Archivio del Tag ‘Giulietto Chiesa’
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Jekyll Island: il golpe dei banchieri che crearono la Fed
Jekyll Island, 1910, ovvero l’isola dei pirati di lusso. Un gruppo di banchieri e politici sbarca nell’isola di Jekyll (Georgia) dopo un viaggio segreto in treno. Provengono dalla stazione di Hoboken, nel New Jersey, dove i giornalisti li avevano appena intravisti. Se li erano lasciati sfuggire, costernati, ma non potevano sapere che la “delegazione” era svicolata con un vagone ermeticamente chiuso, tendine abbassate, per una destinazione sconosciuta. Il senatore Nelson Aldrich guida la delegazione, in qualità di capo della Commissione Monetaria Nazionale. Tre anni prima, c’era stato un panico tragico per la crisi finanziaria e nel 1908, il presidente Theodor Roosevelt aveva creato una Commissione per stabilizzare il sistema monetario nella federazione, e Aldrich aveva condotto i membri della Commissione per una tournée in Europa di due anni: costo, 300.000 dollari dell’epoca, naturalmente a spese del contribuente americano. Dopo tanto tempo, nel 1910, Aldrich non aveva né redatto il rendiconto del viaggio né – meno che mai – abbozzato la riforma bancaria.Alla stazione di Hoboken, Aldrich era accompagnato da suo segretario particolare, Shelton, dal Segretario aggiunto al tesoro, Piatt Andrew, dal presidente della National City Bank, Frank Vanderlip, dall’associato della J.P Morgan, Henry Davison, dal presidente della First National Bank, Charles Norton, da un altro rappresentante della J.P. Morgan, Benjamin Strong, e da Paul Warburg, della banca Kuhn, Loeb &Co. di New York. Si imbarcarono su una vedetta misteriosa, diretta a Jekyll Island, e non tutti sapevano la portata né la durata del soggiorno laggiù. Il senatore Aldrich aveva confidato solo a Henry, Frank, Paul e Piatt che la delegazione sarebbe rimasta in clausura nell’isola sino a quando non avesse elaborato un sistema monetario “scientifico” per gli Stati Uniti.Il Club di Jekyll lsland lavorerà per due settimane. Nell’isola è già rappresentato un sesto dell’intera ricchezza mondiale. Non è gente che si accontenta. Ha bisogno di assicurarsi l’eternizzazione dell’immenso potere finanziario e politico acquisito. Vedremo in un prossimo articolo il percorso che farà il lavoro da cospiratori, sino al fatidico dicembre 1913, durante il primo anno del presidente Woodrow Wilson. Sono dunque passati cento anni dalla nascita del Federal reserve system, che non è né federale, né riserva, ma semplicemente un potere di alcuni oligarchi di creare moneta e credito per il proprio profitto.(Agostino Alciator, “Fed, centenario di un colpo di Stato”, da “Megachip” del 1° gennaio 2014. Già diplomatico, console italiano in Francia, Alciator è responsabile esteri di “Alternativa”, laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa).Jekyll Island, 1910, ovvero l’isola dei pirati di lusso. Un gruppo di banchieri e politici sbarca nell’isola di Jekyll (Georgia) dopo un viaggio segreto in treno. Provengono dalla stazione di Hoboken, nel New Jersey, dove i giornalisti li avevano appena intravisti. Se li erano lasciati sfuggire, costernati, ma non potevano sapere che la “delegazione” era svicolata con un vagone ermeticamente chiuso, tendine abbassate, per una destinazione sconosciuta. Il senatore Nelson Aldrich guida la delegazione, in qualità di capo della Commissione Monetaria Nazionale. Tre anni prima, c’era stato un panico tragico per la crisi finanziaria e nel 1908, il presidente Theodor Roosevelt aveva creato una Commissione per stabilizzare il sistema monetario nella federazione, e Aldrich aveva condotto i membri della Commissione per una tournée in Europa di due anni: costo, 300.000 dollari dell’epoca, naturalmente a spese del contribuente americano. Dopo tanto tempo, nel 1910, Aldrich non aveva né redatto il rendiconto del viaggio né – meno che mai – abbozzato la riforma bancaria.
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Flores d’Arcais: a Bruxelles, Tsipras meglio di Grillo
«C’è una strettissima convergenza di interessi fra l’establishment delle istituzioni europee e l’establishment italiano rappresentato da Napolitano e da Letta, ma se la gigantesca opposizione che c’è nel paese trovasse modo di avere anche una sua rappresentanza politica parlamentare la situazione cambierebbe radicalmente». Paolo Flores d’Arcais accetta la scommessa di Barbara Spinelli e punta sul greco Tsipras per costruire un’alternativa europea: dire “no” a Bruxelles significa anche riuscire a mobilitare la “sinistra sommersa” e l’opinione pubblica italiana, quella che gonfia i movimenti e vince i referendum, ma poi alle elezioni non ha chances, diserta le urne o si rassegna a votare “5 Stelle”, cioè l’autocrate Grillo e l’oscuro Casaleggio. Attenzione: il M5S «entrerà in crisi, in due o tre anni». Si tratta quindi di ereditarne le virtù «ma non i suoi gravissimi vizi». Vietato sbagliare, o si spalancherà «lo spazio per una proposta eversiva di destra». La Grecia insegna: «Se non ci fosse Syriza potrebbe dilagare Alba Dorata».Intervistato – come la Spinelli – dal quotidiano ellenico “Avgì” (aurora), il direttore di “Micromega” traccia un’analisi impietosa dell’attuale offerta politica italiana: dilaga la disaffezione perché la casta nazionale si limita ad eseguire i diktat di quella di Bruxelles “suicidando” il paese, ma milioni di italiani – pure attivissimi nei movimenti – non hanno nessuna vera possibilità di rappresentazione, al di fuori del M5S. «L’unica forza di opposizione oggi presente in Parlamento è il “Movimento 5 Stelle” di Beppe Grillo, una grande forza politica di massa (rappresenta grossomodo il 25% dei votanti) ma strutturata in modo debolissimo e soprattutto con un gruppo dirigente fatto di due persone, Beppe Grillo e un personaggio molto inquietante, che si chiama Casaleggio. Il M5S ondeggia perciò a seconda degli umori di questi due capi. Insomma, la vera forza di Letta è la debolezza dell’opposizione». Il governo? «E’ debolissimo nel paese perché inviso alla schiacciante maggioranza dei cittadini». E inoltre Matteo Renzi, «personaggio di destra “alla Blair”», non ha intenzione di appoggiarlo a lungo.Il realtà quello che conta «non è il governo Letta ma il governo Napolitano», dato che l’uomo del Colle «si comporta come un vero e proprio sovrano, attribuendosi poteri che la Costituzione non gli dà». A livello politico organizzato, «la sinistra non esiste», e «da molti anni». La sinistra «esiste invece nella società civile: e la distanza tra una sinistra sempre meno esistente nella politica ufficiale e una sinistra sempre più forte nella società civile continua ad aumentare». Primo problema, il Pd: «Non è più di sinistra», dai tempi di D’Alema e Veltroni, «che hanno realizzato una vera mutazione antropologica del partito, rendendolo parte dell’establishment». Sel e gli altri piccoli partiti? «Non contano più nulla». Ammesso che Sel riesca a superare lo sbarramento del 4%, «il suo leader Vendola sempre di più si trova implicato in inchieste che ormai stanno distruggendo la sua reputazione». Oltre a Sel, il buio: «Rifondazione, i Verdi e gli altri gruppi politici non rappresentano nulla: se non si capisce questo non si capisce la situazione italiana».Per contro, questa “sinistra sommersa” negli ultimi quindici anni è diventata una sinistra di piazza, ricorda Flores d’Arcais. Nel 2002, coi “girotondi”, Nanni Moretti riuscì a portare in piazza San Giovanni a Roma un milione di persone, catalizzando «una voglia di autoorganizzazione che era gigantesca», fino al “popolo viola” e oltre, per arrivare ai referendum del 2011 sul nucleare e sull’acqua pubblica. Ma il problema è che «questa opposizione civile e sociale non ha rappresentanza politica: i suoi militanti si sentono cittadini orfani di rappresentanza». E’ quella che Giulietto Chiesa e i suo movimento, “Alternativa”, chiamano «la voragine dei non-rappresentati», ricordando che alle ultime politiche, quelle del “boom” di Grillo, un italiano su due ha comunque disertato le urne. Elettori mobilitabili da ideali forti, riassumibili nello slogan “giustizia e libertà”? «Nanni Moretti pensava che l’area dell’attuale Pd fosse ancora recuperabile e lo crede anche ora appoggiandolo. Non abbiamo avuto il coraggio di dare un seguito organizzato ai girotondi», ammette Flores d’Arcais, citando anche il caso della Fiom, a cui molti movimenti chiedevano che il sindacato “rosso” mettesse in campo «obiettivi politici molto più espliciti, dicendo che i nemici della Costituzione oggi non sono solo le destre ma anche Letta, il Pd e il presidente Napolitano». In questo caso, l’ultima manifestazione per la difesa della Costituzione «sarebbe stata gigantesca con effetto di mobilitazione straordinario, e oggi non avremmo movimenti sociali ambigui come il movimento dei Forconi».Le europee – maggio 2014 – sembrano davvero l’ultima occasione. Se fossero elezioni nazionali, Flores d’Arcais voterebbe Grillo, «perché non ci sarebbe spazio reale per una lista nuova di “Giustizia e Libertà”». Trattandosi invece di Bruxelles, forse c’è spazio per un’alternativa, dal momento che «con la nuova legge elettorale si può presentare un candidato alla presidenza europea». L’unica carta giocabile è quella del leader greco Alexis Tsipras: «C’è oggi una sola forza politica di sinistra in Europa e si chiama Syriza (negli altri paesi o non sono di sinistra o non sono “forze”). Per questo pensiamo che una lista rigorosamente della società civile con Tsipras potrebbe avere un buon risultato». In Italia, «solo una lista che raccolga esperienze e movimenti della società civile può evitare l’ennesimo fallimento minoritario», a patto che questa lista resti lontana dalle vecchie sigle perdenti: chi si allea con l’ex “sinistra arcobaleno” – Ingroia docet – è condannato a veder dimezzati i propri voti.«Una qualsiasi lista che, poniamo, potenzialmente avesse il 10% dei voti, se si allea anche con Rifondazione o i Verdi o i Comunisti Italiani prenderebbe il 5%», dice Flores d’Arcais. «Una lista autonoma che avesse potenzialmente il 5% dei voti, se si allea con Rifondazione e gli altri prenderebbe il 2%», perché «invece di produrre una somma», oggi «allearsi con uno qualsiasi di questi partitini produce una sottrazione». Poi servono innanzitutto cervelli: quante delle personalità che hanno animato lotte e movimenti sono convinte della necessità di una lista nuova, autonoma? Quanti personaggi pubblici, invece, si illudono ancora che si possa trasformare il Pd dall’interno o recuperare Sel o replicare l’esperienza della lista-Ingroia? «Bisognerà perciò verificare se almeno un centinaio di persone eminenti nei vari campi – scrittori, filosofi, sociologi, scienziati, personalità del cinema e della musica – condividano la nostra ipotesi». Se l’adesione sarà forte, servirà il terzo passo: verificare la disponibilità dei movimenti, per poi promuovere la nascita, a tappeto, di club di sostegno completamente indipendenti. «Per andare al Parlamento Europeo dovremo superare il 4%. Se questa lista prende un risultato intorno al 5% non avrà futuro, sarà una manifestazione di testimonianza». Per Flores d’Arcais, la soglia-verità è quella del 10%.«C’è una strettissima convergenza di interessi fra l’establishment delle istituzioni europee e l’establishment italiano rappresentato da Napolitano e da Letta, ma se la gigantesca opposizione che c’è nel paese trovasse modo di avere anche una sua rappresentanza politica parlamentare la situazione cambierebbe radicalmente». Paolo Flores d’Arcais accetta la scommessa di Barbara Spinelli e punta sul greco Tsipras per costruire un’alternativa europea: dire “no” a Bruxelles significa anche riuscire a mobilitare la “sinistra sommersa” e l’opinione pubblica italiana, quella che gonfia i movimenti e vince i referendum, ma poi alle elezioni non ha chances, diserta le urne o si rassegna a votare “5 Stelle”, cioè l’autocrate Grillo e l’oscuro Casaleggio. Attenzione: il M5S «entrerà in crisi, in due o tre anni». Si tratta quindi di ereditarne le virtù «ma non i suoi gravissimi vizi». Vietato sbagliare, o si spalancherà «lo spazio per una proposta eversiva di destra». La Grecia insegna: «Se non ci fosse Syriza potrebbe dilagare Alba Dorata».
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Srm, scudo solare chimico: l’alibi per la guerra climatica
«Se partiamo dal presupposto che nel 2025 la nostra strategia di sicurezza nazionale includerà la modificazione del clima, il suo uso nella nostra strategia militare nazionale sarà la naturale conseguenza». Modificare il clima: era l’orizzonte a cui già nel lontano 1996 puntava la Air University, una dépendance dell’aviazione Usa con sede nella base aerea di Maxwell, in Alabama. A quanto pare, avvertono Giulietto Chiesa e Paolo De Santis citando fonti delle Nazioni Unite, la “conquista” del clima è già cominciata: per l’Ipcc, il panel scientifico dell’Onu sul clima, la creazione di uno “scudo termico” per proteggere la Terra dall’irraggiamento del sole sarebbe l’unica possibilità di scongiurare la catastrofe del surriscaldamento globale. Lavori già in corso da tempo? «Nessuno di noi ne deve sapere nulla, perché evidentemente la missione è stata interamente delegata ai militari». E mentre i “debunker” tentano di ridicolizzare chi parla di “scie chimiche”, il Palazzo di Vetro squarcia un velo sulle nuove frontiere della geo-ingegneria. E ammette: nessuno è in grado di valutarne gli “effetti collaterali” sul pianeta.
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Ieri il nazismo, oggi il caos che prepara la mattanza
Mi è capitato di ricevere in regalo, tra il Natale e i fuochi d’artificio di fine anno, due libri, che subito consiglio di leggere: “Come si diventa nazisti”, di William Sheridan Allen (introduzione di Luciano Gallino), Feltrinelli, e “La famiglia Karnowski”, di Israel Singer, Adelphi. Ho finito il secondo, che è un grande, grandissimo romanzo, e sto leggendo il primo. Entrambi quasi freneticamente. Diciamo che sono entrato nel 2014 sotto l’impressione fortissima provocatami da queste letture. Un caso? Naturalmente è un caso. Ma la nostra vita è piena di “casi”, di coincidenze che, a guardare bene, qualche cosa significano; che sono il prodotto di “atmosfere” magari impalpabili, ma che muovono i nostri gesti, aprono e chiudono i cassetti delle nostre emozioni, qualche volta richiamando ricordi, altre suggerendo attese premonizioni, o confermandole; che ci collegano a emozioni di altri, che circolano nell’aria e si trasmettono più sottilmente dei bacilli del raffreddore.Chissà perché due persone diverse, l’una indipendentemente dall’altra, hanno sentito il bisogno, o il gusto, di indirizzare i miei pensieri in una certa direzione. Proprio adesso. E chissà perché, questa volta – di nuovo “per caso”? – ho deciso di leggere subito l’uno e l’altro di questi due regali. Un titolo (e l’autore della presentazione) del primo può spiegare il mio interesse contingente. Ma il secondo è nato dalla mia ignoranza (avevo confuso Israel Singer con suo fratello Isaac Singer, il secondo essendo un premio Nobel per la letteratura, scrittore tra i miei primi preferiti). Eppure quest’ultimo mi ha portato sulla stessa carreggiata dell’altro, dove non pensavo di passare. L’impressione, l’emozione, sono evidentemente collegate al presente e al prossimo futuro. Ma le due “storie” si riferiscono entrambe all’intervallo tra le due guerre mondiali, e ai luoghi (la Germania, l’Austria, la Polonia, la Galizia, la Russia) in cui la seconda guerra mondiale si preparò senza che quasi nessuno – tra le vittime, intendo dire – se ne accorgesse.William Sheridan Allen racconta, con una inchiesta fittissima di dati, come una comunità pacifica, sostanzialmente democratica, attraversata da una crisi economica e sociale, e – evidentemente – morale, si trasforma in pochi anni in un piccolo, feroce esercito di fanatici, di assassini e di complici di assassini. Israel Singer racconta, in forma di romanzo, la saga della famiglia Karnowski, il cui capostipite, David, emigra a Berlino da una microscopica comunità di ebrei polacchi, attraversando una delle frontiere su cui, non molti anni dopo, si massacreranno milioni, e facendo vivere a se stesso, a suo figlio Georg, e al suo nipote Jegor, la tremenda esperienza della persecuzione nazista. Non voglio qui raccontare nulla di queste ricostruzioni, una letteraria, l’altra storiografica: non è questo l’intento, e la sede. Del libro di Israel Singer voglio qui sottolineare soltanto la profondità – e l’umanità, inevitabilmente, a tratti, feroce – dell’analisi della stratificazione delle comunità ebraiche che s’incrociano nella Berlino tra le due guerre. Delle loro miserie e viltà reciproche, come del coraggio e della vitalità insopprimibile con cui si difesero, o semplicemente soffrirono e subirono.Sullo sfondo, senza che mai appaia la parola “nazismo”, si scorge il prima lento e poi impetuoso muoversi dei “giovanotti con gli stivali” che arriveranno al potere. Il tutto con la connivenza corale di presunti “ariani” di ogni classe. Una tragedia che avviene, matura, prima impercettibilmente, poi con la forza di un torrente in piena che tutto travolge. “Resistibile” – come la chiamò Bertolt Brecht – lo sarebbe stata soltanto se coloro che la subirono, o l’appoggiarono, si fossero accorti dove avrebbe portato. La famiglia ebraica dei Karnowski precipita nello stesso gorgo che gli abitanti della piccola città dell’Hannover (tutti, senza eccezione: commercianti, impiegati, operai, padroni) stavano contribuendo a creare. Hitler arriva al potere con il consenso delle masse, trasformatesi in una micidiale miscela esplosiva. Qui si affaccia l’analogia con il nostro presente. L’Europa, di cui ci apprestiamo a eleggere quest’anno il nuovo Parlamento, è attraversata da una crisi che ne mette in discussione le fondamenta. Umori analoghi a quelli di allora, non identici, serpeggiano a tutti i livelli. Non ci sono “giovanotti con gli stivali” che marciano delle strade, ma ci sono – in uffici senza rumori – signori in giacca e cravatta la cui ferocia, già ampiamente dimostrata, è gelidamente, religiosamente superiore a quella dei faraoni. Non solo non c’è giustizia: non c’è ragionevolezza, non c’è visione. C’è, si vede, basta guardare bene in mezzo alla nebbia del mainstream, il caos che prepara una mattanza.Leggendo questi due libri ho avvertito la sensazione di trovarmi su un piano inclinato, che sta accentuando la sua pendenza. 1929: aggiungi dieci anni e avrai il 1939. 2008: aggiungi dieci anni e otterrai 2018. So bene che le analogie sono spesso cattivi indicatori. So bene che i ricorsi storici non esistono, com’è vero che l’umanità non si può mai bagnare due volte nella stessa acqua. La questione, ora, è che potrebbe non esserci più acqua. Ma basta guardare due dati: quello del riscaldamento climatico in atto e quello della produzione “infinita” di denaro, cioè di debito, per capire che la crisi del 1929 fu un esercizio di bella calligrafia rispetto a quello che si avvicina a passi da gigante: scarabocchio mostruoso che minaccia qualcosa di inimmaginabile.(Giulietto Chiesa, “Segnali di ricorsi storici?”, da “Il Fatto Quotidiano” del 7 gennaio 2013).Mi è capitato di ricevere in regalo, tra il Natale e i fuochi d’artificio di fine anno, due libri, che subito consiglio di leggere: “Come si diventa nazisti”, di William Sheridan Allen (introduzione di Luciano Gallino), Feltrinelli, e “La famiglia Karnowski”, di Israel Singer, Adelphi. Ho finito il secondo, che è un grande, grandissimo romanzo, e sto leggendo il primo. Entrambi quasi freneticamente. Diciamo che sono entrato nel 2014 sotto l’impressione fortissima provocatami da queste letture. Un caso? Naturalmente è un caso. Ma la nostra vita è piena di “casi”, di coincidenze che, a guardare bene, qualche cosa significano; che sono il prodotto di “atmosfere” magari impalpabili, ma che muovono i nostri gesti, aprono e chiudono i cassetti delle nostre emozioni, qualche volta richiamando ricordi, altre suggerendo attese premonizioni, o confermandole; che ci collegano a emozioni di altri, che circolano nell’aria e si trasmettono più sottilmente dei bacilli del raffreddore.
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Giulietto Chiesa: con Tsipras, contro questa infame Ue
Ok a una una lista civica italiana per candidare il capo di Syriza, Alexis Tsipras, alla guida della Commissione Europea: la proposta di Barbara Spinelli, intervistata dal giornale greco “Avgì”, ci permette di «andare alle elezioni del prossimo maggio meno disarmati», sostiene Giulietto Chiesa. Tsipras sarà alla guida di una coalizione “di sinistra”, e nello stesso tempo «alla testa di un partito che potrebbe aspirare al governo della Grecia martoriata dalla violenza neo-liberista». Attenzione, Tsipras è anche «un simbolo della resistenza europea contro le politiche di austerità imposte dalla Trojka». Ha ragione la Spinelli: «In questo momento non c’è candidato migliore e meglio rappresentativo delle istanze popolari e democratiche europee», mentre la politica italiana offre lo sconfortante spettacolo delle “larghe intese”, promosse da un presidente come Napolitano che «è uscito ripetutamente dalle sue prerogative costituzionali», perseguendo un disegno di sostanziale obbedienza ai diktat di Bruxelles, con risultati catastrofici: economia ko, Italia costretta a svendere tutto.Per Giulietto Chiesa, fondatore del laboratorio politico “Alternativa”, Barbara Spinelli coglie nel segno anche quando avverte che i «vecchi partiti della sinistra radicale» non dovranno essere l’architrave della proposta-Tsipras, perché «abbiamo bisogno di qualcosa di più grande, qualcosa per scuotere la coscienza della società», superando i margini molto esigui dei rottami della sinistra “arcobaleno”. Se il Partito della Sinistra Europea ha lanciato anch’esso, nel suo congresso costitutivo di Madrid, la candidatura Tsipras, al di là delle migliori intenzioni – secondo Chiesa – il perimetro storico della sinistra rischia di essere un limite invalicabile, un vicolo cieco. Ne è convinto anche il direttore di “Micromega”, Paolo Flores D’Arcais: «La parola sinistra rischia di essere equivoca, oggi: paradossalmente, non usarla è meno equivoco che usarla», dal momento che “sinistra”, per molti, è ormai in contrapposizione con gli ideali di giustizia e libertà.La parola “sinistra” ricorda l’esperienza fallitmentare del socialismo reale, nonché «la catastrofe politica e ideale che ha seguito la sparizione del Pci». E richiama alla mente «i partitini che si definiscono neocomunisti e che sono una parodia», non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa. Rimettere in piedi qualcosa a tutti i costi, ripartendo sempre da quel disastro storico, per Aldo Giannuli ha tutta l’aria di un «accanimento terapeutico». Insistere con l’idea della “ricostruzione della sinistra”, aggiunge Giulietto Chiesa, significa anche restare fuori dalla realtà, prigionieri della logica degli steccati. E oltretutto «taglia fuori, in linea di partenza, ogni rapporto con gli otto milioni di elettori del “Movimento 5 Stelle”», cioè «l’unico insediamento istituzionale di una opposizione in Italia». Vero, il movimento diretto da Grillo e Casaleggio resta refrattario a qualsuasi alleanza. Ma perché «tagliarlo fuori dal dialogo che potrebbe condurre ad una lista civica nazionale come quella che noi proponiamo»?A differenza della sinistra in Italia, in Grecia Syriza è una forza politica in forte ascesa. Valide alcune istanze del Partito della Sinistra Europa, così come del “Movimento 5 Stelle”, ma la forma-partito «è un evidente ostacolo a ogni convergenza, ed è dunque prodromo di sconfitta». Barbara Spinelli propone un’alleanza civica «di cittadini attivi, di persone della società civile», disposti a mobilitarsi per Tsipras. «La strada è quella dei contenuti», continua Chiesa. «Se si sceglie Tsipras come candidato comune, sarà necessario fare riferimento alla sua intelligenza politica e alle sue posizioni: che non sono quelle del rifiuto dell’Europa, ma che la vogliono radicalmente cambiata». Un’Europa che sia una “unione”, diversa dall’attuale “equilibrio di potenze”, basato sugli egoismi nazionali, che si è trasformato nel dominio dei più forti sui deboli, senza meccanismi di riequilibrio economico e sociale.Giulietto Chiesa scende nei dettagli: serve un’Europa democratica e solidale, pacifica e non imperiale. Un’Europa «che cancelli i trattati di Maastricht e di Lisbona, fino al Fiscal Compact e a quel mostro intollerabile che è la costituzione, in corso, di Eurogendfor», la temuta super-gendarmeria europea (sostanzialmente antisommossa) non sottoposta a nessuna magistratura. Serve un’Europa non più ostile, «con una banca centrale interamente pubblica, i cui soci sono le banche centrali interamente pubbliche dei paesi membri». Una nuova Bce, che sia «prestatore in ultima istanza» e «abbandoni la linea dell’austerità». E infine «un’Europa che svolga un ruolo autonomo e sovrano nel contesto internazionale, interlocutrice non più subalterna degli Stati Uniti, propugnatrice di una partnership strategica con la Russia». Questo è Tsipras, «e con questo noi siamo in perfetta sintonia». Ma, aggiunge Chiesa, «occorre verificare chi, in Italia, lo è. E trovare un punto di convergenza che sia comprensibile per le grandi masse popolari di questo paese».Attenzione: l’interlocutore potenziale è costituito da milioni di elettori, a una condizione: «Questo programma non lo si può fare con l’illusione di trasformare il Partito Democratico. La sua dirigenza (non necessariamente i suoi elettori) non è riconducibile ai valori della Costituzione. Infatti è da lì che viene l’attacco a quei valori, impersonato dal presidente della Repubblica». Meglio dunque «riflettere seriamente», anche «per evitare di rimanere intrappolati su posizioni anti-europee che si stanno rapidamente diffondendo a partire dalle destre più o meno estreme», come dimostra l’appello del 27 dicembre, indirizzato ai “maggiordomi” italiani ed europei da parte di un gruppo di intellettuali guidati da Etienne Balibar. Un cambio di rotta per l’Europa? «Si tratta ora di vedere se e quante personalità indipendenti sono pronte ad assumersi la responsabilità di questo passo, rappresentato dalla creazione di una lista civica nazionale». I movimenti che lottano per i “beni comuni” saranno pronti a rispondere all’appello? Per Giulietto Chiesa serve «un programma sintetico, da proporre a milioni di italiani, comprensibile a tutti ed espresso in pochi punti». “Alternativa” nel propone uno, lapidario: «L’Italia non parteciperà più a nessuna azione militare fuori dai suoi confini».Ok a una una lista civica italiana per candidare il capo di Syriza, Alexis Tsipras, alla guida della Commissione Europea: la proposta di Barbara Spinelli, intervistata dal giornale greco “Avgì”, ci permette di «andare alle elezioni del prossimo maggio meno disarmati», sostiene Giulietto Chiesa. Tsipras sarà alla guida di una coalizione “di sinistra”, e nello stesso tempo «alla testa di un partito che potrebbe aspirare al governo della Grecia martoriata dalla violenza neo-liberista». Attenzione, Tsipras è anche «un simbolo della resistenza europea contro le politiche di austerità imposte dalla Trojka». Ha ragione la Spinelli: «In questo momento non c’è candidato migliore e meglio rappresentativo delle istanze popolari e democratiche europee», mentre la politica italiana offre lo sconfortante spettacolo delle “larghe intese”, promosse da un presidente come Napolitano che «è uscito ripetutamente dalle sue prerogative costituzionali», perseguendo un disegno di sostanziale obbedienza ai diktat di Bruxelles, con risultati catastrofici: economia ko, Italia costretta a svendere tutto.
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La geopolitica della menzogna: come distorcere la storia
Nel suo “Invece della catastrofe”, Giulietto Chiesa afferma senza giri di parole che la lotta di classe è stata storicamente neutralizzata: attraverso il sistema dei media, il “nemico” è riuscito a far credere agli sfruttati di essere soci del club fortuna. Così, il grande capitale ha scatenato l’offensiva finale, prendendosi tutto. «Si poteva evitare questa capitolazione, l’onta di essere assaliti alle spalle quasi senza colpo ferire?». Forse, sostiene Alberto Melotto, «a patto di riconoscere che la cognizione degli uomini, la loro capacità di discernere la realtà esterna, passa attraverso l’abbeverarsi a quella fontana generosa, multicolore e mai spenta che è la società dello spettacolo: chi controlla quei canali di immissione di contenuti fittizi può formare come morbida argilla la coscienza di interi popoli». Disinformazione e consenso attraverso i media, ovvero: la geopolitica della menzogna. E’ il tema di un saggio di Paolo Borgognone, deciso a smascherare l’inganno quotidiano su cui si basano le strategie di dominio.Nella prefazione di Giulietto Chiesa, è in primo piano la strage messa in atto alla maratona di Boston. Mostri da sbattere in prima pagina, i fratelli Dzhokar e Tamerlan Tsarnaev, ceceni, dunque islamici, “quindi” terroristi. Cronache improbabili sull’uccisione di Tamerlan, lungo strade affollate di misteriosi addetti alla sicurezza. «Già Edgar Allan Poe, nel racconto “La lettera rubata” ci diceva che spesso la verità va messa in primo piano per poterla meglio nascondere, e in questo i media americani (ed europei) sono davvero maestri», scrive Melotto su “Megachip”. «Ci troviamo di fronte a un altro tassello di quella strategia della tensione su scala planetaria, in versione “bigger than life” per restare all’idioma yankee, che predispone l’uditorio ad una supina passività, ad una studiata altalena di acquiescenza e di smodata partecipazione emotiva, fatta di paura e di aggressività». Dalla orwelliana “settimana dell’odio” siamo giunti a questo lungo, interminabile decennio post 11 Settembre, dove si induce l’essere umano a «rifugiarsi nel già pensato».Il capitolo Siria? Ci ha portati a un passo dalla guerra mondiale. E alcuni fattori, come «il tardivo orgoglio del Parlamento britannico, scottato dalla sacra alleanza Bush-Blair (“We won’t get fooled again”, cantavano gli Who)» ci hanno evitato gli scenari peggiori, ma intanto «la ruota dell’intrattenimento globale ha ripreso a girare, e non ci sarà tempo per risolvere le cause di questo e del prossimo conflitto». Borgognone smaschera «molti farisei del politicamente corretto», denunciando la disinformazione costruita nel ‘900 contro l’Urss: «L’Occidente ha demonizzato l’esperienza d’oltrecortina non soltanto per scongiurare le nefaste (a suo modo di vedere) inclinazioni verso la società degli uguali, ma anche per allontanare il pericolo di un modo di intendere l’esistente che non poteva essere “normalizzato” e ridotto agli standard di questa parte di mondo». La stampa occidentale, scrive, «non ha mai indagato le origini e i fondamenti culturali, sociali e di integrazione comunitaria della tradizione russa. Ha preferito insistere sul tema della russofobia, della slavofobia».Borgognone, impegnato da anni nel Civs (Centro iniziative verità e giustizia), analizza da vicino il caso di un quotidiano come l’Economist”, rappresentante di quell’alta borghesia atlantica che, dall’alto del suo “prestigio”, riesce a condizionare le politiche di parlamenti e di Stati sovrani. Né sorprende che sia tenero verso “Occupy Wall Street”, movimento che considera innocuo, sostanzialmente giovanilista e “liberal”. Idem per gli Indignados, dove le particelle anarco-libertarie convivono coi «bravi ragazzi di buona famiglia, che vogliono solo allargare le maglie del sistema per entrare a farne parte in pianta organica». Ma se il pubblico occidentale è totalmente indifeso di fronte ai “produttori di falsità”, le cose cambiano in Sudamerica, dove il popolo non si fida del mainstream e dispone ancora di anticorpi difensivi, contro lo strapotere delle televisioni legate alle grandi corporations. Sono proprio i cittadini del Venezuela, nel 2002, a respingere il golpe contro Hugo Chàvez, deposto per aver democratizzato l’economia nei settori-chiave dell’agricoltura, della pesca e degli idrocarburi, tradizionale appannaggio dell’élite. Mentre Bush e Aznar salutano il “ritorno della democrazia” nell’insediamento dell’industriale golpista Pedro Carmona Estanga, è proprio il popolo a gonfiare per protesta le vie di Caracas, nel nome di Chàvez, reclamando verità e giustizia fino a convincere l’esercito a rimettere in sella il presidente legittimo. Ma, mentre i cecchini sparavano sulla folla facendo 200 morti tra i manifestanti, le reti televisive trasmettevano a tambur battente cartoni animati e filmetti come “Pretty woman”.Il caso di Cuba, che occupa la parte finale del volume di Borgognone, secondo Melotto «mostra in modo ancor più evidente – e più imbarazzante per noi occidentali – quanto il racconto di parte sappia tacere, svilire, nascondere fatti che saprebbero destare, questo sì, genuino scandalo, se solo qualcuno si prendesse la pena di renderli noti». Il 6 ottobre 1976 muoiono 73 passeggeri su un volo di linea cubano, appena decollato dalle Barbados. A capo del commando terroristico, il pediatra Orlando Bosch, stretto collaboratore della Cia e leader degli anti-castristi di Miami. «E ancora, epidemie procurate ad hoc» che fecero strage di animali ed esseri umani. «Tutto questo per ripristinare un’olimpica condizione di signoraggio che aveva luogo ai tempi di Fulgenzio Batista». Dall’analisi di Borgognone esce male anche una campionessa del dissenso come Yoani Sanchez, in realtà riempita di dollari per fare propaganda contro Cuba. Molto denaro, annota Melotto: ogni mese, l’equivalente di due anni di salario cubano. E’ così che «la classe dei dissidenti va in paradiso».(Il libro: Paolo Borgognone, “La disinformazione e la formazione del consenso attraverso i media”, Zambon editore, 240 pagine, 12 euro. Volume I: “La disinformazione strategica. Caratteri peculiari del fenomeno e analisi del caso latinoamericano”).Nel suo “Invece della catastrofe”, Giulietto Chiesa afferma senza giri di parole che la lotta di classe è stata storicamente neutralizzata: attraverso il sistema dei media, il “nemico” è riuscito a far credere agli sfruttati di essere soci del club della cuccagna. Così, il grande capitale ha scatenato l’offensiva finale, prendendosi tutto. «Si poteva evitare questa capitolazione, l’onta di essere assaliti alle spalle quasi senza colpo ferire?». Forse, sostiene Alberto Melotto, «a patto di riconoscere che la cognizione degli uomini, la loro capacità di discernere la realtà esterna, passa attraverso l’abbeverarsi a quella fontana generosa, multicolore e mai spenta che è la società dello spettacolo: chi controlla quei canali di immissione di contenuti fittizi può formare come morbida argilla la coscienza di interi popoli». Disinformazione e consenso attraverso i media, ovvero: la geopolitica della menzogna. E’ il tema di un saggio di Paolo Borgognone, deciso a smascherare l’inganno quotidiano su cui si basano le strategie di dominio.
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Traditi dal sistema: ma questa è rabbia, non rivoluzione
I forconi, il vuoto e la rivoluzione. La protesta sale? Buon segno: vuol dire che «molti italiani cominciano a capire che devono difendersi», dice Giulietto Chiesa, che però aggiunge: «Molti parlano di rivoluzione, senza sapere cos’è una rivoluzione: e questo non è bene, perché poi subentra la delusione». Quella dei “forconi”? «Per ora è solo protesta: senza una guida, senza obiettivi ben definiti». Verranno «inesorabilmente» momenti successivi, che richiederanno «obiettivi comuni ben meditati». Non mancano «furbi e mestatori che già stanno pensando di usare la protesta e di stravolgerla ai loro fini e nei loro interessi»? Ovvio, perché «in politica il vuoto non esiste: qualcuno cerca sempre di riempirlo. Tutto dipende da chi ci riesce». Concorda Marco Bersani, di Attac, sempre su “Megachip”: queste istanze di ribellione sono facilmente pilotabili, proprio perché «non portano con sé alcuna intuizione di futuro diverso, ma solo la drammatica rabbia per l’insopportabilità del presente».Mentre i movimenti per i beni comuni «hanno da tempo interiorizzato il conflitto di sistema, ovvero vogliono cambiare la società e lo fanno a partire da un conflitto tematico come paradigma (acqua, grandi opere etc.)», la ribellione di questi giorni «è portata avanti dai delusi dal sistema, ovvero da coloro che hanno profondamente creduto che il modello neoliberale li avrebbe tutelati e che oggi si ritrovano la rabbia dell’essere stati abbandonati, senza l’idea che sia possibile un altro modello sociale». Detto questo, per Bersani è obbligatorio cercare di parlare al “popolo” sceso in piazza, «sia perché molti di loro sono accompagnati da una condizione sociale di vera disperazione, sia perché nell’acuirsi del binomio crisi sociale/crisi della democrazia è evidente che le esplosioni di rabbia non possano presentarsi come lineari e compiute», bensì come «moti tanto drastici quanto confusi».Per Bersani, il carattere della protesta dimostra «l’assenza di un vero pensiero rivoluzionario nella società», e ancora una volta «rischiano di gongolare i poteri finanziari: nessuna banca è stata assaltata, nessun obiettivo finanziario è stato messo in campo e si paventa la “marcia su Roma”, non su Piazza Affari». Che fare, dunque? Innanzitutto, serve «una coalizione sociale ampia fra i movimenti per i beni comuni e i diritti». Alleanza oggi ancor più necessaria, «sia perché le singole lotte hanno bisogno di una forza maggiore, sia perché pezzi di società che non reggono più (è successo in questi giorni, ma aspettiamocene altre in forme e modi che non comprendiamo) devono potersi sintonizzare con un percorso di conflitto in atto, ma che abbia il respiro largo e sappia suggerire che all’insopportabilità del presente c’è una possibile risposta collettiva».I forconi, il vuoto e la rivoluzione. La protesta sale? Buon segno: vuol dire che «molti italiani cominciano a capire che devono difendersi», dice Giulietto Chiesa, che però aggiunge: «Molti parlano di rivoluzione, senza sapere cos’è una rivoluzione: e questo non è bene, perché poi subentra la delusione». Quella dei “forconi”? «Per ora è solo protesta: senza una guida, senza obiettivi ben definiti». Verranno «inesorabilmente» momenti successivi, che richiederanno «obiettivi comuni ben meditati». Non mancano «furbi e mestatori che già stanno pensando di usare la protesta e di stravolgerla ai loro fini e nei loro interessi»? Ovvio, perché «in politica il vuoto non esiste: qualcuno cerca sempre di riempirlo. Tutto dipende da chi ci riesce». Concorda Marco Bersani, di Attac, sempre su “Megachip”: queste istanze di ribellione sono facilmente pilotabili, proprio perché «non portano con sé alcuna intuizione di futuro diverso, ma solo la drammatica rabbia per l’insopportabilità del presente».
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Giulietto Chiesa: ma il nemico è Bruxelles, non l’Europa
«Voglio un’Europa democratica e solidale, giusta e pacifica, forte abbastanza per contare nell’arena mondiale», nonché «libera da ogni alleanza militare». Problema: «Nessuno dei nemici giurati dell’Europa e dell’euro dice queste cose: e questa è la ragione principale che mi fa diffidare di loro – di tutti, siano essi di destra o di sinistra». Giulietto Chiesa avverte: questa Unione Europea è indifendibile, ma il coro che sta salendo – in vista delle decisive elezioni europee del maggio 2014 – rischia di confondere le acque, promuovendo nazionalismi isterici e pericolose xenofobie. E’ il capolavoro finale dell’euro, moneta non più a disposizione degli Stati ed emblema di un sistema oppressivo. Nel suo “Manifesto per l’Europa”, firmato da grandi economisti come Bruno Amoroso, il laboratorio politico “Alternativa” propone un deciso ritorno alla sovranità finanziaria, attraverso la conquista di un governo finalmente democratico del continente: abolire il potere della Commissione Europea, da sostituire con un esecutivo legittimo, eletto dal Parlamento Europeo. Senza questo ripristino della legalità democratica, ogni scorciatoia può diventare pericolosa.
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Ecco Iron Man, il cyber-guerriero per la fine del mondo
Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?Nessun contratto è ancora stato firmato e il Pentagono sta tuttora selezionando le idee, precisa Alessandra Baldini sul sito dell’Ansa. Ma l’obiettivo è chiarissimo: affidandosi a micro-motori, l’esoscheletro (cioè la struttura cibernetica esterna) permetterebbe al soldato di correre e saltare senza fatica, pur portandosi addosso un carico di decine di chili. Ad esempio, il modello “Exoskeleton Xos 2” prodotto dalla Raytheon può sollevare 77 chili con uno sforzo percepito dal soldato che lo indossa pari a 4,5 chili. «Almeno in teoria, questo cyber-soldato sarebbe in grado di curarsi da solo le ferite sul campo applicando tourniquet gonfiabili nel raro evento che l’indistruttibilità dell’armatura venisse violata». La super-corazza conterrebbe anche scorte di ossigeno in caso di attacco coi gas, un sistema di raffreddamento per mantenere la temperatura a livelli accettabili e una serie di sensori per trasmettere al quartier generale i segnali vitali del combattente.«Vogliono una corazza alla Iron Man: sono stati chiarissimi», ha riferito al “Los Angeles Times” Adarsh Ayar, un ingegnere di Bae Systems, uno dei colossi contattati per lavorare sul tipo di armatura chiesta dalle forze speciali. Anche il nome ufficiale del progetto è un omaggio al supereroe della Marvel: si chiama “tactical assault lihght operator suite”, o Talos, come il guerriero gigante fatto di bronzo della mitologia greca che difese, non sempre con successo, l’isola di Creta dagli invasori. Ma a preoccupare i comandanti di Iron Man sarebbero ancora i “barbari” o gli eventuali concittadini in rivolta? «Siamo di fronte a un ridimensionamento generale del mondo sviluppato», avvertiva già nel 2012 il finanziere George Soros: «La gente non capisce quello che sta succedendo, ma è paragonabile alla caduta dell’Unione Sovietica». O magari, per dirla con Giulietto Chiesa, a quella dell’Impero Romano. «Sarà una scusa per dare il giro di vite definitivo usando maniere forti per mantenere legge e ordine», disse Soros a “Newsweek”. Mantenere legge e ordine: grazie a minacciosi robocop come Iron Man?Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?
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Achtung Grillo, i nemici dell’Europa e quelli dell’Italia
Nell’Europa che ha in testa l’establishment, sintetizza Claudio Messora, «l’Italia diventa la Calabria e Helsinki la Lombardia». Ma per Eugenio Scalfari il problema non è questo, bensì Beppe Grillo: se vince, sostiene il fondatore di “Repubblica”, l’Italia «va a rotoli». Perché, ora dove sta andando? «In Grecia, a nuoto», per dirla con Giulietto Chiesa. Ma il mainstream tiene duro: in televisione, il solo Gianluigi Paragone dà fiato all’alternativa, ospitando economisti democratici e “guastatori” come Paolo Barnard, mentre la stessa Milena Gabanelli, su “Report”, continua a imputare alla sola “casta” italiana le colpe della crisi, senza “vedere” il disegno che da Bruxelles sta piegando il paese. La stessa grande paura accomuna tutti gli operatori che presidiano la comunicazione: guai se alle prossime elezioni europee – maggio 2014 – dovesse svegliarsi l’Europa, quella vera, incarnata dai popoli che si stanno ribellando alla crisi imposta dall’élite finanziaria globalizzatrice.A dare l’allarme è lo stesso Enrico Letta, uomo Bilderberg: «Se i populisti in Europa superassero una percentuale del 25% questo sarebbe molto preoccupante», dichiara il premier a “La Stampa”. «Il rischio che il Cinque Stelle risulti il primo partito alle europee è molto forte: non possiamo limitarci ad essere timidi con Grillo». Timore condiviso da un euro-oligarca come il tedesco Martin Schulz, secondo cui «la possibilità che nel prossimo Europarlamento ci sia tra un quarto e un quinto di deputati euroscettici o populisti è ormai più che probabile». Mai nessuno che si pronunci sulle cause del terremoto elettorale in arrivo. Eppure, aggiunge lo stesso Messora, basta ascoltare quello che Mario Monti (Bilderberg, Trilaterale, Goldman Sachs) ha appena detto alla Cnn: «Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale. Quindi, ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa, un’espansione della domanda». Mai stato così chiaro, Monti. «Come si distrugge la domanda interna? Alzi le tasse e svaluti i salari», dice Messora, «così la gente non ha più soldi e compra di meno».Ma non basta: lo Stato potrebbe sempre alzare la spesa a deficit, cioè investire sui cittadini, mediante politiche sociali (reddito di cittadinanza) o creando lavoro. «E allora cosa facciamo? Semplice: inventiamo il pareggio di bilancio e lo mettiamo addirittura nella Costituzione, così da rendere impossibile qualunque ripensamento. Era l’equazione che ci avrebbe matematicamente reso più poveri: se costringi la somma delle entrate e delle uscite di uno Stato ad annullarsi a vicenda, allora se punti sulle esportazioni devi per forza massacrare i portafogli». E’ quello che ha fatto Monti. Più “domanda attraverso l’Europa” significa «diventare un centro di produzione a basso costo per i ricchi paesi del nord (Germania in testa), una specie di Cina europea, così da non essere costretti a comprare dai trafficanti di diritti di Pechino, per togliere il mercato all’oriente spregiudicato». A quel punto, la strada è obbligata: tagliare i costi di produzione. «E siccome le materie prime le paghiamo sempre uguale, bisogna pagare di meno gli stipendi e diminuire i diritti (vi dice niente la battaglia per la modifica dell’articolo 18?)».E come li costringi, i lavoratori, ad accettare uno standard di vita meno dignitoso? Ci si arriva per gradi: «Li getti nella crisi più nera, svendi tutto il patrimonio di economia nazionale e permetti ai nuovi padroni di delocalizzare all’estero. Gli togli le case con Equitalia. Costringi le fabbriche a chiudere: meno offerta di lavoro uguale più domanda, cioè milioni di persone senza reddito disposte a qualunque cosa pur di avere un tozzo di pane». Il paradiso dei tedeschi, affamati di aziende da comprare in saldo e di lavoro a basso costo per il loro export. «Venire a fare shopping in Italia è come andare all’outlet nel periodo dei saldi». Per Messora, non è irrilevante il risvolto geopolitico: un’Europa germanizzata può «limitare lo strapotere commerciale dei Brics, e magari togliere potere a quella Cina che detiene la maggior parte del debito americano».Funziona così: «Prendi un paese massacrato dal debito pubblico, ricattabile, ma anche industrializzato, dunque con le possibilità e le competenze produttive per soddisfare la tua domanda, e lo trasformi in una miniera a basso costo. Un piano iniziato negli anni ’80, ai tempi di Kohl e Mitterrand». Per Messora, non è altro che «un disegno criminoso, deciso sulla testa dei popoli, senza consultarli». Una strategia complessiva che fonda tutte le sue possibilità sull’onnipotenza di una élite che domina incontrastata, attraverso il controllo della meta-finanza europea la costruzione di un’unica, enorme, sovra-nazione «dove il controllo democratico è inesistente (e dove i think-tank sostituiscono i parlamenti)». A questo progetto oligarchico, «i socialismi europei hanno venduto l’anima». Certo, resta ancora «un’opinione pubblica da condizionare, da convincere che non esistono altre strade». E allora, bisogna «monitorare le comunicazioni nei paesi euroscettici, per identificare i temi più rilevanti e per assoldare una squadra di piccoli Goebbels in grado di reagire prontamente e fare una propaganda mirata», accusando di “populismo” chi contrasta l’oligarchia dominante.E’ il tema della crociata alle porte: «Bisogna combattere i “populismi”, cioè chiunque insista nel coltivare la convinzione che le élite non abbiano un mandato divino a governare sul cielo e sulla terra (né le loro soluzioni siano le migliori a prescindere), ma la sovranità appartenga al popolo». E’ quello che fa l’anziano Scalfari, tra una cena e l’altra con Napolitano e Draghi: l’importante è demonizzare Grillo, evitando accuratamente di spiegare le ragioni del suo successo, cioè il fallimento catastrofico della resa italiana agli euro-diktat. Nella sua replica, Grillo sfotte Scalfari: mi ha paragonato, dice, agli invasori marziani evocati da Orson Welles nel 1938. «Alla bufala di Welles credettero sei milioni di persone, a Scalfari non crede neppure più De Benedetti», scrive Grillo. «E’ il tempo della panchina lunga, caro Eugenio, magari al Pincio. Tu, l’Ingegnere e Napolitano a ricordare i vecchi tempi. Quando gli elettori, il cosiddetto popolo così tanto disprezzato non contava nulla. Bei tempi quelli, ma non torneranno più». Da Palazzo Chigi, Enrico Letta strepita: «Fermiamo i nemici dell’Europa». A partire dalle prossime europee, milioni di cittadini cercheranno invece di fermare, innanzitutto, i nemici dell’Italia.Nell’Europa che ha in testa l’establishment, sintetizza Claudio Messora, «l’Italia diventa la Calabria e Helsinki la Lombardia». Ma per Eugenio Scalfari il problema non è questo, bensì Beppe Grillo: se vince, sostiene il fondatore di “Repubblica”, l’Italia «va a rotoli». Perché, ora dove sta andando? «In Grecia, a nuoto», per dirla con Giulietto Chiesa. Ma il mainstream tiene duro: in televisione, il solo Gianluigi Paragone dà fiato all’alternativa, ospitando economisti democratici e “guastatori” come Paolo Barnard, mentre la stessa Milena Gabanelli, su “Report”, continua a imputare alla sola “casta” italiana le colpe della crisi, senza “vedere” il disegno che da Bruxelles sta piegando il paese. La stessa grande paura accomuna tutti gli operatori che presidiano la comunicazione: guai se alle prossime elezioni europee – maggio 2014 – dovesse svegliarsi l’Europa, quella vera, incarnata dai popoli che si stanno ribellando alla crisi imposta dall’élite finanziaria globalizzatrice.
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Il Club di Sofia: falsa Europa, in guerra contro di noi
Quello che, per molti decenni, è stato considerato il cuore della civilizzazione europea è il modello sociale europeo. Esso viene ora demolito dall’offensiva neo-liberistica delle politiche estreme di austerità. L’istituto della famiglia come sorgente naturale di valori morali e come strumento essenziale di educazione e di socializzazione della persona umana è stato anch’esso demolito. Queste politiche minacciano l’idea stessa di Europa. L’imperativo presente è di ritornare alle radici dell’Europa unita, che nacquero già 200 anni fa, come idee di pace e di cooperazione. Come europei che credono nell’importanza dei diritti umani, noi sosteniamo l’idea di una Europa che muova verso valori sociali, democratici, pacifici e rispettosi dell’ambiente naturale, un’Europa del popoli e dei cittadini. Una tale visione dell’Europa è incompatibile con ogni forma di egemonismo, di xenofobia, di razzismo e di nazismo.Ora la competizione, che è stata la macchina dello sviluppo degli ultimi tre secoli, sta diventando la macchina che produce la guerra. Ciò è l’effetto dei limiti dello sviluppo, nel frattempo emersi, e della fine dell’“era dell’abbondanza”. Ciò si sta verificando in condizioni di profonda e generale disuguaglianza: nel campo della potenza militare; nel campo delle tecnologie; nel campo del consumo e dei redditi; nel campo del denaro; nel campo delle risorse, nel campo delle istituzioni. Se questi vincoli noi li mettiamo assieme alla vecchia idea della competizione è ovvio che il mondo sarà fatalmente spinto verso l’uso della forza. È ciò cui stiamo assistendo: coloro che sono più forti saranno spinti dalla circostanze a usare la loro forza. Lo faranno. Lo hanno già fatto. Lo stanno facendo ora in Siria. Chi sarà il prossimo della lista?Il contesto globale è orientato verso la falsa idea della società di consumatori. Noi riteniamo che muoversi in questa direzione significhi promuovere una successione di conflitti, sia globali, sia regionali – che condurranno il mondo intero in un vicolo cieco, in fondo al quale c’è la catastrofe di una nuova guerra mondiale. Una tale guerra sarà simile a quella che il mondo conobbe 100 anni orsono, ma ingigantita dall’esistenza di armi nucleari e di altro genere, dotate di un potere tremendamente distruttivo. I pericoli di guerra stanno aumentando. Molti segnali sono già visibili, ma molti preferiscono non vederli. Il collasso di una civilizzazione moderna basata sul consumo è inevitabile. Non è questione di buona o cattiva volontà. Il fatto è che la crisi mondiale si va estendendo sia in termini di complessità, e di dimensione, sia in termini di profondità, e non vi è chi abbia una soluzione in vista: non gli Stati, non la scienza del XX secolo, non le differenti culture e religioni.Siamo in presenza di una tremenda carenza di comprensione proprio della complessità della crisi. Essa non si riduce a una semplice somma di fattori, come la crisi finanziaria, quella dei cambiamenti climatici, quella dell’energia, dell’acqua, della disoccupazione, della crescita demografica, degli ecosistemi violati, della diversità biologica compromessa. Inoltre noi non siamo di fronte a una crisi lineare. Al contrario noi vediamo i rischi di una catastrofe senza precedenti che richiede, prima di tutto, di essere compresa e, insieme, controllata. Stiamo già assistendo a un accelerato percorso verso una catena di collassi interconnessi tra di loro e che possono demolire i pilastri portanti della civilizzazione umana. Noi riteniamo che soltanto una Nuova Europa Unita possa essere uno dei pilastri di una coesistenza pacifica multipolare nel XXI secolo.È un’Europa multiculturale che si adopera per gettare un ponte tra il Nord e il Sud, specialmente nell’area mediterranea. Un’Europa che venisse concepita come una fortezza dovrebbe affrontare non solo una ma molte Lampedusa tutto attorno ai suoi confini e perfino all’interno di essi. Noi siamo contro ogni tentativo di costruire un nuovo “Muro di Berlino” nella forma di “arco Mar Baltico-Mar Nero-Mar Caspio”, utilizzando i partner orientali dell’Unione Europea. La Russia – nonostante le differenze tra regimi politici – è già sotto molti profili interconnessa con l’Europa ed è il grande vicino che l’Unione Europea deve considerare partner affidabile. La Russia, la Turchia, l’Unione Europea e i suoi partner dell’est – Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia, Ucraina – devono considerare se stessi come componenti decisive di una indivisibile sicurezza europea. Questo sarà il contributo dell’Europa alla pace e alla sicurezza del mondo intero. Gli Stati Uniti d’America, che durante la Guerra Fredda hanno svolto il ruolo di un alleato “privilegiato e protettore” dell’Unione Europea, devono ora diventare partner con eguali diritti.Una Nuova e Unita Europa, capace di svolgere un attivo ruolo di pace, deve essere forte e autonoma nelle sue decisioni. Una Nuova e Unita Europa costruita su questi principi non ha nemici. Ciò significa che essa deve avere un proprio esercito, che dovrà essere utilizzato solo ed esclusivamente sotto l’autorizzazione delle Nazioni Unite. È giunto il tempo di abbandonare lo schema amici-nemici che fu caratteristico della Guerra Fredda. Esso è ormai il passato. La sicurezza è di ciascuno e di tutti. Ogni tentativo di costruire la sicurezza solo per noi stessi senza tenere contro di quella degli altri produrrà soltanto tensioni e conflitti. Il compito primario è dunque quello di costruire amicizie di lunga durata, cooperazioni strategiche in tutte le direzioni. Una nuova guerra globale sarebbe la fine dell’umanità e ogni piano che la preveda come possibile è un’idea folle. Noi, membri del Club di Sofia, ci impegniamo a costruire un tale approccio e a proporlo a tutti i soggetti di tutti i continenti, a trovare una via comune per la comprensione della nuova epoca che irrompe ad alta velocità nelle nostre vite e che tratteggia il destino delle future generazioni. Noi vogliamo agire non solo per il loro benessere, ma per la loro stessa sopravvivenza.(Sintesi della Dichiarazione costitutiva del “Club di Sofia”, think-tank paneuropeo costituitosi nella capitale bulgara il 26 ottobre, su iniziativa di Giulietto Chiesa, presidente del laboratorio politico “Alternativa”, con Antonio Ingroia di “Azione Civile”, il greco Panos Trigazis di “Syriza” e la lettone Tatjana Zdanoka, europarlamentare dei Verdi e co-presidente del “Partito per i diritti umani nella Lettonia Unita”. Tra i promotori anche altri parlamentari come l’ucraino Vadim Kolesnichenko, del “Partito delle Regioni”, e il deputato comunista moldavo Zurab Todua. Completano la lista dei fondatori del “Club di Sofia” il russo Sergey Kurginyan, presidente del partito “Essenza del Tempo”, il polacco Mateusz Piskorski, direttore esecutivo dell’“European Centre of Geopolitical Analysis”, il lituano Algirdas Paleckis, del partito “Fronte Socialista del Popolo” e il bulgaro Zakhari Zakhariev, presidente della “Sklavyani Foundation” e dirigente del Partito Socialista di Bulgaria).Quello che, per molti decenni, è stato considerato il cuore della civilizzazione europea è il modello sociale europeo. Esso viene ora demolito dall’offensiva neo-liberistica delle politiche estreme di austerità. L’istituto della famiglia come sorgente naturale di valori morali e come strumento essenziale di educazione e di socializzazione della persona umana è stato anch’esso demolito. Queste politiche minacciano l’idea stessa di Europa. L’imperativo presente è di ritornare alle radici dell’Europa unita, che nacquero già 200 anni fa, come idee di pace e di cooperazione. Come europei che credono nell’importanza dei diritti umani, noi sosteniamo l’idea di una Europa che muova verso valori sociali, democratici, pacifici e rispettosi dell’ambiente naturale, un’Europa del popoli e dei cittadini. Una tale visione dell’Europa è incompatibile con ogni forma di egemonismo, di xenofobia, di razzismo e di nazismo.
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Non cittadini di Google, ma sudditi dei ricattatori Nsa
«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».L’arma del ricatto: ti controllo, so chi hai parlato, quando, e di cosa. Se l’agenda del grande alleato riparlasse di guerra, sarebbe più difficile opporsi. «Vale per Enrico Letta, vale per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, come sappiamo. Vale per Hollande, il burattino di Francia. Vale per l’ex presidente messicano Felipe Calderon e per l’attuale presidente messicano, Enrique Peña Nieto. Vale probabilmente anche per il Papa», aggiunge Chiesa, in un video-editoriale su “Megachip”. «Forse non vale per Xi-Jingping, il presidente cinese, e per il presidente russo Vladimir Putin, i quali – non essendo alleati degli Stati Uniti – hanno probabilmente pensato di tutelarsi, cioè di innalzare le misure difensive». Come scrive persino il “New York Times”, la questione non è certo quella della privacy dell’uomo della strada: «Il programma di sorveglianza ha investito la politica, il business, la diplomazia, le banche». Per prima cosa, spiano con molta attenzione le mosse dei partner. «Begli alleati, che abbiamo». Controllare il cellulare della Merkel: per proteggerla dai terroristi, come dice Obama? No: «Per ricattarla, all’occorrenza, nel caso decidesse di fare qualcosa che “non deve” decidere di fare».Non sugge nessuno: «Se Enrico Letta va a prostrarsi a Washington, pensate che lo faccia perché è un fedele seguace del dio dollaro? Forse, anche. Ma soprattutto: teme la punizione, se sgarrasse». Dunque: «Possiamo fidarci di un alleato di questo genere? Cioè di un’America che ci spia facendo i propri interessi, contro di noi?». Per questo, Chiesa insiste nel chiedere l’uscita dalla Nato: «Non è una questione ideologica, ma pratica: voglio salvare la pelle, la mia e quella dei nostri figli. E se questi signori decidono che per i loro interessi occorre fare la guerra, diranno ai loro servi – i nostri governanti – di portarci in guerra. E se non capiamo questo, noi in guerra ci andremo ancora, finché non ci lasceremo la pelle». Date un’occhiata al grande problema americano: la finanza. «Il loro debito in realtà è il nostro: tocca a noi pagarlo, attraverso la subordinazione dell’euro». Eppure, c’è ancora chi pensa che stiamo entrando nell’era della libertà digitale, in cui potremo decidere tutto premendo un pulsante sul computer e votare insieme ai cinesi e agli indiani su come si gestisce il mondo. «Non siate ingenui, il controllo di queste macchine non ce l’avete voi. Non facciamoci illusioni: non diventeremo cittadini di Google, ma della Nsa».«Scusate, di quale sovranità parliamo? Oggi sappiamo cha la National Security Agency degli Stati Uniti ci spiava, ci spia e – aggiungo – ci spierà: non penseremo mica che sia finita qui», dice Giulietto Chiesa. E la Nsa «ci spierà dall’alto della sua tecnologia, quella che qualcuno anche sul web esalta come il futuro della democrazia». Solo in Francia, racconta Snowden, 70 milioni di comunicazioni telefoniche raccolte in un mese: non certo per spiare la vita privata dei parigini. I motori di ricerca, macchine spionistiche, controllano il flusso dei meta-dati: chi ha chiamato chi, da dove è partita la telefonata, e quando. Poi interviene la selezione: qualcuno estrae dettagli specifici dalla massa delle comunicazioni. «Esempio: andiamo a vedere con chi ha parlato la signora Angela Merkel l’altro ieri». Idem per tutti gli altri “alleati”: «Con la scusa di combattere il terrorismo, hanno messo sotto controllo tutti i nostri leader politici, che io continuo a chiamare “maggiordomi”, perché – essendo tutti ricattati, e sapendo di esserlo (se non lo sanno è ancora peggio) – sono stati ben zitti».