Archivio del Tag ‘Germania’
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Pd più 5 Stelle, il piano del Quirinale per “suicidare” Salvini
La crisi di governo che finora era una minaccia di Salvini ora è diventata un’arma ostentata contro di lui. Lo scrive sul “Sussidiario” Ugo Finetti, giornalista e politologo, autore di importanti saggi sulla vita politica italiana (è del 2016 “Botteghe Oscure”, ovvero “Il Pci di Berlinguer & Napolitano”). «Già prima del voto europeo – scrive Finetti – il previsto successo della Lega attribuiva al suo leader il ruolo di dominus della legislatura». Ancora oggi, aggiunge l’analista, sembra scontato che la crisi di governo aprirebbe la strada alle elezioni anticipate: le consultazioni «vedrebbero certamente vincente la coalizione di centro-destra (con Berlusconi o con scissione di Toti) a guida Salvini, che tutti i sondaggi considerano ben oltre il 40 per cento», quindi la piena possibilità di varare un governo assai più unitario del tormentato connubio gialloverde, minacciato dalla fragilità dei 5 Stelle. «Con l’attuale legge elettorale, il leader della Lega si garantirebbe una sicura maggioranza parlamentare», sottolinea Finetti, osservando che lo stesso segretario del Pd, Nicola Zingaretti, «quasi quotidianamente cerca di rassicurare Salvini che se si apre la crisi chiederà le elezioni anticipate». Ma con il caso Metropol – lo strano Russiagate all’italiana – lo scenario è cambiato, avverte Finetti: «A cominciare dalle “provocazioni” di ministri ed esponenti del M5S, si direbbe che Salvini venga non solo sfidato, ma spintonato ad aprire la crisi».L’ipotesi che la Lega di Salvini si sia finanziata con fondi neri su cui ora indaga la Procura di Milano – continua Finetti – interessa ovviamente l’opinione pubblica italiana, «ma è un fatto sostanzialmente irrilevante per le cancellerie estere». Il vero “scandalo”, da Washington a Berlino, «è già ampiamente provato dalla “introduzione politica” divulgata in cui si sostiene che la politica di Salvini ha come obiettivo che l’Italia divida e indebolisca Nato e Unione Europea a favore di Mosca». Secondo Finetti «si tratta del resto di un fatto evidente da tempo», di cui Salvini in prima persona non fa mistero. Ma proprio questo – aggiunge Finetti – è il “vulnus” che porta al crescere di un concorso di intenti teso a destituire Salvini dall’attuale ruolo di guida dell’Italia. «Il fatto che, ad esempio, il ministro degli esteri Moavero abbia “preso in mano” a nome del premier Conte la questione migranti», da trattare con Bruxelles indipendentemente dal ministro dell’interno e del suo neoministro agli affari europei, «è chiaramente una “provocazione” verso la Lega e uno spintonamento a farle aprire la crisi». Insieme a Tria e allo stesso Conte, fra l’altro, lo stesso Moavero è indicato come esponente del “partito di Mattarella”, visto come costola di quel Deep State che frenerebbe l’azione del governo gialloverde ormai a guida leghista.Perché ora vorrebbe la crisi, l’establishment italiano che mal sopporta Salvini? «È evidente – spiega Finetti – che in caso di crisi, con l’eventualità di elezioni anticipate, il presidente della Repubblica non lascerebbe in vita il governo in carica con un quotidiano “teatro dei burattini” tra Salvini e Di Maio come è successo durante la campagna per il voto europeo». Per Finetti, la scelta scontata è quella di un “governo di garanzia” nominato dal Quirinale. E non è detto che il Parlamento lo bocci «per suicidarsi a vantaggio di un futuro governo salviniano (che eleggerebbe un successore di Mattarella di centro-destra)». Le elezioni anticipate non convengono al Pd, in coma farmacologico, né tantomeno ai parlamentari 5 Stelle, metà dei quali – sondaggi alla mano – non rimetterebbero più piede in Parlamento. In caso di crisi, la nascita di un nuovo governo (non come espressione di un accordo diretto tra Pd e M5S, ma che si presentasse “neutrale” come espressione del Quirinale, per concludere le trattative per i nuovi vertici dell’Ue e varare la necessaria legge finanziaria) «molto probabilmente non sarebbe bocciato», secondo Finetti, «ma troverebbe una maggioranza di non suicidi», e non solo gli esponenti Pd e quelli pentastellati.In particolare, aggiunge Finetti, «sembra sempre più evidente che anche in campo grillino, a cominciare dalla Casaleggio Associati, rimanere con Salvini, approvare la Tav, trattare in prima persona con Bruxelles è logorante, mentre sarebbe più vantaggioso mantenere voce in capitolo sulle nomine e prendere le distanze dalle quotidiane responsabilità di governo». Inoltre, prosegue l’analista, è proprio la grande crescita della Lega (che oggi supera il 35%) il vero “boccone” che unifica «gli appetiti di destra, di sinistra e di centro». Salvini è infatti cresciuto ed esploso nei voti e nei sondaggi in quanto “campione sul ring”. «Il match con la capitana tedesca gli ha portato più consensi che dissensi», annota Finetti. «Ma il giorno in cui si trovasse tra il “pubblico”, seduto sui banchi dell’opposizione, di fronte a un governo “benedetto” dal Quirinale, con la sdrammatizzazione della stessa emergenza migranti prefigurata da Moavero attraverso una politica di accordi con le cancellerie che oggi vedono Salvini come un sabotatore, il primeggiare mediatico del leader della Lega evaporerebbe».La visibilità che oggi il ministro dell’interno ha per i continui “braccio di ferro” sarebbe sostituita da una visibilità mediatica concentrata per lo più su inchieste giudiziarie, conclude Finetti, accennando allo stillicidio di iniziative che la magistratura ha intrapreso di recente contro la Lega. «Mancando il deterrente della crisi di governo e accettando di collezionare provocazioni quotidiane, Matteo Salvini rischia però lo “scacco matto”, e cioè di perdere il ruolo di “uomo forte” su cui si basa la sua crescita elettorale». Fin qui l’analisi di Finetti, che esamina con acutezza il retropensiero dell’eventuale piano per liquidare l’ingombrante leader leghista, cioè l’unico politico italiano che si sia schierato “all’opposizione di Bruxelles”, contestando (almeno a parole) lo strapotere – non elettivo, quindi non democratico – delle attuali autorità europee. Resta da capire come reagirebbero gli italiani, nel caso Salvini venisse davvero disarcionato dall’ennesima manovra di palazzo: scontata la morte politica dei 5 Stelle, resterebbe il Pd a vigilare sull’ordoliberismo finto-europeista che sta stritolando il paese. Non più ministro né vicepremier, Salvini avrebbe intere praterie da cavalcare, con esiti decisamente imprevedibili nel caso trovasse il coraggio di mobilitare il paese per liberarlo dal giogo di questa Unione Europea che deprime l’economia nazionale.La crisi di governo che finora era una minaccia di Salvini ora è diventata un’arma ostentata contro di lui. Lo scrive sul “Sussidiario” il socialista Ugo Finetti, giornalista e politologo, autore di importanti saggi sulla vita politica italiana (è del 2016 “Botteghe Oscure”, ovvero “Il Pci di Berlinguer & Napolitano”). «Già prima del voto europeo – scrive Finetti – il previsto successo della Lega attribuiva al suo leader il ruolo di dominus della legislatura». Ancora oggi, aggiunge l’analista, sembra scontato che la crisi di governo aprirebbe la strada alle elezioni anticipate: le consultazioni «vedrebbero certamente vincente la coalizione di centro-destra (con Berlusconi o con scissione di Toti) a guida Salvini, che tutti i sondaggi considerano ben oltre il 40 per cento», quindi la piena possibilità di varare un governo assai più unitario del tormentato connubio gialloverde, minacciato dalla fragilità dei 5 Stelle. «Con l’attuale legge elettorale, il leader della Lega si garantirebbe una sicura maggioranza parlamentare», sottolinea Finetti, osservando che lo stesso segretario del Pd, Nicola Zingaretti, «quasi quotidianamente cerca di rassicurare Salvini che se si apre la crisi chiederà le elezioni anticipate». Ma con il caso Metropol – lo strano Russiagate all’italiana – lo scenario è cambiato, avverte Finetti: «A cominciare dalle “provocazioni” di ministri ed esponenti del M5S, si direbbe che Salvini venga non solo sfidato, ma spintonato ad aprire la crisi».
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Magaldi: soldi alla Lega? Ma Putin tifa per quest’orrenda Ue
Ma ve lo vedete Vladimir Putin, cioè l’amicone segreto di Angela Merkel, finanziare sottobanco qualcuno che cerca di smontare quest’Europa – orrenda – messa in piedi proprio dalla cancelliera, con cui il presidente russo condivide l’esclusivo salotto massonico sovranazionale della superloggia Golden Eurasia, non certo progressista? E chi sarebbe, il terribile nemico dell’Unione Europea? Quello stesso Matteo Salvini rassegnato a rinunciare a Paolo Savona e poi a ingoiare il misero 2% di deficit concesso al governo gialloverde? Suvvia: si è rimbecillito, Putin, per promettere 65 milioni di dollari a un politico italiano irrilevante nel gioco europeo, che infatti ora assiste impotente all’ennesimo trionfo dell’asse franco-tedesco che impone ai massimi vertici due gran dame della massoneria reazionaria, Christine Lagarde alla Bce e Ursula Von der Leyen alla Commissione Europea? Se la ride, Gioele Magaldi, di fronte all’impazzimento mediatico tutto italico (e forse anche un po’ francese) per la non-notizia del fantomatico soccorso elettorale russo – in realtà mai avvenuto – che ha l’aria di essere più che altro «una polpetta avvelenata per l’Eni, che insieme all’Enel è rimasto l’unico avamposto nazionale a fare un po’ di politica estera per l’Italia, gestendo grandi interessi, vista la latitanza fantasmatica dei ministri succedutisi alla Farnesina, dove con Moavero Milanesi abbiamo toccato il fondo».
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Italian Russiagate: le bufale di BuzzFeed, che odia Salvini
«L’attacco mondialista a Salvini dimostra proprio questo intento, riprendere il flusso dell’immigrazione fuori controllo e continuare a produrre dumping salariale». Tanto, «il presunto argine ‘antisistema’ rappresentato dai 5 Stelle appare sempre più inadeguato, incoerente e ambiguo», visto che lo stesso Di Maio – nel tentativo disperato di tamponare l’emorragia di voti verso la Lega – partecipa volentieri all’ultimo gioco al massacro contro Salvini, invitandolo a rispondere dei presunti finanziamenti russi davanti al Parlamento: «Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione». Sovranità limitata, in realtà: è Bruxelles, non Roma, a stabilire cosa può fare l’Italia, la cui Costituzione è stata deturpata dall’inserimento suicida del pareggio di bilancio. Se n’è dimenticato, Di Maio? È evidente, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, che il capo politico del Movimento 5 Stelle cita “BuzzFeed” come fonte d’informazione altamente attendibile, «celando di proposito le rivelazioni pregresse sulla macchina di propaganda web del MoV, e sul fatto che Alberto Nardelli interpreterebbe un trend politico decisamente di sinistra, avverso al governo gialloverde».
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‘Banche illegali: ogni anno creano 1.000 miliardi, esentasse’
Il privilegio di emettere moneta “scritturale”, al di fuori di ogni legge che lo consenta (e anzi, contro l’articolo 128 del Trattato di Lisbona, che riserva la creazione dell’euro alla sola banca centrale) è stato di fatto preso dai banchieri privati, che godono della copertura delle autorità monetarie, e che in Italia ogni anno emettono mediamente 1.000 miliardi di moneta “scritturale”, denominandola “euro” – e non potrebbero farlo, perché violano il monopolio della Bce. La copertura, la protezione di questo privilegio (che in fondo è l’infrastruttura fondamentale del nostro sistema socio-economico) viene assicurata dalla Banca d’Italia. Ma se solo la Bce ha la potestà di creare l’euro, perché si tollera che l’euro venga creato (mediante i prestiti, ndr) dalle normali banche di credito? E’ una situazione di totale illegalità, contraria al diritto. Viene tollerata perché proprio il privilegio è il fondamento del potere politico-economico. I cittadini che si mettono a loro volta a creare moneta “scritturale”, contro cui di scaglia la Banca d’Italia, in realtà fanno esattamente quello che fa il sistema bancario privato.Solo che i cittadini, essendo il popolo (che deve essere sfruttato, spremuto e represso) non hanno la copertura delle autorità monetarie. Mentre il cartello bancario privato, che possiede le banche centrali – ne possiede le quote e ne nomina i dirigenti – quella copertura ce l’ha: ha la “legittimazione illegittima” delle autorità monetarie. Se anche venisse legittimata la creazione di euro “scritturali” da parte delle banche private, si avrebbe un grande beneficio: emergerebbe infatti un reddito, ora sommerso, di circa 1.000 miliardi all’anno, in Italia. Il che vorrebbe dire un gettito fiscale di circa 220 miliardi all’anno in più, per lo Stato, e il risanamento di tutti i bilanci bancari – quindi il pagamento di tutte le azioni e le obbligazioni convertibili, il recupero dei risparmi (e naturalmente, anche più soldi per gli investimenti produttivi e per le famiglie). Però non ne parlano, i nostri economisti mezzo-eretici, antisistema solo a metà. Penso a Borghi, Bagnai, Rinaldi e altri: non parlano mai, di questo. Raccontano solo una parte della storia: quella meno pericolosa, meno destabilizzante.Non dicono nulla di questo, che ormai è un dato di fatto ammesso dalla Banca d’Italia (che pubblica le tabelle, relative alla creazione della moneta “scritturale” da parte delle banche private). Forse, dire questo sarebbe politicamente insostenibile, per il governo: l’esecutivo verrebbe fatto fuori, se qualche suo esponente ne parlasse. Non parlandone, però, si rimane in una situazione di sudditanza, che condanna l’Italia a una morte economica certa e abbastanza lenta. Beninteso: io apprezzo Rinaldi, Bagnai e Borghi. Li ascolto molto volentieri, però questa cosa non la dicono, ed è la cosa più importante: silenzio, sull’essenziale. Certo, l’essenziale può essere troppo forte: svelare questa realtà pubblicamente, attraverso i mass media, significa destabilizzare il sistema. Se queste cose venissero spiegate alla popolazione, o anche solo agli imprenditori, apparirebbe l’illegittimità profonda e irrimediabile di questo sistema monetario (e anche socio-politico, perché l’economia monetaria determina le condizioni di tutta la politica economica).E poi: da un lato c’è il monopolio privato della creazione della moneta, dall’altro c’è il “monopsonio” di 8 banche, relativo all’acquisto dei titoli del debito pubblico, alle aste marginali. Cioè: alla fine, a tutti gli acquisti viene applicato il rendimento più alto della giornata. Quindi, chi ha acquistato titoli a un rendimento più basso, poi non fa altro che aspettare l’ultimo acquisto, per beneficiare del rendimento più alto: il che vuol dire che queste 8 banche possono mettersi d’accordo tra loro per fare manovre al rialzo, sui tassi di rendimento, e quindi far pagare di più ai contribuenti e guadagnare di più esse stesse. Bisognerebbe che qualcuno spiegasse, almeno ai soggetti impenditorialmente attivi, che cos’è questa tenaglia: il monopolio dell’offerta dei rating monetari e il “monopsonio” dell’acquisto alle aste. E’ una tenaglia che spezza qualsiasi residuo di “cosa pubblica”, perché mette tutto il potere in un numero ristretto di grandi banchieri: tutta la politica viene stretta in questa tenaglia.L’Italia, come altri paesi, soffre di una carenza artificiale di liquidità, alla quale si ovvierebbe sia col “reddito universale”, cioè creando più moneta per sostenere la capacità di spesa e quindi la domanda interna, sia con una creazione monetaria mirata ad investimenti che aumentino la produzione e la produttività (a patto che l’aumento dei consumi e delle emissioni non comprometta in modo definitivo la salute dell’ecosistema terrestre). Dovrebbe sorgere una rete bancaria parallela, praticamente gratuita, che tolga di mezzo l’attuale sistema bancario, interamente privatizzato. E’ un sistema sostanzialmente vampiresco, che drena risorse dall’economia e le riduce, artificiosamente, per mantenere alto il proprio potere di condizionamento della moneta. Noi viviamo in un sistema al quale viene tolta moneta. Sapete che l’Italia ha a disposizione una quantità di liquidità pro capite che è la metà di quella della Francia e della Germania? Mettete un paese indebitato e in recessione, come l’Italia, accanto a paesi molto meno indebitati e molto meno in recessione, e con il doppio della liquidità, e avrete l’inevitabile: e cioè che i paesi più forti (e con più soldi) si comprano tutto quel che c’è da comprare, dell’Italia. Sono cose di cui non si parla mai. E sono quell’essenza, sottaciuta, dell’economia monetaria.In qualsiasi società, abbiamo soggetti che da un lato hanno capacità di dare beni e servizi, e dall’altro hanno bisogno di beni e di servizi. Quindi la società richiede lo scambio. E lo scambio, a sua volta, richiede la moneta, come mezzo di regolazione dello scambio. Se però io mi pongo in una condizione di monopolista della creazione e della distribuzione della moneta (che è un simbolo: non è coperto da oro, e non ha un costo di produzione) e impongo a tutti di servirsi, per legge, della moneta da me prodotta, e gliela faccio pagare in termini di interessi, io gradualmente mi impadronisco di tutto il potenziale economico: costringo tutti a pagare con una moneta che prendono in prestito, versandomi gli interessi, per eseguire le loro transazioni. E accumulandosi gli interessi nel tempo, alla fine il mio potere diventa totale: assorbe quello dello Stato. Così io divento padrone dell’intera economia, ed è questo che è avvenuto. A quel punto io faccio scarseggiare la moneta, per mantenerne alta la domanda e alto il prezzo – e per tenere per il collo, al guinzaglio, le istiuzioni pubbliche, le imprese e i popoli.E attenzione: io non do nulla. Ottengo tutto questo senza dare alcun bene reale, alcun servizio reale: semplicemente, approfitto della posizione di monopolio che ho comperato, che ho conquistato in altri modi. Questa è l’economia politica, in essenza. Se prenderà piede Libra, la criptomoneta di Facebook, i giovani capiranno cos’è davvero la moneta: un semplice simbolo, il cui valore dipende unicamente dalla sua accettazione. E quindi capiranno che non ha bisogno di avere alle spalle una garanzia, una copertura in oro. Capiranno anche che la storia del capitale sociale delle banche centrali è una cosa assurda. Le banche centrali, che creano ed emettono la moneta, non hanno bisogno di capitale sociale, perché la moneta la creano. Il capitale sociale è una scorta di moneta, di credito, per far funzionare una normale impresa commerciale, che ha bisogno di prendere moneta dall’esterno: ma le banche centrali non hanno bisogno prendere moneta dall’esterno. E allora perché la Banca d’Italia ha un capitale sociale?Risposta: per creare il pretesto, lo specchietto per le allodole che giustifichi il fatto di avere dei proprietari, che sono società private e per lo più estere, che controllano la banca centrale italiana attraverso dei prestanome. Questa è la realtà: è tutta una costruzione fatta per ingannare. I giovani che useranno la moneta di Facebook impareranno che la moneta non ha bisogno di riserve e non ha costi di produzione. E capiranno quindi che tutta la narrazione, lo storytelling delle autorità monetarie (europee, italiane e internazionali, incluso il Fmi) è una panzana. E’ un inganno, una truffa, per spremere il prodotto del lavoro e del risparmio della gente e delle imprese. In tanti cominceranno a chiedersi: come mai Zuckerberg può produrre molti miliardi di Libra, se non ha una banca centrale? A cosa serve la banca centrale? A cosa servono le banche?Mi aspetto che si cominci a dubitare della narrazione monetaria e bancaria, prodotta dalle istituzioni per ingannarli. E poi, la Libra sarebbe davvero una criptovaluta? In greco, “cryptos” vuol dire nascosto. Se è evidente quello che hai nel portafoglio, bisognerebbe chiamarla “fanerovaluta”, moneta palese. C’è da fidarsi, di Facebook? Durante la campagna elettorale per le europee, il social network ha oscurato i miei post: sicuramente manifesta la volontà di tutelare certi segreti. Mi ha tenuto sotto censura per circa un mese, poi mi ha riammesso una volta avuti i risultati elettorali. A parte questo, io credo che ai livelli altissimi – in cui si trovano Mark Zuckerberg e le somme autorità monetarie – ci si preoccupi di trovare una via d’uscita dal vero problema di fondo: qualora l’economia mondiale ripartisse (consumi, investimenti, produzione), ripartirebbero anche i processi di esaurimento delle risorse ambientali planetarie, insieme al processo dell’inquinamento. Quindi è probabile che vi sia la volontà di mantenere soffocate le economie e le società, producendo anche depressione diffusa nelle popolazioni, per preparare una soluzione al problema ecologico e demografico.Facebook si metterà in una posizione tale da scatenare panico e sfiducia monetaria, nel mondo. Potrà fare disastri, volendo: l’economia, le monete e la finanza vivono di aspettative, e Facebook a un certo punto potrebbe anche scatenare un collasso globale delle monete. Ma forse arriverà prima la guerra, magari la guerra nucleare con l’Iran: Teheran ha appena detto che completerà il suo programma, e Trump ha replicato sostenendo di non avere bisogno dell’approvazione congressuale, per attaccare. Sono solo parole? Vedremo. Se ci sarà una guerra avremo scarsità di petrolio e prezzi fuori controllo. Ma è difficile prevedere il futuro – anzi, è impossibile. Molti economisti prevedono una nuova, grossa crisi ormai imminente? Era attesa, è vero, però gli ultimi segnali prevalenti sono diversi. In base alle informazioni che ricevo per vie interne, so che alla fine dell’anno prossimo inizierà una campagna di investimenti molto massiccia. Soprattutto nel Sud Europa ci sarà una forte espansione delle attività di costruzioni infrastrutturali. Apprendo che, in certi uffici molto importanti, ci si aspetta questo: una ripresa, nel 2020.La moneta diventerà solo elettronica? Non credo si possa elminare il cash, anche se la quantità di contante utilizzata, nel mondo, è già molto modesta. In realtà, eliminare il denaro materiale (che esiste già, senza quindi il bisogno che la banca lo mantenga in essere) è un modo per spiare capillarmente la vita dei cittadini e portargli via quello che hanno, senza che possano opporsi. Serve anche a espropriare il denaro a fini fiscali e di sostegno al sistema bancario. E serve a colpire le singole persone, quelle non sottomesse, ribelli – le persone dissenzienti, che disturbano – attraverso il blocco dei conti correnti e altre forme di persecuzione discriminatoria. Pensiamo a cosa può fare, la banca, con una segnalazione (anche falsa) di inadempienza: se ti stai comprando casa, può rovinarti la vita. Vale per tutti: la banca potrebbe fermare le capacità di acquisto, di spesa e di pagamento. E a questo si può certamente arrivare. Morte civile: non puoi più pagarti nemmeno un avvocato che ti difenda.E’ un modo per schiavizzare i cittadini – mentre la grande evasione e la grande elusione fiscale avvengono per altri canali: non certamente attraverso il contante, ma attraverso i falsi bilanci bancari che citavo prima (l’omissione della contabilizzazione dei ricavi della creazione monetaria). Evasione ed elusione avvengono anche attraverso manovre al rialzo o al ribasso dei mercati finanziari, e poi attraverso le reti bancarie occulte, che consentono l’occultamento di grandi quantità di denaro (che poi riaffiora nei paradisi fiscali). La moneta è una forma di controllo sociale, penetrante e immediato: repressione e intimidazione dei cittadini. In Cina vieni schedato, a punteggio, in base a come ti comporti su Internet e alle opinioni che esprimi. Alla fine la gente arriverà ad auto-inibirsi, a escludersi dalle comunicazioni: sarà indotta al conformismo, all’acquiescenza, per il timore di incorrere nel blocco del conto corrente e della carta di credito.(Marco Della Luna, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti e Tom Bosco nella puntata 318 di “Border Nights”, trasmessa il 25 giugno 2018 e poi ripresa su YouTube. Avvocato e saggista, Della Luna – riguardo alla creazione monetaria impropria, la moneta “scritturale” – allude al normale credito bancario: la banca possiede solo la riserva frazionaria, cioè appena l’1% del denaro che presta; di fatto il 99% lo “crea dal nulla”, emettendo il credito, e lo fa in regime di esclusivo monopolio, in questo caso privato. Della Luna ha pubblicato svariati saggi, sul tema, tra cui “Cimiteuro, uscirne e risorgere: signoraggio, golpe bancario, debito infinito”, “Euroschiavi: chi si arricchisce davvero con le nostre tasse”, “Oligarchia per popoli superflui: l’ingegneria sociale della decrescita infelice”, “Oltre l’agonia: come fallirà il dominio tecnocratico dei poteri finanziari” e “Tecnoschiavi”, uscito nel 2019).Il privilegio di emettere moneta “scritturale”, al di fuori di ogni legge che lo consenta (e anzi, contro l’articolo 128 del Trattato di Lisbona, che riserva la creazione dell’euro alla sola banca centrale) è stato di fatto preso dai banchieri privati, che godono della copertura delle autorità monetarie, e che in Italia ogni anno emettono mediamente 1.000 miliardi di moneta “scritturale”, denominandola “euro” – e non potrebbero farlo, perché violano il monopolio della Bce. La copertura, la protezione di questo privilegio (che in fondo è l’infrastruttura fondamentale del nostro sistema socio-economico) viene assicurata dalla Banca d’Italia. Ma se solo la Bce ha la potestà di creare l’euro, perché si tollera che l’euro venga creato (mediante i prestiti, ndr) dalle normali banche di credito? E’ una situazione di totale illegalità, contraria al diritto. Viene tollerata perché proprio il privilegio è il fondamento del potere politico-economico. I cittadini che si mettono a loro volta a creare moneta “scritturale”, contro cui di scaglia la Banca d’Italia, in realtà fanno esattamente quello che fa il sistema bancario privato.
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Yahvè SpA: chi domina il mondo, oltre la geopolitica visibile
Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attenatatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare quel camion bianco, fermo da giorni sul lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.Fu l’Isis a rivendicare la strage di Nizza, ma le menti dello Stato Islamico sono altrove: Abu Bakr Al-Bahdadi, il sedicente Califfo, secondo Magaldi è affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha”, dominata dai Bush e responsabile del super-attentato del terzo millennio, quello dell’11 Settembre, comodamente attribuito al “barbaro jihadista” Bin Laden, in realtà massone, affiliato anch’esso alla medesima Ur-Lodge. La “Hathor Pentalpha”, sorta all’inizio degli anni ‘80 per volere di Bush padre, appena battuto da Reagan alle primarie repubblicane, raccolse il gotha dei golpisti del Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano: George W. Bush e suo fratello Jeb Bush, Dick Cheney e Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz e la stessa Condoleezza Rice. Oltre a Bin Laden (Al-Qaeda) e Al-Baghdadi (Isis), la “Hathor” avrebbe reclutato un ideologo come Samuel Huntington (“La crisi della democrazia”), insieme a Donald e Robert Kagan, Douglas Freith, Irving e William Kristol, Dan Quayle. Con loro Richard Perle, Karl Rove, Bill Bennett e il politologo Michael Leeden. Una rete trasversale, con affiliati in Medio Oriente: Oman, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita e persino Iran (tra gli iraniani coinvolti, l’ex presidente Hashemi Rafsanjani).Obiettivo: destabilizzare ferocemente il pianeta, creando a tavolino il presunto “scontro di civiltà” tra Occidente e mondo arabo. Punta di lancia dell’operazione: Israele (era il premier Ariel Sharon l’uomo della “Hathor” a Tel Aviv). Ma arabi e israeliani non dovevano essere acerrimi nemici, anziché compagni di merende e di avventure anche terroristiche? Certo, ma solo in teoria, spiega Magaldi: in realtà sono tutti massoni, nella cabina di regia. E la vera geopolitica – al di là della narrazione dei media – passa per i circoli come la “Hathor”, incarnazione infernale dell’ala più reazionaria della supermassoneria occulta, apolide e sovranazionale. Convergenze insospettabili: dirigenti sauditi in riunione con Sharon e col presidente turco, il “fratello” Recep Tayyip Erdogan, insieme a un bel po’ di potenti europei: l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder, l’allora primo ministro spagnolo José Maria Aznar, l’intramontabile Tony Blair, il polacco Aleksander Kwasniewski e il francese Nicolas Sarkozy – più un paio di italiani: l’allora presidente del Senato, Marcello Pera, nonché Antonio Martino, all’epoca ministro berlusconiano e già segretario della Mont Pelerin Society, vero e proprio tempio ideologico dell’ultra-destra economica europea, culla dell’oligarchia neoaristocratica che ha incubato, progettatto e imposto l’austerity per infliggere la camicia di forza a paesi come l’Italia, alle prese con la nascente globalizzazione.Il primo a parlarne in termini espliciti è stato Paolo Barnard, nel saggio “Il più grande crimine”, uscito prima ancora della crisi italiana del 2011. La tesi: si trattava, semplicemente, di cancellare la memoria della Presa del Bastiglia. Il mitico 14 luglio? Un incidente della storia: aprì l’Europa a qualcosa di mai prima sperimentato – la democrazia – spalancando le porte alla modernità del futuro: Stato di diritto, suffragio universale. Traduzione euro-atlantica successiva: economia sociale, conquiste civili e diritti del lavoro. Bene, tutto questo doveva finire. E in modo drammatico: col terrorismo stragista della strategia della tensione (Al-Qaeda, Isis) o col terrorismo finanziario (rigore europeo). Per volere di chi? Dei soliti noti, gli antichi baroni. O meglio: di quella che un tempo costuitiva il nerbo dell’Ancient Régime, cioè l’aristocrazia feudale più parassitaria. Le era toccato finire sfrattata dal potere (politico) dal 14 luglio in poi? Niente paura: si è ripresa tutto, e con gli interessi, mantenendo le grandi leve della finanza. Ha finanziarizzato l’economia e ridotto gli Stati in bolletta, senza più sovranità monetaria. Il gioco perfetto dei leggendari Rothschild, padroni d’Europa (e di un pezzo d’America) da tre secoli questa parte.Nei suoi libri, un ricercatore come Pietro Ratto ricostruisce il ruolo di casati ebraici come quello dei Warburg, in realtà di origine veneta, poi soci in affari con i Rothschild – di cui sempre Ratto prova anche l’apparentamento coi Rockefeller, mediante matrimoni strategici. Dettaglio inquietante: furono i grandi finanzieri ebrei a sovvenzionare Hitler all’alba della sua tragica epopea. Non solo: è stato accertato che proprio il Terzo Reich – al suo esordio – fu un poderoso sponsor occulto del sionismo, favorendo l’espatrio degli ebrei tedeschi verso la Palestina e finanziando il primo colonialismo ebraico in Terrasanta. Scioccante? Quasi quanto il libro “L’altra Europa”, pubblicato dal vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte primo ministro democristiano Mariano Rumor. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il padre dell’autore – Giacomo Rumor – agiva come 007 per conto di monsignor Montini, futuro Paolo VI, allora responsabile dell’intelligence vaticana. Gli Alleati già sapevano che avrebbero vinto, e volevano progettare in anticipo l’Europa del dopoguerra. Fin qui, tutto bene: logico che gli Usa si rivolgessero al Papa, visto che l’Italia era ancora in mano a Mussolini, e che l’antifascismo era largamente comunista. Ma un giorno l’esoterista francese Maurice Schumann, gollista e interlocutore di Rumor, svelò al cattolico italiano chi c’era veramente, dietro al piano: la Struttura. Una cupola esclusiva, ininterrottamente al potere, nel mondo, da quasi 12.000 anni.Follia? Non secondo l’archeologo Loris Bagnara, che ha verificato sul campo: le indicazioni di Rumor (cioè di Schumann) corrispondono in modo impressionante con la geografia e la toponomastica dei luoghi dove si sarebbe costituito quell’antico potere, nato in Mesopotamia e poi trasferitosi nell’Egitto dei faraoni prima di approdare in Palestina e quindi nel Mediterraneo fenicio e poi greco-romano. L’eminente politoligo Giorgio Galli, autore della prefazione del libro di Rumor, conferma: i nomi citati dal dossier-Schumann sono perfettamente coerenti con la mappa del vero potere, anche di quello euro-atlantico del Novecento. Politici, industriali e finanzieri: tutti esoteristi, vincolati al reciproco segreto sull’origine della Struttura, sostanzialmente iniziatica, risalente – a loro dire – attorno al 9.500 avanti Cristo, tra le rive del Tigri e quelle dell’Eufrate, cioè dove Zecharia Sitchin attribuisce agli Anunnaki, i misteriosi Figli delle Stelle, la “fabbricazione” dell’homo sapiens nella versione poi narrata dai Sumeri. Di quella storia – avverte Mauro Biglino, già traduttore ufficiale delle Edizioni San Paolo – la Bibbia non è che la fotocopia: la Genesi descrive la nascita di Eva mediante clonazione genetica, proprio come la pecora Dolly, ad opera degli Elohim come Yahvè, cioè i Figli delle Stelle palestinesi.Autore di culto in Italia, pubblicato anche da Mondadori (trecentomila copie vendute), a Biglino nessuno contesta la riscoperta letterale della Bibbia: l’interpretazione teologico-spiritualista del testo si rivela completamente infondata (Yahvè non era “Dio”, ma solo uno dei tanti Elohim citati). Semmai, la Bibbia – ammesso sia attendibile, visto che è stata riscritta ininterrottamente fino al medioevo – propone un’altra storia: la nascita dell’umanità attuale, così improvvisamente evoluta, sarebbe opera dell’ibridazione genetica dei Figli delle Stelle, che avrebbero immesso il loro Dna in quello dei primitivi ominidi. Biglino è rispettato anche ad Harvard, dove alla facoltà di medicina si raccomandano i suoi libri. E sulla sua ipotesi stanno convergendo decine di scienziati, che lo hanno messo a capo di un progetto di ricerca senza precedenti: studi interdisciplinari, anche archeologici, per verificare quel che la Bibbia racconta, alla lettera. E le religioni monoteiste? La prima, l’ebraismo, secondo Biglino sarebbe nata attorno al VI secolo avanti Cristo, quando Yahvè sparì di colpo, in seguito all’avvento dei babilonesi che sottomisero gli ebrei. Da allora, dice lo studioso, ad assumere la leadership del popolo ebraico furono i sacerdoti, cioè la casta degli ex “maggiordomi” di Yahvè: furono loro, manipolandola, a trasformare la Bibbia nel “libro sacro” che non era mai stato.Quando poi l’Impero Romano – oltre mezzo millennio dopo, nel 70 dopo Cristo – represse duramente gli ebrei distruggendo il Tempio di Salomone a Gerusalemme, gli stessi sacerdoti contrattarono il loro futuro con i nuovi padroni: cedettero ai romani il Tesoro del Tempio, in cambio di una vita agiatissima nella capitale imperiale, da cui poi – attraverso svariati passaggi – diedero vita alla nuova religione, il Cristianesimo cattolico, ufficialmente coniato da Costantino nel 325 al Concilio di Nicea. Lo stesso Paolo Rumor, attingendo al memoriale Schumann, sostiene che la mitica Struttura si sarebbe spezzata in due tronconi, a Gerusalemme, proprio attorno all’Anno Zero. Di recente, Biglino ha accennato a libri di prossima uscita, dal contenuto sconcertante: attraverso accurate analisi di fonti d’archivio, emerge una sbalorditiva continuità nel potere europeo attraverso i secoli, con in primo piano – da Gerusalemme a Roma, fino al Nord Europa – sempre le stesse famiglie. La sua tesi è nota: attraverso la Bibbia, siamo stati finora governati da un unico schema di potere, concepito sotto forma di dominio. Lo stesso sistema finanziario attuale, che regge il pianeta, è quello enunciato da Yahvè: potrai prestare denaro ma non richiederlo, perché chi riceve denaro in prestito ne diventa schiavo. E a proposito: dov’è finito, Yahvè? Sicuri che sia sparito per sempre dalla circolazione?Se un giorno si scoprisse che gli Elohim come quello che gestiva la famiglia di Giacobbe sono qui tra noi e controllano tutto – dice Biglino – certo non me ne stupirei: secondo la Bibbia potevano vivere anche 30.000 anni. Assurdo? Mica tanto: la distanza fra i loro 30 millenni e i nostri 90 anni è infinitamente più piccola di quella che separa una tartaruga gigante (200 anni) da una farfalla che viva solo 24 ore. Di giorno in giorno, si moltiplicano scoperte che sconquassano le vecchie certezze archeologiche: la Piramide di Cheope (vera datazione, 20.000 anni) è una potente “fabbrica di energia”: è presidiata dai fisici che vi osservano gli stranissimi fenomeni che ospita, come l’abbattimento di particelle subatomiche. A Visoko, in Bosnia, sono state scoperte le più grandi piramidi della Terra, risalenti a 30.000 anni fa. E al largo dell’India spuntano città sommerse – probabilmente dal maremoto di 11.500 anni fa (il Diluvo Universale?), scatenatosi proprio nel periodo in cui a Göbekli Tepe, in Turchia, fu costruito il tempio più antico della Terra, in un’area in cui gli scavi rivelano che la nascita dell’agricoltura risale addirittura al Mesolitico. Scoperte che costringono a retrodatare la nostra storia, cancellando quello che fino a ieri credevamo di sapere.Sotto certi aspetti, è come se le incredibili scoperte dell’archeologia odierna costringessero a ripensare la stessa geopolitica attuale. Si perde tempo, ripete Magaldi, se ci si ferma ancora a valutarla come scontro tra nazioni: c’è ben altro, dietro le quinte. Se lo domandava anche Barnard: vi siete mai chiesti come mai la politica non riesce mai a mantenere le sue promesse? E perché le cose vanno di male in peggio, nonostante il pianeta non sia mai stato così ricco, vista la nostra capacità esponenziale di produrre beni, grazie alla vertiginosa rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni? Colpa dell’élite neo-feudale, si risponde Barnard. Ed è un’élite non certo illuminata, aggiunge Magaldi: si tratta di un’oligarchia del denaro, reazionaria, neo-conservatrice, il cui massimo livello di potere – al di sopra delle entità paramassoniche come il Bilderberg – è rappresentato dalle 36 Ur-Lodges che dominano il globo. E se ci fosse dell’altro ancora, sopra le midiciali superlogge? Magari la “Yahvè SpA”, affidata a emissari collaudatissimi? E’ l’interrogativo che rilancia Biglino, convinto che gli Elohim (come gli Anunna sumeri, i Theoi greci, i Deva indiani) non siano affatto scomparsi, dimenticandosi delle loro “creature”. Anzi, aggiunge lo studioso: sarebbe perfettamente plausibile scoprire, un giorno, che dietro ai maggiori potentati terrestri vi siano proprio “quelli là”, i Figli delle Stelle, l’un contro l’altro armati: è uno schema ripetuto in tutti i libri antichi, compresa la Bibbia.Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attentatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare il suo camion bianco, fermo da giorni su quel lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.
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Nasce il Psai: basta rigore, la rivoluzione che serve all’Italia
La Commissione Europea? Abolita. E allora chi governa l’Europa? Un esecutivo finalmente normale, votato dal Parlamento Europeo, democraticamente eletto. E la Bce? Deve cambiare il suo mandato: dovrà creare lavoro, sotto la direzione della politica, e non badare più soltanto alla stabilità dei prezzi per contenere l’inflazione. E il pareggio di bilancio imposto da Monti? Va eliminato subito dalla Costituzione italiana. Di più: bisogna creare la piena occupazione, grazie a un’agenzia speciale per il lavoro, in ogni caso limitato a 35 ore settimanali e remunerato con salari dignitosi. E ancora: ci spetta un reddito universale (per tutti, anche per chi un lavoro ce l’ha già). Cos’è, uno scherzo? No: è la bozza programmatica del Psai, cioè il “Partito che serve all’Italia”. L’aggettivo “rivoluzionario” suona persino eufemistico. Siamo di fronte all’eresia pura, all’utopia. Letteralmente: non esiste, oggi, un posto così. Sarebbe un paradiso. E noi siamo ormai abituati all’inferno ordinario nel quale siamo stati sprofondati poco alla volta, a colpi di austerity e neoliberismo selvaggio spacciato per legge divina (“ce lo chiede l’Europa”, quella del “pilota automatico” che privilegia i soliti super-poteri finanziari, che usano i loro burattini all’Ue per trasformare in legge il loro business privato).Cos’è, allora, questa specie di Rivoluzione della Felicità? Un diversivo letterario? Ma no, dicono i fautori del Psai: si può fare. “The impossible, made possible”. Parola di Nino Galloni, uno dei cervelli dell’esperimento. Cos’è mancato, finora? Una sola qualità, fondamentale: il coraggio politico. Ecco perché nasce, il Psai. Riassunto delle puntate precedenti: fino all’altro ieri (Berlusconi & Prodi, poi Monti e il pallido Letta, quindi l’illusione Renzi e l’avatar Gentiloni) sarebbe stato “lunare” mettere in discussione il predominio della finanza speculativa, mascherato dietro l’oligarchia Ue. Le ostilità le hanno aperte un anno fa i gialloverdi, i 5 Stelle e soprattutto la Lega. Poi però il governo Conte – frenato da Mattarella, Bankitalia e tutto l’eterno establishment italiano telecomandato dall’estero – ha ridotto l’esecutivo alla caricatura di se stesso, almeno stando alle promesse della vigilia. In mano a Di Maio (e Tria), lo sbandierato “reddito di cittadinanza” è diventato una barzelletta, mentre Salvini si costringe ad alzare la voce contro la “capitana” di turno, nella speranza di far dimenticare la pietosa figura rimediata a Bruxelles: prima il “niet” all’espansione del deficit, poi la minaccia della procedura d’infrazione per far ingoiare all’Italia la sua ennesima esclusione dal bunker-Europa, presidiato da Merkel e Macron e ora affidato alle due maschere di turno del Trattato di Aquisgrana, la francese Christine Lagarde e la tedesca Ursula Von del Leyen.Passi avanti, da parte dell’Italia? Uno: la consapevolezza, ormai acquisita, che questa Unione Europea – fatta così – è un clamoroso imbroglio. Non si spiega altrimenti, alle elezioni e nei sondaggi, il successo della Lega: un voto sulla fiducia, nella speranza che un giorno possa fare davvero qualcosa, per il paese, l’unico partito che ha avuto il fegato di spedire in Parlamento Bagnai e Borghi, e a Strasburgo Antonio Maria Rinaldi. In altre parole: s’è capito che è ora di sfrattare Friedman, von Hajek e gli altri cantori del totalitarismo neoliberista, recuperando la lezione di Keynes. O lo Stato torna a investire a deficit, o dell’Italia – senza soldi – non resterà più nulla. Parola d’ordine: inversione radicale della rotta, cestinando quarant’anni di falsi dogmi – il peggiore, la famosa “austerity espansiva” coniata a Harvard (più tagli, più cresci), ha fatto ridere il mondo: i conti di Kenneth Rogoff, sommo sacerdote del rigore, erano vergognosamente errati, sbagliatissimi. E’ vero il contrario: più spendi, più cresci. Si chiama: moltiplicatore della spesa pubblica. Se spendi 100 in termini di deficit strategico, puoi arrivare a produrre anche 300, in termini di Pil. Lo sanno tutti, da Draghi alla Commissione Ue, ma fingono di non saperlo. E obbligano l’Italia a restare in una situazione tragica di “avanzo primario”, ovvero: da decenni, lo Stato incassa (con le tasse) più di quanto spenda per i cittadini. Il che equivale al suicidio dell’economia nazionale.Lo sa anche Salvini, naturalmente, così come Borghi, Bagnai e Rinaldi. Il problema? Finora la Lega ha abbaiato, ma senza mordere. Attenuanti? Svariate: appena i leghisti si muovono, qualche magistrato li blocca. E Armando Siri, l’ideologo della Flat Tax, è stato rottamato per via giudiziaria (pur essendo solo indagato) col benservito dei 5 Stelle, ormai nel panico per aver disatteso qualsiasi promessa elettorale. E dunque, che fare? Elementare: un nuovo partito. Un altro? Ebbene sì, ma diverso: generato dal basso, da gruppi e associazioni. Il primo e unico partito capace di sviluppare una piattaforma democratica di tipo rivoluzionario, in grado di rovesciare – in modo strutturale – tutte le premesse (bugiarde) su cui si fonda il rigore europeo. Galloni, coraggioso economista post-keynesiano, è fra i cervelli dell’operazione. Era consulente del governo quando l’Italia tentava di limitare i danni dell’imminente Trattato di Maastricht, prima che Mani Pulite spazzasse via Craxi e Andreotti. Il cancelliere Kohl arrivò a reclamarne l’allontanamento. Che c’entrava, la Germania? Aveva preteso lo scalpo industriale dell’Italia, sua maggiore concorrente, in cambio della rinuncia al marco, richiesta dalla Francia come viatico per il via libera di Parigi alla riunificazione tedesca. Da allora, l’inevitabile: crisi su crisi. Ma ora basta, dice Galloni, insieme agli altri promotori del Psai (assemblea costituente a Roma il 14 luglio: data non casuale, anniversario della Rivoluzione Francese).E la rivoluzione del “Partito che serve all’Italia”? Altrettanto eversiva: si tratta di abbattere il nuovo Ancien Régime fondato a Bruxelles, che ha instaurato l’attuale “nuovo feudalesimo”, col risultato di deprimere più di mezza Europa, Grecia e Italia in testa. Il traguardo numero uno dei nuovi aspiranti rivoluzionari? Ovvio: abbattere l’austerity europea per salvare l’Italia dalla crisi (e ridare dignità all’Europa, su base finalmente democratica). Centrali i temi economici. Prima bomba: creare una banca interamente pubblica, per introdurre «una moneta parallela sovrana e non a debito, non convertibile fino al 3% del Pil, con l’obiettivo di rilanciare l’economia senza generare debito». Proprio grazie alla leva monetaria, sostiene il Psai, potrà agire in modo incisivo «un Alto Istituto per la Piena Occupazione, incaricato di dare lavoro ai disoccupati». Altra bomba: se fosse al governo, il Psai introdurrebbe un “reddito universale”, destinato a tutti, da adattare annualmente in base all’andamento dell’economia. Reddito vero, «da aggiungersi al normale salario già percepito». Altro che il reddito-burletta elemosinato da Di Maio. Premessa imprescindibile : «Eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione». E poi, creare un’agenzia di rating indipendente da Wall Street, «che renda noti e credibili i criteri di giudizio riguardo gli asset patrimoniali e il debito pubblico e privato», sottraendo l’Italia alle consuete pressioni da parte della grande speculazione.L’affondo, rispetto al mondo finanziario, è frontale: «Vogliamo riformare il sistema bancario e introdurre in Italia una legge simile al Glass-Steagall Act», si legge nella bozza programmatica del Psai. Obiettivo: «Separare l’attività delle banche commerciali e quella delle banche d’affari», mettendo al sicuro i risparmi degli italiani e il credito destinato alle aziende. Fu Roosevelt a imporre il Glass-Steagall Act, per salvare l’America dalla Grande Depressione innescata dalle bolle finanziarie. E fu Bill Clinton ad abolirlo, dopo mezzo secolo (e lo scandalo Lewinsky), per la gioia di Wall Street. Non ha nessuna timidezza, il nascente “Partito che serve all’Italia”, neppure di fronte ai maggiori simboli del potere economico mondiale: vorrebbe «obbligare le multinazionali a replicare a livello nazionale le strutture organizzative globali», per mettere fine alla piaga dello sfruttamento, dei licenziamenti facili e delle delocalizzazioni. Programma folle? Certo, in giro non s’era mai sentito niente di simile: roba da far cadere dalla sedia qualsiasi conduttore televisivo. Il piglio, “garibaldino”, ricorda epoche lontane come gli anni ruggenti, sfrontati e coraggiosi dell’Italia di Enrico Mattei, che infatti poi riuscì a stupire il mondo.Eppure, ragiona Galloni, non c’è altro da fare: cambia tutto, se l’Italia trova finalmente la forza di rigettare l’austerity, recuperando sovranità e capacità di spesa. Ridiventa un mercato appetibile per gli investimenti produttivi, ma soprattutto rianima la domanda interna, l’occupazione, i consumi. In alre parole: riaccende il futuro. Si può fare, dunque? La risposta è sì, per il Psai. Il motore? La moneta parallela: basta a garantire lavoro e investimenti, restituendo agli italiani i loro diritti. Per esempio: età pensionabile non superiore ai 65 anni, orario lavorativo di sole 35 ore settimanali, salario minimo garantito e drastica riduzione delle tasse, anche per i pensionati. L’Iva? Ridotta al minimo per i beni essenziali. Già, ma l’Europa? Ecco, appunto: il Psai propone «un radicale ripensamento dell’attuale Disunione Europea». Come? Restituendo sovranità ai popoli europei: «Occorre attribuire al Parlamento Europeo il potere legislativo, abolendo la Commissione Europea». Il Psai parla anche di «promozione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo, per renderlo indipendente dall’influenza di singoli paesi, o gruppi di paesi». Non è tutto: oltre a eleggere un nuovo governo europeo, finalmente sovrano e legittimato dal voto, il Parlamento di Strasburgo dovrebbe ottenere «la competenza sulle politiche monetarie», attualmente appannaggio della Bce.La stessa banca centrale – almeno, nel libro dei sogni che il Psai sembra prendere molto sul serio – dovrebbe essere sottoposta a una revisione completa del suo mandato: la Bce «va legata al potere politico, cambiando la sua “mission”: dovrà preoccuparsi di creare piena occupazione». Quanto all’euro, la valuta comune «è da convertire in una moneta contabilmente trasparente, sovrana e in grado di rilanciare l’economia senza generare debito». In altre parole, il Psai chiede di ridiscutere integralmente i trattati europei, ritenendoli «lesivi del diritto di autodeterminazione dei popoli e della dignità della persona umana». Insomma, robetta da niente. Illusioni? Miraggi? Non per i promotori del “Partito che serve all’Italia”, la cui scommessa è palese: creare la prima piattaforma rivoluzionaria che si sia mai vista, dalla nascita dell’Unione Europea, per tentare di dire finalmente le cose come stanno, proponendo inoltre soluzioni pratiche (estremamente sensate) per uscire dal tunnel. Una road map, destinata al giudizio degli elettori. Di più: un nuovo alfabeto, per demifisticare l’economicismo miserabile che ha oscurato la politica, riducendola al piccolo derby tra avversari apparenti, destinati – comunque si voti – a eseguire gli ordini dell’eterno “pilota automatico”, in realtà manovrato dall’oligarchia del denaro che sta impoverendo l’intero continente.La Commissione Europea? Va abolita. E allora chi governa l’Europa? Un esecutivo finalmente normale, votato dal Parlamento Europeo, democraticamente eletto. E la Bce? Deve cambiare il suo mandato: dovrà creare lavoro, sotto la direzione della politica, e non badare più soltanto alla stabilità dei prezzi per contenere l’inflazione. E il pareggio di bilancio imposto da Monti? Va eliminato subito dalla Costituzione italiana. Di più: bisogna raggiungere la piena occupazione, grazie a un’agenzia speciale per il lavoro, in ogni caso limitato a 35 ore settimanali e remunerato con salari dignitosi. E ancora: ci spetta un reddito universale (per tutti, anche per chi un lavoro ce l’ha già). Cos’è, uno scherzo? No: è la bozza programmatica del Psai, cioè il “Partito che serve all’Italia”. L’aggettivo “rivoluzionario” suona persino eufemistico. Siamo di fronte all’eresia pura, all’utopia. Letteralmente: non esiste, oggi, un posto così. Sarebbe un paradiso. E noi siamo ormai abituati all’inferno ordinario nel quale siamo stati sprofondati poco alla volta, a colpi di austerity e neoliberismo selvaggio spacciato per legge divina (“ce lo chiede l’Europa”, quella del “pilota automatico” che privilegia i soliti super-poteri finanziari, che usano i burattini dell’Ue per trasformare in legge il loro business privato).
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L’Italia è meglio di quanto si dice: 10 prove lo dimostrano
“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.Abbiamo inoltre la capacità di sfidare i mercati internazionali (6° punto) nonostante la piccola dimensione delle nostre imprese (il che non vuol dire che non si debba crescere). Il Made in Italy è uno dei marchi più famosi al mondo ed esprime una serie di valori – design, innovazione, tecnologia – decisamente distanti dall’idea (7° punto) di essere appiattiti sulle produzioni a basso costo del lavoro. E bisogna anche respingere l’affermazione che il paese sia caratterizzato (8° punto) da una grande disuguaglianza economica, facendo molto meglio di Francia, Regno Unito e Spagna. È da demolire, poi, il convincimento che gli italiani non paghino le tasse (9° punto) dal momento che la pressione fiscale è in linea con quella europea (forse è vero, però, che a pagare siano sempre gli stessi). Infine, dobbiamo liberarci dalla credenza di essere troppo indebitati (10° punto). Messi insieme il debito pubblico e il debito privato, l’Italia risulta tra le più virtuose nel consesso dei paesi avanzati. È vero che il debito pubblico è molto alto se raffrontato al Pil, ma è anche vero che diventa sostenibile se si tiene conto dell’avanzo primario e della ricchezza finanziaria delle famiglie.A tutto questo si aggiungono le suggestioni dell’ultimo “Quaderno di Symbola” che rilancia le tesi della Fondazione Edison e allarga il campo dei primati nazionali all’economia sostenibile e circolare, all’attrattività turistica, alla roboetica (il lato umano dei robot), al design, alla qualità della ricerca scientifica, all’avanzare incessante delle consultazioni su Google delle espressioni del Made in Italy. Tutto questo dovrebbe indurci a modificare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Troppo concentrati sulle nostre debolezze, trascuriamo le potenzialità di un paese che conserva un’energia tanto straordinaria quanto compressa, mentre dovrebbe essere riconosciuta e liberata. Senza cadere nell’eccesso opposto di sentirci forti e invincibili – la tentazione di esagerare è sempre viva – le lezioni della Fondazione Edison e di Symbola andrebbero apprese e divulgate.(Alfonso Ruffo, “10 prove che l’Italia è meglio di quanto si dice e si pensa”, dal “Sussidiario” del 7 luglio 2019).“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.
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Fcas e Tempest, con i nuovi jet l’F-35 diventa archeologia
In occasione del recentissimo Paris Air Show, un modello del Fcas (Future Air Combat System) ha attirato la curiosità dei presenti: si tratta di un caccia di sesta generazione, scrive “L’Antidiplomatico”. Realizzato in collaborazione con tedeschi e spagnoli, il jet militare è di origine prevalentemente francese. E potrebbe essere la controparte europea di qualsiasi aereo (con equipaggio, o senza) dei caccia stealth di quinta generazione, come gli F-22 Raptor americani, gli Su-57 della Russia e ovviamente i più che controversi F-35, che varie forze europee hanno dovuto acquisire per fare un favore agli Usa. «Fcas è costruito attorno a concetti futuristici: configurazione invisibile, missili a lungo raggio e, soprattutto, volo senza equipaggio», spiega “L’Antidiplomatico”. «Come una regina furtiva, il caccia sarà seguito da un seguito di droni che svolgeranno gran parte del lavoro sporco di combattimento e di scouting», assumendo su di sé il peso del fuoco nemico.Nel frattempo, gli Stati Uniti «stanno lavorando sullo stesso concetto con il programma Loyal Wingman e il drone Xq-58, un sosia mini-F-35 che funzionerà con aeromobili con equipaggio come un branco di cani da caccia e il loro padrone». E per non essere superata dai suoi cugini continentali, da cui si sta separando, la Gran Bretagna – che pure ha acquistato alcuni F-35 – sta anch’essa sviluppando il suo caccia di sesta generazione, il Tempest. «Munito di laser, dovrebbe entrare in servizio intorno al 2035». A questo progetto pare voglia prendere parte anche l’Italia. Questi jet avanzati, aggiunge “L’Antidiplomatico”, possono essere dotati di armi avveniristiche. La società europea di difesa Mbda ha presentato alcuni concetti avanzati di missili: «Sciami di alianti lanciati dagli aerei che riescono a sopraffare un bersaglio a cinquanta miglia di distanza, mentre gli aerei con equipaggio sono al sicuro dalla mischia». Non solo: ci sono anche «missili furtivi a bassa quota che dovrebbero bombardare nemici».Finalmente, nei piani euro-atlantici, figurerebbe anche «un missile supersonico, che può abbattere aerei nemici, navi e difese aeree». Il giorno che entrasse in esercizio sarebbe una prima risposta all’attuale supremazia assoluta della Russia, che ha già testato i suoi nuovissimi missili ipersonici, letteralmente “imparabili”, capaci di affondare una portaerei viaggiando anche a dieci volte la velocità del suono. Ne ha dato una spettacolare dimostrazione lo stesso Putin, diffondendo le immagini di questi missili: lanciati da navi da guerra in navigazione nel remotissimo Mar Caspio, sono piovuti addosso ai miliaziani dell’Isis in Siria senza che i sistemi di allertamento Nato potessero far nulla per intercettarli. Scenari che rendono ancora più inutile il costoso F-35, definito “un bidone volante” dallo storico progettista dell’F-16, secondo cui il jet americano a decollo verticale, lento e impacciato, non soppravviverebbe a un duello aereo con un Mig degli anni Sessanta.In occasione del recentissimo Paris Air Show, un modello del Fcas (Future Air Combat System) ha attirato la curiosità dei presenti: si tratta di un caccia di sesta generazione, scrive “L’Antidiplomatico”. Realizzato in collaborazione con tedeschi e spagnoli, il jet militare è di origine prevalentemente francese. E potrebbe essere la controparte europea di qualsiasi aereo (con equipaggio, o senza) dei caccia stealth di quinta generazione, come gli F-22 Raptor americani, gli Su-57 della Russia e ovviamente i più che controversi F-35, che varie forze europee hanno dovuto acquisire per fare un favore agli Usa. «Fcas è costruito attorno a concetti futuristici: configurazione invisibile, missili a lungo raggio e, soprattutto, volo senza equipaggio», spiega “L’Antidiplomatico”. «Come una regina furtiva, il caccia sarà seguito da un seguito di droni che svolgeranno gran parte del lavoro sporco di combattimento e di scouting», assumendo su di sé il peso del fuoco nemico.
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Arriva il gigante Putin, e l’Europa dei nani non ha un leader
Arriva a Roma un gigante, Vladmir Putin, che guida la Russia con mano sicura dall’inizio del terzo millennio. Accantoniamo i giudizi di valore, piuttosto controversi, sullo zar venuto dal comunismo e dalla tradizione russa. Parliamo di statura politica: è un grande statista che passerà nel bene e nel male alla storia. Anche Donald Trump e Xi Jinping sono due leader giganti, qualunque cosa positiva o negativa si pensi di loro. E il giapponese Shinzo Abe e l’indiano Narendra Modi sono due statisti che con salda mano guidano i loro paesi, confermati dai loro popoli. A suo modo perfino un autocrate come Erdogan è destinato a passare alla storia. Sarà un mezzo dittatore ma stranamente ha indetto elezioni regolari a Istanbul, le ha perse e lo ha riconosciuto. E l’Europa, invece? L’Europa è governata dai sette nani più la biancaneve tedesca. Juncker, Tusk, o se volete Macron, Sanchez e ora le due signore dell’asse franco-tedesco, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde.In urbe caecorum la Merkel grandeggia sugli altri anche perché ha guidato il paese più grande e grosso dell’Unione; ma è incomparabile per lungimiranza, forza e consenso ai leader extraeuropei prima citati. Oltretutto è una leader sconfitta, sfiduciata, che non rappresenta più nemmeno la Germania. Tra i sette nani, perfino il nostro premier, Giuseppe Conte, pur scaturito artificiosamente, non venuto dalla politica né dall’establishment, appare non certo peggiore, più inadeguato o meno legittimato degli altri partner europei. Pensatela come volete ma se l’Europa oggi conta poco nel mondo, non piace agli europei, è un mezzo fallimento nelle relazioni interne prima che esterne, non sa farsi valere negli scenari internazionali, una quota importante del suo insuccesso lo deve proprio all’assenza di grandi capi. Mezze calzette che fanno eleggere ai posti chiave mezze cartucce. E nei loro paesi sono tutti leader di forte minoranza, con governi precari di coalizioni fragili e assai eterogenee: da Sanchez alla Merkel, passando per tutti gli altri.Si deve arrivare ai paesi più piccoli per trovare leadership salde e governi più omogenei, riconfermati dal voto popolare. Non è per dire, ma il più votato è Viktor Orban, in Ungheria. Ma il suo paese non è tra i grandi e lui nei popolari è a bagnomaria, mezzo sospeso. Non dico leader carismatici o statisti che passeranno alla storia, non dico Adenauer e Schumann, De Gaulle e forse De Gasperi, per restare all’Europa del dopoguerra; ma non c’è nemmeno l’ombra di qualcuno che somigli a Helmut Kohl, François Mitterrand, Margareth Thatcher… Tra i socialisti non c’è nessuno che vagamente somigli a Brandt, Gonzales, a Craxi, a Blair del passato. Non c’è un leader europeo di livello storico manco a pagarlo, non c’è un padre nobile, non c’è un leader naturale o in pectore al di sopra degli altri. Da che dipende? Facile dire che i grandi nascono una tantum e in modo imprevedibile. Sarà pure così ma c’è una spiegazione più forte e articolata che spiega la penuria di leader europei.L’Unione Europea è nata male, intorno a una moneta e a una banca centrale, non è scaturita dalla politica, non è cresciuta intorno alla politica, è un processo dispersivo, policentrico e anonimo, senza un conducente, con un pilota automatico e sotto tutela della Troika, dunque dei potentati economico-tecnocratici-finanziari euro-globali. L’Europa che ripudia la storia elegge leader bonsai. In queste condizioni non poteva avere leader forti, ma solo frutti mediocri del compromesso, zelanti esecutori e funzionari di piccolo cabotaggio. Dacché l’Europa si è unificata con l’euro non è emerso neanche un leader europeo; né dalla Commissione Europea e dalle assemblee parlamentari europee né dai governi e dai Parlamenti nazionali. E la politica di austerità dell’Europa, il gioco in difensiva mostra l’assenza di disegni politici e progetti storici e l’asservimento agli assetti contabili e ai loro funzionari di tutta l’Unione. Per questo trovo un po’ ridicolo parlare di “Più Europa”, come fanno la Bonino e Mattarella: l’Europa è il regno del meno, non del più, vince il low profile, la cordata, il compromesso di medio-basso profilo, la conventio ad excludendum.Viene premiato chi si fa tappetino, chi china la testa e si adegua all’apparato e ai suoi parametri; viene punito chi alza la testa. È una continua selezione a rovescio, dei più deboli, dei più meschini. Mediocri leadership si avvicendano negli Stati e nelle Commissioni Europee. Forse un presidente dell’Europa eletto direttamente dal popolo europeo, pur piena di insidie e controindicazioni, sarebbe una via per favorire un clima favorevole alla nascita e alla crescita di veri leader. Non è il capriccio di un’indole autoritaria ma quando hai di fronte Putin, o anche Trump e Xi Jinping, non puoi pensare di mandarci mezzi leader sfiduciati in casa propria, che non sanno mai parlare a nome dell’Europa ma riescono a malapena a curare gli interessi di bottega nazionali o del Fondo Mondiale. Gli altri hanno i leader, noi abbiamo le foto di gruppo, i cori e le comitive a sovranità limitata. Ci rendiamo poco credibili e soprattutto incapaci di trattare alla pari. Alla Grande Politica rispondiamo coi micro-leader. Europa mignon guidata dalla nano-tecnocrazia…(Marcello Veneziani, “Arriva Putin, e all’Europa manca un leader”, da “La Verità” del 4 luglio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Arriva a Roma un gigante, Vladmir Putin, che guida la Russia con mano sicura dall’inizio del terzo millennio. Accantoniamo i giudizi di valore, piuttosto controversi, sullo zar venuto dal comunismo e dalla tradizione russa. Parliamo di statura politica: è un grande statista che passerà nel bene e nel male alla storia. Anche Donald Trump e Xi Jinping sono due leader giganti, qualunque cosa positiva o negativa si pensi di loro. E il giapponese Shinzo Abe e l’indiano Narendra Modi sono due statisti che con salda mano guidano i loro paesi, confermati dai loro popoli. A suo modo perfino un autocrate come Erdogan è destinato a passare alla storia. Sarà un mezzo dittatore ma stranamente ha indetto elezioni regolari a Istanbul, le ha perse e lo ha riconosciuto. E l’Europa, invece? L’Europa è governata dai sette nani più la biancaneve tedesca. Juncker, Tusk, o se volete Macron, Sanchez e ora le due signore dell’asse franco-tedesco, Ursula von der Leyen e Christine Lagarde.
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Roma fra Putin, la Cina e Trump: nuovo ordine sovranista?
Il colpo d’occhio non è male: in tre mesi due grandi leader globali (Xi Jinping e lo Zar del Duemila) sono atterrati a Roma per visite ufficiali in cui hanno dispensato onori e amicizia. In mezzo, il ministro dell’interno in modo totalmente irrituale vola a Washington e viene omaggiato dal vicepresidente Pence e dal segretario di Stato Mike Pompeo. Tre su tre, in pratica. Contiamo davvero qualcosa? No, siamo il solito “ventre molle” d’Europa (come scrive oggi Lucio Caracciolo su “Rep”) su cui di volta in volta i potenti del mondo appoggiano la loro testolina per fare dispetto al rivale di turno. La differenza di oggi è che pure il resto del continente è molle, anzi frollato, e conta sempre meno. I giochi sono tra Trump e Xi, con Putin terzo incomodo grazie alla sua influenza in Siria, Turchia, Venezuela, Egitto. È un incastro di dazi, sanzioni e ripicche in cui il resto del pianeta fa da spettatore o vittima. Putin nelle scorse settimane ha annunciato una grande alleanza con la Cina per sfuggire alla morsa delle sanzioni euro-americane, e ha rinsaldato i rapporti con Turchia e Iran per costituire un blocco che possa dar fastidio all’America. Nel mentre, Xi “regalava” a Trump l’incontro con Kim Jong-Un in Corea del Nord in cambio di un apertura su dazi e Huawei.La guerra commerciale con la Cina e le sanzioni alla Russia troveranno soluzione, ma solo nel momento più congeniale alla campagna elettorale di Trump. Poche ore fa è uscito l’ultimo dato sul mercato del lavoro americano: +224.000 posti di lavoro a giugno, disoccupazione al 3,7%. Poteva andare meglio, di sicuro non va male. Sul piano economico, insomma, può stare abbastanza tranquillo. Quello di cui ha bisogno, per vincere le elezioni e guidare la “narrazione” pre-voto, è un “win” geopolitico. La mezza vittoria del disgelo con la Corea del Nord non basta. Serve qualcosa che abbia un impatto mediatico più profondo. Ad esempio, un nuovo accordo con l’Iran, ovviamente più “huge” di quello che firmò Obama, che sarà facilitato dalla Russia in cambio di un allentamento delle sanzioni. Tutto s’incastra, e tutto va distillato in base alla convenienza politica. La prossima data sull’agenda della Casa Bianca è il 17 settembre, quando Israele tornerà al voto per la seconda volta quest’anno, essendo falliti i tentativi di Netanyahu di formare un governo. Per Donald è fondamentale che il suo migliore amico Bibi resti al potere, anche se non è più scontato: oltre al principale rivale Benny Gantz, è riemerso dalle nebbie pure l’ex primo ministro Ehud Barak, che ha annunciato la formazione di un partito, l’ennesimo, che correrà alle legislative. L’alleanza tra Barak e Gantz vuol dire sconfita oer Netanyahu.C’è una cosa che hanno in comune i tre leader di Cina, Stati Uniti e Russia, ed è piuttosto clamorosa. Tutti sono d’accordo sul declino della democrazia liberal-liberista. Il requiem pronunciato da Putin al “Financial Times” è sottoscritto da Trump – non in modo esplicito – e ovviamente da Xi. Per loro, la globalizzazione è un fenomeno che è scappato di mano e da correggere, a botte di dazi e sanzioni, perché le disuguaglianze interne che ha creato sono destabilizzanti per i sistemi politici. Per l’America è una questione economica; per la Cina, che dalla globalizzazione ha tratto più benefici, è politica e identitaria: circolano le merci, ma non deve circolare il pensiero. L’Europa invece non ha (ancora?) aderito a questo cambiamento epocale. Però Trump e Putin hanno già promesso accordi bilaterali al Regno Unito quando uscirà dall’Unione Europea, e tutto fa pensare che al timone ci sarà Boris Johnson, uno che è tanto colto e brillante quanto sciroccato e populista. “BoJo” avrà come unico scopo di non far affondare il suo glorioso paese, e metterà l’interesse nazionale davanti a tutto e tutti, non essendo più vincolato dall’odiato consensus di Bruxelles.Sia Trump che Putin, in modi diversi ma paralleli, hanno provato a indebolire l’euro (ovvero il marco tedesco), che è l’unica vera arma che l’Europa ha dispiegato negli ultimi vent’anni, l’unico strumento che abbia impensierito le altre potenze. Per ora, vedi le ultime elezioni e le nomine dell’altro giorno, il tentativo di abbattere la costruzione europea è fallito, ma la struttura ne esce comunque indebolita. Come un frigorifero, bisogna farlo oscillare a destra e sinistra più volte prima di poterlo buttare giù. Non è un caso che la rigorista Ursula abbia dato retta alla Merkel e abbia concesso agli Stati membri altri due anni di flessibilità per mettere a posto i conti; la procedura d’infrazione contro l’Italia si è sciolta come un ghiacciolo, mentre fino a due settimane fa era una clava pronta a calare sulle nostre teste. La verità è che l’Europa non può permettersi altri strappi. Già la Brexit rischia di essere una bella botta, che potrebbe creare danni più ai continentali che ai sudditi dell’immortale Elisabetta. Non è un caso, neppure, che uno degli obiettivi principali della nuova presidente della Commissione, già ministro della difesa tedesco, sia quello di costruire una forza militare comune.Se si mettono d’accordo, i singoli paesi potrebbero mettere in piedi un esercito europeo tanto forte da poter intervenire in quei luoghi dove gli Stati Uniti non intendono più mettere il naso (Africa, Medio Oriente, persino Sudamerica), e prenderne il posto di sceriffo del mondo. Con l’influenza geopolitica che ne discende. Per la Germania i dazi americani sono un grosso guaio, l’unica strada è allargare lo sguardo all’Africa prima che la Cina si prenda tutto anche lì. Un petit tour italiano di Putin non cambierà nulla per le sanzioni alla Russia. È un modo per dar fastidio agli Usa, punzecchiare la Germania. E ricordare al resto d’Europa che ora si trova in mezzo a un nuovo ordine non mondiale ma sovranista, e che dovrà farci i conti. Da qui alle elezioni americane del novembre 2020 preparatevi a una nuova, forse finale, battaglia mediatica contro il Puzzone della Casa Bianca. Perché se dovesse vincere di nuovo, nulla sarà come prima in Occidente.(“La visita di Putin in Italia non cambia niente ma dice tantissimo”, da “Dagospia” del 5 luglio 2019. “Stiamo assistendo a un nuovo ordine mondiale in cui Cina, Stati Uniti e Russia hanno sottoscritto lo stesso modello politico sovranista che condanna la globalizzazione liberal-liberista, e l’Europa è un vaso di coccio tra i tre colossi”).Il colpo d’occhio non è male: in tre mesi due grandi leader globali (Xi Jinping e lo Zar del Duemila) sono atterrati a Roma per visite ufficiali in cui hanno dispensato onori e amicizia. In mezzo, il ministro dell’interno in modo totalmente irrituale vola a Washington e viene omaggiato dal vicepresidente Pence e dal segretario di Stato Mike Pompeo. Tre su tre, in pratica. Contiamo davvero qualcosa? No, siamo il solito “ventre molle” d’Europa (come scrive oggi Lucio Caracciolo su “Rep”) su cui di volta in volta i potenti del mondo appoggiano la loro testolina per fare dispetto al rivale di turno. La differenza di oggi è che pure il resto del continente è molle, anzi frollato, e conta sempre meno. I giochi sono tra Trump e Xi, con Putin terzo incomodo grazie alla sua influenza in Siria, Turchia, Venezuela, Egitto. È un incastro di dazi, sanzioni e ripicche in cui il resto del pianeta fa da spettatore o vittima. Putin nelle scorse settimane ha annunciato una grande alleanza con la Cina per sfuggire alla morsa delle sanzioni euro-americane, e ha rinsaldato i rapporti con Turchia e Iran per costituire un blocco che possa dar fastidio all’America. Nel mentre, Xi “regalava” a Trump l’incontro con Kim Jong-Un in Corea del Nord in cambio di un apertura su dazi e Huawei.
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Christine Lagarde: la macellaia della Grecia a capo della Bce
«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.Non è invece una montatura il ruolo che l’Fmi ebbe nella crisi della Grecia. Pur avendo preso avvio prima del suo insediamento, l’intervento si è concretizzato sotto la presidenza Lagarde. Con i risultati che tutti conosciamo. La Troika era sì composta, oltre che dal Fondo, anche da Unione Europea e Bce. Marchiani furono però gli errori commessi in sede di analisi da parte del primo, che sottostimò clamorosamente i moltiplicatori fiscali (a livello 0,5: erano fra tre e cinque volte più alti), imponendo misure draconiane che riuscirono persino a peggiorare una già drammatica situazione. Il Pil si è così contratto di oltre il 20% in più rispetto alle previsioni e la disoccupazione, che non doveva superare il 15%, è schizzata al 25%. L’Fmi ha scontato, scrisse l’editorialista economico del “Daily Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchars, un “pregiudizio pro-euro” che l’ha portato di fatto a «sacrificare la Grecia per salvare l’euro e le banche del Nord Europa». Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire. Al quale dobbiamo aggiungere il tentativo esperito nel 2011 per tentare di costringere l’Italia ad accettare un intervento finanziario. In cambio ovviamente delle solite “riforme”. Berlusconi e Tremonti si opposero, ma il commissariamento arrivò comunque a novembre di quell’anno con la crisi speculativa sui nostri titoli di Stato e l’insediamento di Mario Monti alla presidenza del Consiglio.Con la piena benedizione di Emmanuel Macron, Christine Lagarde arriva così fino al vertice dell’Eurotower. Non un fulmine a ciel sereno, dato che il suo nome era fra quelli papabili. Ma che dice molto sui nuovi equilibri che regneranno in Europa: a questo giro l’ha spuntata la Francia, riuscendo in qualche modo a ridimensionare una Merkel (la quale ha comunque un’ottima stima della Lagarde) sempre meno leader indiscusso. Tandem Christine Lagarde – Ursula von der Leyen? Se le nomine dovessero essere confermate dal Parlamento Ue, ai vertici delle istituzioni comunitarie siederanno così due donne. Detto delle esperienze della Lagarde, non va meglio con quelle di Ursula von der Leyen. Tedesca, classe 1958, ininterrottamente dal 2005 ha rivestito per tre volte la carica di ministro nel governo federale tedesco. Torniamo di nuovo all’annus horribilis 2011. Proprio mentre Lagarde premeva per il nostro commissariamento, la von der Leyen si spingeva oltre, proponendo di legare eventuali aiuti ai membri in crisi dell’Eurozona in crisi con la richiesta di depositare beni in garanzia. Nello specifico, il nostro oro o le nostre aziende strategiche. L’unione di intenti fra le due nuove “teste” dell’Ue condurrà al disastro? Nonostante i “precedenti”, infatti, già da qualche anno l’Fmi ha iniziato, sia pur timidamente, a ripensare i propri modelli.Se prima l’austerità e le riforme strutturali erano l’unica via da percorrere, oggi la musica sembra in minima parte cambiata. E’ quindi estremamente probabile che, seguendo la nuova trama, che Christine Lagarde possa riprendere in mano il “bazooka” lanciato da Draghi con il nome di Quantitative Easing. Modificandolo, dandogli forse una diversa taratura. Ma certo non riponendolo in soffitta. Altro ossigeno, insomma, per un’Eurozona che è e rimane disastrata e preda delle contraddizioni intrinseche di una moneta unica architettata male e realizzata peggio. Un effetto placebo che, come già dimostrato fino ad oggi (nonostante l’invasione di liquidità l’inflazione, zavorrata da una crescita che resta asfittica, di salire non ne vuol proprio sapere) rischia solo di procrastinare la nostra agonia. Evitando forse manovre lacrime e sangue. Ma non per questo affrontando qui problemi talmente connaturati all’euro dal non poter essere in alcun modo risolti. A meno di non voler dare una nuova forma all’unione monetaria, magari iniziando a discutere di trasferimenti monetari dalle zone più ricche a quelle più in difficoltà. Scelta di politica economica standard in condizioni “normali”, ma che la Germania non accetterà mai. E anche qualora si dimostrasse aperta all’ipotesi, chiederebbe in cambio di scrivere – insieme a Bruxelles e alla Bce stessa – direttamente le nostre finanziarie. Sarebbe desiderabile?(Filippo Burla, “La macellaia della Grecia a capo della Bce: ecco chi è Christine Lagarde”, da “Il Primato Nazionale” del 3 luglio 2019. Laureato in scienze politiche ed economia aziendale, Burla è un analista economico del giornale, indipendente, ascrivibile all’area culturale della nuova destra sovranista italiana. Quanto alla Lagarde, nel saggio “Massoni” edito da Chiarelettere, Gioele Magaldi svela che la presidente uscente del Fmi milita stabilmente in svariate Ur-Lodges, come le superlogge “Three Eyes” e “Pan-Europa”, espressione dell’ala reazionaria e oligarchica del supremo potere massonico mondiale).«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.
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Porti aperti: il cinismo anti-italiano degli schiavisti umanitari
Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.Anche in questo caso non si tratta di una situazione eccezionale, di un’emergenza fortuita da fronteggiare, ma di una prassi ormai consolidata, programmata e reiterata. Non è un imprevisto capitato sulla rotta ma è il “mestiere” che alcune imbarcazioni hanno deciso di ingaggiare, a prescindere dagli Stati, dai popoli e dai territori. La terza: non c’è nessun potere legittimato democraticamente, consolidato dall’esperienza storica e dalla vita dei popoli, che risponde direttamente alla cittadinanza, la rappresenta e la tutela, oltre lo Stato nazionale libero e sovrano. Ed è giusto che sia lo Stato nazionale sovrano a decidere in ultima istanza, sulla base dei suoi ordinamenti, come ha coerentemente fatto il governo italiano, a partire dal ministro dell’interno fino al presidente del Consiglio; e a negare nella fattispecie che una nave battente bandiera olandese, diretta da una comandante di nazionalità tedesca, possa attraccare non nel primo porto incontrato sulla rotta, che era poi in Tunisia, ma decida di far rotta sull’Italia e imponga di fatto al nostro paese l’obbligo di accoglierli, trasformando un già discutibile diritto d’accoglienza in un inderogabile dovere d’accoglienza, ovunque e comunque. Chi mina gli Stati e li scavalca, nel nome dell’ideologia “no border”, lavora per il caos e la fine del diritto internazionale.La quarta. Siamo stati abituati da una propaganda ideologica, moralistica ed emozionale a non sottrarci ad accogliere il singolo caso pietoso, il bambino denutrito e senza adulti, il malato da curare, la donna incinta in balia delle onde o della miseria. Ma dietro il singolo caso, su cui inevitabilmente ci si appella alla nostra umanità, si vuol far passare un flusso ben più massiccio e duraturo. Ovvero si vuol usare il singolo caso come cavallo di Troia per legittimare in realtà la trasmigrazione di popoli e di chiunque voglia lasciare il proprio paese e venire a vivere da noi. In un mondo in cui i benestanti si contano in milioni e i poveri in miliardi, non si può pensare che gli uni possano caricarsi degli altri, che la piccola Italia si debba caricare sulle sue fragili spalle la grande Africa, che la piccola Europa si carichi i flussi di popolazioni venute dal sud o dall’est del pianeta. Certo, il fenomeno per ora ha numeri non impressionanti; però col passare del tempo e col lasciapassare che si vorrebbe imporre, il fenomeno rischia di ingrossarsi fino a raggiungere dimensioni insostenibili.La quinta. Dietro il principio d’accoglienza umanitaria, si nasconde un gigantesco business a due facce: da un verso riguarda gli impresari politici dei flussi migratori per gestirne poi l’assistenza e gli effetti politici; e dall’altro verso interessa quanti usano manovalanza sottopagata da sfruttare, senza tutele (salvo dare agli speculatori di cui sopra ulteriore motivo di rappresentanza degli interessi sindacali e lavorativi dei migranti). Sinistra e padronato soci in affare, sotto copertura umanitaria. È un business immenso e vergognoso che si nasconde dietro la carità e sfrutta, strumentalizza e schiavizza i migranti. A tale proposito è stato penoso lo spirito demagogico e illegale, anti-italiano e anti-europeo della sinistra e del suo circo di “anime belle”.Infine, la sesta. Non ci sono nel mondo d’oggi situazioni aggravate rispetto a qualche anno fa – guerre, genocidi, carestie – da costringere ad aprire le frontiere e i porti. Se vogliamo, era molto peggio dieci anni fa. E in ogni caso chi se la passa peggio non è chi riesce a partire, chi riesce a procurarsi i soldi per pagare la fuga o gli scafisti, chi ha la forza, i contatti, i mezzi per poter andar via; ma la vera miseria, la vera priorità è di quelli che non hanno la forza e le risorse per poter partire e restano a casa. E vedono i loro paesi impoverirsi di energie giovanili che migrano altrove, abbandonando donne, vecchi e bambini. Se davvero dovessimo dare la precedenza agli ultimi, come dice il Papa, gli ultimi non sono quelli che vengono da noi ma quelli condannati a restare a casa loro in condizioni di vera miseria. Ma la vera finalità di chi sostiene le migrazioni è lo sradicamento dei popoli dalle loro terre e noi dalle nostre.(Marcello Veneziani, “Sei tesi sui porti aperti”, da “La Verità” del 30 giugno 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Vorrei dire sei cose oltre la vicenda Sea Watch, la retorica, gli odi e gli slogan. La prima: se si stabilisce il principio che ogni uomo ha diritto di decidere unilateralmente quando, come e dove vivere senza considerare norme, confini, Stati e popolazioni, salta ogni ordinamento giuridico, si polverizza ogni sovranità nazionale e statale, si cancella ogni limite e frontiera, ogni tutela e ogni garanzia per i cittadini regolari di quei paesi che hanno diritti e doveri, lavorano e pagano le tasse. Il sottinteso di quella pretesa è che non va applicata una procedura eccezionale per dare asilo a profughi che fuggono da guerre e da acclarate situazioni d’emergenza ma va accolto chiunque decida di mettersi in viaggio, in navigazione. E nemmeno “una tantum” ma ogni volta che accade. La seconda. È assurdo riconoscere a un’organizzazione privata, a una Ong, come la Sea Watch, il privilegio extraterritoriale e sovrastatale di decidere verso quale paese dirigersi per far sbarcare i migranti raccolti e di assegnarli così ai paesi con decisione autonoma, unilaterale, in virtù di un imperativo umanitario, assumendo di propria iniziativa e senza alcun titolo per farlo, il ruolo di tutori e mediatori dei migranti.