Archivio del Tag ‘Forza Italia’
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Di Maio e Salvini: trasparenza mai vista prima, nella storia
Questa è la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che un partito che va al governo si impegna con un programma preciso in 30-40 punti. Finora, l’unico impegno visto era stato quello di Berlusconi quando aveva firmato il suo “contratto con gli italiani” da Vespa, promettendo un milione di posti di lavoro – ma quella era solo una battuta da saltimbanco, mentre quelli sottoscritti da Di Maio e Salvini sono punti precisi. E quindi, supponendo che si arrivi fino alla fine della legislatura, il cittadino poi sarà in grado di valutare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto, e – nel caso delle cose non fatte (certamente ce ne saranno), di valutare se è stato per mancanza di volontà o per mancanza di possibilità. Non è detto che tutto si possa fare, ma almeno alla fine potremo giudicare – al momento di tornare a votare – se questa gente ha fatto il massimo possibile, rispetto alle cose su cui s’era impegnata. Non era mai successo, questo. E secondo me stabilisce un punto di non-ritorno, nella storia italiana: da domani, è difficile che un partito che voglia andare al governo non si senta obbligato, a sua volta, a fare una promessa altrettanto specifica.E’ un complimento, che va fatto sia a Salvini che a Di Maio, a prescindere da quello che poi riusciranno a mettere in atto: hanno comunque cambiato le regole del gioco. E la chiarezza e la trasparenza delle intenzioni, secondo me, sono una parte fondamentale del meccanismo democratico. Sapete, gli altri – il Pd – dicevano semplicemente “votate noi, che penseremo a proteggere i più deboli”, punto a capo, e ciao. Cosa penso del programma di Salvini e Di Maio? Penso che rappresenti il miglior equilibrio che si potesse raggiungere, all’interno di una legge elettorale che era stata concepita proprio perché questo non avvenisse. Quindi, secondo me, Salvini e Di Maio la seconda “magia” l’hanno fatta nel riuscire comunque ad arrivare all’intesa, pur all’interno delle costrizioni di una legge elettorale che, veramente, ti impone di metterti d’accordo su tutto con qualuno, altrimenti non puoi fare il governo. La buona volontà ce l’hanno messa tutta, e stanno sconfiggendo il sistema stesso, che aveva pensato di “fotterli” (soprattutto i 5 Stelle) con questa legge elettorale. Non ci sono riusciti, almeno finora. E infatti, come vedete, sia Berlusconi che gli uomini di Renzi sono contrariati: “je rode”, e mica poco.Lo si vede dalle interviste in televisione: Martina sembra isterico, quando accusa i 5 Stelle e la Lega di aver “fatto perdere 70 giorni di tempo” all’Italia. E’ ormai una commedia ridicola vedere i telegiornali, con questi che strepitano e si lamentano. Di Maio e Salvini non hanno ancora fatto niente: aspettiamo, a giudicarli. Magari andrà male veramente, però aspettiamo. Questa voglia di seppellire un governo che non è neanche nato ci dà la misura di quanto gli rompe le scatole, e quindi di quanto fosse subdolo il calcolo che era stato fatto a monte – l’alleanza Pd-Berlusconi, che avrebbe mantenuto le cose esattamente come sono rimaste fino ad oggi. Potrebbe aprirsi una pagina di speranza? Lo vedremo. Una pagina nuova, comunque, si è già aperta. Hanno cambiato le regole del gioco, questi due: nella pagina nuova ci siamo già. Volenti o nolenti, siamo in una Terza Repubblica dove, da oggi in poi, le cose si mettono per iscritto – e quindi, dopo cinque anni, l’elettore può andare a vedere quante ne hai fatte e quante no, se eri in buona fede o se hai preso in giro gli elettori.Nella fase nuova, ripeto, siamo già entrati. La speranza? Se non ci riescono loro non ci riesce nessuno, a scardinare questo sistema. Se non ci riescono loro due insieme, che arrivano risicati al 51%, a scardinare almeno alcuni punti fondamentali del sistema, anche quelli che non hanno dichiarato ufficialmente, non ce n’è più, di speranza: se c’è una speranza, è in loro. Certo, non dobbiamo illuderci: siamo molto ricattabili. L’altra sera ho visto Monti, da Formigli. E con quella sua da prete disinteressato, Monti ha sibilato: però ragazzi stiamo attenti, visto quello che è successo ad altri paesi che hanno provato ad alzare un po’ la cresta (sottinteso, la Grecia). Mi ha stupito, Formigli: di fronte a una frase simile, pronunciata da un ex primo ministro, un giornalista che voglia chiamarsi tale avrebbe chiesto a Monti di spiegare il senso di quella sua minaccia. Invece Formigli ha permesso a Monti di dire quello che voleva, in modo vergognoso – ma lasciamo perdere, sulla vergogna dei giornalisti italiani ormai abbiamo steso due o tre veli pietosi.Siamo comunque ricattabili, dicevo. Ma intanto, secondo me, l’importante è comunque far entrare il seme dell’idea che le cose si possono cambiare: perché poi su questo seme puopi costruire molto di più, nel corso del tempo. Se tu riesci a cambiare anche una sola cosa, che prima dicevano che era impossibile cambiare, hai dimostrato alla gente che quando qualcuno dice “questo non si può fare”, be’, non è vero. E questo apre, per le future legislature, moltissime possibilità, che prima non c’erano. Se noi continuamo a produrre informazione alternativa indipendente, a un certo punto le due linee potrebbero anche finire per convergere su cambiamenti più radicali. Anche perché i poteri forti si chiamano “forti” per un motivo preciso, ma possono anche crollare: l’Impero Romano è durato 5-600 anni e poi è scomparso in poche settimane. Quando arrivano a maturazione le motivazioni storiche corrette perché avvenga un cambiamento, poi il cambiamento avviene. Noi possiamo cercare di prepararlo, sperando che nel frattempo ciascuno faccia la sua parte – anche chi andrà al governo molto presto.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Mazzucco Live” del 19 maggio 2018).Questa è la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che un partito che va al governo si impegna con un programma preciso in 30-40 punti. Finora, l’unico impegno visto era stato quello di Berlusconi quando aveva firmato il suo “contratto con gli italiani” da Vespa, promettendo un milione di posti di lavoro – ma era solo una battuta da saltimbanco, mentre quelli sottoscritti da Di Maio e Salvini sono punti precisi. E quindi, supponendo che si arrivi fino alla fine della legislatura, il cittadino poi sarà in grado di valutare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto, e nel caso delle cose non fatte (certamente ce ne saranno), di valutare se è stato per mancanza di volontà o per mancanza di possibilità. Non è detto che tutto si possa fare, ma almeno alla fine potremo giudicare – al momento di tornare a votare – se questa gente ha fatto il massimo possibile, rispetto alle cose su cui s’era impegnata. Non era mai successo, questo. E secondo me stabilisce un punto di non-ritorno, nella storia italiana: da domani, è difficile che un partito che voglia andare al governo non si senta obbligato, a sua volta, a fare una promessa altrettanto specifica.
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Magaldi: imbecilli a reti unificate minacciano Lega e 5 Stelle
Imbecilli: lasciano credere che il debito dello Stato sia come quello della tabaccheria sotto casa, esposta con la banca. Imbecilli pericolosi: perché scrivono sui giornali e parlano ogni sera in televisione. Somari in buona fede, disastrosamente ignoranti, o vecchi marpioni in malafede? «Non so cosa sia peggio», dice Gioele Magaldi: una persona intelligente puoi sempre persuaderla, mentre di fronte a un cretino non ci sono speranze. Gli imbecilli di turno? Quelli che cercano di spaventare gli italiani, bocciando le “mirabolanti promesse” dell’ipotetico governo gialloverde di Salvini e Di Maio. Lega e 5 Stelle, in realtà, stanno terrorizzando solo l’establishment: i professori della catastrofe, i notai dell’infame declino del paese. Le loro ricette hanno devastato l’Italia, eppure insistono: bisogna tagliare redditi e consumi, senza capire che – per quella strada, se il Pil non cresce – poi a esplodere è proprio il debito, inevitabilmente. «Arriva a comprenderlo anche un mediocre studente di economia, ma non gli imbecilli che ci parlano ogni giorno sui giornali e in televisione», dice Magaldi, in una diretta web-streaming su YouTube con Marco Moiso, in cui rilancia un nome fortissimo per Palazzo Chigi: quello dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt.
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Avvoltoi: rimpiangono Silvio per spaventare Lega e 5 Stelle
Complottisti si diventa, ma citando Totò io direi che “lo nacqui, modestamente” ed anche se la neolingua ha coniato questa stupida definizione dalle forti tinte negative – il complottismo – chi crede che i complotti non esistano o non ha mai studiato la storia oppure l’ha studiata senza mai capirla. Anche oggi, mentre tutti gli attivisti politici – tutti – riempiono le pagine dei quotidiani e i social pontificando sulla nascita del nuovo governo, solo qualche barbaro debunker seriale si è occupato del colpo gobbo perpetrato dall’Unione Europea contro le banche italiane. Ma come, verrebbe da dire, il Partito Democratico è caduto sotto l’accusa di aver “aiutato le banche”, e ora grillini pentastellati e leghisti manco si accorgono di quello che sta succedendo alla banche di credito cooperativo? La faccenda è tanto lunga, quanto grave e tristemente nuova. Val la pena proporre qui una breve sintesi. Per chi non lo sapesse, le Bcc sono banche di diritto diverso da quelle trdizionali e sono sotto il controllo locale; prestano denaro, cioè finanziano le piccole e medie imprese italiane e, pur essendo esse stesse singolarmente piccole, il loro intervento è stato in questi lustri vitale per l’economia nazionale, visto che le piccole e medie imprese, cioè l’artigiano, il commerciante, ecc, caratterizzano il 90 per cento del tessuto produttivo italiano.Si poteva forse lasciarle stare? Macchè! Se si vuole – come si vuole – piegare l’Italia e ricattarla a 360 gradi (anzi, metterla a novanta gradi, per essere proprio esatti), anche le Bcc devono piegare le ginocchia e genuflettersi alla corte di Bruxelles. A maggio le Bcc cambiano infatti pelle, perchè perdono la loro natura cooperativa, che le obbliga ad aiutare i soci e investire, per statuto, solo sul territorio. La tradizione risale alla cultura cristiana dell’Ottocento che già allora reagiva alla dispersione capitalistica della prima rivoluzione industriale. Le Bcc sono metà del sistema bancario italiano, mica pizza e fichi, con propensione per i micro imprenditori, per ovvi motivi legati alla vocazione comunitaria. Con la Legge 49 del 2016 si impone alle Bcc che si fondano in una specie di holding, tanto per parlare come si mangia, con precisi obblighi di capitalizzazione. Cosa significa? Signifia che anche la Bcc va verso l’aggregazione bancaria con delle capogruppo ipetrofiche, che saranno delle holding controllate. In altri termini, l’inculata che si presero le banche popolari qualche anno fa, che fallirono (de facto…) perchè divennero preda dei fondi speculativi, sta per ripetersi anche per la banche di credito cooperativo.Più semplicemente, queste Bcc una volta fuse e controllate da una capogruppo, avranno libero acceso al grande mercato dei capitali e quindi le quote – con i soliti magheggi aggiratutto – finiranno in mano ai fondi esteri, prima o poi. Sulla carta, questi fondi, cioè questi investitori, potranno ciucciarsi il 49 per cento; dunque, non la maggioranza assoluta. Ma non si tratta proprio di bruscolini, ed è probabile che questi capitali cercheranno l’interesse della globalizzazione e non quello locale. Siamo, dunque, alle solite. Non solo: con questa riforma voluta dall’Europa, le banche anche come sportelli, si ridurranno. Ma, soprattutto, la Bce potrà controllarle perché diventeranno un gruppo bancario grande e come tale sottoposto a vigilanza Ue. I danni saranno enormi, perchè verrà meno lo spirito mutualistico tipico della dottrina sociale dei cattolici e anche perché le uniche banche “sensate” che operano sul territorio diventeranno un oligopolio uguale a quello che già conosciamo e che ha funzionato come tutti abbiamo purtroppo già visto. Ovviamente, questa ipermanovra viene portata avanti mentre tutti parlano eslcusivamente di Giggetto Di Maio e di “Ronfo” Salvini, il bue e l’asinello di un presepe privo di qualsaisi santità.(Massimo Bordin, “E mentre Lega e 5 Stelle flirtano, la Bce gode”, dal blog “Micidial” dell’11 maggio 2018).Vedo tanti gufi in giro, in buona fede e in malafede: pensosi, preoccupati e accigliati. Io sarò il primo a non fare sconti a questi “ragazzi”, a questa ipotesi di governo con Lega e 5 Stelle, però la guardo con simpatia e anche con un’apertura di credito. Peraltro, il popolo italiano – che mi pare sia sovrano (fino a prova contraria) anche se in questi anni ci hanno abituato all’idea che il potere debba essere altrove, presso i sedicenti illuminati e oligarchici gestori delle grandi cose – si è espresso in modo chiaro. In democrazia il potere appartiene al popolo. E il popolo, pur nelle strettoie della legge elettorale Rosatellum, ha chiaramente premiato Lega e Movimento 5 Stelle, dando loro una spinta verso la realizzazione di qualcosa di nuovo. Il popolo ha bocciato gli epigoni della Seconda Repubblica (il Pd, con tutti i vari leaderini e leaderucci improbabili, del passato e del presente) e ha bocciato Berlusconi, che ha beneficiato dell’alleanza di centrodestra, in cui le parole più interessanti venivano proprio dalla Lega, però è stato chiaramente ridimensionato. E a proposito del Cavaliere: il sistema mediatico del nostro paese, così spesso imbelle e asservito, ha sostenuto che la sua riabilitazione (sulla quale non ho nulla da ridire: Berlusconi ha sin qui scontato le sue pene) avrebbe riaperto per lui chissà quale ruolo. Io però non ci credo.
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Ma fa davvero paura a qualcuno, il subcomandante Di Maio?
I partiti di governo della Prima Repubblica facevano i congressi anche “coi morti”, cioè non depennando i militanti nel frattempo defunti dal computo rissoso delle correnti, e dunque delle rispettive poltrone. La notizia? I congressi, i partiti di oggi non li fanno proprio più, nemmeno “con i vivi”. Sono tutti morti? Ovvero: è vivo, il Pd che non ha ancora osato guardare in faccia Matteo Renzi e la sua catastrofe a rate, dal referendum 2016 alle politiche 2018? E’ viva Forza Italia, che dopo tanti anni non sa ancora cosa voglia dire mettere in discussione il verbo del fondatore-padrone? Ed è il vivo il Movimento 5 Stelle, che non ha mai celebrato un congresso – nemmeno per sbaglio – in tutta la sua vita? E’ vivo, un partito-marketing nato via web senza neppure una vera sede e i cui iscritti ed eletti non sono nemmeno legittimi comproprietari, pro quota, della sovranità politica simbolica del marchio sotto cui si presentano alle elezioni? Il mondo è in mano a multinazionali, imperi finanziari e potentissimi tecnocrati, signori della proprietà assoluta intesa come religione. Che idea si possono esser fatti, di una nazione politicamente nullatenente? Cosa devono pensare dell’Italia che sceglie di votare per partiti i cui iscritti e militanti non contano niente? Gli attuali partiti-fantasma sembrano lo specchio perfetto di un paese ideale, per il sommo potere: un paese in cui sono i cittadini a non contare nulla.Dalle catacombe della fu sinistra, è l’ex viceministro bersaniano Stefano Fassina ad avvertire il Quirinale: «Preoccupa che anche Mattarella affronti la questione della sovranità popolare con scomunica di “sovranismo”», scrive Fassina su Twitter. «L’alternativa all’Ue liberista fondata sulla svalutazione del lavoro non è autarchia o ritorno all’800, ma patriottismo costituzionale». Eppure, per il mainstream è giusto, sacrosanto, che il capo dello Stato pretenda di “suggerire” personalmente i ministri chiave, dagli esteri all’economia. Lo ripetono a reti unificate personaggi come il filosofo televisivo Massimo Cacciari e il giornalista Massimo Giannini: guai, se i titolari di quei dicateri dovessero esser scelti da politici avventati e pericolosamente populisti come Di Maio e Salvini. Guai, se a comporre davvero il cuore del futuro governo fossero le due forze – 5 Stelle e Lega – che hanno stravinto le elezioni. Vorrebbe dire che l’Italia potrebbe trovarsi di colpo, per la prima volta dopo molti anni, di fronte al grave pericolo di scegliere il proprio destino in modo democratico. Guai, quindi, se a comporre il toto-ministri fossero proprio i due partiti che hanno raccolto oltre il 50% dei consensi degli italiani. L’altra metà della verità può sembrare altrettanto sgradevole: siamo sicuri che Salvini, ma soprattutto Di Maio, rappresentino davvero un fondato motivo di allarme per l’establishment bancario ed eurocratico?Quantomeno, il leader della Lega ha eletto al Senato un economista keynesiano come Alberto Bagnai, nemico storico del rigore di Bruxelles, e ha promesso di demolire l’austerity facendo crollare la tassazione. Salvini ha anche condannato le sanzioni alla Russia e i missili Nato sulla Siria, ma Di Maio? Al contrario, ha graziosamente visitato i santuari massonici della finanza angloamericana e ha “sbianchettato” dal programma pentastellato i passaggi pro-Russia, tacendo sulla guerra siriana. Ha sventolato il totem del reddito di cittadinanza evitando però di spiegare esattamente come attuarlo, senza violare le regole-capestro imposte dall’Ue. Ha dovuto pure digerire l’insolenza di chi gli rinfacciava l’ex lavoro di steward allo stadio, anziché domandarsi chi fosse davvero, Luigi Di Maio, e perché mai è stato incoronato leader dei 5 Stelle (senza un vero programma) dopo primarie-burla, vinte in solitaria. Di chi è, il Movimento 5 Stelle? Che fine farebbe, un militante (o peggio, un eletto) che osasse esprimere dissenso? Undici milioni di voti, elargiti non si sa esattamente a chi, né per fare cosa. Il tutto tra i moniti di Mattarella e la platea d’élite, che guarda l’Italia votare in massa contro l’euro anzi per l’euro, per la Nato o meglio per la Russia, per i vaccini obbligatori o forse contro, non si sa. E’ davvero così malconcio, il super-potere, da inquietarsi al cospetto del minuscolo Di Maio?I partiti di governo della Prima Repubblica facevano i congressi anche “coi morti”, cioè non depennando i militanti nel frattempo defunti dal computo rissoso delle correnti, e dunque delle rispettive poltrone. La notizia? I congressi, i partiti di oggi non li fanno proprio più, nemmeno “con i vivi”. Sono tutti morti? Ovvero: è vivo, il Pd che non ha ancora osato guardare in faccia Matteo Renzi e la sua catastrofe a rate, dal referendum 2016 alle politiche 2018? E’ viva Forza Italia, che dopo tanti anni non sa ancora cosa voglia dire mettere in discussione il verbo del fondatore-padrone? Ed è il vivo il Movimento 5 Stelle, che non ha mai celebrato un congresso – nemmeno per sbaglio – in tutta la sua vita? E’ vivo, un partito-marketing nato via web senza neppure una vera sede e i cui iscritti ed eletti non sono nemmeno legittimi comproprietari, pro quota, della sovranità politica simbolica del marchio sotto cui si presentano alle elezioni? Il mondo è in mano a multinazionali, imperi finanziari e potentissimi tecnocrati, signori della proprietà assoluta intesa come religione. Che idea si possono esser fatti, di una nazione politicamente nullatenente? Cosa devono pensare dell’Italia che sceglie di votare per partiti i cui iscritti e militanti non contano niente? Gli attuali partiti-fantasma sembrano lo specchio perfetto di un paese ideale, per il sommo potere: un paese in cui sono i cittadini a non contare nulla.
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Magaldi: nani e ballerine, ma l’Italia vive una sfida decisiva
Nonostante le apparenze, l’Italia è una trincea decisiva per cambiare volto all’Europa in senso democratico. Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni”, che denuncia il ruolo dell’aristocrazia massonica reazionaria nella progettazione tecnocratica dell’Ue, nata per svuotare le democrazie e impoverire deliberatamente le classi medie, sabotando le economie nazionali. Urgono soluzioni per uscire dalla palude del dopo-voto, col rischio teorico di tornare alle urne magari a luglio e con la stessa legge elettorale? Peccato che, anziché statisti, «continuano a vedersi sempre più nani e ballerine», dice Magaldi a David Gramiccioli, ai microfoni di “Colors Radio”. «Qui, di personaggi che possano rappresentare degnamente il popolo sovrano ce ne sono davvero pochi – o magari non ce n’è nessuno, almeno in evidenza». O meglio: «Non vedo nessun gigante, né tra il ceto politico né tra i cosiddetti tecnici». Del resto, «se ci fossero personaggi di grande caratura istituzionale», li avremmo già visti all’opera: «In questi anni avrebbero avuto il coraggio di dire “no” a un po’ di cose. Mentre l’Italia sprofondava, avrebbero indicato una rotta diversa. E invece nessuno lo ha fatto».Se non altro, osserva Magaldi, gli elettori hanno premiato Lega e 5 Stelle, «che almeno qualcosina di diverso dagli altri l’hanno detto. Saranno in grado di farlo? E’ l’altro grande problema». Bene se oggi Di Maio ammette che non conta il nome del prossimo primo ministro o la composizione della maggioranza, ma le cose che il governo farà. Il veto su Berlusconi? «Concordo con Di Maio», sottolinea Magaldi: «Nessun rinnovamento della politica italiana potrebbe venire da Arcore. E rincaro la dose: il peggior incubo sarebbe il piano accarezzato dai creatori dei Rosatellum», vale a dire «un’altra maggioranza tra Forza Italia e Pd, cioè i residuati della Seconda Repubblica, epigoni di coloro che hanno preso in mano un paese prospero, costruito faticosamente durante la Prima Repubblica, e l’hanno trasformato in una nazione decadente e senza grande rilevanza estera nemmeno nel Mediterraneo». Il punto è: cosa si intende fare? Meglio smetterla, in ogni caso, coi tatticismi “tribali” fondati sui veti incrociati. «Persino a Berlusconi, una delle figure più opache della storia recente, dovrebbe essere data laicamente la possibilità di trasformarsi in qualcosa di meglio, se per esempio sostenesse un governo che prendesse iniziative importanti per l’economia, per la politica estera e verso le restrizioni europee, contro le quale Forza Italia finora ha solo abbaiato, talora, senza mai il coraggio di ingaggiare un braccio di ferro».Eppure, insiste Magaldi, «non dovremmo preoccuparci dei nomi: sono le azioni che qualificano le persone». Appunto: serve il pragmatismo di un programma da adottare con urgenza, oggi più che mai. «L’Europa è una sorta di laboratorio», sostiene Magaldi: «Ciò che accade oggi in Europa, domani avverrà a livello globale». Per questo, «se si vince una sfida per la democrazia in Europa, sarà più facile vincere una sfida per la democrazia a livello globale». Ecco perché la posta italiana è così decisiva: «L’Italia è un paese meno bloccato di altri e molto importante per la tenuta di qualunque progetto di integrazione politica, sociale ed economica europea». Una sfida molto più importante di quanto si possa sospettare: «L’Italia è stata resa irrilevante nel senso che ne sono state “castrate” diverse capacità, ma il suo potenziale è intatto». E per Magaldi, che annuncia «clamorosi sviluppi politici» a luglio attorno al progetto iniziale del Pdp, Partito Democratico Progressista, «bisogna lavorare politicamente (e massonicamente) per ridare all’Italia un ruolo da protagonista in Europa, e all’Europa un ruolo da protagonista nel mondo». Cominciando, appunto, dal governo prossimo venturo: purché capace di non piegarsi, come quello in carica e quelli che l’hanno preceduto, ai diktat di una casta di tecnocrati sorretta da un’élite supermassonica neo-aristocratica, garante di inconfessabili interessi privatistici.Nonostante le apparenze, l’Italia è una trincea decisiva per cambiare volto all’Europa in senso democratico. Parola di Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni”, che denuncia il ruolo dell’aristocrazia massonica reazionaria nella progettazione tecnocratica dell’Ue, nata per svuotare le democrazie e impoverire deliberatamente le classi medie, sabotando le economie nazionali. Urgono soluzioni per uscire dalla palude del dopo-voto, col rischio teorico di tornare alle urne magari a luglio e con la stessa legge elettorale? Peccato che, anziché statisti, «continuano a vedersi sempre più nani e ballerine», dice Magaldi a David Gramiccioli, ai microfoni di “Colors Radio”. «Qui, di personaggi che possano rappresentare degnamente il popolo sovrano ce ne sono davvero pochi – o magari non ce n’è nessuno, almeno in evidenza». O meglio: «Non vedo nessun gigante, né tra il ceto politico né tra i cosiddetti tecnici». Del resto, «se ci fossero personaggi di grande caratura istituzionale», li avremmo già visti all’opera: «In questi anni avrebbero avuto il coraggio di dire “no” a un po’ di cose. Mentre l’Italia sprofondava, avrebbero indicato una rotta diversa. E invece nessuno lo ha fatto».
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Dolcino: governo Cassese e maxi-patrimoniale a tradimento
Niente elezioni anticipate, ma in compenso un regalone agli italiani: una super-patrimoniale per “restare in Europa”, imposta dal futuro governo-camomilla che sarà temporaneamente insediato, ufficialmente, solo per cambiare la legge elettorale. E’ lo scenario da incubo immaginato su “Scenari Economici” da Mitt Dolcino, che cita Luigi Bisignani, autore di un intervento sulle pagine del “Tempo” in cui anticipa «una notizia conosciuta dagli addetti ai lavori da giorni». Ovvero: il giurista Sabino Cassese, già candidato al Quirinale dal Pd, sarà molto probabilmente «il prossimo primo ministro di scopo», voluto da Mattarella e «supportato in teoria da tutte le forze politiche (bugia), suppostamente per fare solo la legge elettorale». Attenzione: il nuovo governo potrebbe imporre una super-tassa alle famiglie italiane, provvedimento straordinario di cui, scrove Dolcino, lo stesso Cassese è stato ed è grande fautore. Originario di Atripalda (Avellino), Cassese è conterraneo di Pellegrino Capaldo, vicino al banchiere Cesare Geronzi. Nel 2011, in una famosa intervista al “Corriere della Sera”, Capaldo propose l’altrettanto famosa “patrimoniale differita sugli immobili”, concetto poi rilanciato dal governo francese lo scorso ottobre 2017: secondo Macron, i cittadini italiani dovrebbero pagare in base agli immobili detenuti.Per Dolcino, il pericolo è reale: «Sono tutti d’accordo all’attuazione del progetto “imposta patrimoniale” da attuare senza colpa di alcun partito». Certamente, aggiunge “Scenari Economici”, è un progetto sponsorizzato da Movimento 5 Stelle, Pd, Forza Italia e “partiti civetta” collegati. «Tale unità di intenti, celata dietro un “governo del presidente”, è stato uno dei motivi principali per cui si è fatto di tutto per evitare un governo Lega-M5S». Secondo Dolcino, «oggi è importante preavvertire gli italiani di cosa succederà a livello “macro”, sempre che il progetto di spoliazione finale dell’Italia abbia successo». Un piano in cinque mosse. La prima: «Verrà imposto un “governo del presidente”, in cui nessun partito in particolare sarà responsabile dei provvedimenti politici presi (ratio: governo di salvezza nazionale o “del presidente”, chiamatelo come volete: tutti colpevoli, nessun colpevole)». Mossa numero due: il “governo del presidente” inizierà il suo mandato con l’unico scopo di rifare la legge elettorale, per poi tornare al voto. Tre: “casualmente”, durante il mandato «si scatenerà una crisi finanziaria che metterà alle strette le finanze statali italiane, possibilmente con un aumento dello spread», visto che l’Italia deve rinnovare nel 2018 poco meno del 20% del debito totale in scadenza quest’anno.La tempesta “costringerà” l’ipotetico Cassese ad attuare misure straordinarie di finanza pubblica (quarta mossa). E infine: «Verrà varata un’imposta patrimoniale che certamente graverà sugli immobili posseduti dalle famiglie italiane, possibilmente – ma meno probabilmente – coinvolgendo anche le attività liquide». Tempistica: tra la fine del 2018 e il primo semestre del 2019. La maxi-imposta patrimoniale «sarà nell’ordine del 10% del patrimonio degli italiani o anche più», scrive Mitt Dolcino. E verrà “ingegnerizzata” in modo di non costringere a liquidare immediatamente gli asset delle famiglie, per due ragioni fondamentali: «Evitare il caos finanziario in caso di non-accettazione, e sperare che la gente non si accorga della dimensione del salasso e dunque si ribelli». Domanda: «Siete davvero pronti a pagare ad esempio l’equivalente del vostro patrimonio immobiliare per restare nell’Unione Europea? Siete sicuri che vi convenga?». Secondo Doclino, «l’Italia è ormai pronta a dare il 50%+ dei voti al partito che farà della negazione della patrimoniale prossima ventura la sua bandiera. Anche perché, se tale patrimoniale sarà a termine (ossia non immediatamente esigibile), beh, potrà facilmente essere rinnegata a breve giro di elezioni». Nel dubbio, chiosa Dolcino: «Se qualcuno vuol comprare casa in Italia, auguri…».Niente elezioni anticipate, ma in compenso un regalone agli italiani: una super-patrimoniale per “restare in Europa”, imposta dal futuro governo-camomilla che sarà temporaneamente insediato, ufficialmente, solo per cambiare la legge elettorale. E’ lo scenario da incubo immaginato su “Scenari Economici” da Mitt Dolcino, che cita Luigi Bisignani, autore di un intervento sulle pagine del “Tempo” in cui anticipa «una notizia conosciuta dagli addetti ai lavori da giorni». Ovvero: il giurista Sabino Cassese, già candidato al Quirinale dal Pd, sarà molto probabilmente «il prossimo primo ministro di scopo», voluto da Mattarella e «supportato in teoria da tutte le forze politiche (bugia), suppostamente per fare solo la legge elettorale». Attenzione: il nuovo governo potrebbe imporre una super-tassa alle famiglie italiane, provvedimento straordinario di cui, scrove Dolcino, lo stesso Cassese è stato ed è grande fautore. Originario di Atripalda (Avellino), Cassese è conterraneo di Pellegrino Capaldo, vicino al banchiere Cesare Geronzi. Nel 2011, in una famosa intervista al “Corriere della Sera”, Capaldo propose l’altrettanto famosa “patrimoniale differita sugli immobili”, concetto poi rilanciato dal governo francese lo scorso ottobre 2017: secondo Macron, i cittadini italiani dovrebbero pagare in base agli immobili detenuti.
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Giannuli: 5 Stelle già fuori gioco, grazie all’incapace Di Maio
Il risultato delle elezioni regionali in Friuli di domenica scorsa (esattamente come quello del Molise di 7 giorni prima) è di quelli che non ammettono interpretazioni o discussioni; in claris non fit interpretatio: il centrodestra avanza seccamente, il Pd ha risultati alterni ma sostanzialmente regge, il MSS straperde. D’accordo: il MSS alle elezioni amministrative va sempre male rispetto alle politiche; pesano fattori locali, Fedriga era un candidato molto forte e difficile da battere o almeno frenare, viceversa il candidato del MSS era il più infelice che si potesse trovare; tutto quello che volete, ma quando un partito perde a precipizio in due regioni distanti fra loro e diversissime, 2 elettori su tre, il tutto a meno di due mesi da elezioni che hanno segnato un successo clamoroso, c’è poco da fare: è il segno che l’elettorato non è contento di come è stato amministrato il suo consenso e sta iniziando a ritirare il suo mandato. E’ una bocciatura impietosa del come è stata gestita la crisi di governo. Forse non nella misura del 15-17% come accaduto in queste regioni, forse in caso di elezioni politiche la flessione sarebbe più misericordiosa, diciamo il 4-5%, comunque quanto basta a riportare il MSS sotto l’asticella del 30% e ad archiviare definitivamente il sogno di un governo 5 Stelle.Di Maio (la persona più negata per la politica fra quelle che in questi 50 anni ho avuto modo di osservare fra quelle del palcoscenico politico) come sempre non ha capito niente e reagisce di conseguenza, chiedendo elezioni a giugno senza accorgersi che, tecnicamente, la finestra di giugno si è già chiusa. In teoria la linea di confine sarebbe stata il 9 maggio, ma, per il combinato disposto sul voto degli italiani all’estero, è scattata 15 giorni prima, il 24 aprile scorso (mentre lui si baloccava con l’inutile Martina). Il che ha una serie di conseguenze di non poco conto. In primo luogo il 10 giugno si voterà in circa 700 comuni, fra cui diversi capoluoghi di provincia e, se la tendenza al calo proseguirà, come tutto fa pensare, il MSS non parteciperà ai ballottaggi di molti di questi centri, cedendo la seconda posizione al Pd che avrà una sua parziale resurrezione. Peraltro, una nuova batosta avrebbe effetti psicologici non trascurabili su elettori ed attivisti. Poi, l’inevitabile rinvio delle elezioni all’autunno, apre scenari uno peggiore dell’altro per il MSS. Essenzialmente si tratta di due strade. La prima. Più classica, è quella di un governo del Presidente, incaricato di restare in carica sino a fine anno per fare la legge finanziaria ed affrontare le scadenze internazionali.A questo punto il cerino è in mano a Lega e MSS che, avendo la maggioranza assoluta dei seggi, possono bocciare il governo e questo porterebbe alle elezioni d’autunno, ma, intanto il governo resterebbe in carica per gli affari correnti, ma per modo di dire, perché intanto parteciperebbe al vertice europeo di giugno, ed alle altre scadenze internazionali e, peraltro, potrebbe anche fare la finanziaria, lasciando ai partiti la scelta se bocciarla e passare all’esercizio provvisorio con tutto quel che ne consegue. Una cosa che potrebbe far arrabbiare molti elettori. Una possibilità potrebbe essere quella di una astensione della Lega, anche per non rompere con Forza Italia. Insomma, visto che di votare non se ne parla sino a ottobre, si potrebbe anche far vivere una sorta di governo provvisorio. La seconda strada è forse simile per certi versi: il centrodestra chiede (e dati i risultati delle regionali ne avrebbe anche qualche ragione) l’incarico per un governo che va a cercare i voti in Parlamento. Qui la variabile è quella dei bonifici che potrebbero partire o forse di qualche soccorso coperto di sponda renziana (magari basterebbe il prestito di una ventina di deputati ed una dozzina di senatori: mica si possono controllare tutti!). E’ difficile, nonostante tutto, che si trovino i 50 deputati ed i 30 senatori necessari; però, anche se questo non fosse possibile, alla fine il governo di centrodestra resterebbe in carica sino all’autunno preparando la campagna elettorale.Già questi due scenari credo che bastino a rovinare il sonno di Di Maio e dei suoi amici, ma c’è di peggio. Con un facile colpo di mano, Pd e centrodestra potrebbero modificare la legge elettorale introducendo il premio di maggioranza ma per la coalizione. E il MSS sarebbe tecnicamente fritto. Anzi, se la tendenza al calo dovesse continuare ed il Pd riuscisse a mettere insieme una coalizione un po’ più seria di quella con cui si è presentato il 4 marzo, il rischio per il MSS potrebbe essere quello di cedere la seconda posizione e retrocedere al terzo posto. Belle prospettive direi! Per di più, il MSS si troverebbe nella condizione di andare alle elezioni con un leader gravemente logorato e senza nessuna credibilità sul piano programmatico: riparlare di abolizione della legge Fornero, di reddito di cittadinanza e di lotta alla corruzione dopo che, nei vari giri di valzer con Pd e Lega si sono lasciati cadere uno dopo l’altro? E chi ti crede più? Peccato: il MSS non merita questa fine, ma, soprattutto non merita una leadership come questa.(Aldo Giannuli, “M5S, Lega e la lezione del Friuli”, dal blog di Giannuli del 1° maggio 2018).Il risultato delle elezioni regionali in Friuli di domenica scorsa (esattamente come quello del Molise di 7 giorni prima) è di quelli che non ammettono interpretazioni o discussioni; in claris non fit interpretatio: il centrodestra avanza seccamente, il Pd ha risultati alterni ma sostanzialmente regge, il MSS straperde. D’accordo: il MSS alle elezioni amministrative va sempre male rispetto alle politiche; pesano fattori locali, Fedriga era un candidato molto forte e difficile da battere o almeno frenare, viceversa il candidato del MSS era il più infelice che si potesse trovare; tutto quello che volete, ma quando un partito perde a precipizio in due regioni distanti fra loro e diversissime, 2 elettori su tre, il tutto a meno di due mesi da elezioni che hanno segnato un successo clamoroso, c’è poco da fare: è il segno che l’elettorato non è contento di come è stato amministrato il suo consenso e sta iniziando a ritirare il suo mandato. E’ una bocciatura impietosa del come è stata gestita la crisi di governo. Forse non nella misura del 15-17% come accaduto in queste regioni, forse in caso di elezioni politiche la flessione sarebbe più misericordiosa, diciamo il 4-5%, comunque quanto basta a riportare il MSS sotto l’asticella del 30% e ad archiviare definitivamente il sogno di un governo 5 Stelle.
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Comodo vincere come i 5 Stelle, senza democrazia interna
Comodo, concorrere ad elezioni democratiche senza però avere il fastidio fisiologico della democrazia interna: «E’ come far aprire i negozi di parrucchiere ai cinesi, che non pagano nulla». Troppo facile: «Devi pagare il tuo dazio alla democrazia, se vuoi partecipare al governo di un sistema democratico». Non fa sconti, Gianfranco Carpeoro, al Movimento 5 Stelle che mette regolamente alla porta chi osa contestare il vertice, per poi magari puntare a un’intesa con gli ex avvesari, senza l’onestà politica di chiamarla con suo nome. «La cosa peggiore, nella costruzione di linguaggio del Movimento 5 Stelle è l’aspetto tautologico, per il quale basta cambiare il termine e si cambia il concetto», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Fare un governo è sempre un contratto», ma i grillini fingono di non saperlo: «A loro ripugna la parola “alleanza”, mentre gli piace la parola “contratto”. Ma se formano un governo col Pd, fanno il contrario di quello che hanno detto in campagna elettorale». E’ l’effetto magico della tautologia: «Se lo chiami “contratto” va bene, se lo chiami “alleanza di governo” va male». Per loro sembra che il problema siano «i termini, non la sostanza», che infatti è sgradevole: «La sostanza è che fai un governo con qualcosa che, secondo te, ha sbagliato tutto ed è inaccettabile – gliene hanno dette di tutti i colori, al Pd. E quindi adesso ci fai un governo?».Saggista e simbologo, nella sua “ginnastica mentale” settimanalmente offerta ogni domenica mattina, Carpeoro mostra di amare i paradossi. I grillini dicono che si limiterebbero a firmare un contratto? «Beh, prova a firmarlo con Totò Riina, un contratto: se lo chiami “contratto” e non “associazione per delinquere di stampo mafioso”, allora diventa legittimo?». Questo aspetto tautologico, aggiunge, i 5 Stelle l’avevano già mostrato quando comminavano sanzioni contro i propri esponenti che ricevevano anche solo un avviso di garanzia. «Poi hanno cambiato i termini, e adesso chi riceve un avviso di garanzia basta che avvisi il partito di averlo ricevuto». Altro paradosso: «Come se io domani scrivessi al partito: guardate, sto per fare una rapina in banca. Nessun problema, quando poi l’avviso di garanzia mi arriva?». I 5 Stelle sono ormai al centro della scena politica nazionale dopo il quasi 33% incassato il 4 marzo. «Siccome sono cose più grandi di loro, cosa fanno? Giocano sul linguaggio, per non accettare il fatto che la politica, per autodefinizione, è compromissione. In politica si fanno i compromessi: alcuni vanno meglio e alcuni vanno peggio, alcuni sono presentabili e alcuni sono impresentabili. Come la mettiamo, se per anni hai seguito per anni la strada in base alla quale sei “duro e puro”, va bene se comandi da solo senza parlare con nessuno? Non erano quelli che non volevano andare in televisione? Ma adesso li vedo, in televisione».La verità, conclude Carpeoro, è che ormai il Movimento 5 Stelle «sta diventando un partito come gli altri, tranne che per l’assenza di democrazia interna – ma non sono i soli: partiti come Forza Italia non ce l’hanno mai avuta». Evidentemente, c’è da dedurre, non è una condizione così necessaria, se poi agli elettori va bene anche così. Ma è giusto che un partito, a casa sua, faccia quello che vuole? «No: un partito vive sulla stessa illegittimità derivante dalla non-applicazione dello spirito della Costituzione, che risulta anche dalle riunioni dell’Assemblea Costituente». Cos’era successo? Partiti, sindacati non sono mai stati regolamentati, sottolinea Carpeoro. E’ accaduto anche quelle associazioni, tra cui la massoneria, considerate talmente “sensibili” da essere citate nella Costituzione. I padri costituenti sorvolarno sulla loro natura giudirica: «Uscendo dalla guerra, si è ritenne di lasciarle nel patrimonio costituzionale da regolamentare in seguito». Un discorso rimasto in sospeso, rinviato, e mai chiuso. Una sorta di limbo, nel quale ha prosperato l’assoluta mancanza di trasparenza, dai finanziamenti illeciti alla gestione degli stessi sindacati: «Dovrebbero presentare bilanci e non lo fanno, e non dovrebbero riscuotere i contributi degli iscritti in maniera automatica, come invece avviene attualmente».Democrazia interna: «Se vuoi fare parte di un sistema, devi condividerlo», ribadisce Carpeoro. «Certo non la puoi imporre, la democrazia interna. Ma, se ti vuoi candidare alle elezioni, devi superare un certo standard: perché le elezioni sono democrazia, e sarebbe un ossimoro far candidare, a un qualcosa di democratico, un soggetto che non vive democraticamente». In altre parole: «Nel momento in cui concorri secondo regole democratiche per ottenere voti, devi avere delle regole democratiche al tuo interno». Per carpeoro è un fatto elementare di coerenza, di omogeneità: «Non puoi avere una vita interna dittatoriale e poi candidarti, perché così hai un vantaggio rispetto agli altri partiti, che si fanno “rompere i coglioni” dalle loro minoranze, mentre tu no». Beninteso, «la realtà è sempre complessa, la perfezione non esiste. Però intanto cominciamo a introdurre delle regole, là dove mancano». Né si può dire che i 5 Stelle siano privi di presupposti ideali: «Il problema è che non sono riusciti a evitare di diventare un po’ settari, perché hanno una classe dirigente che secondo me è inadeguata». Fico che va a piedi o un pullman? «Appunto: è le sempre la tautologia di cui sopra».Comodo, concorrere ad elezioni democratiche senza però avere il fastidio fisiologico della democrazia interna: «E’ come far aprire i negozi di parrucchiere ai cinesi, che non pagano nulla». Troppo facile: «Devi pagare il tuo dazio alla democrazia, se vuoi partecipare al governo di un sistema democratico». Non fa sconti, Gianfranco Carpeoro, al Movimento 5 Stelle che mette regolamente alla porta chi osa contestare il vertice, per poi magari puntare a un’intesa con gli ex avversari, senza l’onestà politica di chiamarla con il suo nome. «La cosa peggiore, nella costruzione di linguaggio del Movimento 5 Stelle è l’aspetto tautologico, per il quale basta cambiare il termine e si cambia il concetto», sostiene Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Fare un governo è sempre un contratto», ma i grillini fingono di non saperlo: «A loro ripugna la parola “alleanza”, mentre gli piace la parola “contratto”. Ma se formano un governo col Pd, fanno il contrario di quello che hanno detto in campagna elettorale». E’ l’effetto magico della tautologia: «Se lo chiami “contratto” va bene, se lo chiami “alleanza di governo” va male». Per loro sembra che il problema siano «i termini, non la sostanza», che infatti è sgradevole: «La sostanza è che fai un governo con qualcosa che, secondo te, ha sbagliato tutto ed è inaccettabile – gliene hanno dette di tutti i colori, al Pd. E quindi adesso ci fai un governo?».
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Palma: governo senza il centrodestra? Golpe, elettori traditi
«Sta per concretizzarsi il sovvertimento della volontà del popolo, con pedissequo tradimento del principio della sovranità popolare». L’ennesimo golpe bianco, dopo quello che portò al governo Monti? Lo afferma l’avvocato Giuseppe Palma, coautore con Paolo Becchi del saggio “Come finisce una democrazia”, edito da Arianna. Numeri alla mano, il 4 marzo gli italiani hanno votato contro l’establishment: quasi 55 elettori su cento hanno scelto i 5 Stelle, la Lega e Fratelli d’Italia, bocciando le “forze di sistema”, dal Pd costretto al 18% a Forza Italia, regredita al 13%. Per la prima volta, osserva Palma su “Scenari Economici”, «le forze sistemiche non hanno i numeri per formare un governo». L’altra notizia è che le elezioni le ha vinte il centrodestra: ha il 37% dei voti (e il 42% dei seggi). In una democrazia parlamentare le maggioranze si formano in aula? Giusto, a patto però di non “tradire” gli elettori violando il principio democratico: «Chi ottiene più voti deve necessariamente partecipare alla formazione del governo». Anche perché, se prescindiamo da questo principio, «diventa superfluo indire le elezioni e chiamare il popolo alle urne». Rispettare il voto: era una regola d’oro, nella Prima Repubblica. «Oggi la situazione è la stessa, con la particolarità che il Rosatellum prevede le coalizioni tra liste». Eppure è il Movimento 5 Stelle, arrivato secondo, a trattare il futuro governo con il Pd, arrivato terzo e bocciato sonoramente. Un partito «che gli elettori hanno inequivocabilmente destinato all’opposizione».Perfettamente leggibile, in modo aritmetico, il giudizio politico sul partito al potere negli ultimi anni: con Bersani nel 2013 si fermò al di sotto del 25%, l’anno seguente balzò oltre il 40% con Renzi alle europee ma ora è crollato sotto il 20%. In un sistema democratico, scrive Palma, non si può non tenere conto dell’importanza dei numeri, cioè della sovranità popolare. «Se 5 Stelle e Pd riuscissero a formare un governo, ciò non sarebbe rispettoso del “principio democratico”, tanto più che la coalizione che ha ottenuto più voti resterebbe totalmente estranea alla formazione dell’esecutivo». In Germania e in Austria, aggiunge Palma, le rispettive leggi elettorali (sistema proporzionale) non annoverano le coalizioni tra liste in senso stretto. La Merkel non ha gli stessi voti di Salvini e Berlusconi (ha il 32,9%, un bottino paragonabile a quello dei 5 Stelle), però – come vincitrice relativa – ha conservato la “golden share” nella formazione del governo, di cui infatti è rimasta il capo. La sola differenza è che in Italia la coalizione conta più del singolo partito: non tenerne conto significherebbe «non solo una violazione di legge, ma addirittura un palese tradimento della volontà popolare». Gli elettori infatti hanno votato le liste alleate tra loro, «sapendo già prima delle elezioni quali erano le coalizioni, i candidati e i programmi elettorali».Con la particolarità, aggiunge Palma, che tutti i candidati dei collegi uninominali delle liste coalizzate erano espressione condivisa delle coalizioni medesime: e l’assenza del voto disgiunto ha “blindato” la scelta dell’elettore alla scelta delle liste coalizzate. «Inoltre, nel caso specifico della coalizione di centrodestra, questa aveva addirittura depositato presso il ministero dell’interno un programma elettorale comune, sottoscritto da tutti i leader delle liste che la componevano. Questo – sottolinea Palma – produce certamente effetti giuridici dai quali è impossibile prescindere». Pertanto, se i componenti del centrodestra restassero fuori dal perimetro del governo, saremmo di fronte a «un sovvertimento del “principio democratico”». Secondo i tifosi dei 5 Stelle le coalizioni sarebbero un’anomalia, da non far pesare? «Nulla di più falso», taglia corto Palma. Il Rosatellum sarà anche orrendo, però è legge. In altre parole, «non è possibile prescindere dai risultati elettorali delle coalizioni». Tornando al percorso che conduce ad un ipotetico governo tra 5 Stelle e Pd, «qualunque ne sia l’espressione finale», secondo Palma sta per verificarsi un tradimento completo della volontà degli elettori: «E quando si sovverte il “principio democratico” si è di fronte ad un vero e proprio colpo di Stato».«Sta per concretizzarsi il sovvertimento della volontà del popolo, con pedissequo tradimento del principio della sovranità popolare». L’ennesimo golpe bianco, dopo quello che portò al governo Monti? Lo afferma l’avvocato Giuseppe Palma, coautore con Paolo Becchi del saggio “Come finisce una democrazia”, edito da Arianna. Numeri alla mano, il 4 marzo gli italiani hanno votato contro l’establishment: quasi 55 elettori su cento hanno scelto i 5 Stelle, la Lega e Fratelli d’Italia, bocciando le “forze di sistema”, dal Pd costretto al 18% a Forza Italia, regredita al 13%. Per la prima volta, osserva Palma su “Scenari Economici”, «le forze sistemiche non hanno i numeri per formare un governo». L’altra notizia è che le elezioni le ha vinte il centrodestra: ha il 37% dei voti (e il 42% dei seggi). In una democrazia parlamentare le maggioranze si formano in aula? Giusto, a patto però di non “tradire” gli elettori violando il principio democratico: «Chi ottiene più voti deve necessariamente partecipare alla formazione del governo». Anche perché, se prescindiamo da questo principio, «diventa superfluo indire le elezioni e chiamare il popolo alle urne». Rispettare il voto: era una regola d’oro, nella Prima Repubblica. «Oggi la situazione è la stessa, con la particolarità che il Rosatellum prevede le coalizioni tra liste». Eppure è il Movimento 5 Stelle, arrivato secondo, a trattare il futuro governo con il Pd, arrivato terzo e bocciato sonoramente. Un partito «che gli elettori hanno inequivocabilmente destinato all’opposizione».
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Il valzer delle poltrone archivia il 25 Aprile che ci salverebbe
Che senso ha festeggiare il 25 aprile del ‘45, fingendo di non vedere la necessità impellente di un’altra Liberazione? «Noi antifascisti dobbiamo impegnarci nuovamente per continuare a combattere contro tutte le forme di oppressione», avverte Marco Moiso, coordinatore del Movimento Roosevelt: «L’oppressione, che nel passato ha trovato espressioni in forme violente e autoritarie, può oggi trovare nuove forme più subdole per agire sulla società». Siamo assediati da “fascismi” vecchi e nuovi, “dittature” palesi oppure larvate e occulte. Una su tutte: «La gestione diretta, o indiretta, del potere (legislativo, esecutivo o giudiziario) da parte di élites che non rispondono al volere del popolo, anche se sostengono di agire in suo nome e nel suo interesse». Si discriminano persone per l’appartenenza (religioni, classi, etnie), e si impedisce al singolo di «perseguire liberamente i propri talenti, le proprie capacità e aspirazioni». Nuovo medioevo: scontiamo ancora «la predeterminazione del ruolo che le persone avranno nella società in base a condizioni di nascita, piuttosto che ai propri meriti». Se contro tutto questo ha votato la maggioranza degli elettori il 4 marzo, dov’è finito il vento della “liberazione” a due mesi di distanza dalle elezioni? Siamo alla farsa del Movimento 5 Stelle, che tratta alla pari la Lega della Flat Tax e il Pd che sorveglia il dogma intoccabile del rigore Ue.«Alla fine, aver messo sullo stesso piano Lega e Pd si rivelerà la mossa sbagliata del M5S», scrive Enrico Mentana, in una nota ripresa da Vincenzo Bellisario sempre sul blog del Movimento Roosevelt. «Non si può essere europeisti o euroscettici, per la Fornero o contro, per la Flat Tax o l’imposizione progressiva (e la lista sarebbe lunga) a seconda dell’alleato che ti dà i voti per andare a Palazzo Chigi», sostiene Mentana. Oltretutto, «non è ciò che il movimento ha predicato in questi cinque anni». Per il direttore del Tg La7, il Movimento 5 Stelle «si avvicina sempre più al paradosso del Pd: che fece il governo con Forza Italia perché il M5S lo aveva rimbalzato, con ottimi argomenti che però ha nel frattempo dimenticato». Lo spettacolo è inequivocabile: «Tutti, a turno, hanno una sana vocazione maggioritaria: ma quando poi i voti non bastano si diventa cultori delle alleanze». Adesso il tempo è scaduto, avverte Bellisario: «Credo sia giunto il momento in cui il centrodestra e il “rottamatore” Renzi diano un taglio netto a questa “falsa” insopportabile: chiedo a entrambi i Matteo di “rottamare” tutto e tornare al voto». Tutti d’accordo? Nemmeno per idea: a remare contro le elezioni anticipate, scrive il “Giornale”, c’è il “club dei ministri” capitanato da Dario Franceschini.«Più di mezzo Partito democratico vuole andare al governo con i Cinque stelle e ha lavorato di sponda con il Quirinale per non fare cadere questa ipotesi sotto i bombardamenti renziani», scrive Gian Maria De Francesco sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti. «D’altronde, tra i consiglieri del presidente della Repubblica Sergio Mattarella vi sono molti franceschiniani. A partire dal capo della segreteria Simone Guerrini fino al consigliere segretario Daniele Cabras, passando per il consigliere per l’informazione Gianfranco Astori e al portavoce Giovanni Grasso». Franceschini garantisce «l’obbligo di verificare nei contenuti la possibilità di un’intesa». Ma a lavorare sottotraccia per un accordo coi 5 Stelle ci sarebbero anche Andrea Orlando (giustizia) e Anna Finocchiaro (rapporti con il Parlamento), insieme al reggente Pd Maurizio Martina (già ministro dell’agricoltura), a Roberta Pinotti (difesa) e Marco Minniti (interno). Vero: il “club dei ministri” poco avrebbe potuto, se non fosse stato in qualche modo sospinto dal Quirinale e se il Luigi Di Maio «non avesse fallito miseramente la trattativa con il centrodestra ostracizzando (e consentendo di ostracizzare) Forza Italia». Ma questo è accaduto: si è chiusa la porta in faccia al possibile cambiamento.«Un epilogo che nessuno ha cercato di evitare – chiosa De Francesco – lasciando campo libero alle vecchie volpi cresciute a Piazza del Gesù, prima fra tutte l’ex enfant prodige Dario Franceschini, che ha saputo muoversi con abilità in questa palude. Aumentando le probabilità per tutto il Club di mantenere la poltrona». Felpate manovre, alle spalle degli elettori: questo il clima politico del 25 Aprile 2018, tra le celebrazioni che commemorano la Resistenza di allora. Ma il voto del 4 marzo non è stato soprattutto una delega a centrodestra e 5 Stelle per rompere la sottomissione italiana rispetto a Bruxelles? Come ricorda Moiso, subiamo infatti «il controllo esclusivo, da parte di élites che non rispondono al volere del popolo, delle risorse monetarie». Attenzione: si tratta di «un controllo tale da determinare la sudditanza economica delle masse». C’è quindi «bisogno e urgenza di vivere nel modo più autentico e aggiornato possibile lo Spirito della Resistenza», non certo confermando poltrone come quelle del Padoan di turno; non sarà certo un Cottarelli a interpretare la “volontà degli elettori” espressa due mesi fa. «Combattendo nel presente per migliorare il futuro», Moiso sottolinea la necessità di «tornare a incidere, tramite un’azione politica consapevole, gagliarda e lungimirante», valutando finalmente «se nuove forme di oppressione antidemocratica non siano molto più vicine a noi di quanto pensiamo».Che senso ha festeggiare il 25 aprile del ‘45, fingendo di non vedere la necessità impellente di un’altra Liberazione? «Noi antifascisti dobbiamo impegnarci nuovamente per continuare a combattere contro tutte le forme di oppressione», avverte Marco Moiso, coordinatore del Movimento Roosevelt: «L’oppressione, che nel passato ha trovato espressioni in forme violente e autoritarie, può oggi trovare nuove forme più subdole per agire sulla società». Siamo assediati da “fascismi” vecchi e nuovi, “dittature” palesi oppure larvate e occulte. Una su tutte: «La gestione diretta, o indiretta, del potere (legislativo, esecutivo o giudiziario) da parte di élites che non rispondono al volere del popolo, anche se sostengono di agire in suo nome e nel suo interesse». Si discriminano persone per l’appartenenza (religioni, classi, etnie), e si impedisce al singolo di «perseguire liberamente i propri talenti, le proprie capacità e aspirazioni». Nuovo medioevo: scontiamo ancora «la predeterminazione del ruolo che le persone avranno nella società in base a condizioni di nascita, piuttosto che ai propri meriti». Se contro tutto questo ha votato la maggioranza degli elettori il 4 marzo, dov’è finito il vento della “liberazione” a due mesi di distanza dalle elezioni? Siamo alla farsa del Movimento 5 Stelle, che tratta alla pari la Lega della Flat Tax e il Pd che sorveglia il dogma intoccabile del rigore Ue.
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Carpeoro: ma Stati e mafie vivono di trattative, da sempre
«Colpevoli per essere scesi a patti con Cosa Nostra. Colpevoli per aver trattato in nome di uno Stato che mai avrebbe dovuto trattare». Così Saverio Lodato definisce la storica sentenza del tribunale di Palermo sulla famigerata trattativa Stato-mafia che inguaia Marcello Dell’Utri (condannato a 8 anni), braccio destro di Berlusconi dalla fondazione di Forza Italia. Gli imputati eccellenti, esponenti dello Stato – scrive Lodato su “Antimafia Duemila” – sono colpevoli di avere fatto pervenire a Silvio Berlusconi e al suo governo le richieste avanzate dalla mafia per porre fine allo stragismo del biennio ‘92-93. «Colpevoli, in altre parole, di intelligenza con il nemico». Pene pesantissime anche per Mario Mori, allora a capo del Ros, e per Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, cioè «i carabinieri che aprirono il canale con Cosa Nostra», onde far pervenire al governo Berlusconi i “desiderata” dei killer stragisti. L’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, non si unice però al trionfalismo della stampa antimafia. Intanto, osserva, è stato assolto un referente politico di primo piano come l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, esponente del centrosinistra: «Come al solito – dichiara – le inchieste giudiziarie italiane hanno obiettivi sensibili e obiettivi non sensibili. E così è andata».Quello di Palermo, scrive Lodato, era un processo che faceva paura: «Lo si capiva dall’isolamento che per anni e anni aveva circondato quella che era diventata la figura simbolo di questo processo, il pubblico ministero Nino Di Matteo». Per Carpeoro, in live streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, la clamorosa sentenza palermitana certifica solo che «c’è stata probabilmente una trattativa come ce ne sono state migliaia, in tutto il mondo, tra gli organi di polizia, i servizi segreti e le associazioni criminali». Trattative purtroppo “ordinarie”, che l’ipocrisia del potere polico non può ammettere: patti segreti, «diretti a gestire determinati momenti di particolare tensione», in Italia anche con drammatici risvolti terroristici. «Credo che l’unico politico coinvolto sia stato assolto», dichiara Carpeoro, riferendosi a Mancino. «Una trattativa condotta a livello Ros (e probabilmente servizi segreti) non avrebbe potuto non coinvolgere il ministro degli interni», sostiene l’avvocato, massone iper-critico verso la massoneria, già a capo della più antica comunione massonica del Rito Scozzese italiano nonché autore dello scomodo saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016).Stato-mafia e massoneria? Un fior d’investigatore come il giudice Nicola Gratteri, in prima linea contro la ‘ndrangheta, ha parlato di «magistrati ancora in servizio che intrallazzano con il potere mafioso massonico». Gratteri? «Una volta indagava in grande silenzio, adesso insegue obiettivi anche di comunicazione», rileva Carpeoro, ricordando che – quand’era a capo della sua obbedienza massonica (da lui stesso poi disciolta) – ne vietava espressamente l’ingresso a magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine, proprio per evitare di suscitare sospetti e contiguità improprie. Per lo stesso motivo, aggiunge Carpeoro, l’accesso ai politici era consentito a una condizione: che dichiarassero apertamente la loro identità massonica. Nessuna meraviglia, aggiunge Carpeoro, se il mafioso si rivolge alla politica: anche il “Padrino”, il protagonista del romanzo di Mario Puzo e della leggendaria saga cinematografica «sa di non essere libero, perché anche lui deve rispondere al potere». Oggi il “boss dei boss” è Matteo Messina Denaro, «un mafioso 2.0 che certo non sta più chiuso in una cantina a mangiarsi caciotte». Ma attenzione, «il suo potere è forte in Sicilia, molto meno sui mercati internazionali. E’ protetta, la sua latitanza? Non c’è dubbio».«Colpevoli per essere scesi a patti con Cosa Nostra. Colpevoli per aver trattato in nome di uno Stato che mai avrebbe dovuto trattare». Così Saverio Lodato definisce la storica sentenza del tribunale di Palermo sulla famigerata trattativa Stato-mafia che inguaia Marcello Dell’Utri (condannato a 8 anni), braccio destro di Berlusconi dalla fondazione di Forza Italia. Gli imputati eccellenti, esponenti dello Stato – scrive Lodato su “Antimafia Duemila” – sono colpevoli di avere fatto pervenire a Silvio Berlusconi e al suo governo le richieste avanzate dalla mafia per porre fine allo stragismo del biennio ‘92-93. «Colpevoli, in altre parole, di intelligenza con il nemico». Pene pesantissime anche per Mario Mori, allora a capo del Ros, e per Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, cioè «i carabinieri che aprirono il canale con Cosa Nostra», onde far pervenire al governo Berlusconi i “desiderata” dei killer stragisti. L’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, non si unice però al trionfalismo della stampa antimafia. Intanto, osserva, è stato assolto un referente politico di primo piano come l’ex ministro dell’interno Nicola Mancino, esponente del centrosinistra: «Come al solito – dichiara Carpeoro – le inchieste giudiziarie italiane hanno obiettivi sensibili e obiettivi non sensibili. E così è andata».
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Cacciari e Farinetti: Salvini e 5 Stelle insieme, senza illusioni
Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».In pratica, dice Mazzucco, è come se qualcuno ti battesse una mano sulla spalla dicendoti: stai ben attento a quel che fai, potresti pentirtene. Al che, c’è il bivio: o ci si piega, per quieto vivere, oppure si trova il coraggio di andare fino in fondo, restando fedeli alle proprie idee, peraltro appena “vendute” agli elettori. Di Maio? E’ diventato flessibile: morbidissimo con l’Unione Europea, con gli Usa e con la Nato, e meno “amico” della Russia. Cosa che a Cacciari va benissimo. E poi, dice, è sbagliato parlare di traformismo: «Quando mai un partito ha continuato a dire, sic e simpliciter, quello che diceva in campagna elettorale? E’ chiaro che la campagna ha necessariamente un aspetto demagogico, di promesse». Farinetti spera che Mattarella convinca i partiti a fare una nuova legge elettorale sul modello francese, col ballottaggio tra i primi due partiti. «Con una legge elettorale a doppio turno come quella per eleggere i sindaci – dice – i partiti sarebbero costretti a dire quello che vogliono davvero, quello che veramente sentono di poter fare». E il Di Maio europeista? Ottima notizia, per Cacciari: certifica «il pieno riconoscimento del nostro destino europeo: o la democrazia si ripensa su scala continentale, o cesserà di funzionare». E questo cambiamento, nei 5 Stelle, «segna un discrimine netto rispetto ai fondamenti culturali della Lega».Per il filosofo, grillini e leghisti dovrebbero raggiungere un accordo di governo, segnando almeno «una discontinuità generazionale», sapendo però di essere incompatibili: «E alla lunga, questa incompatibilità strategica – come base sociale, come idee – verrà fuori». L’incremento elettorale dei 5 Stelle, ricorda Cacciari, viene dal Pd. In più, il 50% degli elettori grillini si dichiara “di sinistra” (solo il 20% si considera “di destra”). «Sul piano culturale – aggiunge – l’incompatibilità tra Lega e 5 Stelle è evidentissima, ma bisogna che maturi e che si esprima. Certo la loro sarebbe un’alleanza a termine: non è la prospettiva su cui si risolveranno i problemi del paese, che richiedono scelte drastiche». E il Pd? Il rischio è che decida di suicidarsi: «Se fa un congresso vero, rapidamente (prima dell’estate) ed elegge un nuovo segretario, allora può esserci un nuovo inizio. Ma se aprono adesso – come hanno intenzione di fare – una campagna elettorale tra 15-20 persone per fare le primarie in autunno, muoiono: scompaiono. E allora l’unica forza di centrosinistra, in questo paese, diventeranno i 5 Stelle». Al posto di Renzi e colleghi, Cacciari avrebbe fatto il contrario dell’Aventino: «Io auspicavo che il Pd, riconoscendo la vittoria dei 5 Stelle e ribadendo la sua estraneità al centrodestra nel suo insieme, dicesse: sono disposto a far partire un governo monocolore 5 Stelle, verificando poi di volta in volta i provvedimenti, da valutare singolarmente».Al reggente Maurizio Martina, Farinetti suggerisce di non sbattere la porta in faccia ai 5 Stelle, come invece fecero i grillini nel 2013 con Bersani: «Cercherei di capire se il loro reddito di cittadinanza è visto come misura strategica o solo d’emergenza, verso la creazione dell’unica prospettiva seria, cioè la creazione di posti di lavoro, specie al Sud, tenendo conto delle grandi vocazioni di questo paese». Utopia, riconoscono Farinetti e Cacciari: il Pd non sembra intenzionato ad aprire un vero dialogo, temendo di suicidarsi politicamente in caso di alleanza coi 5 Stelle. A loro volta, i grillini considerano un suicidio l’intesa con Berlusconi. E Salvini, infine, sa benissimo che rompere oggi col Cavaliere gli impedirebbe di continuare a dissaguare Forza Italia. Stallo assoluto? Non è detto. Il nodo è Berlusconi, dice Cacciari: basterebbe convincerlo che un governo Salvini-Di Maio sarebbe il male minore. Restando defilato per non imbarazzare i 5 Stelle, avrebbe ministri «tipo Cancellati» e garanzie precise sui suoi vastissimi interessi. L’alternativa? Non esiste: «In caso di elezioni anticipate, Berlusconi scompare. Gli conviene, un governo con Salvini e Di Maio». I grillini “annacquati”? Inevitabile, chiosa Farinetti: «Serve tempo, per vedere se c’è la possibilità di fare un meraviglioso compromesso. Non vedo l’ora – aggiunge – di vedere all’opera partiti che, giustamente, dall’opposizione portavano avanti teorie assolute: comprenderanno che l’unica cosa perfetta, in natura, è proprio il compromesso».Signori, abbiamo scherzato: «Le promesse, con questa legge elettorale, non valgono niente: sono solo promozionali. E quindi non vale niente la campagna elettorale: è tutta demagogia». Parola di Oscar Farinetti, “vedovo” di Renzi come Massimo Cacciari ma rinfrancato dalla conversione dei 5 Stelle verso il negoziato: «Mi auguro che, alla fine, venga fuori un governo con 5 Stelle e Salvini», dice il filosofo, ospite di Lilli Gruber insieme al patron di Eataly. «In questo caso si crea una discontinuità: finalmente comincia un’altra storia». Se i due estimatori del renzismo “brindano” al neo-moderato Di Maio, le giravolte post-elettorali dei grillini angustiano i tifosi della prima ora come Massimo Mazzucco, intervistato a “Border Nights”, trasmissione web-radio in cui Paolo Franceschetti (avvocato e saggista) infierisce: «I 5 Stelle stanno dimostrando di essere quello che erano fin dall’inizio, un abile artificio del potere per drenare il dissenso». Mazzucco, autore di documentari-verità (cancro, 11 Settembre, Uomo sulla Luna), non concorda: «I 5 Stelle mi hanno deluso evitando di contrastare la legge Lorenzin sui vaccini, ma non credo ci sia premeditazione: è l’avvicinamento al potere che, inevitabilmente, ti costringe a fare i conti con realtà che nemmeno conoscevi».