Archivio del Tag ‘Francoforte’
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Troika, rottamare l’Italia: a Renzi restano solo 100 giorni
Troppo grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che, nonostante tutto, è ancora la terza economia europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex demoocrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di “Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».Secondo il blog, che per Maria Grazia Bruzzone della “Stampa” ha «occhi sempre aperti sull’Europa», il primo ministro italiano «ha lanciato un messaggio pericoloso: ha rotto la regola numero 3». Non è stato il primo leader nazionale a farlo, e sappiamo quanto salato sia «il prezzo della trasgressione». Il primo fu il premier greco Andreas Papandreou, che ruppe la “regola numero 2” annunciando nell’ottobre 2011 l’intenzione del suo governo di tenere un referendum sul nuovo accordo di salvataggio dell’Eurozona. «In due settimane venne rimpiazzato dall’ex banchiere centrale ed ex “goldmaniano” Lucas Papademos. Come se non bastasse, uscirono indiscrezioni sul fatto che sua madre avrebbe avuto su un conto svizzero 500 milioni di euro non dichiarati. Un prezzo pesante per un momento di coraggio». Il secondo fu l’allora primo ministro Silvio Berlusconi: nel settembre 2011 «osò discutere in incontri privati con leader dell’Eurozona, presumibilmente Merkel e Sarkozy, l’uscita dell’Italia dall’Eurozona». Risultato: «Prima di dicembre Berlusconi era fuori, rimpiazzato dal tecnocrate Mario Monti, già commissario europeo e “goldmaniano” pure lui».Il messaggio agli altri leader era chiaro: non pensate di mettere a repentaglio il Progetto. Da allora, scrive la Bruzzone citando il blog, la disciplina è stata ripristinata e nessun leader ha più osato infrangere le regole. Fino a Renzi. Che nell’intervista al “Financial Times” «ha pericolosamente rotto» la disposizione numero 3, «che impone di non criticare mai le azioni della Troika o dei suoi componenti». Nemici pericolosi: il bersaglio di Renzi, scrive “La Stampa”, era il presidente della Bce Mario Draghi, «il più intoccabile dei membri della Troika (e rappresentante senior di Goldman Sachs in Europa)». La sua chiacchierata fuori dalle righe – continua il post – era l’ultima escalation in una “guerra verbale” scoppiata dopo l’insinuazione (leggi: minaccia) di Draghi verso l’Italia, da commissariare perché caduta in recessione, visto che non ha fatto abbastanza per “riformare” mercato del lavoro, burocrazie e sistema giudiziario. Il risultato è «un clima sfavorevole per gli investimenti».In altre parole, quello di cui l’Italia avrebbe bisogno, per Draghi, è «una bella dose di intervento amministrato dalla Troika, che magari finisca per accelerare la spirale del debito arricchendo gli investitori internazionali». Renzi è sembrato avere altre idee: «Il nostro modello non è la Spagna ma la Germania», ha detto al “Financial Times”. Il blog di Richter ricorda che il premier è arrivato in febbraio promettendo di far uscire l’Italia dalla stagnazione che dura da un decennio. Ma i progressi sono stati lenti: finora si è limitato a togliere 80 euro di tasse ai salari più bassi. Dovrebbe arrivare una riforma della giustizia, ma non ci sono garanzie. E col poco da rivendicare su riforma fiscale e del lavoro, la comunità imprenditoriale si sta innervosendo: temono che Renzi sia solo «un piccolo manager, che punta troppo su un gruppo di amici fidati mentre avrebbe bisogno di consiglieri con esperienza», ha osservato il giornale. Magari alludendo a consiglieri come Carlo Cottarelli, «lo zar della “spending revew”». Un tipo «perfetto, in quel ruolo, dopo una vita al Fmi», dove ha diretto il Dipartimento Affari Fiscali. Ma Cottarelli incontra resistenze: «Spetta a Renzi decidere dove fare i tagli, non a un tecnocrate», ha detto il primo ministro italiano al “Ft” parlando in terza persona.Renzi se l’è presa con le lobby degli affari: «Roma è una città piena di lobbisti. In Italia vige un capitalismo di relazioni. Io non sono parte di quel sistema che ha distrutto il paese. Sono solo col 20% degli italiani che mi hanno votato, con gli 11 milioni che hanno votato il mio partito, e soltanto con loro e con la mia squadra il paese cambierà». Questione di principio, arroganza, ingenuità o un mix di tutto questo? Se lo chiede il blogger arrivando alle conclusioni: «Può essere una frase a effetto da dare in pasto al pubblico, o il prodotto di un calcolo molto astuto: vale a dire che attualmente lui – Renzi – riveste in Europa una posizione molto più forte di quanto molti credano». Motivo: «Come terza economia dell’Ue, la debole performance dell’Italia è un grattacapo per Bruxelles tanto quanto, o anche di più, di quanto lo è per Roma. Con 2 trilioni di debito pubblico – il 133% del Pil – l’Italia non è solo troppo grande per fallire, è troppo grande per essere salvata».«Deporre Renzi – scrive il blog – si rivelerebbe ben più difficile che togliere di mezzo Berlusconi. Dopotutto, anche in un paese che vanta una storia politica moderna come l’Italia quattro leader non eletti in tre anni sarebbero probabilmente un po’ eccessivi: la gente comincerebbe a chiedersi che fine ha fatto la democrazia». Per cui, «se la Troika mirasse a sferrare un altro colpo senza spargimento di sangue, dovrebbe quasi certamente farlo seguire a nuove elezioni». E i maggiori beneficiari della tornata elettorale «potrebbero essere il Pdl di Berlusconi e il M5S di Grillo», cioè «due partiti che non vorrebbero nient’altro che scrivere l’epilogo della breve storia dell’euro». Dunque la Troika «deve per forza riporre eventuali piani nel freezer, almeno per ora». Nel frattempo, «il suo coraggioso (o forse solo pazzo) giovane leader pretende mille giorni per fare i cambiamenti economici e politici che ritiene necessari per il suo paese. Sarà fortunato se ne ottiene cento». Come che sia, conclude “La Stampa”, dopo aver «fatto lo spavaldo» col “Financial Times”, Renzi ha voluto fugare l’impressione di dissapori con la Troika volando subito in elicottero da Draghi e poi incontrando Napolitano. «Sarà anche più forte in Europa di quel che si crede – per mancanza di alternative. Ma è meglio non esagerare».Troppo grande per fallire. E troppo grande per essere “salvata” alla maniera della Troika, cioè col prestito a usura che depreda quella che, nonostante tutto, è ancora la terza economia europea. Renzi? Troppo difficile da rimpiazzare subito, perché il quarto primo ministro non eletto sarebbe un azzardo persino per l’ex demoocrazia italiana. Ma se il premier chiede “mille giorni” per completare le “riforme”, sarà già tanto se gliene concederanno cento. Lo sostiene il blog del californiano Wolf Richter, che ospita un post di “Don Quijones”, freelance di Barcellona, dopo l’intervista che Renzi ha rilasciato al “Financial Times”. Non è facile essere al governo di un paese dell’Eurozona: la pressione può essere insostenibile, «stretti tra le nuove impopolari norme e legislazioni che vengono fuori da Bruxelles e Francoforte e i mercati finanziari in bilico su una lama di coltello». Quattro regole d’oro: obbedire sempre alla Merkel, mai ventilare un referendum su alcunché, mai criticare la Troika e «mai menzionare – e nemmeno coltivare – l’idea dell’uscita dall’euro».
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Lerner: dopo Renzi arriverà Draghi, il podestà della Troika
Nuovo primo ministro “tecnico” non appena Renzi sarà rottamato dalla crisi o nuovo presidente, dopo Napolitano, per correggere dal Quirinale il “dilettante” di Firenze? Mario Draghi, che – di fronte all’euro-catastrofe raccomanda ancora più potere a Bruxelles – torna in pole position, sulla scena italiana, come primattore dei poteri forti: fine dellla residua sovranità nazionale, sbaraccamento definitivo dello Stato, estizione storica della democrazia elettorale e parlamentare. Ormai se ne parla apertamente anche in seno al Pd, racconta Gad Lerner, che di recente ha partecipato a un’assemblea dei deputati, raccogliendo anche «istruttuive conversazioni informali» prima dell’incontro. «Per la prima volta – scrive Lerner nel suo blog – in Transatlantico da più parti mi sono pervenuti accenni al “dilettantismo” con cui il governo formula i provvedimenti legislativi e al suo eccesso di improvvisazione». Ma soprattutto, aggiunge, «ho sentito dare per scontato il nome dell’uomo della provvidenza nel caso, ormai apertamente ipotizzato, di un fallimento di Renzi: Mario Draghi».
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Le ricette di Draghi per il funerale dell’economia europea
Revoca degli ultimi campoli di sovranità nazionale e trasferimento di tutti i poteri a Bruxelles. Lo “propone” Mario Draghi, cioè l’uomo costantemente citato come il pegggior banchiere centrale del mondo, il peggiore della storia, scrive Paolo Barnard. «Ci si chieda: perché l’Italia della metà degli anni ’90 – che non faceva la riforme di Draghi, che non strisciava supina di fronte a Bruxelles, che usava la spesa pubblica molto ma molto più di oggi… perché veniva definita da “Standard & Poor’s” come “economia leader d’Europa”? Allora Mario, che ci rispondi? Avevamo l’Eurozona allora? No. Avevamo invece il triplo della spesa pubblica di oggi, che come i veri economisti sanno è l’attivo di tutto il settore privato di cittadini e aziende. Oggi la folle dittatura delle Austerità ha stroncato la spesa pubblica, e stroncati affondiamo. Tutto qui».«Se metti in acqua diciotto barche con buchi sotto la chiglia e queste iniziano ad affondare», scrive Barnard nel suo blog, «mi sembra ridicolo che tutti puntino lo sguardo su quella che affonda più in fretta», l’Italia, «piuttosto che considerare il fatto che sono state tutte costruite da incompetenti», e quindi «è il cantiere cialtrone che va chiuso». Tradotto: «Mario Draghi regge il cantiere Eurozona dove tutti, e tutto, sta affondando, ma gli viene comodo imbrogliare i media e il pubblico puntando il dito sulla barca Italia che affonda un po’ più delle altre». La crescita dell’Eurozona, dopo 14 anni di grandi promesse, è letteralmente pietosa, «non riesce mai a superare quel triste zero virgola», mentre ad esempio la Gran Bretagna «cresce come basilico al sole». La deflazione europea è fuori controllo, «cioè i prezzi crollano di minuto in minuto perché non c’è domanda, e tutti i gran proclami di Draghi per frenare questa valanga sono stati accolti dai mercati e dai consumatori come ridicolaggini, fra l’altro disoneste perché tutte tese solo a favorire speculazioni finanziarie».Le cosiddette “riforme” tanto invocate da Draghi come pozione magica di salvezza «non hanno salvato nessuno dei paesi che le hanno fatte». Bollettino di guerra: la Finlandia è all’ottavo mese a crescita zero, l’Olanda precipita nella terza recessione dal 2009, Francia registra il record della disoccupazione e un crollo storico di settori-chiave come l’immobiliare e il manifatturiero. Nel Belgio “commissariato” dall’Ue abbiamo consumi a tasso negativo e crescita zero. E persino in Germania crollano gli ordini industriali (-4%), il Pil è in calo, stipendi sono stagnanti da 10 anni, il calo della domanda interna deprime tutto l’export europeo. Poi, secondo dati ufficiali Eurostat, «le gloriose riforme di Draghi e dell’Eurozona hanno infilato nella calza della Befana anche il più alto tasso di disoccupazione europea dalla nascita dell’euro». E poi le banche, «quelle regolamentate da Mario Draghi, che oggi dispensa ricette severe su come curarci». Ebbene: la maggioranza delle banche europee «sono marce, ma veramente, cioè di fatto fallite».Secondo la Bank of International Settlements, «le banche in Europa non sono riuscite a rimediare alla loro catastrofica esposizione a prestiti che saranno inesigibili perché gli indebitati sono al collasso». E il collasso, sottolinea Barnard, è proprio opera della Troika di Draghi e delle sue austerità, «come ormai ammettono anche Goldman Sachs e gli “hedge funds”». La stessa Reuters ci informa che le stesse banche europee, azzoppare da «buchi contabili che si vedono dalla Luna», hanno prestato 3.000 miliardi di dollari ai “mercati emergenti”: soldi che difficilmente torneranno indietro. «Poi indovinate a chi, per questo motivo, le medesime banche diranno no al mutuo o al finanziamento? A voi, a voi, e infatti registriamo il più alto declino nei prestiti bancari alle famiglie dal 2008».E attenzione: il 90% dello strombazzato calo dello spread e degli interessi sui titoli di Stato dei paesi come Spagna, Irlanda o Italia, rivela uno studio di “Bloomberg”, «non è dovuto a reali progressi dell’economia di quegli Stati, ma ai trucchi speculativi di Mario Draghi alla Bce: quindi aria fritta, che Renzi oggi usa per infinocchiare i soliti poveri italiani». Gran finale: il “Financial Times” annuncia che le banche più fallite di tutta l’Europa «non sono quelle spagnole o italiane, ma quelle tedesche», espressione del sistema di potere che domina Bruxelles e Francoforte, di cui Draghi è forse il massimo esponente. E questo “terapeuta” ha ancora il coraggio di proporre soluzioni e cure? Assolutamente sì. Il macellaio travestito da medico: la farsa continua, e l’Europa affonda.Revoca degli ultimi campoli di sovranità nazionale e trasferimento di tutti i poteri a Bruxelles. Lo “propone” Mario Draghi, cioè l’uomo costantemente citato come il pegggior banchiere centrale del mondo, il peggiore della storia, scrive Paolo Barnard. «Ci si chieda: perché l’Italia della metà degli anni ’90 – che non faceva la riforme di Draghi, che non strisciava supina di fronte a Bruxelles, che usava la spesa pubblica molto ma molto più di oggi… perché veniva definita da “Standard & Poor’s” come “economia leader d’Europa”? Allora Mario, che ci rispondi? Avevamo l’Eurozona allora? No. Avevamo invece il triplo della spesa pubblica di oggi, che come i veri economisti sanno è l’attivo di tutto il settore privato di cittadini e aziende. Oggi la folle dittatura delle Austerità ha stroncato la spesa pubblica, e stroncati affondiamo. Tutto qui».
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Mein Kampf: ora i tedeschi potranno rileggere Hitler
La Germania ha dovuto, ancora una volta, guardare in faccia il suo passato. In discussione questa volta non sono i fatti, ma le parole di Adolf Hitler e la prevista ripubblicazione del suo famigerato manifesto-autobiografia “Mein Kampf”, un libro che è stato ufficialmente bandito dal paese dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma anche se la prospettiva che le parole del Führer ricomincino a circolare liberamente sul mercato tedesco potrebbe scioccare qualcuno, non dovrebbe esserci nessun pericolo. L’aver cresciuto l’ultima generazione inoculandole il bacillo anti-nazista, vaccinandola con un confronto aperto sulle parole di Hitler, è servito molto più che non lasciare che queste parole restassero sottaciute, nascoste furtivamente tra le ombre dell’illegalità. Hitler scrisse la prima bozza della sua ideologia profondamente antisemita, sul concetto di razza nel 1924, mentre era in prigione per aver guidato un fallito colpo di Stato; al momento della sua morte, 21 anni dopo, aveva venduto 10 milioni di copie.Da allora, anche se “Mein Kampf” è rimasto sempre presente nell’ombra – negli scaffali più nascosti delle bancarelle di libri usati e delle librerie e, più recentemente, in rete – il titolare del copyright, lo Stato della Baviera, ha rifiutato di autorizzare che l’opera venisse ripubblicata, creando così un alone di tabù intorno al libro. Tutto questo sta per cambiare. Il copyright della Baviera scade alla fine del 2015 e poi chiunque potrà pubblicare il libro: un editore di libri di qualità o uno che pubblica libri economici, ma potrebbe pubblicarlo anche un gruppo neo-nazista. Rimettere in circolazione “Mein Kampf” nel flusso del sangue della cultura tedesca costituirà sicuramente un momento di eccezionale importanza. In una nazione dove ancora si comprano avidamente i libri – e che ama discuterne in pubblico – questa pubblicazione accenderà nuovi dolorosi dibattiti intergenerazionali nei talk show e sulle pagine culturali su come genitori e nonni si lasciarono fuorviare tanto ciecamente.Come successe con il clamore creato nel 1996 da Daniel Jonah Goldhagen con il suo controverso libro “I carnefici volontari di Hitler”, che accusava i tedeschi, in generale, di essere tutti capaci di ammazzare gli ebrei in massa, questo evento editoriale potrebbe incidere sulla politica contemporanea e rinvigorire il radicato pacifismo del dopoguerra tedesco. Il coinvolgimento – o il non-coinvolgimento – della Germania nelle crisi internazionali come Kosovo, Afghanistan, Libia e, più recentemente, Mali, è profondamente influenzato da un appassionato dibattito su questo argomento. «La Germania è una terra stregata, dove vivono ancora le ombra di Hitler», mi ha detto recentemente lo scrittore ebreo tedesco Henryk M. Broder.Il primo a prepararsi per la corsa alla pubblicazione del libro è l’Istituto di Storia Contemporanea, un rinomato Centro di ricerca per lo studio del nazismo, a Monaco, che dispone già di un team di cinque studiosi che stanno preparando una “edizione critica ragionata” sulle 700 pagine di Hitler. La versione dell’istituto raddoppierà le dimensioni del libro e servirà come riferimento accademico per tutti i futuri studiosi del testo base dell’hitlerismo, ha detto il leader del team, Christian Hartmann. Le ampie annotazioni del libro – ha aggiunto – serviranno per “delimitare” le linee del racconto di Hitler con una “serie di commenti” che demistificheranno e decodificheranno, con un sottotesto alternativo, il contesto storico raccontato, spogliandolo del suo presunto potere ipnotico.Non sorprende che il progetto “Mein Kampf” abbia suscitato clamore in alcuni ambienti ebraici. Charlotte Knobloch, presidente della comunità di cultura israelita di Monaco e dell’Alta Baviera , ha detto che «esiste ancora il pericolo» di catalizzare i sentimenti dell’estrema destra. Uri Chanoch, un israeliano di 86 anni, superstite dell’Olocausto, ha aggiunto che i tedeschi «da qualche parte nei loro cuori covano ancora odio per noi», e si è prodigato in una aggressiva campagna contro la riedizione del libro, chiedendo che anche dall’estero si faccia pressione sulla Baviera per bloccarne la ristampa. Dopo l’eco ricevuto da questo tipo di sentimenti, il premier bavarese Horst Seehofer, durante il suo viaggio in Israele, ha deciso di togliere il suo patrocinio al progetto “Mein Kampf” e di cancellare i fondi per la ricerca che erano stati stanziati (684.000 dollari). Questa decisione, a sua volta, ha scatenato una levata di scudi tra gli accademici e tra la legislatura bavarese, che in precedenza aveva approvato il progetto.Anche qualche leader ebreo è stato preso alla sprovvista. «Sono rimasto stupito da questa decisione», ha detto Salomon Korn, il leader della forte comunità ebraica di Francoforte, 7.000 persone. «Avremmo già dovuto avere una edizione critica del “Mein Kampf”». E allora, come in un goffo balletto, il governo di Seehofer è stato costretto a riconsiderare la sua riconsiderazione e si è accordato per non riprendersi i soldi ma togliendo il suo sigillo di approvazione governativa. Questa foglia di fico, d’altro canto, potrebbe placare o non placare chi la pensa in modo diverso, soprattutto in Israele, che ormai già credeva di essere già riuscito a bloccare la ristampa del libro. Ma con il finanziamento in mano, l’istituto sta procedendo e la sua edizione servirà ad uno scopo politico di contrasto all’impatto negativo sull’immagine della Germania e sulla cultura politica che potrebbe portare una ristampa incontrollata di un libro che potrebbe inondare il mercato.Indipendentemente da qualsiasi altra pubblicazione, comunque, sarà l’edizione accademica la più autorevole, soprattutto nelle scuole e nelle università. Questo sarà un effetto positivo. Sessantanove anni dopo la Seconda Guerra Mondiale, non ha più senso per i tedeschi non avere ancora libero accesso ad un libro che può essere facilmente acquistato in tanti altri paesi. Mantenere viva una triste diatriba, spesso incomprensibile, per paura di una rinascita nazista, fuori luogo, è una reazione troppo esagerata: l’unico partito pseudo-nazista tedesco in Germania ha ricevuto 1% alle ultime elezioni del Parlamento Europeo; in Francia, l’estrema destra ha preso quasi il 25%. Nel 1959, il primo presidente tedesco del dopoguerra della Germania Ovest, Theodor Heuss, raccomandò di ripubblicare “Mein Kampf”, come monito per il popolo tedesco, ma forse era troppo presto e la popolazione non era ancora pronta per un tale confronto e l’establishment politico dell’epoca lo ignorò. Oggi, 55 anni dopo e 10 presidenti più tardi, la bella idea di Heuss sta finalmente arrivando a compimento.La Germania ha dovuto, ancora una volta, guardare in faccia il suo passato. In discussione questa volta non sono i fatti, ma le parole di Adolf Hitler e la prevista ripubblicazione del suo famigerato manifesto-autobiografia “Mein Kampf”, un libro che è stato ufficialmente bandito dal paese dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Ma anche se la prospettiva che le parole del Führer ricomincino a circolare liberamente sul mercato tedesco potrebbe scioccare qualcuno, non dovrebbe esserci nessun pericolo. L’aver cresciuto l’ultima generazione inoculandole il bacillo anti-nazista, vaccinandola con un confronto aperto sulle parole di Hitler, è servito molto più che non lasciare che queste parole restassero sottaciute, nascoste furtivamente tra le ombre dell’illegalità. Hitler scrisse la prima bozza della sua ideologia profondamente antisemita, sul concetto di razza nel 1924, mentre era in prigione per aver guidato un fallito colpo di Stato; al momento della sua morte, 21 anni dopo, aveva venduto 10 milioni di copie.
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Banche fallite, Ghizzoni e Draghi siedono su Chernobyl
Federico Ghizzoni e Mario Draghi siedono su Chernobyl, il giorno prima del meltdown. E lo sanno. Guardate che ci vuole un sangue freddo indicibile per essere nei loro panni. Ma mentre il primo è uno sfigato, il secondo no. Unicredit, e io l’avevo detto mesi fa, ha un’esposizione da Austria verso est Europa immensa, e questo significa che hanno prestato oceani di euro che non riavranno più. Sono buchi bancari sparsi nei duemila miliardi di euro di buchi bancari di cui soffrono le maggiori banche europee. Oggi arriva la notizia che la terza maggior banca dell’Europa orientale, la Erste Group, austriaca, è di fatto saltata in aria. E indovinate chi sono le altre due? Unicredit e Raiffeisen (svizzera). Non so come stia dormendo Ghizzoni stanotte. Non scherziamo. Le banche europee, e soprattutto quelle maggiori come Bnp, Deutsche e Unicredit, sono fallite: ma non fallite, sono stra-stra-fallite.Draghi, come ho spiegato in precedenza, ha appena annunciato misure camuffate da aiuti all’economia terminale dell’Eurozona che altro non sono se non aiuti alle banche e basta. La ricapitalizzazione di Banca d’Italia altro non è che un trucco per ricapitalizzare le banche italiane anno su anno. Ma credetemi, sono cerotti applicati a uno che ha perso gambe, bacino e intestini su una mina. Il fatto è che ’sti mega-manager neofeudali che siedono a Francoforte, come Draghi, non sanno più come nascondere alla Ue che faranno esplodere le banche DI PROPOSITO di proposito, e con esse i paesi e noi tutti, per poi riportarci alla plebe di 900 anni fa. Progetto neofeudale. Ma lo faranno piano piano, così nessuno se ne accorge. Draghi, poi, siccome deve dimostrare di essere serio e non un criminale (se no come fa quell’ignorante di Travaglio a dire che è “uno serio”?), farà gli esami alle banche a ottobre, i cosiddetti stress-tests.Draghi, come Ghizzoni e tutti gli altri banchieri, sa perfettamente che se questi esami fossero fatti in modo serio rivelerebbero i famosi duemila miliardi di buchi bancari di cui sopra, e soprattutto delle sotto-capitalizzazioni delle banche da far spavento a Godzilla – Deutsche Bank, che è a un effettivo 2,5% invece che essere al 10% come vi sembra?, mentre si è messa in pancia derivati per 20 volte il valore di tutta la ricchezza della Germania? ) – e la corsa sempre delle banche a comprare titoli di Stato italiani e spagnoli a prezzi di molto superiori al loro reale valore rapportato alle reali economie? Lo fanno perché Draghi li sta ingannando con promesse di surplus favolosi fra poco (il famoso Qe che non farà mai), ma sono balle! Quando esploderanno quelli? Vi siete chiesti perché con un’economia italiana ormai a livello del Ghana il nostro Renzi vende dei Btp a prezzi stratosferici e interessi microscopici come fossimo il Giappone?Chiedete sempre a Mario, quel criminale. Credete che una roba del genere possa reggere? I mercati rischiano, ma poi quando la bolla salta, mica ci perdono loro, ci perdi tu sfigato. E allora gli stress-test saranno truccati, patetici teatrini di nessun valore. Così le banche salteranno per aria lentamente una a una e lentamente ci sarà LA SCUSA, DETTATA DAI SOLITI NOTI, PER MASSACRARE LE AZIENDE, I LAVORATORI, I PICCOLI RISPARMIATORI, E LE FAMIGLIE la scusa, dettata dai soliti noti, per massacrare le aziende, i lavoratori, i piccoli risparmiatori e le famiglie bla bla bla bla, velo diciamo da annnnnnniiiiiiiiiiiiiiiii. E sarà giusto così. Perché a quel punto, voi miserabili cazzoni, chiederete aiuto a Renzi, a Grillo e ai suoi puffi in Parlamento, a Celentano, a Benigni, a Balotelli e al SuperEnalotto. Ciao.(Paolo Barnard, “Federico Ghizzoni e Mario Draghi siedono su Chernobyl”, dal blog di Barnard del 5 luglio 2014).http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=883Federico Ghizzoni e Mario Draghi siedono su Chernobyl, il giorno prima del meltdown. E lo sanno. Guardate che ci vuole un sangue freddo indicibile per essere nei loro panni. Ma mentre il primo è uno sfigato, il secondo no. Unicredit, e io l’avevo detto mesi fa, ha un’esposizione da Austria verso est Europa immensa, e questo significa che hanno prestato oceani di euro che non riavranno più. Sono buchi bancari sparsi nei duemila miliardi di euro di buchi bancari di cui soffrono le maggiori banche europee. Oggi arriva la notizia che la terza maggior banca dell’Europa orientale, la Erste Group, austriaca, è di fatto saltata in aria. E indovinate chi sono le altre due? Unicredit e Raiffeisen (svizzera). Non so come stia dormendo Ghizzoni stanotte. Non scherziamo. Le banche europee, e soprattutto quelle maggiori come Bnp, Deutsche e Unicredit, sono fallite: ma non fallite, sono stra-stra-fallite.
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E’ la fine: si stanno comprando tutta l’acqua del mondo
Temete la morte per acqua, recitano i versi della “Terra desolata”. Ma certo Eliot non poteva immaginare di quale morte fosse ambasciatrice l’acqua del terzo millennio: morte dei diritti e della democrazia, fine dell’accesso universale alla risorsa più preziosa. E’ il capolavoro finale dell’élite mondiale: i nuovi oligarchi “rubano” l’acqua a intere popolazioni, confiscano terreni acquiferi, finanziarizzano l’oro blu per farne merce speculativa. E naturalmente ordinano ai politici di privatizzare l’acqua nazionale, facendo scomparire lo Stato come gestore dell’acqua pubblica. E’ una razzia colossale, mondiale, quella dell’acqua su cui allungano le grinfie le mega-banche di Wall Street e i baroni neo-feudali dell’economia. «L’acqua è il prossimo petrolio», ammette la Goldman Sachs, in buona compagnia: con lei Jp Morgan Chase, Citigroup, Ubs e Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, Hsbc e Allianz. Tutti a caccia di acqua. Anche l’ex presidente Bush, il padre di George Walker, in Paraguay sta acquistando terreni che galleggiano sulle falde acquifere più grandi del mondo.Pochi ne parlano, ma lo scenario è sconvolgente, scrive Jo-Shing Yang in un lungo reportage su “Global Research”, il magazine geopolitico canadese. «Stanno comprando acqua in tutto il mondo, ad un ritmo senza precedenti». I boss della finanza planetaria, i maggiori gruppi d’investimento: ricchi magnati, da qualche anno “nuovi baroni dell’acqua”. Grazie alla “crisi” hanno accumulato immense fortune finanziarie, e ora le usano per dare la caccia a «falde acquifere, laghi, diritti di sfruttamento dell’acqua, servizi idrici, società d’ingegneria idraulica ed aziende tecnologiche in tutto il mondo». E mentre i “baroni” sono impegnati in questa inquietante “campagna acquisti”, «i governi stanno rapidamente muovendosi per limitare la capacità dei cittadini di diventare autosufficienti nell’approvvigionamento idrico», rileva Jo-Shing Yang. “Privatizzare” è il verbo neoliberista dell’Ue, così come degli Usa: lo Stato dell’Oregon è giunto a condannare un cittadino, Gary Harrington, per aver osato rendersi autonomo costruendo raccolte per l’acqua piovana.«Il miliardario T. Boone Pickens, ad esempio, può possedere più diritti di sfruttamento dell’acqua rispetto a qualsiasi altra persona in America (compreso il diritto a drenare 65 miliardi di galloni dalla falda acquifera di Ogallala), ma il cittadino Gary Harrington non può raccogliere le acque piovane sui 170 acri del suo terreno privato», protesta Yang, in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”. «E’ un Nuovo Ordine Mondiale veramente strano quello in cui i multimiliardari e le banche elitarie possono tranquillamente possedere falde acquifere e laghi, ma i cittadini comuni non possono nemmeno raccogliere l’acqua piovana nei propri cortili e nei propri terreni». Del resto, «l’acqua è il petrolio del 21° secolo», dichiara Andrew Liveris, ceo della Dow Chemical. «Wall Street – dichiara la Jp Morgan – appare ben consapevole delle opportunità d’investimento nelle infrastrutture per l’approvvigionamento idrico, nel trattamento delle acque reflue e nelle tecnologie per la gestione della domanda».«La vera storia del settore idrico globale è veramente contorta, e coinvolge il “capitale globalizzato interconnesso”», spiega l’analista di “Global Research”. «Wall Street e le società d’investimento globali, le banche e le altre imprese private – valicando i confini nazionali e collaborando fra loro, ma anche con le banche e gli hedge-funds, con le aziende tecnologiche e con i colossi assicurativi, con i fondi-pensione (pubblici e regionali) e con i fondi-sovrani – si stanno muovendo con molta rapidità non solo per acquistare i diritti di sfruttamento e le tecnologie di trattamento delle acque, ma anche per privatizzare i servizi idrici e le infrastrutture pubbliche». Ci siamo: nel corso del prossimo decennio, Wall Street si sta preparando a impossessarsi delle riserve idriche globali. A partire dal 2006, precisa Jo-Shing Yang, la sola Goldman Sachs ha accumulato più di 10 miliardi di dollari da investire nelle infrastrutture, comprese quelle idriche. Secondo il “New York Times”, i maggiori gruppi finanziari – dalla Morgan Stanley al Carlyle Group – hanno raccolto qualcosa come 250 miliardi di dollari da destinare a investimenti sulle infrastrutture-chiave.«Con il termine “acqua” – continua il ricercatore – intendo i diritti di sfruttamento (acque sotterranee, falde acquifere e fiumi), i terreni dotati di riserve d’acqua (ovvero laghi, stagni, sorgenti naturali o sotterranee), i progetti di desalinizzazione, le tecnologie per la depurazione e il trattamento delle acque, l’irrigazione e le tecnologie per la perforazione dei pozzi, i servizi idrici ed igienico-sanitari di pubblica utilità, la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture idriche (condotti per il trasporto su grandi distanze e per la piccola distribuzione, impianti di depurazione per usi residenziali, commerciali, industriali e comunali), i servizi di ingegneria (progettazione e costruzione di impianti idrici), il settore della vendita al dettaglio (produzione e vendita di acqua in bottiglia, distributori automatici, trasporto di acqua in bottiglia e servizi di consegna, autobotti)». In pratica, tutta l’acqua del mondo (occidentale) sarà loro. Proprietà privata.Impressionante il primo dossier presentato già nel 2008 da “Global Research”. Per la Goldman Sachs, la merce-acqua vale 425 miliardi di dollari. Una penuria idrica sarebbe una minaccia molto più grave di una crisi energetica o alimentare. Quindi è venuto il momento di “investire” su un bene così prezioso, in vista di guadagni enormi: «La Goldman Sachs sta preparandosi a divorare aziende del servizio idrico, società d’ingegneria e risorse idriche in tutto il mondo». Veolia, Suez, Uk’s Southern Water: tutte le multi-utility dell’acqua sono nel mirino degli “investitori”, gli stessi che hanno fatto miliardi – inguaiando interi popoli – con i titoli-spazzatura della finanza-truffa. Fanno gola società come la China Water and Drinks, «da quando la Cina è diventata il paese asiatico coi più grossi problemi per le forniture d’acqua». A Reno, nel Nevada, la Goldman ha proposto di “privatizzare” per 50 anni l’acqua dello Stato, in difficoltà a causa del calo delle entrate fiscali. E’ il segno – apocalittico – della nuova éra: per Willem Buitler, capo-economista di Citigroup, «l’acqua (intesa come “asset”) diventerà la più importante commodity fisica, e farà impallidire petrolio, rame, materie prime agricole e metalli preziosi».La piovra dell’acqua non conosce limiti, include la fratturazione idraulica (il fracking), e si espande in tutto il mondo. Per Credit Suisse, l’acqua sta diventando «il principale mega-trend del nostro tempo». La Jp Morgan, controllata dalla famiglia Rockefeller e specializzata nell’allevare insider famosi (Tony Blair) per condizionare governanti (fino a Matteo Renzi) punta dritto all’acquisizione di infrastrutture pubbliche, mediante privatizzazioni. Risale al 2008 il report di 60 pagine intitolato “Watch Water: una guida per valutare i rischi aziendali in un mondo assetato”. Da Wall Street a Berlino: presente in 70 paesi, l’Allianz Group ritiene che l’acqua sia «sottovalutata e sottoprezzata». Per il Water Fund di Francoforte, l’acqua dovrà essere pagata molto di più, così da motivare “investimenti” anche in paesi come la Cina e l’India. Dalla Deusche Bank alla Merryll Lynch (poi Bank of America) sarà un affare d’oro anche l’acqua europea, una volta privatizzata in via definitiva.Fondi d’investimento, fondi pensione, fondi “sovrani”: tutti soci, per il business per secolo. Non mancano i grandi nomi di sempre, come Warren Buffett che s’è comprato la Nalco, società per il trattamento delle acque, e nuovi miliardari come Manuel Pangilinan, che dalle Filippine sta “prenotando” l’acqua del Vietnam. Dal canto suo, la famiglia Bush possiede terreni per quasi mezzo milione di acri in Paraguay, al confine con Brasile e Bolivia: terreni che sovrastano l’Acuifero Guaranì, cioè la più grande falda idrica del mondo, più grande del Texas e della California messi insieme, capace di rifornire tutto il mondo di acqua potabile per 200 anni. «La febbre per la privatizzazione dell’acqua e delle infrastrutture è inarrestabile», conclude Jo-Shing Yang: molti governi a corto di denaro stanno per cedere alle maxi-offerte milionarie della finanza. «Le élites multinazionali e le banche di Wall Street si sono preparate per anni in attesa di questo momento d’oro. Nel corso degli ultimi anni hanno accumulato imponenti war-chests per la privatizzazione dell’acqua, dei servizi comunali e delle “utilities” di tutto il mondo. Sarà estremamente difficile invertire questa tendenza».http://comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13486Temete la morte per acqua, recitano i versi della “Terra desolata”. Ma certo Eliot non poteva immaginare di quale morte fosse ambasciatrice l’acqua del terzo millennio: morte dei diritti e della democrazia, fine dell’accesso universale alla risorsa più preziosa. E’ il capolavoro finale dell’élite mondiale: i nuovi oligarchi “rubano” l’acqua a intere popolazioni, confiscano terreni acquiferi, finanziarizzano l’oro blu per farne merce speculativa. E naturalmente ordinano ai politici di privatizzare l’acqua nazionale, facendo scomparire lo Stato come gestore dell’acqua pubblica. E’ una razzia colossale, mondiale, quella dell’acqua su cui allungano le grinfie le mega-banche di Wall Street e i baroni neo-feudali dell’economia. «L’acqua è il prossimo petrolio», ammette la Goldman Sachs, in buona compagnia: con lei Jp Morgan Chase, Citigroup, Ubs e Deutsche Bank, Barclays e Credit Suisse, Hsbc e Allianz. Tutti a caccia di acqua. Anche l’ex presidente Bush, il padre di George Walker, in Paraguay sta acquistando terreni che galleggiano sulle falde acquifere più grandi del mondo.
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Pritchard: Europa alla fame, se l’euro dura ancora 5 anni
Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.Questa strategia assurda non aiuterà nessuno. E la domanda che le leadership devono porsi è: quanto può durare questa situazione senza che ci sia una reazione politica? In Francia e in Italia sta prendendo sempre più piede l’idea che, per salvare il resto del progetto europeo, è necessario pensare ad uno smantellamento coordinato dell’euro. E’ su questo punto che la politica deve iniziare a ragionare in modo costruttivo per evitare future reazioni a catena fuori controllo. Al momento non è utile fare previsioni sul futuro della zona euro, e proverei a ribaltare la questione in questo modo: non bisogna più parlare di rischio di rottura, ma il rischio reale e drammatico è che l’euro possa sopravvivere per altri cinque anni, producendo danni inimmaginabili ai paesi del sud dell’Europa. Il “decennio perso” dell’Europa si concluderebbe poi con uno scenario economico mondiale molto diverso da come era iniziato e l’intero continente vivrebbe totalmente ai margini. Il rischio vero è che l’euro sopravviva ancora. Ed è un rischio terribile per il futuro delle nazioni europee.In Italia, ad esempio, la disoccupazione giovanile è al 46% e questo in una fase di espansione globale. Riflettete su questo: a 5 anni dall’inizio della ripresa globale dopo la crisi Lehman Brothers, la disoccupazione giovanile in Italia è al 46%! E’ il tragico risultato delle scelte perseguite all’interno dell’Unione Europea e nella zona euro. Detto in altri termini è l’inevitabile suicidio di scegliere contemporaneamente politiche fiscali e monetarie restrittive. Questo, perlopiù, in una fase in cui le banche hanno ristretto l’accesso al credito all’economia reale per rispettare i nuovi regolamenti e la contrazione dei prestiti ha portato al fallimento di un numero incredibile di piccole imprese in Italia e in tutta l’Europa del sud. Anche nel Regno Unito abbiamo utilizzato misure di austerità fiscale, ma accompagnate da una grande spinta monetaria e lo stesso è accaduto negli Usa. In Europa si è scelto il suicidio economico di intere nazioni.L’economia italiana si è contratta nel primo trimestre dell’anno. E la ripresa, a differenza di quello che avevano annunciato, semplicemente non sta avvenendo. Lo stesso accade in Olanda, in Portogallo e in Spagna. La sola ragione per cui c’è un’apparente crescita in Spagna è il modo in cui viene ora calcolato il Pil. Un’analisi accurata mostra, tuttavia, come anche Madrid non sta crescendo. E tutti i paesi del sud, in ultima analisi, si stanno contraendo, con la Francia che è in stagnazione. Si tratta di una situazione paradossale, se si ragiona in un quadro di ripresa globale ormai consolidata: se a 5 anni dalla crisi Lehman Brothers, e con un contesto internazionale migliorato, l’economia dell’area euro non è ancora al sicuro e ha ancora una situazione di disoccupazione di massa drammatica e duratura, vuol dire che c’è qualcosa di profondo che non funziona.La contrazione del Pil nominale italiano negli ultimi due anni è un fallimento politico di proporzioni storiche e non sarebbe mai dovuto accadere. La riduzione del debito pubblico e privato per i paesi del sud è praticamente impossibile in una situazione di deflazione. Ho intervistato recentemente l’ufficiale del Fmi nelle operazioni della Troika in Irlanda e lui mi ha detto che Italia e Spagna per avere un debito sostenibile nel medio periodo hanno bisogno di un tasso d’inflazione della zona euro al 2% per oltre cinque anni consecutivi. E questo è confermato in una serie di paper del Fmi che hanno sottolineato come la traiettoria del debito sia fuori controllo in un contesto di bassissima inflazione. Se la periferia della zona euro ha “successo” nell’adempiere a quanto prescritto da Bruxelles-Berlino-Francoforte, crea una situazione di svalutazione interna e per riguadagnare competitività con la Germania si abbatte il Pil nominale, rendendo fuori controllo la traiettoria del debito. Se raggiungi quello che Bruxelles ti sta chiedendo, in poche parole, vai in bancarotta. E’ la conseguenza del “successo”.Non so se le autorità monetarie europee si siano mai poste questa domanda: perchè hanno imposto queste politiche ai paesi se il loro successo rende la situazione peggiore di quella precedente? Esiste una ragione credibile a livello economico sul perché la Bce non vuole raggiungere gli obiettivi di politica monetaria e per un periodo così lungo? No, non c’è. Un’inflazione prossima allo zero costa all’Italia il 2,6% del Pil per raggiungere lo stesso obiettivo che potrebbe essere raggiunto se solo la Bce rispettasse gli obiettivi imposti dai trattati. Questa situazione di bassissima inflazione è disastrosa per il futuro economico dell’Italia. Quando Mario Draghi ha lanciato il programma Omt – Outgriht Monetary Transactions – nell’agosto del 2012 è cambiato tutto. L’euro stava per fallire a luglio, con Italia e Spagna che erano in una grande crisi di finanziamento del proprio debito e la moneta unica era molto vicina al collasso. Angela Merkel stava pensando di espellere la Grecia dalla zona euro e solo quando ha accertato che ci sarebbero stati troppi pericoli per il contagio di Italia e Spagna, Berlino ha accettato il piano ideato dal ministero delle finanze tedesco, che si è trasformato poi nel programma Omt.Poche persone hanno compreso bene questa fase storica: non è la Bce, ma la Germania che ha cambiato politica, trasformando l’istituto di Draghi in una prestatore di ultima istanza. Da allora la crisi della zona euro è completamente diversa e non c’è più il rischio che l’euro possa esplodere per un fallimento bancario. Ma bisogna stare attenti perché la Corte Costituzionale tedesca ha stabilito che l’Omt di Draghi rappresenta una violazione dei trattati. Il pericolo sistemico esiste ancora e si può arrivare ad una rottura per ragioni differenti: i paesi del sud vivranno una situazione di depressione economica permanente, che produrrà danni ai settori industriali nevralgici per la vita dei diversi paesi e una situazione politicamente insostenibile nel lungo periodo. Le elezioni di partiti radicali potrebbero quindi forzare il cambiamento e modificare l’intero progetto.In Gran Bretagna, l’Ukip costringerà il partito conservatore di Cameron – che è personalmente pro-Europa rispetto ad un’ala sempre più influente di Tory che la pensa come l’Ukip – a cambiare posizione, perché il messaggio a Bruxelles nelle ultime elezioni è stato chiaro: il popolo britannico non tollera più una perdita di sovranità continua. Quando in Francia a vincere è un partito che, una volta al potere, vuole – come mi ha confermato Marine Le Pen in un’intervista – ordinare al Tesoro francese di attivarsi per il ritorno immediato al franco, la questione rimane centrale nel dibattito. Come reagiranno ora i gollisti e i conservatori moderati a questo messaggio del popolo francese alle elezioni europee e alla distruzione dell’industria storica francese? Se il Fronte Nazionale dovesse vincere le elezioni, la Francia non rispetterà il Fiscal Comapct e questa ridicola legislazione decisa da Bruxelles. Gli altri partiti non possono più ignorarlo.Ci sono due possibili vie: i paesi della periferia comprenderanno che la permanenza nella zona euro richiede un numero di sacrifici non più tollerabili e decideranno di uscirne; oppure, ad esempio insieme all’Olanda che è in una situazione similare, prenderanno possesso in modo coordinato delle istituzioni che controllano la politica economica dell’Ue, imponendo il cambiamento in linea con le loro esigenze. Sarei molto sorpreso se si realizzasse quest’ultima alternativa, dato che questi paesi non hanno certo il coltello da parte del manico e già in passato Hollande ha fallito nel creare un consenso con i paesi mediterranei. Ma anche se dovessero riuscirci, il rischio della zona euro sarebbe poi l’opposto, vale a dire un’uscita della Germania, che non accetterebbe mai politiche inflazionistiche.(Ambrose Evans-Pritchard, dichiarazioni rilasciate ad Alessandro Bianchi per l’intervista “Il vero rischio non è la sua fine, ma che l’euro sopravviva altri cinque anni: le conseguenze sarebbero drammatiche”, pubblicata da “L’Antidiplomatico” il 4 giugno 2014).Il problema centrale all’origine di tutta la crisi della zona euro è il conflitto fondamentale d’interesse e di destino tra i paesi del sud e la Germania su come risolvere l’immenso gap di competitività. Questa questione rimane irrisolta e, secondo me, è semplicemente senza soluzione. I paesi del sud sono costretti ad una permanente svalutazione interna ed hanno bisogno di imporre politiche espansionistiche che rilancino la domanda, ma che costringerebbero la Germania ad uscire dall’euro per un tasso d’inflazione che Berlino non potrebbe accettare. E’ un rebus senza soluzione. La situazione non può essere risolta e prima la zona euro finirà, meglio sarà per tutti. L’alternativa? Sono 15-20 anni di depressione per la periferia imposti dall’attuazione delle regole del Fiscal Compact, che, in una fase di calo demografico e diminuzione della forza lavoro, produrranno scenari drammatici al tessuto economico e sociale di queste nazioni.
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Non trovi lavoro? Ti ha fregato Joseph Lee, 358 anni fa
Prendi il paradigma sociale, quello che oggi suona come una canzone di Gigliola Cinguetti, cioè una roba vecchia, da nonne. Prendilo e pensa a cosa vuole dire. Vuol dire che noi umani viviamo in gruppi, e siccome siamo tutti collegati, ci conviene avere un sistema dove ogni individuo mette un poco del suo per creare una rete di sicurezza comune. Così, se a chiunque capita una sventura, casca nella rete di sicurezza, non si sfracella al suolo, e tutto il sistema continua senza troppi danni. Logico, fila come l’olio. Eppure l’hanno distrutta, la rete. Si chiamava Stato (Sociale). Oggi va di moda un paradigma diverso, che è questo: noi viviamo in gruppi, ma l’individuo è sacro e sovrano, deve poter fare quello che vuole, e soprattutto è personalmente responsabile della sua fortuna/sventura. Faccia il suo interesse individuale con meno regole possibili, lo Stato non deve metterci bocca, e alla fine tutta la società ne trarrà profitto. Questo paradigma si chiama con un nome francese, il Laissez Faire, lasciate fare.Ora mi prudono le dita, comincerei un trattato di 80 pagine su come il Laissez Faire sia diventato modernità, dogma economico unico, Eurozona, Austerità, morte del sociale, morte dei diritti, disoccupazione di massa, Economicidio, etc. Ma no. Ancora solo pochissime righe. Vi faccio notare come funziona il Vero Potere. Prima lezione: quanto vecchie sono le sue idee. Questo mi affascina del Vero Potere. Esso non cambia mai idea, mai. Stabilì i suoi principi secoli fa, e li ripropone oggi identici sotto le vetrate da terzo millennio dell’Eurotower di Francoforte. Il Laissez Faire nasce in particolare nel 1656 da un tizio di nome Josph Lee, che lasciò scritto questo: «E’ una massima innegabile che ciascuno, per la luce della natura e della ragione, farà ciò che torna a suo maggior vantaggio… Il progredire della singola persona tornerà a vantaggio della comunità».Da allora il principio non è mai cambiato. I Neofeudali del Vero Potere lo hanno oggi portato all’apice, con la distruzione della sovranità di spesa degli Stati in Eurozona, dove viene proibito alla collettività di sborsare anche un singolo centesimo per creare il VERO lavoro. Non è la collettività che deve fare rete di sicurezza, mai! L’individuo si arrangi, sgomiti, o si riduca la vita a scaricare bancali all’Ikea dopo 6 anni di università, spacci, lecchi scarpe, faccia la puttana, si arricchisca sulla miseria di milioni di altri, o crepi. E se crepa è colpa sua, “voleva dire che era un inetto” (Margaret Thatcher, Monti, Barroso, Rehn, Amato, Draghi, Lagarde, tutti Mr & Ms Laissez Faire).Un Programma di Piena Occupazione finanziato dallo Stato, a reddito degno per il 100% dei disoccupati italiani, secondo la Mosler Economics Mmt, e che ti salverebbe vita, la dignità e i figli, caro disoccupato, è impossibile in un sistema odierno di Laissez Faire. Mi spiace, anzi, sorry, visto che lo devi a Mr. Joseph Lee che era inglese, e ti ha fottuto 358 anni fa. Il Vero Potere è antico, non cambia mai le sue idee. Impara a conoscerlo, che magari poi sei tu che lo fotti. Se lo conosci lo fotti (qualcuno lo dica ai 5 stelle).(Paolo Barnard, “Non trovi lavoro, ti ha fottuto Joseph Lee 358 anni fa”, dal blog di Barnard dell’11 maggio 2014).Prendi il paradigma sociale, quello che oggi suona come una canzone di Gigliola Cinguetti, cioè una roba vecchia, da nonne. Prendilo e pensa a cosa vuole dire. Vuol dire che noi umani viviamo in gruppi, e siccome siamo tutti collegati, ci conviene avere un sistema dove ogni individuo mette un poco del suo per creare una rete di sicurezza comune. Così, se a chiunque capita una sventura, casca nella rete di sicurezza, non si sfracella al suolo, e tutto il sistema continua senza troppi danni. Logico, fila come l’olio. Eppure l’hanno distrutta, la rete. Si chiamava Stato (Sociale). Oggi va di moda un paradigma diverso, che è questo: noi viviamo in gruppi, ma l’individuo è sacro e sovrano, deve poter fare quello che vuole, e soprattutto è personalmente responsabile della sua fortuna/sventura. Faccia il suo interesse individuale con meno regole possibili, lo Stato non deve metterci bocca, e alla fine tutta la società ne trarrà profitto. Questo paradigma si chiama con un nome francese, il Laissez Faire, lasciate fare.
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De Iulio: e adesso i padroni di Renzi ci faranno a pezzi
«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».Campane a morto per la nostra democrazia in via di avanzata rottamazione, dall’abolizione del Senato al micidiale Italicum che impedisce agli elettori di selezionare i propri dirigenti. «Nessuna reale opposizione allo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali e allo strapotere delle lobby del petrolio e del carbone», continua De Iulio. «Nessuna reale possibilità si salvaguardare lo “stato sociale” a garanzia dei cittadini, destinato a soccombere definitivamente sotto i colpi di machete del (neo)liberismo. Niente. Niente di niente. Soltanto chiacchiere e distintivo». E’ il seppellimento di qualsiasi possibile alternativa democratica: con o senza «le stampelle offerte da Alfano, i baci di giuda di Berlusconi e l’appoggio “responsabile” di altri possibili compagni di merende», il Pd renziano ormai rappresenta «il tentativo riuscito di dare vita a una nuova grande forza di centrodestra, capace di mettere insieme i potentati e le tante forze conservatrici di questo nostro martoriato paese, con buona pace della vecchia Democrazia Cristiana».De Iulio è pessimista: non vede nessuna reale possibilità che la politica uscita dalle urne delle europee possa «anche soltanto lontanamente provare a cambiare veramente le cose, a invertire la rotta», per evitare «la catastrofe sociale che ci attende», e che è già abbondantemente cominciata. Gli ominicchi della politica italiana? «Riciclati, invece che rottamati: una palude nefasta». Frammentate le opposizioni, sotto il 4% “Fratelli d’Italia”, isolata la Lega di Salvini. Tsipras, comunque tiepido sull’euro, si è fermato sull’orlo dell’esclusione, mentre l’iper-favorito Grillo – nonostante il programma che prometteva un referendum sulla moneta unica e il rituale “no al Fiscal Compact” – ha preferito concentrarsi sui piccoli ladri dell’Expo di Milano, anziché sui grandi ladri della nostra democrazia, che siedono a Bruxelles e a Francoforte, a Washington e a Wall Street, senza peraltro proferire verbo sulla catastrofica crisi dell’Est Europa, che mette in pericolo il futuro di tutti. Onestamente: «Occasione persa? Sì».«Ci siamo svegliati in un brutto sogno», ammette Pier Francesco De Iulio su “Megachip”, di fronte alla nuova “notte della repubblica” che cala sul paese che fu di Berlusconi. «A tutti coloro che nutrivano aspettative in un cambiamento radicale della nostra rappresentanza politica bisogna parlare con franchezza: rassegnatevi», perché «il vecchio che avanza segna una vittoria elettorale di proporzioni bulgare». La peggiore delle notizie: Matteo Renzi e il suo Pd ipotecano la politica italiana, «e probabilmente lo faranno a lungo». Non ci sarà nessun nuovo corso: «Tutto previsto. Tutto ampiamente annunciato in campagna elettorale». Nessuna reale opposizione al regime di austerity europeo e nessuna opposizione ai diktat degli Usa sull’economia – il Ttip, Trattato Transatlantico – e sulla geopolitica, dal Medio Oriente all’Ucraina. E ancora: «Nessuna reale opposizione alla politica economica delle privatizzazioni selvagge e alla precarizzazione del mondo del lavoro».
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Pritchard: così l’euro-sinistra ha svenduto i popoli all’élite
«Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite». In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i migliori interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il frutto migliore che la sinistra europea sia stata capace di creare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.«Uno dopo l’altro, la stanno pagando tutti», scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un’analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”. Primo esempio, i Paesi Bassi: «Il partito laburista olandese che diede vita al “Polder Model” e amministrò l’Olanda per mezzo secolo ha perso i suoi bastioni a Amsterdam, Rotterdam e Utrecht, i suoi sostenitori sono scesi al 10% per aver timidamente approvato le politiche di austerità che hanno portato alla deflazione e ad un abbattimento del valore immobiliare tanto da arrivare a ipoteche sul 25% di patrimoni netti negativi». Le politiche recessive «sono velenose per i paesi che già hanno problemi». L’indebitamento delle famiglie olandesi è passato dal 230% al 250% del reddito disponibile dal 2008 a oggi, mentre il debito dei britannici (che si sono tenuti la sterlina) è sceso da 151% al 133% nello stesso periodo. E’ tutta colpa del rigore imposto da Bruxelles, ma il partito laburista olandese «non può fare nessuna critica coerente, perché il suo orientamento pro-Ue lo costringe quasi al silenzio».«Il Partito Socialista non ha mai creduto nell’euro e non ci crediamo nemmeno adesso: dobbiamo quindi smettere di chiedere sempre più sacrifici per mantenerlo», ha detto Dennis de Jong, il leader del partito a Strasburgo che si appella a un “Piano B” per smantellare l’unione monetaria in modo ordinato». In Grecia, il socialista Pasok che ha guidato il paese verso la democrazia dopo la dittatura dei “colonnelli”, è sceso al 5,5%: un guscio svuotato da Syriza, che ora con il 25% di voti promette di strappare Atene dalle grinfie della Troika Ue. «Il Pasok si è meritato il suo annientamento», scrive il notista del “Telepgraph”: «Ha cospirato nel colpo di stato fatto nel retrobottega a novembre 2011, ancora una volta accettando le richieste dell’Ue per rovesciare il proprio primo ministro e per annullare il referendum della Grecia sul bail-out. Rinunciò, allora, ad una prova di forza catartica e necessaria con Bruxelles, per la troppa paura di rischiare l’espulsione dall’euro. Questo referendum si farà adesso: Tsipras ha trasformato le elezioni europee di questa settimana in un verdetto sulla servitù del debito».Se si può capire la paura della sinistra nei paesi periferici, aggiunge Evans-Pritchard, «il mistero è il motivo per cui un presidente socialista francese, con una maggioranza parlamentare, debba subire passivamente le politiche che stanno fiaccando la linfa vitale dell’economia francese e che stanno distruggendo la sua presidenza». François Hollande ha vinto due anni fa puntando sulla crescita e promettendo di bocciare il Fiscal Compact. Da quando è in carica, però, la disoccupazione francese è salita dal 10,1 al 10,4%, la crescita del Pil è scesa a zero e anche nell’ultimo trimestre la Francia ha perso 23.600 posti di lavoro, dopo i 57.000 perduti nel 2013. Sicché, secondo l’ultimo sondaggio Ifop, l’indice di gradimento di Hollande è crollato sotto il 18%: il peggiore da sempre per un leader francese. «La sua retorica del New Deal non ha portato a niente». Hollande «è capitolato sul Fiscal Compact, accettando una camicia di forza che obbliga la Francia a tagliare il debito pubblico ogni anno per un importo fisso per due decenni, fino a quando non sarà scesi al 60% del Pil, a prescindere dalla demografia o dal gap che esista nel settore privato o dalle esigenze di investimento dell’economia».La sua presidenza? «E’ stata tutto uno spettacolo dell’orrore di pacchetti di austerità, uno dopo l’altro, un circolo vizioso di maggiori imposte che fanno abortire qualsiasi recupero e lo debilitano con un effetto moltiplicatore che peggiora la situazione». Inasprimento fiscale nonostante il disavanzo: è la ricetta per il suicidio, se la Bce non interviene per compensare con iniezioni di denaro. «La risposta di Hollande è stata un raddoppio del rigore per infiocchettare il pacchetto: ha ceduto alle richieste di Bruxelles per altri 50 miliardi di euro di austerità nei prossimi tre anni». Questa volta, «la scure cadrà sulla spesa pubblica, arrivata al 57% del Pil». Inoltre, «ci saranno radicali riforme del lavoro, una variante della terapia-shock Hartz IV che servì per fottere i salari tedeschi dieci anni fa». In altre parole: se il socialista Hollande ha fatto pace con le grandi imprese, «sarà l’austerità a farlo a fette».Hollande si era prodigato per una “alleanza latina” per contrastare i deflattori quando presero il potere e per costringere la Germania a mettere il veto sulle azioni della Bce. Quella momentanea dimostrazione di grinta aveva spinto Draghi verso un piano di retromarcia sul debito italiano e spagnolo nel mese di agosto 2012, aiutato molto da Washington, ma poi non è andato avanti «e la Spagna ha continuato per la sua strada, come se fosse una Prussia del Sud o una nuova Tigre latina». La Bce? «Ancora una volta ha continuato a rigirarsi i pollici, incurante della deflazione». Francoforte «ha lasciato che i vincoli negativi bloccassero il bilancio francese facendolo ridurre di 800 miliardi, mentre l’euro si è rivalutato dell’ 8% contro lo yuan e del 15% contro lo yen, in un anno». Mentre gran parte del mondo sta cercando di tener basso il cambio delle valute e la deflazione delle esportazioni, l’Europa «è rimasta l’unica e tenersi tutto il pacco sulle spalle».I francesi non possono accettare di morire per asfissia economica: «La Francia è il cuore pulsante dell’Europa, l’unico paese con una statura di civiltà capace di condurre una rivolta e di prendersi carico della macchina politica dell’Unione Monetaria. Ma per scoprire il bluff della Germania, con una minima credibilità, Hollande dovrebbe essere pronto a rovesciare tutto il progetto dalle sue fondamenta e persino a rischiare una rottura sull’euro». Ed è quello che non farà mai. «Tutta la sua vita politica, da Mitterrand a Maastricht, è stata intessuta negli affari europei». Hollande «è prigioniero dell’ideologia di questo progetto, convinto come è che un condominio franco-tedesco rimanga la leva del potere francese e che sia l’euro a tenere legati i due paesi». Lo statista francese Jean-Pierre Chevenement confronta l’acquiescenza di Hollande con il corso rovinoso dei decreti deflazionistici di Pierre Laval nel 1935 durate il Gold Standard, cioè «l’ultima volta che un leader francese pensò di dover cavare sangue dal suo paese per difendere il vezzo di un cambio fisso».E’ la verità brutale, aggiunge Evans-Pritchard: «I socialisti francesi pensavano di non avere nulla da temere dall’ascesa del Fronte Nazionale, un partito che si prepara a sfruttare la furia prorompente dalla “France Profonde”, con l’impegno di ripristinare il controllo sovrano francese su tutto ciò che conta nella nazione, e che ha messo l’euro al primo posto tra i suoi compiti». I socialisti pensavano che il Fn avrebbe tolto voti ai gollisti, dividendo la destra? Errore: Marine Le Pen «sta dilaniando, con lo stesso vigore, anche le loro proprie roccaforti della classe operaia». Hanno sottovalutato la Le Pen, ora quotata al 24%, e sono scivolati al terzo posto, travolti dal “lepenismo di sinistra”, nuovo guardiano del welfare francese. I socialisti «non hanno nessuna risposta» da opporre agli attacchi del Fn sulla “austerità insensata” e “le politiche monetarie folli della Bce”, che continuano a intaccare il nucleo industriale della Francia. La Le Pen ripete che il prgetto dell’euro coincide con la disoccupazione di massa? «E’ tutto vero», dice Evans-Pritchard, ed è per questo che Hollande non sa cosa rispondere a Marine Le Pen.Tutto cominciò con il “referendum rubato”, la fatidica decisione di approvare il Trattato di Lisbona senza farlo votare, dopo che il popolo francese aveva già respinto un testo quasi identico chiamato “Costituzione europea”. «Nella scelta di ignorare la scelta del popolo del maggio 2005 – scrive Evans-Pritchard – i leader francesi hanno anticipato tutto quello che stiamo vedendo ora in Europa», ovvero «le scosse di assestamento di quel terremoto anti-democratico in Europa», per dirla con Coralie Delaume e il suo “Gli Stati Disuniti d’Europa”. «I socialisti dicono che è un oltraggio rifiutare un referendum su Lisbona, ma quando venne il momento di votarlo in parlamento, 142 deputati e senatori si astennero, e 30 votarono a favore del Trattato e diedero al presidente Nicolas Sarkozy la maggioranza dei tre quinti», ricorda Evans-Pritchard. «Le élite pensavano di essersela cavata con le loro prestidigitazioni su Lisbona? Non se l’erano cavata affatto», ma è ormai storia lo squallore del centrosinistra europeo, senza il quale l’oligarchia neoliberista non arebbe mai potuto imporre la crisi, attraverso il progetto neo-feudale chiamato euro.«Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite». In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i più inflessibili interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il traguardo più avanzato che la sinistra europea sia stata capace di centrare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.
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Europee, contro il Pd di Renzi l’unico vero “voto utile”
La confusione è grande, perché non esiste un piano-B sufficientemente chiaro: non c’è ancora un possibile governo per l’alternativa, a cominciare dall’economia. Rispetto alle politiche 2013, però, la situazione si è molto chiarita: la crisi sta devastando famiglie e imprese, e la protesta contro Bruxelles ormai dilaga in tutta Europa, da Londra a Parigi. Si improvvisano liste no-euro per cogliere il vento favorevole, mentre sul fronte opposto fioccano scongiuri: ma sono motivati dalla scarsa credibilità attribuita a molte espressioni no-euro, piuttosto che da una reale convinzione nelle virtù della moneta unica, il cui fallimento disastroso è ormai sotto gli occhi di tutti. I critici più coerenti, sulle barricate da anni contro l’anomalo regime monetario di Francoforte, unico al mondo, invitano a non considerare affatto un fallimento quello dell’euro, bensì il perfetto compimento – col massimo profitto possibile – del piano oligarchico di cui l’euro sarebbe il braccio armato: ridurre gli Stati all’impotenza e preparare la loro resa definitiva alle ragioni del più forte, cioè il capitalismo globalizzato che oggi si rifugia nella speculazione finanziaria e nella razzia ai danni dello Stato, non potendo più ricorrere, come prima, al consueto saccheggio del colonialismo industriale a spese del terzo mondo.La situazione geopolitica si va facendo esplosiva, con gli Stati Uniti che accerchiano la Cina nel Pacifico e intanto in Ucraina logorano il più importante alleato dei cinesi, la Russia, con la piena collaborazione di un’Europa-fantasma, domani al guinzaglio anche sul piano commerciale grazie al varo del Trattato Transatlantico, che minaccia di porre fine alla storica sovranità giuridica europea in materia di libero scambio, agricoltura, energia, salute, lavoro, pensioni, sicurezza alimentare. Nell’offerta elettorale italiana, per molti aspetti sconcertante, uno spettro variegato di forze – da destra a sinistra – denuncia perlomeno alcuni aspetti della crisi. Una sola, il Pd, procede invece a rullo compressore verso un regime di devastante pericolosità. Jobs Act e precariato obbligatorio, abolizione del Senato, legge elettorale liberticida: secondo i maggiori giuristi è a rischio la sopravvivenza stessa della democrazia, o di quel che ne rimane, grazie soprattutto al soggetto politico prescelto per tenere l’Italia in stato di sofferenza, sprofondando il paese in una depressione irreversibile. Se una vera soluzione non c’è ancora, milioni di elettori andranno alle urne il 25 maggio con in testa un’idea precisa: la convizione che ogni voto contro il Pd di Renzi sia un voto utile.Fermare il Bugiardo di Firenze, in qualunque modo. Per milioni di elettori, molestati dal debordante presenzialismo televisivo del premier, è la vera missione del voto del 25 maggio. Vale tutto: qualsiasi lista – da Tsipras a Fratelli d’Italia – può servire a sbarrare la strada a quello che la maggioranza relativa degli italiani ormai considera il pericolo numero uno per il paese, il Pd, percepito come il partito di gran lunga più compromesso coi “nemici” storici dell’Italia. Partito che ora, con Renzi, si appresta a sfrerrare il colpo di grazia di fronte al quale Berlusconi e persino Monti avevano esitato. Vecchia, triste regola degli ultimi decenni: il super-potere sceglie la sinistra (intesa come partiti) per colpire a fondo i ceti popolari. Così Prodi, D’Alema e Amato introdussero privatizzazioni, tagli e flessibilità, producendo sofferenze e precariato. Oggi, il partito del super-potere euroatlantico teme l’antagonista Grillo, e gli oppone il giovane Matteo. Obiettivo: fingere di innovare il paese e in realtà smantellare quel che resta dello Stato, a beneficio del grande capitale finanziario che si appresta a banchettare su pensioni e sanità, scuola, servizi vitali, acqua potabile, trasporti.
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Goldman: prima che Draghi vi aiuti, dovrete peggiorare
Dobbiamo soffrore ancora, e parecchio. Così sta scritto. Nel libro del destino, o meglio in quello della Goldman Sachs, uno dei massimi super-poteri finanziari del pianeta. Sono loro, gli strateghi della mega-banca d’affari, a “spiegarci” che solo tra un po’, quando le condizioni europee saranno ulteriormente peggiorate, Mario Draghi potrà mettere mano al denaro della Bce e usarlo per soccorrere la nostra economia disastrata. Lo rivela Andrew Wilson, dirigente della Goldman Sachs, in un’intervista a “Bloomberg” che non è sfuggita a Paolo a Barnard. «Nelle condizioni in cui ci troviamo – un esempio: i settori del commercio al dettaglio e dell’edilizia italiana sono ai peggiori livelli d’Europa assieme alla Francia, più gli altri dati da orrore – e dato che il denaro oggi l’ha in mano l’imperatore neofeudale Mario Draghi alla Bce, l’unica soluzione – a parte uscire dall’Eurozona – sarebbe che la Bce aprisse i rubinetti dei soldi». Domanda: «Cosa diavolo aspetta Draghi a darci quell’ossigeno? Perché se ne sta a Francoforte a guardare coi suoi occhi da pesce morto un’Europa che sprofonda, e non agisce. Ma perché?».Quello che Draghi dovrebbe fare è una semplice operazione di Qe, quantitative easing. Ovvero: «La Bce si mette a comprare titoli di Stato a man bassa». Secondo Barnard, il quantitative easing «non funziona, è tutto sbagliato», ma oggi – in una situazione di catastrofe – questo non conta. «Gli investitori e Draghi stesso non lo sanno, credetemi (chi lo sa bene sono i migliori analisti americani, infatti il Qe americano non ha risolto nulla di concreto). Quindi Draghi e investitori credono che il Qe salverebbe famiglie e aziende, ok?». Dunque, cosa aspetta Draghi a “fare il Qe”? «La risposta è agghiacciante – continua Barnard – e ce la dà la fonte finanziaria più autorevole del mondo, e cioè il colosso bancario Goldman Sachs». Wilson, che è capo del “Global Fixed Income and Liquidity Management”, ha appena dichiarato che «prima che Draghi attivi il Qe, l’economia europea dovrà peggiorare molto».«Avete un’idea della mole di sofferenze umane e sociali che PEGGIORARE MOLTO significa?», domanda Barnard. «Avete un’idea che ogni giorno di crisi dei redditi e della produzione italiana significa anni di futuro distrutto per i nostri figli? E dobbiamo PEGGIORARE MOLTO prima che Draghi si degni di darci ossigeno? Allora… solo un cieco, demente, minorato mentale, a ’sto punto, non riesce ancora a vedere quale è il disegno dell’Eurozona Neofeudale: DISTRUGGERCI, per il bene del GIUSTO ORDINE sociale delle élite». La politica? Balbetta, è inesistente. «Intervengano le Armi fedeli alla Repubblica. Intervengano! Fuori dall’Eurozona e mandato di cattura internazionale per Mario Draghi. Non c’è più altra via».Dobbiamo soffrire ancora, e parecchio. Così sta scritto. Nel libro del destino, o meglio in quello della Goldman Sachs, uno dei massimi super-poteri finanziari del pianeta. Sono loro, gli strateghi della mega-banca d’affari, a “spiegarci” che solo tra un po’, quando le condizioni europee saranno ulteriormente peggiorate, Mario Draghi potrà mettere mano al denaro della Bce e usarlo per soccorrere la nostra economia disastrata. Lo rivela Andrew Wilson, dirigente della Goldman Sachs, in un’intervista a “Bloomberg” che non è sfuggita a Paolo a Barnard. «Nelle condizioni in cui ci troviamo – un esempio: i settori del commercio al dettaglio e dell’edilizia italiana sono ai peggiori livelli d’Europa assieme alla Francia, più gli altri dati da orrore – e dato che il denaro oggi l’ha in mano l’imperatore neofeudale Mario Draghi alla Bce, l’unica soluzione – a parte uscire dall’Eurozona – sarebbe che la Bce aprisse i rubinetti dei soldi». Domanda: «Cosa diavolo aspetta Draghi a darci quell’ossigeno? Perché se ne sta a Francoforte a guardare coi suoi occhi da pesce morto un’Europa che sprofonda, e non agisce?».