Archivio del Tag ‘George Bush’
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I Tabligh, islamici: il terrorismo Isis viene da massoni Usa
Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).Le prove? Magaldi dichiara di disporre di 6.000 pagine di documenti da poter esibire. Ma nessuno, dal 2014, si è mai fatto avanti per contestare le sue rivelazioni, secondo cui alla “Three Eyes” apparterrebbero personaggi di primissimo piano, da Henry Kissinger a Giorgio Napolitano. Quanto all’Isis, è illuminante il saggio “Dalla massoneria al terrorismo” firmato da Gianfranco Carpeoro nel 2016: un libro che analizza il retroterra simbolico – non islamico, ma interamente massonico e “templarista” – dei sanguinosi attentati condotti in Europa negli ultimi anni. Stragi affidate a manovalanza islamista e finite tutte nello stesso modo, con l’uccisione dei killer da parte della polizia, prima che un interrogatorio potesse consentire agli inquirenti di risalire agli eventuali mandanti. Ora, a confermare che sarebbe stato il braccio oscuro dell’Occidente a passare “dalla massoneria al terrorismo” sono i Tabligh Eddawa, asceti islamici che battono anche le nostre strade, di moschea in moschea. «Gli studiosi – scrive De Lorenzo, sul “Giornale” – li chiamano i “testimoni di Geova dell’Islam”. E forse i Tabligh Eddawa lo sono. O se volete sono i “frati di Maometto” che islamizzano l’Italia».Missionari, itineranti e radicali. «Predicano il vero Islam, vivono imitando lo stile di vita del Profeta e su questa strada cercano di riportare tutti i musulmani dalla fede affievolita». Il movimento nacque cent’anni fa in Pakistan dall’idea di Muhammad Ilyas Kandhalawi. «Da allora si sono diffusi in tutto il mondo, Italia compresa». Ogni membro, spiega De Lorenzo, deve seguire sei principi fondamentali: la preghiera, il ricordo continuo di Dio, lo studio, la generosità, la predicazione e la missione. «Ognuno deve sforzarsi in un percorso di auto-riforma verso il “vero”, unico Islam». “Eddawa” significa “parlare di Dio”, “Tabligh” invece “andare a portare il messaggio”: per questo, il loro obiettivo ultimo è la predicazione. Nel mondo, ricorda il “Giornale”, ci sono tra i 70 e gli 80 milioni di musulmani itineranti. Ma di loro si sa poco: non ci sono elenchi ufficiali dei membri e non esistono bilanci scritti. Non esiste una sede centrale italiana, ma solo cellule – in ogni moschea – che scelgono i responsabili «in base alla saggezza e al percorso di crescita personale». Durante le missioni i partecipanti si auto-tassano per sostenere le attività e gli spostamenti. «Il più delle volte dormono a terra, nelle moschee delle città dove si recano a predicare».Di loro, l’antiterrorismo italiano sa molto: anche se rifiutano categoricamente la violenza, sono strettamente monitorati dall’apparato di sicurezza che finora ha impedito che in Italia si verificassero gravi fatti di sangue, come invece è accaduto nel resto d’Europa. Nel suo pregevolissimo reportage, Giuseppe De Lorenzo restituisce perfettamente il clima dei colloqui intrapresi durante i tre giorni trascorsi insieme ai Tabligh Eddawa. «Uccidere è il più grande dei peccati», spiega Maufakir: un fedele può impugnare le armi solo per «combattere chi ci impedisce di professare la nostra fede». E poiché in Italia non è vietato praticare il Ramadan, non è lecito sposare la causa terrorista. L’atteggiamento del gruppo islamico radicale è duplice, osserva De Lorenzo: da una parte condannano senza mezzi termini gli attentati, dall’altra non nascondono una vena di complottismo sull’origine del jihadismo. «Un comportamento – annota il reporter – che tende a spostare le responsabilità dal mondo islamico a quello occidentale. Negano, infatti, che le bombe siano diretta espressione di una ideologia che trova nel Corano il suo testo di riferimento». Lo confermano le parole di alcuni di loro, come Jaouad: «Gli attacchi non sono opera dei musulmani. È tutto costruito: c’è qualcuno dietro».Di fronte ai microfoni, scrive De Lorenzo, nessuno si sbilancia sugli autori di questo presunto complotto. E l’attenzione si sposta sui media, accusati dai Tabligh di falsificare i video degli attentati. Un altro esponente della comunità, Hamid, ripete che le eventuali colpe dei singoli non possono ricadere sulle spalle di tutta la religione. L’Isis? Secondo i Tabligh Eddawa non è opera di Allah, ma del demonio. Abu-Bakr Al-Bahdadi? Per Magadi è un supermassone, esponente – come già Bin Laden – della “Hathor Pentalpha”. «Un criminale da sconfiggere», lo giudicano i “frati di Maometto”. Osserva De Lorenzo: «Daesh non è visto come metastasi di un tumore nato all’interno dell’Islam, ma come qualcosa di eterodiretto». Letteralmente: una pedina politica delle potenze straniere. «Per me – sentenzia Jaouad – l’Isis è una organizzazione criminale organizzata da qualche furbetto che cerca di sporcare la faccia dei musulmani». Furbetto manovrato da chi? «Dovreste indagare», risponde con sicurezza Jaouad: «Daesh è una cellula americana». Tombola: così si spiegano meglio anche le foto che, qualche anno fa in Siria, ritraevano Al-Baghdadi con l’inviato di Obama, John McCain.E’ comunque la prima volta – grazie al quotidiano milanese diretto da Alessandro Sallusti – che i media italiani registrano la denuncia del complotto, per bocca di esponenti musulmani radicali: si scrive Isis, ma si legge massoneria Usa. O meglio: spezzoni occulti della massoneria di potere di stampo reazionario, quella che alimenta il Deep State e la strategia della tensione internazionale, con il terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, regolarmente proposto al pubblico occidentale sotto mentite spoglie, a colpi di “fake news”. Al “Giornale” ha collaborato a lungo Marcello Foa, la cui elezione alla presidenza della Rai – sostiene Gianfranco Carproro – è stata a lungo ostacolata dal supermassone francese Jacques Attali, “padrino” di Macron. Ad Attali, addirittura Napolitano avrebbe consigliato di premere su Berlusconi, attraverso Tajani, per far mancare a Foa i numeri necessari. Nel saggio “Gli stregoni della notizia”, lo stesso Foa spiega come la verità venga sistematicamente deformata. Non è un caso, probabilmente, che sia proprio il “Giornale” a firmare lo scoop che accusa di terrorismo la massoneria atlantica, attraverso la voce dei “missionari del Profeta”.Date retta: il terrorismo islamico è roba americana, fabbricata da massoni. Chi lo dice? Un musulmano integralista, Jaouad, intervistato da Giuseppe De Lorenzo sul “Giornale”, nell’ambito di un report esclusivo sui Tabligh Eddawa, frati missionari itineranti. E’ la prima volta, a quanto pare, che sulla stampa italiana compare una denuncia simile. Le comunità islamiche hanno regolarmente condannato il terrorismo condotto in nome di Allah, sia che si trattasse di Al-Qaeda che poi dell’Isis. Ma non si erano mai spinte – sui giornali, almeno – a denunciare direttamente settori della massoneria atlantica. I grandi media, certo, evitano di ricordare che lo stesso Osama Bin Laden fu reclutato da Zbigniew Brzezinski, stratega della Casa Bianca, per guidare i muhajeddin in Afghanistan contro l’Urss. C’è voluto Gioele Magaldi per spiegare – nel saggio “Massoni” – che Brzezinski, pezzo da novanta della massoneria mondiale nonché della Commissione Trilaterale, non si limitò a ingaggiare Bin Laden come pedina strategica: il leader della futura Al-Qaeda venne “iniziato” alla superloggia “Three Eyes” (che poi abbadonò, dice sempre Magaldi, per passare coi Bush nella “Hathor Pentalpha”, una Ur-Lodge sospettata di aver ispirato il maxi-attentato dell’11 Settembre).
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Magaldi: 5 Stelle, bugie sul Venezuela e fallimenti in Italia
Mascalzoni: o siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».L’accusa: è semplicemente folle dare del “golpista” a Guaidò, solo perché è sostenuto dagli Usa. «L’autoproclamato presidente non ha fatto nulla che non fosse previsto dalla Costituzione del Venezuela: e il governo italiano non può fingere di non saperlo, come invece fanno i 5 Stelle». Scandisce i termini della questione, il presidente del Movimento Roosevelt: per chi non l’avesse ancora capito, ribadisce, Guaidò non è un “signor nessuno” messo lì dalla perfida America per rovesciare un governo legittimo. E’ il presidente del Parlamento. E la Costituzione del suo paese – in circostanze straordinarie, come queste – gli conferisce il potere, legale, di disconoscere il presidente in carica, sostituendolo in via strettamente provvisoria. Con un unico obiettivo: indire elezioni. Dove starebbe il golpismo? Per colpo di Stato si intende: presa del potere con metodi violenti, mediante l’uso della forza. Guaidò vuole forse cacciare Maduro per insediarsi stabilmente alla presidenza? No: si limita a compiere un passaggio costituzionale necessario, per imporre a Maduro il ripristino della legalità democratica. Vuole che i venezuenali possano tornare a votare. L’ultima volta che l’hanno fatto, lo scorso anno, il partito di Maduro ha praticamente vinto da solo: l’opposizione incarnata da Guaidò non si era neppure candidata, non ravvisando l’agibilità democratica della consultazione. Come si può parlare, seriamente, di golpe?Certo, il Venezuela è ricchissimo di petrolio: ha la prima riserva petrolifera del mondo, e ora è boicottato dagli Stati Uniti. Come ricorda Eugenio Benetazzo, c’è proprio il petrolio nel destino di Caracas, nel bene e nel male: usando i proventi del greggio, Hugo Chavez riuscì a condurre uno spettacolare programma di welfare, di stampo socialista. Maduro avrebbe voluto imitarlo, ma il crollo del prezzo del barile gliel’ha impedito. E quando il paese è scivolato nella crisi, l’erede di Chavez – a differenza del suo precedessore – non ha esitato a ricorrere alla repressione, di fronte alle proteste popolari. Maduro ha forzato ripetutamente la Costituzione, cosa che invece Chavez s’era ben guardato dal fare: aveva proposto una modifica costituzionale in senso presidenziale, ma aveva accettato (democraticamente) il verdetto contrario dei venezuelani. «Maduro – sintetizza Magaldi – ha letteralmente rovinato il gran lavoro svolto da Chavez». Non ci credete? E allora, suggerisce il presidente del Movimento Roosevelt, magari leggetevi su “L’Intellettuale Dissidente” le illuminanti analisi di un osservatore privilegiato come Giuseppe Angiuli, grande estimatore di Chavez e oggi rassegnato a descrivere “la triste parabola del socialismo bolivariano”, con ormai quasi 3 milioni di venezuali in fuga – per fame – nei paesi vicini.Lo fa notare lo stesso Benetazzo: è vero, il regime di Maduro si è trovato ad affrontare difficoltà serissime ed è stato progressivamente “accerchiato”. Ma la sua evidente incapacità è ormai diventata un problema insormontabile: al di là dell’avversione ideologica per il governo di Caracas, paesi come Brasile, Argentina ed Ecuador percepiscono Maduro come un ostacolo da rimuovere, non essendo in grado di impedire che il Venezuela si trasformi in una bomba sociale, nel teatro regionale di una catastrofe umanitaria. Alle Sette Sorelle – fa notare Gianni Minà – fa gola il petrolio venezuelano: il loro grande obiettivo è appropriarsi della Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, tuttora statale. Tutto sembra congiurare contro Maduro: l’Ue lo ha scaricato, e la Banca d’Inghilterra rifiuta di restituire al Venezuela l’ingente riserva aurea di cui il paese virtualmente dispone, nei forzieri di Londra. Ma in tutto questo – insorge Magaldi – come si fa a non vedere da che parte sta, Juan Guaidò? Non agisce a nome delle perfide multinazionali, bensì del popolo venezuelano mortificato e affamato dalla crisi che Maduro non ha saputo affrontare, preferendo silenziare l’opposizione e reprimere ferocemente le proteste, anche calpestando la Costituzione che Hugo Chavez aveva sempre rispettato.Magaldi considera Guaidò un patriota, un vero sindacalista civile del suo paese. Un uomo coraggioso, pronto a rischiare la pelle in nome della democrazia. Il suo partito, “Voluntad Popular”, non è affatto neoliberista: è di ispirazione dichiaratamente liberaldemocratica. Magadi è trasparente: lui stesso, precisa, milita nello stesso network massonico internazionale di Guaidò, quello che si dichiara progressista e si oppone al dominio neo-oligarchico che ha confiscato la democrazia in tutto il pianeta. Come dire: di Guaidò potete fidarvi. In Venezuela, antichi supporter di Chavez masticano amaro, di fronte a quello che interpretano come un tradimento, e vedono in Guaidò un leale traghettatore. Ipotesi: un nuovo Venezuela, non più affamato né “normalizzato”, non ridotto a colonia neoliberale. Un paese senza più il carisma del chavismo, certo, ma senza neppure «gli eccessi statalistici che, in altri tempi, in Cile, prepararono le condizioni del golpe Usa che costò la vita ad Allende, altro massone progressista». Ma, a parte l’orientamento politico di Guaidò, «socialdemocratico, non certo reazionario», l’oppositore di Maduro – insiste Magaldi – riveste oggi un profilo istituzionale perfettamente legale, che solo un cieco potrebbe non vedere. Per questo, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, la vacuità bugiarda e cialtrona dei 5 Stelle, di fronte alla tragedia venezuelana, è pari alla fellonia parolaia del “governo del cambiamento”, che in Italia non sta cambiando proprio niente.Sparare proclami a vanvera su uno scenario lontano come il Venezuela, fa notare Magaldi, serve anche a distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica sulle miserie domestiche dell’infimo governo gialloverde. Nelle parole dei leader pentastellati risuonano echi terzomondisti e vetero-antiamericanisti? Male, dice Magaldi (atlantista dichiarato), perché è facile giocare con gli slogan, come fanno gli anonimi “eroi” del web complottista. L’imperialismo yankee è brutto? «Tutte le potenze del mondo, da sempre, attuano politiche di quel tipo». L’egemonia Usa è stata determinante per l’Italia? Eccome: «Ma chi demonizza gli Stati Uniti dimentica cos’era, l’Italia feroce di Mussolini con le sue leggi razziali. Dimentica che, senza il Piano Marshall, il paese – in macerie – non sarebbe mai diventato quello del boom economico. I detrattori degli Usa avrebbero preferito l’egemonia dell’Urss? Volevano che l’Italia diventasse come l’Albania? La Cecoslovacchia? L’Unghieria?». Ovvio, non c’è rosa senza spine: e l’Italia ne ha assaggiate parecchie. Bombe nelle piazze, stragismo, strategia della tensione, tentativi di golpe. Tutta roba americana, anche quella. Chi lo dice? Sempre Magaldi, nel saggio “Massoni”.Col piglio dello storico e del politologo, l’autore ha svelato retroscena mai prima chiariti: erano massoni statunitensi i burattinai della Loggia P2 di Licio Gelli, con la sua rete di servizi deviati e terroristi pilotati. Ma erano massoni statunitensi – di segno opposto, progressista – gli uomini come Arthur Schlesinger Jr., capaci di manovrare dietro le quinte per sventare tutti e tre i tentativi di colpo di Stato organizzati dai signori della “Three Eyes” capitanata da Kissinger, l’ispiratore del golpe in Cile, dall’onnipresente David Rockefeller (grande padrino della Trilaterale) e dal raffinato stratega Zbigniew Brzezinski, l’uomo che arruolò Osama Bin Laden in Afghanistan. Poi però, annota Magaldi, lo stesso Brzezinski ci riomase male, quando Bin Laden lasciò la “Three Eyes” per approdare alla “Hathor Pentalpha” dei Bush, cupola eversiva e terroristica, capace di progettare (con l’11 Settembre) la strategia della tensione internazionale che stiamo ancora scontando, per imporre – a mano armata – la peggior forma di globalizzazione. Uno schema a cui il pavido Obama non ha osato opporsi, e che oggi vede come il fumo negli occhi l’outsider assoluto che siede alla Casa Bianca, Donald Trump, l’uomo che oggi vorrebbe liberarsi di Maduro. Come dire: niente è come sembra, l’apparenza inganna. Più che gli Stati, la geopolitica la dettano gruppi ristretti, in lotta fra loro. Ma appena sale la tensione, ricompaiono le bandiere: e il derby lo vince l’emotività. Peccato veniale, prendere lucciole per lanterne, a patto che non si sieda al governo di un paese come l’Italia.Magaldi è stato un franco sostenitore del governo Conte, come unico possibile esecutivo “eretico” rispetto al dogma finto-europeista. Aveva scommesso sulla freschezza dei 5 Stelle e sulla conversione nazionale di Salvini, a capo di una Lega non più nordista. Sperava che l’esecutivo avesse il coraggio di resistere alle pressioni internazionali, esercitate prima ancora che il governo nascesse, con il “niet” su Paolo Savona all’economia. Ad ogni sconfitta, leghisti e grillini hanno alzato la voce: grandi proclami, per nascondere l’imbarazante verità. L’ipotesi di deficit al 2,4%? Troppo debole, per aiutare l’economia. Ma si sono dovuti rimangiare pure quella, piegandosi agli oligarchi di Bruxelles. Non hanno osato tener duro, i gialloverdi, neppure di fronte al clamoroso assist offerto in Francia, contro l’establishment eurocratico, dai Gilet Gialli. L’ultima cosa che oggi possono permettersi di fare, i 5 Stelle, è di dire stupidaggini su Juan Guaidò, insiste Magaldi: prima di parlare, si leggano la Costituzione del Venezuela. E smettano di essere ipocriti: «Il governo è pieno di massoni, anche se nel “contratto” (in modo discriminatorio, ledendo un diritto democratico) avevano scritto che non avrebbero dato spazio a esponenti della massoneria». Peggio: «Qualche settimana fa, esponenti della maggioranza erano venuti a chiedere la mia personale intercessione per essere aiutati, a livello europeo, dai circuiti massonici progressisti». E adesso vogliono farci la lenzioncina sul Venezuela?O siete ignoranti, all’oscuro dei fatti, o siete addirittura in malafede. E non si sa cosa sia peggio, visto che sedete addirittura al governo. Pazienza, se si trattasse dei soliti “leoni da tastiera”, che sui social diffondono falsità e distribuiscono insulti in modo sleale, protetti dall’anonimato, convinti di restare impuniti in eterno. Ma se si rivestono cariche istituzionali, non si può scadere fino a questo punto. Specie se, come in Venezuela, è in gioco la sicurezza di quasi 30 milioni di persone, ormai alle prese con un’emergenza umanitaria. Sono tantissimi i venezuelani di origine italiana, ieri vicini al governo socialista di Hugo Chavez e ora spaventati e mortificati: dall’invereconda autocrazia dell’indegno Nicolas Maduro, e dal silenzio ufficiale dell’Italia, il cui governo non prende posizione in modo netto sulla crisi in corso. E’ esasperato, Gioele Magaldi, di fronte all’opaca neutralità dei 5 Stelle: non riconoscendo Juan Guaidò come “presidente ad interim”, i pentastellati finiscono per supportare Maduro, cioè il politico fallimentare di cui la stragrande maggioranza dei venezuelani vorrebbe liberarsi. «Avevo dato del cialtrone ad Alessandro Di Battista – tuona Magaldi, in web-streaming su YouTube – ma ora allo stesso giudizio associo anche il vicepremier Luigi Di Maio, allineatosi a Di Battista, esattamente come il presidente della Camera, Roberto Fico».
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Tutta la verità, sempre. Grazie a Mazzucco, giornalista vero
«Ragazzi, ricordarvi di dare fastidio, sempre, a chi comanda». Furono le ultime parole che lo scrittore Nuto Revelli rivolse agli studenti delle scuole che spesso visitava. Autore di memorabili libri-denuncia come “La guerra del poveri” sulla ritirata di Russia e “Il mondo del vinti” sull’agonia delle valli alpini spopolate dall’era industriale, Revelli rappresentò una voce importante (e scomoda, quindi isolata) nella coscienza italiana del dopoguerra. Il suo lascito: cercare la verità, ad ogni costo. Quello che, in teoria, dovrebbe fare ogni giornalista degno di questo nome. Quanti ce ne sono, oggi, in circolazione? Pochissimi, secondo il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh: «Se i reporter avessero fatto il loro dovere, in questi decenni, avremmo avuto meno guerre e meno stragi, perché il potere non avrebbe osato mentire così spudoratamente all’opinione pubblica». La madre di tutte le stragi, quella dell’11 settembre 2001, colse il milanese Massimo Mazzucco nella sua abitazione di Los Angeles, dove lavorava come sceneggiatore per la Dino De Laurentiis, dopo aver fatto la sua brava gavetta in Italia in qualità di fotografo, assistente di Oliviero Toscani. Quel giorno, Massimo vide – come tutto il resto del mondo – l’impatto del primo aereo. E vide che trascorse un intervallo interminabile prima che avvenisse l’urto del secondo velivolo, senza che nel frattempo si fosse levato in volo un solo caccia a presidiare i cieli.Quella mattina, infatti, l’intera difesa aerea degli Stati Uniti sulla costa orientale era affidata a due soli intercettori armati di missili e pronti a decollare, più altri due di riserva. Tutti gli altri – centinaia – erano impegnati in esercitazioni concomitanti in Canada, Alaska e California: fatto fino ad allora mai verificatosi, nella storia degli Usa, né più ripetutosi in seguito. Il cielo della superpotenza mondiale era più sguarnito di quello del Burkina Faso. Questo (e molto altro) ha messo insieme, Massimo Mazzucco, dopo anni di impegno ininiterrotto alla ricerca della verità. A partire dal primo documentario, “Inganno globale”, mandato in onda da Mentana a “Matrix” su Canale 5 in prima serata, nel 2006, di fronte a milioni di attoniti telespettatori, il video-reporter più scomodo d’Italia ha dedicato alla truffa dell’11 Settembre anche il maxi-documentario del 2013, “11 Settembre, la nuova Pearl Harbor”, raccogliendo prove e testimonianze che smentiscono la versione ufficiale sull’attentato alle Torri Gemelle. Tante le teorie: le Twin Towers abbattute da armi speciali ad energia, demolite con la nano-termite, incenerite con mini-atomiche? Mazzucco non sposa nessuna tesi: «Non spetta a me stabilire cosa sia stato usato per far crollare le Torri, a me basta dimostrare che non possono esser stati quegli aerei», ha ripetuto, anche in web-streaming su YouTube il sabato mattina con Fabio Frabetti di “Border Nights”.Anzi, aggiunge: «Il parteggiare per una tesi o per l’altra finisce per produrre contraddizioni tecniche utili solo a chi vuol farla dimenticare, quella storia, squalificando di fronte all’opinione pubblica chi ricerca la verità con serietà e impegno, come i tremila architetti e ingegneri americani che, mettendo a repentaglio il proprio posto di lavoro, sono riusciti a dimostrare in modo definitivo la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle». Cercare la verità, appunto, senza trarre conclusioni affrettate: nel suo ultimo lavoro, “American Moon”, Mazzucco si avvale dei maggiori fotografi internazionali per dimostrare che le immagini del mitico allunaggio del ‘69 non sono state realizzate sulla Luna, ma in studio. «Il che non significa che non siamo mai stati sulla Luna: significa che le immagini mostrate al mondo erano false». Il potere statunitense è finito nel mirino di Mazzucco in svariate occasioni: nel 2007 ha firmato il documentario “L’altra Dallas – Chi ha ucciso Robert Kennedy?”. Un giallo tutt’altro che chiuso, quello che circonda la morte del fratello di Jfk, assassinato il 6 giugno 1968 nelle cucine dell’Hotel Ambassador di Los Angeles per fermare la sua corsa alla Casa Bianca: «Nonostante vi siano almeno venti persone che hanno visto Sirhan Sirhan sparare a Kennedy, sono emersi nel corso del tempo svariati elementi che tendono decisamente a scagionarlo».Lo chiamano Deep State, ed è qualcosa che affonda le sue radici nella nebulosa che tiene insieme esponenti della supermassoneria sovranazionale neo-oligarchica messa a nudo da Gioele Magaldi nel bestseller “Massoni”, con propaggini nella Cia e nell’Fbi, al Pentagono, alla Casa Bianca, in centri di comando assoluti come il Council on Foreign Relations. Da quegli ambienti scaturì il Pnac, Piano per il Nuovo Secolo Americano, attraverso cui i neocon – i Bush e Cheney, Wolfowitz, la Rice, Donald Rumsfeld – pianificarono apertamente la “guerra infinita” a cui il maxi-attentato dell’11 Settembre avrebbe spianato la strada. Massimo Maazzucco ne parla nel documentario “Il nuovo secolo americano”, uscito nel 2008 per illuminare «tutti i retroscena storici, politici, economici e filosofici che avrebbero portato agli attentati dell’11 Settembre per vie ben diverse da quelle che ci sono state raccontate». Non è possibile, infatti, comprendere gli attacchi alle Torri «se non si conosce la storia che c’è alle loro spalle». Ma lo sguardo di Mazzucco – giornalista vero – si estende anche oltre l’agenda geopolitica: nel video “I padroni del mondo”, uscito sempre nel 2008, esplora il territorio misteriosamente ibrido che comprende avvistamenti Ufo, ruolo dei militari e pericolo atomico.“I padroni del mondo”, spiega, non è un classico film sugli Ufo, ma «un film che cerca di comprendere il motivo per cui tutte le informazioni raccolte fino ad oggi sugli Ufo ci vengano tenute nascoste dai militari del Pentagono». E’ forse trovando questa risposta, ipotizza il video-reporter milanese, che si può scoprire qualcosa anche sull’esistenza di «esseri provenienti da altri pianeti, e sulle loro eventuali intenzioni». Tanto per essere espliciti: l’ufologo Roberto Pinotti, da decenni in contatto l’aeronautica militare italiana, ricorda che i gesuiti hanno speso milioni di dollari per allestire sul Mount Graham, in Arizona, un potente osservatorio astronomico dedicato allo studio dell’esobiologia, cioè la vita aliena. “L’extraterrestre è mio fratello”, titolò clamorosamente “L’Osservatore Romano” intervistando padre José Gabriel Funes, astronomo e gesuita, direttore della Specola Vaticana: un centro «che possiede anche un telescopio ad alta tecnologia e vanta un team di scienziati che fa invidia a quello della Nasa», ricorda Agnese Pellegrini su “Famiglia Cristiana”. Ma se padre Funes scruta il cielo in attesa dello sbarco dei “fratelli dello spazio”, Massimo Mazzucco – al solito – scava dietro le verità ufficiali, prendendo per le corna il toro del potere: perché i militari non ci raccontano tutto quello che sanno?Inutile sperare che sui giornali si riscontri altrettanto impegno, nella ricerca delle notizie che contano, anche – per dire – in un settore delicatissimo come quello della salute. E’ del 2009 la dirompente indagine sulle cure alternative per il tumore (“Cancro, le cure proibite”), nel quale Mazzucco mette a nudo il silenzio assordante che copre i clamorosi risultati già ottenuti da decine di medici, in tutto il mondo, per i quali il cancro non è più una malattia incurabile. Negli ultimi 100 anni, riassume il trailer del documentario, dozzine di scienziati, medici e ricercatori hanno trovato diverse cure valide per il cancro, spesso supportate anche da migliaia di testimonianze di pazienti guariti – ma noi non lo abbiamo mai saputo: perché? Statistiche: cent’anni fa si ammalava di cancro solo una persona su 20, oggi invece una su 3 (e negli Usa, un individuo su 4 muore di cancro). Chi sopravvive, viene semi-distrutto dalla chemio: dolori, gonfiore, febbre, nausea, vomito e svenimenti, senza contare l’abbattimento delle difese immunitarie e quindi il rischio elevatissimo di contrarre altri tumori, di cui l’organismo ormai indifeso diviene facile preda. Quando mai se ne parla, sui giornali, di cure di successo contro lo stramaledetto cancro?«Da cent’anni – dichiara Mazzucco – la medicina ufficiale nega che esista una cura risolutiva». Il video mostra sanitari come Max Gerson, che guarisce pazienti considerati “terminali”, così come il collega Harry Hoxsey. Medici per i quali il cancro non è più invincibile: da Tullio Simoncini a René Caisse. Racconta un anziano paziente: «Mi avevano detto che sarei morto in 24 ore, e invece eccomi qua». L’elenco di medici anti-cancro è lungo quasi quanto il Novecento: Chas Ozina e Josef Issels, Emanuel Revici, Royal Rife. E poi Gaston Naessens e Linus Pauling, senza contare Wilhelm Reich e Ryke Hamer. «Perché tutti coloro che hanno proposto una nuova cura, negli ultimi cento anni, sono stati sistematicamente ignorati, derisi, combattuti e spesso anche messi in prigione?». Nel video, rispondono operatori della sanità: «Il cancro è un grosso affare, uno dei più grandi che ci siano». Nel solo 2004, Big Pharma ha fatturato oltre mezzo “biliardo” (“550 billion”, cioè 550 miliardi di dollari). I medici intervistati da Mazzucco parlano di «inviti a pranzo, cene gratis, Champagne». Scandisce il norvegese Per Lonning, dell’Haukeland Hospital di Bergen: «Arriveremo a trovare la cura? La questione non è “se”, ma “quando”». Solo questione di volontà politica, in altre parole. E di soldi, tanto per cambiare.Dice Mark Abadi, psicologo: «La farmaceutica è l’industria di maggior successo nel mondo. Quello che non vogliono è che tu guarisca». Chiosa un’anziana, fissando la telecamera: «Se i medici sanno che c’è una cura, eppure mandano i pazienti a casa a morire, quella è un’atrocità peggiore dell’Olocausto». Tra i rimedi anti-cancro recentemente ammessi c’è anche la marijuana, le cui infiorescenze sono ricchissime di Tch, un principio attivo (già usato da Big Pharma in modo non dichiarato) che in molti casi distrugge le cellule tumorali, oltre ad alleviare le sofferenze dei pazienti. Mazzucco ne parla nel documentario “La vera storia della marijuana”, uscito nel 2010. Domanda: «Che cosa si nasconde dietro alla ossessiva, incessante e terrificante guerra alla droga?». La realtà che si cela sotto la proibizione di questa pianta è «qualcosa di assolutamente impressionante e sconvolgente, con una portata storica che condiziona in modo determinante la vita quotidiana di tutti noi, compreso chi non ha mai visto da vicino nemmeno uno spinello». Tanto per dire, in tutte le civiltà, la marijuana è stata la pianta più utile per l’intera umanità: se ne ricavano carta e tessuti per abiti, olio, corde, medicine. Dalla canapa è possibile produrre anche un’ottima plastica naturale. Ecco il punto: il boom della cannabis avrebbe tagliato le gambe all’industria (sanguinosa) del petrolio.La cannabis, aggiunge Mazzucco nel suo video, è stata usata fin dall’antichità per combattere malaria, reumatismi e dolori mestruali, epilessia, coliche e anche gastriti, anoressia e tifo. Non ci credete? Il medico personale della regina Vittoria, Sir John Russell Reynolds, nel 1890 la definì «una delle medicine più importanti a disposizione dell’uomo». Poi, da un giorno all’altro, questa pianta miracolosa è diventata il frutto proibito, la radice di ogni male: fonte di peccato, perversione e immoralità. Una pericolosa scorciatoia verso la devianza e la follia. Una demonizzazione devastante, improvvisa e sospetta, proprio in prossimità del boom del petrolio. Mazzucco ricorda che Harry Anslinger, del Federal Bureau of Narcotics, fece proibire la marijuana in tutto il mondo: chi lo finanziava? Lo spiega il suo filmato, ora proposto anche come strenna – in cofanetto – insieme a tutti gli altri: un’ottima occasione per fare scorta di informazioni serie, comprovate da documentazioni a prova di bomba.A Mazzucco, naturalmente, il mainstream dà del complottista: un modo facilotto per tentare di sbarazzarsene. Se c’è una dote nella quale l’autore eccelle è proprio la prudenza. Regola numero uno: verificare le notizie in modo da avere sempre almeno 3-4 conferme incrociate. Cosa che i giornalisti hanno smesso di fare da secoli, limitandosi per lo più a passare veline governative. A lettori e telespettatori rifilano quasi solo robaccia, semplice gossip politico, guardandosi bene dall’impensierire il potere. Mazzucco rimpiange il Mentana dei bei tempi, che a suo modo era coraggioso. «Poi, col tempo, si è integrato nel sistema. Arrivato a La7, poteva diventare “il primo degli ultimi”. Invece, si è accontentato di essere “l’ultimo dei primi”». A chi ha fame di notizie vere, naturalmente, resta il web: «Oggi sulla Rete troviamo informazioni impensabili, dieci anni fa, grazie al lavoro tenace e paziente di migliaia di attivisti». Lavoro che “dà fastidio”, come auspicava l’anziano Nuto Revelli, tant’è vero che la politica – italiana, europea – continua a tentare di imbavagliare i blog. E i giornalisti? Silenti, su tutta la linea. Si consolino: se vogliono scoprire come sono andate davvero le cose, in molti tornanti dell’attualità, possono sempre guardarsi i dvd di Massimo Mazzucco. Vere e proprie miniere di notizie.(Tutti i dvd ideati, prodotti e diretti da Massimo Mazzucco sono acquistabili singolarmente, on-line, attraverso il sito “Luogo Comune”. Per il Natale 2018, è anche possibile acquistarli in un’unica soluzione – versione cofanetto – al prezzo scontato di 49 euro).«Ragazzi, ricordatevi di dare fastidio, sempre, a chi comanda». Furono le ultime parole che lo scrittore Nuto Revelli rivolse agli studenti delle scuole che spesso visitava. Autore di memorabili libri-denuncia come “La guerra del poveri” sulla ritirata di Russia e “Il mondo del vinti” sull’agonia delle valli alpine spopolate dall’era industriale, Revelli rappresentò una voce importante (e scomoda, quindi isolata) nella coscienza italiana del dopoguerra. Il suo lascito: cercare la verità, ad ogni costo. Quello che, in teoria, dovrebbe fare ogni giornalista degno di questo nome. Quanti ce ne sono, oggi, in circolazione? Pochissimi, secondo il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh: «Se i reporter avessero fatto il loro dovere, in questi decenni, avremmo avuto meno guerre e meno stragi, perché il potere non avrebbe osato mentire così spudoratamente all’opinione pubblica». La madre di tutte le stragi, quella dell’11 settembre 2001, colse il milanese Massimo Mazzucco nella sua abitazione di Los Angeles, dove lavorava come sceneggiatore per la Dino De Laurentiis, dopo aver fatto la sua brava gavetta in Italia in qualità di fotografo, assistente di Oliviero Toscani. Quel giorno, Massimo vide – come tutto il resto del mondo – l’impatto del primo aereo. E vide che trascorse un intervallo interminabile prima che avvenisse l’urto del secondo velivolo, senza che nel frattempo si fosse levato in volo un solo caccia a presidiare i cieli.
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A Strasburgo l’attentato salva-Macron, nei guai in Francia
«Ci risiamo. Puntuale come un orologio svizzero arriva l’attentato che distoglie dai veri problemi politici e sposta l’attenzione sul “terrorismo internazionale”». Massimo Mazzucco non ha dubbi: è davvero micidiale la “sincronicità” con la quale l’11 dicembre il giovane Cherif Chekatt, lasciato circolare liberamente in Francia nonostante le 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi, avrebbe aperto il fuoco sulla folla a Strasburgo uccidendo 3 persone e ferendone 16, tra cui il giornalista italiano Antonio Megalizzi (gravissimo, in coma forse irreversibile). «Ormai – scrive Mazzucco, su “Luogo Comune” – la dinamica è talmente prevedibile che bisognerebbe quasi farne una regola: se un certo governo attraversa un periodo particolarmente difficile, state alla larga dai mercatini e dai luoghi affollati di quella nazione». Motivo: «La “cellula dormiente” di turno sarà pronta a risvegliarsi proprio in quelle occasioni». Pensate solo alla coincidenza, aggiunge Mazzucco: fino alla sera prima, tutti i telegiornali e le testate giornalistiche francesi parlavano solo di Macron, di come il suo discorso non fosse riuscito a placare i Gilet Gialli, e di come ormai la fine del suo governo apparisse scontata. Ma dall’indomani «tutto questo passa in secondo piano, perché ora ci dobbiamo occupare di Cherif Chekatt, l’uomo sospettato di aver sparato a Strasburgo e prontamente dato in pasto alla stampa mondiale dall’efficientissimo “Site” di Rita Katz, l’ex consulente del Mossad divenuta il megafono dell’Isis. «Davvero dobbiamo aggiungere altro?».Sembra un copione già scritto, aggiunge “Informare per Resistere”, eppure anche questa volta viene recitato come le altre. E una volta di più – come dopo Charlie Hebdo, Bataclan e tutti gli altri attentati firmati Isis in Europa – a reti unificate «sentiamo ripetere il mantra del terrorista islamico che dopo l’attentato si dà alla fuga». Non un terrorista qualunque, peraltro, ma il “solito” giovane islamista “radicalizzatosi” e ovviamente “attenzionato” dalla polizia. «Ci uniamo al dolore delle famiglie», aggiunge “Informare per Resistere”, che però rileva come siano «davvero strane» le tempistiche e la modalità dell’attentato, «che arriva puntualmente quando in Francia i Gilet Gialli incalzano il presidente Macron». I fatti sono sotto gli occhi di tutti: «Lo schema è sempre lo stesso, come quello di molti altri attentati: un presunto estremista islamico che poi sparisce nel nulla». Sul versante anti-complottista, “Fanpage” esibisce sconcerto per lo scetticismo degli stessi Gilet Gialli: «Secondo gli esponenti del movimento che da settimane sta inscenando proteste e manifestazioni in tutta la Francia, dietro all’attentato di Strasburgo ci sarebbe la regia del governo e del presidente Macron per distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica francese dai disordini sociali delle ultime settimane».Su Facebook e Twitter, un saggio di quelle che “Fanpage” definisce «le folli teorie dei Gilet Gialli», di cui il sito pubblica estratti esemplari. Esempio: «Ecco, un piccolo attentato per mettere fine ai Gilet Gialli; molto forte questo Macron». Oppure: «Che caso, appena qualche giorno prima del quinto atto per calmare le pecore». E ancora: «E’ strano, non si sentiva più parlare di attentati, ma solo di noi Gilet Gialli e ora c’è stato un attentato a Strasburgo». Morale: «Non ci facciamo impressionare da questo attentato costruito dai servizi segreti». “Follie” dei Gilet Gialli o esaperazione dei francesi sopravvissuti alle mattanze degli anni scorsi, compiute da terroristi inutilmente “attenzionati dalla polizia” che si premuravano di lasciare sul posto il passaporto, prima di essere regolarmente freddati dai cecchini? Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, il simbologo Gianfranco Carpeoro svela la regia supermassonica – non islamica – del “neoterrorismo” Isis in Europa, puntando il dito contro precisi settori dell’intelligence Nato. Schema classico: strategia della tensione. Tradotto: si “coltivano” potenziali kamikaze, a cui non necessariamente si racconta che fine faranno. Tecniche collaudate di terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, infarcite di “fake news” diffuse dai grandi media per depistare l’opinione pubblica.Di recente, in morte di Bush padre, Gioele Magaldi (autore del bestseller “Massoni”, che illumina il potere occulto di 36 Ur-Lodges sovranazionali) ha ricordato il ruolo nefasto della superloggia “Hathor Pentalpha”, ritenuta coinvolta nell’incubazione dell’11 Settembre. Ipotesi: terrorismo di Stato condotto da frange illegali, le stesse che avrebbero “fabbricato” prima Al-Qaeda e poi l’Isis. Alla “Hathor”, sempre secondo Magaldi, era legato l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. Lo stesso Magaldi non ha dubbi sulla cifra supermassonica di Macron, già banchiere Rothschild e pupillo del supermassone reazionario Jacques Attali, a suo tempo braccio destro di Mitterrand e ispiratore della conversione anti-progressista dell’Eliseo. Il giorno dell’ultimo attentato – martedì 11 – suona sinistro, nella simbologia massonica (l’11 può essere interpretato come “numero della morte”, come fu per l’11 Settembre a New York, data probabilmente non casuale – l’11 settembre del 1973 il massone Pinochet, in Cile, rovesciò con un golpe il massone progressista Allende). Inquietante la scelta della località dell’attentato – Strasburgo, sede francese del Parlamento Europeo – proprio mentre Macron, nel tentativo di sedare la rivolta dei Gilet Gialli, annuncia un deficit che potrebbe sforare il mitico 3% fissato, come limite invalicabile, dall’Unione Europea.«Ci risiamo. Puntuale come un orologio svizzero arriva l’attentato che distoglie dai veri problemi politici e sposta l’attenzione sul “terrorismo internazionale”». Massimo Mazzucco non ha dubbi: è davvero micidiale la “sincronicità” con la quale l’11 dicembre il giovane Cherif Chekatt, lasciato circolare liberamente in Francia nonostante le 27 condanne già rimediate in tre diversi paesi, avrebbe aperto il fuoco sulla folla a Strasburgo uccidendo 3 persone e ferendone 16, tra cui il giornalista italiano Antonio Megalizzi (gravissimo, in coma forse irreversibile). «Ormai – scrive Mazzucco, su “Luogo Comune” – la dinamica è talmente prevedibile che bisognerebbe quasi farne una regola: se un certo governo attraversa un periodo particolarmente difficile, state alla larga dai mercatini e dai luoghi affollati di quella nazione». Motivo: «La “cellula dormiente” di turno sarà pronta a risvegliarsi proprio in quelle occasioni». Pensate solo alla coincidenza, aggiunge Mazzucco: fino alla sera prima, tutti i telegiornali e le testate giornalistiche francesi parlavano solo di Macron, di come il suo discorso non fosse riuscito a placare i Gilet Gialli, e di come ormai la fine del suo governo apparisse scontata. Ma dall’indomani «tutto questo passa in secondo piano, perché ora ci dobbiamo occupare di Cherif Chekatt, l’uomo sospettato di aver sparato a Strasburgo e prontamente dato in pasto alla stampa mondiale dall’efficientissimo “Site” di Rita Katz», l’ex consulente del Mossad divenuta il megafono dell’Isis. «Davvero dobbiamo aggiungere altro?».
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Carpeoro: pericolo terrorismo, ora l’Italia ha nemici potenti
«Temo per l’Italia: c’è rischio di attentati, se si “smonta” il vertice dei servizi segreti». E’ un monito, quello che Gianfranco Carpeoro lancia al governo “gialloverde” appena insediato: l’attuale struttura di intelligence, dice, negli ultimi 4-5 anni ha vigiliato in modo efficiente sulla sicurezza del nostro paese, sventando stragi ed evitando all’Italia il sanguinoso “trattamento” cui sono stati sottoposti i maggiori partner europei, in primis la Francia, senza dimenticare la Germania e la Gran Bretagna, il Belgio, la Spagna. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro si mostra pessimista: tanto per cominciare, premette, «non mi aspetto una lunga durata di questo governo». In più, aggiunge, «mi aspetto una diversa gestione della finanza, a nostro danno, da parte della Bce». E, dulcis in fundo: «Mi aspetto qualcosa nell’ambito del terrorismo, a breve termine». Ma l’arma del terrorismo, appunto, non è l’unica a disposizione della “sovragestione”: c’è il ricatto finanziario del debito, «abbuonato alla Germania ma non all’Italia», che si somma alla situazione esplosiva creata in Libia, contro l’Italia, dalla Francia: «Io quantificherei il danno e ai francesi chiederei un risarcimento, in soldoni, per l’enorme perdita economica che hanno inflitto, al nostro paese, con la vergognosa deposizione di Gheddafi organizzata allo scopo di accaparrarsi la Libia».Un’analisi a tutto campo, quella di Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela i retroscena – paramassonici, non islamici – della strategia della tensione internazionale scatenata in Europa e in Medio Oriente da settori d’intelligence manovrati da un’oligarchia altantica reazionaria: «Il famoso Abu Bakr Al-Baghadi, leader dell’Isis, è anche la tessera numero 12 della superloggia “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush». Tra i suoi esponenti, anche Nicolas Sarkozy. La massoneria francese oggi si schiera contro l’Italia? Sveglia, dice Carpeoro: «E’ da quando fu silurato Mitterrand che la massoneria francese condiziona la politica di Parigi in funzione anti-italiana». E vogliamo parlare della Germania, che ci tiene appesi al nostro ingente debito pubblico? «Qualcuno – scandisce Carpeoro – dovrebbe andare a Bruxelles e chiedere come mai alla Germania fu cancellato l’enome debito che aveva, al momento di fondare l’Unione Europea, mentre all’Italia non fa sconti nessuno. Il nuovo governo dovrebbe dire, semplicemente, di essere pronto a rispondere solo per il debito effettivamente riconducibile alla politica italiana, non a quello derivante dalla politica finanziaria europea», su cui non c’è mai stata una validazione democratica.“Sovragestione”, appunto: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia. Coincidenze: all’epoca «fu fatto sparire anche il professor Federico Caffè, eminente keynesiano». Per Carpeoro, la misteriosa scomparsa di Caffè – storico maestro di Mario Draghi, Bruno Amoroso e Nino Galloni – fu un messaggio chiaro, intimidatorio. Caffè si opponeva all’arrembante neoliberismo: dunque, chi lo avesse seguito avrebbe fatto la sua stessa fine. Draghi capì l’antifona e si mise al servizio del super-potere privatizzatore, quello che ha già tentato – con l’ostruzionismo di Mattarella – di fermare il governo Conte ponendo il veto su Paolo Savona, «altro allievo, guardacaso, di Federico Caffè». Oggi, l’Italia “gialloverde” è in mezzo a un guado pericoloso: Francia e Germania si preparano ad azzannarla, con l’aiuto della Bce. L’ultima cosa da fare, raccomanda Carpeoro, è sbaraccare l’attuale assetto dei servizi segreti che finora ci hanno protetto. Problema spinoso: per il momento, la delega l’ha mantenuta il premier. Di solito, spiega Carpeoro, viene attribuita al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che però in questo caso è Giorgetti, leghista come il ministro dell’interno Salvini. Due cariche che, per la prima volta, sono espresse dallo stesso partito.Secondo Carpeoro, il nuovo potere insediatosi a Palazzo Chigi potrebbe avere la tentazione di mettere la propria firma anche sui servizi. E qui si entrerebbe in zona pericolo: «Quella è una struttura che si è rivelata molto efficiente. Cambiarne i vertici – sottolinea l’analista – vuol dire mettersi nelle condizioni di correre un grosso rischio: sul piano squisitamente tecnico, delle competenze, non è detto che gli eventuali successori siano all’altezza dei predecessori». Fino a ieri, aggiunge Carpeoro, va detto che l’Italia non era esattamente nell’occhio del ciclone: la sua completa irrilevanza politica – i governi Renzi e Gentiloni, innocui per Bruxelles – la mettevano al riparo dal pericolo di maxi-attentati come quelli di Nizza e del Bataclan. «In ogni caso – precisa Carpeoro – i nostri servizi hanno comunque sventato, già allora, decine di attentati minori sul suolo italiano». Ma è adesso che il pericolo cresce: se l’Italia ha tanti nuovi nemici, proprio ora potrebbe essere messo in agenda, dalla “sovragestione”, anche un maxi-attentato sul suolo italiano. «Ecco perché farei di tutto – dice Carpeoro – per mantenere integra la struttura che finora ha garantito la nostra sicurezza».«Temo per l’Italia: c’è rischio di attentati, se si “smonta” il vertice dei servizi segreti». E’ un monito, quello che Gianfranco Carpeoro lancia al governo “gialloverde” appena insediato: l’attuale struttura di intelligence, dice, negli ultimi 4-5 anni ha vigilato in modo efficiente sulla sicurezza del nostro paese, sventando stragi ed evitando all’Italia il sanguinoso “trattamento” cui sono stati sottoposti i maggiori partner europei, in primis la Francia, senza dimenticare la Germania e la Gran Bretagna, il Belgio, la Spagna. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro si mostra pessimista: tanto per cominciare, premette, «non mi aspetto una lunga durata di questo governo». In più, aggiunge, «mi aspetto una diversa gestione della finanza, a nostro danno, da parte della Bce». E, dulcis in fundo: «Mi aspetto qualcosa nell’ambito del terrorismo, a breve termine». Ma l’arma del terrorismo, appunto, non è l’unica a disposizione della “sovragestione”: c’è il ricatto finanziario del debito, «abbuonato alla Germania ma non all’Italia», che si somma alla situazione esplosiva creata in Libia, contro l’Italia, dalla Francia: «Io quantificherei il danno e ai francesi chiederei un risarcimento, in soldoni, per l’enorme perdita economica che hanno inflitto, al nostro paese, con la vergognosa deposizione di Gheddafi organizzata allo scopo di accaparrarsi la Libia».
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Avete idea di cos’era l’Italia, quando aveva la Montedison?
Probabilmente ci sarebbero un milione di posti lavoro in più in Italia, se non fosse stata “suicidata” la Montedison di Raul Gardini. Era il primo gruppo industriale privato italiano, ricorda Mitt Dolcino: la Fiat, all’epoca, era ben lontana dalle vette dei grandi gruppi di Stato come Eni, Stet (Telecom), Enel e forse la stessa Sme (agroindustriale). «Oggi che si è insediato il primo governo eletto non a seguito di influenze esterne – inclusa l’ingerenza della magistratura (ossia Tangentopoli) – dobbiamo ragionare freddamente su cosa successe veramente con Raul Gardini», scrive Dolcino su “Scenari Economici”. «La situazione oggi è talmente grave che qui ci giochiamo l’italianità». Infatti non è un caso – aggiunge l’analista – che Montedison alla fine fu conquistata e spolpata proprio dai francesi, guardacaso gli stessi che, secondo il giudice Rosario Priore, attentarono alla sovranità italiana durante “l’incidente” di Ustica, e che oggi «sembrano distribuire la Legion d’Onore ad ogni notabile italiano che va contro gli interessi del Belpaese». Caduto il Muro di Berlino, di fatto, l’Italia perse la protezione degli Usa. «E l’Europa, la stessa che oggi ci bastona, organizzò il banchetto dato dalle privatizzazioni italiane a saldo (con Draghi, che casualmente fece una fulgida carriera, ad organizzare il piano sul Britannia)».
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Gorbaciov: ho paura. Francesi in Siria con i terroristi Nato
L’ultimo bombardamento sulla Siria, deciso da Donald Trump, «l’ho definito una specie di esercitazione militare in preparazione di qualcosa di molto più serio: è preoccupante». Parola di Mikhail Gorbaciov, al telefono con Giulietto Chiesa. «Adesso arrivano notizie secondo cui un contingente francese sarebbe entrato in territorio siriano, armi e bagagli». Non solo francesi, aggiunge Chiesa, ma anche tedeschi. «Se facciamo la somma, ormai hanno messo piede, e non da ieri, contingenti americani, inglesi, francesi, tedeschi e israeliani». E nel conto, sottolinea Gorbaciov, «bisogna mettere anche gli arabo-sauditi e i turchi, che fanno il loro gioco. Sono tutti là. E ho l’impressione che si stia preparando qualche cosa di grosso, e di molto grave», afferma l’ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace. Conseguenze immediate piuttosto allarmanti, come confermato dall’offensiva militare, mediatica e diplomatica di Israele contro l’Iran, impegnato in Siria accanto ai russi e all’esercito di Damasco. L’Occidente e i suoi alleati non accettano che Mosca abbia sconfitto l’Isis e messo fine alla guerra siriana contro i “terroristi” armati dalla Nato. Se ora gli Usa e i loro vassalli scendono in campo direttamente, come si regolerù Putin?«E’ evidente che la sconfitta dello Stato Islamico, ad opera dei russi, e la situazione che si è creata sul terreno, non piace né a Washington, né a Parigi né Londra», dichiara Gorbaciov. «Adesso agiscono in due direzioni: una diplomatica, come si è visto a Bruxelles nella conferenza che hanno chiamato “Aiutare il futuro della Siria e dell’intera regione” e il cui scopo è quello di mettere fine al processo di Astana», la capitale del Kazakhstan che ha ospitato il vertice russo-turco-iraniano. «Là erano solo Mosca, Ankara e Teheran. Ora vogliono sostituirlo con una gestione, formalmente sotto egida Onu, ma sostanzialmente funzionale a una ripresa del controllo americano sulla crisi siriana. Nello stesso tempo – aggiunge Gorbaciov – stanno cercando di cambiare i rapporti di forza militare sul terreno». La situazione è questa: «Adesso l’Isis, di fatto, non esiste più. L’esercito siriano avanza su tutti i fronti, sostenuto dalla presenza russa sia dall’aria che sul terreno. Lo sostituiscono direttamente le truppe occidentali». In altre parole: truppe occidentali stanno prendendo il posto della loro creatura, l’Isis, sconfitta sul campo. Il rischio di scontro diretto Usa-Russia si va facendo altissimo, sostiene l’uomo che ha posto fine alla guerra fredda.«Vladimir Putin si trova di fronte alla domanda delicatissima su come fermarli», spiega Gorbaciov. «Un conto era avere di fronte l’esercito dello Stato Islamico. Era una finzione, perché sappiamo chi lo sosteneva, ma evitava il contatto diretto con le forze occidentali che erano già sul terreno ma invisibili, sotto forma di servizi segreti. Adesso il rischio è di un confronto militare diretto tra Russia e Stati Uniti, Russia e Francia, Russia e Gran Bretagna». Sono tutti eserciti Nato, quindi un eventuale scontro coinvolgerebbe indirettamente anche l’Italia, finora rimasta fuori dalla mischia benché ancora presente con la missione di peacekeeping in Libano, il paese da cui proviene la milizia sciita Hezbollah schierata in Siria con Assad. Come risponderà Putin al drammatico cambio di marcia dell’Occidente? «Non lo so», ammette Gorbaciov. «Mi pare chiaro che non potrà abbandonare la Siria». Tra l’altro, aggiunge, «la Russia è sul campo per diretta richiesta da parte del governo legittimo di Damasco, mentre tutti gli altri stanno occupando il territorio siriano in aperta violazione di tutte le norme internazionali. Nulla li legittima. È una operazione di aggressione».Tira una brutta aria, «e non riguarda solo la Siria», purtroppo. Gorbaciov ricorda la Nato sta premendo per incorporare l’Ucraina e la Georgia, in aperta violazione delle solenni assicurazioni fatte da George Bush all’epoca della distensione, il disarmo missilistico bilaterale: la Casa Bianca aveva promesso che non avrebbe esteso verso Est il perimetro Nato, a ridosso delle frontiere russe. Nel frattempo, le sanzioni economiche contro Mosca «stanno diventando asfissianti, al punto che siamo ormai nella situazione in cui il ministero del Tesoro americano decide della sorte dell’industria russa dell’alluminio». Sempre secondo Gorbaciov, la “ritirata” dell’industriale russo Oleg Deripashka, che ha perduto la maggioranza azionaria della sua impresa a Londra, «è un segnale di preavviso mandato a Vladimir Putin alla vigilia della inaugurazione del suo quarto mandato». In altre parole, «la “guerra ibrida” è in pieno sviluppo». E stavolta Mikhail Gorbaciov teme che la crisi – particolarmente incancrenita in Siria – possa nascondere esiti pericolosi e inimmaginabili. Tutto è precipitato – dal caso Skripal al bombardamento di Trump – dopo l’annuncio di Putin sui missili “imparabili”, ipersonici, di cui dispone la Russia. L’Occidente terrorista sfiderà il Cremlino a impiegarle, le armi-killer in grado di affondare le portaerei?L’ultimo bombardamento sulla Siria, deciso da Donald Trump, «l’ho definito una specie di esercitazione militare in preparazione di qualcosa di molto più serio: è preoccupante». Parola di Mikhail Gorbaciov, al telefono con Giulietto Chiesa. «Adesso arrivano notizie secondo cui un contingente francese sarebbe entrato in territorio siriano, armi e bagagli». Non solo francesi, aggiunge Chiesa, ma anche tedeschi. «Se facciamo la somma, ormai in Siria hanno messo piede, e non da ieri, contingenti americani, inglesi, francesi, tedeschi e israeliani». E nel conto, sottolinea Gorbaciov, «bisogna mettere anche gli arabo-sauditi e i turchi, che fanno il loro gioco. Sono tutti là. E ho l’impressione che si stia preparando qualche cosa di grosso, e di molto grave», afferma l’ultimo presidente dell’Urss, Premio Nobel per la Pace. Conseguenze immediate piuttosto allarmanti, come confermato dall’offensiva militare, mediatica e diplomatica di Israele contro l’Iran, impegnato in Siria accanto ai russi e all’esercito di Damasco. L’Occidente e i suoi alleati non accettano che Mosca abbia sconfitto l’Isis e messo fine alla guerra siriana contro i “terroristi” armati dalla Nato. Se ora gli Usa e i loro vassalli scendono in campo direttamente, come si regolerù Putin?
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Sarkozy e la Hathor Pentalpha, superloggia del terrorismo
La lapidazione pubblica di un politico di rango non ha mai un’unica paternità: di solito sono tante le nubi che, a un certo punto, si trasformano in tempesta. E per un ex presidente della Francia, cioè di una delle cinque potenze atomiche con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il solo fatto di essere trattenuto in stato di fermo in una stazione di polizia, alla stregua di un criminale comune, costituisce l’atto d’inizio – il più eclatante – di una vera e propria demolizione a reti unificate. I giornali parlano di vendetta a distanza da parte degli ex fedelissimi di Gheddafi: prima di essere assassinato “su ordine dei servizi francesi”, il raiss di Tripoli avrebbe finanziato sottobanco, in modo cospicuo, la campagna elettorale di Sarkozy per le presidenziali del 2007 (in cambio di cosa?). Gli italiani ricordano ancora l’irridente impudenza con cui l’allora capo dell’Eliseo, insieme ad Angela Merkel, seppellì in mondovisione il moribondo Berlusconi, incalzato da mille inchieste e travolto dallo scandalo delle “olgettine”. Un sinistro preludio, per l’Italia, all’austerity di lì a poco imposta con il diktat della Bce firmato Draghi e Trichet, corroborato dal crollo delle azioni Mediaset e dall’esplosione pilotata dallo spread. «Gli italiani sono dei bambinoni deficienti, non si sono nemmeno accorti che siamo stati noi a inviargli il “fratello” Mario Monti, il nostro uomo», con l’incarico di sabotare l’economia del Belpaese, precipitandolo nel baratro della crisi: legge Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione.Lo dicono, nell’appendice del bestseller “Massoni” (edito da Chiarelettere a fine 2014), quattro pesi massimi della supermassoneria internazionale, protetti dall’anonimato ma «pronti a manifestarsi, nel caso qualcuno ne contestasse le affermazioni». Non ce n’è stato bisogno: Monti, Napolitano e gli altri si sono ben guardati dal chiedere all’autore del saggio, Gioele Magaldi, di rendere pubblica l’identità di quei quattro “vecchi saggi” del massimo potere in vena di rivelazioni. Accanto a un mediorientale e a un asiatico, a parlare sono uno statunitense (che ricorda da vicino lo stratega Zbigniew Brzezinski, da poco scomparso) e un francese, il cui identikit di eminenza grigia potrebbe benissimo corrispondere a quello di Jacques Attali, già plenipotenziario di Mitterrand e poi “padrino” e king-maker di Emmanuel Macron. La tesi del libro, assolutamente dirompente, è stata oscurata dai media mainstream: da decenni, il mondo sarebbe nelle mani di 36 Ur-Lodges, potentissime superlogge massoniche sovranazionali. Dopo l’iniziale dominio delle organizzazioni di ispirazione progressista, dall’era Roosevelt fino ai Kennedy, il potere sarebbe passato all’ala neo-conservatrice (Kissinger, Rockefeller, Rothschild) dopo il duplice omicidio di Bob Kennedy e del “fratello” Martin Luther King.A seguire: una guerra segreta senza risparmio di colpi – da un lato il Cile del massone Pinochet e la Grecia dei colonnelli, ma anche i ripetuti tentativi di golpe in Italia con la complicità della P2 di Gelli, e dall’altro la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo scattata non a caso il 25 aprile (del ‘74). Poi, lo sciagurato patto “United Freemanson for Globalization” per spartirsi la torta mondiale sdoganando il neoliberismo. Con in più una scheggia impazzita: la Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, nella quale – secondo Magaldi – figura anche il nome di Sarkozy, accanto a quelli del turco Erdogan, protagonista degli odierni orrori in Medio Oriente, e del britannico Tony Blair, l’indimenticato inventore delle inesistenti “armi di distruzone di massa” di Saddam Hussein, ovvero “la madre di tutte le fake news”. Saddam e la guerra in Iraq, cioè Bush junior, dopo la prima Guerra del Golfo scatenata da Bush senior. Il Rubicone è stato varcato con l’opaco, devastante maxi-attentato dell’11 Settembre (e la conseguente invasione dell’Afghanistan, seguita dalle guerre in Iraq e in Libia, dalla “primavera araba”, dall’atroce conflitto in Siria).Terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera – da Al-Qaeda all’Isis – secondo un copione basato sulla più accurata disinformazione, fotografato alla perfezione dall’immagine di Colin Powell che, alle Nazioni Unite, agita una prova falsa come la celebre “fialetta di antrace” per raccontare che il regime di Baghdad sarebbe pronto a sterminare l’umanità. Non fu solo una drammatica sterzata politica imposta dai “neocon” Usa, sostiene Magaldi: la strategia della tensione internazionale, che produce guerre in Medio Oriente e leggi speciali negli Usa e in Europa per rispondere agli attentati “islamici”, corrisponde alla sanguinosa strategia della “Hathor Pentalpha”, la «loggia del sangue e della vendetta» creata da Bush (padre) dopo la bruciante sconfitta alle primarie repubblicane inflittagli nel 1980 da Ronald Reagan. In questo modo, Magaldi spiega anche i due attentati simmetrici che seguirono, nel 1981: qualcuno sparò a Reagan il 30 marzo, e – per rappresaglia – i sostenitori occulti di Reagan armarono la mano di Ali Agca, che il 13 maggio sparò a Papa Wojtyla, eletto al soglio pontificio con il determinante appoggio di Brzezinski, allora vicino a Bush. Due minacciosi avvertimenti, con firme opposte ma identico stile: né a Washington né a Roma si sparò per uccidere.Fantapolitica? Ne ha tutta l’aria: a patto di rassegnarsi all’idea che sia proprio la geopolitica a esser diventata “fanta”, rendendo possibile l’impensabile. «Dispongo di 6.000 pagine di documenti che comprovano quanto affermato nel mio libro», ribadisce Magaldi, a scanso di equivoci. Il problema? Nessuno, finora, gliene ha chiesto conto: meglio la congiura del silenzio, di fronte a pagine così sconcertanti e imbarazzanti. Le grandi scelte strategiche del pianeta – sottolinea l’autore – sono state messe a punto negli ultimi 30-40 anni da superlogge storicamente neo-aristocratiche come la “Three Eyes” e la “Compass Star-Rose”, insieme alla “Edmund Burke”, alla “Leviathan”, alla “White Eagle”. Sono loro a dominare ministeri, banche, università, istituzioni internazionali finanziarie “paramassoniche” come il Fmi e la Bce. Obiettivo: sdradicare Keynes dalla politica economica dell’Occidente: via il welfare e i diritti del lavoro, guerra alla sinistra sindacale, demonizzazione del debito pubblico, privatizzazione universale, fine dello Stato sociale come garante del benessere diffuso. Svuotare la democrazia, per restituire il potere all’oligarchia – finanza, industria, multinazionali – secondo un modello neo-feudale: solo un’élite “illuminata” ha il diritto di governare il popolo. E la tenebrosa “Hathor Pentalpha”?«Semplicemente, la “Hathor” ha ritenuto che tutto questo non bastasse: il nuovo ordine antidemocratico andava imposto con la guerra e il terrorismo, a partire proprio dall’11 Settembre». Specchietto le allodole, il saudita Osama Bin Laden reclutato dalla Cia in Afghanistan negli anni ‘70, in funzione anti-sovietica. «Bin Laden fu iniziato alla “Three Eyes”: me lo confidò proprio l’uomo che lo affilò, Brzezinski». Lo stesso Brzezinski, aggiunge Magaldi, rimase deluso dalla scelta di Bin Laden di passare poi alla “Hathor Pentalpha”, la superloggia dei Bush. Simboli eloquenti: Hathor è uno dei nomi della dea egizia Iside, cara ai massoni, e il suo nome in inglese è, appunto, Isis. «Anche l’uomo che si fa chiamare Abu Bakr Al-Baghdadi, stranamente rilasciato nel 2009 dal campo di prigionia iracheno nel quale era detenuto, è stato affiliato alla “Hathor Pentalpha”». Al-Baghdadi, il presunto capo del sedicente Isis: organizzazione terroristica che, quando ha perso terreno in Siria sotto il colpi dell’offensiva militare russa, ha cominciato a colpire l’Europa. Charlie Hebdo e Bataclan, Bruxelles, la strage di Nizza. «Tutti attentati spaventosamente stragistici, “firmati” con una simbologia nacosta e nient’affatto islamica, ma saldamente ancorata alle date-simbolo del martirio dei Templari nel 1300».Ne parla nel saggio “Dalla massoneria al terrrorismo” (Revoluzione) l’esperto simbologo Gianfranco Carpeoro, massone come Magaldi, altrettanto critico rispetto al potente mileu “latomistico” globalizzato, pronto anche a fare l’uso più cinico e spregiudicato di vasti settori dei servizi segreti, ridotti a strumenti di una “sovragestione” pericolosa, che sottomette gli Stati (e i governi eletti) ai disegni di una ristretta oligarchia. «Tutto quel sangue, in Europa, è nato da una rottura all’interno dell’ala reazionaria dell’élite supermassonica», ha ripetuto Carpeoro, in trasmissioni web-streaming come quelle di “Border Nights”. Chi ha premuto sul tasto del neo-terrorismo interno – è la sua tesi – l’ha fatto per intimidire quegli elementi che, in seno all’oligarchia, si erano mostrati titubanti di fronte alla “linea dura”, quella delle stragi nelle piazze europee. «E’ in corso un’escalation, prepariamoci al peggio: in Europa potrebbe verificarsi un maxi-attentato come quello dell’11 Settembre». Previsione fortunatamente inesatta: «E’ vero», ammette Carpeoro, «le stragi sono cessate». Ma questo – spiega – dipende dal fatto che, “lassù”, si sono rimessi d’accordo su come agire, a cominciare proprio dalla Francia.Ieri, all’Eliseo c’era Hollande, un politico da intimidire (come socialista ma anche come supermassone “di sinistra”, esponente della Ur-Lodge progressista “Fraternité Verte”), a capo di un establihment incalzato dal “populismo” di Marine Le Pen. Poi invece le elezioni hanno incoronato Macron, «che a differenza di Hollande – sostiene Carpeoro – è espressione diretta di quei circoli, responsabili della “sovragestione”», fino a ieri anche terroristica, all’occorrenza. E’ lo stesso Macron che, a giorni alterni, fa l’amicone dell’Italia, promettendo a Gentiloni – in cambio di cospicue cessioni di italianità – di difendere il Belpaese dai “cattivi” tedeschi. E’ cronaca: soldati italiani spediti in Niger a far la guardia all’uranio per conto dei francesi, voci sul ridisegno delle acque territoriali a favore dei pescatori francesi, vistosa ascesa del management transalpino nel cuore del “made in Italy”. Con Gentiloni e Macron, sostiene Federico Dezzani, l’Italia si auto-declassa al rango di neo-colonia francese, nell’illusione di trovare riparo dal rigore imposto dall’ordoliberismo teutonico. Sta davvero succedendo qualcosa di strano, “lassù”, se un big come Sarkozy finisce sotto interrogatorio in un commissariato di Nanterre? Significa che la superloggia (già terrorista) “Hathor Pentalpha” è in discesa libera, nei piani alti della “sovragestione”? Inutile sperare in spiegazioni esaurienti: il mainstream si limiterà alle fonti giudiziarie sul caso Libiagate, mentre il pubblico assiste alla strana caduta di un ex superpotente come Sarkozy, in una Francia senza più attentati né stragi, dove l’oligarca Jacques Attali ha battezzato il nuovo regno di Macron, l’ex ragazzo prodigio della Banca Rothschild.La lapidazione pubblica di un politico di rango non ha mai un’unica paternità: di solito sono tante le nubi che, a un certo punto, si trasformano in tempesta. E per un ex presidente della Francia, cioè di una delle cinque potenze atomiche con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il solo fatto di essere trattenuto in stato di fermo in una stazione di polizia, alla stregua di un criminale comune, costituisce l’atto d’inizio – il più eclatante – di una vera e propria demolizione a reti unificate. I giornali parlano di vendetta a distanza da parte degli ex fedelissimi di Gheddafi: prima di essere assassinato “su ordine dei servizi francesi”, il raiss di Tripoli avrebbe finanziato sottobanco, in modo cospicuo, la campagna elettorale di Sarkozy per le presidenziali del 2007 (in cambio di cosa?). Gli italiani ricordano ancora l’irridente impudenza con cui l’allora capo dell’Eliseo, insieme ad Angela Merkel, seppellì in mondovisione il moribondo Berlusconi, incalzato da mille inchieste e travolto dallo scandalo delle “olgettine”. Un sinistro preludio, per l’Italia, all’austerity di lì a poco imposta con il diktat della Bce firmato Draghi e Trichet, corroborato dal crollo delle azioni Mediaset e dall’esplosione pilotata dallo spread. «Gli italiani sono dei bambinoni deficienti, non si sono nemmeno accorti che siamo stati noi a inviargli il “fratello” Mario Monti, il nostro uomo», con l’incarico di sabotare l’economia del Belpaese, precipitandolo nel baratro della crisi: legge Fornero, pareggio di bilancio in Costituzione.
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Putin: Usa fermatevi, abbiamo missili iper-sonici ‘imparabili’
Scordatevi di passarla liscia, dopo aver colpito la Russia con un “first strike”, un attacco nucleare preventivo come quello lungamente accarezzato dai neocon annidati alla Casa Bianca sotto la presidenza Obama: Mosca dispone di armi nuovissime e micidiali, in grado di annullare l’intero arsenale balistico statunitense. Ha del clamoroso, il recente annucio di Putin: i russi hanno a disposizione armamenti fino a ieri inimmaginabili. Missili atomici intercontinentali fulminei, non intercettabili: viaggiano a una velocità pari a 20 volte quella del suono, e non in base a un’orbita prestabilita. I missili Avangard e Sarmat sono a guida remota, pilotati a distanza e diretti sul bersaglio, su cui piombano dopo un volo a bassissima quota. In più, la Russia annuncia di aver varato il primo drone sommergibile della storia, un natante senza pilota in grado di filare a 200 chilometri orari a grande profondità, anch’esso armato con missili atomici. «Non esiteremo a impiegare questi armamenti – avverte Putin – per difendere il suolo russo e anche i nostri più vicini alleati». Il che, tradotto, «significa una sola cosa: la protezione strategica russa si estende alla Cina», sostiene Giulietto Chiesa su “Pandora Tv”. Di colpo, l’annuncio del Cremlino vanifica 15 anni di continue provocazioni da parte degli Usa, che hanno sostanzialmente accerchiato la Federazione Russa.Tutto comincia nel 2002, un anno dopo l’11 Settembre, quando George W. Bush decide di stracciare il trattato Abm stipulato nel 1975: impegnava Usa e Urss a non sviluppare difese strategiche contro i missili balistici, esponendo in tal mondo le due superpotenze, in modo simmetrico, alla rappresaglia incrociata – la famosa “pax nucleare”, fondata sulla reciproca deterrenza atomica. Dopo il crollo delle Torri Gemelle, in piena era Bush, gli Usa hanno avviato la loro “guerra infinita” col pretesto del terrorismo islamico, di fatto chiudendo l’ex Unione Sovietica in una sorta di assedio progressivo. Afghanistan e Georgia, estensione della Nato nell’Est Europa (violando la storica promessa fatta da Bush senior a Gorbaciov), quindi la clamorosa provocazione del golpe in Ucraina travestito da rivolta democratica, a ridosso della frontiera russa, e infine la guerra in Siria, per tentare di rovesciare l’alleato mediorientale di Putin, a capo dell’unico paese che ospiti una base militare di Mosca (quella di Tartus, nel Mediterraneo) situata fuori dai confini russi. Ultimo capitolo del piano pluriennale di accerchiamento: la tensione (pirotecnica) con la Corea del Nord. Obiettivo generale degli Usa, secondo Chiesa: posizionare truppe e missili a ridosso dei missili di Mosca, per poterli colpire al momento del lancio.Di recente, aggiunge Chiesa, gli Stati Uniti hanno annunciato che tra 5-6 anni sarà pronto il loro “scudo spaziale antimissile”, progettato probabilmente per neutralizzare i vecchi armamenti russi. Le nuove super-armi di Putin invece sono già pronte, e l’annuncio del Cremlino (difficile che si tratti di un bluff) potrebbe avere conseguenze politiche inaudite: ristabilisce l’antica parità strategica infranta dagli Usa e mette anzi la Russia in posizione di vantaggio. Come dire: finiamola una volta per tutte, con questa corsa folle, perché nessuno potrà colpire l’altro senza rimetterci la pelle. I super-missili russi possono radere al suolo il Giappone e colpire l’America, ma è ovvio che nel mirino c’è soprattutto l’Europa (Italia in primis) trasformata in “fortezza” con decine di basi Nato: le installazioni missilistiche europee, par di capire, sarebbero le prime a essere colpite. La mossa di Putin, che aveva sperato invano nell’elezione di Trump per poter voltare pagina, ha un valore geopolitico inaudito. Fino alla vigilia delle sanzioni euro-atlantiche contro l’economia russia, all’epoca dei giochi olimpici di Sochi, Putin aveva ripetuto un messaggio chiarissimo: la Russia chiede rispetto e vuole essere un partner dell’Occidente, non un antagonista. Obama e la Clinton hanno risposto con la demonizzazione del Cremlino, trasformando l’Est Europa in una caserma Nato.Ora, Putin rimette la palla al centro. Non provateci, è come se dicesse: non vi conviene. Bisogna cambiare politica: e se non basta la diplomazia, a pesare sarà la minaccia dei super-missili. E’ di enorme portata, osserva Chiesa, il passaggio in cui Putin avverte: reagiremo anche se a venir colpita fosse la Cina, che evidentemente non è ancora in grado di schierare armi analoghe: rivela la profondità dell’alleanza difensiva russo-cinese, maturata in risposta all’offensiva americana. Inoltre, aggiunge Chiesa, se queste armi sono già in funzione, la loro presenza cambia completamente il quadro strategico, sul piano militare: annulla, di colpo, la storica superiorità navale degli Usa, trasformando le portaerei in “barchette di carta”, «perché questi missili non sono “parabili”, attualmente: sono troppo veloci e imprevedibili». Di fatto, «va a farsi benedire l’idea stessa della guerra nucleare, così com’era stata concepita in tutti i decenni precedenti». Tramonta la storica superiorità strategica defli Stati Uniti? Implicazioni sconcertanti: archiviano «l’idea stessa della possibilità di uno scontro». E c’è di più: Russia e Cina si muoveranno insieme, nella conquista dello spazio. «Significa avere una proiezione prima impensabile, nel campo delle armi spaziali, grazie alla tecnologia russa e ai mezzi finanziari cinesi».«Con questa mossa – aggiunge Giulietto Chiesa – la Russia comunica che la parte militare della “guerra ibrida” è ancora disinnescabile: una bomba ancora fermabile». Ma quella che Papa Francesco chiama “Terza Guerra Mondiale a pezzi” è appunto “ibrida” e pienamente in corso: guerra mediatica, guerra tecnologica, guerra biologica, guerra climatica, guerra finanziaria. Poi c’è una guerra ancora più invisibile, affidata ad armi segrete in fase di sperimentazione. «E in tutte queste guerre – dice Chiesa – ho l’impressione che la Russia sia in grande svantaggio: sicuramente l’immensa rete web è interamente in mani americane». Altro problema, per Mosca: l’energia. «I russi sono molto vulnerabili sotto il profilo energetico, perché l’intero mercato del petrolio è ancora nelle mani dell’Opec, cioè degli Usa. A stabilire il prezzo del barile sono 9 grandi banche internazionali, di cui 6 statunitensi, che possono infliggere colpi durissimi a chi non sta al loro gioco, cioè paesi come Venezuela, Iran e Russia». La guerra biologica, sottolinea Chiesa, è basata sulle nano-tecnologie, con esiti inimmaginabili: «Parliamo di strumenti di controllo e di previsione che hanno la dimensione di una molecola, inseribili in qualsiasi corpo». Quanto alla guerra climatica, è la stesa marina Usa ad annunciare che, nel 2025 gli Stati Uniti avranno il controllo del clima mondiale: potranno condizionare la vita di milioni di persone, in ogni continente.«Tutto è aperto, ma questo quadro dipende comunque dalla realizzabilità di un attacco militare distruttivo e definitivo», conclude Giulietto Chiesa. «La Russia si conferma in questo momento una forza deterrente cruciale, anche se gli europei non l’hanno ancora capito. I cittadini sono fuori causa, dal momento che non sono informati: ma i dirigenti europei dei paesi Nato? Sono consapevoli del rischio che stiamo correndo, e della tendenza a uno scontro?». Il gruppo dirigente Usa puntava al “first strike” risolutivo entro 8-10 anni, che ora non è più pensabile: assisteremo quindi a un ragionevole cambiamento di strategia, o i gruppi che vogliono la guerra reagiranno invece con un’accelerazione? «Sfortunatamente, il sistema mediatico ha mascherato questa realtà: non l’ha fatta arrivare alle orecchie e agli occhi del grande pubblico occidentale. E’ tempo di rimettere al passo le lancette degli orologi, rendendoci conto di quello che sta davvero avvenendo». Dall’alto dei suoi nuovissimi missili supersonici, Vladimir Putin annuncia “cinque anni di tempo per rinsavire”.Scordatevi di passarla liscia, dopo aver colpito la Russia con un “first strike”, un attacco nucleare preventivo come quello lungamente accarezzato dai neocon annidati alla Casa Bianca sotto la presidenza Obama: Mosca dispone di armi nuovissime e micidiali, in grado di annullare l’intero arsenale balistico statunitense. Ha del clamoroso, il recente annucio di Putin: i russi hanno a disposizione armamenti fino a ieri inimmaginabili. Missili atomici intercontinentali fulminei, non intercettabili: viaggiano a una velocità pari a 20 volte quella del suono, e non in base a un’orbita prestabilita. I missili Avangard e Sarmat sono a guida remota, pilotati a distanza e diretti sul bersaglio, su cui piombano dopo un volo a bassissima quota. In più, la Russia annuncia di aver varato il primo drone sommergibile della storia, un natante senza pilota in grado di filare a 200 chilometri orari a grande profondità, anch’esso armato con missili atomici. «Non esiteremo a impiegare questi armamenti – avverte Putin – per difendere il suolo russo e anche i nostri più vicini alleati». Il che, tradotto, «significa una sola cosa: la protezione strategica russa si estende alla Cina», sostiene Giulietto Chiesa su “Pandora Tv”. Di colpo, l’annuncio del Cremlino vanifica 15 anni di continue provocazioni da parte degli Usa, che hanno sostanzialmente accerchiato la Federazione Russa.
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“Mai a Est”, così la Nato mentì a Gorbaciov. Ecco le prove
Prima di perdere il potere, Gorbaciov ricevette ampie e ripetute assicurazioni, tra il 1990 e il 1991, sul fatto che la Nato non sarebbe stata estesa ai paesi est-europei. È la verità che emerge dalla pubblicazione, all’inizio dello scorso dicembre, di documenti desecretati contenuti nell’archivio della Sicurezza Nazionale depositato nella George Washington University, spiega Giulietto Chiesa. «Qui è dimostrato che l’Occidente mentì, come si suol dire, per la gola», e cioè: promise ai dirigenti sovietici che la sicurezza nazionale dell’Urss non sarebbe stata minacciata, ma – una volta incassato il bottino politico – non tenne fede alla parola data. I documenti, resi pubblici da due ricercatori (Svetlana Savranskaja e Tom Blanton) svelano questa verità storica in modo inequivocabile: «Fu una congiura, perché a promettere non fu uno solo: lo fecero tutti». E questo, scrivono i due, «è basato sulla fondatezza di documenti scritti e di dispacci scambiati ai più alti livelli». Aveva dunque le sue ragioni Vladimir Putin quando, durante la conferenza di Monaco sulla sicurezza, nel 2007, chiese: «Cosa ne è delle assicurazioni che i nostri partner europei diedero dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Dove sono finite quelle dichiarazioni? Sembra che nessuno se ne ricordi, ma mi permetto di ricordare a questo pubblico ciò che venne detto allora».Putin, ricorda chiesa in un post su “Sputnik News”, citò una precisa dichiarazione del segretario generale della Nato di quel momento, Manfred Woerner. A Bruxelles, il 17 maggio 1990, Woerner aveva detto, testualmente: «L’Unione Sovietica ha una solida garanzia di sicurezza dal fatto che non siamo intenzionati a dislocare un esercito della Nato al di fuori del territorio tedesco». Davvero? «Dove sono oggi queste garanzie?», aveva esclamato Putin, tra lo scandalo dei massimi leader europei e americani. «Tutti sembravano avere dimenticato che già nel 1997 la Nato aveva offerto a Ungheria, Polonia e all’allora Cecoslovacchia di entrare nella Nato», annota Chiesa. Storica la frase che il segretario di Stato Usa, James Baker, rivolse a Gorbaciov il 9 febbraio 1990: «La Nato non si espanderà ad est nemmeno di un centimetro». Per la verità, scrive Giulietto Chiesa, Baker usò la misura inglese dell’inch, «ma adesso è noto che qualche miliardo di inches è già stato percorso a est dalle truppe e dagli armamenti della Nato». Una grande menzogna, fin dall’inizio: «L’elenco dei bugiardi che seguirono le orme, in inches, di James Baker è davvero lungo, a leggere gli archivi della Washington University. Ne fecero parte il presidente George Bush padre, il ministro degli esteri tedesco Genscher, il cancelliere Kohl, il presidente francese Mitterrand, Margaret Thatcher, il premier inglese John Major, il capo della Cia Robert Gates, il ministro degli esteri britannico Douglas Hurd».In base al trattato siglato con la sconfitta tedesca della Seconda Guerra Mondiale, Gorbaciov avrebbe avuto nelle sue mani il diritto di veto per impedire la riunificazione tedesca, ricorda Chiesa. E invece, grazie alle bugie sulla Nato, l’ultimo leader dell’Urss «fu indotto ad accettare un patto con l’Occidente, che l’Occidente non ha rispettato». E non si tratta soltanto di documenti d’archivio, precisa Chiesa: in alcuni casi c’è la testimonianza di partecipanti diretti, autori di quelle “promesse da marinaio”. Come Rodric Braithwaite, allora ambasciatore inglese a Mosca, che riferisce di un colloquio tra il premier britannico Major e lo stesso Gorbaciov, avvenuto il 5 marzo 1991, in cui il primo disse al secondo: «Io penso che i suoi sospetti sul ruolo della Nato nella presente situazione siano il risultato di un fraintendimento». Noi non stiamo pensando a un rafforzamento della Nato, giurò il diplomatico inglese: stiamo solo «coordinando gli sforzi per migliorare i rapporti tra l’Unione Europea e la Nato». Secondo le memorie di Robert Gates, allora assai critico verso il trattamento cui veniva sottoposto Gorbaciov, il leader sovietico fu «indotto a credere» alle promesse «mentre si stava preparando in gran fretta e in segreto l’estensione a est della Nato».Due le opzioni occidentali: attendere che l’Urss si afflosciasse da sola o costringerla subito alla resa. Giulietto Chiesa definisce la prima ipotesi «abbastanza sincera». Il suo più convinto sostenitore? Bush. «Non voleva accentuare le dimensioni del crollo sovietico, anche nel timore che una troppo grande umiliazione avrebbe potuto provocare contraccolpi nazionalistici in Russia». Meglio dunque «lasciare la Nato dove stava, accontentandosi di una Germania unificata dentro la Nato, ma senza andare oltre». Tesi che, peraltro, «Kohl e Genscher nettamente preferivano». L’altra opzione era invece «dettata dall’uso spregiudicato dei rapporti di forza», e dunque: rapido allargamento a Est della Nato. «Ma la differenza tra le due opzioni era assai labile», secondo Chiesa: «Era una questione di tempi di realizzazione dello stesso disegno», perché «quelli che oggi definiremmo i “moderati” dell’Occidente» erano semplicemente convinti che l’Unione Sovietica non sarebbe crollata così velocemente, come poi invece avvenne alla fine del 1991. «Erano disposti ad aspettare più a lungo, ma avrebbero fatto la stessa cosa che i secondi (i falchi di Washington) volevano fare subito». L’unico a dirlo a Gorbaciov fu Valentin Falin, dirigente del Pcus: «L’Occidente ci sta prendendo in giro». Avvertimento tardivo e inutile: «I rapporti di forza erano già definiti. E, quando l’Urss crollò, fu ovvio dimenticare le promesse fatte a Gorbaciov, che non era più sulla scena».Prima di perdere il potere, Gorbaciov ricevette ampie e ripetute assicurazioni, tra il 1990 e il 1991, sul fatto che la Nato non sarebbe stata estesa ai paesi est-europei. È la verità che emerge dalla pubblicazione, all’inizio dello scorso dicembre, di documenti desecretati contenuti nell’archivio della Sicurezza Nazionale depositato nella George Washington University, spiega Giulietto Chiesa. «Qui è dimostrato che l’Occidente mentì, come si suol dire, per la gola», e cioè: promise ai dirigenti sovietici che la sicurezza nazionale dell’Urss non sarebbe stata minacciata, ma – una volta incassato il bottino politico – non tenne fede alla parola data. I documenti, resi pubblici da due ricercatori (Svetlana Savranskaja e Tom Blanton) svelano questa verità storica in modo inequivocabile: «Fu una congiura, perché a promettere non fu uno solo: lo fecero tutti». E questo, scrivono i due, «è basato sulla fondatezza di documenti scritti e di dispacci scambiati ai più alti livelli». Aveva dunque le sue ragioni Vladimir Putin quando, durante la conferenza di Monaco sulla sicurezza, nel 2007, chiese: «Cosa ne è delle assicurazioni che i nostri partner europei diedero dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia? Dove sono finite quelle dichiarazioni? Sembra che nessuno se ne ricordi, ma mi permetto di ricordare a questo pubblico ciò che venne detto allora».
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Mundell, il genio malvagio dell’euro: così vi rovineremo
L’idea che l’euro abbia “fallito” è pericolosamente ingenua. L’euro sta facendo esattamente quello che il suo progenitore – e il ricco 1% che l’ha adottato – hanno previsto e progettato che facesse. Il progenitore è un ex economista dell’università di Chicago, Robert Mundell. L’architetto dell’“economia dell’offerta” è ora un professore presso la Columbia University, ma io ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi rapporti con il mio professore di Chicago, Milton Friedman, ben prima che le ricerche di Mundell su valute e tassi di cambio avessero dato vita al progetto di un’unione monetaria europea e di una valuta europea comune. Mundell, allora, era più preoccupato dei lavori di ristrutturazione del suo bagno. Il professor Mundell, che ha sia un Premio Nobel sia un’antica villa in Toscana, mi disse furibondo: «Non mi permettono nemmeno di avere un gabinetto. Hanno regole per cui mi dicono che non posso avere un bagno in questa stanza! Ti rendi conto?». In effetti no, non posso rendermi conto. Ma io non ho una villa italiana, quindi non riesco a immaginare le frustrazioni per le norme edilizie che disciplinano il posizionamento dei gabinetti.Ma Mundell, da intraprendente canadese-americano, aveva intenzione di fare qualcosa: trovare un’arma che spazzasse via regole governative e norme sul lavoro (odiava veramente gli idraulici sindacalizzati che gli avevano fatto pagare un fracco di soldi per spostare il suo trono). «È molto difficile licenziare lavoratori in Europa», si era lamentato. La sua risposta fu l’euro. L’euro avrebbe realmente fatto il suo dovere quando sarebbero arrivate le crisi economiche, aveva spiegato Mundell. Togliere al governo il controllo sulla valuta avrebbe impedito agli odiosi, piccoli funzionari eletti di usare “estratti” di politiche monetarie e fiscali keynesiane per tirare un paese fuori dalla recessione. L’euro «mette la politica monetaria fuori dalla portata dei politici», disse. E «senza politica fiscale, l’unico modo in cui le nazioni possono mantenere i posti di lavoro è la riduzione competitiva delle regole sugli affari». Citò leggi sul lavoro, norme di tutela ambientale e, naturalmente, le tasse. L’euro avrebbe spazzato via tutto. Non si sarebbe permesso alla democrazia di interferire con il mercato – o con l’impianto idraulico!Come osserva un altro Nobel, Paul Krugman, la creazione dell’Eurozona ha violato la regola economica di base conosciuta come “area valutaria ottimale”. Era una regola inventata da Bob Mundell, ma questo non preoccupa Mundell: per lui, l’euro non riguardava la trasformazione dell’Europa in una potente unità economica unificata. Si trattava di Reagan e Thatcher. «Reagan non sarebbe stato eletto presidente senza l’influenza di Mundell», scrisse Jude Wanniski sul “Wall Street Journal”. L’economia dell’offerta pionieristica di Mundell è divenuta il modello teorico per la Reaganomics – o “economia voodoo”, come l’ha definita George Bush senior: la magica convinzione nella panacea del libero mercato che ha ispirato che le politiche della signora Thatcher. Mundell mi ha spiegato che, infatti, l’euro fa parte delle Reaganomics: «La disciplina monetaria impone la disciplina fiscale anche ai politici». E quando si verificano crisi, le nazioni economicamente disarmate hanno poco da fare, ma cancellano i regolamenti governativi all’ingrosso, privatizzano in modo massiccio le industrie statali, riducono le tasse e gettano lo stato sociale europeo nella discarica.Così, vediamo che il primo ministro Mario Monti (non eletto) ha preteso la “riforma” del diritto del lavoro in Italia per rendere più facile, per i datori di lavoro come Mundell, sparare agli idraulici toscani. Mario Draghi, capo (non eletto) della Banca Centrale Europea, chiede “riforme strutturali” – un eufemismo per i sistemi di frantumazione dei lavoratori. Cita la teoria nebulosa che questa “svalutazione interna” di ogni nazione li renderà tutti più competitivi. Monti e Draghi non possono credibilmente spiegare come, se ogni paese del continente riduce la propria forza lavoro, chiunque può ottenere un vantaggio competitivo. Ma non devono spiegare le proprie politiche; devono solo lasciare che i mercati agiscano sui titoli di Stato di ogni nazione. Quindi, l’unione monetaria è la guerra di classe con altri mezzi.La crisi in Europa e le fiamme della Grecia hanno prodotto il bagliore di ciò che il sommo filosofo Joseph Schumpeter ha chiamato “distruzione creativa”. L’apologeta del libero mercato Thomas Friedman, seguace di Schumpeter, volò ad Atene per visitare il “tempio improvvisato” della banca bruciata dove tre persone erano morte dopo esser state bombardate dai manifestanti anarchici, e ha usato l’occasione per condurre un’omelia sulla globalizzazione e l’“irresponsabilità” greca. Le fiamme, la disoccupazione di massa, la svendita delle risorse nazionali porterebbero ciò che Friedman definiva “rigenerazione” della Grecia e, in ultima analisi, di tutta l’Eurozona. Così che Mundell e gli altri con ville possono ben mettere i loro bagni ovunque vogliono. Lungi dall’essere un fallimento, l’euro, che era il figlio di Mundell, è riuscito probabilmente ad andare al di là dei sogni più selvaggi del suo progenitore.(Greg Palast, “Robert Mundell, il genio malvagio dell’euro”, dal “Guardian” del 26 giugno 2012).L’idea che l’euro abbia “fallito” è pericolosamente ingenua. L’euro sta facendo esattamente quello che il suo progenitore – e il ricco 1% che l’ha adottato – hanno previsto e progettato che facesse. Il progenitore è un ex economista dell’università di Chicago, Robert Mundell. L’architetto dell’“economia dell’offerta” è ora un professore presso la Columbia University, ma io ho avuto modo di conoscerlo attraverso i suoi rapporti con il mio professore di Chicago, Milton Friedman, ben prima che le ricerche di Mundell su valute e tassi di cambio avessero dato vita al progetto di un’unione monetaria europea e di una valuta europea comune. Mundell, allora, era più preoccupato dei lavori di ristrutturazione del suo bagno. Il professor Mundell, che ha sia un Premio Nobel sia un’antica villa in Toscana, mi disse furibondo: «Non mi permettono nemmeno di avere un gabinetto. Hanno regole per cui mi dicono che non posso avere un bagno in questa stanza! Ti rendi conto?». In effetti no, non posso rendermi conto. Ma io non ho una villa italiana, quindi non riesco a immaginare le frustrazioni per le norme edilizie che disciplinano il posizionamento dei gabinetti.
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Berlino trema: lo stragista Amri fu incoraggiato dalla polizia
«Vai, ammazza la gente per strada. E mi raccomando: prima di scappare, lascia il passaporto ben in vista sul sedile». Fondamentale, il documento: perché poi – quando gli spareranno, per farlo tacere per sempre – nessuno dubiti che a cadere sia il vero colpevole, lo stragista. «Anis Amri fu istigato da un informatore della polizia», titola l’“Huffington Post”, svelando «l’indagine che fa tremare l’intelligence tedesca». Lui, il giovane tunisino responsabile della strage al mercatino di Natale, a Berlino, il 19 dicembre scorso, venne ucciso quattro giorno dopo, a Sesto San Giovanni, in un conflitto a fuoco con la polizia di Milano. La notizia? Il ragazzo non aveva nessuna intenzione di far strage di passanti nella capitale tedesca. Semmai, avrebbe voluto andare a combatte in Siria nelle file dell’Isis. A convincerlo a uccidere (12 vittime e 56 feriti) sarebbe stata una “persona di fiducia” della polizia tedesca. Lo affermano due media, il “Berliner Morgenpost” e la radio “Rbb”. Hanno scoperto che a istigare il giovane sarebbe stata una “persona di fiducia” (Vertrauensperson) che per conto della polizia del Nordreno Westfalia s’era infiltrata tra i frequentatori del predicatore Abu Wala, un reclutatore dell’Isis arrestato nel novembre 2016, un mese prima della strage del mercatino.Pare che la “persona di fiducia” abbia dovuto faticare a convincere Amri. Gli disse: «Ammazziamo questi miscredenti». Insisteva: «Abbiamo bisogno di uomini di buona volontà per fare questi attentati qui in Germania». A citare il fatale colloquio è un ex frequentatore degli stessi circoli, «che dice di essere stato avvicinato alla stessa persona per fare l’attentato in Germania», scrive Maurizio Blondet sul suo blog. Come altri, il testimone aveva rifiutato perché voleva combattere in Siria. E ha confermato che l’informatore della polizia avrebbe insistito nel cercare un «un uomo affidabile per un attacco con un camion». Dunque “l’uomo di fiducia” della polizia tedesca era un agente provocatore: al soldo dell’Isis o dei servizi di Berlino? «La polizia sapeva da luglio che Anis Amri progettava una strage», scriveva “Globalist” già il 22 dicembre. Avverte oggi l’emittente “Rbb”: «Un siriano ex coinquilino di Amri aveva avvertito ben due volte la polizia prima dell’attentato». Ma l’allarme non diede esito, racconta il “Morgenpost”: «Amri è stato tenuto sotto osservazione solo nei giorni feriali. Nei fine settimana e nei giorni festivi il controllo cessava. E l’ufficio del procuratore generale non è mai stato informato della cessazione dell’osservazione».Le autorità tedesche, riassume Blondet, avevano impedito la rapida espulsione di Amri (non presentando alle autorità tunisine le sue impronte digitali, che pure avevano). In più, le forze di sicurezza «gli avevano fatto sapere di essere sotto controllo, e più volte». Lo avevano persino «aspettato alla fermata dell’autobus da Dortmund». Secondo lo “Spiegel”, «il dossier su Amri è stato grossolanamente falsificato, posticipando date e celando un arresto». Se la storia del passaporto abbandonato sul camion-kamikaze è la fotocopia di altre analoghe vicende, da Charlie Hebdo alla strage di Nizza, Blondet fa notare che le modalità di reclutamento di Anis Amri sono le medesime di un altro maghrebino in azione in Francia, Mohammed Merah, che scatenò il terrore a Tolosa nel 2012: «I servizi francesi stavano per reclutare Merah un mese prima dei suoi delitti», ha dichiarato alla Corte d’Assise l’ex capo della sicurezza tolosana. Per il “Foglio”, lo “stragista di Al-Qaeda”, era «un’operazione dell’intelligence francese finita male». E’ saltato fuori anche un video-testamento del giovane: «Sono innocente. Ho scoperto che il mio miglior amico Zouheir lavora per i servizi segreti francesi».Zouheir, scrive il quotidiano “Le Monde”, fece anche parte della squadra di negoziatori che cercò di convincere Merah alla resa durante l’assedio all’appartamento. Il giovane gli si ribellò con queste parole: «Mi hai mandato in Iraq, Pakistan e Siria per aiutare i musulmani. E ora ti riveli essere un criminale e un capitano dei servizi francesi. Non lo avrei mai creduto». Adesso, aggiunge Blondet, la deposizione giudiziaria del capo dei servizi a Tolosa conferma: Merah fu avvicinato da un settore dell’intelligence, la Dgcri (Direction Centrale du Reinseignement Interieur) dopo un viaggio in Pakistan. Ma in realtà, precisa il funzionario, i servizi francesi lo conoscevano bene fin dal 2006, quando Merah era ancora un ragazzino: lo avevano schedato insieme a suo fratello Abdelkadher, dopo un viaggio in Egitto compiuto «apparentemente per imparare l’arabo». Poi, nel 2010, al ritorno dal viaggio in Pakistan, lo interrogano «perché sospettato di aver ricevuto addestramento militare». Sempre nel 2010, arrestato dalla polizia afghana a Kandahar, Merah viene «sottoposto a “debriefing” da due specialisti francesi», i quali «hanno giudicato che, dato il suo carattere curioso e viaggiatore, lo si poteva orientare verso un reclutamento».Un rapporto dei servizi risalente al 21 febbraio 2012, un mese prima del primo omicidio presunto di Merah, recita: «Mohamed Merah ha spirito aperto e astuto. Non ha alcuna relazione con una rete terrorista, ha un profilo viaggiatore». Conclusione: conviene «verificarne l’affidabilità», raccomanda il rapporto. «E’ un approccio di reclutamento», ha spiegato l’ex funzionario dei servizi di Tolosa. Sembra l’accurata formazione di un agente professionale, a cui si impartiscono competenze linguistiche e militari, da avviare alla carriera di infiltrato. «Sappiamo anche che Merah ha cercato di arruolarsi nell’esercito francese nel 2008, e poi nella Legione Straniera, respinto per i suoi precedenti penali», conclude Blondet: «Povero, tragico patriota Merah, usato e distrutto come jihadista perché bisognava addossargli delitti le cui vere ragioni sono inconfessabili». Forse, anche attraverso la giustizia francese e le indagini giornalistiche tedesche, sta cominciando a sbriciolarsi un muro di menzogne sanguinose. Osservando in controluce gli attentati “islamisti” che hanno martoriato l’Europa colpendo sempre e solo nel mucchio (popolazione inerme: mai obbiettivi-simbolo del potere), nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” Gianfranco Carpeoro legge le “firme nascoste” – non islamiche, ma occidentali e massoniche – dello stragismo affidato a manovalanza jihadista. E oggi dice: «Entro un paio d’anni, magari attraverso fonti come Wikileakes, emergerà la prova che l’Isis è un’emanazione diretta dei servizi atlantici che fanno capo ai Bush».«Vai, ammazza la gente per strada. E mi raccomando: prima di scappare, lascia il passaporto ben in vista sul sedile». Fondamentale, il documento: perché poi – quando gli spareranno, per farlo tacere per sempre – nessuno dubiti che a cadere sia il vero colpevole, lo stragista. «Anis Amri fu istigato da un informatore della polizia», titola l’“Huffington Post”, svelando «l’indagine che fa tremare l’intelligence tedesca». Lui, il giovane tunisino responsabile della strage al mercatino di Natale, a Berlino, il 19 dicembre scorso, venne ucciso quattro giorno dopo, a Sesto San Giovanni, in un conflitto a fuoco con la polizia di Milano. La notizia? Il ragazzo non aveva nessuna intenzione di far strage di passanti nella capitale tedesca. Semmai, avrebbe voluto andare a combatte in Siria nelle file dell’Isis. A convincerlo a uccidere (12 vittime e 56 feriti) sarebbe stata una “persona di fiducia” della polizia tedesca. Lo affermano due media, il “Berliner Morgenpost” e la radio “Rbb”. Hanno scoperto che a istigare il giovane sarebbe stata una “persona di fiducia” (Vertrauensperson) che per conto della polizia del Nordreno Westfalia s’era infiltrata tra i frequentatori del predicatore Abu Wala, un reclutatore dell’Isis arrestato nel novembre 2016, un mese prima della strage del mercatino.