Archivio del Tag ‘Fmi’
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La premiata macelleria Fmi propone di tagliare le pensioni
«Ottenere risparmi significativi sarebbe difficile senza intervenire sulla grande spesa pensionistica». Parola di Christine Lagarde, la “comare secca” del Fmi. Quando parla la Signora con la Falce, generalmente si mette male – malissimo, in questo caso, per i pensionati italiani, cui sono rivolte le attenzioni della temutissima presidente del Fondo Monetario, che ora “consiglia” al bravo Renzi di accelerare le sue “coraggiose riforme” cominciando proprio da una vigorosa tosatura dell’Inps. Non è la prima volta che il Fmi punta il dito contro gli assegni pensionistici del Belpaese: l’élite tecno-finanziaria non tollera che la spesa sociale sia gonfiata dalle pensioni pubbliche, che del resto fanno “concorrenza” alle assicurazioni pensionistiche private, uno dei maggiori rami del grande business finanziario. Così, dopo gli schiaffoni dell’Ocse, Matteo Renzi deve incassare quelli della super-cupola diretta dalla Lagarde, che ha rivisto al ribasso le stime sul Pil italiano nel 2014, indicando una contrazione dello 0,1%.Il sistema-Italia è entrato in agonia dopo Maastricht, con l’adesione all’euro e la conseguente introduzione dell’austerity europea di marca tedesca, che predica il taglio drastico dello Stato. Nonostante ciò, la Troika – di cui il Fmi è una colonna – propone esattamente la stessa “cura” che sta uccidendo il paziente, ovvero il taglio ulteriore della spesa pubblica, quello che “ammazza” i consumi e quindi l’occupazione, il Pil, il gettito fiscale, la capacità di sostenere l’economia nazionale. Con grande enfasi, i tecnocrati del Fmi fingono addirittura di stupirsi per le dimensioni del disastro, da essi essi progettato e generato con la contrazione progressiva dell’investimento pubblico: si parla apertamente di «rischi che restano ancorati al ribasso» e della «possibilità di stagnazione e bassa inflazione», come riporta il blog “Vox Populi”. «Nell’analisi degli esperti di Washington, la crescita è destinata a rimanere attorno all’1% fino a tutto il 2019: le stime sono infatti per un +1,3% nel 2016, un +1,2% nel 2017, un +1% nel 2018 e un +1% nel 2019. Poi, cattive notizie anche sulla disoccupazione».Quest’anno, la mancanza di lavoro salirà ai massimi dal dopoguerra, secondo le previsioni del Fondo Monetario: si arriverà al 12,6% rispetto al 12,2% del 2013. «La disoccupazione, inoltre, per il Fmi è destinata a restare a due cifre fino al 2017». In altre parole quello che abbiamo di fronte è «uno scenario pessimo, che potrebbe anche essere rivisto ulteriormente al ribasso», prima della fine di ottobre: lo ha spiegato senza peli sulla lingua Kenneth Kang, capo della missione annuale del Fmi in Italia. Di fatto non ci sono speranze, perché nessuna forza politica denuncia le cause della catastrofe. Senza un Piano-B, basato sull’unico rimedio possibile – l’interventismo diretto dello Stato, in barba al cappio dell’Ue – il bollettino clinico resterà quello di oggi, nutrito di un lessico che appare sempre più di natura psichiatrica, più che economica. Tutto sta crollando, e ancora si vaneggia di crescita del Pil, anziché dell’occupazione, in un mondo globalizzato nel quale l’Occidente fa sempre più fatica a piazzare le sue merci. L’Europa, poi, non ha più neppure il margine fisiologico di oscillazione della moneta: privatizzata anche quella, dalle stesse “istituzioni” che oggi propongono a Renzi di massacrare i pensionati italiani.«Ottenere risparmi significativi sarebbe difficile senza intervenire sulla grande spesa pensionistica». Parola di Christine Lagarde, la “comare secca” del Fmi. Quando parla la Signora con la Falce, generalmente si mette male – malissimo, in questo caso, per i pensionati italiani, cui sono rivolte le attenzioni della temutissima presidente del Fondo Monetario, che ora “consiglia” al bravo Renzi di accelerare le sue “coraggiose riforme” cominciando proprio da una vigorosa tosatura dell’Inps. Non è la prima volta che il Fmi punta il dito contro gli assegni pensionistici del Belpaese: l’élite tecno-finanziaria non tollera che la spesa sociale sia gonfiata dalle pensioni pubbliche, che del resto fanno “concorrenza” alle assicurazioni pensionistiche private, uno dei maggiori rami del grande business finanziario. Così, dopo gli schiaffoni dell’Ocse, Matteo Renzi deve incassare quelli della super-cupola diretta dalla Lagarde, che ha rivisto al ribasso le stime sul Pil italiano nel 2014, indicando una contrazione dello 0,1%.
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Ieri Silvio e oggi Matteo, stesso film: colpire i lavoratori
Vale la pena di riguardare il video nel quale Matteo Renzi aggredisce il sindacato italiano. Il vero talento del nostro premier è riuscire a tradurre, in maniera brillante, in pseudo-linguaggio televisivo e pubblicitario lo pseudo-pensiero neoliberista e padronale sui diritti dei lavoratori. Lo spartito è sempre il medesimo: se “Marta, 28 anni” (ecco lo pseudo-linguaggio) non trova tutele per la sua maternità, è per colpa delle sue amiche dipendenti pubbliche (ed ecco lo pseudo-pensiero). Chi non ha garanzie e diritti può prendersela con chi ancora ne ha qualcuno, la disoccupazione è responsabilità del sindacato, e così via. È un messaggio volto a rinfocolare l’odio di tutti contro tutti, e che trova terreno fertile nelle menti devastate del grande pubblico televisivo. Sbaglia chi vede qualcosa di nuovo o repentino nell’atteggiamento di Renzi: egli ripete queste cose da quando è salito sul palcoscenico, qualche anno fa. La sua è una aggressività coerente, e per nulla inaspettata.Il sindacato, dopo anni di compromessi, moderazione, ritirate strategiche (cioè fatte di corsa), inchini e salamalecchi, si trova sotto il fuoco del capo del suo partito di riferimento. La tattica della limitazione del danno ha fatto sì che il danno si ingigantisse. Se non ci fossero di mezzo anche i nostri diritti verrebbe da dire “ben vi sta!”. Fioriscono le analogie tra Renzi e Berlusconi, di cui avevamo discusso poco tempo fa. La loro missione era ed è giungere alla totale sottomissione del lavoro italiano alle ragioni della crescita e del capitale. Nel 2011, con il pieno accordo delle istituzioni europee, Berlusconi tentò un attacco in grande stile nei confronti del lavoro italiano (vedi “Lettera della Bce”). Fallì, e fu sostituito (non che lui non fosse d’accordo). Al suo posto venne Monti, e riuscì a sferrare colpi durissimi a quanto rimaneva del “welfare state” di questo paese. Fu una specie di Trojka fatta in casa.Se Renzi fallirà, se le residue forze del lavoro riusciranno a opporsi all’azione distruttrice del suo governo, è bene tenere presente il fiorentino “farà la fine” del suo predecessore: verrà semplicemente sostituito. Chi ha ancora intenzione di lottare dovrà dunque tenere fermo questo punto: quello cui assistiamo è solo il primo assalto. Alle spalle del ceto politico e del capitale italiano si staglia l’ombra del ceto politico e del capitale europeo. Esattamente come nel 2011. Naturalmente ci sono delle differenze. Il Renzi di oggi è molto più forte del Berlusconi del 2011; e il pretesto dell’emergenza-spread in questo momento non sussiste. Ma dal punto di vista dei lavoratori la situazione non è poi molto diversa: il primo assalto del 2014 sarà semplicemente più violento di quello del 2011, e sarà accompagnato da una propaganda ancora più fittizia e evanescente. Ciò che conta è non ripetere gli errori del passato, non concentrarsi troppo, non demonizzare la figura di Renzi come si è fatto con quella di Berlusconi. L’uno come l’altro rappresentano solo il primo assalto. È sulla resistenza al secondo che si decide il nostro futuro.(“Matteo Renzi farà la fine di Berlusconi?”, dal blog “Il-main-stream” del 20 settembre 2014).Vale la pena di riguardare il video nel quale Matteo Renzi aggredisce il sindacato italiano. Il vero talento del nostro premier è riuscire a tradurre, in maniera brillante, in pseudo-linguaggio televisivo e pubblicitario lo pseudo-pensiero neoliberista e padronale sui diritti dei lavoratori. Lo spartito è sempre il medesimo: se “Marta, 28 anni” (ecco lo pseudo-linguaggio) non trova tutele per la sua maternità, è per colpa delle sue amiche dipendenti pubbliche (ed ecco lo pseudo-pensiero). Chi non ha garanzie e diritti può prendersela con chi ancora ne ha qualcuno, la disoccupazione è responsabilità del sindacato, e così via. È un messaggio volto a rinfocolare l’odio di tutti contro tutti, e che trova terreno fertile nelle menti devastate del grande pubblico televisivo. Sbaglia chi vede qualcosa di nuovo o repentino nell’atteggiamento di Renzi: egli ripete queste cose da quando è salito sul palcoscenico, qualche anno fa. La sua è una aggressività coerente, e per nulla inaspettata.
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Ciao America, in 13 anni da Washington soltanto disastri
Il declino degli Stati Uniti sta ormai galoppando, anche se i media raccontano che l’America avrebbe ritrovato salute economica e fiorente mercato del lavoro. Dicono anche che gli Usa si siano dotati di un futuro energetico veramente roseo e che continuino a essere un modello per l’Europa e per il mondo. Certo, gli indici di Borsa sono alle stelle, ma questo non significa che una società e un’economia siano uscite dalla crisi: il record, si legge su “Leap 2020”, è l’effetto della politica monetaria dei “soldi facili” praticata dalla Fed, mentre gli investitori «non trovano altri investimenti che non siano quelli sui sopravvalutati titoli azionari e sull’ingannevole finanza innovativa». L’America? E’ in bilico: «La smisurata arroganza di una nazione che considera se stessa “il paese di Dio”, la “numero uno” su tutte le cose di questo mondo, l’araldo di tutti i valori dell’umanità, sta spingendo gli Stati Uniti verso un abisso». Lo conferma la geopolitica: caos totale in Medio Oriente, dopo 13 anni di impegno militare diretto. Per non parlare della folla sfida lanciata alla Russia in Ucraina.La crisi ucraina, continua “Leap 2020”, ha le sue radici nella politica americana basata sul “contenimento della Russia”, che risale a un telegramma inviato da George Kennan, ambasciatore a Mosca, il 22 febbraio 1946. Kennan esprimeva la convinzione che, sul lungo termine, la pace con la Russia sarebbe stata impossibile, perché quel paese stava ancora cercando di ampliare la sua sfera d’influenza. Ora, «sarebbe profondamente preoccupante se chi è al potere a Washington non fosse in grado di cogliere la differenza tra l’Unione Sovietica sotto Stalin e la Russia di oggi sotto Putin», sopravvissuta al crollo dell’Urss e alle amputazioni territoriali, strategiche e demografiche. Inoltre, l’economia di Mosca «fu notevolmente compromessa dal programma “riformatore” del Fmi ispirato dagli Stati Uniti, che le fece perdere gran parte della sua ricchezza nazionale, con le famigerate privatizzazioni riservate alla nascente “classe degli oligarchi”». Oggi la Russia è circondata, «sia dall’alleanza militare avversa (la Nato, che si era fortemente ampliata) che dal blocco economico europeo, presente finanche all’interno del suo stesso ex territorio, il Baltico».L’obiettivo del “contenimento” in versione 2014 è legato essenzialmente a motivazioni di tipo economico: «L’aspirazione dei funzionari americani è quella di aprire l’Ucraina ai prodotti americani, di impossessarsi del suo immenso patrimonio agricolo (la speculazione si sta gettando sul settore alimentare) e delle sue grandi società, e di aprire infine il mercato energetico europeo al gas ed al petrolio di scisto americano». Ma gli Usa, sostiene “Leap 2020”, non dispongono neppure dei mezzi militari per un confronto con Putin. E scontano ancora tutti i fallimenti a catena degli ultimi 13 anni: «L’Afghanistan continua a essere destabilizzato ed è ancora il primo produttore di oppio al mondo, in Iraq l’autorità del governo centrale è implosa, mentre in Siria la lotta contro il dittatore Assad (che è ancora al potere) ha generato un nemico ancor più feroce, l’Isis». Morale: «Tutto ciò a cui i funzionari americani hanno dato inizio, negli ultimi tredici anni, si è trasformato in un disastro». E il conto è salato: da 4 a 6 miliardi di dollari, secondo gli analisti di Harvard, solo nel 2014.«Ormai da molti anni gli Stati Uniti non sono più la superpotenza in grado di risolvere qualsiasi problema attraverso una campagna militare», sostiene “Leap 2020”. «La causa è da ricercare innanzitutto nello squilibrio tra ambizione e sforzo, e subito dopo nella mancanza di risorse: e visto che il potere globale degli Stati Uniti è stato costruito sul potere militare, questo paese è ormai solo l’ombra di quello che era stato». Non è sorprendente, quindi, che il governo americano abbia riscoperto l’utilità della Nato per muovere le sue pedine in Ucraina: «Ha messo in atto un’enorme pressione sui governi dei paesi membri, perché essi aumentino il loro budget militare, ma l’esito è stato abbastanza incerto». L’obiettivo di effettuare nuove spese militari per un importo pari al 2% del Pil di ogni singolo paese, in effetti, è stato spalmato su un periodo che arriva fino al 2024. La Germania, inoltre, ha ulteriormente ridimensionato il proprio impegno. E la decisione di creare una forza d’attacco rapido, composta da 3.000-5.000 soldati, «impallidisce davanti ad un esercito russo pari a 1,15 milioni di soldati e a 2 milioni di riservisti pronti a combattere». La forza Nato, inoltre, avrebbe solo un equipaggiamento leggero, «in ossequio all’idea, veramente geniale, che tutto ciò permetterà ai soldati di schivare più facilmente i 6.500 carri armati russi».Nel confronto con la Russia, secondo “Leap 2020” la Nato «è come un’ape davanti a un orso», prova del fatto che «i funzionari americani hanno perso qualsiasi senso della realtà». Così, «il “colpo di stato” orchestrato dall’Occidente ha fatto perdere legittimità al governo centrale ucraino nei riguardi della popolazione di lingua russa, e ha quindi aperto la strada all’acquisizione dell’Ucraina Orientale da parte della Russia, probabilmente sotto forma di un’ampia autonomia all’interno di uno Stato Federale Ucraino, sottoposto ad una forte influenza russa». Analogamente a quanto già avvenuto in Medio Oriente, la politica e il comportamento del governo degli Stati Uniti, «basati sull’infallibilità delle strategie e sull’onnipotenza dell’America», hanno gettato nel caos un’intera regione, rafforzando in fin dei conti «le forze che si opponevano agli Stati Uniti».Il declino degli Stati Uniti sta ormai galoppando, anche se i media raccontano che l’America avrebbe ritrovato salute economica e fiorente mercato del lavoro. Dicono anche che gli Usa si siano dotati di un futuro energetico veramente roseo e che continuino a essere un modello per l’Europa e per il mondo. Certo, gli indici di Borsa sono alle stelle, ma questo non significa che una società e un’economia siano uscite dalla crisi: il record, si legge su “Leap 2020”, è l’effetto della politica monetaria dei “soldi facili” praticata dalla Fed, mentre gli investitori «non trovano altri investimenti che non siano quelli sui sopravvalutati titoli azionari e sull’ingannevole finanza innovativa». L’America? E’ in bilico: «La smisurata arroganza di una nazione che considera se stessa “il paese di Dio”, la “numero uno” su tutte le cose di questo mondo, l’araldo di tutti i valori dell’umanità, sta spingendo gli Stati Uniti verso un abisso». Lo conferma la geopolitica: caos totale in Medio Oriente, dopo 13 anni di impegno militare diretto. Per non parlare della folla sfida lanciata alla Russia in Ucraina.
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Il Fmi vuole il nostro sangue, e Renzi glielo darà
Salari più bassi, meno assistenza, tagli alle pensioni. Il programma dei governi nazionali? Lo scrive la Troika, ed è stupefacente che qualcuno ancora ne dubiti, specie “a sinistra”. Così, ad ogni periodico report, sono i pilastri della stessa Troika a ricordarcelo: di recente è toccato al Fmi, che ha rivisto anche al ribasso le previsioni di crescita per l’Italia, ovvero di recessione: -0,1%, secondo l’istituto internazionale guidato da Christine Lagarde. Le previsioni per gli anni successivi (+1,1 nel 2015, + 1,3 nel 2016) «appartengono al “wishful thinking” più che alle stime scientifiche», secondo Claudio Conti, «perché è ormai chiaro che le variabili macro-globali sono fuori dal controllo di qualsiasi ente». Semplicemente, «nessuno sa come andrà: si incrociano le dita e si sparano “ricette” a seconda degli interessi che si rappresentano». Dato che il Fmi è una sorta di braccio armato del capitalismo finanziario multinazionale, con preponderanza anglo-statunitense, «se l’obiettivo è trasferire quote di ricchezza dalle popolazioni alla finanza multinazionale, ecco che i “consigli” del Fondo assumono toni granguignoleschi».La chiave di volta resta il debito pubblico, scrive Conti su “Contropiano”: la finanza globale ama soltanto quello privato, ovvero fondamentalmente il proprio debito, e si scaglia contro quello “pubblico”, pretendendo trasferimenti diretti verso le proprie casse. Il debito italiano, come ormai ammette anche il ministro Padoan, è destinato a salire anche a dispetto (o meglio, a causa) dei tagli di spesa: toccherà il 136,4% del Pil entro fine 2014, per poi scendere progressivamente, ma restando comunque sopra il 130% fino al 2017. «Trattandosi di una proporzione e non di una cifra assoluta – osserva Conti – se a un governo vengono “consigliate” manovre recessive, il risultato sarà una contrazione del Pil». Dunque, la relazione debito-Pil «resterà negativa anche tagliando alla grande il debito». Di conseguenza, sentenzia il Fmi, il tasso di disoccupazione in Italia è destinato a salire ancora: 12,6%, il più alto dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.E qui arrivano i primi “complimenti” al governo Renzi, la cui “riforma del mercato del lavoro”, con tanto di precarizzazione universale e contrazione dei salari, «è vista come condizione ottimale per aumentare la quantità di persone da mettere al lavoro a salari da fame». Dunque la riforma Renzi «va nella giusta direzione», ma il premier deve «muoversi rapidamente sulle riforme». Bene anche l’idea di un «singolo contratto di lavoro», con «il 70% dei nuovi contratti a tempo determinato», nonché «ulteriore flessibilità». Tradotto: la precarietà è utile per le produzioni o le imprese “marginali” (piccole o piccolissime), ma l’attacco va condotto direttamente contro il nucleo centrale dell’occupazione «stabile e a tempo indeterminato», in modo da comprimere violentemente e una volta per tutte il costo del lavoro anche nei comparti-chiave dell’economia italiana.Benedizioni quindi anche per uno «strumento importante» come la “spendig review”, non a caso affidata a Carlo Cottarelli, un economista dello stesso Fmi, che ad ottobre rientrerà nei ranghi dell’organismo sovranazionale. Ma al Fondo sanno fare i conti, aggiunge “Contropiano”: per quanto si possa tagliare la spesa pubblica toccando le varie «sacche di inefficienza» o spreco, non si arriverà mai a sforbiciare abbastanza da riportare il debito pubblico entro quel 60% indicato dagli accordi di Maastricht. Come si può fare, allora? «Ulteriori risparmi saranno difficili senza affrontare l’elevata spesa per le pensioni» e anche la spesa sanitaria. «Bingo! Il Fmi dice fuori dai denti che è ora di far fuori un po’ di anziani, riducendo le loro “aspettative di vita” grazie a pensioni ancora più basse e minori prestazioni sanitarie», scrive Conti. «Non serve, insomma, “tagliare gli sprechi”, il Fondo consiglia (prescrive? ordina?) di tagliare la carne viva della gente fino all’osso e anche oltre». Viceversa, ammonisce il Fmi, l’Italia rimarrà «vulnerabile a una perdita di fiducia del mercato» e al «contagio finanziario», diventando «fonte di contagio per il resto del mondo».«Per tutte queste ragioni – continua “Contropiano”– il Fmi promuove “l’ambiziosa agenda di riforme” del governo Renzi, suscitando la poco divertente impressione del burattinaio che dice “bravo!” alla marionetta». Il Fondo Monetario non ha dubbi: «Attuare le riforme strutturali simultaneamente genererebbe significative sinergie di crescita». Quanto sia “invasiva” la logica del Fondo, osserva Conti, è dimostrato da una delle tante raccomandazioni non direttamente economche: il progetto di legge elettorale delineato dall’“Italicum” è considerato un’ottima idea, perché «aiuta il sostegno e l’attuazione delle riforme». Chiosa Claudio Conti: «Non servirebbe la traduzione, ma ve la diamo egualmente: un programma di “riforme” così sanguinose e infami non avrebbe alcuna possibilità di esser approvato anche elettoralmente; bene dunque l’idea di escludere che il parere dei cittadini possa rallentare – o, orrore!, “impedire” – l’attuazione del programma. La democrazia non serve più al capitale, ergo si può e si deve metterla da parte».Salari più bassi, meno assistenza sanitaria, tagli alle pensioni. Il programma dei governi nazionali? Lo scrive la Troika, ed è stupefacente che qualcuno ancora ne dubiti, specie “a sinistra”. Così, ad ogni periodico report, sono i pilastri della stessa Troika a ricordarcelo: di recente è toccato al Fmi, che ha rivisto anche al ribasso le previsioni di crescita per l’Italia, ovvero di recessione: -0,1%, secondo l’istituto internazionale guidato da Christine Lagarde. Le previsioni per gli anni successivi (+1,1 nel 2015, + 1,3 nel 2016) «appartengono al “wishful thinking” più che alle stime scientifiche», secondo Claudio Conti, «perché è ormai chiaro che le variabili macro-globali sono fuori dal controllo di qualsiasi ente». Semplicemente, «nessuno sa come andrà: si incrociano le dita e si sparano “ricette” a seconda degli interessi che si rappresentano». Dato che il Fmi è una sorta di braccio armato del capitalismo finanziario multinazionale, con preponderanza anglo-statunitense, «se l’obiettivo è trasferire quote di ricchezza dalle popolazioni alla finanza multinazionale, ecco che i “consigli” del Fondo assumono toni granguignoleschi».
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Cremaschi: Jobs Act, l’atroce legge del regime in arrivo
Il governo Renzi concede alle imprese libertà di spionaggio sui dipendenti, con telecamere e quant’altro. E questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici che si indignano di fronte a intercettazioni telefoniche della magistratura che tocchino loro o le loro amicizie. Con il demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi. E questo lo sostengono coloro che ogni secondo sproloquiano sulla necessità di premiare il merito. Con la riforma degli ammortizzatori sociali si tagliano la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione e per il futuro le si dimensiona in rapporto alla anzianità di lavoro effettivo. Cioè i giovani e le donne prenderanno meno degli anziani maschi. E questo in nome di un modello sociale scandinavo sbandierato dagli estensori del Jobs Act per ignoranza o per pura menzogna. Infine si aggiunge agli altri contratti precari, che al di là delle chiacchiere restano e con i voucher si estendono, quello a “tutele crescenti” per i nuovi assunti.Costoro in realtà nella loro crescita non incontreranno mai più l’articolo 18, quindi il loro contratto a tempo indeterminato in realtà sarà finto, perché essi saranno licenziabili in qualsiasi momento. Un contratto a termine al minuto, una ipocrita beffa. L’articolo 18 resterà come patrimonio personale dei vecchi assunti, quindi non solo mano mano si ridurrà la platea di chi usufruisce di quel diritto, ma saranno la stesse imprese a essere poste in tentazione di accelerare il ricambio dei loro dipendenti. Perché tenersi il lavoratore che ha ancora la tutela dell’articolo 18, quando se ne può assumere uno senza, pagato un terzo in meno? Renzi non fa niente di nuovo, anzi applica il principio classico degli accordi di concertazione: il “doppio regime”. I diritti contrattuali, le retribuzioni, le condizioni di orario e le qualifiche, l’accesso alla pensione, son stati negli ultimi trenta anni ridotti per tutti, ma ai nuovi assunti venivano negati completamente, a quelli con più anzianità di lavoro invece un poco restavano.I diritti non potevano più essere trasmessi da una generazione all’altra, ma diventavano una sorta di rendita personale per le generazioni che abbandonavano il lavoro. Questi accordi, sottoscritti dai sindacati confederali e applauditi dagli innovatori ora fan di Renzi, hanno creato l’apartheid. Renzi stesso mente sapendo di mentire quando sostiene di voler abolire la disparità di diritti, invece tutti i suoi provvedimenti la rafforzano ed estendono. Il Jobs Act aggiunge ferocia a ferocia, non cambierà nulla nelle dimensioni della disoccupazione, anzi i disoccupati aumenteranno, come è avvenuto in Grecia e Spagna che hanno per prime seguito la via oggi percorsa dal governo. Il Jobs Act non risolverà uno solo dei problemi produttivi delle imprese, soprattutto di quelle più piccole che non hanno mai avuto l’articolo 18, ma che sono in crisi più delle grandi. E allora perché si fa?Perché come scrivevano il 5 agosto 2011 Draghi e Trichet e come aggiungeva nel 2013 la banca Morgan, la protezione costituzionale del lavoro è un lusso che l’Italia non può più permettersi. I padroni d’Europa e della finanza vogliono un lavoro low cost in una società low cost, e tutto ciò che si oppone a questo loro disegno va trattato come un nemico. Cgil, Cisl e Uil in questi anni han lasciato passare tutto, sono state di una passività che il presidente del consiglio Monti arrivò persino a vantare all’estero. Eppure a Renzi non basta ancora, per lui i sindacati devono generosamente suicidarsi per fare spazio al nuovo. E questa è la seconda vera ragione del Jobs Act e del fanatismo con cui viene sostenuto: il valore simbolico reazionario dell’attacco all’articolo 18, che Renzi fa proprio per mettersi a capo di un regime.Un regime che non è il fascismo del secolo scorso, ma è un sistema autoritario che nega la sostanza sociale della nostra Costituzione e riduce la democrazia ad una parvenza formale, fondata sul plebiscitarismo mediatico e sull’assenza di diritti veri. Il Jobs Act è parte di una restaurazione sociale e politica peggiore di quella della signora Thatcher, perché fatta trent’anni dopo. Una restaurazione con la quale si pensa di affrontare la crisi economica per rendere permanenti le politiche di austerità, che, secondo la signora Lagarde direttrice del Fondo Monetario Internazionale, in Europa non son neppure cominciate. Una restaurazione che nel paese del gattopardo richiede un ceto politico avventuriero disposto a interpretarla come il nuovo che avanza. Per questo il governo Renzi è il governo della menzogna e l’affermazione della verità è il primo atto di resistenza contro il regime che vuole costruire.(Giorgio Cremaschi, “Jobs Act, un manifesto della malafede”, da “Micromega” del 22 settembre 2014).Il governo Renzi concede alle imprese libertà di spionaggio sui dipendenti, con telecamere e quant’altro. E questa violazione elementare dei diritti della persona viene da quegli stessi politici che si indignano di fronte a intercettazioni telefoniche della magistratura che tocchino loro o le loro amicizie. Con il demansionamento si afferma la licenza di degradare il lavoratore dopo una vita di fatiche per migliorarsi. E questo lo sostengono coloro che ogni secondo sproloquiano sulla necessità di premiare il merito. Con la riforma degli ammortizzatori sociali si tagliano la cassa integrazione e l’indennità di disoccupazione e per il futuro le si dimensiona in rapporto alla anzianità di lavoro effettivo. Cioè i giovani e le donne prenderanno meno degli anziani maschi. E questo in nome di un modello sociale scandinavo sbandierato dagli estensori del Jobs Act per ignoranza o per pura menzogna. Infine si aggiunge agli altri contratti precari, che al di là delle chiacchiere restano e con i voucher si estendono, quello a “tutele crescenti” per i nuovi assunti.
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De Bortoli l’anti-Renzi, un suicidio le sanzioni alla Russia
«Renzi è la rovina dell’Italia», avrebbe confidato tempo fa Ferruccio De Bortoli ad alcuni amici. Notizia filtrata sui media, poi indirettamente confortata dall’annuncio di Rcs: il direttore lascerà il “Corriere della Sera” nell’aprile 2015. Per fare politica? Lo ipotizza Gianni Gambarotta su “Formiche.net”, all’indomani dell’esplosivo editoriale di De Bortoli contro Renzi, dipinto come chiacchierone inconcludente, con in tasca l’accordo segreto con Berlusconi, il Patto del Nazareno, che “puzza di massoneria”. «È un passaggio molto intrigante e non è caduto per caso», dichiara Giancarlo Galli, saggista economico e editorialista di “Avvenire”, nonché autore di inchieste e libri che hanno messo in luce trame, ambizioni, rivalità e faide del ceto dirigente italiano. «La Toscana è una terra di forte e radicata tradizione massonica, così come gli Stati Uniti cui Renzi è frequentemente accostato». Ecco il punto: obbedendo a Obama nell’offensiva contro la Russia, Renzi sta gettando nel panico l’agonizzante imprenditoria italiana, che conta proprio sui mercati dell’Est. Pessimo affare, la “guerra” contro Putin. Avvertimento: il premier prenda nota, o sarà presto “scaricato”.«Renzi non mi convince», scrive De Bortoli sul “Corriere” il 24 settembre. «Se vorrà veramente “cambiare verso” a questo paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso». Ha «una personalità egocentrica», che è «irrinunciabile per un leader» ma nel suo caso è «ipertrofica». Fatto «non irrilevante», visto che Renzi è «un uomo solo al comando del paese (e del principale partito), senza veri rivali». Vuol fare tutto da solo, e la sua squadra di governo «è in qualche caso di una debolezza disarmante»: il sospetto è che alcuni ministri «siano stati scelti per non far ombra al premier». In troppi casi «la fedeltà (diversa dalla lealtà) fa premio sulla preparazione, sulla conoscenza dei dossier», e additrittura «a prevalere è la toscanità», non il valore. La competenza? «Un criterio secondario». L’esperienza? «Un intralcio, non una necessità». L’irruenza può scuotere la “palude”, ma «non sempre è preferibile alla saggezza negoziale». Inoltre, «la muscolarità tradisce a volte la debolezza delle idee, la superficialità degli slogan». Ovvero: «Un profluvio di tweet non annulla la fatica di scrivere un buon decreto».Se Renzi è un oratore travolgente, «il fascino che emana stinge facilmente nel fastidio se la comunicazione, pur brillante, è fine a se stessa». Il marketing della politica? «Se è sostanza è utile, se è solo cosmesi è dannoso». E in Europa, «meno inclini di noi a scambiare la simpatia e la parlantina per strumenti di governo, se ne sono già accorti». Attenzione: «Le controfigure renziane abbondano anche nella nuova segreteria del Pd, quasi un partito personale, simile a quello del suo antico rivale, l’ex Cavaliere». E qui sorge quello che De Bortoli definisce l’interrogativo più spinoso: «Il patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015». Quindi «sarebbe opportuno conoscerne tutti i reali contenuti, liberandolo da vari sospetti (riguarda anche la Rai?) e, non ultimo, dallo stantio odore di massoneria». Ultimo consiglio al premier: «Quando si specchia al mattino, indossando una camicia bianca, pensi che dietro di lui c’è un paese che non vuol rischiare di alzare nessuna bandiera straniera (leggi Troika), e tantomeno quella bianca».Il durissimo attacco di De Bortoli costituisce il punto culminante di un crescendo di critiche taglienti portate avanti dalle firme di punta di Via Solferino, scrive Edoardo Petti su “Formiche.net”. Prima Alberto Alesina e Francesco Giavazzi sulla strategia economica del premier, poi i corsivi di Antonio Polito, Ernesto Galli della Loggia e Pierluigi Battista. Ora, l’intervento a gamba tesa del direttore. Per Giancarlo Galli, l’asprezza di De Bortoli riflette «lo stato d’animo di un mondo imprenditoriale lombardo e italiano che, tranne l’eccezione della Fiat ormai pienamente americana, è preoccupato per l’eccessivo filo-americanismo del premier». Le sanzioni contro la Russia? «Quella è la punta dell’iceberg», sostiene Galli. «La classe economica del nostro paese ritiene che gli sbocchi privilegiati delle attività commerciali italiane siano i mercati orientali, Russi e asiatici in primo luogo. E per questo motivo ha giudicato malissimo la politica muscolare perseguita dal presidente del Consiglio verso Mosca, da cui importiamo energia e soprattutto gas metano. Comparto fondamentale, in cui gli Usa si apprestano a far concorrenza alla Russia attraverso la ricerca e raffinazione dello “shale gas”». In più, aggiunge Galli, gli industriali italiani guardano con timore all’offensiva del premier contro l’articolo 18 e i sindacati: «Potrebbe creare una fase di turbolenza negli ambienti di lavoro, ed è l’ultima cosa di cui gli imprenditori hanno bisogno».Di fatto, scrive Gianni Gambarotta, Renzi e il suo modo di far politica sono stati demoliti: col suo editoriale, De Bortoli ha tagliato i ponti col palazzo che oggi conta. Dunque si dimostrano infondate «le voci che puntasse, dopo l’uscita da via Solferino nell’aprile prossimo, a una presidenza Rai». De Bortoli «non si prende nemmeno il disturbo di accennare, nel suo tacitiano articolo, al centro di potere che ruota attorno ai suoi editori». Ormai «gioca una sua partita di direttore di quotidiano libero da ogni vincolo». Ma che cosa ha in mente per il futuro? «Un futuro che si immagina ancora lungo e intenso, dato che Fdb ha solo 60 anni, e in 40 di brillante carriera ha dimostrato di essere un eccellente professionista e di amare molto il lavoro». Gambarotta ricorda che di De Bortoli si parlò come possibile sindaco di Milano dopo Gabriele Albertini. Non se ne fece nulla, «però quella mezza idea di tanti anni fa potrebbe essere ripescata dal cassetto, e magari non solo a livello locale», conclude Gambarotta. «La politica italiana di oggi è un immenso nulla nel quale rimbombano i bla-bla-bla di Renzi. In questo vuoto una personalità come de Bortoli sarebbe un gigante».«Renzi è la rovina dell’Italia», avrebbe confidato tempo fa Ferruccio De Bortoli ad alcuni amici. Notizia filtrata sui media, poi indirettamente confortata dall’annuncio di Rcs: il direttore lascerà il “Corriere della Sera” nell’aprile 2015. Per fare politica? Lo ipotizza Gianni Gambarotta su “Formiche.net”, all’indomani dell’esplosivo editoriale di De Bortoli contro Renzi, dipinto come chiacchierone inconcludente, con in tasca l’accordo segreto con Berlusconi, il Patto del Nazareno, che “puzza di massoneria”. «È un passaggio molto intrigante e non è caduto per caso», dichiara Giancarlo Galli, saggista economico e editorialista di “Avvenire”, nonché autore di inchieste e libri che hanno messo in luce trame, ambizioni, rivalità e faide del ceto dirigente italiano. «La Toscana è una terra di forte e radicata tradizione massonica, così come gli Stati Uniti cui Renzi è frequentemente accostato». Ecco il punto: obbedendo a Obama nell’offensiva contro la Russia, Renzi sta gettando nel panico l’agonizzante imprenditoria italiana, che conta proprio sui mercati dell’Est. Pessimo affare, la “guerra” contro Putin. Avvertimento: il premier prenda nota, o sarà presto “scaricato”.
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Roberts: mentecatti europei, pagati per portarvi in guerra
Pagliacci pericolosi, pagati per mentire. Dal portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea prima del degno sostituto Juncker, fino al danese Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato. Obbediscono agli ordini di chi li ha piazzati al vertice: gli Stati Uniti. E l’ordine è semplice: raccontare il contrario della verità, in modo da “orientare” l’opinione pubblica grazie ai media mainstream, anch’essi “zerbini” del super-potere come i loro editori, per nulla indipendenti. E’ la dura accusa lanciata sul blog “Counterpunch” da Paul Craig Roberts, già editor e viceministro di Reagan, indignato per la criminale manipolazione delle notizie sul fronte ucraino, orchestrata dallo staff di Obama. E perché gli europei non si ribellano, visto che hanno tutto da perdere in caso di un’escalation con la Russia? Perché noi americani li paghiamo, scrive Roberts: tutti i leader europei sono stati elevati a ruoli di comando dallo Zio Sam. Grazie agli Usa hanno fatto carriera e ricevuto denaro a palate. Per questo, sono pronti a dire (e fare) qualsiasi cosa. Anche la guerra, persino contro una superpotenza nucleare.«Herbert E. Meyer, un pazzo che per un periodo aveva occupato il ruolo di assistente speciale del direttore della Cia durante l’amministrazione Reagan, ha scritto un articolo invitando all’assassinio del presidente russo Vladimir Putin», riferisce Craig Roberts in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Dice l’ex uomo Cia: «Se dobbiamo farlo uscire dal Cremlino con i piedi in avanti e un foro di proiettile nella nuca, non avremmo problemi». Assassinare Putin? «Come il folle Meyer spiega – ribatte Roberts – il delirio che Washington ha diffuso nel mondo non ha limiti». Lo provano, su un altro piano, le bugie di Barroso, «messo alla presidenza della Commissione Europea come burattino degli Usa». Dopo una recente telefonata con Putin, Barroso ha raccontato ai media che il capo del Cremlino avrebbe espresso la seguente minaccia: «Se volessi, potrei prendermi Kiev in due settimane». C’è da mettersi a ridere, dice Roberts: «Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la disparità tra le forze russe e ucraine sa più che bene che alla Russia basterebbero 14 ore, e non 14 giorni, per prendersi l’Ucraina».Basta ricordarsi cosa accadde all’armata georgiana «addestrata e armata da Usa e Israele quando Washington aveva piazzato i suoi bambolotti georgiani nell’Ossezia del Sud». Le forze georgiane, precisa Roberts, sono collassate sotto il contrattacco russo in appena 5 ore.In ogni caso, «Putin non ha minacciato nessuno: una minaccia non sarebbe coerente con l’intero approccio attendista di Putin alla minaccia strategica che Washington e i suoi burattini della Nato hanno mosso alla Russia in Ucraina». Il rappresentante permanente della Russia all’Ue, Vladimir Chizhov, ha detto che se la menzogna di Barroso non verrà ritrattata, la Russia divulgherà la registrazione dell’intera conversazione. «La bugia che la marionetta di Washington Barroso ha raccontato non è degna di una persona rispettabile», scrive Roberts. «Ma dove, in Europa, c’è qualcuno di rispettabile al potere? Da nessuna parte. Le poche persone serie sono del tutto fuori dai centri di potere».Al vertice c’è gente come Rasmussen: era solo il premier della piccola Danimarca, e un giorno capì che «avrebbe potuto salire oltre, diventando una marionetta degli Usa». Come? Per esempio supportando l’invasione illegale dell’Iraq. E quindi, mentendo: «Sappiamo – disse – che Saddam Hussein possiede armi di distruzione di massa». Il danese conosceva le regole: «Chi serve Washington fa carriera, e Rasmussen ne ha fatta». Osserva Craig Roberts: «Il problema del mettere in certe posizioni dei mentecatti è che essi rischierebbero il mondo per la loro carriera». Ora, secondo l’ex viceministro di Reagan, il segretario della Nato ha «messo a rischio la sopravvivenza di tutta l’Europa, occidentale e orientale», annunciando al vertice di Newport la creazione di una forza speciale di attacco capace di operazioni-lampo in Russia. Ciò che «il burattino di Washington chiama “piano di azione immediata”» è giustificato come una risposta al quello che viene definito «l’atteggiamento aggressivo della Russia in Ucraina». Tutto falso, ovviamente. Inoltre, la “forza d’attacco fulminea” di Rasmussen «verrà spazzata via così come ogni capitale europea». Aggiunge Roberts: «Che tipo di idiota provoca in questo modo una superpotenza nucleare?». Risposta: un “idiota” prezzolato, riempito di dollari e quindi ricattabile.Racconta Craig Roberts: «Il mio professore di dibattito all’università, che è diventato un alto ufficiale del Pentagono con il compito di terminare la guerra in Vietnam, in risposta alla mia domanda su come Washington faccia sempre fare all’Europa ciò che vuole ha detto: “Soldi, diamo loro soldi”. “Aiuti stranieri?”, ho chiesto. “No, diamo ai politici europei un sacco di soldi. Loro sono in vendita. Noi li compriamo, e loro ci rendono conto”. Forse – aggiunge Roberts – questo spiega i 50 milioni di dollari guadagnati da Blair, in un anno, con il suo ufficio». Facile prendersela con Mosca, inventando di sana pianta ogni accusa: «La Russia se ne è stata in disparte mentre il governo-marionetta di Kiev ha accerchiato e bombardato insediamenti civili, ospedali, scuole, e lanciato una serie costante di bugie». Putin ha persino respinto le richieste delle province ora indipendenti del Sud e dell’Est dell’Ucraina, in passato territori russi, di venire nuovamente annesse. La verità è esattamente opposta: «Sono le milizie naziste ucraine ad attaccare i civili nei territori che appartenevano alla Russia». Infatti, «molti militari ucraini hanno disertato a favore delle repubbliche indipendenti».A quei soldati disertori non piaceva l’idea di bombardare civili inermi e di combattere accanto a dei neonazisti, alcuni ripresi con la svastica stampata sull’elmetto. «L’Ucraina dell’Ovest – ricorda Craig Roberts – è la dimora delle divisioni ucraine delle SS che combatterono al fianco di Hitler. Oggi le milizie organizzate dal “Right Sector” e altri partiti politici di destra indossano la divisa delle divisioni ucraine delle SS. Queste sono le persone che Washington e l’Ue sostengono. Se i nazisti ucraini potessero vincere contro la Russia, e non possono, si rivolterebbero all’Occidente. Esattamente come l’Isis, creato da Washington, e che Washington ha sguinzagliato contro Siria e Libia. Ora l’Isis sta ricreando un Medio Oriente unito, e Washington non sembra in grado di reagire. William Binney, un ex ufficiale dell’Nsa, ha scritto alla cancelliera tedesca Angela Merkel avvertendola di difendersi dalle menzogne di Obama al summit della Nato in Galles. Gli ufficiali dell’intelligence statunitense avvertono la Merkel di ricordarsi delle “armi di distruzione di massa” irachene e di non farsi ingannare nuovamente, entrando stavolta in conflitto con la Russia».La domanda è: chi rappresenta la Merkel? Washington o la Germania? «Fino ad ora», nella vertenza con Mosca sull’Ucraina, la cancelliera «ha rappresentato Washington, non gli interessi dell’economia tedesca, non il popolo tedesco, non la Germania come nazione», sostiene Roberts, ricordando che in una manifestazione di protesta, a Dresda, una folla ha ostacolato il discorso della Merkel gridandole “kriegstreiber” (guerrafondaia), “bugiarda” e “nessuna guerra contro la Russia”. Nulla, comunque, che abbia perforato il muro dei media mainstream, silenzio e menzogna. «I media occidentali, la più grande casa chiusa del mondo, agognano la guerra». Craig Roberts denuncia il “Washington Post”, «un giornale-trofeo nelle mani del proprietario miliardario di “Amazon.com”», divenuto «un zimbello mondiale» per «le bugie di Washington» su Putin, «sbrodolate» in editoriali come quello del 31 agosto. Putin avrenne «resuscitato la tirannia» per ricostituire l’impero russo. «Come ex editore del “Wall Street Journal” – replica Paul Craig Roberts – posso dire con assoluta certezza che una propaganda di questo tipo, spacciata per editoriale, sarebbe conseguita nell’immediato licenziamento di tutte le persone coinvolte».I nostri media evitando persino di riferire quello che Kiev racconta al Fmi: e cioè che l’Ucraina non è mai stata invasa. In caso di invasione, infatti, la guerra sarebbe conclamata. E una Ucraina ufficialmente in guerra con un paese straniero non potrebbe neppure ricevere le agognate sovvenzioni del Fondo Monetario. «Ma i media occidentali non si interessano ai fatti: bastano le bugie, solo le bugie. Il “Washington Post”, il “New York Times”, la “Cnn”, “Fox News”, “Die Welt”, la stampa francese e quella inglese pregano in coro: “Per favore, Washington, dacci altre bugie sensazionali da sbandierare. La nostra circolazione ne ha bisogno. Chissenefrega della guerra e della razza umana, se in cambio possiamo avere stabilità finanziaria”». Siamo seri, aggiunge Roberts: se unità militari russe fossero davvero in azione nell’Est del paese, l’Ucraina «non esisterebbe più» e sarebbe di nuovo «parte della Russia, come secoli prima che Washington sfruttasse il crollo dell’Unione Sovietica per separarla».Piuttosto, c’è da domandarsi «quanto durerà la pazienza russa di fronte alle continue bugie e provocazioni dell’Occidente», visto che «le menzogne di Washington, insieme a quelle dei suoi bambolotti europei e dei media occidentali, rendono inutili gli sforzi della Russia per risolvere la situazione con la diplomazia e un comportamento non aggressivo». Per Roberts, «non c’è nulla che la Nato possa fare se la Russia decide che un’Ucraina nelle mani di Washington è una minaccia strategica troppo grande per i propri interessi». Niente da fare, se Mosca decissere davvero di “reincorporare” Kiev: «Qualsiasi forza d’intervento della Nato inizierebbe una guerra che non potrebbe vincere. E la popolazione tedesca, memore delle conseguenze della guerra contro la Russia, ribalterebbe il governo burattino di Washington». A quel punto, «la Nato e la Ue crollerebbero, se la Germania si staccasse dall’assurdo costrutto asservito agli interessi di Washington a spese dell’Europa». Solo allora, finalmente, «il mondo avrebbe pace».Pagliacci pericolosi, pagati per mentire. Dal portoghese José Manuel Barroso, presidente della Commissione Europea prima del degno sostituto Juncker, fino al danese Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della Nato. Obbediscono agli ordini di chi li ha piazzati al vertice: gli Stati Uniti. E l’ordine è semplice: raccontare il contrario della verità, in modo da “orientare” l’opinione pubblica grazie ai media mainstream, anch’essi “zerbini” del super-potere come i loro editori, per nulla indipendenti. E’ la dura accusa lanciata sul blog “Counterpunch” da Paul Craig Roberts, già editor e viceministro di Reagan, indignato per la criminale manipolazione delle notizie sul fronte ucraino, orchestrata dallo staff di Obama. E perché gli europei non si ribellano, visto che hanno tutto da perdere in caso di un’escalation con la Russia? Perché noi americani li paghiamo, scrive Roberts: tutti i leader europei sono stati elevati a ruoli di comando dallo Zio Sam. Grazie agli Usa hanno fatto carriera e ricevuto denaro a palate. Per questo, sono pronti a dire (e fare) qualsiasi cosa. Anche la guerra, persino contro una superpotenza nucleare.
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Cabras: siam pronti anche noi alla macelleria della guerra?
Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.«Sarà l’Ucraina, sarà il richiamo bellico dell’anno quattordici, sarà che ormai le dichiarazioni di molti politici europei già annunciano la carneficina all’orizzonte», moltiplicando ogni giorno le nuove evocazioni di una guerra mondiale, ma intanto «cresce per molti una sensazione di pericolo», scrive Pino Cabras su “Megachip”. «Evocare è facile, ma essere davvero pronti all’anticamera dell’Apocalisse è un’altra cosa». Chi è davvero pronto per la guerra? Certo non i popoli europei: «Vivono in una bolla televisiva che fa loro sperare di essere ancora a lungo i consumatori che sono stati negli ultimi decenni. La cuccagna non è stata ancora smontata, perciò il ricordo dell’ultima guerra mondiale rimane annacquato. Gli europei medi – continua Cabras – non riescono più a immaginare la guerra come catastrofe. I telegiornali e i grandi quotidiani li ammaestrano all’isteria bellica, alla propaganda più sfacciata, alla russofobia, questo sì. Ma occultano l’idea che la distruzione possa entrare nelle loro case o sommergere intere coorti dei loro figli».Il peggio è che «nessun europeo medio ha saputo cosa è accaduto in Ucraina negli ultimi sei mesi, dal golpe in poi. Tanto meno sa cosa c’era prima. Né sa che il governo di Kiev ha martoriato la popolazione civile delle regioni orientali». L’europeo medio «ignora gli interessi predatori di quei capitalisti mafiosi che vorrebbero svuotare quelle regioni dei loro abitanti russofoni», non sa che «le forze di sicurezza ucraine sono in mano ad avventurieri imbevuti di ideologie naziste». E naturalmente «non sa nulla della Russia, non sa nulla di nulla: e si ritroverà nella guerra vasta che annuncia il neopresidente polacco del Consiglio Europeo, Donald Tusk (un burattino atlantista), e peggio di lui il ministro della difesa ucraino Gheletei, senza sapere ancora nulla». Certamente a scalpitare è Tusk, il regime dell’Ue è al guinzaglio di Washington, lo stesso Cameron sembra avere il dito sul grilletto. La Nato sembra abbozzare una frenata – su richiesta della Merkel, cioè dell’export tedesco danneggiato dalle sanzioni contro Mosca – ma intanto prepara una forza di pronto intervento per l’Est. In teoria, era pronta alla guerra anche la giunta golpista di Kiev, «ma in modo totalmente irresponsabile, con una tragica incapacità di valutare gli interessi dei russi e – di questi – la determinazione (cioè una prontezza reale) a pagare e infliggere il prezzo di una guerra vera».Quel che accade ora in Ucraina, dice Cabras, misura le reali dimensioni di queste diverse “prontezze”. Da un lato i popoli occidentali «anestetizzati dai loro media», popoli «che non hanno alcuna misura dei fatti», e in più il popolo ucraino «che si sorprende di dover subire una disfatta (in Italia si direbbe una Caporetto), come nel caso delle mamme e sorelle disperate che chiedono conto delle notizie di una brigata di 4.700 uomini, di cui sono tornati con le proprie gambe in appena 83». Queste famiglie «hanno appena riscoperto il concetto di “carne da cannone”», quello della Grande Guerra. «Sono le avanguardie delle mamme che ripeteranno la scena in tante altre lingue, anche da noi, nelle capitali in bancarotta dell’Europa ai comandi di Bruxelles e Francoforte». Dall’altro lato della barricata, ecco invece i militari del Donbass: «Colpisce la sicurezza e l’agghiacciante autorevolezza – in un dosaggio di gravitas e brutale ironia – con cui questi partigiani dei nostri giorni parlano di migliaia di vittime di guerra». La “gravitas” è quella che annuncia l’avvenuta strage dei militari mandati allo sbaraglio dagli aggressori incoraggiati dalla Nato. L’ironia è quella della sfilata dei prigionieri: a marciare (disarmati e sconfitti) il 24 agosto sono stati gli ucraini di Kiev, quelli che avevano annunciato con troppa fretta la conquista di Donesk, con tanto di parata dal sapore hitleriano.«Purtroppo, cari giornalisti, l’Occidente cerca di invaderci con una frequenza di 30-50 anni», dicono i resistenti dell’Est. «Ogni 30-50 anni la civiltà occidentale cerca di imporci la sua opinione e il suo modo di vivere. La Prima Guerra Mondiale, la Grande guerra patriottica, la guerra di Crimea prima ancora, e così via nelle profondità della storia. Come risultato, l’Occidente tradizionalmente ottiene la caduta di Berlino, di Parigi. L’Occidente arriva ogni 30-50 anni per ottenere ciò che si merita. Ora, nel 2014, sono un po’ in ritardo», ma il copione sembra lo stesso. Loro, sì, sono pronti alla guerra. Lo hanno dimostrato. E lo spiegano in modo chiarissimo: «Diremo a chiunque venga a farci del male sul nostro territorio: ci batteremo con le unghie e con i denti per la nostra patria. Kiev e l’Occidente hanno fatto un grosso sbaglio a risvegliarci. Noi siamo gente laboriosa. Mentre altri saltavano a Maidan per 300 grivne, la nostra gente era giù in miniera a estrarre carbone, a fondere metallo e a seminare le colture. Nessuno di noi ha avuto il tempo di saltare, eravamo impegnati a lavorare». Poi, quando li hanno presi a cannonate, si sono ribellati.«Quando un tizio che appena ieri lavorava con un martello pneumatico o guidava una mietitrebbia, oggi si trova alla guida di un carro armato o di un Grad, o a raccogliere un mitra, la linea è stata passata e non lo potete più fermare», dicono i militari dell’Est. «Quello che ha dovuto lasciare il proprio lavoro sa che combatterà fino alla fine e fino al suo ultimo respiro». E l’Occidente è pronto è combattere “fino all’ultimo respiro”? Certo non lo è la nuova Lady Pesc, Federica Mogherini, che si abbandona a dichiarazioni desolanti, del tipo: «Se non esiste più un partenariato strategico è per scelta di Mosca». Ovvero: nessuna autocritica ai piani alti dell’Ovest. «Ecco, Mogherini non è pronta», scrive Cabras. «Fa interamente sua tutta l’eredità della Nato e della Ue in questi anni di crisi internazionali, destabilizzazioni, aggressioni ed escalation: cioè un bilancio disastroso e criminale, dall’Iraq all’Afghanistan al dossier libico, alla Siria, e ora all’Ucraina».Il bilancio occidentale di questi anni? «Un caos funesto interamente imputabile alla lunga “guerra infinita” scatenata dalle capitali dell’atlantismo», subito dopo l’opaco super-attentato dell’11 Settembre. Lo stesso Cabras ricorda che, all’indomani della guerra-lampo nell’Ossezia del Sud attaccata dall’esercito georgiano armato da Bush e poi travolto dai russi, nel 2008 il “Times” ricordava le parole di Lord Salisbury, ministro degli esteri e primo ministro ai tempi dell’Impero Britannico», un uomo che «irradiò un potere globale immenso». Di fronte a proposte pericolose, in cui Londra minacciava seriamente altri paesi, Salisbury avrebbe guardato i suoi colleghi negli occhi, chiedendo semplicemente: «Siete davvero pronti a combattere? Altrimenti, non imbarcatevi in questa politica».Già: siete davvero pronti a combattere? «E’ la domanda giusta, quella che non vi hanno ancora fatto», osserva Cabras. «Nell’Europa politicamente desertificata dall’obbedienza alla Nato si continua ad agire come se la Russia fosse ancora oggi lo Stato esausto degli anni novanta, su cui si muoveva etilicamente Boris Eltsin e sul cui collo si stringeva il capestro del Fondo Monetario Internazionale. La situazione è completamente diversa, eppure si va lo stesso allo scontro. O si va proprio per questo, nel momento in cui i Brics picconano il Dollar Standard. E gli Usa non possono accettare un mondo multipolare in cui il dollaro non sia l’architrave». Allora, siamo pronti a combattere? La risposta la anticipano – a distanza – i comandanti militari dell’Est ucraino, che a questa guerra hanno già preso le misure. «Potete dirlo in giro: non svegliate la bestia», raccomandano. «Non fatelo, davvero. Finché c’è ancora la possibilità, lasciate che le madri risparmino i propri figli».Perché mai, domanda il giornalista, avete deciso di far sfilare i prigionieri di guerra? «E’ stata Kiev a dire che avrebbero marciato in parata a Donetsk il giorno 24. E così han fatto». Questa la terribile ironia che i difensori russofoni del Donbass aggredito dall’esercito ucraino esibiscono dopo aver respinto l’attacco. Avvertono: nessuna illusione sui cosiddetti dispersi dell’esercito regolare. «Le famiglie ricevono lettere che li dichiarano “dispersi in azione”. In realtà sono morti. Le autorità di Kiev lo fanno apposta. Centinaia e migliaia di morti in qualche decina di tombe». Il comandante russofono lo annuncia ufficialmente: «Ognuno sappia che se hai ricevuto una lettera che lo definisce “disperso in azione”, allora molto probabilmente tuo marito, fratello o figlio è stato ucciso». Il video è proposto da “Pandora Tv”, che presenta anche l’intera conferenza stampa del presidente del Donbass, Aleksandr Zakharchenko, tenutasi il 24 agosto nel pieno della controffensiva delle milizie ribelli, che hanno sbaragliato le meglio armate e più numerose forze del governo di Kiev.
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Barnard: ci fanno a pezzi, e poi lo chiamano successo
Jean-Claude Juncker ha accolto il proclama di Matteo Renzi («Decido io le riforme») con un sommovimento leggero del colon ascendente. Poi fine proclama Renzi. E fine di tutto ciò che c’è da commentare sul governo italiano. Le cose interessanti accadono in Europa e nel mondo. Siccome io e la Mmt diciamo da tempo che ’sta farsa che si chiama economia Neoclassica (quella che domina il tuo governo e quelli di quasi tutto il mondo, quella di Renzi, Hollande, Merkel, Abe, Obama ecc.) non funziona, anzi, devasta democrazie e cittadini, ecco alcune grandiose tappe dell’economia Neoclassica (che fra l’altro le sotto-scimmie-cani del Pd hanno votato ultimamente). Il “Wall Street Journal” annuncia che la Grecia sta recuperando! Ok? Attenzione: che significa che recupera? Significa che invece di morire al ritmo di dieci rantoli al minuto sta morendo al ritmo di 5 rantoli al minuto. Un SUCCESSO!L’economia greca, ci dice il “Wsj”, si è impoverita SOLO dello 0,2% nell’ultimo quarto, ed è… ATTENZIONE ALLA GOOD NEWS!… la contrazione più piccola dal 2008! Cavoli! Che fantastico risultato, che successo! Nobel dell’Economia alla Troika che 6 anni fa scrisse le ricette per la gran riscossa dell’economia greca. Fantastico! La Grecia rantola un po’ meno e non ci dà più così tanto fastidio sentirla morire, perché fa meno rumore. Questa sì che è economia. Ok, ma non finisce qui. Nel secondo quarto del 2014 l’economia francese registra un successo da farsi delle se… (finisce per ghe). Crescita nazionale a zero, 0, nulla, morta. E qui la cosa si fa interessante per chi, come noi poveri emarginati della Mmt, sostiene il valore dei bilanci settoriali (cioè se il “gov” mette 10 nel settore privato ma gli toglie 20, il settore privato va in rosso di 10). Hollande ha fatto un taglio alle tasse di 41 miliardi di euro, poi ha approvato un taglio di spesa pubblica di 50 miliardi.Allora, bambini della seconda elementare: se ti regalo 41 ma poi ti tolgo 50, voi ci guadagnate? No! Ci perdete, vero bimbi? Infatti. Francia a crescita zero e sfora il deficit di bilancio (limite 3%) con un 3.8%, e ha una disoccupazione record più una caterva di dati disastrosi nell’economia reale (mentre Renzi per fare bella figura con i suoi padroni non lo sfora, il 3%! – poi noi crepiamo, ma almeno facciamo bella figura). Oh! Ma andiamo lontano da questa Eurozona ormai lago di pus senza rimedio. La Banca del Giappone ha fatto quello che vuole fare Draghi oggi qui da noi, e che facevano gli Usa fino a poco fa (sapete, noi europei arriviamo sempre dopo la puzza rispetto a Usa e Giappone, ma mica mai che impariamo un xxxx). Ok, la Banca del Giappone ha inondato le banche giapponesi di soldi a costo quasi zero (comprando valanghe di titoli di Stato più altri trucchi), ha svalutato lo Yen, tutto nella convinzione che la POLITICA MONETARIA possa sostituire la POLITICA ECONOMICA DEI VERI POSTI DI LAVORO E DEGLI INVESTIMENTI (CIOE’ LA SPESA PUBBLICA PER IL SETTORE PRIVATO).Insomma, Abe a Tokyo ha fatto la solita puttanata che ha fatto la Fed a Washington, chiamata Quantitative Easing (Qe), senza una cippa di risultato in America. E infatti… il Giappone oggi registra il suo peggior crollo dal 2011, uno stupefacente meno 6,8%! Ma come è accaduto? Chissà come? Non è solo che il Qe non serve a un xxxx. Be’, qui ci vuole una piccola premessa. Noi della Mmt diciamo da decenni che l’Iva, ma SOPRATTUTTO GLI AUMENTI IVA, sono il cancro terminale dell’economia. Non esiste una tassa più devastante per un’economia pensata dall’umanità dai tempi dei Sumeri. Ok. Il Giappone di Abe cosa ha fatto? Ma siiii! Ha aumentato l’Iva come un pazzo, ha quindi tirato una fucilata in piena testa ai consumatori e al commercio giapponesi, e guarda che caso, ma guarda che caso!, il Giappone crolla come crescita, vedi sopra, ma anche come export, che oggi tocca il suo punto più basso da 29 anni. Da VEN-TI-NO-VE anni. Ok. Domani Peter Gomez vi dirà il resto sul “Fatto Quotidiano” (Peter, ma quanto sei forte?).(Paolo Barnard, “Grecia, Francia, Giappone – e dopo la puzza, Renzi”, dal blog di Barnard del 14 agosto 2014).Jean-Claude Juncker ha accolto il proclama di Matteo Renzi («Decido io le riforme») con un sommovimento leggero del colon ascendente. Poi fine proclama Renzi. E fine di tutto ciò che c’è da commentare sul governo italiano. Le cose interessanti accadono in Europa e nel mondo. Siccome io e la Mmt diciamo da tempo che ’sta farsa che si chiama economia Neoclassica (quella che domina il tuo governo e quelli di quasi tutto il mondo, quella di Renzi, Hollande, Merkel, Abe, Obama ecc.) non funziona, anzi, devasta democrazie e cittadini, ecco alcune grandiose tappe dell’economia Neoclassica (che fra l’altro le sotto-scimmie-cani del Pd hanno votato ultimamente). Il “Wall Street Journal” annuncia che la Grecia sta recuperando! Ok? Attenzione: che significa che recupera? Significa che invece di morire al ritmo di dieci rantoli al minuto sta morendo al ritmo di 5 rantoli al minuto. Un successo!
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Guerra: ma Pechino sarà pronta a morire per Mosca?
Gli Usa restano l’unica superpotenza imperiale, in una architettura a piramide, a carattere neofeudale, a cui gli altri Stati si associano, a vario rango, in condizione di vassallaggio. I grandi Stati vassalli avrebbero aree di influenza di loro pertinenza: alla Cina l’Asia orientale, alla Germania l’Europa, al Brasile il Sudamerica. Le nazioni che non volessero sottomettersi spontaneamente sarebbero affrontate con la forza. In questo schema, sembrerebbe naturale che la struttura neofeudale si riflettesse anche all’interno dei singoli Stati, con strutture sociali piramidali e con potere e grandi ricchezze detenute da piccole élite. «L’appello a tutti coloro che ritenessero un tale scenario almeno possibile, e non volessero ad esso assoggettarsi – scrive Simone Santini – è di considerare in questa fase la Russia come la terra di confine di un autentico scontro di civiltà». Quindi, si prospetta «una scelta di campo tra la civiltà umana e la civiltà della barbarie». Superfluo aggiungere che «si accettano scommesse sul rango di vassallaggio riservato all’Italia».Secondo l’analisi di Santini, pubblicata da “Megachip”, si è ormai diffusa la percezione (fuorviante, erronea) che l’ordine “imperiale” costituito dagli Stati Uniti dopo la caduta dell’Urss sia giunto sul viale del tramonto. Si esalta l’ascesa economica dei Brics, si cita la grande crisi finanziaria di Wall Street del 2007, si ricordano le defaillance militari americane in Afghanistan e in Iraq, seguite all’11 Settembre. «A questi fattori va aggiunto un panorama mondiale, specialmente negli ultimi anni, che sembra farsi sempre più caotico e privo di guida, con tensioni o addirittura guerre che si susseguono nelle cerniere fondamentali del pianeta». La rapidità dell’evoluzione in effetti «suggerisce la possibilità di un Impero allo sbando, in preda a una crisi sistemica senza uscita», ma non è detto che tutte le criticità possano determinare un esito univoco, avverte Santini. L’alternativa dei Brics è ancora «in fieri», la loro super-banca – alternativa a Fmi e Banca Mondiale – è una creatura neonata, ed non è scontato che nell’alleanza pesino ancora rivalità storiche, come quelle tra Cina e India, «su cui gli Usa potrebbero intervenire per determinarne la disgregazione».La crisi finanziaria, «originata dai limiti dello sviluppo del sistema capitalistico», con «mercati ormai saturi» e incapaci di garantire i maxi-profitti del passato, ha fatto volare la speculazione pura, la «finanza creativa» che genera denaro direttamente dal denaro, saltando l’economia reale: «Una enorme bolla di soldi virtuali che vale, a seconda delle stime, decine di volte il Pil mondiale», e che prima poi «scoppierà o verrà sgonfiata in qualche modo: vedremo chi ne pagherà il prezzo». Nel frattempo, però, questa immensa massa di denaro «può essere impiegata dai “Masters of Universe” per fare shopping tra i pezzi industriali pregiati dei sistemi economici in crisi (vedasi in Italia) o fare letteralmente incetta di terra coltivabile in Africa o America Latina». Di riflesso, la crisi è diventata «crisi dei debiti sovrani» nell’Europa che non è più “sovrana” della propria moneta. Se a soffrire sono innanzitutto i cosiddetti Piigs, lo scenario non è affatto sfavorevole agli Usa, perché – proprio grazie alla recessione dell’Eurozona – si sta staccando l’Europa dalla Russia.Il più grande successo di questa fase per l’Impero? «Scongiurare ogni tentazione di costituire un blocco europeo continentale, da Lisbona a Mosca, indipendente politicamente, autosufficiente dal punto di vista economico», scrive Santini. Un blocco «culturalmente e territorialmente coeso, avanzato tecnologicamente, armato nuclearmente, complessivamente il più ricco e dinamico del pianeta, più degli stessi Stati Uniti. Altro che Brics». Quanto alle non-vittorie militari americane in Iraq e Afghanistan, «sono tali solo se viste nell’ottica della classica conquista coloniale». Al contrario, diventano tappe-chiave della “geopolitica del caos”, «una metodologia imperiale più oscura e complessa», ma molto efficace, «propugnata da alcuni settori dell’establishment americano che hanno il loro pubblico rappresentante più noto in Zbigniew Brzezinski, già segretario di Stato durante la presidenza di Jimmy Carter e allora ideatore della “trappola afghana”». Una tecnica, che se ben condotta, è utile per «tenere divisi i popoli “barbari”» e «impedire la nascita di potenze regionali» che possano disturbare gli Usa.I focolai di crisi in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Ucraina e Palestina potrebbero sembrare il sintomo di «un mondo in preda alla pazzia, senza più gendarmi in grado di imporre l’ordine», ma se invece «si ammette la possibilità, terribile e dunque da sottacere, di una regia di fondo», allora diventa lampante «un quadro complessivo lucido e atroce, in cui il destino dei popoli è giocato come su una “grande scacchiera”». Emblematico il caso ucraino, «attraverso cui gli Usa – continua Santini – stanno ottenendo il risultato storico di dividere in uno spazio temporale decisivo la Russia dal resto d’Europa, colpendo al contempo Mosca e Berlino, costringendo la Ue a votare sanzioni contro un possibile alleato strategico e contro i propri stessi interessi, contorcendosi e ripiegandosi su se stessa». Dove siamo diretti? Secondo Aldo Giannuli, gli Usa potrebbero arroccarsi sulla difensiva, sfruttando i vantaggi strategici che ancora detengono, oppure potrebbero “assorbire” l’Europa nel blocco commerciale euroatlantico protetto dalla Nato. O magari accettare un “nuovo ordine bipolare” con la Cina, persino aprendo a nuove potenze emergenti, in un Consiglio di Sicurezza dell’Onu riformato in base a un nuovo “ordine multipolare”. Davvero gli Usa lo accetterebbero?«È sorprendente – replica Santini – che il professor Giannuli non preveda, al di fuori di questi schemi, altri sbocchi che non siano “il progressivo degenerare verso un disordine mondiale sempre più caotico”. Ovvero, nemmeno prenda in considerazione la possibilità che l’attuale situazione si consolidi, mutatis mutandis, con gli Stati Uniti che rimangono l’unica superpotenza imperiale», ipotesi tutt’altro che da scartare. Al contrario, è la condizione «che ha maggiori probabilità di prosecuzione, almeno nel medio termine», perché «nessuna nazione appare in grado non solo di soppiantare, ma nemmeno di sfidare gli Stati Uniti con la forza». Per Santini, quella degli Usa non è affatto una “ritirata”, ma un’offensiva. In Medio Oriente, con possibilità di proiezione anche in Africa, Israele rimane l’unica vera potenza regionale, insieme all’Iran, mentre ad Est gli accadimenti ucraini accelerano «l’accerchiamento della Russia e il controllo sempre più stretto sull’Europa da parte americana». Cina e Russia «vedono sempre più comprimersi i rispettivi spazi di manovra». Per resistere, dovranno “compenetrarsi”: «Ma, davanti alle sfide che lancerà l’Impero, Mosca sarà pronta a morire per Pechino e Pechino sarà pronta a morire per Mosca?».Gli Usa restano l’unica superpotenza imperiale, in una architettura a piramide, a carattere neofeudale, a cui gli altri Stati si associano, a vario rango, in condizione di vassallaggio. I grandi Stati vassalli avrebbero aree di influenza di loro pertinenza: alla Cina l’Asia orientale, alla Germania l’Europa, al Brasile il Sudamerica. Le nazioni che non volessero sottomettersi spontaneamente sarebbero affrontate con la forza. In questo schema, sembrerebbe naturale che la struttura neofeudale si riflettesse anche all’interno dei singoli Stati, con strutture sociali piramidali e con potere e grandi ricchezze detenute da piccole élite. «L’appello a tutti coloro che ritenessero un tale scenario almeno possibile, e non volessero ad esso assoggettarsi – scrive Simone Santini – è di considerare in questa fase la Russia come la terra di confine di un autentico scontro di civiltà». Quindi, si prospetta «una scelta di campo tra la civiltà umana e la civiltà della barbarie». Superfluo aggiungere che «si accettano scommesse sul rango di vassallaggio riservato all’Italia».
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Se arriva la Troika: prepariamoci alla fine dell’Italia
C’è gente in Italia che si augura che arrivi. La Troika, s’intende, ovvero la struttura mista Commissione Ue, Bce e Fondo Monetario Internazionale che, in cambio di prestiti, impone ai governi la sua ricetta politica. Eugenio Scalfari l’ha persino scritto in una delle sue omelie domenicali. Matteo Renzi, ogni volta che gli capita, dice che non succederà, eppure un certo umore circola in giro: le banche d’affari invitano a non comprare italiano, il Pil cala, “Moody’s” vede nero, Mario Draghi chiede “cessioni di sovranità”. Non siamo ancora all’estate 2011, quando la Troika s’affacciò per la prima volta da noi, ma anche allora le cose precipitarono assai in fretta: ad aprile lo spread era 122 punti, più basso di adesso, ad agosto 400, a novembre 552 e i rendimenti sui Btp decennali oltre il 7%. Al tempo arrivò Mario Monti, stavolta il commissariamento sarebbe completo.Non è che la Troika si presenti così e suoni al palazzo del governo: arriva su invito, a seguito di eventi che sono quasi sempre identici. Funziona così. Il paese X, per qualche motivo, comincia ad avere difficoltà a finanziarsi sul mercato: gli investitori chiedono interessi troppo alti. È qui, quando il paese X teme di non poter pagare stipendi e pensioni, che arriva la Troika proponendo un bel prestito e sostenendo che il problema è il debito pubblico. Per avere i soldi, però, bisogna firmare un bel “Memorandum”, una lista assai nutrita di cose da fare. La ricetta è sempre la stessa per tutti i paesi: tagli di spesa pubblica, stipendi e pensioni; licenziamenti nel settore statale; aumenti di tasse; privatizzazioni e liberalizzazioni selvagge (servizi pubblici in primis); riforme del mercato del lavoro (libertà di licenziare). Al termine della “cura” – aiutata da cospicue pressioni sull’opinione pubblica – il paziente è più malato di prima, il welfare e i beni pubblici un ricordo.In sostanza, e per paradosso, l’arrivo della Troika europea coincide con la distruzione del modello sociale europeo. Non solo: i debiti pubblici – causa di ogni male – aumentano in maniera esponenziale. Non c’è da sorprendersi: il fine non è comprimere il debito dello Stato, ma quello estero, bloccando le importazioni attraverso un taglio dei redditi disponibili. È in questo modo che i creditori (spesso banche del Nord) rientrano dei soldi prestati negli anni di vacche grasse. In principio fu la Grecia: un debutto, e neanche troppo felice. Ad aprile 2010 il debito pubblico greco è ormai classificato “spazzatura” dalle agenzie di rating: la Germania aveva nel frattempo fatto sapere che i debiti dei singoli paesi dell’Eurozona non sono garantiti dalla Bce. È a quel punto che arriva la Troika con la sua borsa: promette un prestito da 110 miliardi, poi divenuti oltre 300 negli anni. Piccola notazione: i soldi non sono gratis – e nemmeno prestati all’1% come la Bce fece coi mille miliardi dati alle banche – ma concessi al ragguardevole interesse del 5,5%. In cambio, la Troika ha preteso tagli strutturali per 30 miliardi di euro a regime. Per capirci: il Pil greco ammonta a 180 miliardi, quindi è come se all’Italia chiedessero una manovra da 250 miliardi.Atene procede a rilento, ma comunque ha già licenziato 8.500 statali e altri 6.500 seguiranno entro quest’anno (alla fine saranno 30.000 su 750.000 totali). La tv pubblica è stata chiusa dalla sera alla mattina, la rete degli ambulatori specialistici pure; scuola, università e ospedali sono stati falcidiati. L’ultimo Memorandum, questa primavera, ha imposto alla Grecia di vendersi pure le spiagge (110 per la precisione) e un piano di privatizzazioni capillari da qui al 2020. La Troika, peraltro, non si occupa solo di spesa pubblica, ma di ogni aspetto della vita economica: pretende, per dire, che la Grecia cambi le leggi su come si pastorizza il latte (a vantaggio delle multinazionali). I risultati, però, non sono brillanti: quest’anno se n’è accorto persino l’Europarlamento. Il reddito disponibile delle famiglie dal 2009 è diminuito del 40%, gli stipendi del 34%, servizi e benefit sociali del 26%. La disoccupazione era al 9% cinque anni fa e ora supera il 27%, il Pil s’è ridotto di un quarto. Pure i conti pubblici, ovviamente, non migliorano: il rapporto deficit-Pil nel 2013 era al 12,7%, il debito pubblico al 175% (dal 129% del 2009).Il secondo paese a essere curato dalla Troika è stato l’Irlanda, messa nei guai a fine 2010 dal fallimento del suo sistema bancario e costretta a chiedere un prestito di 78 miliardi di euro. La struttura economica dell’Irlanda (un sistema basato sul esportazioni, tassazione irrisoria e poco welfare) sembrava fatta apposta per applicare i diktat dei Memorandum, eppure “l’allievo modello” non se la passa così bene come si vorrebbe far credere: dopo una sostanziosa sforbiciata dei salari e manovre per il 19% del Pil, il debito pubblico – che nel 2008 era solo al 44% del Pil – oggi sfora il 125%. E ancora: la crescita degli ultimi due anni è stata solo dello 0,2% nonostante la spinta di un deficit che l’anno scorso s’è attestato al 7,6%. Il valore degli immobili è il 57% in meno rispetto a cinque anni fa, il debito delle famiglie il 200% del reddito. La disoccupazione nel 2013 è passata dal 14,5 al 12,6%, ma il calo è dovuto in larga parte all’emigrazione (lo stesso discorso vale per Spagna, Portogallo e Grecia).Il Consiglio d’Europa, infine, ha denunciato che l’Irlanda non offre garanzie minime per malattia, disoccupazione, sopravvivenza, infortuni sul lavoro e benefici di invalidità. Sarà per questo che – a dicembre 2013 – quando Fmi, Bce e Ue hanno proposto all’Irlanda un nuovo prestito – il governo di Dublino ha risposto subito: “No, grazie”. In realtà, i funzionari della Troika continueranno a fare ispezioni biennali fino al 2031. Sei anni in meno di quel che toccano al Portogallo, uscito anche lui formalmente dall’ombrello della Troika nel dicembre scorso. Il panorama è lo stesso degli esempi precedenti: dopo tre anni di “cura” 1,9 milioni di persone (il 18% circa della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà e i conti pubblici sono un disastro. Una vicenda simbolica: il governo di Lisbona, per realizzare le richieste dei Memorandum, voleva vendersi 85 quadri di Joan Mirò all’asta (ma un giudice, per ora, ha bloccato tutto). Va citato, infine, almeno il caso di Cipro, dove per la prima volta è stato applicato il principio, ora comunitario, che i fallimenti bancari li pagano anche i correntisti. Esagera, Bruno Amoroso, del centro studi Federico Caffè, quando li chiama “i sicari dell’economia”?(Marco Palombi, “Ecco come la triade Bce-Fmi-Ue potrebbe commissariare l’Italia e cosa ci sarebbe da aspettarsi”, da “Il Fatto Quotidiano” del 13 agosto 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).C’è gente in Italia che si augura che arrivi. La Troika, s’intende, ovvero la struttura mista Commissione Ue, Bce e Fondo Monetario Internazionale che, in cambio di prestiti, impone ai governi la sua ricetta politica. Eugenio Scalfari l’ha persino scritto in una delle sue omelie domenicali. Matteo Renzi, ogni volta che gli capita, dice che non succederà, eppure un certo umore circola in giro: le banche d’affari invitano a non comprare italiano, il Pil cala, “Moody’s” vede nero, Mario Draghi chiede “cessioni di sovranità”. Non siamo ancora all’estate 2011, quando la Troika s’affacciò per la prima volta da noi, ma anche allora le cose precipitarono assai in fretta: ad aprile lo spread era 122 punti, più basso di adesso, ad agosto 400, a novembre 552 e i rendimenti sui Btp decennali oltre il 7%. Al tempo arrivò Mario Monti, stavolta il commissariamento sarebbe completo.
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Usa-Kiev, bugiardi nel panico. E Merkel: no alla guerra
L’invasione della Russia in Ucraina? Una bufala penosa, subito smascherata da tutti gli osservatori indipendenti: i tank russi spiati dal satellite erano a Rostov, a 50 chilometri dalla frontiera ucraina. Eppure la “notizia” è stata proposta senza pudore al grande pubblico, proprio mentre l’Ue tratta sottobanco perché non vengano chiusi i rubinetti del gas in vista dell’inverno, e la Merkel avverte che con Putin bisogna trovare un accordo e smetterla coi giochi di guerra promossi dalla Nato. Giochi sporchi, nutriti di menzogne e disinformazione, che non accennano a diminuire: chi attacca sono gli Usa, ma i cattivi sono sempre e solo i russi. «C’è qualcosa di davvero inquietante in questa forsennata reiterazione di puerili bugie che l’America e l’Europa, istericamente, rovesciano sulle opinioni pubbliche frastornate dell’Occidente. Smentirle ad una ad una si può senza difficoltà, ma non si può ignorare la tremenda potenza inquinatrice – e preparatoria alla guerra – che esse producono». Per Giulietto Chiesa, questa cortina fumogena sembra «il segno di qualche cosa di molto grave che si prepara».«Avrete notato che del Boeing malaysiano non si parla più?», continua Chiesa su “Pandora.tv”. «Siamo a quasi un mese e mezzo e tutto tace. Se avessero le prove che la colpa è dei russi – come hanno gridato subito, a gran voce, tutti i media occidentali – lo avrebbero tirato fuori, con clamori e sanzioni. Ma non l’hanno fatto. E si avvicina il momento in cui dovranno dire qualcosa. Per esempio che ad abbattere il Boeing è stata l’Ucraina, con quell’ormai famoso aereo che volava attorno al Boeing. Oppure dovranno dire che i dati – delle scatole nere, delle registrazioni tra i controllori a terra ucraini e l’equipaggio – sono andati tutti perduti, “accidentalmente”». A quel punto, tutti finalmente capirebbero, «salvo gli stupidi irrimediabili e i disonesti interessati». L’altra cosa grave, e ormai evidente, è che «Kiev sta perdendo la guerra». Il regime ucraino insediato dal golpe di piazza Maidan «sta subendo una vera e propria disfatta, con una carneficina di soldati e ufficiali di cui Poroshenko e amici dovranno dare conto ai loro cittadini». Disfatta targata Usa e Ue, che quindi «deve essere nascosta agli occhi dei pubblici mondiali», perché «è sconfitta di Obama, sconfitta della Merkel, sconfitta della Polonia e dei baltici». Un disastro «politico, militare, diplomatico».Allora che si fa? «Si moltiplicano freneticamente le bugie». Esempio: «La Russia invade l’Ucraina». Un’altra volta? Ma non l’aveva già invasa? Sono «bugie fragilissime». Se non ci fossero «direttori senza vergogna, come Mauro di “Repubblica” e De Bortoli del “Corriere” (tanto per cogliere due crisantemi dal mazzo), se ne accorgerebbero tutti». Le foto satellitari dell’ultima “invasione” «sono truccate male», e le stesse dichiarazioni di Poroshenko «sono tradotte male». Tutto diventa «senza fondamento», surreale. La Russia “invade” l’Est dell’Ucraina con 1000 uomini? «Ma, suvvia, scherziamo? E come fa una persona intelligente come Federico Rampini a crederci? Non si sono neanche accorti che gli stessi ribelli, attraverso la voce del primo ministro della Repubblica del Donbass, hanno dichiarato che tra di loro ci sono circa 4.000 volontari russi? Hanno bisogno di tirare fuori 1.000 fantasmi inviati da Putin che, peraltro, nemmeno gli osservatori dell’Ocse hanno visto passare?». E’ evidente, al contrario, che Putin in tutti questi mesi «ha puntato a una soluzione diplomatica di un problema non creato da lui».Il presidente russo non ha la minima intenzione di “prendere Kiev”, e nemmeno di “prendersi il Donbass”, continua Giulietto Chiesa. «A Minsk, Putin ha detto chiarissimo che non intende neppure fare il mediatore», affermando testualmente che «la questione è un affare interno dell’Ucraina». Ora, «se i leader europei non fossero degli sciocchi vassalli ricattati, prenderebbero le distanze da questa America che punta alla guerra. Direbbero a Obama che la patata rovente ucraina se le deve prendere in mano lui, che l’ha creata. Non occorre dirgli che è un bugiardo, basta lasciarlo al suo destino. Ma è ovvio che stanno facendo i vassalli». Giulietto Chiesa lancia un appello a Beppe Grillo: «E’ il momento che la gente, in Italia, intervenga. L’unico che può farlo è il M5S». Serve «una manifestazione nazionale per chiedere un cambio di linea», invocato da «un palco di “salvezza nazionale”», dal quale parlino «tutti quelli che ci stanno». Perché «non è questione di dare una spallata: è questione di salvare la nostra pelle, di tutti. Se aspettiamo i “pacifisti” e le sinistre, allora stiamo freschi: i tempi della crisi ucraina precipitano, non c’è tempo da perdere. Troppo pochi sono quelli che capiscono che il pericolo è sempre più vicino».Se l’Italia dorme, una soluzione può venire solo dalla Germania. Lo afferma un altro osservatore internazionale, Pepe Escobar, che sottolinea le parole di Angela Merkel intervistata dalla televisione pubblica “Ard” all’indomani del vertice di Minsk: «Deve essere trovata una soluzione alla crisi Ucraina che non faccia male alla Russia». Ovvero, «ci deve essere un dialogo: ci può essere solo una soluzione politica, non ci sarà una soluzione militare a questo conflitto». Chiaro, no? «Noi [Germania] vogliono avere buone relazioni commerciali con la Russia. Vogliamo relazioni ragionevoli con la Russia. Confidiamo l’un l’altro e ci sono tanti altri conflitti nel mondo in cui dobbiamo lavorare insieme, quindi spero che potremo fare progressi». Tradotto: l’Ucraina non diventerà un avamposto della Nato coi missili puntati su Mosca, perché «quello che dice la Germania, l’Unione Europea lo esegue», scrive Escobar su “Rt”. «In geopolitica, questo significa anche un enorme passo indietro che dovrà fare Washington», nel suo ossessivo «accerchiamento della Russia», in parallelo con «contenimento e accerchiamento della Cina».L’Ucraina è ko, l’economia agonizza in una depressione catastrofica, banche e moneta sono crollate, e qualsiasi fondo in arrivo «servirà solo per pagare i conti in sospeso e per alimentare (sprecandolo) la scricchiolante macchina militare», senza contare che «le condizioni di “aggiustamento strutturale” richieste dal Fmi prevedono un dissanguamento per gli ucraini». Quanto all’Europa, «l’idea che la Ue pagherà le mostruose bollette (energetiche) dell’Ucraina è un mito», perché la Germania ha rallentato la sua crescita proprio a causa dell’interruzione delle relazioni commerciali con Mosca. Per questo sono ripartite le trattative tra Bruxelles e Cremlino, cominciando proprio dal gas: «Il Generale Inverno, ancora una volta, decide ogni guerra». In sostanza, aggiunge Escobar, è l’Unione Europea (non la Russia) a dire al presidente ucraino Petro Poroshenko di «smetterla con questa sua “strategia” perdente di insistere su una lenta pulizia etnica dell’Ucraina orientale». Mosca, peraltro, accetterebbe volentieri «una soluzione di decentramento, che tenga in considerazione gli interessi – e i diritti linguistici – della gente di Donetsk, Lugansk, Odessa, Kharkov», senza che il Cremlino incoraggi nessuna secessione.«Poroshenko, d’altra parte, è il tipico oligarca ucraino che balla in mezzo agli altri oligarchi», continua Escobar: «Ora che è in alto, non vuole rischiare di farsi ammazzare per strada. Ma potrebbe esserlo, se continuerà a fidarsi del sostegno dei neo-nazisti del Pravi Sektor e di Svoboda, perché con loro non si arriverà mai a nessuna soluzione politica». E’ “l’Impero del Caos” a non volerla, una soluzione politica: «Una Ucraina neutrale, economicamente legata sia alla Ue che alla Russia e parte di una integrazione economico-commerciale con tutta l’Eurasia è un anatema». A premere per la guerra è Washington, che finora ha contato sulla Nato. E se la Germania cambiasse linea? «Ogni diplomatico Ue che abbia una coscienza – non ci crederete, ma ne esistono – sa che l’isteria senza fine fondata sul “rischio russo” per l’Europa orientale è un mito spacciato da Washington, che serve solo a rafforzare la Nato». A Bruxelles non è un segreto per nessuno: «I grandi poteri europei, semplicemente, non vogliono che ci siano delle basi permanenti della Nato in Europa orientale. Francia, Italia e Spagna sono decisamente contrari». La Germania? «E’ ancora seduta sul muretto, in attesa di capire bene come non inimicarsi né la Russia né gli Stati Uniti». Se ne parlerà al vertice convocato in Galles: fino a che punto l’Europa “tedesca” continuerà a seguire Obama nelle pericolose provocazioni contro Putin, la cui vittima principale – a cominciare dal gas – è proprio l’Unione Europea?«L’impostazione neoliberale ormai data agli asset, una privatizzazione senza esclusione di colpi e un selvaggio saccheggio a titolo definitivo dell’Ucraina, il tutto travestito da prestiti e “aiuti”, è ormai un processo inarrestabile», scrive Escobar. «Eppure, aver preso il controllo dell’agricoltura e del potenziale energetico dell’Ucraina non sembra essere ancora sufficiente per l’Impero del Caos: vuole indietro anche la Crimea (che in futuro dovrà essere la base Nato di Sebastopoli), vuole schierare un sistema di difesa missilistica in Polonia e nei paesi baltici e poi non gli dispiacerebbe anche che cambiasse il regime in Russia». E poi c’è sempre il volo malese Mh-17: «Se – meglio prima che dopo – si dimostrerà che l’Impero del Caos ha ingannato l’Europa imponendo sanzioni controproducenti, basate su prove più che inconsistenti, l’opinione pubblica tedesca costringerà la Merkel ad agire di conseguenza». Indizi importanti: «La Germania si è mossa in segreto dietro il vertice di Minsk, vediamo ora se si muoverà in segreto anche dietro il prossimo vertice del Galles. Alla fine toccherà alla Germania impedire che la “Guerra Fredda 2.0” divampi ogni giorno di più in tutta Europa».L’invasione della Russia in Ucraina? Una bufala penosa, subito smascherata da tutti gli osservatori indipendenti: i tank russi spiati dal satellite erano a Rostov, a 50 chilometri dalla frontiera ucraina. Eppure la “notizia” è stata proposta senza pudore al grande pubblico, proprio mentre l’Ue tratta sottobanco perché non vengano chiusi i rubinetti del gas in vista dell’inverno, e la Merkel avverte che con Putin bisogna trovare un accordo e smetterla coi giochi di guerra promossi dalla Nato. Giochi sporchi, nutriti di menzogne e disinformazione, che non accennano a diminuire: chi attacca sono gli Usa, ma i cattivi sono sempre e solo i russi. «C’è qualcosa di davvero inquietante in questa forsennata reiterazione di puerili bugie che l’America e l’Europa, istericamente, rovesciano sulle opinioni pubbliche frastornate dell’Occidente. Smentirle ad una ad una si può senza difficoltà, ma non si può ignorare la tremenda potenza inquinatrice – e preparatoria alla guerra – che esse producono». Per Giulietto Chiesa, questa cortina fumogena sembra «il segno di qualche cosa di molto grave che si prepara».