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Gioele Magaldi: non tutti i coronavirus vengono per nuocere
L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.Quanto a Conte, giù la maschera: prima scatena il panico, poi si accorge dei danni anche economici provocati dalla gestione dilettantesca dell’epidemia. Ma attenti: forse, non tutti i coronavirus vengono per nuocere. Lo afferma, provocatoriamente, un osservatore come Gioele Magaldi. Il suo Movimento Roosevelt è nato nel 2015 per tentare di scuotere i partiti, risvegliandoli: non possiamo continuare così, incassando sconfitte e rinunciando a riconquistare il futuro. Capitolo fondamentale, le regole europee: di rigore si muore, e il rigore non è figlio di nessuna saggezza economica. E’ solo delirio ideologico, partorito da menti malate e bugiarde: quelle di un’élite che Magaldi definisce “neoaristocratica”, che ha forgiato il dogma neoliberista (tagliare lo Stato, la spesa pubblica) per depredare interi paesi, privatizzando beni strategici e condannandoli così al declino, come avviene per l’Italia. Nel saggio “Massoni”, edito da Chiarelettere, Magaldi – massone lui stesso, di marca progressista – sostiene che sia interamente massonico il gotha del potere globalista. Dopo la stagione rooseveltiana e keynesiana del benessere diffuso, questo super-potere è stato egemonizzato da un’élite reazionaria, neo-feudale, ispirata anche filosoficamente da dottrine elitarie.A reggere il pianeta sarebbe una sorta di aristocrazia dello spirito, nutrita di teorie come la “sinarchia” ottocentesca del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: solo noi possiamo capire il mondo e dunque governarlo, non certo il popolo bue. Da lì all’attuale “aristocrazia del denaro”, il passo è breve: solo business, in poche mani, dietro le quinte della psico-geopolitica di oggi. Magaldi lo ripete fino alla nausea: smettiamo di ragionare in termini di Occidente, Russia e Cina. Non è più tempo, non serve: i sistemi-paese esistono sempre, anche in termini “imperiali”, ma a decidere sono ormai altri soggetti, che restano in ombra: conventicole trasversali, comitive apolidi, comitati d’affari composti da americani e cinesi, europei e russi. Detengono leve formidabili: finanziarie, militari, di intelligence, mediatiche. Sono loro, a monte, a fare e disfare qualsiasi progetto, dalle crisi economiche alle eroiche imprese dell’Isis. Lo scopo è sempre occulto, i metodi raffinati. Molto più a valle, i media – ormai innocui e reticenti – ripetono la lezioncina del momento. E in fondo alla catena ci siamo noi, sempre a corto di informazioni attendibili. Vale anche per il coronavirus?Mentre giornali e televisioni si guardano bene dall’esplorare spiegazioni eterodosse e magari imbarazzanti, il web si scatena: nel mirino ci sono soprattutto gli Usa, in guerra con la Cina, capaci – in mille modi, teoricamente – di piegare il colosso asiatico. Anche su questo punto, Magaldi si esprime in controtendenza: e se fosse stato lo stesso sistema-Cina ad auto-sabotarsi, con il virus, per mascherare l’attesa frenata economica, comunque in arrivo, restituendo alla nuova superpotenza orientale un volto meno minaccioso, più umano e meritevole di solidarietà internazionale? Per accettare la plausibilità del ragionamento occorre prestare fede alla mole di informazioni che Magaldi dichiara di possedere, custodite in 6.000 pagine di dossier riservati. Antefatto: nel lontano 1980, la superloggia reazionaria “Three Eyes” dominata da Kissinger estende i suoi tentacoli in Cina, promettendo di inserire i cinesi nel grande gioco dell’economia, all’alba della grande gloablizzazione, senza pretendere che, in cambio, la Cina diventi democratica, accetti la presenza di sindacati e limiti l’inquinamento della sua industria.Sono le basi dello storico boom, grazie a cui – una volta entrata nel Wto – la Cina (che sorregge le sue aziende con poderosi aiuti di Stato) sbaraglierà la concorrenza occidentale, imponendo prodotti a basso costo e mettendo in crisi le aziende concorrenti, occidentali, a cui nel frattemo l’élite neoliberista (sempre lei) ha tolto gli auti statali e aumentato a dismisura il carico fiscale, attraverso le politiche di austerity. La Cina, riconosce Magaldi, ha saputo approfittare di questo “regalo” sbalordendo il mondo: ha debellato la povertà in pochissimi anni, dando vita a realizzazioni che sono d’esempio per l’intero pianeta. Ha fatto tutto da sola? No, ovviamente: è stata aiutata, con regole tuccate in partenza. Tecnicamente: concorrenza sleale. Le menti del piano? Occidentali, purtroppo. L’obiettivo: trasformare lo stesso Occidente in una altrettanto gigantesca Cina: cioè un sistema efficientissimo, che produce miliardi, ma senza più diritti democratici. Non ci credete? E’ utile ricordare la violentissima repressione degli studenti di Pechino, che nel 1989 invasero piazza Tienanmen reclamando l’avvento della democrazia, sull’onda dell’entusiasmo per la Perestrojka di Gorbaciov: i carri armati di Deng Xiaoping fecero capire da che parte stesse, l’impenetrabile dirigenza del Celeste Impero, un tempo “rossa”.Magaldi è tra quanti considerano il veleno neoliberista come una sorta di virus: un’arma di distruzione di massa. Dalla Cina, dice, c’è comunque da imparare. Il suo riscatto economico, ovviamente, non poteva prescindere dal ruolo finanziario dello Stato. E vale anche per noi, che ce lo siamo dimenticato: fu il Piano Marshall a far risorgere l’Italia ridotta in macerie. Fu l’Eni di Mattei a farla balzare in vetta alle classifiche. E ancora: fu la politica “socialista” della Prima Repubblica a far volare il made in Italy, mediante poderosi investimenti sociali e infrastrutturali. Con abbondanti lacrime di coccodrillo, una fetta del paese ha appena riabilitato Craxi. Al culmine del suo potere, il leader del Psi osò opporsi alla superpotenza americana durante la crisi di Sigonella, per difendere la sovranità italiana. Oggi, i nostri politici calano le brache al primo stormir di fronde che provenga dai grigi burocrati di Bruxelles. Ieri sapevamo dire di no a Reagan, oggi diciamo di sì al primo Dombrovskis che passa per strada. Eppure, l’Italia era diventata la quinta potenza mondiale proprio grazie al deficit: ospedali, scuole, ferrovie, autostrade. Il gruppo pubblico Iri era il maggior conglomerato industriale d’Europa: era stragetico, per alimentare lo sterminato indotto privato. E’ stato smantellato da Prodi, poi coadiuvato da Draghi per le restanti privatizzazioni all’italiana.Di nuovo: Prodi e Draghi (entrambi supermassoni, secondo Magaldi) si sono limitati ad eseguire ordini. C’era un piano: sabotare l’Italia, potenza scomoda perché forte della sua economia mista, pubblico-privata. Come la Cina di oggi? Sì, ma con una differenza: era un paese democratico, con diritti sociali conquistati al prezzo di dure lotte politiche e sindacali, persino negli anni agitati degli opposti estremismi. Terrorismo e strategia della tensione: tutte operazioni «progettate sempre dalla “Three Eyes” anche attraverso la P2 di Gelli». Ma neppure le bombe erano riuscite a piegare il Belpaese. C’è voluto il crollo del Muro di Berlino, la rottamazione giudiziaria della classe politica della Prima Repubblica, l’avvento dei privatizzatori al governo (D’Alema, Amato, Prodi). Prima ancora: Ciampi aveva aperto la prima gravissima falla, staccando Bankitalia dal Tesoro e impedendo alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato a costo zero. Di colpo, il debito pubblico – risorsa strategica per la crescita – divenne un problema. Poi è stato fatto diventare addirittura una colpa, nella distorsione orwelliana della narrazione economica neoliberista.E adesso eccoci qui, alle prese con il coronavirus e senza i soldi per affrontare l’emergenza. Gli spiccioli di cui parla il governo Conte fanno ridere, dice Magaldi, esattamente come i margini di flessibilità – solo briciole – graziosamente concessi dal potere feudale eurocratico, insediato a Bruxelles senza nessuna investitura popolare. Magaldi, europeista convinto, su questo è chiarissimo: servono gli eurobond, per sostenere i debiti pubblici e archiviare per sempre il fantasma dello spread. L’ha ripetuto anche Christine Lagarde, fino a ieri custode – con Draghi – del rigore europeo. E a proposito di Draghi, che sottobanco contende a Prodi la successione a Mattarella: l’ex cavaliere nero dell’ordoliberismo europeo ora sostiene che bisogna ribaltare il tavolo, mettere fine alla scarsità artificiosa di moneta e, addirittura, esplorare le possibilità offerte dalla Mmt, la liquidità illimitata per sostenere l’economia europea. Per Magaldi, il problema sta nel manico: lo statuto della Bce impone alla banca centrale di tenere bassa l’inflazione. Errore: il primo obiettivo dovrebbe essere la piena occupazione, costi quel che costi (anche perché, oltretutto, l’emissione di moneta oggi non costa nulla). Non è economia, è solo politica. E se quella italiana dorme ancora, chissà che non sia il maledetto coronavirus a svegliarla. Si citofoni alla Disunione Europea, reclamando il dovuto: oggi per l’Italia, domani per tutti. In modo che un giorno, finalmente, una Unione Europea cominci a esistere, per davvero.L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.
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Magaldi: ma il coronavirus fa comodo alla dirigenza cinese
E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, besteller o ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.«Come al solito, c’è qualcuno che ha interesse a indebolire il nostro paese: evidente l’intenzione di colpirci, addirittura puntando a metterci tutti in quarantena, con un allarmismo devastante per l’economia nazionale. Ma dobbiamo anche essere nitidi e impietosi sulla modalità irrespondabile, sciamannata e sgangherata del governo Conte nel gestire questa supposta emergenza». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente italiano della massoneria progressista sovranazionale, ragiona a ruota libera, nella trasmissione in web-streaming su YouTube “Massoneria On Air”. «Vi sembra possibile far chiudere anche i bar a Milano e impedire riunioni pubbliche e private, nemmeno fossimo sotto il fascismo, o in Corea del Nord? E per cosa, poi? Per un virus che, a quanto a pare, provocherebbe solo una forma di influenza, in grado di insidiare – come qualunque altra affezione influenzale – solo gli invidivui già deboli, anziani e molto malati?». Ovvio: «La nornale influenza, ogni anno, provoca delle morti. Ma non è, che per questo, chiudiamo le scuole e le università, vietiamo gli assembramenti, fermiamo il campionato di calcio».Siamo veramente alla follia, aggiunge Magaldi, a meno che non si calcoli che «c’è chi, dalla sua posizione apolide, sovranazionale, approfitta di queste situazioni per danneggiare l’Italia». Se è così, trova un alleato involontario «in questi poveracci al governo». Uno su tutti, «quell’ineffabile cicisbeo di Luigi Di Maio, improvvidamente elevato a cariche ministeriali», che ha detto ai turisti: venite pure in Italia, non c’è di che preoccuparsi. Fantastico, vero? Prima scateni il panico, scambiando il coronavirus per l’Ebola. Poi scopri che tutto questo minaccia l’economia e devasta l’immagine internazionale dell’Italia. E allora dichiari, candidamente, che in fondo il coronavirus non è la peste bubbonica di manzoniana memoria, ma solo un’influenza un po’ più fastidiosa. Ma se è così, perché traformare il Nord Italia in zona di guerra, sottoponendolo allo stato d’assedio? «Siamo alle comiche finali, davvero. L’Italia è stata la prima a bloccare i voli diretti dalla Cina, trascurando però i passaggeri provenienti da scali intermedi». Errori su errori, di gestione e di comunicazione. «Per queste cose, qualcuno poi dovrà pagare, visto che si parla di danni economici ingenti: e non è giusto che a rimetterci sia solo il popolo, e non anche i governanti».Piuttosto: «Perché invece non cogliere l’occasione, per chiedere a Bruxelles una deroga ai trattati europei?». Serve un radicale allentamento del rigore, per finanziare «il grande New Deal rooseveltiano di cui l’Italia ha bisogno, per rilanciare l’economia». Quale migliore opportunità di quella offerta dal coronavirus, che sta esibendo un’Italia piegata dall’emergenza? Ma forse è chiedere troppo, al professor-avvocato Conte, che non trova di meglio che sparacchiare a casaccio sugli ospedali lombardi. Ben altra, secondo Magaldi, è invece la capacità mostrata da Pechino nel gestire la catastrofe sanitaria, con le sue ricadute sociali, economiche e politiche. Attenti, niente è come sembra: il regime di Pechino – in apparenza, soltanto vittima della crisi scatenata dal coronavirus – è in realtà il grande beneficiario politico dell’epidemia che sta mettendo in ginocchio il popolo cinese. Sembra paradossale, ma a guadagnarci sarebbe proprio la dirigenza cinese: spettacolare diversivo, il coronavirus, all’indomani dello stop imposto da Trump con dazi e sanzioni. Risultato: Pechino ha la scusa per la grande decrescita dell’economia, e nel frattempo censura ulteriormente i cinesi e mostra al mondo un volto più umano, dimesso, sofferente.In fondo, comunque, «Trump non è altro che l’epifenomeno di una consapevolezza, per quanto tardiva, che ormai attraversa anche ambienti politici avversi alla Casa Bianca». Tutto nasce nel 1980, secondo Magaldi, su iniziativa di una potentissima superloggia massonica reazionaria, la “Three Eyes” di Kissinger: «L’ala neoaristocratica della massoneria globale ha inserito la Cina nel gioco economico mondiale, senza pretendere che si democratizzasse. Attenti: non fu sciatteria, ma una precisa intenzione». Obiettivo, costruire una specie di mostro: economicamente formidabile, ma senza democrazia. «Chi ha consentito al dirigismo cinese, non democratico e liberticida, di espandersi quasi senza limiti, voleva un’involuzione antidemocratica anche per il mondo occidentale». Fortissima la suggestione, anche subliminale, creata dal nuovo modello di Pechino: se la Cina cresce così tanto, perché non imitarla? Problema: «Si è lasciato che il governo cinese finanziasse le sue aziende, chiamate a competere con quelle occidentali che invece si vedevano privare del sostegno pubblico». Beninteso: «Ha fatto benissimo, la Cina, a sostenere la sua industria, oltretutto con risultati sbalorditivi».Anche Magaldi ammira le immense capacità dei dirigenti di Pechino: «Hanno ottenuto obiettivi impensabili, favolosi, e in tempi rapidissimi. E hanno fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone, attraverso realizzazioni straordinarie». In questo, aggiunge, il “Frankenstein” cinese va sicuramente imitato. «E’ l’Occidente, semmai, che deve tornare a consentire al pubblico di sostenere il privato, permettendogli di competere alla pari coi cinesi. E la stessa Cina, da parte sua, deve poter continuare a espandersi, ma cambiando le sue regole: non possiamo pensare che il XXI secolo sia egemonizzato da una potenza non democratica». Temi che ormai, s’è visto, occupano il posto d’onore nell’agenda statunitense: il neo-protezionismo di Trump piace pure ai democratici, se è di stampo anti-cinese. Anche per questo, probabilmente, vale la pena usare le stesse lenti – dietrologiche – per leggere meglio cosa può nascondersi, a livello speculativo, dietro a una tragedia sociale come quella del coronavirus, che sembra destinata a incidere in modo pesantissimo nell’evoluzione geopolitica. E il vero sconfitto, sembra concludere Magaldi, potrebbe essere l’Occidente: guai, se non capisse che la formula cinese (massiccio intervento dello Stato nell’economia) è la chiave vincente per scacciare la crisi neoliberista che da decenni ci opprime.E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, bestseller e ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.
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Usa-Cina, la guerra sporca del coronavirus. Le vittime: noi
Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina non è democratica.Per inciso: Pechino detiene una fetta rilevante del mostruoso debito estero statunitense, il maggiore del mondo (gli Usa consumano, ma il costo lo scaricano sui cinesi). Comodo, oggi, per il debitore insolvente, dichiarare guerra proprio alla Cina, il creditore: guerra ufficiale, con i dazi, e guerra segreta a colpi di virus? L’ipotetica “guerra batteriologica Usa” è il primo dei tre scenari esplorati da Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”. La cronistoria è precisa. Nel 2017, proprio a Wuhan (l’avanzatissima Silicon Valley cinese) viene aggiornato un importante centro di ricerca di livello 4: oltre al personale cinese operano l’Oms, scienziati inglesi e americani. Obiettivo delle ricerche: un progetto condiviso per la salute pubblica mondiale. Il laboratorio esiste dal 2014, e nel 2015 viene brevettato un vaccino per un nuovo ceppo di coronavirus, molto più pericoloso dell’attuale, grazie anche agli ingenti fondi della Commissione Europea e della Fondazione Gates. A marzo 2019, il Canada invia un pacchetto di virus letale da studiare in caso di contagio a Wuhan. Operazione inizialmente segreta, poi desecretata dallo stesso governo cinese, preoccupato per la pericolosità della circolazione di tali agenti patogeni nel suo territorio.Il 18 ottobre del 2019, il Global Security Studies della John Hopkins University, di concerto con la Fondazione Gates, Bloomberg e il World Economic Forum, riunisce 15 leader mondiali (politici, economisti, filantropi, scienziati e militari) per simulare una pandemia partita ipoteticamente dal Brasile. Lo studio, chiamato Evento 201, riproduce virtualmente un’emergenza di 18 mesi per una pandemia globale, con 65 milioni di morti. Precisamente, l’Evento 201 simula lo scoppio di un coronavirus “zoonotico” che si trasmette da pipistrelli e maiali all’uomo, esattamente come nella spiegazione “scientifica” che ci hanno raccontato i media dopo i primi casi di contagio. Sempre a Wuhan, il 15 ottobre scorso, in occasione dell’evento Military World Games si registra una presenza massiccia di militari occidentali e funzionari del Pentagono, oltre che apparati di intelligence. «Ed è curioso – scrive Galgano – che due settimane dopo, proprio nella stessa città e dopo tutti i precedenti studi virologici e le simulazioni effettuate, sia nata la pandemia: il tempo di incubazione può variare entro un range di 15 giorni e, guarda caso, i primi casi ufficiali sono venuti fuori lo scorso inverno».Secondo la rivista “The Lancet”, il primo caso di infezione risale ipoteticamente al 1° dicembre, e la persona contagiata non si sarebbe mai recata al famoso mercato ittico di Wuhan. Il primo decesso ufficiale è invece dell’11 gennaio 2020. L’emergenza massima cade proprio durante il capodanno cinese, il 25 gennaio, con flussi migratori di centinaia di milioni di persone in viaggio dalle campagne alle città, a bordo di treni e aerei: quale migliore occasione per estendere il contagio? Negli Usa, il super-esperto Francis Boyle lo afferma candidamente, evitando di ricordare che nei laboratori militari di Wuhan non ci sono solo scienziati cinesi. «Il coronavirus è un’arma da guerra biologica creata in un laboratorio di Wuhan, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne è già a conoscenza», afferma Boyle in un’intervista video rilasciata al sito “Geopolitics and Empire”. Il professor Boyle, docente di diritto all’Università dell’Illinois, nel 1989 ha redatto il Biological Weapons Act, la legge antiterrorismo per le armi biologiche. Boyle sostiene che il coronavirus, «un’arma da guerra biologica potenzialmente letale», sarebbe «fuoriuscito da un laboratorio di massima sicurezza» di Wuhan.Il governo cinese avrebbe quindi inizialmente cercato di coprire il caso, mentre ora sta adottando misure drastiche per contenere l’epidemia. E visto che il laboratorio Bsl-4 di Wuhan è anche un centro di ricerca dell’Oms, secondo Boyle la stessa organizzazione sanitaria mondiale «non poteva non sapere». Galgano ricorda gli avvertimenti del genarale Fabio Mini, già dirigente Nato: la guerra batteriologica sarà una delle più insidiose, nel futuro. In un mondo fino a ieri traumatizzato dall’Isis, creatura terroristica “fabbricata” in provetta da settori dell’intelligence occidentale, perché escludere che gli stessi poteri occulti che hanno scatenato l’Isis possano ricorrere anche ad agenti patogeni per provocare epidemie letali? «Ci sono troppi investimenti e studi in joinventure con l’apparato militare, per non solleticare certe idee e per non testare e utilizzare tali strumenti», riflette Galgano. «Perché mai gli Usa e altri paesi del blocco occidentale non dovrebbero utilizzare, come armi, eventuali virus da tempo studiati», visto che «il Pentagono, la Nato, l’Oms e tutte le Fondazioni occidentali hanno speso migliaia di miliardi di dollari e fatto ingenti investimenti ovunque in questo settore strategico?».Nella peggiore delle ipotesi, il Covid-19 potrebbe rappresentare «la prima di una lunga serie di pandemie non casuali, un primo vero test di massa per studiare gli effetti su larga scala, non più solamente relegati alle simulazioni teoriche, comprendendo il grado di sostenibilità delle popolazioni e dei diversi governi colpiti dalla “cattiva sorte”». Servirebbe a «verificare sul campo il funzionamento delle quarantene, la reazione delle persone e di eventuali isterie di massa», e in più – fatto non secondario – favorirebbe «una vaccinazione di massa sempre più accettata», oltre a provocare, nel frattempo, ingenti danni collaterali, e cioè «diverse conseguenze negative dal punto di vista finanziario, militare e geopolitico». Una “piccola pandemia” sembra tragicamente funzionale: può destabilizzare l’economia del “rivale”, «senza innescare necessariamente una guerra militare, che forse non converrebbe a nessuno». Per i suoi ipotetici ideatori sarebbe addirittura «un male minore», secondo “Maestro di Dietrologia”, «proprio ora che la Cina stava primeggiando economicamente, proprio durante il capodanno cinese, proprio nella stessa città dove la Fondazione Gates e la “sovragestione” hanno investito e operato nei laboratori di ricerca di Wuhan».Attenzione, sono solo ipotesi: «Non ci sono prove documentabili, ad oggi, che possa essere una strategia voluta». Ci sono semmai «ottimi indizi», sicuramente più numerosi di quelli che depongono a favore della pura casualità, a cui sembrano invece credere i media. Sono gli stessi media che, peraltro – lo ricordano vari medici italiani intervistati da Claudio Messora su “ByoBlu” – stanno trattando il coronavirus come fosse la peste, scatenando il panico tra la popolazione in modo criminale e irresponsabile, data anche la bassissima pericolosità del virus in Italia, che a quanto pare minaccia seriamente solo gli individui anziani e già molto malati. Ma guai a fare ipotesi complottistiche: in televsione, Diego Fusaro è stato zittito (e insultato, come se fosse pazzo) per il solo fatto di aver ipotizzato, a rigor di logica, la possibilità di includere, tra le altre, anche l’eventuale origine dolosa. Su Twitter, Paolo Barbard mette a fuoco un altro indizio preoccupante: a svelare la correlazione tra uomo e pipistrelli, nella propagazione del virus, è stata l’università californiana di Berkeley, e l’ha fatto con uno studio finanziato – con largo anticipo sull’epidemia – proprio dalla Darpa, l’agenzia del Pentagono specializzata in armi sperimentali, biologiche e batteriologiche. Interpellati i diretti interessati, Barnard registra le risposte: «Duemila righe di email firmate da Jared Adams, responsabile della comunicazione della Darpa, e silenzio assoluto invece da parte di Cara Brook, la biologa responsabile della ricerca».Tutta colpa dei soliti “amerikani”, cioè del famigerato Deep State che, dopo aver assassinato i Kennedy e Martin Luther King, avrebbe organizzato l’auto-attentato dell’11 Settembre? Non è detto, osserva “Maestro di Dietrologia”: per Simone Galgano, c’è pure la possibilità che la Cina, ormai messa in stato di assedio dalla superpotenza atlantica, possa aver esibito «la prova di forza del Drago», auto-sabotandosi per dimostrare la sua capacità di resistenza, nel caso qualcuno pensasse davvero di sterminare i cinesi, altrimenti inarrestabili. Galgano la definisce un’eventualità non troppo remota: «La Cina mostrerebbe i muscoli, mettendo in campo una copertura sanitaria su larga scala difficilmente replicabile in altri paesi». Un paese che si presenta «più forte e unito che mai, dinnanzi a sciagure di qualsiasi natura». In pratica: «Sacrificando solo sul breve termine la sua economia», Pechino colpirebbe il business occidentale «puntando su un’economia autarchica, nazionalista, in netto contrasto con la globalizzazione vigente». Un avvertimento alla comunità internazionale: la Cina si salverebbe comunque, mentre a sprofondare saremmo noi. Beninteso: a partire dall’Africa, è in corso una guerra segreta, anche per il controllo delle materie prime.Da parte sua, Pechino non tollera il dissenso e non esita a schiacciare la protesta di Hong Kong. Sarebbe capace di attuare una simile strategia della tensione, tra lacrimogeni e virus, per cristallizzare il potere centrale? In questo – ed è il terzo scenario contemplato da Galgano – è impossibile non tenere conto delle Ur-Lodges, le potenti superlogge internazionali di cui parla Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014: si tratta di «un network di poteri transnazionali, composto da multinazionali di ogni settore strategico “senza patria”, da eserciti senza appartenenza nazionale, da poteri massonici, “magici” ed economici globalisti, che lavorano al di sopra delle entità statuali». Anche la Cina è coinvolta nelle sovragestioni supermassoniche. Reti elusive, che non agiscono per schemi rigidi: «Sono infinitamente più elastiche, non ideologiche. Mutano forma come camaleonti e la loro trasversalità determina la loro forza». In questa piramide di poteri, «ogni livello mette in atto le proprie strategie per soddisfare i suoi bisogni, e le due possibilità descritte precedentemente (una guerra batteriologica Usa e una prova di forza della Cina) possono in questo mondo essere valide entrambe e convivere come opzioni, senza contraddizioni sostanziali».Manipolazioni a catena: «Noi ingenuamente pensiamo che il potere si realizzi e finisca all’interno di Stati sovrani, ma quello è solo un nostro limite culturale e uno dei motivi per i quali viviamo ai piedi dell’oracolo», scrive Galgano. Questa, aggiunge, è «una sovragestione che necessita di abbeverarsi al capitalismo occidentale e di implementare nuove visioni orwelliane distopiche e dispotiche, che si nutre della medicalizzazione di massa e delle tecnologie pervasive di controllo strutturale, per governare i tempi della modernità dall’alto dei cieli, ad libitum». Dacci oggi il nostro virus quotidiano: «Perché dare limiti al potere quando, per definizione, esso non ha forma?». Lo stesso Magaldi ricorda che, nel 1981, le superlogge – soprattutto reazionarie, ma anche progressiste – firmarono lo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Alla Cina di Deng Xiaoping – segretamente affiliato al club delle Ur-Lodges neoaristocratiche – fu permesso di entrare nel Wto, senza pretendere che il colosso asiatico si democratizzasse. Oggi, l’ala progressista della supermassoneria sovranazionale contesta questa scelta e pretende che Pechino cambi passo, aprendo alla democrazia. Simmetricamente, il fronte reazionario (rappresentato, al di là delle etichette, da politici “dem” come i Clinton) si intendeva benissimo, fino a ieri, con l’oligarchia cinese.Un equilibrio infranto ora dal protezionismo di Trump, che negli ultimissimi anni ha coagulato attorno a sé l’intera classe dirigente degli Usa, divenuta ostile alla Cina, come conferma un osservatore del calibro di Edward Luttwak. E’ la stessa Nancy Pelosi, boss del partito democratico e acerrima rivale di Trump, a sparare a man salva su Huawei, anche incorrendo in una gaffe clamorosa come quella segnalata da Massimo Mazzucco a “Contro Tv”, in collegamento con Giulietto Chiesa: la Pelosi ha ammesso di temere la tecnologia 5G made in China, proprio perché sa che il digitale (quando è di marca Usa) serve a controllare direttamente gli utenti, attraverso un poderoso spionaggio di massa. «C’è un grande conflitto in atto da diversi anni tra Usa e Cina, e uno dei tanti motivi oggi è rappresentato dal colosso Huawei per il controllo dell’etere globale», ribadisce Galgano. La conferenza sulla sicurezza di Monaco – aggiunge – è diventata l’arena di un nuovo scontro fra gli Usa di Trump e la Cina, che in questa occasione si è difesa sfoderando l’orgoglio socialista, all’insegna dello slogan “non ci fermerà nessuno”.Cuore del confronto, il veto americano su Huawei: «Un cavallo di Troia dei servizi cinesi», secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, l’uomo che ha brindato all’uccisione in Iraq del leader iraniano Qasem Soleimani, alleato della Cina, assassinato dagli Usa in modo terroristico, con un missile. L’impero non scherza, se vede minacciati i suoi privilegi feudali: consentire a Huawei di installare la rete 5G in Europa «potrebbe arrivare a mettere a rischio la Nato», secondo il ministro della difesa Usa, Mark Esper. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi replica senza mezzi termini: «Le accuse sulla Cina sono bugie. Negli Usa non si accetta l’idea del successo in uno Stato socialista, ma questo è ingiusto, i cinesi meritano una vita migliore». Aggiunge: «Nessuno potrà fermarci, la Cina uscirà più forte di prima dall’emergenza del coronavirus», che quindi – secondo Pechino – non comprometterà la crescita del gigante asiatico. «Non vogliamo conflitti con la Cina», dichiara Pompeo, che però avverte: Pechino deve smettere di esercitare pressioni «palesi e nascoste» su nazioni come Italia, Corea del Sud e Iran. «Tutti paesi – chiosa Galgano – curiosamentre tra i più colpiti da questo virus».Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina, non è democratica.
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Magaldi: Salvini e Meloni si decideranno a battersi per noi?
Salvini che sparacchia su Bruxelles ma poi incarica Giorgetti di correggere il tiro, e intanto (evidentemente mal consigliato) bacchetta le donne che scambierebbero l’aborto per un’alternativa alla contraccezione, giusto per deliziare gli antiabortisti cronici. La Meloni risponde da par suo: condanna il bieco Fiscal Compact ma al tempo stesso assolve il suo gemello, il pareggio di bilancio. Gli altri politici? Non pervenuti: quei temi, nemmeno li sfiorano per scherzo. In questo frangente si salva solo l’indifendibile, inesistente Renzi: almeno, ha il coraggio di puntare sulla prescrizione, come ciambella di salvataggio in un sistema-giustizia che impiega secoli per emettere una sentenza, spesso dopo aver messo alla gogna presunti colpevoli che poi si scoprono innocenti. Ma che razza di paese è mai questo? C’è qualcuno che ha idea di come si potrebbe pilotare l’Italia, nel 2020 e soprattutto nei prossimi anni, in base a una parvenza di disegno strategico? Pare di no, purtroppo: si vive solo alla giornata, rincorrendo effimeri consensi. E mentre Lega e Fratelli d’Italia colpiscono nel mucchio, senza un piano preordinato né una visione leggibile, il Pd si limita all’eterno ruolo di cameriere italiano dell’Ue, attorniato dal fantasma imbarazzante dei 5 Stelle: dopo aver tradito tutte le promesse, i grillini credono di cavarsela tagliando futuri parlamentari e attuali vitalizi.
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Mazzucco, l’11 Settembre e la religione di Fausto Biloslavo
Se il simpatico Fausto Biloslavo fosse un avvocato, anziché un giornalista, il suo assisito – gli Usa – non avrebbe scampo: l’ergastolo non glielo leverebbe nessuno. Il difensore, infatti, non sa spiegare le circostanze fondamentali del crimine, i fatti: non sa spiegare come mai le Torri Gemelle crollarono su se stesse in pochi secondi, come può avvenire solo nei casi di demolizione controllata (con edifici minati dalle fondamenta), né sa spiegare com’è possibile che un Boeing possa volare a 900 chilometri orari, ad appena duecento metri di altezza, senza disintegrarsi nell’impatto con l’aria. Tra le tante, basterebbero queste due “prove regine” a inchiodare l’imputato: la sua versione risulta palemesente falsa. Eppure “l’avvocato” Biloslavo (che su questo si dichiara incompetente) ammette, candidamente, di “credere” alla versione ufficiale sull’11 Settembre. Unanime il verdetto: non della corte, ma del pubblico (in questo caso, della trasmissione “Il Ring”, offerta da “ByoBlu” mettendo a confronto Biloslavo con Massimo Mazzucco, autore di due monumentali documentari sull’attacco alle Torri, il primo dei quali – “Inganno globale” – trasmesso nel 2006 da Enrico Mentana a “Matrix”, in prima serata su Canale 5).Beninteso: è fuori discussione l’assoluta buona fede di Biloslavo, rinomato reporter di guerra in forza al “Giornale”. Lo dimostra il candore con cui ribadisce la sua tesi, sorvolando sull’evidenza dei fatti principali: gli Usa furono davvero colpiti da un maxi-attentato inatteso, e solo l’indomani decisero di approfittare della “nuova Pearl Harbor”, abusando del loro potere “imperiale” per esportare la guerra in mezzo mondo. «Me lo disse il comandante Massud, in persona: Al-Qaeda si stava preparando a colpire le città occidentali». E chi era, Al-Qaeda? E’ evidente, ammette Biloslavo, il ruolo dei sauditi. Il giornalista non esclude neppure che qualche settore dell’intelligence Usa possa esser stato al corrente della minaccia, che sarebbe stata in ogni caso sottovalutata. Sempre ricorrendo alla sua fede nella versione ufficiale, lo stesso Biloslavo esclude categoricamente che lo stratega americano Zbiginew Brzezinski possa aver reclutato Osama Bin Laden, in Afghanistan, originariamente in funzione antisovietica. Sul web circolano foto che ritraggono i due, ma Biloslavo – senza un perché – afferma di non credere all’autenticità di quelle foto, che peraltro (dice) non ha neppure mai visto.Se uno volesse inforcare le lenti della dietrologia, scoprirebbe che Gioele Magaldi, nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014) afferma di poter esibire prove schiaccianti, contenute in documenti riservati ma all’occorrenza pubblicabili. Testualmente: proprio Brzezinski affiliò Bin Laden alla superloggia “Three Eyes”, dominata da Kissinger, per farne una pedina strategica del disegno imperiale statunitense durante la guerra fredda. Più tardi, caduta l’Urss, lo stesso Brzezinski ci rimase male, quando il “fratello” Bin Laden abbandonò la “Three Eyes” per passare alla “Hathor Pentalpha” creata dai Bush, con un obiettivo preciso: elevare all’ennesima potenza il ruolo del terrorismo internazionale, “islamico” solo nella sua manovalanza, per farne un decisivo strumento di potere a livello geopolitico. Da quella “officina supermassonica” nacque il Pnac dei neocon, in cui – nel 2000 – si scrive che, per militarizzare il pianeta, occorre l’alibi di una “nuova Pearl Harbor”. L’anno dopo, tutto accadde in tre giorni: il 9 settembre venne ucciso Massud, il 10 settembre Bush esaminò il piano di invasione dell’Afghanistan e l’indomani, finalmente, crollarono le Torri.Per Biloslavo, a uccidere il leader dell’Alleanza dei Nord fu Al-Qaeda. I due killer erano agli ordini del “signore della guerra” Burnuddin Hekmathyar. Non è più un segreto per nessuno che lo stesso Hekmathyar fosse a libro paga dell’Isi, il servizio segreto militare del Pakistan, longa manus della Cia. Lo ribadì Benazir Bhutto, annunciando di volersi candidare a Islamabad anche per denunciare il legame tra servizi segreti atlantici e Al-Qaeda: hanno ucciso Massud, disse, per eliminare l’unico leader autorevole in circolazione in Afghanistan, capace quindi di restituire piena sovranità al paese una volta sfrattati i Talebani. Faceva così paura, la verità di Benazir Bhutto, che fu uccisa con un’automoba nel 2007, alla vigilia di elezioni che, secondo ogni previsione, l’avrebbero incoronata alla guida del Pakistan con un autentico plebiscito. Ma in un’ora e mezza di serrato confronto – quasi cavalleresco, se non fosse per le continue interruzioni imposte da Biloslavo a Mazzucco, nonostante l’ottima conduzione di Francesco Toscano – il giornalista non ha neppure vagamente sfiorato la maniglia della porta proibita, quella che permette di accedere alle fonti che raccontano l’altra verità, la più scomoda.Biloslavo preferisce credere alle dichiarazioni processuali di un terrorista tuttora nelle mani degli americani, che l’hanno torturato per vent’anni a Guantanamo (Khalid Sheik Mohammed: sostiene di esser stato il regista dell’operazione su ordine di Bin Laden), mentre ritiene inattendibili le testimonianze di 108 pubblici ufficiali – poliziotti e pompieri di New York – che dichiarano di aver percepito distintamente una serie di esplosioni simultanee, nelle Torri Gemelle, in prossimità dell’impatto dei velivoli. Semplicemente, Biloslavo ritiene implausibile la teoria dell’auto-attentato: un gesto troppo mostruoso, e un complotto troppo difficile da attuare (mantenendo poi il silenzio per vent’anni). Una tesi che ricorda quella agitata, per decenni, dai sostenitori della versione ufficiale sull’omicidio di John Kennedy. Tuttora, c’è chi ripete che non esistono ragioni valide per dubitare che l’assassino fu Lee Harvey Oswald. Peccato che la versione ufficiale sia stata letteralmente demolita dagli stessi autori del complotto, esecutori e mandanti intermedi. Storia che lo stesso Mazzucco ha ricostruito, prove alla mano, in un esemplare documentario di mezz’ora.L’amante di Lyndon Johnson, che odiava i Kennedy, ha ammesso che l’allora vicepresidente le confessò l’imminente fine di Jfk, la sera prima dell’attentato, dopo un summit a Dallas con i vertici della Cia e dell’Fbi. In punto di morte, l’allora numero due della Cia – Howard Hunt – registrò una dichiarazione in cui ammise di aver orchestrato il delitto usando sicari della mafia. Il pilota di un aereo della Cia, Tosh Plumlee, ha ammesso di aver trasportato a Dallas uno dei capimafia incaricati dell’esecuzione, Johnny Rosselli, confermando che il tiratore scelto – Chuck Nicoletti – li attendeva nella città texana. A far esplodere il cervello di Kennedy fu James Files, reo confesso, tuttora detenuto negli Usa. Consegnò a un detective privato, Joe West, la pistola fumante: se fate riesumare la salma di Kennedy, gli disse, troverete nel cranio le tracce di mercurio con cui era imbottito il fatale proiettile. Il detective West corse dal giudice, ma non fece in tempo a far riaprire il caso: morì in seguito a complicazioni cliniche dopo un ordinario intervento chirurgico. Il killer, James Files, è ancora in carcere, senza che nessuno si sia preso la briga di interrogarlo, né di far riesumare il cadavere di Kennedy. Si preferisce ancora credere che a sparargli fu Oswald, presentato come uno squilibrato assassino solitario, senza complici né coperture.Troppo dura, ammettere che siano stati i vertici di uno Stato a decidere di ammazzare il presidente? Se c’è un complotto, prima o poi la verità viene sempre a galla, dice Biloslavo. La confessione di Howard Hunt, altissimo dirigente della Cia, è datata 2007: quasi mezzo secolo dopo il crimine. Dall’11 Settembre sono passati appena vent’anni, ma molte verità sono già emerse. Per una piena confessione occorreanno ancora un paio di decenni? Biloslavo ride, del cosiddetto complottismo: gli sembra puro delirio, come quello dei terrapiattisti. Proprio per questo, probabilmente, Mazzucco – nei panni di pubblico ministero di un ipotetico processo – si tiene alla larga da qualsiasi tesi: non si sbilancia sui possibili autori del complotto, né sulle modalità di esecuzione. Per esempio: quali esplosivi sarebbero stati usati per minare le Torri? «Non sta a me sostenere l’onere della prova» ribadisce: «Mi basta dimostrare che la versione ufficiale non regge». Per 3.500 ingegneri e architetti americani, le Twin Towers furono demolite in modo controllato: in base alle leggi della fisica, solo abbattendo i supporti sottostanti si può verificare un crollo simile, in pochi secondi.Quanto agli aerei è la stessa Boeing a confermare: a quella quota, se un aereo come quelli volasse a 900 chilometri orari perderebbe i pezzi, subendo il distacco delle ali. E dunque? Se quelli non erano Boing normali ma aerei-bomba rinforzatati e telecomandati, dove sarebbero finiti i passeggeri? Bella domanda, dice Mazzucco: forse un giorno lo scopriremo. I 19 ipotetici dirottatori – quelli che in realtà non erano in grado di pilotare aerei – non sono mai stati filmati, negli scali d’imbarco. E sono almeno una trentina i fatti – i riscontri oggettivi, incontrovertibili – che demoliscono la versione ufficiale, nella quale Biloslavo dichiara di “credere” (se non altro perché non osa prendere in considerazione, psicologicamente, l’idea del maxi-complotto). Intanto – e non è poco – ha comunque accettato di confrontarsi con Mazzucco, stimatissimo negli Usa per il suo lavoro di indagine giornalistica. E, con la trasmissione web-streaming del 14 febbraio su “ByoBlu”, Messora e Toscano hanno fatto un piccolo capolavoro di informazione: dimostrando, in un leale confronto alla pari, che il mainstream media non sa spiegare, tecnicamente, perché le Torri Gemelle crollarono in quel modo (e neppure se lo domanda, a distanza di vent’anni).Se il simpatico Fausto Biloslavo fosse un avvocato, anziché un giornalista, il suo assistito – gli Usa – non avrebbe scampo: l’ergastolo non glielo leverebbe nessuno. Il difensore, infatti, non sa spiegare le circostanze fondamentali del crimine, i fatti: non sa spiegare come mai le Torri Gemelle crollarono su se stesse in pochi secondi, come può avvenire solo nei casi di demolizione controllata (con edifici minati dalle fondamenta), né sa spiegare com’è possibile che un Boeing 767 possa volare a 900 chilometri orari, ad appena duecento metri di altezza, senza disintegrarsi nell’impatto con l’aria. Tra le tante, basterebbero queste due “prove regine” a inchiodare l’imputato: la sua versione risulta palesemente falsa. Eppure “l’avvocato” Biloslavo (che su questo si dichiara incompetente) ammette, in modo disarmante, di “credere” alla versione ufficiale sull’11 Settembre. Unanime il verdetto: non della corte, ma del pubblico (in questo caso, della trasmissione “Il Ring“, offerta da “ByoBlu” mettendo a confronto Biloslavo con Massimo Mazzucco, autore di due monumentali documentari sull’attacco alle Torri, il primo dei quali – “Inganno globale” – trasmesso nel 2006 da Enrico Mentana a “Matrix”, in prima serata su Canale 5).
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Magaldi: se gli Usa concedessero la grazia a Julian Assange
«Gli Stati Uniti concedano la grazia a Julian Assange, vittima di una vera e propria persecuzione». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, interviene sul caso del giornalista australiano, creatore di WikiLeaks tuttora in carcere nel Regno Unito, in attesa di essere estradato negli Usa. «Se le rivelazioni di WikiLeaks sulle nefandezze commesse dal potere militare non hanno causato vittime – precisa Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – sarebbe bene che le autorità statunitensi mettessero fine a questa tormentata vicenda, graziando Assange». Secondo Magaldi, va comunque tenuto conto che i “leaks” diffusi da Assange potrebbero aver messo in pericolo operatori dell’intelligence, svelandone l’identità. «Inoltre – aggiunge Magaldi – la denuncia di Assange si è concentrata esclusivamente sugli Usa, ignorando le analoghe scorrettezze commesse da paesi come la Russia e la Cina: di questo, dovrebbe essere lo stesso Assange a scusarsi pubblicamente». Oltretutto, «solo un’assoluta imparzialità rende più autorevole la fonte, che viceversa potrebbe essere accusata di aver fatto il gioco di qualcuno».Tutto questo, ribadisce Magaldi, «nulla toglie alla grandezza dell’opera di Assange, che ha disvelato, all’opinione pubblica occidentale, l’incorenza di chi si ammanta della retorica democratica». Meglio ancora sarebbe stato se Assange avesse prodotto analoghe rivelazioni «su chi non tenta neppure di apparire rispettoso dei diritti e dei valori della democrazia». Tra i più accesi difensori di Assange, un reporter di razza come Paolo Barnard, un anno fa sistematosi sotto le finestre dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per reclamarne la liberazione. Al momento del primo arresto, anche Barnard aveva manifestato riserve: mettere in piazza nomi e cognomi, inclusi quelli di tanti 007, può mettere in serio pericolo operatori “coperti”, impegnati sul terreno e non per forza coinvolti in operazioni inaccettabili. Poi però, di fronte alla clamorosa persecuzione riservata ad Assange – con casi giudiziari costruiti a tavolino – Barnard ha cambiato posizione: picchiare duro su Assange, ormai è chiaro, serve a minacciare indirettamente tutti i giornalisti che fossero intenzionati a fare il loro mestiere onestamente.«Colpirne uno per educarne cento», sintetizza Massimo Mazzucco, in web-streaming con Giulietto Chiesa su “Contro Tv”. «Il messaggio è chiaro: guai a chi prova a mettersi di traverso». Mazzucco e Chiesa prendono nota: gli Usa non esitano ad assassinare il numero due dell’Iran, Qasem Soleimani, poi tacciono sui raid arei di Israele in Siria (che hanno costretto un volo civile a un atterraggio d’emergenza) e applaudono – a Camere riunite – il presidente Trump che presenta come «unico e vero presidente legittimo del Venezuela» l’oscuro Juan Guaidò. «E’ stato il loro “uomo di paglia” scelto per rovesciare Maduro. Non ha funzionato, ma insistono ugualmente: tutti devono sapere che Washington ci riproverà, non tollerando che il suo potere venga sfidato». Quanto ad Assange, la sua sorte sembra segnata. «Un giornalista del “Guardian” – scrisse Barnard, un anno fa – mi ha confidato che l’ordine, in redazione, era di dimenticare Assange e abbandonarlo al suo destino». Oggi, Magaldi (che pure contesta al fondatore di WikiLeaks di non esser stato impeccabile) insiste: meglio sarebbe se si intavolasse un dialogo chiarificatore onesto. E sarebbe un gran gesto, da parte di Trump, concedere la grazia a Julian Assange.«Gli Stati Uniti concedano la grazia a Julian Assange, vittima di una vera e propria persecuzione». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, interviene sul caso del giornalista australiano, creatore di WikiLeaks tuttora in carcere nel Regno Unito, in attesa di essere estradato negli Usa. «Se le rivelazioni di WikiLeaks sulle nefandezze commesse dal potere militare non hanno causato vittime – precisa Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – sarebbe bene che le autorità statunitensi mettessero fine a questa tormentata vicenda, graziando Assange». Secondo Magaldi, va comunque tenuto conto che i “leaks” diffusi da Assange potrebbero aver messo in pericolo operatori dell’intelligence, svelandone l’identità. «Inoltre – aggiunge Magaldi – la denuncia di Assange si è concentrata esclusivamente sugli Usa, ignorando le analoghe scorrettezze commesse da paesi come la Russia e la Cina: di questo, dovrebbe essere lo stesso Assange a scusarsi pubblicamente». Oltretutto, «solo un’assoluta imparzialità rende più autorevole la fonte, che viceversa potrebbe essere accusata di aver fatto il gioco di qualcuno».
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Magaldi: massoni in guerra, ma per vincere serve il popolo
La guerra dei poveri, la chiamò Nuto Revelli. E i poveri erano gli alpini in Russia con le suole di cartone, i partigiani in armi dopo l’8 settembre, i montanari che li nutrivano con pane duro e castagne. Un memoriale-capolavoro, quello uscito per Einaudi nel 1962, in cui Revelli racconta in modo magistrale la vertiginosa trasformazione di un intero paese, grazie allo choc collettivo della catastrofe bellica. Metamorfosi che investe lo stesso protagonista: da ufficiale fascista, imbevuto di retorica militarista, a comandante della Resistenza, nelle brigate “Giustizia e Libertà”. Il brusco risveglio, nel 1943, è propiziato dallo sfacelo delle forze armate allo sbando, il 25 luglio. Un anno dopo, quando gli Alleati sbarcheranno in Provenza, una divisione corazzata della Wehrmacht si muoverà dal Cuneese per affrontarli. Nuto Revelli e i suoi riusciranno a rallentare i panzer per dieci giorni, inchiodandoli tra le gole della valle Stura, permettendo così agli americani di conquistare le alture di Nizza. Finita la battaglia, il comandante vorrebbe marciare verso la Liguria. Ma gli uomini glielo impediscono, vogliono svalicare in Francia. E la spuntano: votando, per alzata di mano. Democrazia, in alta montagna, dopo vent’anni di adunate nere: il riscatto della coscienza. Ma non è mai gratis, la libertà. Lo ripete anche oggi chi combatte un’altra guerra, sotterranea ma non troppo, tra le fila della cosiddetta massoneria progressista.
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Eresia Roosevelt: giù le tasse, e reddito universale per tutti
Giù le tasse, usando anche la moneta complementare emessa a costo zero. E soprattutto, reddito universale: assegno mensile di 500 euro, a chiunque, con l’unico obbligo di spendere subito quei soldi. Sembra un costo, ma non lo è. O meglio: la spesa iniziale sarebbe letteralmente oscurata dal salto in avanti del Pil, grazie al “moltiplicatore” keynesiano (spendi 100, e produci 3-400). Risultato: economia in grande ripresa e, alla fine, maggiori entrate fiscali. Sono due dei tre punti-chiave messi a fuoco dal Movimento Roosevelt (il terzo è il diritto costituzionale al lavoro, oggi assente) con l’intento di capovolgere l’ipnosi finanziaria, del tutto artificiosa, che detiene le vere chiavi della crisi europea. Una “maledizione” che sembra economica, e invece è interamente politica. «Si ciancia di lotta all’evasione fiscale, ma l’evasione la si combatte imponendo tasse eque: se si abbassano le aliquote, oggi folli, cresceranno immediatamente le entrate». Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, rilanciando un’idea del rooseveltiano Carlo Toto: rimettere in moto l’Italia, facendola uscire da decenni di sofferenze imposte dall’alto, attraverso una camicia di forza macroeconomica. A questo è servito il vincolo esterno europeo: a comprimere le possibilità del made in Italy, dopo averlo largamente sabotato, smembrato e indebolito.Teoria e pratica del neoliberismo, ideologia di cui l’Italia è stata una cavia perfetta. Pura demenzialità, il tetto del 3% imposto alla spesa. Idem la gestione privatistica dell’euro, basata sulla leggenda della scarsità di moneta (in realtà creabile in modo illimitato e senza costi). In pratica, qualcuno lassù ha chiuso i rubinetti. E al paese ha raccontato che, semplicemente, “doveva” soffrire. Peggio: che le tasse servono a pagare stipendi, a far funzionare lo Stato. Nella stanza dei bottoni, tutti sanno che non è vero: ma il mainstream (economisti neoliberali, partiti e media) fingono di non saperlo. Non ne parlano le Sardine, interessate solo a stoppare Salvini (agevolando la corsa di Prodi verso il Quirinale). Non ne parla Bonaccini, e neppure Zingaretti. La promessa di Flat Tax sbandierata dallo stesso Salvini si è fermata col siluramento di Armando Siri. L’Italia politica sembra essersi rimessa a dormire, divisa solo in apparenza tra custodi del centrosinistra e guardiani del centrodestra. Da Renzi a Berlusconi, nessuna soluzione in vista. Nel 2018, in pieno caos gialloverde, i 5 Stelle sembravano volerci provare: ma il reddito di cittadinanza promosso da Di Maio si è rivelato un’amara barzelletta, un’inutile elemosina elargita al prezzo di severe condizioni.Niente da fare neppure sul fronte della moneta parallela, di cui si era parlato nei mesi scorsi. Ne sa qualcosa un economista keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: basterebbe pochissimo, sostiene, per creare una “moneta di Stato” da affiancare all’euro, senza neppure violare il Trattato di Lisbona. Valore emesso a costo zero, accettato per il pagamento di tasse e imposte. Sarebbe un sollievo immediato, per l’economia. Due piccioni con una fava: meno tasse, ed economia in ripresa. Un altro rooseveltiano, Toto, ora rilancia: se all’abbattimento delle aliquote (e alla facilitazione fiscale propriziata dalla moneta parallela) si aggiunge la maxi-iniezione del reddito universale, l’economia può risorgere. Volerebbero i consumi, dunque il lavoro. Eresia? Sì, certo, ma sarà meglio farci l’abitudine: il Movimento Roosevelt ha intenzione di lanciare una campagna nazionale, sostenendo queste sue proposte a colpi di petizioni popolari. Non ultima quella sul diritto al lavoro: ha poco senso, ribadisce lo stesso Magaldi, che la Costituzione definisca l’Italia una repubblica fondata sul lavoro, se poi l’occupazione non c’è. Meglio che lo Stato assolva in pieno alla sua funzione, fino in fondo: così come la stessa Bce dovrebbe riscrivere il proprio statuto, puntando alla piena occupazione in Europa, anche l’Italia dovrebbe rivedere la sua Carta, impegnandosi a dare un lavoro a chiunque.L’eresia è l’unica possibilità che resta, se gli attori della politica nazionale balbettano. Soluzioni vere, radicali, frontali. Un orizzonte antropologico alternativo all’attuale bassa marea, nella quale nuotano (male o malissimo) tutti i partiti. Ma attenzione: non sono solo i rooseveltiani a scrutare il cielo, in cerca di un futuro possibile e dignitoso. La signora Christine Lagarde ha appena evocato il massimo tabù di questi anni di austerity “teologica”: gli eurobond, per sostenere in modo illimitato i debiti pubblici dei paesi europei, senza più l’incubo speculativo dello spread. E persino Mario Draghi, da parte sua, ha parlato addirittura della Modern Money Theory, cioè l’emissione monetaria teoricamente infinita, con cui rianimare l’economia europea. Il contrario esatto di quel rigore che i sacerdoti dell’eurocrazia continuano a spacciare per volere divino. E se in Italia nessuno si muove, Magaldi annuncia un appello direttamente ai cittadini: firme su firme, per sollecitare la rivoluzione di cui si avverte il disperato bisogno. Smettere di avere paura, scacciare la crisi, tornare a progettare un’Italia più comoda per tutti. Senza più evasione fiscale, grazie a tasse affrontabili. E senza più l’alibi della penuria, in virtù del reddito universale: utile a salvare chi un lavoro non ce l’ha ancora, e fondamentale per movimentare consumi, imprese, assunzioni. Si tratta di cambiare tutto, da cima a fondo. Primo step: scoprire che l’eresia non è il problema, è la soluzione.Giù le tasse, usando anche la moneta complementare emessa a costo zero. E soprattutto, reddito universale: assegno mensile di 500 euro, a chiunque, con l’unico obbligo di spendere subito quei soldi. Sembra un costo, ma non lo è. O meglio: la spesa iniziale sarebbe letteralmente oscurata dal salto in avanti del Pil, grazie al “moltiplicatore” keynesiano (spendi 100, e produci 3-400). Risultato: economia in grande ripresa e, alla fine, maggiori entrate fiscali. Sono due dei tre punti-chiave messi a fuoco dal Movimento Roosevelt (il terzo è il diritto costituzionale al lavoro, oggi assente) con l’intento di capovolgere l’ipnosi finanziaria, del tutto artificiosa, che detiene le vere chiavi della crisi europea. Una “maledizione” che sembra economica, e invece è interamente politica. «Si ciancia di lotta all’evasione fiscale, ma l’evasione la si combatte imponendo tasse eque: se si abbassano le aliquote, oggi folli, cresceranno immediatamente le entrate». Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, rilanciando un’idea del rooseveltiano Carlo Toto: rimettere in moto l’Italia, facendola uscire da decenni di sofferenze imposte dall’alto, attraverso una camicia di forza macroeconomica. A questo è servito il vincolo esterno europeo: a comprimere le possibilità del made in Italy, dopo averlo largamente sabotato, smembrato e indebolito.
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Magaldi: leader effimeri per false guerre, così perde l’Italia
Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.Attenzione: il cosiddetto bipolarismo italiano (solo formale, mai sostanziale) ha fatto della famigerata Seconda Repubblica un posto dove si sta peggio, non si cresce più, dilaga la disoccupazione, le crisi industriali non hanno soluzione. E’ la cancrena dell’austerity Ue, imposta in modo subdolo del potere economico neoliberista attraverso le direttive della Commissione Europea e il rigore suicida nei conti pubblici, dopo la catastrofe nazionale delle privatizzazioni varate da Prodi e Draghi. Un sistema deprimente (che infatti ha prodotto solo recessione, più debito e più tasse) a cui non si sono mai opposti né Berlusconi né i suoi presunti oppositori, da Prodi a Gentiloni. Ora ci risiamo, con la santa alleanza contro il demonio Salvini, male assoluto della politica italiana e quindi degno erede del Cavaliere? Di questo passo le cose andranno sempre peggio, avverte Magaldi, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: l’Italia non può certo uscire dal tunnel con l’ennesima stagione di schermaglie-fuffa tra due schieramenti ben decisi, entrambi, a non cambiare proprio niente. Se Salvini vuole voltare pagina, che ci sta a fare col vecchio Silvio e con i cascami del tradizionalismo polveroso, tra gli anacronismi del “popolo della famiglia” e le ridicole crociate contro la cannabis?A Magaldi non piace nemmeno la predilezione salviniana per il sistema elettorale maggioritario, che oggi premierebbe la Lega come primo partito: meglio un sistema totalmente proporzionale, magari compensato dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Un sistema che dia voce a tutti, restituendo piena dignità a un Parlamento sempre più precario, con deputati e senatori non più tutelati completamente dall’immunità e in più falcidiati dall’incombente taglio dei seggi, che farebbe eleggere inevitabilmente solo i candidati più vicini ai leader, riducendo ulteriormente la dialettica democratica. A proposito: anche Salvini, dice Magaldi, rischia di soffrire della stessa sindrome “liquida” che ha colpito Di Maio e, prima ancora, Renzi. Successi-lampo, con numeri strabilianti: i 5 Stelle al 33% nel 2018, il Pd renziano addirittura al 41% nella precedente tornata delle europee. E poi? Il tonfo: oggi basta un attimo, e si cade. Ieri sembravi il padrone assoluto della scena, ma già domani sei ridotto all’elemosina elettorale, come Di Maio e colleghi, o a fare piccoli giochi di palazzo come l’ex Rottamatore fiorentino. La loro colpa? Troppe parole al vento: solo proclami altisonanti, tutto fumo e niente arrosto. Di Maio doveva “sconfiggere la poverità”, con le briciole del suo patetico reddito di cittadinanza. E Matteo Renzi, zerbino della Merkel e dei grandi privatizzatori, non aveva forse promesso di riscattare la sovranità economica del made in Italy?La verità, osserva Magaldi, è che gli italiani – almeno, quelli che chiedono di cambiare tutto – esprimono un voto essenzialmente di speranza. Prima Renzi, poi Di Maio e ora Salvini: cambiali in bianco e suffragi temporanei, concessi in modo condizionato. Inevitabile la delusione, in tempi rapidissimi: Renzi nella polvere, “asfaltato” dal referendum, e Di Maio ora in fuga dal politburo grillino. Salvini? Rischia anche lui, specie se – ridando vita al cadavere del centrodestra – si auto-condanna a non incidere in nulla, nella dialettica decisiva con i poteri che reggono l’Ue e massacrano abitualmente l’Italia. Come Renzi e Di Maio, anche Salvini ha essenzialmente abbaiato alla luna, chiedendo più deficit per finanziare il rilancio del paese, senza però ottenere nulla. Su questo, Magaldi ha le idee chiare: la governance Ue va sfidata in modo frontale, visto che l’Italia ha bisogno di investimenti immediati per 200 miliardi di euro, scomputabili dal debito. Il paese cade a pezzi, ha bisogno di infrastrutture strategiche e milioni di posti di lavoro. Il Movimento Roosevelt sogna la piena occupazione, sorretta da un intervento pubblico di tipo keynesiano. Persino Draghi, oggi, riconosce che i tagli sono l’anticamera del disastro. Sintetizza Magaldi: se tutti i cittadini, a prescindere dal loro reddito, percepissero 500 euro mensili (con l’obbligo di spenderli subito), l’iniezione di liquidità farebbe volare i consumi e il lavoro, ripagando poi abbondantemente, con le tasse, l’investimento iniziale.C’è qualcuno che oggi è in grado di fare discorsi del genere, a parte Magaldi? Forse – di nuovo – lo stesso Draghi: fino a ieri, massimo architetto della drammatica austerità europea, e ora invece pronto, a parole, a tornare sui suoi passi, aprendo addirittura alla Modern Money Theory, la spesa statale illimitata per rianimare l’economia inondandola di soldi creati dal nulla. Eresia pura, in un’Europa dove i grandi poteri privatistici controllano la stessa Bce, organizzando la scarsità artificiosa della moneta a scopo speculativo, facendo soffrire il 90% delle famiglie e delle aziende e impedendo agli Stati di recuperare la sovranità finanziaria che è indispensabile per governare davvero i paesi. Insegneremo agli italiani come votare, disse il commissario tedesco Günther Oettinger nel 2018, inviperito per lo squillante successo gialloverde. Gli fece eco Sergio Mattarella, bloccando la nomina di Paolo Savona all’economia, sgradito ai santuari europei del rigore: l’ultima parola – sostenne il capo dello Stato – spetta ai mercati finanziari, dunque non al cittadino-elettore che si illude di scegliersi democraticamente il proprio governo. Ancora un anno fa, il consenso al governo gialloverde superava il 60%: un record storico. Risultati? Zero, tranne la Quota 100 strappata da Salvini sulle pensioni. Poi il film ha proposto il Papeete e l’orrendo Conte-bis: il trasformismo sfacciato e traditore, prono ai diktat di Bruxelles. Ora siamo alle comiche finali, dice Magaldi, se qualcuno pensa davvero alla riedizione del grottesco: centrodestra e centrosinistra che fingono di litigare, ma di fatto obbediscono entrambi ai soliti nemici dell’Italia.Tra gli scontati vincitori delle regionali in Emilia ci sono le Sardine, che non chiedono nulla tranne una cosa: l’espulsione di Salvini. I ragazzi per cui Prodi fa il tifo vorrebbero la squalifica a vita del leader leghista, un animale politico da cartellino rosso: indegno, incivile, nazista e cannibale. L’interessato anche stavolta ci ha messo del suo per alimentare l’equivoco, scatenando una caccia alle streghe porta a porta, edizione 2020: il suo “dagli all’untore” (tunisino) gli avrà sicuramente alienato simpatie tra gli osservatori garantisti che alla Lega hanno guardato come a una possibile alternativa sistemica, contro le regole truccate dell’Ue che condannano tanti giovani italiani, Sardine in primis, a cercarsi un futuro all’estero. Comunque, tranquilli: come volevasi dimostrare, in Emilia non è successo niente. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, era stato il primo a spegnere gli entusiasmi salviniani per le regionali: era praticamente impossibile che qualche estraneo riuscisse a sfrattare il blocco di potere che regna sugli emiliani dal 1945. Se non altro, dice Magaldi, Salvini è riuscito a mettere il sale sulla coda a Bonaccini e compagni. Ma il tracollo parallelo dei 5 Stelle ricicla un vecchio film inguardabile: la finta sfida tra il sedicente centrosinistra e l’altrettanto immaginario centrodestra.
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Master Roosevelt: per conoscere i segreti del grande potere
Cani da guardia della democrazia: così amavano lasciarsi definire i veri reporter, all’epoca in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, dalle colonne del “Washington Post”, trascinavano Nixon verso l’impeachment e le dimissioni. Oggi, lo spettacolo è patetico: i mastini di un tempo sono stati rimpiazzati da barboncini scodinzolanti, che non osano avventurarsi oltre il recinto delle notizie ufficialmente autorizzate. Il grande freddo è calato dopo l’opaca tragedia dell’11 Settembre, che segna un drammatico spartiacque tra verità e autocensura. Vale per tutto, anche per la politica: vietato osare. Vent’anni di piombo e di sangue, costellati di guerre protette dalla disinformazione, tra crisi economiche generate dalla finanziarizzazione definitiva dell’economia globalizzata, in mano a poche famiglie potentissime. A prendere il potere, gettando la maschera, è stata un’élite neo-feudale. Obiettivo: saccheggiare il pianeta, svuotando la democrazia anche in Europa. Tutto è perduto? No, se si crede ancora nella sovranità democratica. Lo sostiene Gioele Magaldi, esponente italiano di quella stessa supermassoneria internazionale che, nelle sue forme più regressive, ha privatizzato il globo. La sua tesi: se le superlogge reazionarie hanno messo all’angolo quelle progressiste, protagoniste del boom economico, è ora di impegnarsi a rovesciare il tavolo. Come? Anche sfornando una nuova classe dirigente. Per esempio, con un master come quello ora in partenza, decisamente unico in Italia.Il corso è destinato a italiani disposti a ricevere una formazione speciale, che li metta nelle condizioni di vedersela alla pari con i grandi player dell’attualità. Storia della conoscenza, storia del potere e delle civiltà umane. E poi: economia post-keynesiana e rooseveltiana, finanza etica e conti pubblici, geopolitica. Comunicazione: marketing e pubblicità, giornalismo, media e televisione. Ma anche “scienza, polis e potere”, filosofia politica, ecologia, salute, arte e letteratura, cinema, musica e “affabulazione collettiva”. Sono alcune delle materie del “Master Roosevelt in Scienze della Polis”, al via a fine gennaio: 12 weekend intensivi, tra Roma e Milano, con anche il supporto video per chi non potrà partecipare a tutte le lezioni. «Solo il nostro master – assicurano i promotori – offre insegnamenti teorico-pratici che coprono tutto lo “scibile” contemporaneo». Informazioni preziose per affrontare il buongoverno della cosa pubblica, consapevoli dei propri diritti e doveri, oltre che della propria sovranità di cittadini. «Inoltre – aggiungono gli organizzatori – questo master soddisfa esigenze di conoscenza inter-disciplinare (di natura sia “materiale” che “spirituale”) che nessun’altra alta scuola di formazione può garantire».Basta dare un’occhiata alle docenze proposte. Per esempio: storia, teoria e pratica dei servizi segreti e dell’intelligence pubblica e privata. Oppure: esoterismo, iniziazioni e massoneria. Ancora: introduzione alla Kabbalah. E poi simbologia, ideologie e sistemi di pensiero. Un lavoro in profondità: si parlerà di archetipi psicologici e comportamenti politico-sociali, svelando «i segreti delle energie sottili e delle arti marziali e venusiane». Premessa: è il potere stesso – per chi non l’avesse ancora capito – a padroneggiare queste materie. E il Master Roosevelt è dunque la prima opportunità, offerta a tutti, di esplorare quel mondo elusivo, precluso ai più. Ad affermarlo è lo stesso Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha tolto il velo all’aspetto più segreto dell’establishment: «A muovere anche i massimi oligarchi è una sorta di “aristocrazia dello spirito”, che li induce a ritenersi gli unici depositari dei destini del mondo». Non la pensa così l’autore di “Massoni”, già inziato alla superloggia progressista “Thomas Paine” e ora leader del Grande Oriente Democratico. La sua tesi: «La vera massoneria è costituzionalmente progressista. Storicamente, è stata proprio la “libera muratoria” a produrre le forme della modernità, lo Stato di diritto, la relativa libertà del cittadino non più suddito e la facoltà di auto-governarsi mediante elezioni democratiche, una volta conquistato il suffragio universale».Pietra miliare: la Rivoluzione Francese, con la caduta dell’Ancien Régime. Da allora, lotte e rivolte in tutto il mondo, fino al Risorgimento italiano. Quindi i decenni gloriosi del boom, nell’ultimo dopoguerra: «Era massone Franklin Delano Roosevelt, che volle il Piano Marshall dopo aver sconfitto il nazismo. Era “libera muratrice” sua moglie Eleanor, madrina dei diritti umani. Era massone Keynes, lo stratega del benessere diffuso in Occidente. Ed erano massoni John Rawls e William Beveridge, gli inventori del welfare (concepito per eliminare il gap tra ricchi e poveri)». Nel suo saggio – un vero e proprio bestseller italiano – Magaldi scrive che la leadership culturale e politica delle superlogge progressiste fu sabotata con la violenza alla fine degli anni Sessanta, negli Usa, con il doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King: i rooseveltiani li avevano scelti, come presidente e vice, per cambiare faccia al mondo. Non è andata così: nel 1973 (proprio l’11 settembre) la superloggia “Three Eyes” di Kissinger e Rockefeller organizzò il golpe in Cile introducendo il neoliberismo con i carri armati. Due anni dopo, la Trilaterale avrebbe spiegato, con il manifesto “La crisi della democrazia”, che era iniziata la grande retromarcia storica: meno diritti, meno pace e meno benessere per tutti. Sulla base di cosa? Di un piano egemonico: la riconquista del pianeta, da parte di un’élite massonica che i sodali di Magaldi definiscono “controiniziata”, avendo rinnegato l’impegno massonico per il progresso democratico dell’umanità.Nel 2011, in televisione, lo stesso Magaldi si espose in prima persona per segnalare la militanza – nella supermassoneria reazionaria – di primattori come Mario Monti, il presidente Napolitano e lo stesso Draghi. Sei mesi dopo l’uscita del suo dirompente saggio (silenziato dai grandi media), Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, un soggetto meta-partitico che si propone di “risvegliare” la politica italiana in modo trasversale, appellandosi a tutti i partiti per il ripristino della democrazia sostanziale nella governance, dominata da un’Ue non democratica. Nel 2019, viste le incertezze deludenti del governo gialloverde, Magaldi (insieme all’economista Nino Galloni, vicepresidente “rooseveltiano”) ha anche aperto il cantiere del “Partito che serve all’Italia”, work in progress politico-programmatico: fine dell’austerity, istruzioni per l’uso. E ora, con il master, si passa direttamente all’attività formativa. Nel corso di un anno, il programma affronta materie vaste e complesse: istituzioni democratiche e meccanismi elettorali, amministrativi e parlamentari, approfondendo anche le leggi ordinarie e quelle costituzionali. E poi relazioni istituzionali pubbliche e private, euro-atlantismo e Nato, area mediterranea e strategie militari globali, storia contemporanea e dinamiche planetarie.Tra le docenze non mancano “polis e disabilità”, rigenerazione urbana e architettura, organizzazione del lavoro, “percezione di sé e osservazione dell’ambiente”. Un impegno a 360 gradi: modelli democratici ed elettorali a confronto. Una bussola precisa: mente, coscienza ed etica, tra politica e società. In altre parole: si tratta di formare super-cittadini, capaci di misurarsi senza timidezza con qualsiasi interlocutore, per arrivare – domani – a irrobustire finalmente una classe politica diversa, più preparata, in grado di tutelare l’Italia nel solo modo che Magaldi e i suoi ritengono possibile, e cioè recuperando la sovranità democratica di concerto con il resto d’Europa e del mondo. Da qualche tempo, lo stesso Magaldi segnala indizi di un possibile cambiamento in corso: «L’élite massonica neoaristiocratica che ha messo in piedi quest’Europa post-democratica sta per cedere, di fronte al disastro socio-economico che ha prodotto: lo dimostrano anche le esternazioni pubbliche e private di un supermassone come Mario Draghi, tra i massimi architetti dell’austerity, che ora si dichiara pronto a tornare sui suoi passi, recuperando la lezione di Keynes e quella personalmente ricevuta dal grande economista italiano Federico Caffè».Durissimo nel denunciare le peggiori malefatte del potere e i suoi aspetti più occulti, Magaldi ha fiducia nel futuro: crede sinceramente che la democrazia sociale sperimentata in Europa nel dopoguerra possa riprendere il suo corso. Ma per sbriciolare il potere degli oligarchi, dice, occorre una nuova generazione di italiani, all’altezza della sfida. Occorre anche gettare nella spazzatura l’ipocrisia che, nel nostro paese, impedisce di riconoscere il ruolo della massoneria, menzionando le logge solo per demonizzarle. E se sono massoni molti dei protagonisti negativi dell’attuale establishment, è meglio acquisire quelle stesse competenze, anche senza entrare in massoneria. Pure questa, in fondo, è tra le missioni del Master Roosevelt: fare in modo che nessuno detenga il monopolio della conoscenza. Avverte Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine” sui misfatti neo-feudali del neoliberismo: ai “mostri” del vero potere, menti raffinatissime e preparatissime, non puoi opporre un branco di politicanti spesso mediocri e ignoranti come quelli italiani. Prima ancora che il servilismo, è la loro incompetenza a trasformarli fatalmente in docili maggiordomi, meri esecutori di decisioni prese altrove.Se siamo ridotti così, con governi-fantasma che prendono ordini da Bruxelles, da una Commissione Europea che è solo la cinghia di trasmissione del volere di potentati privati, secondo Magaldi dipende dagli snodi cruciali della storia recente. Per esempio l’eliminazione del massone progressista Olof Palme, campione del welfare svedese, alla vigilia delle trattative che avrebbero portato al Trattato di Maastricht. Da quel “frame” sciagurato non siamo ancora usciti: ci hanno fatto credere che il debito pubblico sia una colpa, e che lo Stato sia come una famiglia che, se s’indebita, poi deve ripagare tutto (e con gli interessi). Solo nel 2018, sulla base di questi presupposti – a essere sovrani sono i mercati finanziari, non i cittadini – Mattarella impedì a Paolo Savona l’accesso al ministero dell’economia. In quell’occasione, Magaldi chiese le dimissioni del presidente della Repubblica, che definì «un servizievole paramassone». Rispetto all’epoca del governo Monti, l’informazione alternativa ha fatto passi da gigante, grazie al web. E’ cresciuta una forte minoranza, finalmente informata. Fioriscono iniziative, convegni, gruppi. Ma manca ancora un progamma organico per mettere a fuoco il problema in modo esauriente, forgiando autentici esperti. Ed è esattamente a questo che punta il Master Roosevelt, prima scuola italiana che nasce per insegnare a sfidare, domani, questo potere che tiene prigioniero il paese.(L’avvio del Master Roosevelt in Scienze della Polis è previsto per sabato 25 gennaio 2020, ore 9, presso l’Istituto Sant’Orsola di via Livorno 50/a, Roma).Cani da guardia della democrazia: così amavano lasciarsi definire i veri reporter, all’epoca in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, dalle colonne del “Washington Post”, trascinavano Nixon verso l’impeachment e le dimissioni. Oggi, lo spettacolo è patetico: i mastini di un tempo sono stati rimpiazzati da barboncini scodinzolanti, che non osano avventurarsi oltre il recinto delle notizie ufficialmente autorizzate. Il grande freddo è calato dopo l’opaca tragedia dell’11 Settembre, che segna un drammatico spartiacque tra verità e autocensura. Vale per tutto, anche per la politica: vietato osare. Vent’anni di piombo e di sangue, costellati di guerre protette dalla disinformazione, tra crisi economiche generate dalla finanziarizzazione definitiva dell’economia globalizzata, in mano a poche famiglie potentissime. A prendere il potere, gettando la maschera, è stata un’élite neo-feudale. Obiettivo: saccheggiare il pianeta, svuotando la democrazia anche in Europa. Tutto è perduto? No, se si crede ancora nella sovranità democratica. Lo sostiene Gioele Magaldi, esponente italiano di quella stessa supermassoneria internazionale che, nelle sue forme più regressive, ha privatizzato il globo. La sua tesi: se le superlogge reazionarie hanno messo all’angolo quelle progressiste, protagoniste del boom economico, è ora di impegnarsi a rovesciare il tavolo. Come? Anche sfornando una nuova classe dirigente. Per esempio, con un master come quello ora in partenza, decisamente unico in Italia.
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Magaldi: bravo Salvini, si fa processare sfidando gli ipocriti
Fa benissimo, Matteo Salvini, a sfidare apertamente chi lo vorrebbe alla sbarra. Ottima idea, quella del leader della Lega: opportuna e coraggiosa la decisione di sottoporsi al processo per il caso della nave Gregoretti, fermata l’estate scorsa davanti al porto siciliano di Augusta con i suoi 116 migranti. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: se qualcuno pensa di tornare a processare la politica nei tribunali (in questo caso, tentando di fermare per via giudiziaria un leader che sembra politicamente imbattibile), tanto vale affrontare l’accusa in aula e porre il problema, una volta per tutte, davanti alla nazione. Ha senso inquisire un ministro per i suoi atti politici? Tema drammaticamente illuminato dal film “Hammamet”, appena uscito nelle sale, e dai tanti libri freschi di stampa che propongono una radicale rilettura della sorte di Bettino Craxi, liquidato vent’anni fa ricorrendo all’iniziativa del pool Mani Pulite. Troppo spesso, sottolinea Magaldi, si è cercato di strumentalizzare le toghe (magari inconsapevoli) per fini politici: e il clamore sul caso Gregoretti, dove l’accusa di sequestro di persona appare effettivamente debole, secondo il leader del Movimento Roosevelt ha l’aria di una mera speculazione politica di basso profilo.In video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Magaldi chiarisce la sua posizione: per i politici (almeno, fin che sono in carica) è necessaria la tutela dell’immunità parlamentare assicurata nel modo più forte, anche per salvaguardare la piena dignità della funzione politica. Quanto a Salvini, ben venga il salto di qualità della sua condotta: fino a ieri, di fronte ad analoghe contestazioni (nave Diciotti), il capo della Lega era passato dall’ostentare tranquillità al quasi-implorare l’immunità, fino a essere “salvato” da Conte e Di Maio. Oggi, con il quadro parlamentare ribaltato e i 5 Stelle al governo col Pd, il no” agli sbarchi diventa materia giudiziaria: un pretesto per cercare di indebolire il nuovo leader dell’opposizione. Eloquente il parere di Zingaretti, secondo cui Salvini (che starebbe esasperando la vicenda) agirebbe «per motivi personali». Il che la dice lunga sulla perdurante ipocrisia di un Pd che, in fondo, è l’erede diretto di quella “casta di maggiordomi” che accettò senza condizioni il vincolo esterno dell’Ue, pur di sedersi al governo dopo il crollo (giudiziario) della Prima Repubblica. Un Pd senza idee né identità, che strizza l’occhio al neo-ambientalismo propagandistico di Greta e all’imbarazzante exploit delle Sardine, che pretendono di imbavagliare i ministri negando loro accesso a Twitter.Salvini tira dritto: vuole andare a processo per la Gregoretti (spiazzando anche la Meloni e Forza Italia) e intanto si protegge le spalle omaggiando Trump e Netanyahu: clamoroso l’applauso del leghista per l’uccisione americana del generale iraniano Qasem Soleimani, temuto da Israele. E a proposito: Salvini è tornato sul tema mediorientale, tifando per la promozione di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, dopo aver equiparato l’antisemitismo alle critiche al sionismo. In un recente convegno alla presenza dell’ambasciatore israeliano in Italia, l’ex vicepremier si è rammaricato dell’assenza di Liliana Segre: «Lei avrebbe tanto da insegnare, Carola Rackete no», ha aggiunto, attaccando la “capitana” della Sea Watch che speronò una motovedetta della Guardia di Finanza. Il fatto che una tragedia come la Shoah venga costretta a galleggiare nello stesso mare in cui nuotano i migranti descrive bene il tenore della speculazione politica corrente, mentre l’Italia perde i pezzi: vessato dalla Commissione Europea, il Belpaese non riesce a risolvere nessuna delle sue crisi industriali, e in più assiste impotente anche alla perdita della Libia, ormai “appaltata” al duopolio russo-turco senza che il fantasmatico Conte-bis riesca a battere un colpo per dimostrare di esistere.«Salvini sta studiando», disse Magaldi la scorsa estate, dopo la diserzione del Papeete e la fine del governo gialloverde, clamorosamente rimpiazzato da quello giallorosso. Per i detrattori (e i grandi media), si trattò di un autogoal: il capo della Lega sperava nelle elezioni anticipate, mai si sarebbe aspettato che i 5 Stelle si stringessero al Pd – e a Renzi – per giunta mantenendo Conte a Palazzo Chigi. Salvini fornisce una versione diversa: gli sarebbe stato impossibile giustificare ancora, presso l’elettorato leghista, un governo senza risultati. Non solo la problematica autonomia regionale per il Nord-Est, ma soprattutto il miraggio della Flat Tax, o comunque il sollievo fiscale promesso da Armando Siri. Ai gialloverdi, leghisti inclusi, Magaldi non ha mai fatto sconti: «Bravissimi ad abbaiare contro Bruxelles, e altrettanto bravi a prendere ceffoni, tornando a Roma con le pive nel sacco e senza neppure la magra consolazione del 2,4% di deficit». Erano i tempi in cui il campione sovranista Salvini flirtava con Marine Le Pen e l’ungherese Orban, insieme all’intero cartello di Visegrad ostile alle frontiere aperte. Poi è arrivata la bombetta-Moscopoli, con i silenzi imbarazzati sulla presenza di Savoini al Metropol, intercettato (da quale servizio segreto?) mentre discuteva di forniture energetiche, non si sa a che titolo, con oligarchi russi.Nella conversione atlantista di Salvini, peraltro anticipata già nella visita in Israele lo scorso anno, Magaldi vede il bicchiere mezzo pieno: «Salvini si sta schierando, dopo esser stato tacciato di essere inaffidabile in quanto filo-russo». Per la precisione, si sta allineando a Trump e Netanyahu. Magaldi apprezza: «Sono a favore della creazione di uno Stato palestinese e denuncio gli abusi della politica israeliana», premette, non senza aggiungere: «Israele resta pur sempre l’unica democrazia dell’area: se si vuole la pace, è più facile partire proprio dagli elementi israeliani progressisti, piuttosto che dai paesi – tutti autoritari – che circondano lo Stato ebraico». E cita il coraggioso tentativo di Yitzhak Rabin, «massone progressista» assassinato nel ‘95 da un colono ultra-sionista per aver tentato, davvero, di stringere una pace storica coi palestinesi. Nulla di simile è oggi all’orizzonte: era ancora vivo Arafat quando la scelta della pace fu pagata, dall’Olp, con la secessione di Gaza, finita sotto il controllo di Hamas, «una formazione fondamentalista sciita, vicina all’Iran, che nega tuttora a Israele il diritto di esistere». Mala tempora currunt: Medio Oriente nel caos, Libia contesa da potenze lontane dall’Ue, Europa inesistente, Italia paralizzata da una crisi che sembra senza vie d’uscita. E in mezzo a questo disastro, l’impresentabile Pd pretende di crocifiggere Salvini, per via giudiziaria, con il pretesto dell’opposizione agli sbarchi?A far salire la temperatura, ovviamente, sono le imminenti regionali in Emilia Romagna: una lunghissima campagna elettorale, punteggiata dai comizi casa per casa dell’onnipresente Salvini, cui si oppone – agitando addirittura l’antifascismo – l’ambigua ciurma delle Sardine prodiane. Per Magaldi, sono tappe della guerra tattica che, dietro le quinte, vede contrapposti due supermassoni occulti, «il “fratello” Romano Prodi e il “fratello” Mario Draghi, entrambi proiettati verso la conquista del Quirinale, dopo Mattarella». Quanto all’Emilia, si tratta di una Regione «ben governata dall’uscente Stefano Bonaccini». Se dovesse perdere, però, non sarebbe una tragedia: «E’ inconcepibile – dice Magaldi – la pretesa di mantenere al potere sempre la stessa parte politica, ininterrottamente, per mezzo secolo: non bisogna avere paura dell’alternanza, che è il sale della democrazia, e questo dovrebbe valere anche per la Lega». Nel frattempo, resta comunque inevasa la questione di fondo: «L’Italia – sintetizza Magaldi – ha bisogno di un cambio radicale nella governance dell’Ue, ottenendo il via libera a investimenti per 200 miliardi non computabili nel deficit. C’è un paese da ricostruire, facendolo uscire dall’incubo artificiale dell’austerity, progettata da un’élite reazionaria di cui sia Draghi che Prodi sono stati al servizio, con la differenza che oggi Draghi si dice pentito del suo operato, mentre Prodi se ne guarda bene».Fa benissimo, Matteo Salvini, a sfidare apertamente chi lo vorrebbe alla sbarra. Ottima idea, quella del leader della Lega: opportuna e coraggiosa la decisione di sottoporsi al processo per il caso della nave Gregoretti, fermata l’estate scorsa davanti al porto siciliano di Augusta con i suoi 116 migranti. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: se qualcuno pensa di tornare a processare la politica nei tribunali (in questo caso, tentando di neutralizzare per via giudiziaria un leader che sembra politicamente imbattibile), tanto vale affrontare l’accusa in aula e porre il problema, una volta per tutte, davanti alla nazione. Ha senso inquisire un ministro per i suoi atti politici? Tema drammaticamente illuminato dal film “Hammamet”, appena uscito nelle sale, e dai tanti libri freschi di stampa che propongono una radicale rilettura della sorte di Bettino Craxi, liquidato trent’anni fa ricorrendo all’iniziativa del pool Mani Pulite, ai tempi in cui la Lega Nord, in Parlamento, agitava il cappio. Troppo spesso, sottolinea Magaldi, si è cercato di strumentalizzare le toghe (magari inconsapevoli) per fini politici: e il clamore sul caso Gregoretti, dove l’accusa di sequestro di persona appare effettivamente debole, secondo il leader del Movimento Roosevelt ha l’aria di una mera speculazione politica di basso profilo.
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Magaldi: Iran, Cia e Mossad. Ma in palio c’è la democrazia
Forse la verità la si vede meglio da lontano: era il 1978 quando l’ayatollah Khomeini diede inizio alla rivoluzione islamica in Iran, che si sarebbe conclusa solo un anno dopo, in un paese intimidito dalla feroce polizia politica dello Scià e, anni prima, colpito al cuore con la deposizione “coloniale” del suo leader, Mohamed Mossadeq, concepita per rimettere sotto il controllo dell’Occidente le risorse petrolifere della Persia. Stiamo parlando di un paese ricchissimo di storia e di cultura, nel cuore del Medio Oriente, sulla direttrice tra Gerusalemme e l’Afghanistan devastato dagli Usa, immediata retrovia dell’India e della Cina. E’ la patria del leggendario Impero Persiano, culla della religione più antica della Terra – il Mazdeismo di Zoroastro – e poi dell’ala più mistica e inziatica dell’Islam, il Sufismo dei dervisci. Si fa presto a dire Iran: oltre ai persiani, tra gli 80 milioni di abitanti si annoverano etnie di lingua turca, curda, pashtu. Ci sono tatari, baluci, arabi, tagiki. L’Iran ha dato al mondo uno tra i maggiori registi cinematografici contemporanei, Abbas Kiarostami. «Meglio il caos iraniano che questo Occidente», disse, dopo esser stato respinto – per via del suo passaporto – all’aeroporto Jfk di New York, dov’era atteso per un festival (espulsione che costò l’immediata partenza, per rappresaglia, di un altro grande del cinema d’autore, il finlandese Aki Kaurismaki). Ma attenzione: erano gli anni, orribili, del Patriot Act dell’era Bush, appena dopo l’11 Settembre.«Un’élite occulta e reazionaria si era impossessata delle istituzioni statunitensi, progettando direttamente l’attentato delle Torri Gemelle». Il piano: «Fingere di “esportare la democrazia” in Medio Oriente, usando il terrorismo “false flag” (fabbricato in casa) per promuovere guerre devastanti come quelle che hanno prostrato l’Iraq, col risultato di distruggere il prestigio degli Usa nella regione». Parola di Gioele Magaldi, che nel bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) ha svelato nomi e cognomi del club del terrore chiamato “Hathor Pentalpha”, inventore delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Stragismo atlantico clandestino, cinicamente progettato con l’affiliazione nella “Hathor” di supermassoni occulti come Osama Bin Laden (Al-Qaeda) e poi Abu Bakr Al-Bahdadi, sedicente “califfo” dell’Isis. La “Hathor” fu creata da Bush senior poco dopo l’insediamento a Teheran del regime degli ayatollah: era comodissimo, il turbante di Khomeini, per prepararsi a inoculare nei media occidentali il veleno del famoso “scontro di civiltà”. La tesi: l’Islam è un nemico, non può coesistere col sistema socio-economico occidentale. Bufale, e tanta ipocrisia: «Gli Usa – sottolinea Magaldi – convivono tuttora benissimo con le monarchie petrolifere del Golfo come l’Arabia Saudita, il cui autoritarismo teocratico è forse persino peggiore di quello dell’Iran khomeinista».Il grande alibi, per tutti, è sempre stato Israele: ovvero l’ostilità islamica verso lo Stato ebraico, accusato di aver schiacciato i palestinesi. L’uomo che stava per metter fine a mezzo secolo di massacri – Yitzhak Rabin, Premio Nobel per la Pace – venne assassinato nel 1995 da un fanatico israeliano ultra-sionista. Tolto di mezzo il massone progressista Rabin (e il miraggio dello Stato palestinese) si sono scatenati i “neocon” statunitensi, con il loro piano di egemonia e business fondato sulla “guerra infinita”, alimentata dagli “inside job” del terrorismo condotto sotto falsa bandiera, da manovalanza jihadista pilotata da servizi segreti occidentali. Attorno alle macerie dell’Iraq e della tormentatissima Striscia di Gaza sono quindi gradualmente riaffiorate le potenze regionali, accanto a Israele: l’Arabia Saudita, la Turchia e, naturalmente, l’Iran. Quest’ultimo, di recente, ha ampliato enormemente la sua sfera d’influenza: dallo Yemen al Libano, da Gaza alla Siria fino al vicino Iraq. Uomo-chiave della Mezzaluna Sciita, il grande stratega Qasem Soleimani, considerato una sorta di eroe nazionale per aver fermato i tagliagole dell’Isis tenendoli lontani dalle frontiere iraniane, indirettamente minacciate dagli impresari occulti dello Stato Islamico.Proprio la riconosciuta funzione patriottica di Soleimani – oltre alle sconcertanti modalità della sua morte, un atto terroristico apertamente rivendicato dagli Usa – spiega la folla oceanica ai funerali, milioni di persone (e addirittura una quarantina di morti, nella calca, in una manifestazione di dolore collettivo, intensamente popolare, esibito per giorni di fronte al mondo). Un militare integerrimo, Soleimani, che aveva rifiutato la politica per restare tra i suoi soldati, la temutissima brigata Al-Quds, specializzata in operazioni coperte, oltre i confini. L’eroe di Teheran era da tempo nel mirino del Mossad, che ne temeva le mosse d’intesa con Hamas a Gaza e con Hezbollah in Libano. In Iraq, era stato determinante (accanto alle forze coordinate da Trump) nello sconfiggere il Califfato. Idem in Siria: con i russi, l’esercito di Assad e i miliziani sciiti libanesi, Soleimani aveva contribuito in modo decisivo a ripulire il paese dai terroristi inizialmente armati, addestrati e protetti dall’Occidente. Perché sia stato ucciso il 3 gennaio 2020 (e in quel modo, in un paese terzo, con un missile sparato da un drone) resta un mistero.Le fonti mainstream occidentali lo accusano di aver orchestrato, nei giorni precedenti, l’assalto all’ambasciata statunitense di Baghdad. Il governo iracheno smentisce: al contrario, afferma, Soleimani era stato chiamato dall’Iraq per una delicata missione diplomatica. Doveva innanzitutto calmare le acque tra le milizie sciite (alcune ostili al predominio iraniano) e, soprattutto, consegnare un messaggio strategico destinato all’Arabia Saudita, cui Teheran proponeva una de-escalation nella regione. Chi ha ucciso Soleimani, dunque, intendeva tagliare le gambe a una possibile intesa di pace tra la nazione leader degli sciiti e quella dei sunniti? Altre vere spiegazioni, del resto, non giungono da nessun’altra parte: la propaganda mediatica statunitense s’è limitata, in modo imbarazzante, a definire “un terrorista” l’uomo-chiave dell’intelligence militare dell’Iran. Giulietto Chiesa ricorda i propositi omicidi di Yossi Cohen, il capo del Mossad, e cita il senatore repubblicano Lindsay Graham, che ha minacciato Trump: se ritira le truppe Usa dal Medio Oriente, può scordarsi l’appoggio di metà del partito al Senato, quando si dovrà decidere sull’impeachment. Il solito network filo-sionista, che il cospirazionismo chiama impropriamente lobby ebraica?Gianfranco Carpeoro, dirigente del Movimento Roosevelt fondato da Magaldi, fa un’altra ipotesi: sempre sotto la minaccia dell’impeachment (e quindi dell’appoggio condizionato per le imminenti elezioni presidenziali) sarebbe stata proprio la famigerata “Hathor Pentalpha”, annidata nel Deep State americano, a indurre Trump a colpire Soleimani per “rimediare” alla recente, sbandierata uccisione di Al-Baghdadi, esponente della “Hathor”. Una ricostruzione che però non convince Magaldi: «Il network massonico-progressista internazionale, a cui io stesso appartengo – dice – contribuì a far eleggere Trump proprio per tenere lontana la “Hathor” dalle stanze del potere». E inoltre – aggiunge Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – i supermassoni della “Hathor” «continuano a vedere Trump come il fumo negli occhi: impensabile un accordo tra loro e la Casa Bianca». Ma allora, perché Soleimani è stato ucciso proprio ora? Secondo Magaldi, l’episodio fa parte della spietata logica simmetrica della guerra permanente, che è aberrante ma tragicamente coerente: se hai a lungo sfidato la superpotenza egemone (e i suoi terroristi) anche utilizzando milizie pronte a usare il medesimo terrorismo, non puoi non sapere che un giorno potresti cadere sul campo a tua volta, come qualsiasi altro combattente.Soleimani però non era un combattente qualsiasi, era il massimo responsabile della politica dell’Iran sul terreno mediorientale. Di più: era il grande protagonista della riconquista sciita dei territori disastrati dall’imperialismo Usa, tra le macerie della regione petrolifera perennemente funestata dalla piaga dell’irrisolto conflitto israelo-palestinese, spesso usato come alibi da entrambe le parti per perseguire politiche di potenza. «Non è un mistero – dice Magaldi – che i “falchi” israeliani si siano accordati, in passato, anche con i “falchi” iraniani: si finge di combattersi all’infinito, e lo spettro del nemico esterno – vero o presunto – è comodissimo per rafforzare il potere interno». Magaldi invita a esaminare quale fosse il principale referente di Soleimani: l’ayatollah Khamenei, guida suprema dell’Iran e capo dell’ala più reazionaria del regime. Gli stessi Pasdaran, di cui la Quds Force di Soleimani è la punta di lancia, rappresentano una bella fetta del potere, anche economico, della teocrazia sciita. Un bersaglio perfetto, il valoroso generale, per chi avesse voluto colpire la radice più intransigente dei “padroni” di Teheran: un capitolo di quella che Federico Rampini chiama “la seconda guerra fredda”, che oggi vede Trump fronteggiare bruscamente la Cina e i suoi alleati. Nel mirino c’è quindi l’Iran, snodo nevralgico del Golfo Persico lungo la nuova Via della Seta. Un paese da quarant’anni ostile agli Usa, e ora alleato con Pechino e Mosca.«Non mi sorprende l’estrema prudenza con cui Cina e Russia hanno reagito all’uccisione di Soleimani», ribadisce Magaldi, il primo a scommettere – a caldo – sul fatto che l’omicidio (benché così eccellente) non avrebbe provocato l’Armageddon bellico paventato da più parti. Violazione del diritto internazionale? Certo: «Sono episodi brutali, ai quali non vorremmo mai assistere, ma – ripeto – in qualche modo simmetrici, e dettati da una spietata logica squisitamente geopolitica». Al punto che oggi Magaldi arriva a sostenere che Trump, vista l’assenza di ritorsioni clamorose da parte dell’Iran (eccetto il bombardamento missilistico solo dimostrativo, su alcune basi statunitensi in Iraq) sia da considerarsi un obiettivo tecnicamente raggiunto, senza troppi danni: «Se volevano liberarsi di Soleimani, ci sono riusciti: e questo è un fatto». Meglio quindi non lasciarsi condizionare dall’emotività, insiste Magaldi: l’indignazione non aiuta a capire cosa si muove veramente, là fuori, oltre il teatro anche sanguinoso delle apparenze. Sempre secondo Magaldi, poi, l’espansionismo sciita – orchestrato dal regime teocratico di Teheran – oltre Atlantico è considerato come speculare, in qualche modo (almeno, nel richiamo esplicito alla legge coranica, interpretata nel modo più drastico) al terrorismo dell’Isis: stessa visione politica violenta, figlia di un’analoga interpretazione fanatica del medesimo credo religioso?Le differenze sono vistose: in Iran non sono all’opera tagliagole. I macellai dell’Isis, messi in campo dall’Occidente, hanno invece terrorizzato per anni interi Stati mediorientali. Per contro, a Teheran resiste un regime che ignora i diritti civili e pratica una brutale censura, mortifica le donne, nega ogni libertà di espressione, reprime il dissenso, tortura e fa sparire i detenuti scomodi. In altre parole una sorta di dittatura, che trae la sua forza proprio dal durissimo assedio al quale è stata ininterrottamente sottoposta a partire dalla comparsa del turbante di Khomeini. Embargo, sanzioni, minacce militari dirette e indirette. Timidi i tentativi di tregua, come lo storico accordo promosso da Obama sul nucleare, ora stracciato da Trump anche col sangue di Soleimani. Se lo spettacolo non è esattamente edificante, Magaldi si sforza di guardare oltre: la vera sfida, ripete, oppone democrazia e oligarchia, progressisti e reazionari. «Un errore imperdonabile, da parte dell’élite globalista, è stato quello di aver concesso alla Cina di entrare, senza nemmeno uno straccio di democrazia formale, nel grande gioco del commercio planetario, permettendole così di diventare una grande potenza». Sbaglia, sostiene Magaldi, chi si limita a puntare il dito contro l’imperialismo americano: la lobby (massonica) che ha costruito questa globalizzazione senza diritti, mettendo in ginocchio anche il lavoro in Occidente con la tragedia delle delocalizzazioni, era composta da oligarchi di svariati paesi, incluso il gigante cinese. E questa cupola è ancora largamente al comando, mettendo in campo soggetti solo formalmente democratici (come l’Ue) e protagonisti geopolitici che non tentano neppure di fingersi ispirati dalla democrazia.La dialettica tra esponenti progressisti e reazionari, aggiunge Magaldi, «attraversa tutti i gangli del vero potere, persino le più importanti strutture di intelligence come la Cia e il Mossad, dove storicamente coesistono anime antitetiche tra loro». Tutto questo avverrebbe molto in alto, a nostra insaputa, e spesso al di sopra dei governi stessi, ridotti a pedine. Anche per questo, forse, è morto il conservatore Qasem Soleimani, leale soldato dell’Iran degli ayatollah? Secondo il grande antropologo francese Claude Lévi-Strauss, teorico dello strutturalismo, tutto è relativo: nessuno può arrogarsi il diritto di decretare quale sia il sistema politico migliore. Quando scriveva le sue opere, però, la globalizzazione non si era ancora manifestata in tutta la sua potenza: il cosiddetto terzo mondo lottava per liberarsi dai suoi parassitari colonizzatori. All’epoca, da Teheran, non partivano Boeing ucraini carichi di studenti iraniani diretti in Canada. Tragedia nella tragedia, l’abbattimento del volo civile nei cieli della capitale iraniana. «Intendiamoci: non è certo una specialità dell’Iran», precisa Magaldi: «Ne sappiamo qualcosa in Italia, con il caso di Ustica». Amato da Godard e Scorsese, il cinema di Kiarostami ha mostrato al mondo un Iran meraviglioso, fatto di umanità e silenzi. Ricordarsi che esiste anche quello, forse, può aiutare a uscire dal buio sanguinoso di un’attualità nutrita di propaganda, ignoranza e rombanti menzogne quotidiane.Forse la verità la si vede meglio da lontano: era il 1978 quando l’ayatollah Khomeini diede inizio alla rivoluzione islamica in Iran, che si sarebbe conclusa solo un anno dopo, in un paese intimidito dalla feroce polizia politica dello Scià e, anni prima, colpito al cuore con la deposizione “coloniale” del suo leader, Mohamed Mossadeq, concepita per rimettere sotto il controllo dell’Occidente le risorse petrolifere della Persia. Stiamo parlando di un paese ricchissimo di storia e di cultura, nel cuore del Medio Oriente, sulla direttrice tra Gerusalemme e l’Afghanistan devastato dagli Usa, immediata retrovia dell’India e della Cina. E’ la patria del leggendario Impero Persiano, culla della religione più antica della Terra – il Mazdeismo di Zoroastro – e poi dell’ala più mistica e inziatica dell’Islam, il Sufismo dei dervisci. Si fa presto a dire Iran: oltre ai persiani, tra gli 80 milioni di abitanti si annoverano etnie di lingua turca, curda, pashtu. Ci sono tatari, baluci, arabi, tagiki. L’Iran ha dato al mondo uno tra i maggiori registi cinematografici contemporanei, Abbas Kiarostami. «Meglio il caos iraniano che questo Occidente», disse, dopo esser stato respinto – per via del suo passaporto – all’aeroporto Jfk di New York, dov’era atteso per un festival (espulsione che costò l’immediata partenza, per rappresaglia, di un altro grande del cinema d’autore, il finlandese Aki Kaurismaki). Ma attenzione: erano gli anni, orribili, del Patriot Act dell’era Bush, appena dopo l’11 Settembre.