 100 omicidi? «Era il capo, di basso livello, di una associazione criminale che ha commesso quegli omicidi, ma che rispondeva comunque a uno schema di ordine superiore». Ingranaggi di un meccanismo infernale: quei personaggi che stanno al di sopra di Riina hanno certamente preordinato le varie azioni, «ma anche loro sono burattini, in mano a uno schema astratto». Semplice manovalanza criminale, Riina? «Sì, e anche di basso livello, oserei dire», afferma Carpeoro, in diretta streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. La narrativa sul “boss dei boss”? In parte, creata solo per depistare l’opinione pubblica: la fabbricazione dell’Uomo Nero, l’incarnazione del male.
-
Un pericolo si aggira per l’Italia, la candidatura di Tajani
Ci sono disgrazie che lo Stellone italiano riesce ad evitare: ad esempio Macron, figura di arrogante e fondamentalmente insulso europeista che si sono aggiudicati in Francia, mentre ce ne sono altre che aleggiano sul nostro futuro politico. Il peggior fantasma si chiama Antonio Tajani. La fertile terra di Ciociaria ha fornito grandi politici come Andreotti e mediocri controfigure come il nostro, la cui carriera politica sarebbe perfettamente trascurabile se, per una serie di imperscrutabili combinazioni del destino, non si fosse trovato alla presidenza del Parlamento Europeo. Il valore di questa carica sarebbe pressocchè nullo ed è stato precedentemente ricoperto da figure marginali come il “kapò” Schulz. Ma, sempre per colpa del fato cinico e baro, si è incrociato con la momentanea defaillance politica del suo capo, Berlusconi. Infatti il Dominus di Arcore, non sapendo ancora se potrà porsi alla guida di Fi nella prossima campagna elettorale, deve trovare una controfigura fedele, belloccia ma non ingombrante, che lo possa sostituire come capolista: e chi, in teoria, potrebbe impersonare qusta figura meglio di Tajani, che sinora ha mostrato il nulla dietro il sorriso?Purtroppo la gita scolastica a Bruxelles e la successiva nomina a presidente del Parlamento hanno avuto un effetto negativo sulle sue capacità e, soprattutto, hanno azzerato qualsiasi suo contatto con la realtà dei fatti italiani. Visto quello che succede pare che l’Europarlamento sia una sorta di paradiso dei Mangiatori di Loto, per cui persone con una base razionale una volta sedutesi su quegli scanni perdono qualsiasi senso della realtà e diventano degli euroinomani disposti a prostituirsi pur di avere la propria dosa quotidiana di europeismo. Questa dipendenza ha colpito anche Tajani su un tema molto delicato: il divorzio fra il Regno Unito e l’Europa: infatti il nostro, pur avendo la possibilità di stare zitto e non occuparsi del tema, ha deciso di intervenire con la stessa sensibilità di un rullo compressore mentre compatta l’asfalto. Ecco l’uscita di Tajani su “Euronews”: «Vogliamo indietro i soldi». Londra accusa Bruxelles di mettere fretta ai negoziati con il solo scopo di ottenere una fattura britannica più onerosa? Accuse respinte al mittente da Michel Barnier, il capo negoziatore Brexit per l’Unione Europea.Londra, stando ai calcoli comunitari, dovrebbe versare alle casse comunitarie 50,60 miliardi di euro; la conferma di queste cifre, che finora giravano solo ufficiosamente, è stata fatta dallo stesso presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, che ha ribadito: «Dobbiamo essere chiari; dobbiamo mettere i quattrini sul tavolo, vogliamo indietro i soldi; come disse la Thatcher una quarantina d’anni fa: è importante, per noi». Ora, un secondo di chiarezza: questa cifra corrisponde sia ai contributi che Londra dovrebbe versare sino al 2020, sia ai costi previdenziali per gli elevatissimi trattamenti pensionistici dei dipendenti del’Unione Europea, che sono, al contrario dei nostri pensionati, trattati con tutte le cure. Questi versamenti sono proprio uno degli elementi di rottura fra Londra e Bruxelles, e uno degli aspetti di maggiore impopolarità dell’Unione. Tajani, abituato ai metodi dell’Agenzia delle Entrate italiana, pensa di presentare la cartella delle imposte a Londra, magari accompagnata da un’ingiunzione di pagamento. Però non esiste una Guardia di Finanza europea che possa forzare il governo di Londra, che ha due possibilità: accordarsi con l’Unione Europea; non accordarsi con l’Unione Europea.Tajani non si rende conto che il Regno Unito può anche non raggiungere un accordo con l’Unione Europea e applicare gli accordi Wto che prevedono la possibilità di imporre dei dazi. L’Italia è nei confronti di Londra in una posizione molto delicata. Infatti la bilancia commerciale bilaterale è in questa situazione: esportazioni italiane nel Regno Unito, 22.501 milioni di euro; importazioni italiane nel Regno Unito, 10.997 milioni di euro. Noi abbiamo un avanzo per 11 miliardi di euro. Inoltre, circa 261.000 italiani residenti nel Regno Unito, contro meno di 70.000 inglesi residenti in Italia. Chi ha da perdere dal non raggiungimento di un accordo, noi o loro? Mettere il Regno Unito contro un muro potrà dare grande soddisfazione a Juncker e ai suoi amichetti di Bruxelles, ma sarebbe completamente contrario agli interessi nazionali italiani. Nel caso di imposizioni di dazi al nostro export quanti posti di lavoro perderemmo? Vogliamo veramente ripetere l’errore fatto con la Russia per compiacere Barnier e Juncker? Caro Tajani, torni a giocare con i suoi amichetti e non disturbi l’Italia. Perchè di personaggi che non fanno gli interessi nazionali ne abbiamo già abbastanza, e siedono tutti al governo!(Guido da Landriano, “Un pericolo si aggira per l’Italia, cioè che Tajani voglia fare politica”, da “Scenari Economici” del 19 ottobre 2017).Ci sono disgrazie che lo Stellone italiano riesce ad evitare: ad esempio Macron, figura di arrogante e fondamentalmente insulso europeista che si sono aggiudicati in Francia, mentre ce ne sono altre che aleggiano sul nostro futuro politico. Il peggior fantasma si chiama Antonio Tajani. La fertile terra di Ciociaria ha fornito grandi politici come Andreotti e mediocri controfigure come il nostro, la cui carriera politica sarebbe perfettamente trascurabile se, per una serie di imperscrutabili combinazioni del destino, non si fosse trovato alla presidenza del Parlamento Europeo. Il valore di questa carica sarebbe pressocchè nullo ed è stato precedentemente ricoperto da figure marginali come il “kapò” Schulz. Ma, sempre per colpa del fato cinico e baro, si è incrociato con la momentanea defaillance politica del suo capo, Berlusconi. Infatti il Dominus di Arcore, non sapendo ancora se potrà porsi alla guida di Fi nella prossima campagna elettorale, deve trovare una controfigura fedele, belloccia ma non ingombrante, che lo possa sostituire come capolista: e chi, in teoria, potrebbe impersonare qusta figura meglio di Tajani, che sinora ha mostrato il nulla dietro il sorriso?
-
Carpeoro: Fusaro e Di Pietro, tribuni dell’Italia non-pensante
Diego Fusaro in televisione accusa Antonio Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite di aver fatto un colpo di Stato? Da un punto di vista linguistico, non definirei Mani Pulite un colpo di Stato, quanto piuttosto un complotto internazionale, nel senso che il golpe ha caratteristiche squisitamente politiche e personalistiche, che quella storia non ha avuto. Dietro c’erano interessi internazionali e servizi segreti: altre cose. Il colpo di Stato è il voler sostituire un regime con un altro regime. Qui non si voleva sostituire un regime politico: si voleva soltanto mandare a casa la sua dirigenza. Cosa che è stata fatta, con una serie di fattori che si sono incrociati, e una serie di persone che pensavano di poter gestire questo fenomeno e poi ne sono rimaste esse stesse vittime. Una di queste è stato Andreotti: quand’è stato fatto senatore a vita da Cossiga, insieme a Gianni Agnelli, circa sei mesi prima che esplodesse Mani Pulite, Andreotti sapeva bene cosa sarebbe scoppiato. Lo sapeva molto bene, come lo sapeva Cossiga – che guardacaso ha nominato due senatori a vita, Andreotti e Agnelli: vi sembra complicato dedurre che Giulio Andreotti e Gianni Agnelli sapessero cosa stava accadendo, e che lo sapesse anche Cossiga?Pensavano di poter gestire la situazione, ma queste cose scappano di mano: come diceva Craxi, prima o poi le volpi ci finiscono, in pellicceria. Poi si sono incrociate vendette internazionali: se uno sottrae all’arresto americano colui che ha materialmente ucciso uno dei capi del B’nai B’rith, non può pensare che quel braccio operativo, connesso col Mossad, “se la tenga”. E quindi ci è entrato il problema di Sigonella e tutta una serie di problemi. Di Pietro un golpista? No: Di Pietro è un opportunista, che ha lucrato politicamente (e probabilmente anche economicamente) sul fatto di trovarsi in una posizione gestita dai servizi segreti sin dalle origini, fin da quando da poliziotto diventa magistrato, sulla base di un certo piano, gestito anche dagli americani. E tramite questa posizione ha gestito rapporti con servizi segreti di tutto il mondo: dimessosi da magistrato, risulta che il primo viaggio che Di Pietro fa è in Turchia, dove partecipa a incontri con i servizi segreti turchi.Non è stato il primo, Fusaro, a sollevare la questione Mani Pulite in quei termini. Ma il problema è che Fusaro rappresenta una categoria non-pensante dell’Italia (per delle cose che ha detto prima, per come si pone). Non ho detto che lui è non-pensante: ho detto che è gradito ai non-pensanti. E questo è pericoloso, per Di Pietro, perché il suo successo lo ha dovuto ai non-pensanti. Questo per lui è un rischio forte: Di Pietro ha temuto lo scontro televisivo con Fusaro perché entrambi sono sullo stesso piano; affondano nello stesso pubblico, attingono allo stesso consenso, e quindi per Di Pietro è molto pericoloso, incrinare questo tipo di copertura. Il problema, in Italia, è che quelli che fanno qualcosa contro qualcuno vorrebbero prendergli il posto. Questa è la dinamica: attacco qualcuno perché voglio fare le cose che fa lui, al posto suo.Se questa è la dinamica, perché dovrei essere entusiasta di Fusaro? Se non lo sono stato di Di Pietro, non posso esserlo neanche di Fusaro. Le motivazioni sono uguali, le modalità sono uguali: le modalità di analisi, il populismo, la superficialità di certi giudizi, il non voler far pensare la gente (o forse, il non riuscirci). E quindi perché dovrei essere entusiasta di Fusaro se non lo sono stato di Di Pietro e di qualunque altro di questi Cola di Rienzo, di questi personaggi un po’ tribunizi che hanno cavalcato le scene italiane negli ultimi anni? Io sono per una politica diversa, una politica non fatta di tribuni. In Italia si sono abolite le tribune e si sono potenziati i tribuni. Io vorrei che venissero rispolverate le tribune e aboliti i tribuni. Magari ci riusciremo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” durante la diretta web-streaming “Carpeoro Racconta” del 22 ottobre 2017, ripresa su YouTube. Il filosofo Diego Fusaro si è scontrato il 19 ottobre nel corso della trasmissione “L’aria che tira”, condotta sul La7 da Myrta Merlino. Il riferimento di Carpeoro al B’nai B’rith è relativo a Lion Klinghoffer, israelo-statunitense ucciso dal commando palestinese del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, che dirottò la nave da crociera Achille Lauro nel 1985. Dirottamento organizzato dagli uomini di George Habbash, leader del Fplp, e poi “risolto” dall’inviato di Arafat, Abu Abbas, con la collaborazione dell’Egitto e dell’Italia, il cui premier Craxi protesse poi il rimpatrio dei dirottatori e dello stesso Abu Abbas, dopo averli contesi a Sigonella ai marines schierati da Reagan per catturarli e tradurli negli Usa).Diego Fusaro in televisione accusa Antonio Di Pietro e i magistrati di Mani Pulite di aver fatto un colpo di Stato? Da un punto di vista linguistico, non definirei Mani Pulite un colpo di Stato, quanto piuttosto un complotto internazionale, nel senso che il golpe ha caratteristiche squisitamente politiche e personalistiche, che quella storia non ha avuto. Dietro c’erano interessi internazionali e servizi segreti: altre cose. Il colpo di Stato è il voler sostituire un regime con un altro regime. Qui non si voleva sostituire un regime politico: si voleva soltanto mandare a casa la sua dirigenza. Cosa che è stata fatta, con una serie di fattori che si sono incrociati, e una serie di persone che pensavano di poter gestire questo fenomeno e poi ne sono rimaste esse stesse vittime. Una di queste è stato Andreotti: quand’è stato fatto senatore a vita da Cossiga, insieme a Gianni Agnelli, circa sei mesi prima che esplodesse Mani Pulite, Andreotti sapeva bene cosa sarebbe scoppiato. Lo sapeva molto bene, come lo sapeva Cossiga – che guardacaso ha nominato due senatori a vita, Andreotti e Agnelli: vi sembra complicato dedurre che Giulio Andreotti e Gianni Agnelli sapessero cosa stava accadendo, e che lo sapesse anche Cossiga?
-
Nel segno di Olof Palme: le sue idee salverebbero l’Italia
Olof Palme, chi era costui? Il pubblico televisivo conosce Renzi e Grillo, Berlusconi e D’Alema, la Merkel e Draghi. Al massimo Ettore Rosato e Angelino Alfano, il senatore Razzi e il governatore De Luca, o almeno le loro caricature firmate Crozza. Chi ha meno di quarant’anni fatica a mettere a fuoco il museo delle cere: Andreotti e Craxi, Moro, Pertini, Cossiga, Berlinguer. E Olof Palme? Un signore elegante e lontano: svedese, e quindi “strano”, figlio di un’antropologia ormai remota, aliena. Visse prima di Internet, del G8 di Genova e dell’11 Settembre; prima di Facebook, dell’Isis e dell’iPhone. Che c’azzecca, con noi, quel gentleman ante-web che governò il paese dell’Ikea? Bisognerebbe chiederlo a Vincenzo Bellisario, che sta per dare alle stampe “Nel segno di Olof Palme?”, libro che rievoca il testamento democratico di un socialista d’altri tempi, assassinato a Stoccolma – mentre era premier – proprio per evitare che i suoi tempi potessero diventare anche i nostri, cioè diversissimi da quelli di oggi, in cui non si capisce più niente, né si conosce il nome di chi comanda il mondo: si vede solo il sangue che lascia a terra tra un attentato e l’altro, in una guerra permanente fatta anche di profughi e migranti, disoccupazione, crisi finanziarie e disinformazione planetaria.Dunque chi era Olof Palme? Bisognerebbe chiederlo a Gianfranco Carpeoro (Pecoraro, in una vita precedente), avvocato e autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che accusa un’élite occulta, super-massonica, di pilotare settori dell’intelligence Nato per costruire il terrore dell’Isis, dietro il paravento dell’alibi islamista. Obiettivo: manipolare l’opinione pubblica, spaventarla, imporle leggi speciali e distrarla, impedendole di individuare i veri responsabili del disastro economico e sociale in corso, accuratamente progettato da un’oligarchia paramassonica internazionale. Gioele Magaldi, amico di Carpeoro e suo sodale nel Movimento Roosevelt, nel quale milita lo stesso Bellisario, ricorda che il catastrofico 11 settembre del 2001 fu soltanto la seconda fase di un piano di svuotamento della democrazia avviato all’alba di un altro 11 settembre, quello del 1973, quando fu abbattuto il governo cileno di Salvador Allende per instaurare la dittatura di Pinochet. Troppa democrazia rischiava di frenare il grande business? Nel suo libro, Carpeoro ricorda il telegramma con cui Licio Gelli, proprio dal Sudamerica, informava un parlamentare statunitense, Philip Guarino, che anche “la palma svedese” stava per essere abbattuta.La “palma svedese” sarebbe caduta il 28 febbraio 1986, in un agguato a colpi di pistola all’uscita di un cinema nel centro di Stoccolma. «Probabilmente l’assassino di Olof Palme è ancora in vita, e nel delitto potrebbero essere coinvolti la polizia o qualche esponente dell’esercito», afferma il criminologo svedese Leif Gustav Willy Persson, che ha sempre dubitato della colpevolezza di Christer Pettersson, il criminale di strada inizialmente fermato, e poi a sua volta deceduto all’improvviso dopo aver contattato per telefono il figlio di Palme, annunciandogli di avere notizie sulla fine del padre. Si sospetta anche di un altro anomalo decesso, quello del romanziere Stieg Larsson, morto esattamente come il protagonista della sua triologia, “Millennium”, dopo aver condotto indagini riservate sul caso Palme e aver consegnato alla polizia, inutilmente, svariati scatoloni pieni di documenti. Ma chi era, quindi, Olof Palme? Un socialista, un democratico. Il massimo interprete del welfare europeo: pari opportunità per tutti, nessuno deve essere lasciato idietro. Chi paga? Lo Stato: per il bene di tutti, ricchi e poveri. Pur di evitare licenziamenti, Palme arrivò a far rilevare quote di aziende traballanti. Messaggio: il salario dei cittadini-lavoratori viene prima del profitto d’impresa, perché ne va della coesione sociale del sistema-paese.Era pericoloso, Palme? Eccome. Mai e poi mai avrebbe dato il via libera alla nascita di un mostro giuridico come l’Unione Europea, di fatto governata da poche famiglie di oligarchi, proprietari dalle grandi banche cui appartiene la stessa Bce. Olof Palme era convinto di dover «tagliare le unghie al capitalismo», frenandone gli eccessi e gli abusi partendo dal ruolo democratico dello Stato come fattore di equilibrio: proprio quello Stato che l’Ue ha letteralmente demolito e svuotato. Era famoso, Palme: denunciava l’apartheid del Sudafrica e quello di Israele, le malefatte degli Usa nell’America Latina e la dittatura “rossa” dell’Unione Sovietica. Una figura prestigiosa, scomoda. Stava addirittura per essere eletto segretario generale delle Nazioni Unite: una volta all’Onu, sarebbe stato più difficile abbatterla, la “palma svedese”. Andava tolta di mezzo prima. E non è un caso, probabilmente, che tuttora non si sappia nulla di preciso né del killer né dei mandanti, anche se Carpeoro – nel rievocare il famoso telegramma di Gelli rivolto a Guarino – fa il nome di un eminente politologo Usa, Michael Ledeen, all’epoca legato a Guarino. Secondo Carpeoro, l’onnipresente Ledeen («consigliere occulto di Craxi e Di Pietro, Renzi e Grillo») è un tipico esponente dell’élite supermassonica “reazionaria”, protagonista della storica svolta antidemocratica che ha ridotto l’Occidente al deserto attuale, quello della privatizzazione globalizzata e universale, imposta a mano armata, anche con guerre e attentati.«L’Italia è ormai arrivata ad uno stato di coma profondo ed ovviamente irreversibile per almeno una persona su due», scrive Vincenzo Bellisario nell’introduzione al suo volume su Olof Palme, di prossima uscita per le Edizioni Sì (140 pagine, 11 euro). «E se continua su questa strada non c’è alcuna speranza: non c’è un modo per venirne fuori, al momento, considerando gli attuali trattati Ue e l’euro». Ragiona Bellisario: «Le persone ancora “salve” in questo paese sono coloro che hanno avuto la fortuna di essere nati e cresciuti all’interno di famiglie benestanti che gli hanno permesso di studiare con “calma”», magari per poi ottenere “la spinta giusta”. Gli altri che si sono “salvati”? Sono quelli «che hanno avuto la “fortuna” di essere stati assunti anni fa con i cosiddetti “contratti vecchi”», e quelli che sono andati in pensione «ad un’età giusta e con una pensione dignitosa». Per tutti gli altri, oggi, non c’è più storia: «Sono spacciati». Parole che ricordano quelle rievocate dallo stesso Carpeoro, autore di una prefazione al volume: «Oggi è morta la speranza», disse l’avvocato, all’indomani dell’assassinio di Palme in un’assise culturale di area liberal-socialista. Lo corressero: non è vero, possono morire i grandi uomini ma non le loro idee. E’ per questo che all’inizio del 2018, a Milano, Carpeoro sarà tra i promotori di un singolare convegno internazionale del Movimento Roosevelt sulla figura del compianto statista svedese. Se da qualche parte bisogna pur ripartire, per rimettere in piedi la nostra disastrata democrazia, sarebbe un onore ricominciare proprio da Olof Palme: una bandiera da tenere alta, nell’Europa degli oligarchi e degli orchi che ammazzano i paladini della giustizia sociale.Olof Palme, chi era costui? Il pubblico televisivo conosce Renzi e Grillo, Berlusconi e D’Alema, la Merkel e Draghi. Al massimo Ettore Rosato e Angelino Alfano, il senatore Razzi e il governatore De Luca (o almeno le loro caricature firmate Crozza). Chi ha meno di quarant’anni fatica a mettere a fuoco il museo delle cere: Andreotti e Craxi, Moro, Pertini, Cossiga, Berlinguer. E Olof Palme? Un signore elegante e lontano: svedese, e quindi “strano”, figlio di un’antropologia ormai remota, aliena. Visse prima di Internet, del G8 di Genova e dell’11 Settembre; prima di Facebook, dell’Isis e dell’iPhone. Che c’azzecca, con noi, quel gentleman ante-web che governò il paese dell’Ikea? Bisognerebbe chiederlo a Vincenzo Bellisario, che sta per dare alle stampe “Nel segno di Olof Palme?”, libro che rievoca il testamento democratico di un socialista d’altri tempi, assassinato a Stoccolma – mentre era premier – proprio per evitare che i suoi tempi potessero diventare anche i nostri, cioè diversissimi da quelli di oggi, in cui non si capisce più niente, né si conosce il nome di chi comanda il mondo: si vede solo il sangue che lascia a terra tra un attentato e l’altro, in una guerra permanente fatta anche di profughi e migranti, disoccupazione, crisi finanziarie e disinformazione planetaria.