Archivio del Tag ‘Giulietto Chiesa’
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Chiesa: divisi non si vince, spiegatelo a Grillo (e Tsipras)
«Quell’assemblea di difensori dell’ordine pubblico che applaudono altri difensori dell’ordine pubblico che hanno ucciso un ragazzo, mi ha fatto venire in mente i magistrati che accusano di terrorismo quei cittadini che difendono la democrazia, quei manager che guadagnano cifre smisurate, quei politici che sono collusi con i mafiosi, quei corrotti e corruttori che hanno espropriato i cittadini di ogni possibilità di decidere del proprio futuro, e che continuano a succhiare ricchezza senza vedere la tempesta che si avvicina. Penso che siano tutti sintomi dello sfacelo della società italiana: se ne esce soltanto con una grande riforma intellettuale e morale». Per Giulietto Chiesa, «ci vuole una forza politica nuova che riesca a vedere la profondità dell’abisso e indichi una strada». Purtroppo, però, «questa forza politica non c’è», non esiste ancora. E, naturalmente, «non si creerà da sola».Il commento di Chiesa, pubblicato sulla sua pagina Facebook, ha suscitato «una vera bufera di reazioni, opposte». Da una parte i sostenitori del Movimento 5 Stelle, secondo i quali ovviamente «la nuova forza politica già c’è e non bisogna cercarne altre», e dall’altra «quelli di sinistra, che continuano a negare ogni credibilità al M5S». A questi ultimi, Giulietto Chiesa risponde con le cifre: «Una alternativa di sinistra all’attuale regime non esiste e – io ne sono certo – non esisterà più in un futuro prevedibile». I motivi? «Moltissimi, tutti convergenti», più volte enunciati: la sinistra (elettorato) non ha “visto” la natura e le dimensioni epocali della grande crisi – economia, energia, clima, fine della crescita illimitata – mentre la nomenklatura del centrosinistra ha di fatto “eseguito” i diktat dell’élite oligarchica oggi alla guida del capitalismo finanziario globalizzato.Un’illusione, però, anche quella di chi (come molti grillini) coltiva la speranza di cambiare l’Italia col 25% dei voti. «Enrico Berlinguer – che si rivolgeva, si badi bene, al più forte partito comunista dell’Occidente – dopo i fatti del Cile del 1973, quando Salvador Allende fu rovesciato e ucciso da un colpo di Stato organizzato dalla Cia, disse che non si poteva cambiare il paese nemmeno con il 51%. Perché lo disse? Perché sapeva che il nemico sarebbe uscito dal terreno democratico e avrebbe rovesciato il tavolo e la legalità. Aveva ragione. Infatti avvenne proprio così. Adesso è la stessa, identica situazione». In ogni caso, è sbagliato sottovalutare il potenziale democratico espresso dal movimento di Grillo: «Il M5S è una realtà nuova, di grande importanza», sottolinea Chiesa. «Per quanto mi riguarda l’ho sostenuta in tre consultazioni elettorali (in Sicilia nel 2012, alle elezioni politiche del 2013, ora nel 2014)». Una forza “amica”, dunque, che però «da sola, non potrà cambiare il paese».Ennesima occasione perduta, la campagna elettorale per le europee: «Il non avere tentato una convergenza sulla candidatura di Tsipras è stato un errore grave». Errore che peraltro la stessa Lista Tsipras «ha commesso, alla rovescia, rifiutando pregiudizialmente ogni contatto con il M5S». Chi ci rimette? «Milioni di italiani», cioè quelli che «vogliono cambiare radicalmente il paese, e che non sono né di sinistra, né del M5S». E’ a loro che Giulietto Chiesa pensa, quando parla di «una grande alleanza democratica e di pace e di pulizia, un’alleanza per la salvezza nazionale». Che fare? «Bisogna che tutti, sia il M5S, sia le sinistre (non parlo del Pd, che sinistra non è più), siano capaci di mettersi assieme per formulare un programma di governo, e una lista di governo». Una grande riforma intellettuale e morale «richiede molte forze ideali e componenti che non sono racchiudibili dentro gli attuali schieramenti». C’è bisogno di tutti, purché fuori dalla “casta”, quella dei partiti “maggiordomi” dei poteri forti: prima lo si capisce, e prima avremo concrete possibilità di fermare i diktat dell’oligarchia.«Quell’assemblea di difensori dell’ordine pubblico che applaudono altri difensori dell’ordine pubblico che hanno ucciso un ragazzo, mi ha fatto venire in mente i magistrati che accusano di terrorismo quei cittadini che difendono la democrazia, quei manager che guadagnano cifre smisurate, quei politici che sono collusi con i mafiosi, quei corrotti e corruttori che hanno espropriato i cittadini di ogni possibilità di decidere del proprio futuro, e che continuano a succhiare ricchezza senza vedere la tempesta che si avvicina. Penso che siano tutti sintomi dello sfacelo della società italiana: se ne esce soltanto con una grande riforma intellettuale e morale». Per Giulietto Chiesa, «ci vuole una forza politica nuova che riesca a vedere la profondità dell’abisso e indichi una strada». Purtroppo, però, «questa forza politica non c’è», non esiste ancora. E, naturalmente, «non si creerà da sola».
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Crisi ucraina, perché il Fatto attacca Giulietto Chiesa?
«Giulietto Chiesa mente», scrisse tanti anni fa l’agenzia Tass, quando al Cremlino c’era Breznev, che evidentemente non gradiva l’indipendenza del corrispondente italiano. Oggi, nel 2014, lo stesso Chiesa viene definito «più zarista di Putin». Da chi? Dal “Fatto Quotidiano”, che per colpire l’autore de “La guerra infinita” ospita un insolito corsivo «non firmato, quindi redazionale», che per Chiesa è «un attacco in perfetto stile maccartista, proprio da caccia alle streghe». L’imputazione: passare, su “Pandora Tv”, «le veline di “Russia Today”, il network mediatico del Cremlino», arrivando a sostenere che l’Est dell’Ucraina sia abitato da “russi”. «Se lo sentisse Putin, lo licenzierebbe», scrive il “Fatto”. Replica Chiesa: «Chi scrive non sa, evidentemente, che in Ucraina ci sono all’incirca dieci milioni di russi», cioè cittadini ucraini di etnia russa che «non si fidano dei gestori provvisori di Kiev». E attenzione: «Non sono solo russi, quelli che si difendono contro la giunta militare golpista di Kiev: ci sono anche molti ucraini non russi».Perché il “Fatto” si scaglia contro l’ex corripondente da Mosca? Giulietto Chiesa ha lavorato per “L’Unità”, per “La Stampa”, per la Rai, per il Tg5. Ha insegnato all’università negli Stati Uniti, ha fondato con Mikhail Gorbaciov il “World Political Forum”, assise internazionale permanente per riflettere sulla governance mondiale dopo la fine della guerra fredda. Soprattutto, da almeno dieci anni, è impegnato nella denuncia sulle falsisficazioni del massimo tabù nel nuovo secolo, gli attentati dell’11 Settembre frettolosamente attribuiti a Bin Laden, già plenipotenziario della Cia in Afghanistan prima di diventare “lo sceicco del terrore”, capace di accendere la miccia da cui sono scaturite tutte le guerre degli ultimi anni, a cominciare dall’Afghanistan e dall’Iraq. Di tutti gli opinion leader più in vista, forti del loro riconosciuto prestigio personale – scrisse tempo fa un osservatore scomodo e intransigente come Paolo Barnard – Giulietto Chiesa è l’unico che sia stato capace di rinunciare davvero a tutte le comodità del suo rango pur di continuare a impegnarsi, senza compromessi, per lo smascheramento delle menzogne ufficiali.«Se ci fosse un’informazione decente in questo paese, non avrei pensato a fondare “Pandora Tv”», replica oggi Chiesa. Che accusa: sull’Ucraina, i media mainstream hanno oscurato la notizia principale, all’inizio della crisi, e cioè «non ha mostrato le immagini dei poliziotti di Maidan bruciati dai pacifici dimostranti nazisti armati di lanciafiamme». Al “Fatto”, Giulietto Chiesa risponde così: «Fornite le notizie, non censuratele». In altre parole: meglio la voce di “Rt” che le “veline” di John Kerry. Sempre più spesso, oggi, si invertono gli schemi: increscioso, per Barbara Spinelli, che a dare asilo a Edward Snowden non sia stata la civile Europa, colpita dal Datagate persino con lo spionaggio ai danni del telefono personale di Angela Merkel. Snowden, cui dobbiamo la verità sulle intercettazioni di massa della Nsa, ha ottenuto rifugio solo presso Vladimir Putin.Giulietto Chiesa si dichiara stupito che questo attacco «personale, diretto, insultante» non provenga da “Repubblica” o dal “Corriere”, ma dal “Fatto”. Giovanni Miotto, un abbonato del giornale di Padellaro, Gomez e Travaglio, protesta pubblicamente, dando ragione a Chiesa: «Nelle pagine del “Fatto” dedicate agli esteri, da mesi ormai regna la disinformazione». Miotto riferisce di aver appena scritto «una mail di protesta» alla direzione del giornale, lamentandosi «dell’insostenibile livello di quanto pubblicato sull’Ucraina». Quanto a “Russia Today” – che “Pandora” riprende in italiano, via web – ha semplicemente raccontato i fatti, sottraendosi alla censura occidentale organizzata proprio da Kerry. «Dire che siamo dei “velinari di Rt” è semplicemente un insulto: e si ricorre all’insulto quando non si hanno argomenti», aggiunge Chiesa, presentato dal “Fatto” come una sorta di “dipendente” di Putin. «Qui ci sarebbero gli estremi per una querela, ma non voglio aspettare dieci anni per avere ragione: la ragione è già tutta nella mia storia professionale di corrispondente e di scrittore, non ho bisogno di altro». Il primo a calunniarlo, accusandolo di «essere stato pagato dal Kgb», fu Bettino Craxi, poi condannato per diffamazione.«Giulietto Chiesa mente», scrisse tanti anni fa l’agenzia Tass, quando al Cremlino c’era Breznev, che evidentemente non gradiva l’indipendenza del corrispondente italiano. Oggi, nel 2014, lo stesso Chiesa viene definito «più zarista di Putin». Da chi? Dal “Fatto Quotidiano”, che per colpire l’autore de “La guerra infinita” il 26 aprile ospita un insolito corsivo «non firmato, quindi redazionale», che per Chiesa è «un attacco in perfetto stile maccartista, proprio da caccia alle streghe». L’imputazione: passare, su “Pandora Tv”, «le veline di “Russia Today”, il network mediatico del Cremlino», arrivando a sostenere che l’Est dell’Ucraina sia abitato da “russi”. «Se lo sentisse Putin, lo licenzierebbe», scrive il “Fatto”. Replica Chiesa: «Chi scrive non sa, evidentemente, che in Ucraina ci sono all’incirca dieci milioni di russi», cioè cittadini ucraini di etnia russa che «non si fidano dei gestori provvisori di Kiev». E attenzione: «Non sono solo russi, quelli che si difendono contro la giunta militare golpista di Kiev: ci sono anche molti ucraini non russi».
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Kiev, la strana Padania atomica di Yulia Tymoshenko
Chi dovrà essere “rieducato” – e chi invece eliminato – nella strana Padania orientale di Yulia Tymoshenko? «Gli italiani potrebbero immaginare una situazione in cui Bossi avesse raggiunto il potere, sul serio. Dopo una ventina d’anni il discorso, per quanto ridicolo, della Padania, avrebbe potuto produrre una generazione che avrebbe creduto di essere di etnia padana e di antica origine celtica, o altre fesserie del genere». Lo scrive il russo Igor Glushkov, in una lettera che Giulietto Chiesa pubblica su “Megachip”. Tema: la storica russofobia che anima gli anglosassoni, vittime di una sorta di «paranoia ossessiva» che li porta a credere che l’avanzata dei russi in Europa «comporti la catastrofe per il dominio britannico». Di qui la guerra senza quartiere, condotta dal monopolio Usa della disinformazione, per presentare la rivolta di Kiev come una sollevazione del “popolo ucraino” contro il giogo di Mosca. Dando per scontato, tra l’altro, che l’Ucraina sia molto diversa dalla famosa Padania di Bossi.Pietra dello scandalo, l’intercettazione telefonica in cui è incappata l’ex oligarca Yulia Timoshenko, promossa “pasionaria” anti-russa dal mainstream occidentale, che in una conversazione privata dichiara che vorrebbe sterminare, con la bomba atomica, gli 8 milioni di russi che popolano l’Est ucraino. «Non li chiama neppure russi, ma “izgoi”, banditi, fuorilegge», osserva Glushkov, che vive in Italia e ricorda come l’Ucraina non sia «un territorio etnicamente definito da una nazionalità», bensì «una specie di puzzle, che si è venuto componendo in tappe diverse della storia». L’“ucrainizzazione” forzata degli ultimi vent’anni non è tale «da poter mobilitare un esercito di ucraini contro i russi», e addirittura «non c’è nemmeno una polizia disponibile a soffocare le manifestazioni del sud-est: è per questo che sono stati costretti a chiamare i mercenari dall’esterno», cioè «gruppi di guerriglia armata composti da nazisti, preparati ad azioni violente dagli Stati Uniti in veri e propri lager».Il resto del paese, continua Glushkov, per adesso è impaurito, blindato dalla manipolazione di una Tv ucraina che sta bombardando la gente con informazioni false. «Gente che, comunque, non è disponibile ad accettare una guerra aperta contro la Russia. Perché? Perché la stragrande maggioranza si sente parte della nazione russa! Questo dimostra il referendum di Crimea e le precedenti elezioni». Naturalmente, però, i nostri media si sono tenuti a debita distanza dalla verità. «Il pubblico italiano, grazie all’ignoranza storica, politica, di quasi tutti i commentatori (nel silenzio, peraltro, del mondo accademico e universitario), ha ricevuto un’informazione completamente distorta», sostiene Giulietto Chiesa. Così, «la russofobia anglosassone ha dettato le notizie», nobilitando «i nazisti di Maidan». E la Russia, «che ha subito per vent’anni la penetrazione americano-tedesco-polacca praticamente senza reagire (perché guidata da idee filo-occidentali), ha di fatto soltanto reagito, difendendo il popolo russo di Crimea. Ed è stata rappresentata come l’aggressore, sebbene fosse stata aggredita».Questa, ribadisce Giulietto Chiesa – autore di numerosi video-editoriali su “Pandora Tv” – è una crisi di gravità senza precedenti nella storia, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: gli equilibri europei sono stati modificati, la sicurezza europea è stata distrutta. «Tutto questo non sarebbe stato possibile se l’informazione giunta ai cittadini italiani ed europei fosse stata decentemente vicina alla realtà, ma noi invece viviamo ormai dentro Matrix, prigionieri dell’illusione dell’Occidente di continuare a dominare il mondo». Resta, intanto, l’imbarazzo per le esternazioni stragiste della Tymoshenko, la cui carriera politica – scrive Igor Glushkov – è stata «molto simile a quella di quasi tutti gli oligarchi russi e ucraini: fatta rubando». Di sicuro, conferma Giulietto Chiesa, oggi la Tymoshenko rappresenta «un dato negativo, agli occhi dell’Europa». Dopo aver gettato il sasso, «usando i nazisti», adesso gli europei vorranno «ripulirsi dagli schizzi di fango». La stessa Yulia Tymoshenko «è uno schizzo di fango: ricattabile, certo, ma anche in grado di ricattare». Tutto molto prevedibile: «Quando si porta al potere una banda di criminali bisogna mettere in conto che, per normalizzare la situazione, li si deve rieducare, o eliminare. Resta da vedere se la Tymoshenko sarà in grado di essere rieducata, oppure se la dovranno eliminare».Chi dovrà essere “rieducato” – e chi invece eliminato – nella strana Padania orientale di Yulia Tymoshenko? «Gli italiani potrebbero immaginare una situazione in cui Bossi avesse raggiunto il potere, sul serio. Dopo una ventina d’anni il discorso, per quanto ridicolo, della Padania, avrebbe potuto produrre una generazione che avrebbe creduto di essere di etnia padana e di antica origine celtica, o altre fesserie del genere». Lo scrive il russo Igor Glushkov, in una lettera che Giulietto Chiesa pubblica su “Megachip”. Tema: la storica russofobia che anima gli anglosassoni, vittime di una sorta di «paranoia ossessiva» che li porta a credere che l’avanzata dei russi in Europa «comporti la catastrofe per il dominio britannico». Di qui la guerra senza quartiere, condotta dal monopolio Usa della disinformazione, per presentare la rivolta di Kiev come una sollevazione del “popolo ucraino” contro il giogo di Mosca. Dando per scontato, tra l’altro, che l’Ucraina sia molto diversa dalla famosa Padania di Bossi.
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Generazione decrescente: la crisi e la formica utopista
Fine del lavoro, del futuro, della società civile protetta dai diritti di cittadinanza. Fine di tutto quello che siamo stati abituati a pensare come destino, consuetudine, standard di vita, aspettative. E’ scoppiata una guerra: era pronta da trent’anni, ma quasi nessuno se n’era accorto – men che meno la sinistra, partiti e sindacati. Oggi vaghiamo smarriti tra macerie lungamente programmate: persino l’incresciosa elemosina degli 80 euro promessi da Matteo Renzi può apparire una buona notizia, anche se ha il sapore della minestra della Caritas o della distribuzione di aiuti umanitari nel Darfur. Siamo in guerra, ma c’è chi ragiona come se fossimo ancora in tempo di pace. Lo fanno i politici, naturalmente, professionisti dell’elusione della verità esattamente come i maggiori media. E lo fanno pure, a modo loro, gli illuminati sostenitori dell’eresia decrescista: dicono che il sistema si è rotto semplicemente perché “doveva” rompersi, non poteva durare.Certo, l’attuale modello di sviluppo ha avvelenato la Terra e prodotto solitudine e depressione. E ora che s’è inceppato, abbandona al suo destino la prima “generazione decrescente” della storia occidentale moderna, quella che sa di non poter avere quello che ebbero tutte le generazioni precedenti: la legittima speranza di crescere ancora. Il che però non significa, di per sé, precipitare nell’abisso: ci si può attrezzare per vivere meglio, comunque, a prescindere dall’ecatombe del Pil. E’ la tesi di Andrea Bertaglio, classe 1979, espressa nella sua ultima dolente ricognizione editoriale presentata da Maurizio Pallante, di cui è stretto collaboratore. Il libro si affaccia con angoscia sul panorama desolante dei coetanei, traditi dalle false promesse dello sviluppo illimitato e condannati all’esilio o al call center, in precaria alternativa alla disoccupazione perenne, mentre intorno si sfasciano, giorno per giorno, tutte le certezze del sistema Italia. Sta franando, il nostro paese, che pure militava nel G7 – settima potenza industriale del mondo – e che l’Eurozona dell’austerity ha letteralmente declassato, stroncato, ridotto a mendicare clemenza dai potenti signori di Bruxelles, che peraltro nessuno ha mai eletto.Tutto questo accade, sostengono ormai molti analisti, perché l’élite mondiale non tollera di dover “dividere la torta” con ormai 7 miliardi di esseri umani e le loro inevitabili aspirazioni di consumo. Cibo e terre, acqua, energia, tecnologia, merci. Il risveglio dell’ex terzo mondo, oggi guidato dai Brics, dopo la caduta dell’Urss ha fatto esplodere il business della globalizzazione selvaggia, le delocalizzazioni, il lavoro schiavistico. L’industria? Sempre meno conveniente, per gli antichi “padroni”: meglio la pura speculazione finanziaria. A una condizione, essenziale: sbaraccare l’ostacolo della politica democratica, il welfare, la sovranità degli Stati, le leggi a tutela del cittadino, i diritti del lavoro. Per teorici intransigenti come Paolo Barnard – che cita economisti come il francese Alain Parguez, già insider all’Eliseo – basta dare un’occhiata alle biografie dei padri fondatori dell’Unione Europea (l’autoritario Mitterrand, “monarchico” come il suo guru Jacques Attali, e il primo presidente della Commissione Europea, Jacques Delors, definito “uomo dell’Opus Dei”) per capire che razza di progetto – a vocazione feudale – sia quello dell’Ue, di cui l’euro rappresenza il braccio armato, con un unico grande obiettivo: radere al suolo la sovranità finanziaria degli Stati membri, e quindi la loro residua capacità di proteggere le rispettive comunità nazionali.Il tracollo è ovvio, perfettamente voluto. Se privatizzi la moneta crolla tutto, a cascata: credito, spesa pubblica, settore privato dell’economia, occupazione, risparmi delle famiglie. “Masters of the Universe”, li chiama Noam Chomsky. Sono l’élite planetaria, erede dell’oligarchia occidentale che per due secoli, e in particolare nella seconda metà del ‘900, ha subito come un affronto la nascita della democrazia moderna, l’avvento dello Stato come erogatore di benessere materiale per i propri cittadini, grazie alla libera creazione di moneta. Oggi? Si stanno semplicemente riprendendo tutto, abolendo di fatto la democrazia. E lo fanno in un mondo sovrappopolato e minacciato da più crisi, concomitanti e tutte potenzialmente letali: energia, clima, economia, acqua, cibo, ambiente. Per Giulietto Chiesa, autore del saggio “Invece della Catastrofe” che parte dalle drammatiche profezie del Club di Roma sui raggiunti limiti dello sviluppo del capitalismo coloniale e mercantile, ci sono tutte le condizioni geopolitiche per temere l’avvento di una Terza Guerra Mondiale.Dopo l’11 Settembre la storia s’è rimessa a correre: Iraq e Afghanistan, Libia e Siria, ora Ucraina. Evidente il tentativo degli Usa di coinvolgere l’Europa in una drammatica sfida con la Russia. Obiettivo: fermare l’avanzata della Cina, sfruttando l’unico vero vantaggio di cui gli Stati Uniti ancora dispongono, cioè la supremazia tecnologico-militare. Il guaio, avverte uno storico medievista come Franco Cardini, è che ormai a decidere non sono più i governi eletti dal Parlamento, perché tutte le maggiori istituzioni nazionali e soprattutto internazionali – politiche, diplomatiche, economiche, finanziarie – sono capillarmente infiltrate dalle lobby dell’élite, che tende a militarizzare il mondo impiegando missili-fantasma, droni-killer, milizie private, eserciti mercenari. Si preparano soluzioni sbrigative, repressioni, abolizioni di diritti sociali. Un incubo, che aiuta a comprendere lo scenario nel quale sono paracadutati i trentenni di oggi, a cui anche in Germania viene spiegato che i mini-job da 500 euro al mese sono un lusso, dati i tempi che corrono. C’è una guerra in corso, appunto. Ma ancora si stenta a riconoscerla.Di recente, in un incontro coi ragazzi torinesi del Movimento per la Decrescita Felice, un intellettuale ultra-indipendente come Guido Ceronetti ha ammesso la propria nostalgia per il socialismo, cioè un sistema in cui lo Stato garantisca pari opportunità per tutti. Lo Stato è il grande assente dei nostri giorni: privandolo della sua sovranità fisiologica, i trattati-capestro di Bruxelles lo costringono a trasformarsi in spietato esattore, non avendo più altra fonte finanziaria che quella fiscale. Un libero pensatore come Alex Langer, profeta europeo dell’ambientalismo politico, si battè già negli anni ‘80 per il grande cambiamento oggi invocato dagli ecologisti: sapeva benissimo che solo il governo, investendo denaro sovrano attraverso la spesa pubblica e quindi il debito, può imprimere una forte eccelerazione a qualsiasi politica di ricoversione sostenibile dell’economia. Bertaglio lo cita in un passaggio del suo libro: «La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile». E’ esattamente il crinale – innanzitutto culturale – su cui si impegnano i promotori della decrescita intelligente, da Pallante a Latouche.E’ anche il cuore dell’indagine che Andrea Bertaglio conduce con voce disarmata, partendo dalla propria esperienza personale, a confronto con quella di suo padre e, prima ancora, di suo nonno. E’ crollato un mondo, il loro. E questo di oggi, popolato di giovani spaesati e costretti a farsi mantenere dai genitori, rinunciando all’idea di metter su casa, è qualcosa che – per la prima volta – fa davvero paura. Quella della decrescita (s’intende: decrescita del Pil, degli sprechi, dei veleni) è una sorta di bussola: se lavori come un pazzo e spendi tutto quello che guadagni, finisci col non sapere neppure più cosa stai facendo, e perché. A cosa serve il lavoro che attualmente – quando c’è – ci dà da vivere? Riconversione: di certo, un lavoro socialmente utile fa vivere meglio, anche se magari fa calare il Pil perché comporta meno consumi, meno spostamenti, meno spese. E’ la filosofia della filiera corta, dei territori sostenibili, del “meno e meglio”. La strada imboccata da Roberto, che ha mollato il lavoro d’ufficio a Cagliari e si è messo a fare l’orticoltore in un paesino della provincia. O quella – spettacolare – dei ragazzi di Pescomaggiore, l’ecovillaggio fatto di case di paglia.I pionieri dell’economia sostenibile sembrano scansare il dilemma politico dei rapporti di forza, quelli cioè che – attraverso le elezioni – possono far vincere un’idea, trasformandola in azione pubblica regolarmente finanziata. Si diffida, purtroppo (ma comprensibilmente) delle organizzazioni politiche, preferendo l’azione diretta, promossa dal basso. Come quella del Comitato Rifiuti Zero che, ricorda Bertaglio, ha imposto «la vittoria del popolo valdostano contro l’affarismo», che voleva il solito inceneritore. Leader del comitato di lotta, il giovane medico Jean-Luis Aillon, dirigente Mdf. Un ragazzo di 29 anni, che ha scelto di lavorare meno – come guardia medica – per avere più tempo per l’orto e la produzione di formaggi destinati all’autoconsumo. «Se lavorassi soltanto per diventare ricco e famoso, sarei presto molto depresso».L’ennesimo ingenuo utopista? «La selezione naturale ha prescelto l’istinto utopista», risponde il dottor Aillon. «Sperare in un mondo migliore, mettere in crisi il reale, lottare per i propri sogni, è qualcosa che è stato iscritto nel nostro parimonio genetico. Perché favorisce la sopravvivenza della specie». Utopia, maneggiare con cura: quello che può apparire debolezza, è esattamente il suo contrario. Nel libro di Bertaglio, Jean-Luis ricorre a una parabola: «Se paragoniamo il nostro cinquantenne medio, disilluso e senza speranze, e una specie di formiche utopista, che sogna e si batte per un mondo diverso, possiamo vedere che quest’ultima è molto più forte e sopravvive». Inutile negarlo: «Noi abbiamo dentro questo patrimonio genetico, che la cultura odierna cerca di spegnere. L’ingenuo, semmai, è chi non lo riconosce». Farà in tempo, la “formica utopista”, a fermare i carri armati neoliberisti di Harvard, quelli che suggeriscono all’euro-totalitarismo la dottrina dell’austerity espansiva che uccide come mosche i bambini di Atene e avvicina alla Grecia anche il nostro paese?(Il libro: Andrea Bertaglio, “Generazione decrescente”, riflessione autobiografica sul mondo che è – e che potrebbe essere, con prefazione di Maurizio Pallante, Edizioni Età dell’Acquario, 103 pagine, 14 euro).Fine del lavoro, del futuro, della società civile protetta dai diritti di cittadinanza. Fine di tutto quello che siamo stati abituati a pensare come destino, consuetudine, standard di vita, aspettative. E’ scoppiata una guerra: era pronta da trent’anni, ma quasi nessuno se n’era accorto – men che meno la sinistra, partiti e sindacati. Oggi vaghiamo smarriti tra macerie lungamente programmate: persino l’incresciosa elemosina degli 80 euro promessi da Matteo Renzi può apparire una buona notizia, anche se ha il sapore della minestra della Caritas o della distribuzione di aiuti umanitari nel Darfur. Siamo in guerra, ma c’è chi ragiona come se fossimo ancora in tempo di pace. Lo fanno i politici, naturalmente, professionisti dell’elusione della verità esattamente come i maggiori media. E lo fanno pure, a modo loro, gli illuminati sostenitori dell’eresia decrescista: dicono che il sistema si è rotto semplicemente perché “doveva” rompersi, non poteva durare.
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Volete la verità? Ve la offre Pandora, col vostro aiuto
Non ve la siete mai bevuta, la storia delle armi di distruzione di massa di Saddam? E nemmeno la versione ufficiale dell’11 Settembre o quella del gas Sarin usato dall’esercito siriano contro la popolazione civile di Damasco? Allora “Pandora Tv” potrebbe fare al caso vostro, perché – oltre alla voce di Giulietto Chiesa – vi offre un aggiornamento quotidiano sull’attualità internazionale attraverso i servizi di “Rt”, offerti in esclusiva e tradotti in italiano per garantire “un’altra visione del mondo”, come recita il claim della nuova web-tv aperta su iniziativa del giornalista e scrittore che ha fatto della battaglia contro le menzogne del mainstream il proprio marchio di fabbrica. Una scommessa, quella di “Pandora”, basata sulla garanzia di assoluta indipendenza: proprio per questo, l’esperimento si affida al contributo diretto del pubblico, mediante lo strumento democratico del social crowdfunding: bastano 10 euro per sostenere la produzione della programmazione. Informazione libera, democrazia nella comunicazione.«Ci stanno portando in guerra», avverte Giulietto Chiesa, che da anni vigila sulla grande crisi del capitalismo imperiale, globalizzato e finanziarizzato. Tesi ben riassunta dal suo ultimo saggio, “Invece della catastrofe”, che parte dallo storico allarme lanciato dal Club di Roma sui raggiunti limiti dello sviluppo: l’élite mondiale non tollera più di dover spartire le risorse vitali del pianeta con una popolazione di 7 miliardi di esseri umani. E se i Brics alzano la testa – crescita accelerata e fame di consumi – è ovvio che sulla “coperta troppo corta” si accende una disputa strategica e geopolitica che i meno ottimisti chiamano “terza guerra mondiale”. Tradotto: mettere le mani su quel che resta del pianeta, battendo sul tempo i cinesi, prima che esploda in modo apocalittico una qualsiasi delle grandi crisi innescate: quella economico-finanziaria, quella energetica, quella climatica, quella dell’acqua o quella del cibo. Unico strumento di autodifesa: la democrazia. Che però è accecata da un filtro prodigioso: la disinformazione.«La verità è che non sappiamo quello che sta davvero succedendo», sostiene Giulietto Chiesa, che punta il dito contro le omissioni e i depistaggi del mainstream, colonizzato dall’élite esattamente come i maggiori partiti politici, tutti infiltrati dai poteri forti che – da Wall Street a Bruxelles – impongono la “loro” agenda, a colpi di diktat e recessioni pilotate. Ultimo scenario offerto dall’attualità: la dirompente crisi scatenata in Ucraina per indebolire la Russia e “intrappolare” l’Europa, pensando già, ovviamente, soprattutto alla Cina. Dai servizi di “Russia Today” proposti da “Pandora”, la tempestiva denuncia della strategia della tensione organizzata a Kiev per rovesciare il (pessimo) regime di Yanukovich, grazie a milizie-fantasma addestrate in segreto e appoggiate da potenti frange neonaziste. “Pandora” si candida a rappresentarla, “un’altra visione del mondo”, dando spazio all’analisi anche italiana della grande crisi, ospitando le voci dei nostri territori. Un canale sociale, aperto a tutti, che – per affermarsi – ha bisogno del contributo di tutti.Non ve la siete mai bevuta, la storia delle armi di distruzione di massa di Saddam? E nemmeno la versione ufficiale dell’11 Settembre o quella del gas Sarin usato dall’esercito siriano contro la popolazione civile di Damasco? Allora “Pandora Tv” potrebbe fare al caso vostro, perché – oltre alla voce di Giulietto Chiesa – vi propone un aggiornamento quotidiano sull’attualità internazionale attraverso i servizi di “Rt”, offerti in esclusiva e tradotti in italiano per garantire “un’altra visione del mondo”, come recita il claim della nuova web-tv aperta su iniziativa del giornalista e scrittore che ha fatto della battaglia contro le menzogne del mainstream il proprio marchio di fabbrica. Una scommessa, quella di “Pandora”, basata sulla garanzia di assoluta indipendenza: proprio per questo, l’esperimento si affida al contributo diretto del pubblico, mediante lo strumento democratico del social crowdfunding: bastano 10 euro per sostenere la produzione della programmazione. Informazione libera, democrazia nella comunicazione.
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Guerra al gas russo? Ma a pagare il conto saremo noi
Dietro alla crisi dell’Ucraina, cioè il grande crocevia dei gasdotti, si nasconde una colossale operazione geopolitica: gli Usa puntano a uscire dalla crisi economica a spese dell’Europa, trasformata in importatrice di gas americano? A quanto pare, ci aspettano 6-7 anni d’inferno: tanto occorre, infatti, per attrezzare il vecchio continente in modo che possa rinunciare al gas russo e passare a quello norvegese e americano. Analoga scelta anche per la Russia: le servono 6-7 anni per sviluppare i nuovi gasdotti verso il più grande mercato industriale del mondo, la Cina. Per l’Europa, pessime notizie: riguardo all’energia e quindi all’economia, l’Unione Europea dipenderebbe al 100% dagli Usa e dai suoi prezzi. Secondo Giulietto Chiesa, dobbiamo aspettarci «una guerra fredda intensificata», perché «saremo sul fronte del combattimento» tra Washington e Mosca e «saremo costretti a pagarne il prezzo». Una sfida pericolosa, perché «l’intera sicurezza europea sarà completamente rivoluzionata, coi missili americani piazzati in Ucraina a 400 chilometri da Mosca».Putin, osserva Giulietto Chiesa in un video-editoriale su “Pandora Tv”, non può più arretrare: o si arrende, facendo la fine di Yanukovich, o – al contrario – ribatterà colpo su colpo, come sta facendo in Crimea. Facile previsione: «La popolarità di Putin aumenterà vertiginosamente». Il capo del Cremlino diventa il “salvatore” della Russia: «Lo hanno capito i russi d’Ucraina, lo stanno capendo i russi di Crimea, lo capiranno i 150 milioni di russi». E questo, aggiunge Chiesa, è un segnale molto preoccupante per l’Occidente, che gioca il tutto per tutto: «In una decina d’anni si decide il destino non solo dell’Europa e della Russia, ma del mondo intero». Sul peso della posta in gioco non ci sono dubbi: basta osservare la precisione con cui alcuni strateghi americani come Strobe Talbott, già consigliere di Clinton, si affrettano ad “avvertire” Putin sulle conseguenze finanziarie del braccio di ferro con Obama. Invasa la Crimea, la Borsa di Mosca è franata del 12%, provocando il crollo del rublo. Emergenza che «ha costretto Putin a intervenire per salvare la sua moneta con 60 miliardi di dollari. gli è costata più quest’operazione che non le Olimpiadi di Sochi».Da Gazprom a Rosneft, i colossi mondiali dell’energia russa sono quotati nelle maggiori Borse del pianeta e compartecipati da capitale internazionale, anche americano. Per non parlare degli “oligarchi” di Mosca, i cui asset sono depositati nelle banche occidentali. «E se improvvisamente gli Stati Uniti, tra le sanzioni, mettessero il congelamento dei loro conti? Che succederebbe alla gran parte dell’oligarchia russa? Ecco il grande problema. Putin – spiega Giulietto Chiesa – ha potuto prosperare e far aumentare la sua popolarità in Russia grazie a gigantesche entrate statali, prodotte dalla vendita di gas e petrolio. Ma se improvvisamente questa vendita diventasse difficoltosa, come potrebbe continuare ad aumentare le pensioni, come ha fatto, o gli stipendi dei militari, della polizia e degli alti funzionari, facendo prosperare un certo ceto medio? Come potrebbe, Putin, in una situazione del genere?». La minaccia è chiara. Perché «l’operazione “conquista dell’Ucraina” significa “conquista dei gasdotti”, attraverso i quali passa il 90% del gas russo verso gli utilizzatori europei». La Crimea? Trascurabile. Come dice Talbott: se la prendano pure, gliela porteremo via dopo. L’importante, adesso, è l’Ucraina: cioè il rubinetto del gas destinato all’Europa, oggi venduto a prezzi accessibili. Ma domani? Che fine farà la manifattura tedesca, italiana e francese, senza più la garanzia del gas russo?Gli analisti statunitensi ci promettono un altro gas, ovvero «il gas norvegese – che c’è già ma ha un difetto: non ha i gasdotti – oppure il gas americano e canadese, quello nuovo, che sta arrivando adesso, dicono, in grandi quantità e a prezzi economicissimi». Entrambi però «devono essere prima liquefatti, trasportati attraverso l’oceano e poi nuovamente rigassificati sulle coste di tutti i paesi europei». Quanto costerà l’operazione? «Le cifre sono vertiginose e fanno pensare a un vero disegno strategico: l’America si rilancerà, rilancerà la sua economia attraverso la costruzione di un gigantesco ponte gasifero attraverso l’Oceano Atlantico». Tempi già calcolati, dai russi ma anche dall’Eni: non meno di 6-7 anni per allestire le nuove infrastrutture. Cosa accadrà nel frattempo? «Nessuno lo sa. L’unica cosa certa è che con questo piano tutta l’industria europea dipenderà dalle decisioni degli Stati Uniti e dal prezzo del gas che stabiliranno loro. Quindi avremo rincari evidenti». Secondo Chiesa, «il colpo alla Russia sicuramente sarà inferto», perché – con questa “guerra del gas” – l’Europa finirà «sotto il controllo diretto degli Stati Uniti, anche economico oltre che finanziario». Ecco spiegato il fervore “democratico” con cui gli Usa sostengono Kiev contro Mosca. Un gioco molto pericoloso, tenendo conto che l’obiettivo finale, strategico, resta Pechino.Dietro alla crisi dell’Ucraina, cioè il grande crocevia dei gasdotti, si nasconde una colossale operazione geopolitica: gli Usa puntano a uscire dalla crisi economica a spese dell’Europa, trasformata in importatrice di gas americano? A quanto pare, ci aspettano 6-7 anni d’inferno: tanto occorre, infatti, per attrezzare il vecchio continente in modo che possa rinunciare al gas russo e passare a quello norvegese e americano. Analoga scelta anche per la Russia: le servono 6-7 anni per sviluppare i nuovi gasdotti verso il più grande mercato industriale del mondo, la Cina. Per l’Europa, pessime notizie: riguardo all’energia e quindi all’economia, l’Unione Europea dipenderebbe al 100% dagli Usa e dai suoi prezzi. Secondo Giulietto Chiesa, dobbiamo aspettarci «una guerra fredda intensificata», perché «saremo sul fronte del combattimento» tra Washington e Mosca e «saremo costretti a pagarne il prezzo». Una sfida pericolosa, perché «l’intera sicurezza europea sarà completamente rivoluzionata, coi missili americani piazzati in Ucraina a 400 chilometri da Mosca».
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Spararono sulla folla a Kiev, erano cecchini della Cia
Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich. «L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini della Cia coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante a Kiev dell’Unione Europea ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.Le drammatiche “rivelazioni” di Yakimenko, rilasciate alle televisioni russe? «Probabilmente non tutte innocenti, ma certo molto credibili», scrive Chiesa sil “Manifesto”. Tanto più che combaciano perfettamente con la famosa telefonata del ministro degli esteri estone Urmas Paet alla signora Catherine Ashton, capo della diplomazia europea: il ministro dell’Estonia disse che a sparare «anche» contro i dimostranti non fu la polizia ucraina, bensì i cecchini «assoldati dalle opposizioni». Le accuse, osserva Giulietto Chuiesa, «sono una più grave dell’altra, una più infamante dell’altra». E se le televisioni russe le riproducono con tanta ampiezza, «ciò vuol dire soltanto una cosa: che Vladimir Putin non solo non intende retrocedere di un millimetro, ma intende contrattaccare politicamente, diplomaticamente e anche dal punto di vista della comunicazione».Yakimenko ha chiamato in causa l’ex presidente ucraino Viktor Yushenko, il vincitore – con Julia Tymoshenko – della ormai sfiorita rivoluzione arancione. Sarebbe stato lui a «lasciar moltiplicare i campi paramilitari in cui si sono allenati al golpe i nazisti e gli estremisti nazionalisti seguaci di Stepan Bandera», l’uomo che nella Seconda Guerra Mondiale collaborò con Hitler, e la cui effigie è tornata – dopo tanti anni – sulla piazza Maidan. Quando arrivò Yanukovic, sempre secondo Yakimenko, i “campi paramilitari” non furono chiusi, ma spostati – in Polonia, Lettonia e Lituania. Neppure Yanukovic decise di chiuderli, osserva Chiesa: «Continuava il doppio gioco di un colpo al cerchio e di uno alla botte, per tenere buoni russi e americani», perché evidentemente «l’influenza degli Stati Uniti e dell’Europa erano già troppo forti per poter essere contrastate».Insomma, l’ex capo della polizia politica ucraina sostiene che l’eversione in Ucraina abbia origini lontane: non è stata né spontanea, né improvvisata. «Ha fatto parte di un piano strategico nato negli Stati Uniti e che ha avuto come esecutori materiali un gruppo di paesi dell’Unione Europea». Certo, continua Chiesa, «in piazza c’erano migliaia e migliaia di persone. Ma a guidarle e a imprimere una svolta eversiva sono stati uomini armati e bene addestrati da tempo, scatenati da una serie di comandi molto precisi. Fino alla tremenda sceneggiata, costata quasi un centinaio di morti e oltre 800 feriti, che servì a coprire di infamia il presidente Yanukovic, lordato di un sangue che non aveva voluto e saputo provocare, ma la cui fuga fu applaudita da tutto il “mondo libero”, indignato per la sua ferocia».Yakimenko sostiene che quei cecchini furono individuati: sparavano dal palazzo della Filarmonica, erano una ventina, «bene armati, bene equipaggiati, con fucili di precisione dotati di cannocchiale». Gli uomini della sicurezza ucraina erano nella piazza, mescolati alla folla e – dice Yakimenko – videro tutto e riferirono. Ma «non furono gli unici a vedere»: anche i leader di alcuni gruppi estremisti videro che quei cecchini sparavano sulla folla, e si allarmarono al punto da contattare lo stesso Yakimenko, «chiedendogli di porre fine alla mattanza facendo intervenire la sue “teste di cuoio”, il famoso o famigerato “Gruppo Alfa”». Yakimenko, continua Giulietto Chiesa, parla dunque di una trattativa che si svolse tra lui e i rappresentanti di “Svoboda” e di “Settore Destro”. Forse – dice – lo fecero per «crearsi un alibi». O forse perché non erano loro, ma altri, ad avere organizzato la mostruosa operazione diversiva. E nel frattempo un gruppo di persone, tutte decisive nel controllo delle forze di sicurezza, visitavano l’ambasciata Usa «tutti i santi giorni». Sono gli uomini che oggi incarnano il nuovo potere di Kiev.Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania: sarebbero le “pedine” utilizzate dagli Usa per destabilizzare sanguinosamente l’Ucraina, fino alla caduta del regime di Yanukovich. «L’Europa, in quanto tale – dice Giulietto Chiesa – sprofonda più che nella vergogna, nel ridicolo, trovandosi guidata da quattro repubbliche ex satelliti o ex sovietiche (anche se con l’autorevole copertura di Berlino, Londra, e Parigi) in un’avventura che non era stata nemmeno discussa. E che non è europea, ma americana». Dirompenti le dichiarazioni di Aleksandr Yakimenko, capo dell’intelligence ucraina con Yanukovic, ora riparato in Russia. Secondo Yakimenko, sarebbe stata la Cia a manovrare i cecchini che il 20 febbraio hanno fatto strage di dimostranti in piazza Maidan per poi poter accusare il regime. A dirigere l’operazione, uomini coordinati dall’ambasciata Usa di Kiev. Complici, il rappresentante dell’Unione Europea nella capitale ucraina ed emissari polacchi come Jan Tombinsky.
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Distruggere l’Ucraina: un piano da 5 miliardi di dollari
L’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari «al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori). L’Ucraina potrà avere così “il futuro che merita”. Ma quale futuro merita l’Ucraina, gli ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l’Ucraina. Nell’indescrivibile clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l’ennesimo “dittatore sanguinario” della serie, è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini.Nessuno ne contestò l’elezione quando sconfisse Viktor Yushenko, anche se fu un boccone amaro per chi di Yushenko aveva finanziato l’ascesa. E gli aveva perfino procurato la moglie. Pochi sanno che la seconda moglie di Yushenko si chiama Katerina Chumacenko, che veniva direttamente dal Dipartimento di Stato Usa (incaricata dei “diritti umani”). Ancora meno sanno che Katerina, prima di fare carriera a Washington, era stata uno dei membri più attivi e influenti dell’organizzazione neo-nazista Oun-B della sua città natale, Chicago. Oun-B sta per Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini, di Stepan Bandera. L’Oun-B, tutt’altro che defunta, ha dato vita al Partito Svoboda, il cui slogan di battaglia è “l’Ucraina agli ucraini”, lo stesso che Bandera innalzava collaborando con Hitler durante la seconda guerra mondiale.Del resto Katerina era stata leader del Comitato del Congresso ucraino, il cui ispiratore era Jaroslav Stetsko, braccio destro di Stepan Bandera. Che è come dire che il governo americano si era sposato con i nazisti ucraini emigrati negli Usa, prima di mettere Katerina nel letto di Yushenko. Anche di questo il mainstream non parla. Ma ho fatto questa digressione per dire che, certo, gli ucraini hanno tutto il diritto di essere scontenti, molto scontenti di Yanukovic. E di avere cambiato idea. Anche noi abbiamo tutto il diritto di essere scontenti di Napolitano o del governo, ma questo non significa che pensiamo sia giusto assaltare il Quirinale a colpi di bombe molotov prima e poi di fucili mitragliatori. Essenziale sarebbe stato tenere conto di questi dati di fatto. Ma il piano, di lunga data, degli Stati Uniti era quello di assorbire l’Ucraina nell’Occidente. Se possibile tutta intera.Sentite cosa scriveva nel 1997 Zbignew Brzezinski, polacco: «Se Mosca ricupera il controllo sull’Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e le grandi risorse, riprendendo il controllo sul Mar Nero, la Russia tornerà automaticamente in possesso dei mezzi necessari per ridiventare uno Stato imperiale». Ecco dunque il perché dei 5 miliardi di cui parla la Nuland. Caduto Yushenko, in questi anni decine di Ong, fondazioni, istituti di ricerca, università europee e americane, e canadesi, hanno invaso la vita politica dell’Ucraina. Qualche nome? Freedom House, National Democratic Institute, International Foundation for Electoral Systems, International Research and Exchanges Board. E, mentre si «faceva cultura», e si compravano tutte le più importanti catene televisive e radio del paese, una parte dei fondi servivano per finanziare le squadre paramilitari che vediamo in azione in piazza Maidan. Che, grazie a questi aiuti, si sono moltiplicate.Adesso emerge il Pravij Sector (“Settore di destra” e “Spilna Prava”), ma il giornale polacco “Gazeta Wiborcza” ha parlato di squadre paramilitari polacche che agiscono a Maidan. E la piazza pullula di agenti dei servizi segreti occidentali: lo fanno in Siria, perché mai non dovrebbero farlo a Kiev? È perfino più facile: Yanukovic, dittatore sanguinario, appare più molle di Milosevic, altro strano dittatore sanguinario che si fece sconfiggere elettoralmente da Otpor (fondato e ampiamente finanziato dagli Usa). Tutto già visto. C’è solo un problema: Putin non è un pellegrino sprovveduto. È questo il popolo ucraino? Certo sono migliaia, anzi decine di migliaia, a mostrare il livello della rabbia popolare contro un regime inetto (non più inetto di quelli dei precedenti amici dell’Occidente, Kravchuk, Kuchma, Yushenko, Timoshenko), ma chi guida è chiaro perfino dalle immagini televisive. E questa è la ex Galizia, ex polacca, e la Transcarpazia. Se crolla Yanukovic e prendono il potere costoro, sarà una diaspora sanguinosa.I primi ad andarsene saranno i russofoni dell’est e del nord, del Donbass dei minatori, che già stanno alzando le difese. E subito sarà la Crimea, che ha già detto quasi unanime che intende restare dalla parte della Russia, anche per tentare di salvarsi dalla furia antirussa di coloro che prenderanno il potere. È l’inizio delle secessioni, oggi perfino difficili da prevedere, dai contorni indefiniti, che produrranno non fronti militari ma selvagge rappresaglie all’interno di comunità che non saranno più solidali. L’Europa, fedele esecutrice dei piani di Washington, ha aperto il vaso di Pandora. Che adesso le esploderà tra le mani. I nuovi inquilini saranno di certo concordati (sempre che Putin abbia la garanzia che non sarà valicato il Rubicone dell’ingresso nella Nato), ma coloro che sono scesi in piazza armati hanno in testa un’idea di Europa molto diversa da quella che si figura Bruxelles.E quelli in buona fede che sono andati dietro i neonazisti – e sono sicuramente tanti – si aspettano di entrare in Europa domani. E saranno tremendamente delusi quando dovranno cominciare a pagare, e non potranno comunque entrare, perché nei documenti di Vilnius questo non è previsto. L’unico tra i commentatori italiani che ha scritto alcune cose sensate è stato Romano Prodi, ma le ha scritte sull’“International New York Times”. Rivolto agli europei li ha invitati a non mettere nel mirino solo Yanukovic, bensì condannare anche i rivoltosi. E ha aggiunto: «Coinvolgere Putin», visto che tutte le parti hanno «molto da perdere e nulla da guadagnare da ulteriori violenze». Giusto ma ottimista. Chi ha preparato la cena adesso vuole mangiare e non si fermerà. E l’isteria antirussa è il miglior condimento per altre avventure.(Giulietto Chiesa, “L’Occidente apre il vaso di Pandora”, da “Il Manifesto” del 21 febbraio 2014).L’assistente del segretario di Stato Victoria Nuland ha detto al National Press Club di Washington, lo scorso dicembre, che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari «al fine di dare all’Ucraina il futuro che merita», così scrive Paul Craig Roberts sul suo blog. Lui è ex assistente al Tesoro degli Usa e dice cose documentate. E ho letto che la Nuland ha già scelto i membri del futuro governo ucraino per quando Yanukovic sarà stato spodestato (o fatto fuori). L’Ucraina potrà avere così “il futuro che merita”. Ma quale futuro merita l’Ucraina, gli ucraini? Per come stanno andando le cose nessuno: non ci sarà l’Ucraina. Nell’indescrivibile clangore delle menzogne che gronda dai media mainstream la cosa principale che manca in assoluto è la banale constatazione che Yanukovic, l’ennesimo “dittatore sanguinario” della serie, è stato eletto a larga maggioranza dagli ucraini.
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Contro il popolo italiano: golpisti, da Roma a Bruxelles
«Colpo di Stato». Giulietto Chiesa è esplicito: «Se qualcuno ha un termine più adatto per descrivere questa situazione, lo dica». Legge elettorale, la “porcata” di Renzi e Berlusconi, ancora con liste bloccate e controllate dai partiti, senza possibilità di indicare preferenze. «Questa legge che si sta costruendo è un vero e proprio tentativo di privare gli italiani di una rappresentanza reale», anche se la Consulta, la Corte Costituzionale, ha appena espresso un giudizio chiarissimo, in favore del sistema proporzionale. Eppure, Pd e Forza Italia vogliono il maggioritario verticistico, con parlamentari “nominati” e candidati imposti dalle segreterie. Tutto questo, grazie anche a Napolitano: «Abbiamo un presidente della Repubblica che consente – approva, sollecita – delle cose illegali». Ovvero: «Si sta utilizzando un Parlamento illegale, costruito contro il popolo italiano, per fare un’altra legge che sarà contro il popolo italiano». Attenzione: “lo vuole l’Europa”, si potrebbe dire. In effetti è così: l’attuale assetto europeo teme la democrazia.«Quando è nata l’Europa – ricorda Giulietto Chiesa ai microfoni di “Siracusa Oggi” – c’era l’idea di fare un nuovo Stato – un vero e proprio nuovo Stato, una conferedazione – in pace, che non aveva precenti nella storia degli uomini: mai era accaduto che un paese si formasse con il consenso. Bene, questa Europa non c’è più, è stata cancellata». Parlano i fatti, a cominciare dalle carte: «Ci sono due documenti-chiave, il Trattato di Maastricht e il Trattato di Lisbona, che negano questa Europa. E invece pensano a un’Europa in un cui i più forti diventano ancora più forti, e i più deboli vengono abbandonati a se stessi. E i più deboli siamo noi: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda». Domanda: a chi serve quest’Europa indebolita e azzoppata dalla crisi? Sappiamo che gli Usa si stanno concentrando sul Pacifico, per fronteggiare l’avanzata economica e geopolitica della Cina. Sempre gli Stati Uniti puntano a lacerare l’Ucraina, per poi spingere l’avamposto Nato fino ai confini con la Russia. Tutto questo ci conviene? «La mia risposta è no», dice Giulietto Chiesa. «Stati Uniti ed Europa non hanno interessi coincidenti».Prima ancora di un’Italia sovrana, sostiene il fondatore del laboratorio politico “Alternativa”, dobbiamo avere un’Europa sovrana. «Significa che dobbiamo passare da questa società, che è insostenibile, a una società sostenibile – che è possibile». Per farlo, però, «occorre una strategia politica di transizione». Che punti, prima di tutto, ad assicurare all’Europa le risorse primarie di cui ha bisogno. «Alle nostre frontiere abbiamo la Russia: 9 fusi orari, il più grande paese del mondo, che ha tutte le risorse energetiche e minerarie, domani anche alimentari. Ma perché non facciamo un patto di cooperazione strategica con la Russia?». Alternativa che l’establishment filo-atlantico di Bruxelles non prende neppure in considerazione, per ora. Ecco perché sono potenzialmente decisive le elezioni europee di maggio: con l’operazione Tsipras, liste civiche a sostegno del leader greco di Syriza come candidato comune alla presidenza della Commissione Europea, la musica potrebbe cambiare. «A giugno potremmo avere in Europa un gruppo di 60-70 deputati in grado di costituire un baluardo per aprire questo tema. Io credo che sia possibile. Se l’Italia si presenta in Europa e chiede di contare, noi saremo molto più forti di quanto siamo oggi».«Colpo di Stato». Giulietto Chiesa è esplicito: «Se qualcuno ha un termine più adatto per descrivere questa situazione, lo dica». Legge elettorale, la “porcata” di Renzi e Berlusconi, ancora con liste bloccate e controllate dai partiti, senza possibilità di indicare preferenze. «Questa legge che si sta costruendo è un vero e proprio tentativo di privare gli italiani di una rappresentanza reale», anche se la Consulta, la Corte Costituzionale, ha appena espresso un giudizio chiarissimo, in favore del sistema proporzionale. Eppure, Pd e Forza Italia vogliono il maggioritario verticistico, con parlamentari “nominati” e candidati imposti dalle segreterie. Tutto questo, grazie anche a Napolitano: «Abbiamo un presidente della Repubblica che consente – approva, sollecita – delle cose illegali». Ovvero: «Si sta utilizzando un Parlamento illegale, costruito contro il popolo italiano, per fare un’altra legge che sarà contro il popolo italiano». Attenzione: “lo vuole l’Europa”, si potrebbe dire. In effetti è così: l’attuale assetto europeo teme la democrazia.
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Bertani: attaccando Napolitano, Grillo vincerà le elezioni
«Le banche vogliono ancora soldi: tutti hanno capito che col Fiscal Compact l’hanno fatta fuori del vaso, perciò in questo ultimo anno cercheranno di succhiare tutto il sangue che riusciranno, poi abbandoneranno la carogna. Sta a quelli come noi, che hanno compreso la truffa – iniziata con Licio Gelli ed il suo “Piano di Rinascita Democratica” di 30 anni or sono – continuare a strombazzare qual poco di verità della quale siamo certi, perché l’abbiamo vissuta. I ragazzi del M5S – almeno – sappiamo che continueranno». Così la pensa Carlo Bertani, all’indomani del decreto-vergogna Imu-Bankitalia e della richiesta di impeachment per Napolitano: per la messa in stato d’accusa i presupposti giuridici sono fragili, ma quelli politici no. Se oggi non accadrà nulla, i risultati potrebbero arrivare domani: Grillo è l’unico ad aver centrato nel mirino il bersaglio grosso, l’uomo del Colle, massimo garante di un establishment fallimentare, che Pd e Berlusconi saranno costretti a difendere, andando incontro a una disfatta elettorale.«Lo share di Napolitano è uno fra i più bassi del mondo occidentale», scrive Bertani nel suo blog, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Soltanto la metà dei cittadini lo approva (parecchi sondaggi recano queste cifre)». E questo, per un capo di Stato che ha basato il suo agire sul motto “state tranquilli, qui ci sto io a controllare”, secondo Bertani «è una débacle», tant’è vero che ormai «metà dei cittadini ha capito il trucco». “Sparando” contro Napolitano, Grillo prepara dunque una campagna elettorale nella quale una sola forza politica, il “Movimento 5 Stelle”, si candida a vincere a mani basse, grazie ai voti di chi è «schifato, annichilito, provato dal disgusto» di fronte allo spettacolo che avanza. «Difatti, Napolitano – che è un gran furbacchione – ha dichiarato di non essere preoccupato per la messa in stato d’accusa in merito alla Costituzione, bensì d’esserlo molto per cosa sta succedendo in Parlamento. Là sì che si stanno giocando i futuri equilibri europei! Devono riuscire a tagliar la pelle all’asino senza farlo ragliare! E bene fanno quelli del M5S ad urlare più forte: non si facciano intimorire dalle tigri di camomilla come Letta!».La verità è che il Parlamento «ha raggiunto forse il limite inferiore della sua storia», anche se «in futuro potrà scendere ancora». E tutte le istituzioni, compresa la presidenza della Repubblica, «sono oramai gli zombie di ciò che erano non più di un anno fa». Gli unici ad essere felici «sono gli uomini di Bankitalia, che ringraziano per il generoso regalo di 4 miliardi di euro fatto ai loro azionisti: credevamo che l’Imu servisse per rimettere in sesto il bilancio italiano. No, adesso abbiamo la conferma ufficiale che serviva a rimpinguare i conti degli azionisti privati di Bankitalia». Tutto questo, però, non basta a motivare la messa in stato d’accusa di Napolitano. Primo rilievo: espropriazione della funzione legislativa del Parlamento e abuso della decretazione d’urgenza. «Su questo punto – osserva Bertani – andrebbero processati tutti i presidenti, almeno da Pertini in avanti: le leggi contro il terrorismo sono state la “prova generale” della decretazione d’urgenza. Poi, il diluvio: oggi, si decreta “d’urgenza” anche un finanziamento di 1.000 euro a qualche parente, oppure un ministro entra a gamba tesa nella decisione su quale parente abbia diritto di gestire il bar di un ospedale».Seconda accusa: riforma della Costituzione e del sistema elettorale. Qui invece i grillini hanno ragione, sostiene Bertani: «L’eventuale riforma della Costituzione è argomento staccato dalla legge elettorale, e bene ha fatto il M5S a lottare perché (finora) non avvenisse. C’è il rischio che riescano a raggiungere i 2/3 dei voti, e quindi che riescano ad evitare il referendum confermativo». Napolitano? «E’ chiaro che non considera il M5S un soggetto politico “attivo”: al più, dei divertenti clown». Detto questo, purtroppo, «le leggi elettorali – salvo il proporzionale puro e senza sbarramenti (una testa, un voto) – sono tutte delle truffe: dipende da chi vuoi farti truffare». Più difficile, invece, sostenere la terza accusa, quella del mancato esercizio del potere di rinvio presidenziale: «Se ad esempio Ciampi non rinviò il “Porcellum” alle Camere a fine legislatura (che, quindi, sarebbe caduto immediatamente, ben prima d’essere dichiarato incostituzionale sette anni dopo) in molti casi sarebbe stato opportuno farlo. Già, ma è un potere presidenziale: che succede se non lo si applica?».Idem per il quarto “capo d’accusa”, cioè l’anomala rielezione al Quirinale: sarà una prassi poco opportuna, ma la Costituzione non la vieta. Quanto alla quinta “imputazione”, quella di improprio esercizio del potere di grazia, c’è poco da aggiungere: «Detto fuori dai denti, Sallusti era l’ultima persona da graziare, con tanta gente malata e condannata a pene lievi che ingombrano le nostre carceri», ma tant’è: il potere di grazia resta prerogativa esclusiva del capo dello Stato, e può esercitarlo senza condizioni. Infine, sulla sesta e ultima contestazione – il rapporto con la magistratura nel processo Stato-mafia – è «molto difficile estrapolare la verità». Ipotesi: «Nulla di più probabile che gli apparati dello Stato si siano “attivati” molto “generosamente” in favore del presidente». Ma, anche qui, come motivare l’accusa di “attentato alla Costituzione”? In altre parole, «Grillo sa benissimo che le possibilità di successo dell’iniziativa sono pari a zero»: troppi giuristi e costituzionalisti «al servizio di Re Giorgio», e troppo pochi parlamentari a favore della decadenza. Eppure, secondo Bertani, la mossa (tutta politica) dell’impeachment alla fine avrà successo: «Ovviamente Napolitano non decadrà dall’incarico, ma sarà travolto dalle susseguenti elezioni».Bertani mette a fuoco la nuova legge elettorale confezionata da Renzi e Berlusconi: nessuno dei due schieramenti – centrodestra e centrosinistra – sembra in grado, davvero, di raggiungere il famoso premio di maggioranza, che assomiglia sempre di più «al prosciutto in cima all’Albero della Cuccagna». Il 37% è una soglia alta – Berlusconi si sarebbe accontentato del 35 – perché entrambi i partiti ritengono che saranno loro gli attori al ballottaggio. «Nulla di più falso», sostiene Bertani. In campo ci sono «tre partiti grossomodo equivalenti (ricordiamo le “sorprese” delle scorse elezioni)», ma con una differenza sostanziale: «Grillo agiterà la clava contro il vecchio Re usurpatore», mentre i suoi parlamentari, esasperati «dall’insipienza della Boldrini e della sua “ghigliottina”», ormai «praticano una sorta di guerriglia parlamentare ai limiti del lecito». Sicché, «agli altri, non rimarrà che difendere l’asfittico esistente», cioè le loro tasse, le loro non-riforme e la devastazione socio-economica che dilaga.«C’è però un altro punto a favore del M5S: tutti i sondaggi danno un astensionismo pari a circa il 40%, la metà dei quali deciderà nell’ultima settimana cosa fare». Sono circa 8 milioni d’italiani, dice Bertani. Otto milioni di cittadini decisivi, perché «avranno in tasca la chiavi del nostro futuro». Proprio su questa enorme quota di elettorato – quella che Giulietto Chiesa chiama “la voragine dei non-rappresentati” – oggi «si sperticano gli istituti di ricerca». Ma la notizia è che «non trovano nulla», perché ogni istituto ha un “padrone” politico, e quindi «“taroccherà” le risposte in modo di “adattarle” alle richieste: nulla di utile». Dunque, attenti a quegli 8 (milioni): niente di più facile che, al momento decisivo, scelgano il più convincente “voto contro”, il più chiaro, alla larga da Renzi e dall’amico Silvio. Se l’Italia è in sofferenza da anni, torturata dall’establishment europeo incarnato da personaggi come Monti e Draghi, aprire il fuoco da oggi contro il supremo garante italiano dell’euro-regime, l’anziano Napolitano, potrebbe consentire a Grillo di conquistare addirittura la pole position.«Le banche vogliono ancora soldi: tutti hanno capito che col Fiscal Compact l’hanno fatta fuori del vaso, perciò in questo ultimo anno cercheranno di succhiare tutto il sangue che riusciranno, poi abbandoneranno la carogna. Sta a quelli come noi, che hanno compreso la truffa – iniziata con Licio Gelli ed il suo “Piano di Rinascita Democratica” di 30 anni or sono – continuare a strombazzare qual poco di verità della quale siamo certi, perché l’abbiamo vissuta. I ragazzi del M5S – almeno – sappiamo che continueranno». Così la pensa Carlo Bertani, all’indomani del decreto-vergogna Imu-Bankitalia e della richiesta di impeachment per Napolitano: per la messa in stato d’accusa i presupposti giuridici sono fragili, ma quelli politici no. Se oggi non accadrà nulla, i risultati potrebbero arrivare domani: Grillo è l’unico ad aver centrato nel mirino il bersaglio grosso, l’uomo del Colle, massimo garante di un establishment fallimentare, che Pd e Berlusconi saranno costretti a difendere, andando incontro a una disfatta elettorale.
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Sinistra italiana senza il coraggio di sostenere Tsipras
«Loro son troppo marxisti. O troppo poco. Troppo massimalisti. O troppo poco. Troppo pacifisti. O troppo poco. Troppo anti-berlusconiani. O troppo poco. Troppo giustizialisti; o troppo poco». Non servono raffinate sociologie per riconoscere la crisi letale della sinistra nella demenza autoreferenziale del suo dibattito interno. Non è un problema solo dell’ultimo quarto di secolo, s’intenda, né solo del nostro paese. Da noi tuttavia il pregresso del più grande partito comunista d’Occidente ha ingigantito quella sindrome autocritica capace di demolire tutto salvo ciò che andava demolito davvero: il proprio settarismo, il prendersela anzitutto con qualche categoria interna di “altri”, di “compagni che sbagliano”. Peccato, perché l’occasione sarebbe a portata di mano, qui e ora, per almeno due ottime ragioni. La prima è che la Sinistra Europea ha lanciato un’eccellente candidatura, quella del giovane ingegnere Alexis Tsipras, leader di Syriza, ovvero di quella resistenza laica e ferma che, dalla Grecia, costituisce il peggior incubo per i governanti continentali dell’austerità.La seconda è che la Sinistra Europea, a dispetto degli sterili psicodrammi, ai fatti ha avuto ragione pressoché su tutto in questi ultimi 25 anni, a iniziare dai temi più cruciali, dalla critica all’accelerazione monetarista dei Trattati (da Maastricht in poi) al no alle guerre della Nato. La sinistra c.d. “radicale” aveva ragione; gli altri, “moderati” inclusi (senza eccezione per i socialdemocratici), torto. Sarebbe il momento dell’“incasso” elettorale, e invece si cede lo scettro della critica – e della rappresentanza – agli anti-europeisti, populisti e intolleranti, in una parola alla destra. Il primo a tirarsi fuori – spiace sottolinearlo – è stato Nichi Vendola, che al “Manifesto” ha dissimulato con un elogio a Tsipras la propria scelta politica: Sel non si candiderà per Tsipras o per la Linke bensì, assieme al Pd, per Martin Schulz e il New Labour. Gli altri italiani? Praticamente il nulla, come ha denunciato la leader tedesca della Sinistra Europea Gabi Zimmer (mia intervista per “Il Fatto Quotidiano”) il 13 dicembre scorso.Qualcosa per la verità poi si è mosso e, da Barbara Spinelli a Paolo Flores d’Arcais ad Alessandro Gilioli, non passa oramai quasi giorno senza che qualche intellettuale lanci il suo appello per realizzare anche da noi una lista per Tsipras, rompendo seppur tardivamente la solitudine di chi da tempo si era speso per la sua candidatura, come l’ex capogruppo della Sinistra europarlamentare Roberto Musacchio. Le strade sarebbero almeno due. Una sarebbe quella indicata da Giulietto Chiesa, ovvero un’assunzione di responsabilità dei movimenti più popolari (quali Emergency), che però per statuto o antica scelta difficilmente lo faranno. Ci sarebbe Azione Civile, che per ora esita a uscire dai generici appelli dato il recente scotto elettorale. Ci sono già Alba e Alternativa, degli stessi Musacchio e Chiesa, ma ovviamente non basta.L’altro possibile “primo passo” potrebbero farlo gli stessi partitini che sostengono Tsipras, a iniziare da Rifondazione. «Prendiamo atto della catena di batoste, ci sciogliamo e mettiamo modestamente a disposizione quel po’ di struttura, esperienza e militanza per ricostruire la sinistra italiana ben al di là del nostro esiguo perimetro», potrebbero dire, anziché rimanere nel feudo e perpetuare il settarismo di cui sopra. Non sarebbe così difficile, in fondo: il volto c’è, ed è quello di Tsipras; il logo pure, quello della “Gue”. In italiano si legge “Sinistra Unitaria Europea”. Non sono tre brutte parole. E’ vero che la “sinistra” italiana è morta, ma permangono alcuni milioni di elettori di sinistra che stabilmente disertano le urne. Cari partitini e movimenti, davvero non interessa?(Alessandro Cisilin, “Elezioni 2014, Sinistra Europea occasione italiana?”, da “Megachip” del 7 gennaio 2014).«Loro son troppo marxisti. O troppo poco. Troppo massimalisti. O troppo poco. Troppo pacifisti. O troppo poco. Troppo anti-berlusconiani. O troppo poco. Troppo giustizialisti; o troppo poco». Non servono raffinate sociologie per riconoscere la crisi letale della sinistra nella demenza autoreferenziale del suo dibattito interno. Non è un problema solo dell’ultimo quarto di secolo, s’intenda, né solo del nostro paese. Da noi tuttavia il pregresso del più grande partito comunista d’Occidente ha ingigantito quella sindrome autocritica capace di demolire tutto salvo ciò che andava demolito davvero: il proprio settarismo, il prendersela anzitutto con qualche categoria interna di “altri”, di “compagni che sbagliano”. Peccato, perché l’occasione sarebbe a portata di mano, qui e ora, per almeno due ottime ragioni. La prima è che la Sinistra Europea ha lanciato un’eccellente candidatura, quella del giovane ingegnere Alexis Tsipras, leader di Syriza
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Siria, era tutto falso: chi ha mentito ora chieda scusa
Una colossale montatura, progettata a tavolino sulla base di prove false: l’esercito siriano, che la Nato stava per bombardare lo scorso settembre, non ha mai usato armi chimiche contro la popolazione civile di Damasco. Il gas Sarin che ha ucciso centinaia di siriani è stato usato dai “ribelli”, finanziati e protetti dall’Occidente. E’ stata dunque una gigantesca menzogna mediatica – esattamente come quella delle “armi di distruzione di massa” di Saddam – a trascinare il mondo sull’orlo di una guerra devastante. Lo affermano da Boston gli specialisti del Mit, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology. «Adesso – dichiara Giulietto Chiesa – sappiamo, oltre ogni dubbio, che la Cia ha mentito e che il bombardamento di armi chimiche sulla periferia di Damasco, il 21 agosto 2013, fu compiuto dai mercenari che combattono contro Bashar al-Assad. Ci furono oltre mille morti, dissero». E non è stato un “tragico errore”. La verità è un’altra: «Mentivano, ma è il loro mestiere».Il nuovo rapporto del Mit, scrive Marinella Correggia in un post ripreso da “Megachip”, smentisce definitivamente Obama, che aveva accusato Assad dell’attacco chimico avvenuto a Ghouta, il 21 agosto 2013. A settembre si era arrivati a un passo dai bombardamenti sulla Siria, evitati solo in extremis grazie alla fermezza di Putin e alla drammatica sollecitudine di Papa Francesco. La prova regina: insieme a Theodore Postol, l’ex ispettore Onu sugli armamenti, Richard Lloyd, rivela che la gittata del «missile rudimentale» trovato dagli ispettori Onu «non poteva essere superiore ai due chilometri». E quindi, «sulla base della mappa delle forze in campo presentata dalla stessa Casa Bianca il 30 agosto, il punto di lancio si doveva per forza trovare nelle aree controllate dai “ribelli”». Contraddizioni e contraffazioni erano del resto subito emerse dalle centinaia di video scioccanti postati dagli anti-Assad che controllavano l’area. «Perfino il numero delle vittime è stranamente rimasto un mistero – le stime vanno da 300 a 1.400, il “dato” degli Usa, stimato sulla base dei corpi apparsi nei video».Come mai non è andata come con la provetta di Colin Powell che scatenò l’inferno in Iraq nel 2003? Il giornalista investigativo Seymour Hersh ha analizzato il caso sulla “London Review of Books”, citando fonti militari e dei servizi. Da mesi l’intelligence aveva avvertito la Casa Bianca che «anche i ribelli potevano avere e usare il gas Sarin». Ma Obama e i suoi, «senza portare nessuna prova, hanno cercato di vendere un bel sacco di bugie». Salvo poi cambiare linea all’ultimo minuto, quando è stato evidente che un’azione militare sarebbe stata sgradita ai più: clamoroso il “no” del Parlamento britannico, schiaccianti i sondaggi tra i cittadini americani, contrari all’intervento. Mesi fa, aggiunge Marinella Correggia, l’analista Sharmine Narwani ha studiato il rapporto degli ispettori Onu: «Alla fine non ci dice nulla su che cosa sia successo a Ghouta, né su come o su chi». Gli esperti militari notano «discrepanze fra le analisi dell’ambiente – niente tracce di Sarin a Muadamya ad esempio – e quelle sulle munizioni e sulle persone esaminate – positive al Sarin, forse portate lì da altri luoghi, dai ribelli che controllano l’area?».Del resto, ammettevano gli ispettori stessi che tutta l’ispezione era avvenuta – cinque giorni dopo il fatto – sotto il controllo dei ribelli e con possibili manipolazioni dei reperti e dei luoghi. Un funzionario dell’Onu, anonimo, puntava il dito sull’intelligence saudita, «ma nessuno osa dirlo». Lo ha detto anche, a suo tempo, il sito di opposizione “Syriatruth” (e anche il newsmagazine “Sibialiria”). Di recente il “New York Times” ha di fatto smentito – a pagina 8 e in poche righe – la propria famosa «analisi del vettore» fatta in settembre insieme a “Human Rights Watch”, analisi a suo tempo così utile a Obama e agli altri interventisti che, come dice Hersh, non avevano davvero altro per le mani. Eppure, protesta Giulietto Chiesa, «per settimane tutti i giornali e tutti i telegiornali italiani dissero – nei titoli, nei testi, nei commenti, come se fosse ovvio – che “il dittatore sanguinario Assad” gasava, massacrava i propri cittadini. Verifiche? Nessuna. Bastava copiare quello che diceva Obama».Adesso, scrive Chiesa sul “Fatto Quotidiano”, quei media dovrebbero essere obbligati a smentire, ma non smentiscono. «Dovrebbero licenziare i giornalisti bugiardi e incompetenti (unico licenziamento che noi saremmo disposti ad applaudire), ma non licenziano. I direttori di quei giornali e telegiornali dovrebbero apparire in video, o in prima pagina, scusandosi per i propri “errori” e orrori. Ma fanno finta di non ricordarsi niente». Eppure non fu cosa da poco. «Arrivammo a un passo dal bombardamento di Damasco da parte delle forze americane e della Nato, per punire il “gasatore”». Gli ipocriti ora tacciono, ed è un silenzio poco rassicurante: «Stiamo tutti molto attenti: una masnada di delinquenti (o di irresponsabili) ha in mano i principali canali di informazione dell’Occidente. Adesso abbiamo la prova che avremmo potuto essere trascinati in guerra da costoro. E sappiamo anche che è già avvenuto ripetutamente. Sono armati. Bisogna togliere loro le armi della menzogna di cui dispongono».Una colossale montatura, progettata a tavolino sulla base di prove false: l’esercito siriano, che la Nato stava per bombardare lo scorso settembre, non ha mai usato armi chimiche contro la popolazione civile di Damasco. Il gas Sarin che ha ucciso centinaia di siriani è stato usato dai “ribelli”, finanziati e protetti dall’Occidente. E’ stata dunque una gigantesca menzogna mediatica – esattamente come quella delle “armi di distruzione di massa” di Saddam – a trascinare il mondo sull’orlo di una guerra devastante. Lo affermano da Boston gli specialisti del Mit, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology. «Adesso – dichiara Giulietto Chiesa – sappiamo, oltre ogni dubbio, che la Cia ha mentito e che il bombardamento di armi chimiche sulla periferia di Damasco, il 21 agosto 2013, fu compiuto dai mercenari che combattono contro Bashar al-Assad. Ci furono oltre mille morti, dissero». Ma on è stato un “tragico errore”. La verità è un’altra: «Mentivano», e in fondo «è il loro mestiere».