Archivio del Tag ‘futuro’
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Ceronetti: delusione Obama, utile idiota degli Illuminati?
Su “Repubblica” del 23 aprile scorso era riportato, da “Le Monde”, un articolo, firmato da Elisa Mignot, sulla manipolazione mentale dei giovani (liceali dei sobborghi, la Rete come oracolo, un po’ di Dan Brown), mediante influenze indotte subliminalmente, attraverso cui un complotto di occultisti col nome tradizionale di Illuminati manifesterebbe le proprie mire di dominio mondiale. Posso osservare che, in ogni punto, la Rete non è innocua. L’ago magnetico è fisso sulla stella del Male, per quanto il bene più rassicurante possa fluirne a vagonate; resta infallibile la parola di McLuhan: «Il mezzo è il messaggio». E la manipolazione per squilibrare la mente e ridurre all’impotenza la ragione è in atto dappertutto, anche nel più banale buonsensismo di Pensiero Unico-spray. Illuminati autentici non pensano a dominare il mondo, ma a redimerlo, e per quanto gli è concesso a salvarlo. Uno dei più comuni esempi di manipolazione falsificatrice è il linguaggio delle cifre, la pseudoscienza statistica. Diffidate di tutto, ragazzi. Credete a Vincent Van Gogh, illuminato vero, dunque disperato.Messaggi criptici e subliminali non mancano nel repertorio Beatles. Che vorrà dire il cadenzato Sottomarino Giallo in cui «tutti viviamo »? Quei tutti sono i consumatori di Lsd in quegli anni? Nel celebre “White Album” c’è poesia pura accompagnata da incitamenti sottopelle al crimine e alla distruzione. Impressionanti in specie sono “Revolution Nine” e “Helter Skelter”, adottato dalla banda assassina di Charles Manson in vista delle sue stragi rituali del 1969, e quella bomba ritmica nessuno ha pensato a disinnescarla. In sottofondo, “Helter Skelter”, nelle successive stragi americane e del Nordeuropa, a chi ha orecchie che intendono, è udibile. Il meglio e il peggio della storia è lavoro di società segrete, e mi direi contento se potessi avere certezza che si tratti di emanazioni volontarie di un potere oscuro aldifuori di questo mondo, o da decreti immutabili. “Mi torco nel non-capisco” con un certo sollievo. Non immune da vizi gnostici, parlavo spesso, per spiegarmi gli enigmi più crudeli del mio secolo, di “attacco alla specie”. La formula mi pare tuttora validissima, però inadatta agli orbi, amanti della facilità razionale.Illuminismo non è tanto una filosofia laicista quanto una via tracciata da Illuminati, che negli anni della rivoluzione americana punta al rovesciamento della più solida monarchia continentale in Europa. E sarà il momento unico, in Francia, che nel suo meraviglioso libro “Penser la Révolution française” (1978) lo storico concettualista François Furet definisce perfettamente: «L’aprirsi di una società a tutti i suoi possibili». Ma il rovescio religioso di questa definizione è: messianico. L’éra messianica, l’annuncio di una totale palingenesi, contenuti nell’illuminismo degli illuminati dei secoli moderni sta tra l’estate 1789 e la fine della monarchia di diritto divino nel 1792, come esattamente prevista nelle quartine di Nostradamus trecento anni prima. Bisognava vivere in quegli anni: saremmo stati infinitamente più vivi, anche abitando lontano da Parigi.Tuttora l’illuminatismo maligno si caratterizza nel visibile per un segno inequivocabile: l’antisemitismo (Dieudonné, l’idolo di giovani alfabetizzati esclusivamente dalla Rete; la Golden Dawn ellenica, che non casualmente porta lo stesso nome della società occultista di cui fece parte Aleister Crowley, la Bestia 666). Il volo di Rudolf Hess nell’Inghilterra in guerra e sotto attacco aereo non è tanto misterioso: era stato pianificato con Hitler, che simulò collera e sdegno, per agganciare le sette segrete collegate alla Thule Gesellaschaft, fondata in Baviera nel 1918, madre ideologica del partito nazionalsocialista, fino alla celebre coppia antisemita e pro nazista dei duchi di Windsor, che di amici della stessa risma dovevano averne a iosa. Di cripto-antisemiti, per opportunità politica, siano o no affiliati a una setta, non manchiamo neppure nell’Italia di oggi. Diciamo che non poche forme di persuasione attossicata confluiscono nei messaggi, aperti o subliminali, della Rete.Sono perplesso di fronte a un presidente alonato d’ombra come Barack Obama. Un generale sogno ne avvolse gli inizi: non ne resta nulla; l’America, come necessità di presenza nel mondo, appare nei due mandati di Obama più in ritirata che nella stoica partenza dell’ambasciatore da Saigon. Brutto segno: non ne vengono che notizie di buona salute economica, sufficienti ad appagare gli stolti. Ma il nerbo, il Danda, dov’è? E ne viene la domanda: lasciando di fatto indebolirsi la presenza americana, che cos’altro ha in mente, di più importante, o più alto, o più pericoloso, il presidente Obama? Forse, un poco rassicurante Ordine Mondiale, controllato da Illuminati tenebrosetti che lo considerano uno dei loro, ma utile idiota nello stesso tempo?Qui non posso che rimandare qualche incuriosito al libro-inchiesta della giornalista Enrica Perucchietti, “L’altra faccia di Obama” (Uno Editori, 2011) visto come partecipe attivo dei piani di controllo totale della Cia (sono recenti le proteste europee e le scuse del mandante) e Illuminato di loggia potente in subordine. Saranno Illuminati di questo tipo quelli di cui si sentono e temono vittorie gli studenti francesi? Ma allora non sarebbero Loro i dominatori occulti di tutto quanto circola attraverso la Rete? Questo mi pare credibile. Il futuro ci dirà di più, se avrà voglia di scivolare fuori per un poco dall’eccesso di menzogne che sta soffocando tutto. Per Illuminati buoni, anche modesti, reclutamento aperto.(Guido Ceronetti, “Illuminati di tutta la Rete unitevi”, da “La Repubblica” del 30 aprile 2014).Su “Repubblica” del 23 aprile scorso era riportato, da “Le Monde”, un articolo, firmato da Elisa Mignot, sulla manipolazione mentale dei giovani (liceali dei sobborghi, la Rete come oracolo, un po’ di Dan Brown), mediante influenze indotte subliminalmente, attraverso cui un complotto di occultisti col nome tradizionale di Illuminati manifesterebbe le proprie mire di dominio mondiale. Posso osservare che, in ogni punto, la Rete non è innocua. L’ago magnetico è fisso sulla stella del Male, per quanto il bene più rassicurante possa fluirne a vagonate; resta infallibile la parola di McLuhan: «Il mezzo è il messaggio». E la manipolazione per squilibrare la mente e ridurre all’impotenza la ragione è in atto dappertutto, anche nel più banale buonsensismo di Pensiero Unico-spray. Illuminati autentici non pensano a dominare il mondo, ma a redimerlo, e per quanto gli è concesso a salvarlo. Uno dei più comuni esempi di manipolazione falsificatrice è il linguaggio delle cifre, la pseudoscienza statistica. Diffidate di tutto, ragazzi. Credete a Vincent Van Gogh, illuminato vero, dunque disperato.
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Nessuno affronta davvero la crisi, così gli elettori non votano
Fino a ieri, la maggioranza votava per il meno peggio. Oggi, in assenza di vere alternative ai gestori della crisi, l’elettore medio non se la sente più di rassegnarsi all’impossibilità di soluzioni: quasi un cittadino su due, infatti, preferisce restare a casa piuttosto che accordare ancora una volta – a candidati deludenti – la solita mezza fiducia, concessa con estrema riluttanza. E’ il dato forse più sostanziale che emerge dalla tornata amministrativa del 5 giugno 2016, tra l’atteso successo dei 5 Stelle a Roma, il pareggio Sala-Parisi a Milano, la riconferma di De Magistris a Napoli, l’erosione del consenso di Fassino a Torino. La partita è gigantesca e si chiama crisi. Il primo orizzonte a oscurarsi è quello nazionale, precariamente presidiato da Matteo Renzi, ma in realtà lo spettacolo va in onda in mondovisione tra l’Europa del Brexit, il martirio a rate della Grecia, la guerra in Siria, i profughi, la devastazione economica indotta dal regime di austerity varato dall’Unione Europea attraverso l’Eurozona e le sue politiche volutamente recessive, a partire dalla prescrizione suicida del pareggio di bilancio.Nessuno, tra i principali candidati italiani delle amministrative, ha declinato in modo chiaro, a livello locale, l’opprimente quadro sovranazionale, da cui dipende anche la sofferenza quotidiana dei Comuni, a prescindere dal colore politico dei suoi amministratori di turno. Si preferisce affidarsi a storie più comode da raccontare, operazioni-trasparenza contro piccole cupole di potere, l’orgoglio degli sfidanti, la freschezza dei più giovani, l’entusiasmo degli esordienti contro il cinismo dei reggenti di lungo corso. Nulla, comunque, che abbia un’attinenza diretta e frontale col nocciolo del problema: e cioè la revoca – storica – di sovranità democratica, che condanna anche gli enti locali a fare i conti col poco che resta, tagliando servizi e spremendo i contribuenti a suon di imposte. Era il tema attorno a cui il “Movimento Roosevelt” creato da Gioele Magaldi aveva provato a lanciare, per Roma, la candidatura rivoluzionaria di un economista prestigioso ed “eretico” come il keynesiano Nino Galloni. Tesi: impossibile governare una città col vincolo del 3% sulla spesa, impossibile investire sul futuro e sul benessere collettivo se prima non si respingono al mittente tutti i diktat dell’Ue che, a cascata, dal governo centrale ricadono sui Comuni.Lo scenario post-elettorale resta dunque intermedio e transitorio, anche a prescindere dai ballottaggi: neppure dagli “spareggi”, infatti, potrà scaturire un’opzione alternativa di politica economica. In generale, si osserva un lento declino del gruppo oggi al potere – rappresentato dal Pd – che sconta le inevitabili difficoltà di un governo allineato a Bruxelles, cioè a Berlino. A Roma, a sparigliare le carte è ovviamente l’eredità del caso-Marino, in una città che comunque aveva vissuto una sostanziale alternanza, da Veltroni ad Alemanno – così come Milano, passata dalla Moratti a Pisapia. Torino resta un caso diverso, forse più interessante, perché dall’avvento del gruppo post-Pci, guidato da Castellani e poi Chiamparino, l’ex città Fiat era sempre rimasta compatta attorno alla sua compagine di potere, fino ad accettare un candidato come Fassino, proveniente dalla preistoria della Prima Repubblica. Ancora oggi Fassino arriva primo, ma – questa la novità – dovrà affrontare i rischi del ballottaggio. Non che la sfidante grillina intavoli un’alternativa strutturale, naturalmente: ancora una volta, il sistema euro-catastrofico non è in discussione. In compenso, si sgretola il fronte dei supremi guardiani di quel sistema, la ex sinistra cooptata dai super-poteri europei per far digerire agli italiani la grande crisi in programma, la fine dei diritti sociali, la disoccupazione come nuova normalità. Quel sistema sta franando, e lo dimostra la vastissima diserzione delle urne. Ma nessuna vera alternativa è ancora in campo.Fino a ieri, la maggioranza votava per il meno peggio. Oggi, in assenza di vere alternative ai gestori della crisi, l’elettore medio non se la sente più di rassegnarsi all’impossibilità di soluzioni: quasi un cittadino su due, infatti, preferisce restare a casa piuttosto che accordare ancora una volta – a candidati deludenti – la solita mezza fiducia, concessa con estrema riluttanza. E’ il dato forse più sostanziale che emerge dalla tornata amministrativa del 5 giugno 2016, tra l’atteso successo dei 5 Stelle a Roma, il pareggio Sala-Parisi a Milano, la riconferma di De Magistris a Napoli, l’erosione del consenso di Fassino a Torino. La partita è gigantesca e si chiama crisi. Il primo orizzonte a oscurarsi è quello nazionale, precariamente presidiato da Matteo Renzi, ma in realtà lo spettacolo va in onda in mondovisione tra l’Europa del Brexit, il martirio a rate della Grecia, la guerra in Siria, i profughi, la devastazione economica indotta dal regime di austerity varato dall’Unione Europea attraverso l’Eurozona e le sue politiche volutamente recessive, a partire dalla prescrizione suicida del pareggio di bilancio.
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Operai licenziati, meglio i robot: la Foxconn fa da apripista
La Foxconn, azienda taiwanese che produce la metà delle componenti dei dispositivi elettronici di consumo venduti nel mondo, ha ridotto la propria forza lavoro, grazie all’introduzione dei robot che sostituiscono gli operai. Un taglio drammatico: da 110.000 ad appena 50.000 operatori. Niente da dire: «Un successo nella riduzione del costo del lavoro». Fino a dieci anni fa, scrive “Contropiano”, per capire dove stava andando il capitalismo occorreva guardare agli Stati Uniti. Ora invece fa testo la Cina, divenuta “la manifattura del mondo” grazie a un costo del lavoro che 40 anni fa era ai minimi mondiali. Altri punti di forza: la concentrazione politica del potere (il sindacato assorbito dal partito unico) e l’apertura agli investimenti stranieri, in cambio della condivisione del know how. Centinaia di milioni di persone avevano così «smesso di essere contadini in esubero per trasformarsi in operai industriali, assicurando un tasso di crescita del Pil superiore al 10% per oltre venti anni e facendo conquistare al paese il ruolo di seconda potenza industriale del pianeta». Ma la musica sta cambiando: «Ogni favola ha una fine, anche e soprattutto quelle capitalistiche».La Foxconn, aggiunge “Contropiano”, era anche conosciuta per l’alto tasso di suicidi tra i suoi lavoratori, schiacciati da ritmi infernali. «Ma i robot fanno meglio, più velocemente, senza soste fisiologiche, 24 ore su 24. Non si lamentano, non pretendono adeguamenti salariali, non si ammalano, non scioperano mai e non rischiano di farlo in futuro. Al massimo si rompono e vanno aggiustati». Ed è solo l’inizio: «Decine di altre aziende operanti in Cina stanno per fare lo stesso, magari su scala dimensionale anche superiore al 50% del personale». L’automazione sta conquistando tutte le fabbriche del pianeta. E i “futurologi” «stanno già sfornando elenchi di mansioni lavorative a rischio scomparsa», con «percentuali da capogiro nella sostituzione di uomini e donne con macchine». Attenzione: tutto ciò che è seriale può esser fatto meglio, «non c’è impiegato “di concetto” che possa sentirsi al sicuro: solo le professioni “creative” possono – entro certi limiti, comunque – essere risparmiate da questa corsa alla robotizzazione».La “quarta rivoluzione industriale”, aggiunge “Contropiano”, ha per orizzonte la produzione senza lavoro umano, o quasi: «Resteranno, seppur molto più limitate, solo le attività di installazione, manutenzione e programmazione dei robot». E quindi, «miliardi di esseri umani non avranno più un’occupazione, né potranno riciclarsi in altre attività in espansione, perché non avranno le cognizioni di base per fare il salto da una all’altra». Facile da capire: «Un tecnico, per quanto bravissimo, non può diventare un ingegnere informatico o elettromeccanico. Se perde il lavoro, mettiamo, intorno a 40 anni, con famiglia e figli a carico, non può tornare all’università per i cinque sei anni necessari a fare l’upgrade delle sue conoscenze. In ogni caso, serviranno assai meno ingegneri di quanti tecnici si troveranno a spasso». Idem per la sicurezza: «I poliziotti “indispensabili” saranno solo quelli necessari per le scorte e il controllo delle manifestazioni di piazza, oltre a informatici e analisti video». Conclusione: «La domanda, epocale, è persino disperatamente semplice. Che fine faranno quei miliardi di esseri umani senza possibilità di guadagnarsi da vivere vendendo la propria forza lavoro?».La Foxconn, azienda taiwanese che produce la metà delle componenti dei dispositivi elettronici di consumo venduti nel mondo, ha ridotto la propria forza lavoro, grazie all’introduzione dei robot che sostituiscono gli operai. Un taglio drammatico: da 110.000 ad appena 50.000 operatori. Niente da dire: «Un successo nella riduzione del costo del lavoro». Fino a dieci anni fa, scrive “Contropiano”, per capire dove stava andando il capitalismo occorreva guardare agli Stati Uniti. Ora invece fa testo la Cina, divenuta “la manifattura del mondo” grazie a un costo del lavoro che 40 anni fa era ai minimi mondiali. Altri punti di forza: la concentrazione politica del potere (il sindacato assorbito dal partito unico) e l’apertura agli investimenti stranieri, in cambio della condivisione del know how. Centinaia di milioni di persone avevano così «smesso di essere contadini in esubero per trasformarsi in operai industriali, assicurando un tasso di crescita del Pil superiore al 10% per oltre venti anni e facendo conquistare al paese il ruolo di seconda potenza industriale del pianeta». Ma la musica sta cambiando: «Ogni favola ha una fine, anche e soprattutto quelle capitalistiche».
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Il volo del pellicano, i Rosacroce sono ancora tra noi?
Tutto comincia con un certo Melchisedek, il biblico “re di giustizia” che ha la facoltà di autorizzare Abramo ad esercitare il potere terreno sul suo popolo. Figura estramamente misteriosa, Melchisedek: secondo la recentissima decrittazione di Mauro Biglino, nientemeno che un Elohim, come lo stesso Yahwè; per l’interpretazione esoterico-simbolica, invece, era una personalità “a diretto contatto col divino”, emblema vivente della perduta regalità, fondata su una speciale conoscenza gelosamente custodita, nei millenni, dalla cosiddetta Radix Davidis, la Stirpe di Giuda il cui destino è prefigurato nella pagina della Genesi su cui, ancora oggi, giurano i presidenti degli Stati Uniti. Dall’evangelico Giuseppe d’Arimatea fino al genio visionario di Salvador Dalì, passando per Alarico il re dei Goti, Dante Alighieri e Giordano Bruno, Bach e Cartesio, Leonardo e Giorgione. Una “confraternita del sapere”, che si sarebbe poi chiamata – anche – Rosacroce, nome col quale, all’inizio del ‘600, firmò un manifesto che chiedeva l’abolizione della proprietà privata e dei confini tra le nazioni.Melchisedek è anche il nome dell’editore che oggi ripubblica l’originalissimo romanzo che Gianfranco Carpeoro, ex avvocato e giornalista, già “sovrano gran maestro” della massoneria indipendente di rito scozzese, nonché appassionato studioso di linguaggi simbolici, ha dedicato al mistero dei Rosacroce, “Il volo del pellicano”. Molti simboli rappresentano la porta di un mondo che ci sfugge, al quale abbiamo accesso soltanto nella dimensione del sogno, che però – ha sostenuto l’autore in una recente presentazione milanese – al nostro risveglio non possiamo ricordare, perché ci manca il linguaggio adatto, dal momento che il sogno è il reame degli archetipi. L’archetipo rivive proprio nel simbolo, un’astrazione concepita per veicolare un messaggio attraverso i secoli. E noi, frastornati dal pensiero magico-manipolatorio del potere (religione, economia, politica), in realtà siamo circondati da simboli che ci “parlano”, se solo li sapessimo “leggere”. E’ quello che scopre Giulio Cortesi, il protagonista de “Il volo del pellicano”, uccello-simbolo della militanza rosacrociana, richiamato anche in una delle ultime apparizioni pubbliche di una rockstar come Freddy Mercury, leader dei Queen.Il libro di Carpeoro è un avvincente thriller alchemico-esoterico che si svolge su due livelli, due binari separati che corrono parallelamente alla verità di un mondo che è davanti ai nostri occhi, a patto che ci decidiamo ad accorgercene. Vi inciampa il grafico quarantenne Cortesi, disoccupato e con la passione per la cucina: sospettato di omicidio, si trova per caso coinvolto in un’insolita ricerca, un’avventura intellettuale tra antichi simboli e opere d’arte, che lo porterà a scoprire i segreti dei Rosacroce, gli iniziati alla fratellanza, attraverso i personaggi storici che, nei secoli, hanno costruito il destino della Stirpe di David, scrive lo stesso Carpeoro sul suo sito. Punto di partenza, l’opera di Giorgione: quale segreto si nasconde dietro la vera identità del grande pittore, la sua breve esistenza e le sue opere misteriose? E poi Giordano Bruno: cosa lo spinge a Wittenberg qualche anno prima della sua morte? E quale incontro, ad Ulm, cambierà la vita del filosofo e matematico Cartesio? E ancora: perché il protestante Silesio andò a Padova, prima di convertirsi al cattolicesimo, e cosa lo collega alle terzine del Pellegrino Cherubico e ai quadri di Giorgione?Lo stesso pittore è stranamente collegato anche al principe Sangro di Sansevero; a proposito: chi fu veramente Cagliostro? E che mistero si cela dietro la storia della famiglia Bach? E ancora: dove finirono le spoglie di Mozart? Gli enigmi si prolungano fino al ‘900, intrecciando indizi che coinvolgono il musicista Eric Satie, il “vate” Gabriele D’Annunzio, il francese Jean Coucteau e lo stesso Dalì, ultimo “Ormùs” (gran maestro) della segretissima confraternita, che prima di morire pare abbia trasmesso un fondamentale segreto: a chi? Tessere di un mosaico, verso il quale Cortesi viene guidato da svariate figure, tra cui un paio di professori torinesi, che lo spingono alla scoperta delle opere di Giordano Bruno e fra’ Luca Pacioli, il precettore di Leonardo, e poi Ruggero Bacone, Raimondo Lullo, lo stesso Cagliostro. Giulio Cortesi fa amicizia con altri due personaggi singolari: l’anziano architetto Quinto Ammonio Solfo, membro di una loggia massonica e raffinato intellettuale, e fra’ Tommasino di Chiaravalle, al secolo Tommaso Sale, un anziano mistico. «Entrambi – racconta Carpeoro – daranno a Giulio utilissime indicazioni sulla pista da seguire per addentrarsi nei misteri dei Rosa+Croce».Altri indizi gli vengono forniti in sogno da Cecilia, la fanciulla amata dal Giorgione, morta di peste a Venezia nel 1511. «A questo punto il protagonista ha varcato la soglia di un mondo che non conosceva, è proiettato in una dimensione spirituale che lo porta a una comprensione diversa e più profonda della realtà». Chiarito l’arcano dell’omicidio, Giulio proseguirà nelle sue ricerche e arriverà alla conclusione che anche Giorgione aveva appartenuto alla fratellanza dei Rosacroce. Studiando le opere di iniziati e maestri, «emergerà la verità sulla stirpe di David e sulla discendenza della famiglia in cui nacque Cristo». Giulio Cortesi scoprirà che la confraternita fondata dall’apostolo Giacomo (e da Giuseppe d’Arimatea) ha lo scopo di «conservare e diffondere il Sang Real, la stirpe di David, dalla tribù di Giuda, e accogliere anche tutti gli eletti, uomini e donne d’ogni censo e razza, che pur non avendo legami di sangue con la stirpe reale, sono stati e saranno iniziati per tramandare di maestro in maestro l’antica conoscenza».«Tutti gli interrogativi posti potrebbero trovare una risposta tra le righe del romanzo», scrive Carpeoro. «Ricomponendo le tesserine del mosaico si potrebbe trovare l’origine biblica dei Rosa+Croce della nostra bandiera tricolore o, analogamente, degli Stati Uniti d’America». Alcune risposte, però, «sono scritte con l’inchiostro simpatico», e quindi «solo il calore della grande passione per il simbolismo le farà magicamente apparire». E il finale è a sorpresa: sarà la persona più insospettabile a portare Giulio a conoscere una nobildonna austriaca, astrologa e seguace di Rudolf Steiner, che passerà le consegne della confraternita. «L’incontro con l’anziana astrologa condurrà Giulio a conoscere il nome degli ultimi due maestri Rosa+Croce ancora in vita, e lo lascerà con un interrogativo: ci sarà in futuro ancora qualcuno che possa divenire un maestro?». Ovvero, a tramandare la “segreta conoscenza” custodita nei millenni, le cui prime tracce risalgono al racconto biblico di Melchisedek?(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Il volo del pellicano”, Melchisedek editore, 512 pagine, 26 euro – 22,10 su Macrolibrarsi).Vuoi vedere che gli antichi la sapevano molto più lunga di noi, riguardo ai misteri dell’universo? «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia», fa dire Shakespeare in “Amleto”. Già, Shakespeare: un inglese ben strano, così addentro alle cose italiane da ambientare alla perfezione, nel Belpaese, i suoi maggiori capolavori, da “Romeo e Giulietta” al “Mercante di Venezia”. Ci sfugge qualcosa, sull’identità del “vero” Shakespeare? Proprio l’Italia del Rinascimento, infatti, fu la culla di grandi artisti che utilizzarono letteratura e pittura per veicolare messaggi segreti attraverso codici cifrati. Un antico sapere, risalente alla notte dei tempi. Tutto comincia migliaia di anni prima con un certo Melchisedek, il biblico “re di giustizia” che ha la facoltà di autorizzare Abramo ad esercitare il potere terreno sul suo popolo. Secondo Mauro Biglino, Melchisedek era un Elohim, come lo stesso Yahwè; per l’interpretazione esoterico-simbolica, invece, era una personalità “a diretto contatto col divino”, emblema vivente della perduta regalità, fondata su una speciale conoscenza gelosamente custodita, nei millenni, dalla cosiddetta Radix Davidis, la Stirpe di Giuda il cui destino è prefigurato nella pagina della Genesi su cui, ancora oggi, giurano i presidenti degli Stati Uniti.
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Il capo è nervoso: sa che ormai tutti cercano un sostituto
Attenti, il “capo” è nervoso: sa perfettamente che, se è ancora al suo posto, è solo perché nessun altro è ancora pronto a sostituirlo. Ma la voglia di rottamarlo sta crescendo velocemente. Lo scrive Sergio Cararo su “Contropiano”: che Matteo Renzi sia diventato molto nervoso lo testimoniano «la quantità di contestazioni (e di manganellate della polizia) che lo inseguono ovunque vada». E’ nervoso, il boss del Pd, «perché sa di aver fatto parecchio del lavoro sporco che gli era stato richiesto contro lavoratori, pensionati, risparmiatori». La famigerata lettera della Bce firmata da Draghi e Trichet il 5 agosto del 2011? E’ stata applicata, appunto, “alla lettera”. Eppure, i suoi “mandanti” non sono ancora contenti. Non lo è l’Unione Europea, «che mal sopporta le sue rodomontate così come non sopportava le stramberie di Berlusconi». E non lo è Confindustria, «oggi pesantemente ipotecata dalle aziende di cui il governo è azionista». Gli industriali vogliono «rendere strutturali e non congiunturali gli sgravi contributivi», con «mano libera alle imprese nel licenziare o assumere con salari da fame».Non è contento di Renzi neppure un potere forte come la magistratura, che «mostra forti segni di fastidio verso un premier che, come Berlusconi, ritiene che la legalità vada bene per tutti tranne che per i suoi uomini e donne ripetutamente beccati con le mani nella marmellata». Renzi è contrariato: «Gli indicatori economici sull’andamento della recessione smentiscono ogni sua fanfaronata sulla disoccupazione, i redditi, i consumi, il risparmio, la fiducia sul futuro», continua Cararo. L’unica carta su cui può ancora contare il capo del Pd? Non ci sono alternative, al momento: «Le classi dominanti non hanno ancora trovato un “leader” di ricambio con cui sostituirlo senza ricorrere alle elezioni», esattamente come venne fatto con Berlusconi (piazzando Monti a Palazzo Chigi) o con «il povero Letta», messo alla porta dall’ambizioso fiorentino. Renzi può anche mascherare il suo nervosismo «ricorrendo a Tweet sferzanti e a interviste televisive con giornalisti in ginocchio», ma è talmente inquieto che «ha anticipato di mesi le nomine ai vertici di polizia, servizi segreti, guardia di finanza, per cercare di legare a sé gli apparati coercitivi dello Stato che gli stanno salvando il culo dalle contestazioni nella strade e nelle città italiane». Come contropartita, aggiunge “Contropiano”, hanno però preteso che Carrai, l’amico di Renzi, venisse tenuto fuori dai servizi di sicurezza.La verità è sotto gli occhi di tutti: un cittadino su tre è andato a votare al referendum contro le trivelle, anche se il premier gli aveva “consigliato” di stare a casa. E l’aria che tira per le elezioni comunali nella grandi città vede i suoi candidati in serissima difficoltà. In più, «ogni volta che annuncia che andrà a casa, se perde», come nel caso del prossimo referendum sulle controriforme costituzionali, «non c’è nessuno che cerchi di dissuaderlo». Bella occasione, quella di ottobre, per mandarlo a casa davvero: «Le tensioni con Confindustria, magistratura e Unione Europea si stanno accumulando pericolosamente», ma un’altra “deposizione” come quella di Berlusconi non passerebbe facilmente. Quello di ottobre, insiste Cararo, sarà un referendum decisivo: non solo per impedire che la Costituzione diventi carta straccia, «ma per dare una spallata ad un capo nervoso e pericoloso». Chi auspica di “spacchettare” i quesiti, per votare in modo differenziato, non comprende la portata epocale della sfida: «Lo scontro sul referendum di ottobre è uno spartiacque: o con Renzi (e la Troika) o con la democrazia».Attenti, il “capo” è nervoso: sa perfettamente che, se è ancora al suo posto, è solo perché nessun altro è ancora pronto a sostituirlo. Ma la voglia di rottamarlo sta crescendo velocemente. Lo scrive Sergio Cararo su “Contropiano”: che Matteo Renzi sia diventato molto nervoso lo testimoniano «la quantità di contestazioni (e di manganellate della polizia) che lo inseguono ovunque vada». E’ nervoso, il boss del Pd, «perché sa di aver fatto parecchio del lavoro sporco che gli era stato richiesto contro lavoratori, pensionati, risparmiatori». La famigerata lettera della Bce firmata da Draghi e Trichet il 5 agosto del 2011? E’ stata applicata, appunto, “alla lettera”. Eppure, i suoi “mandanti” non sono ancora contenti. Non lo è l’Unione Europea, «che mal sopporta le sue rodomontate così come non sopportava le stramberie di Berlusconi». E non lo è Confindustria, «oggi pesantemente ipotecata dalle aziende di cui il governo è azionista». Gli industriali vogliono «rendere strutturali e non congiunturali gli sgravi contributivi», con «mano libera alle imprese nel licenziare o assumere con salari da fame».
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Auto elettrica, il boom Tesla beffa il “profeta” Marchionne
Prima ti ignorano, poi ti irridono, poi ti combattono. Poi hai vinto. Il vincitore si chiama Nikola Tesla, geniale scienziato di origine serba. Ma anche Elon Musk, Ceo della statunitense Tesla Motors, produttrice della più rivoluzionaria auto elettrica esistente sul pianeta, emissioni zero e 500 chilometri di autonomia. Il grande sconfitto? Sergio Marchionne. Lo afferma Pietro Cambi, ripercorrendo le “profezie” del boss di Fiat-Chrysler riguardo all’auto del futuro. Una storia che ripropone la nota parabola gandhiana: prima di trionfare, ogni grande innovatore viene inizialmente ignorato, poi canzonato, quindi osteggiato. E dire che Marchionne era stato messo sulla giusta strada persino da un parlamentare Pd, Andrea Lulli, che chiese investimenti per 100 milioni di euro sulla promozione dei veicoli a impatto zero. «Marchionne fece quello che per lui doveva essere un enorme sacrificio: si mise la cravatta. E andò alla Camera a spiegare che il suo piano industriale escludeva i veicoli elettrici». Il confronto con Tesla, per quanto riguarda dedizione e capacità di analisi del futuro, è illuminante, scrive Cambi: «Serve a far comprendere la cecità e ottusità di un management che sta cancellando, è inesorabile, la presenza italiana nel mercato dell’auto».Nel 2010, ricorda Cambi su “Crisis, what crisis”, in Italia sono sono state vendute le prime 50 Tesla “Roadster”. Marchionne: «Gli esperti internazionali concordano sul fatto che la quota di vetture elettriche non potrà superare il 5% del totale neppure tra dieci anni». Motivo: prezzi ancora troppo alti, per via dei bassi numeri di produzione e del costo della batteria. E 12 mesi dopo: «L’anno prossimo lanceremo la 500 elettrica sul mercato americano e perderemo 10.000 dollari ogni auto prodotta e venduta lì. Figuratevi se dovessimo esportarla verso l’Europa», dove – a differenza degli Usa – non esistono incentivi per lo sviluppo di veicoli a emissioni zero. E ancora: «Il costo della tecnologia è altissimo, è inutile illuderci che salvi il mercato dell’auto». Sempre nel 2012: «Si tratta di una tecnologia che non è alla portata delle tasche normali, è una mobilità poco sostenibile in termini di diffusione di massa. Non sto dicendo che sia una tecnologia da abbandonare, tutt’altro, ma indirizzare tutto lo sforzo normativo per promuovere questo tipo di trazione porterebbe solo ad un aumento di costi senza nessun beneficio immediato e concreto. Sembra più saggio concentrarsi su motori tradizionali e carburanti alternativi».Intanto, nel gennaio 2013, sbarca anche in Italia la Tesla “Model S”. Marchionne: «Non sto dicendo che l’auto elettrica sia un progetto da non considerare, in Fiat ci stiamo lavorando seriamente con Chrysler che ha sviluppato grandi competenze. Ma è bene sapere che per ogni 500 elettrica venduta perderemo circa 10.000 dollari, un affare al limite del masochismo». Un anno dopo, nel gennaio 2014, le Tesla vendute in Italia salgono a quota 22.000. In un convegno negli Usa, Marchionne insiste sulla sua tesi. E aggiorna il costo dell’operazione per la 500 elettrica: non ci rimette più solo 10.000 dollari a veicolo, ma 14.000. Poi, finalmente, nel 2015 la diga comincia a vacillare: «Sono rimasto incredibilmente impressionato da quello che è riuscito a fare quel ragazzo», ammette Marchionne, parlando di Elon Musk e della sua Tesla. La frana, intanto, diventa un cataclisma: nel gennaio 2016, le Tesla vendute sono ormai oltre 55.000. Eppure, sull’auto elettrica Marchionne frena ancora: «Dateci tempo di dimostrare il nostro valore, ma quando sarà prodotta e sul mercato, non prima. La verità è che nessuno guadagna con le auto a zero emissioni. Nemmeno Elon Musk, che pure considero il guru del settore».Poi, nell’aprile 2016: «Non mi vergogno di dirlo: se Musk mi dimostrerà che l’auto può essere redditizia a quel prezzo», cioè 35.000 dollari, «copierò la formula, aggiungerò il design italiano e la porterò sul mercato entro un anno». Aggiunge Marchionne: «Le numerose prenotazioni non mi sorprendono, ma poi bisogna vendere le auto e guadagnare:meglio arrivare tardi che essere dispiaciuti». Davvero? Nello stesso mese – aprile 2016 – la nuovissima “Tesla 3” è accolta da qualcosa come 400.000 ordini. E’ un caso senza precedenti nella storia del marketing, osserva Cambi. Oggi, maggio 2016, finalmente Marchionne fa sapere che Fiat-Fca sta cercando un accordo con Google per sviluppare sistemi di guida autonoma, come i dispositivi anti-incidente già montati sulle auto di Elon Musk, che sono in grado di parcheggiare da sole, evitare ostacoli improvvisi, dribblare veicoli. «Non è il futuro. E’ presente. I proprietari di Tesla stanno utilizzando questa tecnologia ORA».Sintesi: «L’auto elettrica ha vinto, il suo Napoleone si chiama Tesla (perché i meriti vanno allargati all’azienda e non solo al suo fondatore)». E gli altri? Fiat, Bmw, Audi, Volkswagen, Volvo e General Motors «inseguono, senza grandi speranze». Attenzione: «La “guerra” continua e continuerà, vedrete, in modi sempre più feroci». Per intanto, vediamo di capirci, conclude Cambi: «Caro Marchionne: sono almeno sette anni che ci spieghi, con molta pazienza e altrettanta ottusa ostinazione, che le auto elettriche non hanno un futuro. Poi ti tocca ammettere, di fronte all’evidenza dei fatti, che questo futuro è qui, è qui per restare. E tu sei stato volutamente fermo, perdendo sette anni. Poi, senza alcun sprezzo del pericolo, immemore delle “proiezioni” sesquipedali di cui hai infarcito i tuoi comunicati per anni, mancandole tutte, dichiari che IN UN ANNO potresti fare una auto in grado di competere con una Tesla? In un anno? Quando da alcuni anni non riesci ad azzeccare un modello che è uno, nemmeno per sbaglio? Senso del pudore, mi pare evidente, non l’hai mai avuto. Senso del ridicolo? No, eh?».Prima ti ignorano, poi ti irridono, poi ti combattono. Poi hai vinto. Il vincitore si chiama Nikola Tesla, geniale scienziato di origine serba. Ma anche Elon Musk, Ceo della statunitense Tesla Motors, produttrice della più rivoluzionaria auto elettrica esistente sul pianeta, emissioni zero e 500 chilometri di autonomia. Il grande sconfitto? Sergio Marchionne. Lo afferma Pietro Cambi, ripercorrendo le “profezie” del boss di Fiat-Chrysler riguardo all’auto del futuro. Una storia che ripropone la nota parabola gandhiana: prima di trionfare, ogni grande innovatore viene inizialmente ignorato, poi canzonato, quindi osteggiato. E dire che Marchionne era stato messo sulla giusta strada persino da un parlamentare Pd, Andrea Lulli, che chiese investimenti per 100 milioni di euro sulla promozione dei veicoli a impatto zero. «Marchionne fece quello che per lui doveva essere un enorme sacrificio: si mise la cravatta. E andò alla Camera a spiegare che il suo piano industriale escludeva i veicoli elettrici». Il confronto con Tesla, per quanto riguarda dedizione e capacità di analisi del futuro, è illuminante, scrive Cambi: «Serve a far comprendere la cecità e ottusità di un management che sta cancellando, è inesorabile, la presenza italiana nel mercato dell’auto».
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Corbyn getta la maschera: resta a Bruxelles, con Cameron
«La scelta di Jeremy Corbyn, leader del partito laburista inglese, di sostenere insieme al premier conservatore David Cameron le ragioni della permanenza del Regno Unito all’interno della Ue getta una definitiva ombra di discredito su tutte le forze di “sinistra alternativa” che prendono quota in ogni angolo del Vecchio Continente». Dopo il bluff di Tsipras, «le cui miserabili piroette sono state giustificate oltre il limite della decenza pure dal leader di “Podemos” Pablo Iglesias», secondo Francesco Maria Toscano «è ora arrivato il turno del vecchio Jeremy di baciare l’anello dei massoni mondialisti, fautori di un processo federativo progressivo e illimitato che dovrebbe infine condurre alla creazione del tanto sospirato “governo globale” in salsa gnostica». Dopo l’iniziale entusiasmo, dovuto alle forti accuse mosse contro le politiche di austerità, Corbyn «ha vaporizzato in un attimo un potenziale di credibilità faticosamente conquistato sul campo. Dal leader della sinistra inglese, la classica retorica riformista: «Solo stando dentro la Ue potremo riuscire a migliorare le cose che non vanno e a garantire gli interessi della classe lavoratrice».Fra tutti gli argomenti possibili, scrive Toscano sul blog “Il Moralista”, il leader del Labour Party ha ripiegato sul peggiore: «Come fa Corbyn a non capire che la libera circolazione di uomini e capitali favorisce i plutocrati e condanna i lavoratori alla fame?». Come ricorda Luciano Gallino, «i lavoratori occidentali hanno visto precipitare il loro tenore di vita nella misura in cui sono stati messi in maniera fraudolenta nella condizione di dover competere con un numero enorme di cittadini provenienti da paesi abituati a sfruttare indegnamente manodopera a basso costo». Se Corbyn fosse meno “distratto”, aggiunge Toscano, «si sarebbe accorto che la Ue è nemica giurata dei deboli e dei lavoratori, trattati come merce da sacrificare sull’altare di una competitività esasperata che avvelena la vita di generazioni intere». I “nazisti tecnocratici” che comandano la Ue chiedono a tutti i paesi membri di attuare le famose “riforme strutturali”, cioè continui attacchi ai diritti del lavoratori faticosamente conquistati nel corso del Novecento.«Quale “Europa” protegge i diritti?», si domanda Toscano: «Quella che ordina a Renzi e Hollande di approvare il Jobs Act, per esempio? O quella che spinge affinché ritorni in auge un modello di contrattazione decentrata buona per costringere il singolo lavoratore a trattare con il singolo imprenditore senza poter contare sul sostegno dell’intera categoria sindacale di riferimento all’occorrenza disarticolata e paralizzata?». Per Toscano, lo stesso Corbyn – che pure nel 1975 aveva votato contro l’ingresso della Gran Bretagna nella Ue – non ha saputo resistere alle pressioni dei “soliti noti”. Oggi, con la sua scelta, Corbyn ha dimostrato una volta di più come «l’unica dicotomia oggi esistente non riguardi il confronto fra “destra” e “sinistra”, ma fra “popolo” ed “élite”». E la grande paura dell’oligarchia si chiama proprio Brexit: secondo recenti sondaggi, gli inglesi sarebbero decisi a farla finita con Bruxelles. Come non capirli: «La Ue è un consesso non riformabile, autoritario e violento. Nessun uomo in buona fede, dopo l’annullamento del referendum greco del 5 luglio del 2015, può ancora negarne la natura ferocemente antidemocratica». Le sinistre di mezzo mondo, invece, “moderate” o “radicali”, continuano – ora anche attraverso Corbyn – a «fare la guardia al “bidone”, consigliando ai poveri e ai disperati di sopportare i colpi mortali incassati oggi nel nome della grande integrazione che vedrà la luce domani. Una versione riveduta e corretta del famoso “sol dell’avvenire” di epoca sovietica che in molti stanno ancora pazientemente aspettando».«La scelta di Jeremy Corbyn, leader del partito laburista inglese, di sostenere insieme al premier conservatore David Cameron le ragioni della permanenza del Regno Unito all’interno della Ue getta una definitiva ombra di discredito su tutte le forze di “sinistra alternativa” che prendono quota in ogni angolo del Vecchio Continente». Dopo il bluff di Tsipras, «le cui miserabili piroette sono state giustificate oltre il limite della decenza pure dal leader di “Podemos” Pablo Iglesias», secondo Francesco Maria Toscano «è ora arrivato il turno del vecchio Jeremy di baciare l’anello dei massoni mondialisti, fautori di un processo federativo progressivo e illimitato che dovrebbe infine condurre alla creazione del tanto sospirato “governo globale” in salsa gnostica». Dopo l’iniziale entusiasmo, dovuto alle forti accuse mosse contro le politiche di austerità, Corbyn «ha vaporizzato in un attimo un potenziale di credibilità faticosamente conquistato sul campo. Dal leader della sinistra inglese, la classica retorica riformista: «Solo stando dentro la Ue potremo riuscire a migliorare le cose che non vanno e a garantire gli interessi della classe lavoratrice».
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No all’Ucraina nell’Ue, dall’Olanda uno schiaffo a Bruxelles
Ancora una volta l’Olanda, anzi il popolo olandese, ha detto di no all’Unione Europea. Lo disse in occasione della Costituzione europea e l’ha ripetuto ieri, opponendosi all’accordo di associazione tra Unione Europa ed Ucraina. L’argomento è tecnico e non stupisce che si stato dibattuto poco sui media internazionali, ma politicamente ha un peso notevole, perché rappresenta la scorciatoia per far entrare Kiev nella Ue, sottraendola così definitivamente all’influenza della Russia. Gli olandesi si sono opposti a questo disegno e con percentuali che non lasciano adito a dubbi: il 61,1% ha votato no. E siccome è poco probabile che raffinate disquisizioni di geostrategia, pro o contro il Cremlino, abbiano avuto un ruolo determinante nella campagna, il risultato va interpretato come un forte segnale di protesta contro l’Unione Europa e contro l’ulteriore apertura dei suoi confini. Un voto di sfiducia verso le istituzioni europee (Commissione Europea ma anche Banca centrale europea) e le loro politiche economiche, incentrate su un’austerity insensata che ha finito per erodere il benessere anche di un paese come l’Olanda, che un tempo risplendeva di benessere e che da qualche tempo mostra segnali di cedimento.Nulla di paragonabile alla Grecia o al Portogallo, sia chiaro, e nemmeno alla Spagna e all’Italia. Ma gli olandesi non stanno più bene come una volta e sentono di non poter più determinare liberamente il proprio destino, che invece dipende da un’entità impalpabile eppure estremamente invasiva e priva del necessario consenso popolare. Gli olandesi non si sentono a loro agio, temono per il proprio futuro e non si fidano di questa Europa. Per questo hanno votato no in modo tanto chiaro, sempre che la loro volontà non venga ignorata, come è avvenuto in passato ogni volta che un popolo ha bocciato un progetto europeo. Il voto di ieri ha superato il quorum, fissato al 30%, ma tecnicamente non era vincolante per il governo olandese, che potrebbe anche decidere di ignorarne l’esito; potrebbe, insomma, decidere di suicidarsi politicamente per “salvare l’Europa”. Oppure è possibile che Bruxelles escogiti qualche stratagemma per far approvare comunque l’intesa, magari solo attraverso una semplice cosmesi o cambiando nome all’accordo, come era avvenuto in occasione del voto sulla Costituzione europea, riproposta quasi tale e quale sotto le vesti del Trattato di Lisbona. Insomma, aggirando la volontà degli olandesi. Sempre che ce ne sia il tempo.I fronti caldi si moltiplicano e il volto dell’Unione europea appare improvvisamente invecchiato. La vicenda dei migranti sta esasperando le popolazioni in tutta Europa, la Polonia e l’Ungheria si sono già ribellate, i paesi scandinavi in parte, mentre l’economia continentale non decolla, la disoccupazione non migliora e il benessere degli europei, zavorrati da tasse insensate, continua a erodersi. Se poi il referendum del 23 giugno in Gran Bretagna dovesse concludersi con l’uscita dalla Ue, il quadro europeo potrebbe cambiare drasticamente e molto più velocemente di quanto immaginino quei commentatori che in queste ore liquidano come un fatto marginale e di scarso interesse, il voto in Olanda. Un voto che invece rappresenta un sonoro e forse profetico schiaffo a Bruxelles.(Marcello Foa, “Dall’Olanda un sonoro schiaffo all’Ue, è l’inizio di una nuova era?”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 7 aprile 2016).Ancora una volta l’Olanda, anzi il popolo olandese, ha detto di no all’Unione Europea. Lo disse in occasione della Costituzione europea e l’ha ripetuto ieri, opponendosi all’accordo di associazione tra Unione Europa ed Ucraina. L’argomento è tecnico e non stupisce che si stato dibattuto poco sui media internazionali, ma politicamente ha un peso notevole, perché rappresenta la scorciatoia per far entrare Kiev nella Ue, sottraendola così definitivamente all’influenza della Russia. Gli olandesi si sono opposti a questo disegno e con percentuali che non lasciano adito a dubbi: il 61,1% ha votato no. E siccome è poco probabile che raffinate disquisizioni di geostrategia, pro o contro il Cremlino, abbiano avuto un ruolo determinante nella campagna, il risultato va interpretato come un forte segnale di protesta contro l’Unione Europa e contro l’ulteriore apertura dei suoi confini. Un voto di sfiducia verso le istituzioni europee (Commissione Europea ma anche Banca centrale europea) e le loro politiche economiche, incentrate su un’austerity insensata che ha finito per erodere il benessere anche di un paese come l’Olanda, che un tempo risplendeva di benessere e che da qualche tempo mostra segnali di cedimento.
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Tutti a casa, aspettando che finiscano di sfasciare il mondo
Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.La “buona politica” di cui si avverte disperatamente il bisogno, semplicemente, non esiste: tutto il personale politico in campo, nonostante movimenti anche recenti, è sostanzialmente allineato al dogmatismo del mainstream neoliberale e neo-feudale, che – dopo le violente campagne anti-casta degli anni e decenni scorsi – predica l’erosione dell’interesse pubblico e la sparizione progressiva dello Stato come soggetto strategico, sociale ed economico. In Eurozona, il miglior governo che venisse eletto sarebbe di fatto impotente, costretto a limitare la propria spesa strategica al 3% del Pil. Impossibile utilizzare, come in passato, la leva monetaria: in un paese come l’Italia, il debito pubblico ha permesso di realizzare colossali investimenti sociali e infrastrutturali che hanno determinato il boom economico degli anni ‘60 e poi i mini-boom degli anni ‘80 e ‘90. Oggi, senza più sovranità statale, fiscale, economica, finanziaria e monetaria, questo scenario non è più ripetibile.A livello geopolitico, la situazione sta assumendo caratteristiche da incubo. Un crescendo di instabilità e orrori, a partire dal collasso dell’Urss: Jugoslavia, Somalia, Cecenia; poi, dopo l’11 Settembre, la drammatica accelerazione degli ultimi 15 anni, con le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Yemen, Ucraina, Siria. In tutti questi teatri, gli Usa sono passati all’offensiva, allo scopo di destabilizzare interi continenti, prima che la Cina potesse assumere una leadership pericolosa per il monopolio americano, anche l’attraverso l’asse con la Russia di Putin. L’Europa è travolta dalla tempesta profughi e terremotata dal terrorismo pilotato dall’intelligence occidentale, utilizzando la falsa bandiera dell’Isis, che ha preso il posto di Al-Qaeda. Uno dei principali obiettivi è proprio l’Europa: prima lo scandalo Volkwagen, poi il caso Bnp-Paribas, quindi l’attacco al segreto bancario svizzero, ora la vicenda Panama. Sul tappeto resta il trattato segreto Ttip, che trasferirà potere giuridico direttamente alle multinazionali, scavalcando leggi e Stati. Il trattato resta segreto, e nessuno ne parla. Il governo dell’Ue non tenta neppure di inscenare la ritualità di una democrazia formale.Il terrorismo è l’altra grande leva dell’operazione eversiva in corso. Sorretto da settori della Cia e del Pentagono, Daesh è finanziato da Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi del Golfo. Proprio le stragi di Parigi, Charlie Hebdo e 13 novembre, e ora quella di Bruxelles, hanno spinto alcuni esponenti della massoneria ad effettuare denunce clamorose, rimaste escluse dal mainstream ma circolate sul web. La tesi riguarda l’ispirazione massonica degli attentati e il loro contenuto simbolico nascosto utilizzato come “firma”, a partire dallo stesso acronimo Isis, che corrisponde alla dea Iside, il cui secondo nome è Hathor – e Hathor Pentalpha, secondo Gioele Magaldi, è il nome della famigerata superloggia fondata dai Bush negli anni ‘80, cui avrebbero aderito Blair, Sarkozy e lo stesso Erdogan, cioè gli uomini che hanno promosso le guerre in Iraq, in Libia e in Siria, dopo aver ideato gli attentati dell’11 Settembre.Un’intera narrazione sta crollando, giorno per giorno, sotto i colpi delle rivelazioni che illuminano i retroscena della cronaca: il mainstream continua a proporla, l’informazione ufficiale, ma non riscuote più la fiducia della maggioranza dei cittadini, sempre più scettici, tentati dall’astensionismo (convinti che votare sia ormai inutile) e in ogni caso diffidenti di fronte alle notizie sfornate a ciclo continuo. In parallelo, si assiste a clamorose rivelazioni in serie: prima Julian Assange e Wikileaks, poi lo scandalo dello spionaggio di massa targato Nsa, denunciato da Edward Snowden. Sul piano culturale, in Italia e non solo, è parallelo il percorso di uno studioso isolato come Mauro Biglino, che propone la (sconcertante) traduzione letterale della Bibbia: lo Jahwè dell’Antico Testamento non è affatto una divinità, ma un feroce guerriero venuto da non si sa dove e impegnato – insieme ad alcuni “colleghi” – a instaurare un dominio di tipo coloniale in Palestina, peraltro sul Sapiens che, secondo la Genesi, sarebbe stato creato in laboratorio, mediante clonazione genetica. La teologia della creazione? Pura fantasia, di cui nella Bibbia non c’è traccia.Secondo l’ex avvocato Paolo Franceschetti, autore di contro-indagini clamorose su alcuni misteri della cronaca italiana, dalle Bestie di Satana al Mostro di Firenze (l’intuizione della spaventosa realtà dei delitti rituali compiuti da sette occulte, affollate da potentissimi insospettabili) il bicchiere mezzo pieno consiste nel fatto che, se certi orrori si sono sempre verificati, oggi finalmente se ne comincia a parlare. Un altro osservatore come Fausto Carotenuto, già analista strategico dei servizi segreti italiani, sostiene che la crescente violenza cui stiamo assistendo corrisponda all’inquietudine dell’élite al potere, che sa di aver perso il consenso di almeno il 20-30% della popolazione e quindi preme sull’acceleratore della paura per condizionare la parte restante, quella che ancora è facilmente manipolabile. Lo afferma anche un massone come Gianfranco Carpeoro, grande esperto di codici esoterici e simbolici: la strategia della tensione come arma estrema, da parte di chi pensa di non avere più altri strumenti per condizionare le masse.L’arma più antica – il terrore – per tentare di portare a compimento il grande disegno emerso negli ultimi decenni, ben illustrato da Paolo Barnard nel saggio “Il più grande crimine”: la riduzione in schiavitù del cittadino occidentale, affrancatosi dal feudalesimo con la Rivoluzione Francese, per farlo retrocedere al rango di suddito, senza più uno Stato democratico che lo tuteli. Il progetto della globalizzazione neoliberista è semplice, aggiunge Carpeoro: allineare tutti noi al livello degli abitanti del terzo mondo, cioè lavoratori pre-moderni e senza diritti. Il piano procede inesorabilmente: con le crisi finanziarie, le guerre, le bombe, le menzogne quotidiane sfornate dal “pensiero magico”, la suprema manipolazione cui ricorre il massimo potere, sempre impegnato a costruire nemici artificiali che il popolo dovrà odiare, evitando di farsi le domande giuste. Che può fare, il cittadino comune? Ricordarsi di esistere, risponde Erri De Luca: per esempio, la partecipazione al referendum contro le trivellazioni è un grido contro “l’anestesia delle coscienze”. Sapendo però che di ben altra “rianimazione” ci sarebbe bisogno, in un paese che ancora accetta l’euro, considera una sciagura il debito sovrano e pensa che, dopo Bruxelles, sarà bene avere meno libertà in cambio di più sicurezza.Cosa sta succedendo? Ovvero: che portata hanno le trasformazioni epocali che sta vivendo attualmente il mondo, a cominciare dall’Occidente? Gli sconvolgimenti planetari in corso – crisi, migrazioni, guerre – sono a dir poco spettacolari e, in apparenza, senza soluzione. Una costante riguarda l’informazione: il sistema mainstream, divenuto totalizzante, evita accuratamente di riferire le notizie principali e le spiegazioni sulle cause degli eventi che determinano le rilevantissime modificazioni nella vita sociale ed economica di oggi, quindi l’avvenire delle prossime generazioni. L’enormità degli avvenimenti suscita clamore sul web e nei blog, ma coglie impreparati molti degli osservatori ufficiali, intellettuali, economisti, scrittori, accademici. La situazione economica in Europa si è fatta catastrofica. Per la prima volta, dopo 70 anni di sviluppo ininterrotto, i figli crescono sapendo che avranno una vita meno facile di quella dei loro genitori. Il livello di disoccupazione è desolante, e non si vedono vie d’uscita: non ci sono alternative sul tappeto.
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Migranti, patto col diavolo: l’Ue vende l’anima alla Turchia
L’accordo con la Turchia è la cosa più sordida a cui io abbia mai assistito nella moderna politica europea. Il giorno in cui i leader dell’Unione Europea hanno firmato l’accordo, Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, ha scoperto il proprio gioco: «La democrazia, la libertà e lo Stato di diritto… Per noi, queste parole non hanno assolutamente più alcun valore». A quel punto, il Consiglio Europeo avrebbe dovuto chiudere la conversazione con Ahmet Davutoglu, il primo ministro turco, e mandarlo a casa. E invece hanno fatto un accordo con lui – denaro e molto altro ancora, in cambio dell’aiuto nella crisi dei rifugiati. La Turchia si occuperà di ritrasferire circa 72.000 rifugiati arrivati nella Ue – uno swap uno-ad-uno per ogni clandestino che i turchi fanno salire sui barconi nel Mar Egeo. In cambio, l’Ue pagherà alla Turchia 6 miliardi di euro e aprirà un nuovo capitolo nei negoziati di adesione all’Ue – questo, con un paese la cui leadership ha appena abrogato la democrazia.L’Ue inoltre è pronta a consentire l’esenzione dal visto per 75 milioni di residenti in Turchia. L’Unione Europea non solo ha venduto la sua anima, quel giorno, ma in realtà ha anche concluso un affare piuttosto scadente. Io non sono in grado di giudicare se questo accordo è conforme alla Convenzione di Ginevra e al diritto internazionale. Presumo che il Consiglio Europeo abbia fatto in modo di poter sostenere un’azione in tribunale. Ma anche se può essere considerato legale, ho dei dubbi che possa essere attuato. Sarà interessante vedere se l’Ue si rimangerà le promesse fatte alla Turchia nel caso che Ankara non riuscisse a mantenere l’impegno. Anche se l’operazione fosse pienamente attuata, non alleggerirebbe la pressione di molto. Il numero atteso di rifugiati che si fanno strada verso l’Ue sarà molto superiore ai 72.000 concordati con la Turchia. Un think-tank tedesco ha fatto i conti sui flussi di profughi per quest’anno e ha messo a punto una stima che va da di 1,8 milioni a 6,4 milioni di persone. Quest’ultima cifra corrisponde allo scenario peggiore, che potrebbe includere un gran numero di immigrati dal Nord Africa.La chiusura della rotta dei Balcani occidentali per i rifugiati – dalla Grecia attraverso la Macedonia, Serbia, Croazia, Slovenia e poi in Austria e Germania – ha procurato un sollievo a breve termine per gli europei del nord, ma ci sono numerosi percorsi alternativi che i rifugiati possono prendere. Possono passare attraverso il Caucaso e l’Ucraina, o attraverso il Mediterraneo verso l’Italia e la Spagna. Se i paesi chiudono i loro confini, non riducono il flusso di profughi, ma semplicemente lo deviano. Si tratta di un classico esempio di una politica “beggar-thy-neighbor”. Questo dimostra che una politica dei rifugiati a livello Ue è inevitabile. Uno dei casi più eclatanti di azione unilaterale è la chiusura delle frontiere in Austria. Ora il paese sta ripristinando i controlli alla principale frontiera verso l’Italia – l’autostrada del Brennero. Questa è una delle rotte più trafficate tra Europa meridionale e settentrionale. Una volta che i rifugiati arrivano in Italia, ci si aspetta molto movimento ai confini settentrionali. A quel punto è probabile che Francia, Svizzera e Slovenia decidano di ripristinare i controlli.L’Italia potrebbe essere tagliata fuori dall’area Schengen per i movimenti senza passaporto, di cui ora fa parte, e Schengen diventerebbe un piccolo club di paesi del Nord Europa – forse un modello per il futuro dell’Eurozona. Questo sarebbe il primo passo verso la frammentazione della Ue. L’accordo con la Turchia avrà anche un impatto sul dibattito referendario nel Regno Unito. Il campo a favore di un’uscita dall’Unione Europea non avrebbe forse qualcosa da dire sull’esenzione dal visto per 75 milioni di turchi? Chiunque abbia a cuore la democrazia e i diritti umani odierà questo accordo. Come anche chiunque tema il dominio tedesco dell’Ue, avviato da Angela Merkel. Il cancelliere tedesco non ne aveva certo bisogno, per uscire dalla trappola in cui si era cacciata. E’ stata la sua decisione unilaterale di aprire le frontiere della Germania che ha trasformato una crisi dei rifugiati gestibile in un un disastro ingestibile. Non è facile trattare in modo puramente razionale l’ipotesi di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Ma ormai l’Ue ha perduto la sua superiorità morale, non dovremmo essere sorpresi se la gente comincia a mettere in discussione ciò che essa rappresenta, e che sia un’istituzione necessaria.(Wolfgang Münchau, “Firmando l’accordo con la Turchia, l’Ue si è venduta l’anima”, dal “Financial Times” del 20 marzo 2016, ripreso da “Voci dall’Estero”).L’accordo con la Turchia è la cosa più sordida a cui io abbia mai assistito nella moderna politica europea. Il giorno in cui i leader dell’Unione Europea hanno firmato l’accordo, Recep Tayyip Erdogan, il presidente turco, ha scoperto il proprio gioco: «La democrazia, la libertà e lo Stato di diritto… Per noi, queste parole non hanno assolutamente più alcun valore». A quel punto, il Consiglio Europeo avrebbe dovuto chiudere la conversazione con Ahmet Davutoglu, il primo ministro turco, e mandarlo a casa. E invece hanno fatto un accordo con lui – denaro e molto altro ancora, in cambio dell’aiuto nella crisi dei rifugiati. La Turchia si occuperà di ritrasferire circa 72.000 rifugiati arrivati nella Ue – uno swap uno-ad-uno per ogni clandestino che i turchi fanno salire sui barconi nel Mar Egeo. In cambio, l’Ue pagherà alla Turchia 6 miliardi di euro e aprirà un nuovo capitolo nei negoziati di adesione all’Ue – questo, con un paese la cui leadership ha appena abrogato la democrazia.
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Stampa-Repubblica, pensiero unico in guerra contro di noi
La sinistra comprata all’asta per smantellare i suoi valori e correre fra le braccia del business euro-atlantico. Pensiero unico, ora anche grazie al futuro super-giornale unico, la fabbrica centralizzata di “notizie” che usciranno dal matrimonio tra Fiat e De Benedetti, “Stampa” e “Gruppo Espresso”: con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di affezionati utenti del web e 750 milioni di ricavi annuali, «il nuovo colosso potrà assicurarsi il controllo essenziale sulle menti di una decisiva fetta di “decision makers”, assicurandosi inoltre una fetta assolutamente maggioritaria degli afflussi pubblicitari», sostiene Giulietto Chiesa. La posta in palio? Cementare ancora di più il consenso, che è sempre di più «la componente essenziale del grande business di convincere le grandi masse ad essere spennate dal potere». In controluce, si vede «una riformattazione dell’élite dirigente del paese», che archivi in soffitta le frange “superate dagli eventi”, quelle che “si attardano” sulla sovranità nazionale, sugli interessi dell’Italia, e che dunque «non vogliono il conflitto con la Russia».In una nota su “Sputink News”, Chiesa ricorda un recente passaggio dell’ex direttore di “Repubblica”, Ezio Mauro che evoca la “logica della Fiat”, ovvero «perdere quote di sovranità pur di acquisire quella forza e quella superficie che è la miglior difesa del business e del lavoro in tempi di crisi». Dove la “superficie” metaforica di cui si parla «non è solo quella della dimensione di scala italiana, ma è quella dell’Alleanza Atlantica nel suo insieme». Torino e Roma contro Milano e il Nord-est (e anche contro il Sud del paese). «Qui c’è una parte della verità che sta sotto il tappeto. Di cui la vittima cartacea è il povero Corriere della Sera (con la moribonda Rcs abbandonata dalla Fiat, che la lascia nelle mani di Diego della Valle). Ma questi sono dettagli secondari. Come dettagli secondari sono la permanenza dei giornali della destra più o meno berlusconiana, e del solitario “Il Fatto Quotidiano”. Non è con queste forze che si potrà contrastare la marcia trionfale dei corifei unici del pensiero unico».Conclude Chiesa: «Sale in cattedra, con le sue falangi, e con il coro dei canali Rai al completo, la squadra comunicativa che tirerà la voltata di Matteo Renzi per il referendum decisivo che deciderà l’abbandono (se gli riesce, e non è ancora detto) della Costituzione Repubblicana nel corso del 2016». È la stessa squadra che in questi ultimi trent’anni ha in sostanza imposto al paese la «mappa dei valori liberal-democratici» (ancora Ezio Mauro), «stimolando la sinistra a evolversi in questa direzione». Qui, sottolinea Chiesa, “Repubblica” ha giocato il ruolo decisivo, prendendo in mano l’ex Pci «per traghettarlo, armi e bagagli, da sinistra a destra e per mettere i suoi rimasugli, mescolati a quelli della Democrazia Cristiana, nelle mani di Matteo Renzi». Unica “pecca”, di questa parabola, «il non piccolo dettaglio che, lungo la strada discendente, i valori liberaldemocratici sono stati abbandonati da qualche parte sul ciglio. Per essere sostituiti dal business e dalla guerra (che di questo gruppo editoriale nascente sarà senza alcun dubbio la doppia bandiera)».Il maxi-accordo editoriale tra i grandi giornali è perfettamente in linea con la situazione editoriale degli Usa, dove secondo Paul Craig Roberts i maggiori network mediatici della superpotenza sono ormai nelle mani di 5-6 soggetti. Idem, in Italia, il risvolto librario, con l’analogo matrimonio fra Mondadori e Rizzoli, che aumenta l’isolamento (e la debolezza, sul mercato) delle voci indipendenti. In compenso, rilevano diversi analisti, una quota sempre più importante di opinione pubblica ha smesso di fidarsi dei media mainstream, televisivi e cartacei: nessuna persona avveduta e consapevole, secondo lo stesso Craig Roberts, è più disposta a prendere sul serio la narrazione mainstream, preferendo informarsi sui blog. Per Fausto Carotenuto, già operatore strategico dei servizi segreti italiani ora militante nel network “Coscienze in Rete” che produce controinformazione, il super-potere sa di aver perso irrimediabilmente la fiducia del 20-30% della popolazione. Per questo si concentra sulla parte restante, cercando il consenso per la guerra globale in corso: contro i cittadini (perdita di diritti e quote di sovranità) e contro il resto del mondo, devastato da crisi, conflitti e terrorismi pilotati.La sinistra comprata all’asta per smantellare i suoi valori e correre fra le braccia del business euro-atlantico. Pensiero unico, ora anche grazie al futuro super-giornale unico, la fabbrica centralizzata di “notizie” che usciranno dal matrimonio tra Fiat e De Benedetti, “Stampa” e “Gruppo Espresso”: con 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di affezionati utenti del web e 750 milioni di ricavi annuali, «il nuovo colosso potrà assicurarsi il controllo essenziale sulle menti di una decisiva fetta di “decision makers”, assicurandosi inoltre una fetta assolutamente maggioritaria degli afflussi pubblicitari», sostiene Giulietto Chiesa. La posta in palio? Cementare ancora di più il consenso, che è sempre di più «la componente essenziale del grande business di convincere le grandi masse ad essere spennate dal potere». In controluce, si vede «una riformattazione dell’élite dirigente del paese», che archivi in soffitta le frange “superate dagli eventi”, quelle che “si attardano” sulla sovranità nazionale, sugli interessi dell’Italia, e che dunque «non vogliono il conflitto con la Russia».
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Ma i poveri sono bestie, come suggerisce Eugenio Scalfari?
I tempi attuali hanno questo di particolare: dovremo viverli sino in fondo e berne la coppa sino alla feccia. Uno dei maestri residui del pensiero italiano (un altro, celebratissimo, è crepato recentemente), il nababbo Eugenio Scalfari, nei giorni scorsi se ne è uscito con tale argomentazione: i poveri soddisfano esclusivamente i loro istinti e voglie primari; non ne hanno di secondari: la ricerca di Dio, ad esempio; collezionare ceramiche Ming; leggere trattati di socialisti tedeschi dell’Ottocento; scrivere per il teatro; occuparsi di lirica et cetera. Il loro mondo (il mondo dei poveri) è chiuso, basico, animale. I poveri, ne consegue, dei bruti. Ovviamente Scalfari ha ragione. Tutta la mia famiglia, ad esempio, in particolar modo i miei ascendenti diretti (nonni materni e paterni), son lì a confermare le sue tesi. Aggiungo di più. I poveri, quelli veri, quelli che ben presto popoleranno la nazione, sono pure brutti, sporchi e cattivi.Brutti poiché le privazioni imbruttiscono; e un lavoro non intellettuale (lavoro intellettuale: scrivere articoli da quattro soldi con l’aria condizionata, i piedi sul tavolo e le sfogliatelle alla propria destra, ad esempio) non regala tempo per curarsi la barba come un orticello (altro esempio). In quanto brutti i poveri attirano altri brutti: ne nascono, a meno di un terno secco cromosomico, figli brutti. I poveri sono sporchi, poi, perché quando si è brutti, con un lavoro di merda, e la mattina ci si sveglia con una donna laida, grassa e sboccata al fianco (è un esempio pure questo) si va in depressione, e, in depressione, come tutti sanno, non si ha mica voglia di farsi la doccia, profumarsi con essenze che nemmeno si è in grado di comprare o tagliarsi i baffi in maniera cool. Va da sè che un tizio che è brutto, con una moglie brutta, e figli brutti, senza una lira, con un lavoro merdoso e le ascelle che gli puzzano, si incattivisca ogni giorno che passa.Queste mie considerazioni sembrano facili e posticce, ma non è così: si basano su una osservazione costante, empirica, trentennale, degli Italiani. Quando dico che i poveri sono brutti intendo proprio questo: che esiste una relazione diretta, scientifica, causale, fra la mancanza di pecunia e le fattezze umane (le gambe delle donne: basta osservare le gambe delle nostre nonne e le gambe delle loro nipoti; la bellezza delle gambe delle donne è questione di censo. Le belle nipoti però non hanno da illudersi: le gambe delle loro figlie torneranno presto a incurvarsi). Ed esiste una relazione diretta tra povertà e moralità umana (sempre dei poveri: ignoranti, zotici e maleducati). Insomma Scalfari ha ragione: i poveri sono bestie. Tuttavia oserei rivolgergli una domanda: com’è che i nababbi suoi pari (De Benedetti, Tronchetti Provera, Montezemolo, gli Agnelli et cetera) e tutti gli intellettuali che secolui intrattengono altissimi discorsi e pensose meditazioni (con una ruga sulla fronte), e tutti i dotti che ha il privilegio di interrogare con quesiti celesti sulla vita e sulla morte (vescovi illuminati, rabbini illuminatissimi, premi Nobel) – insomma tutta la sceltissima pletora di menti eccelse che i bisogni primari non sanno manco cosa siano, e vantano, invece, bisogni secondari, terziari, quaternari … come mai tutti questi eletti sono, alla fine della fiera, delle micidiali nullità?È una semplice domanda, non altro. Insomma, ragazzi miei, se l’Italia è in declino da trent’anni almeno, tanto che la sua classe media è ormai in putrefazione culturale, a chi addebitare la colpa? Non ai poveri, che pensano solo a magnà’, a beve e a scopà’ (i bisogni primari). Cos’ha dato alla nazione De Benedetti? E Montezemolo? E il cardinal Martini, a ben pensarci, cosa ha fatto per impedire l’agonia dell’Italia? Hanno mai detto qualcosa, questi venerati maestri un tanto al chilo, contro la trasformazione d’un paese geniale e bello in un mattatoio sociale (son solo tre esempi, potrei continuare per decine di pagine)? Sorgono altre domande. Se i poveri sono come porci in calore, il cui unico scopo è guazzare nel tiepido brago della propria limitatezza, quali bisogni secondari aveva uno come Lapo Elkann? Privo di vere urgenze (proprie ai brutti, sporchi e cattivi), in realtà cosa cercava? Son curiosità. Che fanno sorgere altre curiosità. Esempio: cos’ha dato alla nazione Eugenio Scalfari? Come si son inverati i suoi bisogni secondari, terziari? Mentre è sprofondato sui velluti della redazione di Repubblica meditando le superne cose de l’etternal gloria, insomma, che gli passa per la capoccia? Lui che è una delle punte più acuminate del genio nazionale. Che gli passa per la testa a queste flebili increspature della storia della mediocrità, a parte tali sbocchi di boria suprematista, dopo decenni e decenni di chiacchiere, pontificazioni, giri di valzer, tradimenti? Quale debito vantano verso la comunità e il nostro futuro questi tronfi massoni del nulla?(“I poveri sono bestie, parola di Eugenio Scalfari”, pubblicato da “Alceste” su “Pauperclass” il 23 febbraio 2016).I tempi attuali hanno questo di particolare: dovremo viverli sino in fondo e berne la coppa sino alla feccia. Uno dei maestri residui del pensiero italiano (un altro, celebratissimo, è crepato recentemente), il nababbo Eugenio Scalfari, nei giorni scorsi se ne è uscito con tale argomentazione: i poveri soddisfano esclusivamente i loro istinti e voglie primari; non ne hanno di secondari: la ricerca di Dio, ad esempio; collezionare ceramiche Ming; leggere trattati di socialisti tedeschi dell’Ottocento; scrivere per il teatro; occuparsi di lirica et cetera. Il loro mondo (il mondo dei poveri) è chiuso, basico, animale. I poveri, ne consegue, dei bruti. Ovviamente Scalfari ha ragione. Tutta la mia famiglia, ad esempio, in particolar modo i miei ascendenti diretti (nonni materni e paterni), son lì a confermare le sue tesi. Aggiungo di più. I poveri, quelli veri, quelli che ben presto popoleranno la nazione, sono pure brutti, sporchi e cattivi.