Archivio del Tag ‘geopolitica’
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Aquisgrana: il vero potere adesso ha paura di noi europei
Tanto peggio, tanto meglio: vuoi vedere che l’orrendo patto franco-tedesco per fondare la versione 2019 del Sacro Romano Impero finirà con l’aprire gli occhi agli europei? Lo sostiene Enrico Carotenuto in un’analisi su “Coscienze in Rete”, network impegnato a svelare i retroscena della geopolitica sulla base di una tesi di fondo: il vero potere non mostra mai il suo vero volto, preferendo utilizzare comodi burattini (come Macron e la Merkel, in questo caso). E una mossa come il Trattato di Aquisgrana – che affossa virtualmente l’Ue sullo scenario mondiale – rivela la fragilità del potere franco-tedesco, spaventato dalla ribellione in corso in tutta Europa (elettorale in Italia, popolare in Francia, istituzionale nella Gran Bretagna della Brexit). Ma quel potere, più che “franco-tedesco”, è apolide: la Francia di Macron e la Germania della Merkel sono solo i principali strumenti con cui il neoliberismo neo-feudale ha esercitato il suo dominio, imponendo ai popoli europei di sottostare alle rigide norme finanziarie che hanno fatto crescere il Pil europeo impoverendo però la stragrande maggioranza della popolazione, attraverso un immenso trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, grazie a regole truccate dell’austerity.Tristemente decadente anche l’aspetto simbolico del trattato, firmato non casualmente proprio ad Aquisgrana, la capitale di Carlomagno. Proprio Aachen, ricorda Enrico Carotenuto, è la città dove ben 37 imperatori del Sacro Romano Impero vennero incoronati “Re dei Germani” (non dei Franchi). E siamo sicuri, aggiunge, «che anche questa ennesima “incoronazione” abbia il beneplacito del papato». Ve le ricordate, le effusioni del soave Macron in Vaticano con Papa Francesco, dopo che i francesi avevano appena definito “vomitevole” la politica italiana sui migranti? Ora ci risiamo: lo stesso Macron – attaccato da Di Maio per lo sfruttamento coloniale dell’Africa – dice che l’Italia merita governanti migliori, all’altezza della sua storia. Si scivola dal ridicolo al grottesco, visto che Macron – a capo di un paese che rapina nel modo più ignobile 14 paesi africani – parla come una Maria Antonietta qualsiasi, assediato com’è dalla rivolta dei Gilet Gialli, approvata da 8 francesi su 10. Ed è proprio il malconcio Macron – politicamente, un morto che cammina – ad aver firmato il Trattato di Aquisgrana insieme ad Angela Merkel, la cui stella politica è al tramonto.In altre parole: non sono loro, a decidere. Politici come Merkel e Macron si limitano a eseguire ordini. La notizia? L’élite che li comanda oggi teme il popolo. Ha paura del risveglio in atto, nelle coscienze dei cittadini europei. «Noi – scrive Carotenuto – siamo del parere che il “peggioramento” (l’accorciamento delle linee di comando) sia una manovra di retroguardia, da parte di certe forze, di fronte a quello che sta succedendo realmente dal punto di vista evolutivo». Sempre “Coscienze in Rete” immagina «che la risposta a questo peggioramento imposto sia un’occasione di miglioramento delle coscienze individuali». E’ evidente, intanto, il rischio che la Ue “si smonti” per via dei risentimenti crescenti che stanno esplodendo ovunque, specie nell’Europa mediterranea. Il Trattato di Aquisgrana sembra fatto apposta per varare l’Europa a due velocità, divisa tra paesi leader e piccoli satelliti. Il vero potere lavora da sempre alla creazione del super-Stato, «ma è un lavoro molto lungo e difficile anche per le grandi piramidi». Chi ha un po’ di potere tende a mantenerlo. E la piramide è antica, come i suoi metodi: carota e bastone, “divide et impera”. Ora, se non altro, il fenomeno è sotto gli occhi di tutti.Tanto peggio, tanto meglio: vuoi vedere che l’orrendo patto franco-tedesco per fondare la versione 2019 del Sacro Romano Impero finirà con l’aprire gli occhi agli europei? Lo sostiene Enrico Carotenuto in un’analisi su “Coscienze in Rete”, network impegnato a svelare i retroscena della geopolitica sulla base di una tesi di fondo: il vero potere non mostra mai il suo vero volto, preferendo utilizzare comodi burattini (come Macron e la Merkel, in questo caso). E una mossa come il Trattato di Aquisgrana – che affossa virtualmente l’Ue sullo scenario mondiale – rivela la fragilità del potere franco-tedesco, spaventato dalla ribellione in corso in tutta Europa (elettorale in Italia, popolare in Francia, istituzionale nella Gran Bretagna della Brexit). Ma quel potere, più che “franco-tedesco”, è apolide: la Francia di Macron e la Germania della Merkel sono solo i principali strumenti con cui il neoliberismo neo-feudale ha esercitato il suo dominio, imponendo ai popoli europei di sottostare alle rigide norme finanziarie che hanno fatto crescere il Pil europeo impoverendo però la stragrande maggioranza della popolazione, attraverso un immenso trasferimento di ricchezza dal basso verso l’alto, grazie a regole truccate dell’austerity.
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Bifarini: saremo invasi dagli africani “rapinati” dalla Francia
Sicuramente l’Africa è un continente strategico per le proprie ricchezze e per il proprio patrimonio di risorse naturali. È il continente più ricco al mondo, nonostante continui ad essere il più povero e destinato al sottosviluppo endemico. Tuttavia il problema che è stato scoperchiato proprio in questi giorni, attraverso le dichiarazioni di Di Maio e di Di Battista, è quello del neocolonialismo che viene esercitato in questo continente, in primis dalla Francia. Si tratta di un fenomeno molto complesso e articolato, che è alla base del sottosviluppo di questo territorio. Tutto ciò è quindi collegabile al fenomeno dell’esplosione migratoria a cui stiamo assistendo. Il problema dei flussi migratori va risolto attraverso gli accordi con i singoli Stati, così come era stato fatto in passato. Tuttavia, torno a ripetere, se non capiamo i motivi per i quali stiamo assistendo a questo fenomeno migratorio di massa, non interveniamo sui problemi reali del continente africano e ci limitiamo alla sola gestione difficoltosa dei flussi in ingresso.L’accusa di Di Maio e di Di Battista è assolutamente fondata: la Francia ruba ricchezze all’Africa, e questo avviene da sempre. Attraverso il progetto della Francafrique si è avviato un continuum del colonialismo della Francia, senza alcuna interruzione. La Francia perciò depaupera effettivamente il territorio africano imponendo il dominio delle proprie multinazionali e da sempre agisce alimentando disordini e tensioni locali. L’ingerenza della Francia in Africa è davvero importante e finalmente se ne parla. Se l’Italia viene lasciata sola dagli altri Stati europei non riusciremo a risolvere il problema, anche perché il continente africano sta vivendo un’esplosione demografica: al momento conta 1,2 miliardi di abitanti e nel 2050 è previsto un aumento fino a due miliardi e mezzo. Quindi bisogna risalire all’origine del problema che spinge questi flussi migratori e capire una volta per tutte, scoperchiando il vaso di Pandora del neocolonialismo: perché questi paesi non sono riusciti a svilupparsi, perché non hanno uno sviluppo della propria economia locale, quali sono gli ostacoli che l’hanno impedito e che fine hanno fatto i fiumi di miliardi di dollari che sono stati inviati come aiuti umanitari.Finalmente il problema è stato sollevato e va analizzato in tutta la sua complessità, anziché continuare ad agire secondo direttive e metodi che non hanno funzionato. Smettiamola di stanziare fondi che poi non sappiamo come vengono spartiti. Nel mio libro, che in questi giorni è stato aggiornato con un focus sul neocolonialismo francese in Africa, spiego come il neocolonialismo agisca dalla fase di decolonizzazione ai giorni nostri e soffochi il continente africano, fenomeno che però si continua ad ignorare. Si continua a reagire con il solito finto buonismo di chi parla di accoglienza, di colpe da parte dell’Italia per un passato coloniale che ormai appartiene alla storia. Nessuno si è mai preoccupato di analizzare cosa succeda in Africa, chi sfrutti l’Africa. La Francia deve assumersi le proprie responsabilità, è ora di porre fine a questa ipocrisia. Tra l’altro pochi giorni fa è stata rafforzata questa egemonia ad Aquisgrana con l’asse franco-tedesco. Per cui l’Italia si trova ad essere sempre criticata e tenuta a rispettare le regole e i parametri che le vengono imposti, mentre si chiudono gli occhi di fronte allo scandaloso fenomeno neocolonialista che operano i francesi in Africa.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Tatiana Santi per l’intervista “L’Italia e il neocolonialismo francese”, pubblicata su “Sputnik News” il 25 gennaio 2019. Economista e scrittrice, la Bifarini è autrice del saggio “I coloni dell’austerity” (Altaforte Edizioni): è stata la prima, in Italia, ad aver sollevato il caso del neocolonialismo francese in Africa nel contesto delle migrazioni di massa).Sicuramente l’Africa è un continente strategico per le proprie ricchezze e per il proprio patrimonio di risorse naturali. È il continente più ricco al mondo, nonostante continui ad essere il più povero e destinato al sottosviluppo endemico. Tuttavia il problema che è stato scoperchiato proprio in questi giorni, attraverso le dichiarazioni di Di Maio e di Di Battista, è quello del neocolonialismo che viene esercitato in questo continente, in primis dalla Francia. Si tratta di un fenomeno molto complesso e articolato, che è alla base del sottosviluppo di questo territorio. Tutto ciò è quindi collegabile al fenomeno dell’esplosione migratoria a cui stiamo assistendo. Il problema dei flussi migratori va risolto attraverso gli accordi con i singoli Stati, così come era stato fatto in passato. Tuttavia, torno a ripetere, se non capiamo i motivi per i quali stiamo assistendo a questo fenomeno migratorio di massa, non interveniamo sui problemi reali del continente africano e ci limitiamo alla sola gestione difficoltosa dei flussi in ingresso.
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Oro, petrolio e sanzioni: strangolato il Venezuela di Maduro
Negli ultimi tre anni, il Venezuela ha usato il suo oro come garanzia per ottenere miliardi di prestiti da istituti di credito internazionali. Tuttavia, gli accordi di scambio sono diventati difficili per il Venezuela nel 2017, dopo che Washington ha vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di finanziare le operazioni dello Stato del Venezuela. Lo scrive “L’Antidiplomatico”, secondo cui «la crisi in Venezuela non è un problema di democrazia, ma di guerra energetica e finanziaria». Dal novembre del 2018, aggiunge il blog, la Banca d’Inghilterra si rifiuta di consegnare il rapporto sull’oro del Venezuela. In particolare, la Bank of England si rifiuta di consegnare 550 milioni di dollari in oro (di proprietà del Venezuela) a fronte della richiesta di Caracas per 14 tonnellate di lingotti. Le partecipazioni nella stessa banca, tra l’altro, sono più che raddoppiate a dicembre (31 tonnellate o circa 1,3 miliardi di dollari), dopo che il Venezuela ha restituito i fondi che aveva preso in prestito da Deutsche Bank attraverso un accordo di finanziamento (Swap) che utilizza l’oro come garanzia. La motivazione del rifiuto da parte dei funzionari britannici verte «sull’adozione di misure volte a prevenire il riciclaggio di denaro sporco». Come riporta il “Times”, «ci sono preoccupazioni sul fatto che Maduro possa prendere l’oro, che è di proprietà dello Stato, e venderlo per guadagno personale».Per cercare di aggirare le sanzioni degli Usa, aggiunge “L’Antidiplomatico”, il Venezuela aveva cercato di scambiare il suo greggio con beni, ma le trattative sarebbero state bloccate per «crescenti difficoltà nell’ottenere l’assicurazione per la spedizione necessaria per spostare un grosso carico d’oro». Per impedire al Venezuela di riavere i suoi beni, scrive sempre il blog, «gli Usa hanno aggravato le sanzioni, estenderndole anche ai singoli individui e alle società coinvolti nelle vendite di oro in Venezuela». Negli ultimi anni, «Washington ha introdotto una vasta gamma di misure punitive contro la Repubblica Bolivariana, colpendo le sue finanze, l’emissione di debito e l’attività commerciale della compagnia petrolifera statale Pdvsa». Il Venezuela ha recentemente tentato di eliminare la dipendenza dalle istituzioni e dagli strumenti finanziari controllati dagli Stati Uniti, incluso il dollaro Usa. Il mese scorso, il paese si è impegnato a negoziare in euro, yuan e «altre valute convertibili».«Ecco perché fa tanta paura il Venezuela di Maduro», sostiene “L’Antidiplomatico”: se agli Usa riuscisse il “regime change”, «questo esperimento sarà esportato in qualsiasi situazione geopolitica, in qualsiasi Stato sovrano sia d’intralcio alle mire energetiche del blocco (Israele, Canada, Brasile, ma anche Germania, Francia, Spagna) che fa capo al mercato neoliberista degli Usa». Secondo Usa e Ue, in realtà, la situazione è precipitata quando Maduro ha rifiutato l’esito delle elezioni del 2016, a lui sfavorevoli, mettendo fuori gioco l’opposizione con la manovra per creare una nuova Costituzione. Manovra boicottata dall’opposizione, che ha rinunciato per protesta a partecipare alle elezioni 2018. Le crescenti sanzioni sono parallele all’involuzione autocratica del regime di Maduro, ora fronteggiato da Juan Guaidò, presidente del Parlamento e leader di “Volontà Popolare”, autoproclamatosi “presidente ad interim” il 23 gennaio, in aperta sfida a Maduro.Il Venezula (32 milioni di abitanti) è uno dei due membri latino-americani dell’Opec, insieme all’Ecuador. Vanta la prima riserva petrolifera al mondo: 302 miliardi di barili di greggio. Nel 2014 il Venezuela è stato colpito dal crollo del costo del petrolio, che rappresenta il 96% delle entrate del paese. La mancanza di moneta ha fatto precipitare lo Stato in una crisi acuta, «generando un esodo di venezuelani in fuga da carenze alimentari e di medicine, non senza conseguenze su diversi paesi vicini». Tre milioni di venezuelani vivono all’estero e, di questi, secondo le stime dell’Onu almeno 2,3 milioni hanno lasciato il paese a partire dal 2015. Un dato che, stando alle stime, dovrebbe salire a 5,3 milioni nel 2019. In cinque anni, secondo il Fmi, il Pil è calato del 45%. E la Banca Mondiale prevede una contrazione del Pil dell’8% nel 2019, dopo il -18% del 2018. Davanti a una iper-inflazione, «che dovrebbe raggiungere quest’anno il 10 milioni per cento», a metà gennaio «Maduro ha quadruplicato il salario minimo a 18.000 bolivar (20 dollari, secondo il tasso ufficiale), cioè l’equivalente di due chilogrammi di carne. Ad agosto aveva lanciato un piano di rilancio, svalutando il bolivar del 96%».L’erede di Hugo Chavez sostiene che la crisi in Venezuela sia il risultato di una “guerra economica” da parte della destra e degli Stati Uniti per rovesciare il suo governo, visto che Washington ha imposto diverse serie di sanzioni. A novembre del 2017 il Venezuela e la compagnia petrolifera nazionale Pfvsa sono stati dichiarati in default parziale da diverse agenzie di rating. «Il tasso di povertà, cavallo di battaglia della rivoluzione bolivariana, è schizzato all’87%, secondo un’indagine delle principali università del paese», aggiunge “Quotidiano.net”. Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, sostiene che la crisi venezuelana ricorda quella che precedette il golpe nel Cile di Allende, con una differenza sostanziale: Allende non fece mai ricorso alla repressione della protesta, mentre Nicolas Maduro si è macchiato di gravi crimini, sospendendo di fatto la democrazia e violando i diritti umani.Negli ultimi tre anni, il Venezuela ha usato il suo oro come garanzia per ottenere miliardi di prestiti da istituti di credito internazionali. Tuttavia, gli accordi di scambio sono diventati difficili per il Venezuela nel 2017, dopo che Washington ha vietato alle istituzioni finanziarie statunitensi di finanziare le operazioni dello Stato del Venezuela. Lo scrive “L’Antidiplomatico”, secondo cui «la crisi in Venezuela non è un problema di democrazia, ma di guerra energetica e finanziaria». Dal novembre del 2018, aggiunge il blog, la Banca d’Inghilterra si rifiuta di consegnare il rapporto sull’oro del Venezuela. In particolare, la Bank of England si rifiuta di consegnare 550 milioni di dollari in oro (di proprietà del Venezuela) a fronte della richiesta di Caracas per 14 tonnellate di lingotti. Le partecipazioni nella stessa banca, tra l’altro, sono più che raddoppiate a dicembre (31 tonnellate o circa 1,3 miliardi di dollari), dopo che il Venezuela ha restituito i fondi che aveva preso in prestito da Deutsche Bank attraverso un accordo di finanziamento (Swap) che utilizza l’oro come garanzia. La motivazione del rifiuto da parte dei funzionari britannici verte «sull’adozione di misure volte a prevenire il riciclaggio di denaro sporco». Come riporta il “Times”, «ci sono preoccupazioni sul fatto che Maduro possa prendere l’oro, che è di proprietà dello Stato, e venderlo per guadagno personale».
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Tutte le altre stragi, senza nessuna Giornata della Memoria
E’ possibile celebrare la Giornata della Memoria per ricordare, tra tutti i genocidi della storia recente, solo quello nazista ai danni degli ebrei? Se lo domanda implicitamente un ex giornalista della Rai come Fulvio Grimaldi, nell’elencare – il 27 gennaio, sulla sua pagina Facebook – moltissime altre pagine atroci che hanno costellato il Novecento. «Il maresciallo Rodolfo Graziani massacra la Libia, occupata e seviziata dal 1911, e uccide seicentomila libici, tra civili e partigiani della resistenza, un terzo della popolazione», e poi «brucia centinaia di villaggi, bombarda centri abitati e carovane, avvelena i pozzi, impicca centinaia di libici, tra cui l’ottantenne leader della Resistenza, Omar al Mukhtar». Gli Stati Uniti, dal 1945 ad oggi, «iniziando con l’invasione della Corea e poi del Vietnam e poi proseguendo con la storica media di una guerra d’aggressione all’anno, con colpi di Stato, guerre civili innescate ad arte, sanzioni genocide», di fatto «uccidono 50 milioni di persone nel mondo». Nel solo Vietnam sono uccisi 3 milioni di civili, mentre gli effetti del napalm e dell’agente Orange continuano a far nascere e morire decine di migliaia di bambini deformi. Dagli Usa all’Europa: «Re Leopoldo del Belgio, occupante colonialista del Congo, provoca la morte di 20 milioni di congolesi».Il genocidio africano prosegue nel ‘900 «per opera di fantocci dell’Occidente e delle multinazionali che controllano i territori delle risorse minerarie attraverso l’intervento del protettorato franco-statunitense del Ruanda e l’uso di milizie tribali». Ma l’Italia non è da meno, ricorda Grimaldi: «Mussolini, nella guerra d’Etiopia, fa uccidere da Graziani e Badoglio 280mila abissini, 5 milioni di buoi, 7 milioni di ovini, 1 milione di cavalli, 700mila cammelli». Vengono bruciate 2.000 chiese e distrutte 525.000 case e capanne. L’Italia perde 4.350 militari, coscritti o volontari. Per «colonizzare il Sud Tirolo» e assicurare all’Italia Trento e Trieste, «che l’Austria è pronta a cedere se l’Italia non dovesse entrare in guerra», il potere industriale e bancario italiano «commissiona al governo Salandra e al re Vittorio Emanuele III l’ingresso in guerra». Nel primo conflitto mondiale «cadono 600mila italiani, perlopiù contadini e operai, molti fucilati dai propri ufficiali». Di fatto, annota Grimaldi, «scompare una generazione». Poi c’è la pagina nera della decolonizzazione del Nordafrica, cui la Francia si oppone strenuamente all’indomani della Seconda Guerra Mondiale: «Nella guerra d’Algeria il regime colonialista francese rinchiude 3 milioni di algerini in campi di concentramento, della tortura e dello stupro».Il bilancio della carneficina algerina è terrificante: «Un milione di algerini, su 10 milioni scarsi di abitanti, viene ucciso». Grimaldi calcola che un altro milione di persone, composto da «tedeschi antinazisti», fosse stato ucciso dal regime di Hitler tra il 1933 e il 1940. Aggiunge: «Vogliamo parlare di Palestina 1945-2019?». Di tutte le stragi divenute croniche, quella ai danni dei palestinesi è la più “invisibile”, sui media che celebrano il ricordo della Shoah. L’argomento resta controverso: se da una parte si contesta il fatto che la memoria sia “obbligatoria” solo per l’ecatombe di Auschwitz, dall’altro vale ricordare che soltanto lo sterminio nazista degli ebrei sia stato così meticolosamente progettato e realizzato, e per motivi dichiaratamente “razziali”: tutte le altre stragi, sostengono gli storici, hanno avuto motivazioni diverse, più tristemente “convenzionali” (geopolitica, imperialismo, economia, nazionalismo). Solo nel caso del nazismo, si sottolinea, il motore del genocidio fu l’odio, alimentato dal fanatismo ideologico della “purezza razziale”. A Grimaldi non basta: lo indigna il fatto che non si celebri nessuna “giornata della memoria” per tutte gli altri abissi di abominio. «Ci fermiamo qui – conclude – con un pensiero al bambino che, oggi, ogni 3 secondi muore di fame e malattia nel mondo per il modo di gestire l’umanità da parte dell’Occidente (il primo servizio su questo infanticidio planetario del capitalismo lo feci nel 1992 per il Tg3)».E’ possibile celebrare la Giornata della Memoria per ricordare, tra tutti i genocidi della storia recente, solo quello nazista ai danni degli ebrei? Se lo domanda implicitamente un ex giornalista della Rai come Fulvio Grimaldi, nell’elencare – il 27 gennaio, sulla sua pagina Facebook – moltissime altre pagine atroci che hanno costellato il Novecento. «Il maresciallo Rodolfo Graziani massacra la Libia, occupata e seviziata dal 1911, e uccide seicentomila libici, tra civili e partigiani della resistenza, un terzo della popolazione», e poi «brucia centinaia di villaggi, bombarda centri abitati e carovane, avvelena i pozzi, impicca centinaia di libici, tra cui l’ottantenne leader della Resistenza, Omar al Mukhtar». Gli Stati Uniti, dal 1945 ad oggi, «iniziando con l’invasione della Corea e poi del Vietnam e poi proseguendo con la storica media di una guerra d’aggressione all’anno, con colpi di Stato, guerre civili innescate ad arte, sanzioni genocide», di fatto «uccidono 50 milioni di persone nel mondo». Nel solo Vietnam sono uccisi 3 milioni di civili, mentre gli effetti del napalm e dell’agente Orange continuano a far nascere e morire decine di migliaia di bambini deformi. Dagli Usa all’Europa: «Re Leopoldo del Belgio, occupante colonialista del Congo, provoca la morte di 20 milioni di congolesi».
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Sapelli: solo gli Usa ci salvano dalla catastrofe euro-tedesca
Si avvicina una recessione di lungo periodo. Viene da lontano, certamente: in primis dalla Cina, che rimane solo una bomba demografica anziché produttiva. Ma viene anche da vicino: dall’Europa, che si sta dilacerando politicamente in una disgregazione sociale inedita per via della deflazione secolare che la mancanza di investimenti ha prodotto proprio a partire dalla Germania e dalle nazioni del Nord, dalla Lega Anseatica e dalla marca svedese, con i venti freddi di una gelata che sembra non aprirsi mai alla primavera. Lo scrive, sul “Sussidiario”, lo storico dell’economia Giulio Sapelli, attento osservatore dell’attualità. «Occorre alzare le dighe degli investimenti produttivi con l’azione delle imprese pubbliche e private», sostiene. «Occorre cambiare profondamente la politica economica europea». Bruxelles invece – impegnata nello scontro con Londra dopo la Brexit – non coglie l’urgenza di questo cambiamento di rotta. «Per comprendere la gravità di questa regressione culturale dobbiamo ritornare con la mente a un contesto non solo economico ma anche internazionale che un tempo era profondamente diverso da quello odierno, perché non aveva irrigidito i sistemi di cambio tra le monete e le regole commerciali e del debito pubblico, in quella gabbia d’acciaio che è oggi l’Eurozona».Sapelli ricorda il novembre del 1975, quando a Rambouillet, sotto l’attenta regia di Valéry Giscard d’Estaing, si celebrò il primo G6, ossia la riunione di capi di Stato e di governo di Francia, Germania Ovest e Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone e Italia. «Erano anni difficili, seguiti alla Guerra del Kippur dell’agosto 1973 con la crisi petrolifera e l’aumento del prezzo del greggio di ben quattro volte in sei mesi, e soprattutto con l’avvento di quella che allora si chiamava “stagflazione”, ossia una stagnazione con inflazione, tutto il contrario di quel che accade oggi». Giscard si accordò con Helmut Schmidt, «il più grande cancelliere tedesco dopo la Seconda Guerra Mondiale», per coordinare le maggiori cinque potenze dell’Occidente, più i nipponici. «La preoccupazione era immensa. I “trent’anni gloriosi” di crescita ininterrotta europea e mondiale, seguiti al 1945, pareva dovessero terminare. E questo colse tutti di sorpresa». Ma attenzione: furono proprio gli Stati Uniti, ricorda Sapelli, a imporre la partecipazione dell’Italia alla riunione di Rambouillet. «Solo la perseveranza di Aldo Moro, allora presidente del Consiglio, e del ministro degli esteri Mariano Rumor, consentirono all’Italia di partecipare a quel summit», aggirando l’Eliseo.«Quel vertice fu decisivo per il nostro paese – scrive Sapelli – perché da allora nessuno osò più escluderci dalle riunioni delle potenze mondiali in cui si decideva l’avvenire del mondo». Da quella riunione «scaturirono degli obiettivi profondamente diversi da quelli di oggi», cioè obiettivi «fondati su un impegno di cooperazione, tutti incentrati sull’economia reale: investimenti per ridurre la disoccupazione, controllo delle quantità monetarie eccedenti i target concordemente fissati dalle banche centrali per contenere l’inflazione, controllo, eliminazione e determinazione dei livelli di consumo energetico per far fronte all’aumento dei prezzi». Oggi, tutto è cambiato. Innanzitutto, come si è visto nel G7 svoltosi in Giappone, «il problema non è più l’inflazione, ma la deflazione che produce una stagnazione che può essere secolare». Ecco perché il pemier Shinzo Abe propone una politica di “deficit spending”, «rifiutando di aumentare le tasse nel suo paese», per contrastare non l’inflazione ma la terribile deflazione che condanna il Sol Levante, da un trentennio, alla non-crescita.E poi, continua Sapelli, è cambiato anche il contesto europeo: «L’equilibrio di potenza nel Vecchio Continente è stato completamente rovesciato a favore della Germania riunificata, che cresce grazie al surplus commerciale immenso che essa realizza imponendo a tutte le altre nazioni, attraverso le regole dei trattati europei, un regime di bassi salari e quindi di bassi costi dei beni intermedi che importa, così da realizzare i magnifici surplus di esportazione». Quarantotto anni dopo Rambouillet, osserva Sapelli, gli Usa sono ora in ritirata dall’Europa. «Ma hanno tuttavia ancora un disegno imperiale mondiale, anche se le divisioni profonde nel gruppo di comando delle disgregate élite nordamericane non lo rendono visibile come si dovrebbe, come tutto il mondo meriterebbe». Sapelli si attende dagli Stati Uniti «ciò che gli Usa ci diedero quarant’anni or sono, ossia la non esclusione dall’equilibrio di potenza mondiale fondato sull’alleanza transatlantica e quindi dai flussi del commercio mondiale». Ed è proprio questa perseveranza transatlantica, secondo Sapelli, la migliore risposta all’avvento della Brexit. «Di questo sono pochissimi in Italia ad avere contezza, a cominciare dagli imprenditori». Eppure, «comprendere tutto ciò è decisivo, perché solo il legame con gli Usa ci può salvare dal prossimo tsunami mondiale».Secondo l’economista, si addensano infatti le nubi e si alzano le maree di uno tsunami «molto più grande di quello del 2008». La causa? Sta «nella tendenza alla deflazione europea, che minaccia tutta l’economia mondiale e segnala la potenza distruttiva del nazionalismo economico tedesco». Ed evidenzia «l’utopia, altrettanto distruttiva, delle cure monetarie alla crisi». L’eccesso di finanza “perversa” (derivati, collateralizzazione del debito), non si sconfigge «con l’eccesso di emissione di moneta, come fa la Bce». Mario Draghi? «E’ prigioniero della sua formazione neoclassica». La moneta, a suo parere, può curare i mali della recessione imminente. È pur vero che sollecita le “riforme strutturali” dei governi, ma – per Sapelli – qui sta l’inganno: «Le riforme che sollecita favoriscono la crisi». In cosa consistono? «Alte tasse, riduzione dei debiti tout court, senza distinguere tra il debito che fa bene (investimenti pubblici per creare lavoro e quindi domanda interna), pervicace negazione di ogni intervento pubblico nell’economia, laddove non è sperpero parassitario, ma creazione di sana occupazione». In compenso, la Bce – che non muove un dito per gli Stati – annuncia di voler salvare grandi imprese, nei guai a causa delle loro spericolate speculazioni finanziarie.Se queste politiche verranno ancora una volta attuate, conclude Sapelli, non faranno altro che «aumentare l’enorme bolla di liquidità che gonfia le nuvole della tempesta». Sarebbe bello, dice, poter tornare a Rambouillet, «gettandosi alle spalle i tempi della finanza “evoluta” perché speculativa e devastante, e dell’Europa fondata sulla deflazione che non condivide sovranità ma la sottrae, in una guerra infinita tra le potenze continentali». È ora di tornare all’età della ragione, scandisce Sapelli: sarebbe la miglior risposta alla Brexit. A farci paura, aggiunge, dev’essere «la non consapevolezza della tragedia imminente», e non invece «il ritorno della storia al suo posto», ossia la fuoriuscita del Regno Unito «da un’Europa a cui quell’impero non ha mai guardato se non con preoccupazione per le potenze via via dominanti che potevano nei secoli minacciare il suo potere mondiale: la Spagna, la Francia e infine, ieri come oggi, la Germania». Aggiunge Sapelli: «Solo la pressione Usa protesa alla sconfitta dell’Urss costrinse il Regno Unito ad abbandonare l’Efta nel 1976 e a entrare con una clausola opzionale fondata sulla non adozione dell’euro all’Europa Unita. Ora l’Urss è crollata e la bomba atomica inglese non serve più in funzione antisovietica». La storia riprende il suo corso, «nonostante la gabbia artificiale e drammaticamente catastrofica della politica istituzionale e della politica economica europea».Si avvicina una recessione di lungo periodo. Viene da lontano, certamente: in primis dalla Cina, che rimane solo una bomba demografica anziché produttiva. Ma viene anche da vicino: dall’Europa, che si sta dilacerando politicamente in una disgregazione sociale inedita per via della deflazione secolare che la mancanza di investimenti ha prodotto proprio a partire dalla Germania e dalle nazioni del Nord, dalla Lega Anseatica e dalla marca svedese, con i venti freddi di una gelata che sembra non aprirsi mai alla primavera. Lo scrive, sul “Sussidiario”, lo storico dell’economia Giulio Sapelli, attento osservatore dell’attualità. «Occorre alzare le dighe degli investimenti produttivi con l’azione delle imprese pubbliche e private», sostiene. «Occorre cambiare profondamente la politica economica europea». Bruxelles invece – impegnata nello scontro con Londra dopo la Brexit – non coglie l’urgenza di questo cambiamento di rotta. «Per comprendere la gravità di questa regressione culturale dobbiamo ritornare con la mente a un contesto non solo economico ma anche internazionale che un tempo era profondamente diverso da quello odierno, perché non aveva irrigidito i sistemi di cambio tra le monete e le regole commerciali e del debito pubblico, in quella gabbia d’acciaio che è oggi l’Eurozona».
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Aquisgrana, due piccoli avvoltoi sul cadavere dell’Europa
Il Trattato franco-tedesco di Aquisgrana, antica capitale del Sacro Romano Impero (la città-simbolo dove si assegna il Premio Carlo Magno) formalizza quell’idea di Europa «che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario». E gli altri paesi? O vassalli, o colonie da tenere in riga, meglio se più povere di prima. Fantasie? No, basta leggere il testo predisposto da Emmanuel Macron e Angela Merkel, ultra-sovranisti alla bisogna. Secondo Alessandro Mangia, costituzionalista dell’Università Cattolica di Milano, il nuovo trattato «accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea». Fino al 2016, aggiunge, il Regno Unito è stato «il solo contraltare alla coppia franco-tedesca a livello politico e di occupazione degli spazi burocratici». Usciti di scena gli inglesi, «che assieme a Italia, Spagna ed altri paesi potevano fare da contrappeso», gli equilibri di potenza in Europa sono saltati. E l’Europa si è improvvisamente contratta. Intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, il professor Mangia insiste: «Senza Gran Bretagna, l’Unione non ha capacità di proiezione esterna. E il suo spazio di manovra sullo scenario mondiale, che nemmeno prima era granché, si è ulteriormente ristretto». Il nuovo patto «è una manovra classica da arrocco: la mossa difensiva di due potenze diverse, ma entrambe in grande difficoltà fuori dallo scenario europeo», a cominciare dagli Stati Uniti.Di fronte alle pressioni americane (e alle minacce di disimpegno degli Usa dalla Nato, a meno che i paesi europei non incrementino l’acquisto di forniture militari americane nei prossimi anni), Francia e Germania se ne escono con questo trattato che, almeno sulla carta, «disegna una struttura di tipo quasi confederale, imperniata su organi e meccanismi stabili di collaborazione in tema di difesa, sicurezza interna, operazioni militari all’estero, industria militare, posti in Consiglio di Sicurezza Onu e concertazione sulle politiche europee». Secondo Alessandro Mangia siamo di fronte a una struttura polifunzionale, «destinata a operare come patto di controllo all’interno dell’Unione in attesa che Trump se ne vada». Oppure, se lo sfaldamento dell’Ue accelera dopo le elezioni europee, Francia e Germania hanno già messo in cantiere questo possibile Piano-B: un disegno «che riduca tutto a Germania, con baltici e Olanda al seguito, e Francia, con esercito, nucleare e colonie della zona franco Cfa», tuttora sottoposte a un severo regime di sfruttamento colonialistico. E ora? L’Unione Europea «diventa qualcosa di obsoleto o, nel migliore dei casi, una struttura destinata ad essere funzionale, in chiave subordinata, ad un asse politico che ha pretese di egemonia continentale».Qui si va molto al di là di una classica cooperazione rafforzata, sottolinea il professor Mangia: si tocca la sfera militare, e dunque politica per eccellenza. «La verità è che a fomentare squilibri e conflitti all’interno dei paesi dell’Unione è stata la politica mercantilista tedesca, che non si è limitata ad operare all’interno del continente, ma ha cominciato a infastidire gli stessi Usa. Se si pensa che la sola Germania ha un surplus sull’estero superiore a quello cinese – osserva Mangia – si capisce perché la proposta di Trump di livellare le spese militari al 2% dei paesi aderenti non fosse poi tanto peregrina, almeno dal suo punto di vista». Al di fuori di armi e tecnologia militare, aggiunge Mangia, non è che gli Usa abbiano ormai molto da esportare in Europa. «E infatti questo trattato è un “no” chiaro e tondo alle richieste americane: e si propone, non so con quale efficacia, di sviluppare un’industria militare e una forza di intervento esclusivamente franco-tedesca, che possa prendere il posto del fornitore americano». Scenario realistico? Manca esprime forti dubbi: «Il mercato mondiale delle armi è soprattutto in mano ad americani e russi, che ne hanno fatto un volano economico. Andarlo a sfidare senza avere la capacità economica – e la volontà di spesa – di Usa e Russia è a dir poco velleitario. Eppure, il segnale che si vuole lanciare è esattamente questo».Quanto al testo del trattato, il livello di cooperazione (sulla carta) è molto stretto. Si parla di un Consiglio franco-tedesco di difesa e sicurezza comune, di un Consiglio dei ministri franco-tedesco, di partecipazione su base regolare di membri del governo francese o tedesco ai Consigli dei ministri dell’altro Stato. Ma ci sono anche dei passaggi meno generici, avverte Manca: nell’articolo 6 si parla di “unità comuni per operazioni di stabilizzazione in paesi terzi”. E si prevedono interventi tanto in Europa e in Africa: e cioè nelle zone del franco Cfa. «E’ chiaro che, se queste non restassero solo parole, ci si troverebbe di fronte ad un fatto politico piuttosto rilevante». Tradotto: «Se ci si ferma a riflettere su cosa si intende per “sicurezza interna” si finisce per leggere “ordine pubblico”. E si capisce che qui si va oltre il Trattato di Velsen del 2004 che istituisce Eurogendfor come piattaforma di Gendarmeria Europea. Potenzialmente la base giuridica per interventi diretti delle rispettive polizie oltre confine qui ci sarebbe. Non so se rendo l’idea».Nella sostanza, sottolinea Manca, il trattato si prefigge di formalizzare quell’idea di “Europa core” che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario. «Sullo sfondo c’è l’idea di passare dalla sfera economico-commerciale alla sfera militare, e cioè politica per definizione». Non è casuale, infatti, che sia stata scelta Aquisgrana come sede per la firma: il luogo-simbolo del Sacro Romano Impero. «Appunto. Nella cattedrale è sepolto Carlo Magno che aveva unificato Franchi e Germani; è la città dove viene attribuito quel Premio Carlo Magno che, negli ambienti europeisti, ha un fortissimo valore simbolico. Quando si passa a curare i simboli – aggiunge il professore – ci si muove in una dimensione apertamente politica. Ricordate le piramidi o le stelle a cinque punte di Macron? Siamo sempre lì». E partendo da Aquisgrana dove si può arrivare? La Merkel, «quasi dimissionaria in patria», ha delle mire precise sulla prossima Commissione Europea. Dall’altra parte c’è Macron, «che è riuscito nella non facile impresa di battere i livelli di impopolarità di Hollande», e che da dieci settimane si trova la città messe a ferro e a fuoco, nel weekend, dai Gilet Gialli. La sua unica strategia? «Lanciare le consultazioni con i sindaci e aspettare che i rivoltosi si stufino, nel più puro stile d’Ancien Régime».Merkel e Macron, per Alessandro Manca, «sono due figure deboli in patria, deboli sullo scenario mondiale, che riescono ad imporsi solo nei confronti degli altri paesi dell’Unione». Sul breve periodo, hanno ogni convenienza a sostenersi a vicenda. Ma il professore insiste ancora sul profilo militare: in Germania, oltre che sulle infrastrutture, si è giocato al risparmio anche sulle spese militari per la Bundeswehr, che soffre di sottofinanziamenti cronici. Ma dall’estate scorsa, «dopo lo scontro con Trump, si è iniziato a parlare, sulla stampa tedesca, dell’opportunità di divenire una potenza nucleare, in barba ai trattati di non proliferazione del dopoguerra». E qui, il partner ideale è la Francia. «Sì, perché la Germania è una potenza economica, ma un nano militare». La Francia ha un’industria militare di qualche rilievo, storicamente sovralimentata dallo Stato, e dispone di capacità e tecnologia nucleare sia civile che militare. «Ha qualcosa da vendere, insomma, che i tedeschi non hanno e non possono avere a breve. In cambio – aggiunge Manca – la Francia può ricevere accoglienza al vertice politico dell’Unione come “regina consorte” e vantare un rapporto privilegiato con il paese con il più grande surplus commerciale al mondo. Sembra uno scambio utile ad entrambi».Quanto all’impegno della Francia a favorire il riconoscimento della Germania come membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu, Alessandro Manca sorride: ve le immaginate le risate, al Dipartimento di Stato e al Foreign Office inglese, il giorno che la Francia proverà a tener fede a questo impegno preso con i tedeschi, «con quello che stanno facendo passare al governo britannico sulla Brexit?». Per non parlare di Russia e Cina, «che “non aspettano altro” di avere la Germania seduta a quel tavolo a metter bocca sulle questioni internazionali». Come dire: uno scenario solo virtuale, del tutto irrealistico. Poi però ci siamo noi, l’Italia, insieme agli altri paesi esclusi dall’accordo: che conseguenze avrà, sulla nostra pelle, questo evidente progetto di dominio? «Questa è la nota più dolente, almeno a breve». Un asse franco-tedesco «che costituisca una struttura intrecciata anche militarmente ha poco rilievo fuori dal continente, ma ha molto rilievo al suo interno, soprattutto per il competitor naturale di Francia e Germania, che è poi l’Italia». Siamo «l’unico paese che, nonostante tutto, ha ancora una manifattura e un’industria militare capace di confrontarsi con Francia e Germania». L’Ue ha sgretolato le antiche alleanze. La prima vittima del Trattato di Aquisgrana, secondo Manca, sarà proprio l’industria militare italiana, «che è diretta concorrente dell’industria francese».Il Trattato franco-tedesco di Aquisgrana, antica capitale del Sacro Romano Impero (la città-simbolo dove si assegna il Premio Carlo Magno) formalizza quell’idea di Europa «che finora aveva avuto cittadinanza solo a livello finanziario». E gli altri paesi? O vassalli, o colonie da tenere in riga, meglio se più povere di prima. Fantasie? No, basta leggere il testo predisposto da Emmanuel Macron e Angela Merkel, ultra-sovranisti alla bisogna. Secondo Alessandro Mangia, costituzionalista dell’Università Cattolica di Milano, il nuovo trattato «accelera il processo di disgregazione dell’Unione Europea». Fino al 2016, aggiunge, il Regno Unito è stato «il solo contraltare alla coppia franco-tedesca a livello politico e di occupazione degli spazi burocratici». Usciti di scena gli inglesi, «che assieme a Italia, Spagna ed altri paesi potevano fare da contrappeso», gli equilibri di potenza in Europa sono saltati. E l’Europa si è improvvisamente contratta. Intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, il professor Mangia insiste: «Senza Gran Bretagna, l’Unione non ha capacità di proiezione esterna. E il suo spazio di manovra sullo scenario mondiale, che nemmeno prima era granché, si è ulteriormente ristretto». Il nuovo patto «è una manovra classica da arrocco: la mossa difensiva di due potenze diverse, ma entrambe in grande difficoltà fuori dallo scenario europeo», a cominciare dagli Stati Uniti.
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Stop Brexit: ma a perdere è l’Ue, che non piace a nessuno
E’ una mazzata per Bruxelles, non per Londra, la decisione del Parlamento inglese di respingere (con 432 voti contrari e 202 favorevoli) la bozza di accordo con l’Unione Europea sulla Brexit, presentata da Theresa May – che rimedia, peraltro, «la peggiore sconfitta di sempre, per un primo ministro». Lo afferma Paolo Annoni sul “Sussidiario”, nel commentare il clamoroso esito della votazione britannica del 15 gennaio, che espone il governo alla sfiducia e proietta il Regno Unito verso nuove elezioni, spingendo probabilmente l’Ue a prolungare oltre il 29 marzo la scandenza per il negoziato. Secondo Annoni, visto comunque l’esito del referendum – con la vittoria della Brexit – in assenza di un nuovo elemento politico che ne ribalti l’esito o addirittura lo annulli, in qualche modo si va comunque verso un’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. «ll “caos” da questa e dall’altra parte della Manica – osserva l’analista – lavora nel senso di un’uscita». E attenzione: «Qualsiasi posticipo di una decisione non mette sotto i riflettori la Gran Bretagna, ovviamente, ma l’Unione Europea».Su questa vicenda, per Annoni «c’è una confusione clamorosa», visto che siamo immersi «in una asfissiante propaganda europeista». La Brexit? E’ stata dipinta nella narrazione maggioritaria come «una battaglia tra le forze della reazione e quelle della rivoluzione, tra populisti-sovranisti ed “europeisti”, tra trogloditi e uomini sapiens». Qualcuno, aggiunge Annoni, ha opportunamente sollevato considerazioni di geopolitica: per esempio, è sempre più complicato il rapporto tra “anglosfera” e Cina. Al cuore della questione «rimane sempre un giudizio sulla traiettoria dell’Unione Europea, in particolare dal 2008, e le sue prospettive». Al di là dei disegni non detti – sottolinea Annoni – la Brexit è fondamentalmente un atto di sfiducia nei confronti dell’Unione Europea: «Infatti, se non ci fossero dubbi sull’Unione, nessuno si sarebbe preoccupato di farci un referendum». Facciamo fatica a capirlo, «perché la discussione sull’Europa è inquinata da valutazioni su quello che vorremmo che fosse o che ci hanno detto che sarebbe stata, ma che non è e continua a non essere».Il dibattito sui problemi dell’Europa, poi, è intorbidito da un secondo problema: «Chiunque ne evidenzi i limiti o i difetti strutturali viene immediatamente rinchiuso nel recinto dei sovranisti-fascisti, e in questo modo la discussione è congelata». L’Europa, ricorda Annoni, non è stata non solo «il blocco economico che è cresciuto di meno nello scenario globale», ma anche «quello che ha mostrato i limiti di governance più evidenti, soprattutto dopo la crisi del 2008». Le ricette economiche neoliberiste improntate sull’austerity «hanno scavato faglie all’interno dell’Europa producendo disastri economico-finanziari e dando vita a squilibri politici crescenti tra i membri». La stessa austerity «è una parola che abbiamo imparato a conoscere solo noi europei», visto che «né Stati Uniti, né Cina o Giappone l’hanno mai contemplata». Oltretutto, insiste Annoni, «la sua applicazione arbitraria e “politica” è diventata strumento di lotta interna, oppure ha salvato i creditori lasciando i debitori distrutti». Economia mercantilista: il modello-Germania, fondato sull’export, «oggi manifesta tutta la sua fragilità». E in un mondo globalizzato, che diventa sempre più complicato e competitivo, «i difetti di governance dell’Unione Europea rendono non solo la costruzione fragile, ma impediscono una crescita armonica e stabile».Non fa una grinza, il ragionamento di Annoni: «Il dibattito sulla Brexit sarebbe impensabile se l’Unione Europea fosse un progetto in salute e funzionale». E invece non lo è. Non solo: riformarla appare impossibile. E la sua costruzione «appare particolarmente inadeguata per affrontare le sfide future, dall’economia alle migrazioni». Ecco perché «aumentano gli incentivi ad abbandonarla». In altre parole: «Non si abbandona la perfetta Europa dei nostri sogni, ma quella che c’è e ci sarà nella realtà di tutti i giorni». Sempre secondo Annoni, gli unici che potrebbero salvarla sono forse i tedeschi, «ma pagando con i soldi dei contribuenti tedeschi, che finora hanno avuto tutto senza mettere un euro». Per salvare l’Europa, inoltre, la Germania dovrebbe «cedere potere politico». E qundi: «Auguri». Siamo in tunnel: col passare del tempo, «più l’Europa si irrigidisce nel suo attuale equilibrio politico e nelle sue attuali regole, più diventerà difficile proporla come alternativa valida». Questa è l’Europa che in Germania fa volare l’Afd, in Francia i Gilet Gialli e in Italia i 5 Stelle. E’ l’Europa che fa salire al 25% la disoccupazione in Grecia per salvare le banche tedesche e francesi. E’ la Disunione Europea «in cui è impossibile un approccio comune al tema dei migranti». Proprio questa Europea, ribadisce Annoni, «è il più grande sponsor per i “brexiters”». E sinceramente, «visto lo stato del dibattito al di qua della Manica, sarà difficile opporre argomenti altrettanto spendibili».Oltretutto, rileva sempre Annoni, il tempo scarseggia: cresce infatti la velocità dei cambiamenti in atto, nei commerci e nei rapporti politici globali. L’Europa dei nostri sogni? «Non c’è, e quindi ha già fallito, vista la nuova fase internazionale». A questo punto «servirebbe un grande atto di umiltà e realismo», insieme a «tantissima, lungimirante e buona politica», per dare vita a «un processo di riforma radicale, in cui forse si può salvare una parte o il nocciolo del progetto originale». Unica precondizione, drastica: «Sacrificare una buona parte della costruzione attuale». Ipotesi percorribile? Non oggi, vista la qualità degli attori in campo. «Se non c’è un’iniziativa forte in questo senso – riassume Annoni – tutto verrà travolto dagli eventi e dalle pressioni esterne». Parallelismi inquietanti: «La Gran Bretagna è sui binari di un’uscita senza ulteriori elementi, esattamente come l’Unione Europea è sui binari di uno sfaldamento senza riforme radicali del suo assetto e dei suoi rapporti di forza interni». Ciò che rende debolissima l’Unione Europea è proprio la sua apparente forza: l’assenza di democrazia nella governance dell’Ue. Le istituzioni autocratiche di Bruxelles possono anche maltrattare la Gran Bretagna, ma la storia finirà male (per l’Unione, non per gli inglesi).E’ una mazzata per Bruxelles, non per Londra, la decisione del Parlamento inglese di respingere (con 432 voti contrari e 202 favorevoli) la bozza di accordo con l’Unione Europea sulla Brexit, presentata da Theresa May – che rimedia, peraltro, «la peggiore sconfitta di sempre, per un primo ministro». Lo afferma Paolo Annoni sul “Sussidiario”, nel commentare il clamoroso esito della votazione britannica del 15 gennaio, che espone il governo alla sfiducia e proietta il Regno Unito verso nuove elezioni, spingendo probabilmente l’Ue a prolungare oltre il 29 marzo la scadenza per il negoziato. Secondo Annoni, visto comunque l’esito del referendum – con la vittoria della Brexit – in assenza di un nuovo elemento politico che ne ribalti l’esito o addirittura lo annulli, in qualche modo si va comunque verso un’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea. «ll “caos” da questa e dall’altra parte della Manica – osserva l’analista – lavora nel senso di un’uscita». E attenzione: «Qualsiasi posticipo di una decisione non mette sotto i riflettori la Gran Bretagna, ovviamente, ma l’Unione Europea».
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I cent’anni di Andreotti, super-democristiano avanti Cristo
Oggi Giulio Andreotti avrebbe compiuto cent’anni, ma lui fu democristiano avanti Cristo. Aveva quattro giorni quando nacque il Partito Popolare che era il nome da signorina della Democrazia Cristiana. Ma non è escluso che quel 18 gennaio del 1919, alla destra del padre, don Luigi Sturzo, ci fosse già il piccolo Giulio con la gobbina e il doppiopetto in fasce, a suggerire cosa fare e soprattutto come. De Gasperi fu statista prima di essere democristiano, e austriaco prima di essere italiano, Moro o Fanfani furono professori, teorici catto-fascisti prima di diventare democristiani. Andreotti no, fu la Dc. Andreotti non fu mai presidente della Repubblica né segretario della Dc, non fu mai presidente del Senato o della Camera, non fu mai sindaco o vescovo di Roma, semplicemente perché lui fu l’anima, la ragnatela e l’icona della Repubblica italiana, della Dc, dei governi, della Curia, delle due Camere riunite in un solo emiciclo, volgarmente denominato gobba; fu il simbolo vivente della Roma di potere e sacrestia, figlio di Santa Romanesca Chiesa, come diceva il cardinal Ottaviani.Andreotti fece la comunione senza mai passare per la confessione. Ebbe sette vite, come i gatti e i sette colli di Roma, e guidò sette governi brevi; rappresentò l’immortalità al potere, inquietante ma rassicurante. Disse che il potere logora chi non ce l’ha, e fu di parola. Quando non ebbe più potere, si logorò, volse la gobba a levante e si costituì dopo lunga contumacia al Titolare. Non fu statista ma statico, inamovibile. Andreotti ebbe più senso del potere che dello Stato, della curia più che della nazione, della sacrestia più che del pulpito. Fu minimalista, antieroico e antidecisionista, rappresentò l’italianissima trinità Dio, pasta e famiglia, sostituendo la patria con la pajata e sognando un dio che patteggia col diavolo. Il suo ideologo fu Alberto Sordi, il precursore Aldo Fabrizi. Guidò l’Italia con passo felpato nelle vacanze dalla storia. Fu vicino ai suoi elettori, attento alle loro richieste, alle cresime e alle nozze. E’ mitico l’armadio nel suo studio di piazza Dan Lorenzo in Lucina, gestito dalla segretaria Enea, coi vassoi d’argento da mandare ai matrimoni, pare divisi in tre fasce.Per secoli fu ritenuto l’Incarnazione del Male, la Medusa che pietrifica e a volte cementifica. Ai tempi di Mani Pulite, nella sua Ciociaria, il fascista galantuomo Romano Misserville organizzò un processo-spettacolo ad Andreotti; calò il gelo nei suoi confronti di tanti suoi galoppini del passato che pure gli dovevano molto. Andreotti non lasciò riforme dello Stato e grandi opere, ma un metodo, uno stile, un modo di vedere, intravisto dalle fessure dei suoi occhi, anche per non lasciare prove compromettenti sulla retina. Primato assoluto della sopravvivenza, personale e popolare, alle intemperie della storia. Fu moderato fino all’estremo e devoto ma remoto da paradisi e santità. In politica estera fece arabeschi, fu filo-mediterraneo, non filo-atlantico e filo-israeliano, come del resto anche Moro e Craxi. Accusato d’essere il Capo della Cupola non fu poi condannato perché l’accusa inverosimile rimosse anche ogni colpa verosimile. Volevano infliggergli l’ergastolo ma alla fine fu lui a infliggere l’ergastolo all’Italia, diventando senatore a vita. Ma tra tanti imbucati, lui meritava il laticlavio.Sopravvisse alla Dc e ai suoi capi storici, ai suoi stessi bracci destri (aveva infatti molte chele), sopravvisse ai suoi nemici e perfino a Oreste Lionello che fece di lui una caricatura complice. Arguto quand’era in vena, come si usa dire degli spiritosi e dei vampiri (e lui fu ambedue), Andreotti non fu solo l’anima della Dc e della Prima Repubblica ma anche il top model dello Stivale. Somatizzò l’Italia. Le mani giunte e intrecciate per l’indole cattolica, il corpo rispecchiava un paese invertebrato, disossato e militesente, esonerato dalla ginnastica e incapace di mostrare muscoli (neanche nel sorriso Andreotti ha mai mostrato i denti, ma solo un fil di labbra; a tavola beveva brodini per non addentare). Tutti lo immaginavano bassino, ma lo era per tattica e umiltà; in realtà era alto, e sarebbe stato più alto se avessero srotolato il nastro della sua curva pericolosa. L’assenza del collo fugava ogni indizio di mobilità e superbia, la voce sibilante e romanesca, confidenziale e domestica era emessa da una fessura; sussurrava come dietro le grate di un confessionale. E le spalle curve per custodire la sua compromettente scatola nera nella gobba (lo scrissi nel ’93 e fu poi ripreso da tanti, tra cui Beppe Grillo).Figurò l’italiano-tipo piegato su se stesso a tutelare il suo particulare. Il suo volto di sfinge, l’assenza di colorito, impenetrabile al sole per non modificare la cera, la testa piantata direttamente sulle spalle come l’aracnide cefalotoracica e le orecchie estroverse per captare ogni minimo fruscìo; gli occhi pechinesi, salvo illusioni ottiche che a volte li ingrandivano, grazie alle lenti bifocali; il passo circospetto e l’obliqua figura, il fideismo ironico e la ferocia minuziosa, la devozione curiale e la visione nichilista sulle sorti dell’umanità. Non fu arcitaliano ma casto e asessuato, non rappresentò l’indole pomiciona e fanfarona degli italiani. Ma la sua figura, metà bigotta e metà malandrina, ironica e pregante, rappresentava l’ambiguità d’un paese devoto e peccatore, che adora Gesù ma tresca con Belzebù. Brillante nelle conversazioni, reticente nei diari; sapeva fior di retroscena, ma preferì l’omertà. Nei libri raccontava come non erano andati i fatti. Visse a lungo, per godersi pure la nostalgia di quando c’era lui al potere. Andreotti restò un punto interrogativo, come la sua sagoma curva. Non fece la storia ma la consuetudine; nutrì l’aneddotica, il thriller e la leggenda. Come sua madre, cucì all’Italia un abito su misura per i suoi difetti.(Marcello Veneziani, “Andreotti democristiano avanti Cristo”, da “La Verità” del 13 gennaio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Oggi Giulio Andreotti avrebbe compiuto cent’anni, ma lui fu democristiano avanti Cristo. Aveva quattro giorni quando nacque il Partito Popolare che era il nome da signorina della Democrazia Cristiana. Ma non è escluso che quel 18 gennaio del 1919, alla destra del padre, don Luigi Sturzo, ci fosse già il piccolo Giulio con la gobbina e il doppiopetto in fasce, a suggerire cosa fare e soprattutto come. De Gasperi fu statista prima di essere democristiano, e austriaco prima di essere italiano, Moro o Fanfani furono professori, teorici catto-fascisti prima di diventare democristiani. Andreotti no, fu la Dc. Andreotti non fu mai presidente della Repubblica né segretario della Dc, non fu mai presidente del Senato o della Camera, non fu mai sindaco o vescovo di Roma, semplicemente perché lui fu l’anima, la ragnatela e l’icona della Repubblica italiana, della Dc, dei governi, della Curia, delle due Camere riunite in un solo emiciclo, volgarmente denominato gobba; fu il simbolo vivente della Roma di potere e sacrestia, figlio di Santa Romanesca Chiesa, come diceva il cardinal Ottaviani.
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“Battisti mollato dai francesi: e ora tenteranno di ucciderlo”
I servizi segreti francesi hanno “mollato” Cesare Battisti, perché la loro responsabilità (nel coprirlo) è stata portata bruscamente sotto i riflettori. Lo afferma Gianfranco Capeoro, il primo – lo scorso 16 dicembre – a dirsi convinto che l’ex terrorista dei Pac, Proletari Armati per il Comunismo, ricercato per omicidio, fosse stato infiltrato in Italia dall’intelligence di Parigi negli anni di piombo, periodo in cui il nostro paese era ricattato dalla violenza quotidiana della stratregia della tensione. Un mese dopo, di fronte alla cattura di Battisti in Bolivia, sempre in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro rilancia i suoi sospetti: vista la sovraesposizione mediatica, dopo la sua denucia del presunto legame tra Battisti e i servizi francesi, questi ultimi non hanno potuto fare a meno di sbarazzarsi del loro ex agente, divenuto troppo ingombrante. Battisti era improvvisamente scomparso dal Brasile, dove il nuovo governo di Jair Bolsonaro (su richiesta di Salvini) aveva annunciato di apprestarsi a estradarlo in Italia. Ma poi, superato il confine con la Bolivia, evidentemente è stato abbandonato dai suoi “angeli custodi”. Secondo la stampa è stato arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz, dopo esser stato individuato dagli 007 italiani dell’Aise, che l’avrebbero segnalato all’Interpol. Carpeoro teme che ora Battisti sia in pericolo: se verrà estradato potrebbe essere ucciso, nel timore che riveli quello che sa.Carpeoro (vero nome, Pecoraro) ha alle spalle una lunga carriera di avvocato. Era vicino al leader del Psi, Bettino Craxi. «Un motivo di attrito fra Craxi e il presidente francese François Mitterrand, socialista pure lui, era la legge con cui la Francia dava protezione a terroristi italiani», ricorda Carpeoro, fuoriuscito dalla massoneria e iper-critico verso le attuali “obbedienze”. L’avvocato è autore del recente saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che svela il ruolo occulto della “sovragestione” (massonica, di marca Cia) dietro al neo-terrorismo odierno, che proprio in Francia ha utilizzato la manovalanza islamista dell’Isis per colpire nel mucchio, spaventando la popolazione per indurla ad accettare pesanti restrizioni delle libertà personali. Proprio nella politica della Francia, Carpeoro individua le maggiori responsabilità dell’attuale destabilizzazione geopolitica nel Mediterraneo, dalla Libia alla Siria. Spesso è l’Italia a finire nel mirino delle trame francesi, se è vero che partirono proprio da Parigi – come rivelato sempre dall’avvocato milanese – le indebite pressioni per tentare di bloccare l’elezione di Marcello Foa alla presidenza della Rai.A “Border Nights”, Carpeoro riferì che fu l’eminenza grigia Jacques Attali, “padrino” di Macron, a interpellare nientemeno che Giorgio Napolitano per ottenere l’appoggio di Berlusconi, tramite Antonio Tajani, in modo da far mancare i voti necessari all’elezione di Foa. Dopo la clamorosa rivelazione, poi, il veto su Foa è caduto. Nel caso di Battisti sembra che lo schema si sia ripetuto: prima l’accusa alla Francia, indicata come protettrice occulta dell’ex terrorista, e quindi la sua cattura. Diceva Carpeoro, un mese fa: «Non è accettabile che la Francia protegga sottobanco un suo ex agente come Battisti, mentre da noi Alberto Torregiani ha trascorso la vita su una sedia a rotelle, reso paraplegico durante la rapina in cui Battisti uccise suo padre, Pierluigi, a Milano, il 16 febbraio 1979». Una denuncia precisa, da parte di Carpeoro: «Mi assumo la piena responsabilità di quello che dico. E insisto: Roma dovrebbe richiamare l’ambasciatore francese e chiedergli spiegazioni sull’operato dei servizi segreti transalpini, anche a costo di incrinare le relazioni diplomatiche con la Francia». E ora, appunto, la notizia dell’arresto di Battisti, sulla sui sorte Carpeoro avanza fondati timori: qualora venisse estradato in Italia, dice, la sua vita sarebbe in pericolo. Qualcuno potrebbe metterlo a tacere, prima che possa rivelare l’identità di chi lo ha protetto, in tutti questi anni, e il vero movente dei “sovragestori”: pilotare il terrorismo per indebolire l’Italia.I servizi segreti francesi hanno “mollato” Cesare Battisti, perché la loro responsabilità (nel coprirlo) è stata portata bruscamente sotto i riflettori. Lo afferma Gianfranco Capeoro, il primo – lo scorso 16 dicembre – a dirsi convinto che l’ex terrorista dei Pac, Proletari Armati per il Comunismo, ricercato per omicidio, fosse stato infiltrato in Italia dall’intelligence di Parigi negli anni di piombo, periodo in cui il nostro paese era ricattato dalla violenza quotidiana della stratregia della tensione. Un mese dopo, di fronte alla cattura di Battisti in Bolivia, sempre in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro rilancia i suoi sospetti: vista la sovraesposizione mediatica, dopo la sua denucia del presunto legame tra Battisti e i servizi francesi, questi ultimi non hanno potuto fare a meno di sbarazzarsi del loro ex agente, divenuto troppo ingombrante. Battisti era improvvisamente scomparso dal Brasile, dove il nuovo governo di Jair Bolsonaro (su richiesta di Salvini) aveva annunciato di apprestarsi a estradarlo in Italia. Ma poi, superato il confine con la Bolivia, evidentemente è stato abbandonato dai suoi “angeli custodi”. Secondo la stampa è stato arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz, dopo esser stato individuato dagli 007 italiani dell’Aise, che l’avrebbero segnalato all’Interpol. Carpeoro teme che ora Battisti sia in pericolo: una volta estradato potrebbe essere ucciso, nel timore che riveli quello che sa.
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Chiesa, Mazzucco, Messora, Fusaro: quante verità oscurate
«È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente». Lo dice uno straordinario Humphrey Bogart alla fine del film “Deadline” di Richard Brooks (in italiano, “L’ultima minaccia”). Era il 1952: una profezia. Ancora oggi, ufficialmente, le Torri Gemelle sono crollate per colpa dell’impatto con aerei dirottati. La “demolizione programmata” è stata ormai dimostrata da oltre duemila architetti e ingegneri, eppure per l’11 Settembre la “verità” resta quella palesemente falsa. Grazie a chi? Ai media mainstream, che spacciano “fake news” governative. Il primo a denunciarlo, riguardo al caso delle Twin Towers, in Italia fu Giulietto Chiesa, con il libro “La guerra infinita”, uscito nel 2003 per Feltrinelli (e vendutissimo, nonostante il silenzio di giornali e televisioni). Ebbe più fortuna mediatica qualche anno dopo Massimo Mazzucco, con il suo esplosivo documentario “Inganno globale”, trasmesso da Mentana in prima serata a “Matrix”, su Canale 5. Un’eccezione, mai più ripetuta. «Arrivato a La7 – dice Mazzucco – Mentana poteva essere “il primo degli ultimi”, dando voce agli esclusi, e invece ha scelto di restare “l’ultimo dei primi”, accodandosi all’ufficialità». In compenso, ormai l’opinione pubblica più disincantata è letteralmente esplosa: milioni di persone, anche in Italia, la verità ufficiale non se la bevono più.Fino a ieri, ad esempio, sarebbe stato impensabile organizzare un evento come quello in programma il 13 gennaio a Treviso: con Mazzucco e Chiesa, insieme a personaggi come Claudio Messora di “ByoBlu”, Diego Fusaro, Enrica Perucchietti. A promuovere l’operazione-verità è l’associazione SalusBellatrix, coordinata da Francesca Salvador: una delle voci della nuova cultura italiana, indipendente dai circuiti mainstream. Verità “altre”, in tutti i campi: dalla sconcertante Bibbia tradotta (alla lettera) da Mauro Biglino, al potere occulto delle 36 superlogge che dominano il mondo, svelato da Gioele Magaldi in “Massoni”, altro bestseller-fantasma (gettonatissimo dai lettori e oscurato da giornali e televisioni). Quanto conta, questa Italia? Abbastanza, se è vero che il Movimento 5 Stelle nato dal web ora è al governo, e che Marcello Foa (autore de “Gli stregoni della notizia”, che mette alla berlina i media e le loro menzogne) oggi è presidente della Rai. Conta parecchio, la nuova società in subbuglio, non solo nel nostro paese: se l’oligarca tedesco Günther Oettinger (Commissione Ue) ottiene una legge-bavaglio per frenare il web limitando i link e obbligando le piattaforme a filtrare i contenuti dei blog, un altro oligarca (Emmanuel Macron, prodotto massonico di casa Rothschild) è costretto a vedersela con i Gilet Gialli che paralizzano la Francia.Vuoi vedere che i pionieri come Francesca Salvador avevano visto giusto, anni fa, quando cominciarono ad aggregare platee attorno ai primi narratori eretici? Sono tante, in Italia, le entità culturali come la trevigiana SalusBellatrix: attraverso YouTube, sono riuscite a fare opinione diffondendo informazioni e idee. C’è un’Italia che il mainstream l’ha semplicemente aggirato, prendendolo alle spalle. Un dirigente del Cnr si lascia scappare, da Bruno Vespa, che è in un corso un esperimento di controllo climatico mondiale? A completare l’informazione provvede Mazzucco, nell’appendice YouTube della web-radio “Border Nights”: spiega che, già durante l’alluvione di Firenze, lo stesso Cnr emise un rapporto sui test, allora in corso, di “inseminazione” delle nubi per aumentare le precipitazioni. Forse così risulta meno oscura la possibile origine di fenomeni disastrosi, come i nubifragi che hanno raso al suolo le foreste delle Dolomiti. Il cielo è sempre meno blu, rigato fin dal mattino dalle scie stranamente persistenti rilasciate dagli aerei? Mentre il mainstream tenta di deridere chi “crede alle scie chimiche” (neanche fossero un dogma di fede, anziché un fenomeno visibile), sempre su “Border Nights” il generale Fabio Mini, già dirigente della Nato, avverte: i cittadini hanno il diritto di pretendere spiegazioni esaurienti, finora mai fornite, su questo fenomeno.«Remare contro la corrente della menzogna e dell’inganno – ammette Giulietto Chiesa – è faccenda che richiede pazienza quasi infinita, e anche rischio: può costare la vita». Costa sicuramente «la rinuncia a onori e prebende». E comporta «la disponibilità di non avere, in vita, alcun riconoscimento pubblico delle verità che sono state scoperte». Perché i “padroni universali” e i loro “gate keepers” hanno i mezzi per impedire che le vere notizie arrivino agli occhi e alle orecchie delle grandi masse popolari, spesso così condizionate – ormai da decenni – da non riuscire neppure ad accettarle, certe verità imbarazzanti. Lo sanno benissimo anche gli altri relatori della conferenza di Treviso: non poteva sperare, Mazzucco, che facesse il giro dei telegiornali la rivelazione dell’ultimo suo documentario “American Moon”, che dimostra – grazie al contributo dei più famosi fotografi del mondo – che le immagini del presunto “allunaggio” diffuse in mondovisione nel 1969 erano state realizzate in studio. Dalla trincea di “ByoBlu”, lo stesso Messora – cui Google ha rimosso di colpo la possibilità di finanziarsi con la pubblicità – sa benissimo quanto cosa lottare per informare i concittadini.Per dirla con Diego Fusaro, si tratta di dribblare «i padroni del discorso e la manipolazione di massa». Ne sa qualcosa Enrica Perucchietti, che ha spiegato – in brillanti saggi – come le “fake news” spacciate dai media servano anche a coprire il terrorismo “false flag”, quello che in Europa non colpisce mai nessun centro di potere, ma solo e sempre innocui passanti. “Fake news” sono anche quelle che proteggono, molto spesso, il business di Big Pharma, specie nel caso dei vaccini: ben poco spazio è stato concesso, mesi fa, alla notizia dei 7.000 militari italiani ammalatisi dopo frettolose somministrazioni. Quasi-silenzio anche sulla Puglia, dove la Regione – l’unica ad aver istituito un servizio di “farmacovigilanza atttiva” – ha scoperto che, tra i bambini appena vaccinati, 4 su 10 subiscono reazioni avverse. Là dove invece non si può tacere, perché la fonte è il presidente dell’ordine dei biologi, si cerca di far passare per pazzo il “disturbatore”, peraltro intervistato da un unico giornale, “Il Tempo”, diretto da Franco Bechis. Eppure, la notizia veicolata dal rappresentante dei biologi italiani, Vincenzo D’Anna, è clamorosa: sono stati scoperti vaccini contaminati (con antibiotici, feti abortiti e persino diserbanti agricoli) e vaccini inefficaci, perché privi nei necessari agenti immunizzanti.Di verità scientiche occultate è esperto Giorgio Iacuzzo, un altro degli esperti attesi a Treviso: ha lavorato nel cinema scientifico e tecnologico, scrive per periodici italiani e stranieri ed è pronto a rivelare alcuni dei “segreti di Stato in pillole” di cui è a conoscenza. Verità indicibili attorno al mondo scientifico, come quella sull’espianto degli organi: si intitola “Morte cerebrale, verità o finzione”, la relazione a cura del professor Rocco Maruotti, primario di chirurgia. Ulteriori informazioni, al pubblico di Treviso, saranno fornite da Sonia Saterini Burighel, della Lega Antipredazione Veneto. Tema: “La confusione in atto, in ordine alla donazione di organi, imposta nelle anagrafi quando il cittadino va a rinnovare la carta d’identità”. Primo passo: evitare gli equivoci. Che sono quotidiani (e spesso voluti, nel mondo dell’informazione) specie se c’è di mezzo una traduzione: lo conferma Paola Iacobini, laureata a Londra in mediazione linguistica. E’ un oceano, ormai, l’ambito di quella che un tempo si sarebbe chiamata controinformazione, all’epoca in cui il giornalismo aveva ancora una sua dignità: magari era reticente in qualche caso per compiacere l’editore, ma non aveva ancora abdicato alla sua funzione. Per il Premio Pulitzer americano Seymour Hersh, oggi non piangeremmo milioni di morti, se solo la stampa avesse smesso di fare il suo dovere: avremmo avuto meno stragi, meno guerre, meno terrorismo “sotto falsa bandiera”.Secondo Giulietto Chiesa, sempre assai pessimista sul destino che ci attende, c’è però uno spiraglio di luce, che si è aperto soltanto in quest’ultimo decennio: «La perdita del controllo da parte di coloro che erano certi di esserselo già definitivamente assicurato, per i secoli dei secoli». Sempre per Chiesa, la fibrillazione dei “gate keepers” sta assumendo vertici così acuti «da lasciarci supporre che temano di essere travolti dagli stessi strumenti di controllo e dominio che ritenevano le loro creazioni più perfette». Aggiunge: «Sono ora impegnati allo spasimo per costruire dighe atte a frenare il fiume e i canali per deviarne le correnti». Certo, siamo ancora molto lontani dall’ora della verità. «Ma a noi resta la sottile soddisfazione di osservare il terrore che pervade i dominatori e la loro affannosa ricerca di una via d’uscita». Fausto Carotenuto, già analista geopolitico dell’intelligence Nato (ora passato a una visione spiritualistica dell’esistenza), insiste su una tesi: almeno un terzo dell’umanità starebbe letteralmente uscendo dal letargo. «Se il mondo sta diventando così feroce – dice – è proprio perché i decisori lo sanno, e temono questo risveglio che ormai è in corso, e che sarà inarrestabile». Il sistema di dominio affina strumenti di manipolazione sempre più sofisticati? Vero, ma c’è anche il rovescio della medaglia: «Ci controllano perché ci temono. Facciamo paura, perché siamo tanti. Il nostro problema? Non ce ne rendiamo conto. Crediamo che i dominatori siano invincibili. Ma non lo sono, e lo sanno».(Sul sito dell’associazione SalusBellatrix sono rintracciabili tutte indicazioni per partecipare alla conferenza “E’ la stampa, bellezza”, domenica 13 gennaio 2019 a Treviso).«È la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente». Lo dice uno straordinario Humphrey Bogart alla fine del film “Deadline” di Richard Brooks (in italiano, “L’ultima minaccia”). Era il 1952: una profezia. Ancora oggi, ufficialmente, le Torri Gemelle sono crollate per colpa dell’impatto con aerei dirottati. La “demolizione programmata” è stata ormai dimostrata da oltre duemila architetti e ingegneri, eppure per l’11 Settembre la “verità” resta quella palesemente falsa. Grazie a chi? Ai media mainstream, che spacciano “fake news” governative. Il primo a denunciarlo, riguardo al caso delle Twin Towers, in Italia fu Giulietto Chiesa, con il libro “La guerra infinita”, uscito nel 2003 per Feltrinelli (e vendutissimo, nonostante il silenzio di giornali e televisioni). Ebbe più fortuna mediatica qualche anno dopo Massimo Mazzucco, con il suo esplosivo documentario “Inganno globale”, trasmesso da Mentana in prima serata a “Matrix”, su Canale 5. Un’eccezione, mai più ripetuta. «Arrivato a La7 – dice Mazzucco – Mentana poteva essere “il primo degli ultimi”, dando voce agli esclusi, e invece ha scelto di restare “l’ultimo dei primi”, accodandosi all’ufficialità». In compenso, ormai l’opinione pubblica più disincantata è letteralmente esplosa: milioni di persone, anche in Italia, la verità ufficiale non se la bevono più.
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Dai padroni oscuri nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni
Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita-massonico ha ormai delle forti incrinature. Foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante – come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica” fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione, e ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. Ma speriamo bene, soprattutto nelle risposte delle coscienze. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2019. Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, comincia a mostrare alcune crepe.Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. Avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un Cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe. Una presidenza del Consiglio e altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera Grillo ormai ridotta al silenzio. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2019.Ora queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico Cinquestelle, convivono con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero, preparando la stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si porrà come nuova destra egoica e conservatrice, e il M5S come nuova sinistra fintamente progressista. Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici, pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea è ormai entrato in una fase di crisi: il vento del divide et impera, sulla spinta della Brexit, delle proteste di piazza francesi, delle spinte leghiste, pentastellate, ungheresi, austriache, polacche, soffia forte sulle strutture europee, accompagnato dalle spaccature create dalla artificiosa e forzata emergenza immigratoria. Tutto ciò avrà un peso nelle elezioni per il Parlamento Europeo del 2019, e da queste potrebbe emergere un nuovo equilibrio delle strutture europee.Un cambiamento possibile perché nulla cambi, in fondo, nella tenuta dei grandi poteri dietro le quinte, sul modello di quanto sta gattopardescamente avvenendo in Italia. Come già detto lo scorso anno, le forze mondialiste cercheranno in ogni modo di sfruttare anche questa crisi per creare ulteriori emergenze e ricompattarci sotto ulteriori perdite di sovranità. Ma non è detto riescano. Dipenderà molto dal grado di risveglio dell’opinione pubblica. I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie. Mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente, e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture, e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo. Mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente.Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente il disastro creato dai loro stessi strumenti per evidenziare l’emergenza climatica e spingere il mondo a creare nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento dell’emergenza ambientale). L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Prepariamoci a una lotta dura e intensa, nella quale avremo l’appoggio del Cielo. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel 2019, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta.Anche nel 2019 ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori. Faranno tutto questo, come nel 2018 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima volta nella storia umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della natura, gli animali e gli altri esseri umani, quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un terzo dell’umanità – cominci a pensare che non siamo venuti qui per predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la natura e volendo l’uno il bene dell’altro. Cominciando finalmente ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Ecco, anche nel 2019 grandi e oscuri poteri di manipolazione cercheranno di bloccare o rallentare questa rivoluzione delle coscienze, il cui effetto sarà un giorno la liberazione dell’umanità proprio da quei poteri.(Fausto Carotenuto, estratto da “Come sarà il 2019?”, post pubblicato su “Coscienze in Rete” il 29 dicembre 2018. Già analista geopolitico dell’intelligence Nato, Carotenuto è approdato a una visione spiritualistica del mondo, condensata nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”, pubblicato da UnoEditori. Carotenuto considera i gesuiti come il vertice della piramide vaticana, e giudica altrettanto negativamente la massoneria nel suo complesso, in quanto organismo di ispirazione mondialista, a suo parere interamente funzionale a un disegno di dominio).Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia, create per condizionarci, assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti: l’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi, l’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan». Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017 e nel 2018. E certamente continuerà in questo modo nel 2019, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2019. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…
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Jfk, Luna e 11 Settembre: ci prendono in giro da 50 anni
Quali sono per me i tre argomenti di controinformazione più importanti, di cui occuparsi? Be’, per me il più importante in assoluto è stato l’11 Settembre. Ci ho dedicato praticamente dieci anni di lavoro: per dieci anni ho studiato solo quello. Ho fatto tre film, su quell’argomento. Ho cominciato nel 2006, a cinque anni dall’evento, e l’ultimo lavoro l’ho fatto nel 2013, quindi dopo 12 anni; per cui sicuramente l’11 Settembre è l’argomento più importante, semplicemente perché determina il modo in cui viviamo oggi. Non c’è evento al mondo, nella geopolitica e anche nel privato personale (che ci riguardi tutti direttamente) che non abbia in qualche modo che fare con la bugia dell’11 Settembre. Quindi per questo lo ritengo l’evento più importante (almeno per noi per noi ci viviamo, in questo periodo storico). Poi, allargando un po’ la visione, c’è l’omicidio Kennedy. Secondo me è il prototipo della bugia universale Cioè: è la prima volta, nella storia – e siamo nel ‘63 – che la bugia viene diffusa a livello universale. Viene “comprata” immediatamente, a occhi chiusi, da tutti i media occidentali. E nessuno la mette in discussione – se non vent’anni dopo, perché arrivano i ricercatori. Ma per tutti i telegiornali del mondo, subito e per sempre, è stato Oswald a uccidere Jfk.E quella è stata la prima volta, storicamente, che la bugia si è diffusa contemporaneamente in tutto il mondo con una sola voce, quella della versione governativa americana. Direi che è stato il primo caso, quindi è importante per questo. Poi c’è quello degli allunaggi, dove ovviamente la presa per il culo è globale: perché se tu provi solo a ipotizzare che già allora, nel ‘69, c’erano mezzo miliardo di persone al mondo, incollate al televisore, che guardavano ’sta roba – convinte di vedere della gente sulla Luna – scopri che è la prima volta che viene testato e collaudato il meccanismo di inganno in tempo reale. Cioè: io ti sto raccontando una fregnaccia e vedo (verifico) che tu ci stai cascando, ci state cascando in tutto il mondo (solo perché la fregnaccia te la faccio vedere in Tv. Io ti faccio vedere questi due pupazzi che si muovono e saltellano sullo sfondo nero, ti dico che sono sulla Luna e vedo che tu ci credi. Quindi ho la conferma di quale sia il potere mediatico della televisione, in quel momento. Omicidio Kenendy, allunaggi e 11 Settembre: impossibile fare una classifica di importanza, dato che ciascuno di questi eventi ha la sua importanza storica.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Mazzucco Live” del 5 gennaio 2019. Regista, documentarista e giornalista, Mazzucco ha firmato documentari come “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, che demoliscono la versione ufficiale sull’11 Settembre, secondo cui le Twin Towers sarebbero crollate a causa dell’impatto degli aerei che le hanno colpite. Nel documentario “L’altra Dallas”, Mazzucco dimostra che non fu Sirhan B. Sirhan ad assassinare il fratello di Jfk, Robert Kennedy, candidato alla Casa Bianca. E nell’ultimo audiovisivo prodotto, “American Moon”, sempre Mazzucco – sulla scorta delle analisi fornite dai maggiori fotografi internazionali – documenta come le immagini dello storico allunaggio del 1969 non siano affatto state realizzate sulla Luna, ma in studi cinematografici o in teatri di posa).Quali sono per me i tre argomenti di controinformazione più importanti, di cui occuparsi? Be’, per me il più importante in assoluto è stato l’11 Settembre. Ci ho dedicato praticamente dieci anni di lavoro: per dieci anni ho studiato solo quello. Ho fatto tre film, su quell’argomento. Ho cominciato nel 2006, a cinque anni dall’evento, e l’ultimo lavoro l’ho fatto nel 2013, quindi dopo 12 anni; per cui sicuramente l’11 Settembre è l’argomento più importante, semplicemente perché determina il modo in cui viviamo oggi. Non c’è evento al mondo, nella geopolitica e anche nel privato personale (che ci riguardi tutti direttamente) che non abbia in qualche modo che fare con la bugia dell’11 Settembre. Quindi per questo lo ritengo l’evento più importante (almeno per noi per noi ci viviamo, in questo periodo storico). Poi, allargando un po’ la visione, c’è l’omicidio Kennedy. Secondo me è il prototipo della bugia universale Cioè: è la prima volta, nella storia – e siamo nel ‘63 – che la bugia viene diffusa a livello universale. Viene “comprata” immediatamente, a occhi chiusi, da tutti i media occidentali. E nessuno la mette in discussione – se non vent’anni dopo, perché arrivano i ricercatori. Ma per tutti i telegiornali del mondo, subito e per sempre, è stato Oswald a uccidere Jfk.