Archivio del Tag ‘finanziamenti’
-
L’Onu: viene dalle piccole imprese il 70% dei posti di lavoro
Il lavoro autonomo, le microimprese e le piccole imprese svolgono un ruolo molto più importante nell’offerta di posti di lavoro rispetto a quanto si pensasse in precedenza, secondo le nuove stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil). I dati raccolti in 99 paesi hanno rivelato che queste cosiddette “piccole unità economiche” rappresentano nel loro insieme il 70% dell’occupazione totale, il che le rende di gran lunga il principale motore dell’occupazione. I risultati hanno implicazioni “altamente rilevanti” per le politiche e i programmi volti alla creazione di posti di lavoro, alla qualità del lavoro, alle start-up, alla produttività aziendale e regolarizzazione del lavoro, che, secondo il rapporto, devono concentrarsi maggiormente su queste piccole unità economiche. Lo studio ha anche scoperto che una media del 62% dell’occupazione in questi 99 paesi è di tipo informale, per cui le condizioni di lavoro in generale tendono a essere peggiori (mancanza di sicurezza sociale, salari più bassi, scarsa sicurezza e salute sul lavoro e relazioni industriali più deboli). Il livello di informalità varia ampiamente, passando da oltre il 90% in Benin, Costa d’Avorio e Madagascar a meno del 5% in Austria, Belgio, Brunei Darussalam e Svizzera.Le informazioni sono pubblicate nel nuovo rapporto dell’Oil “Piccolo è importante: prove globali sul contributo all’occupazione dei lavoratori autonomi, delle microimprese e delle Pmi”. Il rapporto rileva che nei paesi ad alto reddito il 58% dell’occupazione totale è in piccole unità economiche, mentre nei paesi a basso e medio reddito la percentuale è considerevolmente più alta. Nei paesi con i livelli di reddito più bassi la percentuale di occupazione nelle piccole unità economiche è quasi del 100%, afferma il rapporto. Le stime si basano su indagini nazionali sulle famiglie e sulla forza lavoro, raccolte in tutte le regioni ad eccezione del Nord America, anziché utilizzare la fonte più tradizionale di indagini sulle imprese che tende ad avere un ambito più limitato. «Per quanto ne sappiamo, questa è la prima volta che il contributo all’occupazione delle cosiddette piccole unità economiche è stato stimato, in termini comparativi, per un gruppo di paesi così ampio, in particolare i paesi a basso e medio reddito», ha detto Dragan Radic, che guida l’Unità per le piccole e medie imprese dell’Oil.La relazione suggerisce che il sostegno alle piccole unità economiche dovrebbe essere una parte centrale delle strategie per lo sviluppo economico e sociale. Sottolinea l’importanza di creare un ambiente favorevole per queste imprese, garantendo che abbiano una rappresentanza efficace e che i modelli di dialogo sociale funzionino anche per loro. Altre raccomandazioni includono; comprendere in che modo la produttività aziendale è modellata da un “ecosistema” più ampio, facilitando l’accesso ai finanziamenti e ai mercati, promuovendo l’imprenditoria femminile e incoraggiando la transizione verso l’economia formale e la sostenibilità ambientale. Le microimprese sono definite come quelle che hanno fino a nove dipendenti, mentre le piccole imprese hanno fino a 49 dipendenti.(“Oil: le piccole imprese e i lavoratori autonomi coprono la maggior parte dei lavori in tutto il mondo”, da “Voci dall’Estero” del 18 ottobre 2019. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil, in inglese Ilo) è l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità umana per uomini e donne).Il lavoro autonomo, le microimprese e le piccole imprese svolgono un ruolo molto più importante nell’offerta di posti di lavoro rispetto a quanto si pensasse in precedenza, secondo le nuove stime dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil). I dati raccolti in 99 paesi hanno rivelato che queste cosiddette “piccole unità economiche” rappresentano nel loro insieme il 70% dell’occupazione totale, il che le rende di gran lunga il principale motore dell’occupazione. I risultati hanno implicazioni “altamente rilevanti” per le politiche e i programmi volti alla creazione di posti di lavoro, alla qualità del lavoro, alle start-up, alla produttività aziendale e regolarizzazione del lavoro, che, secondo il rapporto, devono concentrarsi maggiormente su queste piccole unità economiche. Lo studio ha anche scoperto che una media del 62% dell’occupazione in questi 99 paesi è di tipo informale, per cui le condizioni di lavoro in generale tendono a essere peggiori (mancanza di sicurezza sociale, salari più bassi, scarsa sicurezza e salute sul lavoro e relazioni industriali più deboli). Il livello di informalità varia ampiamente, passando da oltre il 90% in Benin, Costa d’Avorio e Madagascar a meno del 5% in Austria, Belgio, Brunei Darussalam e Svizzera.
-
Il silenzio di Conte, l’avvocato delle spie: cosa ci nasconde?
È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?Conte dovrà ora rispondere a queste e ad altre domande davanti al Copasir, il Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, che lo ha convocato. Dopo questa audizione, il premier risponderà poi anche pubblicamente, come lui stesso ha annunciato in queste ore. Ma basta rimettere in fila gli avvenimenti che hanno portato all’avvitarsi di questa crisi per nutrire più di un dubbio, se non un sospetto, sulla segretezza con cui questi contatti fra Palazzo Chigi e gli americani sono stati protetti. Dal calendario, infatti, risulta evidente, come si diceva, che la crisi si avvita in maniera velocissima, in primavera, e che a un certo punto incrocia vari appuntamenti. Prendendo a misura i rapporti di Salvini con la Russia, possiamo risalire al 15-16 luglio del 2018, il viaggio a Mosca per i mondiali di calcio del leader leghista. Il 17-18 ottobre del 2018 va di nuovo in Russia. Son i giorni anche del famoso incontro all’Hotel Metropol di suoi collaboratori con tre russi per un presunto finanziamento di 65 milioni per la Lega. L’incontro del Metropol viene svelato il 24 febbraio del 2019 dal settimanale “L’Espresso”. Il 17 giugno 2019 Salvini vola in Usa per incontrare Trump, ma vede solo il vicepresidente Pence e il segretario di Stato, ex capo della Cia fino al marzo, Mike Pompeo. Il 4 luglio Putin è a Roma in visita ufficiale. Il 10 luglio il sito “Buzzfeed” pubblica l’audio dell’incontro al Metropol fra i leghisti e i russi. Da quel momento assistiamo a una accelerazone.Il 17-18 luglio Salvini va a Helsinki per il vertice dei ministri dell’interno Ue e attacca l’alleanza di governo in Italia: «Con i 5 Stelle non c’è più fiducia, nemmeno personale», e evoca per la prima volta il voto anticipato. Il 31 luglio la riforma Bonafede viene approvata “salvo intese” da un diviso Cdm. Il 6 agosto il decreto sicurezza-bis è legge. Il giorno dopo, il 7 agosto, al Senato M5S e Salvini sostengono due opposte mozioni sulla Tav. L′8 agosto la crisi si formalizza con una nota in cui il leader della Lega annuncia che non c’è più maggioranza. Entrano in scena nuovi attori. È il 15 agosto, e nella Roma infuocata del ferragosto arriva una delegazione da Washington. Altissimo livello: il General Attorney, il ministro di giustizia William Barr. Non sappiamo ancora esattamente cosa cerchino gli uomini di Trump. Sappiamo solo che cercano in Italia le prove che l’inchiesta Mueller sui rapporti di Trump con i russi per orientare le elezioni americane sia stata tutta una invenzione dei democratici Usa. La posizione di Washington in merito non è molto velata: l’idea è che intelligence di alcuni paesi europei, Inghilterra e Italia nello specifico, abbiano aiutato un attacco alla democrazia in America. Di tutto questo sappiamo davvero poco. Ma sappiamo che, di qualunque cosa si tratti, Conte autorizza gli incontri.Ripetiamo: è il 15 agosto. Esattamente 5 giorni dopo, il 20 agosto, Conte va in Senato e pronuncia il famoso discorso con cui scarica Salvini e consuma la rottura della coalizione. Nel discorso l’attacco all’ex alleato, il rapporto con la Russia del leghista, e la vicenda Metropol hanno un grande rilievo. Il 24 agosto Conte si reca al G7 di Biarritz su Iran, dazi, e Russia. Trump, appena giunto alla cena di apertura si ferma a parlare per una decina di minuti con il premier italiano. Un colloquio molto fitto, dicono fonti di Palazzo Chigi, durante il quale il tycoon ha testimoniato molta considerazione e attenzione personale nei confronti del professore, assicurando che «i rapporti personali vanno al di là degli incarichi». Il 27 agosto Trump si fa più esplicito: «Spero che Giuseppi Conte resti premier». Il 5 settembre giura il nuovo governo M5S-Pd, con premier lo stesso Conte. Venerdì 27 settembre, nuova visita della delegazione Usa, stesso scopo. Eccetto che stavolta nella nuova coalizione del governo Conte c’è il Pd. Neanche in questo caso, come il 15 agosto, Conte informa l’alleato. E se si può dire che forse con Salvini la crisi era già consumata a metà agosto, con il Pd si è in piena luna di miele.La prima domanda è dunque: avrebbe dovuto informare i suoi alleati? E, se verificato al Copasir che non l’ha fatto, la sua scelta rivela un elemento di mancata “opportunità” o di opacità bella e buona? Insomma c’è una sorta di colpevole silenzio? L’avvocato Conte ha sempre voluto, e conservato gelosamente, il suo ruolo di capo dei servizi. La legge affida infatti al presidente del Consiglio “l’alta direzione e la responsabilità generale della politica dell’informazione per la sicurezza, nell’interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni democratiche”. La legge 3 agosto 2007 n. 124 all’articolo 3 prevede che il presidente del Consiglio possa delegare talune sue prerogative (eccetto quelle sue esclusive) a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario di Stato alla presidenza. La legge dice che può, ma non che deve. E il gioco del delegare o meno è sempre entrato a far parte della tessitura di tutti i governi come parte del profilo che intende prendere. Alcuni premier così hanno delegato; gli ultimi due, Gentiloni e Conte, non hanno delegato. Conte si è tenuto la delega nella formazione del governo di coalizione dei giallorossi, soprattutto come bilanciamento a Salvini agli interni. Conte tuttavia non ha delegato nemmeno dopo, quando è rimasto capo del governo con la coalizione con il Pd.Tenendosi questa delega il premier attuale è di fatto il capo di ogni responsabilità attinente l’intelligence. Nulla può muoversi senza la sua decisione. Ma è obbligato a informare i suoi colleghi? O può/deve mantenere il silenzio assoluto? Gli esperti sostengono che eccetto per il segreto di Stato, che riguarda però gravi emergenze, potenziali danni gravi che potrebbero derivare per il paese, vale per il resto una “opportunità” politica che spinge a informare l’apposito comitato ristretto del Consiglio dei ministri. In questo caso la “opportunità politica” non era forse tale da spingere/obbligare Conte a informare? La domanda si fa tanto più urgente se, come è il caso, si tratta non di uno ma di ben due esecutivi, di natura fra loro completamente diversa, con cui si è scelto il silenzio. Per semplificare: se è possibile che Conte abbia scelto di non informare Salvini sulla visita di Barr il 18 agosto perché ormai in piena rottura, perché non ha informato (o lo ha fatto ?) della visita il 27 settembre in piena luna di miele con il Pd? È, come si diceva, un intreccio di scelte e date che lascia inquieti: il rapporto fra Conte e l’amministrazione americana avviene infatti con tempi tali da sollevare almeno il dubbio che ci sia una forte relazione fra la crisi italiana, la conferma del premier e il consenso americano. Si intravvede uno scambio, e forse questo scambio c’è o forse no, ma Conte ci deve sicuramente una spiegazione. Il silenzio con cui ha custodito questi contatti è forse, infatti, l’elemento più inquietante di questa vicenda.(Lucia Annunziata, “L’avvocato delle spie”, articolo pubblicato dall’“Huffington Post” e ripreso da “Dagospia” il 4 ottobre 2019).È accaduto tutto così velocemente che ancora non tutto è chiaro. Il passaggio in 20 giorni da una coalizione orientata a destra, a un’altra di un colore opposto, è stato un tale cambio, e talmente improvviso, da non aver ancora sedimentato tutte le risposte sulle sue radici e ragioni – perché si è sgretolato il potere di Salvini proprio al suo culmine? Cosa ha rotto l’unità del governo? Come mai è sopravvissuto alla crisi della sua coalizione Giuseppe Conte, arrivando a guidarne una seconda di segno opposto? Le risposte sono tante e vanno dalle più fantasiose e oscure (doppi e tripli complotti) alle più politologiche, passando per l’inevitabile visita al sofà degli psicanalisti. Le rivelazioni del “New York Times” e del “Washington Post” sulle visite e gli incontri segreti avuti nel nostro paese dagli alti rappresentanti dell’amministrazione Trump con rappresentanti dell’intelligence italiana aggiungono ora altre domande, molto più inquietanti: come mai il presidente Conte non ha informato nessuno di questi contatti con gli americani e della loro missione in Italia? Avrebbe potuto? Avrebbe dovuto? O la sua è stata una opaca manovra, che ha in qualche modo interferito sul corso stesso della crisi e della sua composizione?
-
Scandalosi Clinton: 50 testimoni morti, Epstein è l’ultimo
Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.1. James McDougal – Il socio dei Clinton condannato per il caso Whitewater era morto per un apparente attacco cardiaco mentre si trovava in isolamento. Era un testimone chiave nelle indagini di Ken Starr. 2. Mary Mahoney – Una ex stagista della Casa Bianca, era stata assassinata nel luglio 1997 in una caffetteria Starbucks a Georgetown. L’omicidio era avvenuto subito prima che rendesse di pubblico dominio il fatto di avere subito molestie sessuali alla Casa Bianca. 3. Vince Foster – Ex consigliere della Casa Bianca e collega di Hillary Clinton presso lo studio legale Rose di Little Rock. Era morto per una ferita da arma da fuoco alla testa, risolta come suicidio. 4. Ron Brown – Segretario al Commercio ed ex presidente del Dnc [Comitato Nazionale Democratico]. La causa ufficiale della morte era stata impatto da incidente aereo. Un patologo che aveva partecipato alle indagini aveva riferito che c’era un buco nella parte superiore del cranio di Brown molto simile ad un ferita da arma da fuoco. Al momento della sua morte, Brown era sotto indagine e non aveva fatto segreto della sua volontà di concludere un accordo con gli inquirenti. Erano morti anche tutti gli altri passeggeri dell’aereo. Pochi giorni dopo, il controllore del traffico aereo si era suicidato.5. C. Victor Raiser, II – Raiser, uno dei principali responsabili dell’organizzazione per la raccolta fondi dei Clinton, era morto nella caduta di un aereo privato, nel luglio 1992. 6. Paul Tulley – Direttore politico del Comitato Nazionale Democratico era stato trovato morto in una stanza d’albergo a Little Rock, nel settembre 1992. Descritto dai Clinton come “caro amico e consigliere fidato”. 7. Ed Willey – Responsabile della raccolta fondi per i Clinton, era stato trovato morto nel novembre 1993 in un bosco della Virginia, con una ferita da arma da fuoco alla testa. Risolto come suicidio. Ed Willey era morto lo stesso giorno in cui sua moglie, Kathleen Willey, aveva affermato che Bill Clinton l’aveva palpeggiata nello Studio Ovale della Casa Bianca. Ed Willey era stato coinvolto in numerosi eventi di raccolta fondi per i Clinton. 8. Jerry Parks – Capo della squadra di sicurezza governativa di Clinton a Little Rock. Ucciso con un’arma da fuoco mentre era in macchina in un incrocio deserto fuori Little Rock. Il figlio di Parks aveva riferito che il padre stava allestendo un dossier su Clinton. Aveva presumibilmente minacciato di rendere pubbliche queste informazioni. Dopo la sua morte, i documenti erano misteriosamente spariti dalla sua abitazione.9. James Bunch – Deceduto per suicidio da arma da fuoco. Sembra possedesse un “libro nero” contenente i nomi di persone influenti che frequentavano prostitute in Texas ed Arkansas. 10. James Wilson – Era stato trovato morto nel maggio 1993, apparentemente si era suicidato impiccandosi. Sembra avesse legami con il caso Whitewater. 11. Kathy Ferguson – Ex moglie del poliziotto dell’Arkansas Danny Ferguson, era stata trovata morta nel maggio 1994 nel salotto di casa sua, uccisa con un colpo di pistola alla testa. Era stato considerato un suicidio, anche se c’erano diverse valigie piene, come se la donna fosse stata in procinto di recarsi altrove. Danny Ferguson era un co-imputato, insieme a Bill Clinton, nella causa intentata da Paula Jones. Kathy Ferguson era una possibile testimone a favore di Paula Jones. 12. Bill Shelton – Agente della polizia di Stato dell’Arkansas e fidanzato di Kathy Ferguson. Scettico sul suicidio della sua fidanzata, era stato trovato morto nel giugno 1994 per una ferita da arma da fuoco e si era stabilito che si era suicidato sulla tomba della sua fidanzata. 13. Gandy Baugh – Avvocato dell’amico di Clinton, Dan Lassater, era morto nel gennaio 1994 lanciandosi da una finestra di un alto edificio. Il suo cliente era un distributore di droga già condannato.14. Florence Martin – Ragioniera e subappaltatrice per la Cia, era legata al caso Barry Seal, Mena, Arkansas, un caso di traffico di droga all’aeroporto. Era morta per tre ferite da arma da fuoco. 15. Suzanne Coleman – Secondo quanto riferito, aveva avuto una relazione con Clinton quando quest’ultimo era procuratore generale dell’Arkansas. Era morta per una ferita da arma da fuoco alla nuca, risolta come suicidio. Al momento della morte era incinta. 16. Paula Grober – Traduttrice simultanea di Clinton per i non udenti, dal 1978 fino alla sua morte, il 9 dicembre 1992. Era morta in un incidente automobilistico. 17. Danny Casolaro – giornalista investigativo, indagava sull’aeroporto di Mena e sull’organo per il finanziamento dello sviluppo dell’Arkansas. Si era tagliato i polsi, apparentemente nel bel mezzo della sua indagine. 18. Paul Wilcher – L’avvocato che indagava sulla corruzione all’aeroporto di Mena con Casolaro e sula “sorpresa di ottobre” del 1980, era stato trovato morto in bagno, il 22 giugno 1993, nel suo appartamento di Washington Dc. Aveva consegnato un rapporto a Janet Reno tre settimane prima della sua morte.19. Jon Parnell Walker – Investigatore del caso Whitewater per la Resolution Trust Corporation. Era morto gettandosi dal balcone del suo appartamento di Arlington, in Virginia, il 15 agosto 1993. Stava indagando sullo scandalo Morgan Guaranty. 20. Barbara Wise – Collaboratrice del Dipartimento del Commercio. Aveva lavorato a stretto contatto con Ron Brown e John Huang. Causa del decesso: sconosciuta. Era morta il 29 novembre 1996. Il suo corpo nudo e pieno di lividi era stato trovato chiuso a chiave nel suo ufficio, presso il Dipartimento del Commercio. 21. Charles Meissner – Sottosegretario al Commercio, che aveva concesso a John Huang il nulla osta di sicurezza, era morto poco dopo in un incidente aereo. 22. Dr. Stanley Heard – Presidente del Comitato Consultivo Nazionale per la Terapia Chiropratica era morto con il suo avvocato, Steve Dickson, in un incidente aereo. Il dottor Heard, oltre a prestare servizio nel consiglio consultivo dei Clinton, aveva curato personalmente la madre, il patrigno e il fratello di Clinton. 23. Barry Seal – Un pilota della Twa che contrabbandava droga dall’aereoporto di Mena, Arkansas, la sua morte non è stata casuale [assassinato il 19 febbraio 1986].24. Johnny Lawhorn, Jr. – Meccanico, aveva trovato un assegno intestato a Bill Clinton nel bagagliaio di un’auto lasciata nella sua officina. Era stato trovato morto dopo che la sua macchina aveva colpito un palo della luce. 25. Stanley Huggins – Indagava sulla Madison Guaranty Savings and Loan Association. La sua morte era stata dichiarata un presunto suicidio e il suo rapporto non era mai stato pubblicato. 26. Hershell Friday – Avvocatessa e responsabile della raccolta fondi per Clinton, era morta il 1° marzo 1994, quando il suo aereo era esploso. 27. Kevin Ives e Don Henry – Noto come il caso dei “ragazzi che avevano trovato una pista”. I rapporti dicono che due i ragazzi potrebbero essersi imbattuti nel traffico di droga dell’aeroporto di Mena, Arkansas. Un caso controverso, secondo il rapporto iniziale della morte, i due ragazzi si sarebbero addormentati sui binari della ferrovia. Rapporti successivi avevano stabilito che i due giovani erano stati uccisi prima di essere messi sulle rotaie. Molte persone legate al caso erano morte prima che la loro testimonianze potessero arrivare davanti al Gran Giurì.Queste persone avevano informazioni sul caso Ives/Henry: 28 – Keith Coney: era morto quando, con la sua moto, aveva tamponato un camion, luglio 1988. 29 – Keith McMaskle: deceduto, pugnalato 113 volte, novembre 1988. 30 – Gregory Collins: morto per una ferita da arma da fuoco nel gennaio 1989. 31 – Jeff Rhodes: ucciso con un’arma da fuoco, mutilato e trovato bruciato in una discarica nell’aprile 1989. 32 – James Milan: trovato decapitato. Tuttavia, il medico legale aveva stabilito che la sua morte era dovuta a “cause naturali”. 34 – Richard Winters: uno dei sospettati nelle morti di Ives/Henry. Ucciso in una rapina organizzata nel luglio 1989. Anche queste guardie del corpo di Clinton sono morte: 35 – Maggiore William S. Barkley, Jr. 36 – Capitano Scott J. Reynolds. 37 – Sergente Brian Hanley. 38 – Sergente Tim Sabel. 39 – Maggiore Generale William Robertson. 40 – Colonnello William Densberger. 41 – Colonnello Robert Kelly. 42 – Specialista Gary Rhodes. 43 – Steve Willis. 44 – Robert Williams. 45 – Conway LeBleu. 46 – Todd McKeehan. E il più recente, Seth Rich, il collaboratore del Comitato Democratico, assassinato e “derubato” (di niente) il 10 luglio 2016. Il fondatore di Wikileaks, Assange, afferma che Rich era in possesso di informazioni sullo scandalo della posta elettronica del Dnc. In questa lista non sono inclusi i 4 eroi uccisi a Bengasi. Ed ora potete aggiungere all’elenco il multimilionario Jeffrey Epstein…(Jim Hoft, “L’elenco completo delle persone collegate ai Clinton morte in circostanze misteriose o ‘suicidatesi’ prima di testimoniare”, da “Gateway Pundit” dell’11 agosto 2019, post tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.
-
Migranti: le rimesse, 700 miliardi, fan gola a Libra-Facebook
Secondo l’infondato paradigma di sviluppo economico abbracciato dalle organizzazioni internazionali e smentito dalle evidenze, l’emigrazione rappresenterebbe un’opportunità di miglioramento della vita e del benessere delle popolazioni più povere. Così anche lo strumento del microcredito, ideato per traghettare i paesi in via di sviluppo fuori dalla condizione di miseria, ha finito per divenire in molti casi uno strumento per incentivare l’emigrazione. Non a caso il Bangladesh, dove questo strumento è nato, è il paese di provenienza di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia. In Bangladesh opera la più grande Ong al mondo, leader nel settore dei prestiti all’emigrazione, e oltre che in quel paese opera in altre nazioni dell’Asia, in America Latina e in molti paesi dell’Africa, diffondendo così questo sistema collaudato. Non solo offre i finanziamenti e l’assistenza per emigrare attraverso il microcredito, ma a quanto pare si occuperebbe anche di fornire alle famiglie dei migranti dei prestiti sulle future rimesse, in modo da accedere a somme di denaro per fare investimenti o spese mentre aspettano di ricevere le rimesse inviate dall’estero. Ma così i migranti, che spesso non trovano lavoro nel paese di accoglienza, finiscono nel vortice dell’indebitamento, ricorrendo a tutti i mezzi pur di ripagare i prestiti contratti.Finanza e filantropia possono intrecciarsi sulla questione dei migranti? Beh, Jacques Attali, il mentore di Macron, ha fondato un’associazione che opera in 60 paesi al mondo per incentivare l’accesso ai servizi finanziari da parte delle popolazioni più povere. La sua mission, dichiara, è quella di “combattere la povertà attraverso lo sviluppo della microfinanza”. Per realizzarla si serve di otto unità specializzate, compresa un’agenzia di rating di microfinanza. Tra i suoi organi societari spiccano nomi eccellenti, alcuni dei quali hanno avuto in passato incarichi prestigiosi nelle istituzioni europee e comunitarie. Il cofondatore di questa ramificatissima Ong è il creatore della prima banca che concede denaro alle persone più indigenti, insignito addirittura del Nobel per la Pace, che scrive libri e tiene convegni in tutto il mondo per esportare questo modello spacciato come filantropico. C’è ancora un business gigantesco da aggredire, quello delle rimesse dei migranti. Lo scorso anno dall’Italia sono usciti 6,2 miliardi di euro di rimesse verso l’esterno e a livello globale la cifra raggiunge circa 700 miliardi di dollari.Il costo medio per una singola transazione si aggira intorno al 7%, con punte che superano il 10%. Il settore è in mano, in condizioni pressoché di duopolio, a due colossi statunitensi che hanno contratti esclusivi con gli enti statali. Ma un business così fiorente non poteva rimanere a lungo ignorato. Ed ecco infatti entrare in campo un altro magnate dell’economia mondiale, il ceo di Facebook Mark Zuckerberg, con la sua nuova moneta. La Libra nasce proprio come valuta globale, con l’obiettivo dichiarato di consentire alle persone di inviare denaro a chiunque, da qualsiasi luogo, a un prezzo basso e col solo utilizzo di un cellulare. È stato stimato che, a livello globale, un miliardo di individui non abbia accesso ai prodotti finanziari, ma possiede un telefono cellulare; e di questi, circa 480 milioni hanno accesso a Internet. Dunque il ricchissimo “piatto”, come lo chiamo io, delle rimesse sarà il primo obiettivo nel mirino della Libra?(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Marta Moricone per l’intervista “Il ricco ‘piatto’ delle rimesse nel mirino della Libra?”, pubblicata da “Lo Speciale” il 31 luglio 2019. Il Premio Nobel cui si riferisce la Bifarini è Muhammad Yunus, mentre la Onf fondata Attali per finanziare i viaggi dei migranti si chiama Planet Finance).Secondo l’infondato paradigma di sviluppo economico abbracciato dalle organizzazioni internazionali e smentito dalle evidenze, l’emigrazione rappresenterebbe un’opportunità di miglioramento della vita e del benessere delle popolazioni più povere. Così anche lo strumento del microcredito, ideato per traghettare i paesi in via di sviluppo fuori dalla condizione di miseria, ha finito per divenire in molti casi uno strumento per incentivare l’emigrazione. Non a caso il Bangladesh, dove questo strumento è nato, è il paese di provenienza di circa un decimo dei migranti che ogni anno arrivano in Italia. In Bangladesh opera la più grande Ong al mondo, leader nel settore dei prestiti all’emigrazione, e oltre che in quel paese opera in altre nazioni dell’Asia, in America Latina e in molti paesi dell’Africa, diffondendo così questo sistema collaudato. Non solo offre i finanziamenti e l’assistenza per emigrare attraverso il microcredito, ma a quanto pare si occuperebbe anche di fornire alle famiglie dei migranti dei prestiti sulle future rimesse, in modo da accedere a somme di denaro per fare investimenti o spese mentre aspettano di ricevere le rimesse inviate dall’estero. Ma così i migranti, che spesso non trovano lavoro nel paese di accoglienza, finiscono nel vortice dell’indebitamento, ricorrendo a tutti i mezzi pur di ripagare i prestiti contratti.
-
Tav irreversibile, fermarlo costa: la madre di tutte le bufale
Non puoi ribellarti al potere dello Stato, di fronte a una decisione del governo. Ma se il governo interviene sul corpo delle persone, come nel caso dei vaccini obbligatori, ha l’obbligo di essere trasparente. E il governo italiano non lo è stato per nulla: non ha dato garanzie scientifiche sulla sicurezza dei vaccini somministrati e, soprattutto, non ha spiegato perché li ha imposti, in assenza di emergenze sanitarie. Un ragionamento impeccabile, offerto nei mesi scorsi da Gianfranco Carpeoro, saggista, autore di acute analisi sull’attualità italiana. Dai vaccini al Tav, usato come pretesto per far crollare il governo gialloverde, il problema è analogo: lo Stato impone un’infrastruttura dall’impatto devastante, ma senza spiegarne le ragioni. Ovvio che è inaccettabile opporvisi violando la legge. Ma è altrettanto inaccettabile, per il cittadino, dover subire quello che viene percepito come un sopruso. Gli abitanti della valle di Susa hanno il diritto, innanzitutto, di essere informati sulla reale utilità dell’opera. Ma questo diritto elementare viene loro negato, da vent’anni. Forse perché l’opera è completamente inutile? Lo conferma l’analisi costi-benefici fornita al governo dal professor Marco Ponti, su incarico del ministro Toninelli. Un progetto costoso, obsoleto e inutile. Ma peggio: si continua a dire che rinunciare alla Torino-Lione costerebbe più che costruirla. E qui la menzogna naufraga nel ridicolo.«In base a quanto ci hanno riferito sia fonti della Commissione Europea sia Paolo Beria, professore del Politecnico di Milano esperto di trasporti, pur nell’opacità (e complessità) dei dettagli che circondano la Tav, è vero – come sostengono i NoTav che non siano previste penali europee nel caso in cui l’Italia abbandoni il progetto», riassume l’Agi. L’agenzia di stampa ha interpellato Paolo Foietta, commissario straordinario per l’asse ferroviario Torino-Lione: Foietta conferma l’assenza di penali, a livello europeo, in caso di mancata realizzazione. Finora è stato realizzato solo il “cunicolo esplorativo” di Chiomonte, che ha funzione geognostica. Del traforo Italia-Francia, lungo 57 chilometri, non è stato scavato neppure un metro. Idem per la linea-doppione che collegherebbe il tunnel a Torino. Quanto al versante francese, Parigi ha stabilito che solo nel 2038 il governo prenderà in esame la possibilità di costruire la ferrovia, dall’uscita del traforo a Chambéry (verso Lione). Spiega Foietta: finora sono stati spesi 1,4 miliardi di euro, ma solo per le opere preliminari (700 milioni forniti dall’Ue e 350 dalla Francia). «Se l’opera non venisse completata per una decisione dell’Italia – sostiene Foietta – chi ha speso quei soldi per un’opera che poi non viene compiuta potrebbe chiederceli indietro».A questo miliardo circa possiamo poi aggiungere gli 813 milioni di finanziamento europeo per il 2014-2019, già stanziati. Quei fondi però non sarebbero una perdita, spiega il professor Beria: «Si tratta di un co-finanziamento. Cioè: oltre a quei soldi l’Italia dovrebbe spenderne altri, propri, per completare l’opera. Se l’opera viene ritenuta inutile, è vero che non ho i fondi europei per farla e dunque li devo restituire, ma non spendo nemmeno fondi italiani, e dunque di fatto ho un risparmio». Quanto costerebbe, eventualmente, chiudere il cantiere di Chiomonte? Foietta “spara” una cifra enorme – 2 miliardi – ma senza documentarla, perlomeno nell’intervista concessa all’Agi. Secondo l’agenzia di stampa, quegli ipotetici 2 due miliardi sono costituiti da “voci” con diverso grado di certezza: per metà sarebbero rimborsi che l’Italia potrebbe dover dare a Francia e Ue per il mancato completamento dell’opera, e per metà sarebbero finanziamenti già stanziati che andrebbero restituiti senza poterli spendere. «Infine, ci sono altri costi connessi ai possibili procedimenti legali intentati dalle imprese già coinvolte». Conclusione: non risultano “penali” per l’Italia nel caso in cui decida di uscire dal progetto. «Roma dovrebbe però restituire un finanziamento europeo di oltre 800 milioni di euro».Quanto costerebbe, invece, realizzare la Torino-Lione? Non meno di 26 miliardi di euro, scrive – nero su bianco – la Corte dei Conti francese. Di questi, circa 11 miliardi sarebbero destinati alla sola galleria ferroviaria italo-francese, di cui non esiste neppure il cantiere. Come si fa a dire, ancora, che “non fare la Torino-Lione costerebbe più che farla”? Si può, eccome: lo hanno ripetuto Conte e Salvini, nonché il neo-presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio. Non sanno fare i conti o, semplicemente, mentono? Sperano che, a forza di ripeterla, una bugia si trasformi in verità? I media continano a proporre le immagini del mini-cantiere di Chiomonte, come se fosse il vero tunnel ferroviario. Si vuole far credere agli italiani di essere a un passo dalla meta, mentre della Torino-Lione non esiste ancora neppure un metro di binario? Quand’anche: resta inevaso l’obbligo primario di rispettare un diritto fondamentale, democratico. Se vuole devastare un territorio imponendo una infrastruttura faraonica e inutile, che il territorio contesta, lo Stato – che è sovrano – deve impegnarsi politicamente a fornirne le motivazioni. Se continua a non farlo, la sua credibilità istituzionale si sbriciola. Ed è esattamente quello che purtroppo sta accadendo.Non puoi ribellarti al potere dello Stato, di fronte a una decisione del governo. Ma se il governo interviene sul corpo delle persone, come nel caso dei vaccini obbligatori, ha l’obbligo di essere trasparente. E il governo italiano non lo è stato per nulla: non ha dato garanzie scientifiche sulla sicurezza dei vaccini somministrati e, soprattutto, non ha spiegato perché li ha imposti, in assenza di emergenze sanitarie. Un ragionamento impeccabile, offerto nei mesi scorsi da Gianfranco Carpeoro, saggista, autore di acute analisi sull’attualità italiana. Dai vaccini al Tav, usato come pretesto per far crollare il governo gialloverde, il problema è analogo: lo Stato impone un’infrastruttura dall’impatto devastante, ma senza spiegarne le ragioni. Ovvio che è inaccettabile opporvisi violando la legge. Ma è altrettanto inaccettabile, per il cittadino, dover subire quello che viene percepito come un sopruso. Gli abitanti della valle di Susa hanno il diritto, innanzitutto, di essere informati sulla reale utilità dell’opera. Ma questo diritto elementare viene loro negato, da vent’anni. Forse perché l’opera è completamente inutile? Lo conferma l’analisi costi-benefici fornita al governo dal professor Marco Ponti, su incarico del ministro Toninelli. Un progetto costoso, obsoleto e inutile. Ma peggio: si continua a dire che rinunciare alla Torino-Lione costerebbe più che costruirla. E qui la menzogna naufraga nel ridicolo.
-
Dalla Russia coi servizi (deviati) per agitare gli italiani idioti
Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata. Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli Usa con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano. Gli Usa hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico. La Dc e il Pci hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli Usa e dall’Urss, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’Urss assicurava al Pci percentuali su determinati commerci. Il Pci riceveva questi soldi mentre l’Urss teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari. Il Pci, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accettava la guida del Pcus di Stalin.Diversi leader politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori asset nazionali. Moltissimi leader politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno ricevuto sostegno alle loro carriere. L’Italia ormai riceve da organismi esterni, diretti da interessi stranieri, l’80% della sua legislazione e della sua politica finanziaria. Essa è indebitata in una moneta che non controlla e che è controllata ultimamente da banchieri privati; la Banca d’Italia è controllata pure da banchieri prevalentemente stranieri. Ciliegina sulla torta: notoriamente, nel 2011, su disposizione di Bce e Berlino, il Palazzo italiano ha eseguito un golpe per sostituire il governo Berlusconi con uno funzionale agli interessi della finanza franco-germanica. E su tutto questo nessun Pm ha mai aperto un fascicolo per corruzione internazionale: andava tutto bene!Nel confronto con questi fatti, il problema dei soldi russi alla Lega, peraltro mai dati, è insignificante, e solo un idiota può considerarlo diversamente; mentre chi ha un minimo di buon senso nota che il problema grave è un altro, ossia che i servizi segreti – sottoposti al premier Conte – abbiano eseguito un anno fa, e tirato fuori proprio ora, le intercettazioni in questione, e che le tirino fuori ora per mettere in difficoltà la Lega in un momento critico per il M5S. Si ventila pure che possa essere stata, invece, la Cia, per colpire il legame Salvini-Russia. In ambo i casi, questa è la vera interferenza, questo è lo scandalo.(Marco Della Luna, “Dalla Russia coi servizi, deviati”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2019).Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata. Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli Usa con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano. Gli Usa hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico. La Dc e il Pci hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli Usa e dall’Urss, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’Urss assicurava al Pci percentuali su determinati commerci. Il Pci riceveva questi soldi mentre l’Urss teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari. Il Pci, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, accettava la guida del Pcus di Stalin.
-
Sì alla Torino-Lione: il M5S firma la sua condanna a morte
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.
-
Borrelli: che disastro, dopo Mani Pulite (che risparmiò il Pci)
Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.Nel saggio “Eutanasia di un potere”, edito da Laterza nel 2013, Borrelli dice a Damilano: «Se fossi un uomo pubblico di qualche paese asiatico, dove è costume chiedere scusa per i propri sbagli, chiederei scusa per il disastro seguito a Mani pulite». E aggiunge: «Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Nel libro citato, annota Da Rold, il pensiero di Borrelli viene riproposto un altro paio di volte, «e probabilmente offre la misura della delusione provata anche dal capo del pool di fronte alla parabola politica che parte con Berlusconi, passa dai comprimari del “nuovismo” di sinistra per poi approdare a “Giggino”, “Dibba” e al “Capitano”». Pesa la pochezza culturale dei nuovi leader, peraltro inaugurata da Berlusconi col suo partito-azienda e seguita a ruota dall’altrettanto personalistico Renzi, fino ad arrivare alla “caserma” pentastellata. Fu comunque Berlusconi – poi vittima a sua volta delle “toghe rosse” – il primo ad approfittare dello tsunami di Tangentopoli: tutti ricordano le dirette non-stop di Emilio Fede, con Paolo Brosio in pianta stabile davanti al palagiustizia milanese, ad applaudire i giustizieri. Il resto è cronaca, lo si sconta da trent’anni ma molti se ne accorgono solo oggi: Mani Pulite sguarnì il Belpaese di fronte all’offensiva dei superpoteri europei – industriali e finanziari – che fecero dell’Italia un sol boccone, dal Trattato di Maastricht in poi.In Borrelli e nel suo vitalissimo e popolarissimo pool – scrive Da Rold – c’era purtroppo «il vecchio spirito inquisitorio che l’Italia non vuole abbandonare». In più «c’era, in quei tempi, un’intesa tra magistratura inquirente e mass media che portò molti giornalisti quasi al “disgusto”, alle dimissioni di fronte a certe carte che passavano da una mano all’altra e a certe rivelazioni clamorose ed esclusive». Il 14 luglio 1994, ricorda Da Rold, sugli schermi televisivi apparvero i Pm del pool per affossare il cosiddetto decreto Conso, che tentava di porre un argine all’improvvisa esuberanza di una magistratura per mezzo secolo s’era ben guardata dal “vedere” gli illeciti amministrativi della politica. «Un simile spettacolo di invadenza giudiziaria nella vita politica non sarebbe immaginabile neppure oggi, nemmeno nella piuttosto sgangherata vecchia Gran Bretagna in preda alla Brexit», scrive Da Rold. Da noi, invece, «naturalmente vinsero i “pm” che avrebbero “pulito” l’Italia». Ma quello che più stupisce, aggiunge l’analista, è l’ipocrisia: tutti sapevano che il finanziamento pubblico ai partiti era stato illecito fin dal 1946. «Dati alla mano, si è dimostrato che tutti i bilanci firmati dai presidenti delle Camere, sin dal 1946, erano falsi e che nessun politico e nessun magistrato aveva mai sollevato obiezioni, tranne poi scatenare la “grande lotta alla corruzione”».Inoltre, aggiunge Da Rold, il “nuovismo” politico si è pure rifiutato di creare su Tangentopoli commissione d’inchiesta – doverosa, almeno da quello che appariva. Ora ci risiamo, con le bufale velenose del Russiagate salviniano? Dato che siamo in tema di “Russopoli”, Da Rold ricorda Stephane Courtois, autore de “Il libro nero del comunismo”, che scrive: «L’assordante silenzio che ha accompagnato in Italia le rivelazioni sulla dimensione criminale di quasi un secolo di comunismo, cioè sugli 85 milioni di morti ammazzati, non è nulla rispetto al silenzio, come dire?, rimbombante che è stato steso su quello che riguardava la ‘question financière’, cioè l’oro di Mosca». Alla vigilia della guerra di Corea, nel 1950 – riassume Da Rold – Stalin dava incarico all’armeno Vagan Grigorian di costituire un fondo per finanziare sistematicamente i partiti comunisti di opposizione in Occidente. Il nome che fu stabilito era questo: “Fondo sindacale di assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra”. Cose vecchie? Mica tanto: secondo i calcoli di Courtois, sino alla caduta del Muro di Berlino, il Pci – sotto varie forme – intascò il 25% per cento dei finanziamenti di Mosca «anche dopo Stalin, dopo Kruscev, dopo Breznev e dopo le “ultime mummie” del Cremlino». Totale: mille miliardi di vecchie lire. E i magistrati, Borrelli e colleghi? «Non si è mai capito – conclude Da Rold – perché ancora alla fine degli anni Settanta, e forse anche dopo, il Pci avesse a disposizione sulla Bank of Cyprus di Londra il conto numero 100203939/560. Erano archiviate tutte queste possibili inchieste? Forse Borrelli e i suoi “ragazzi” se ne erano dimenticati».Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.
-
Perché Falcone e Borsellino saltarono in aria in quel modo
Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».Lo si è intuito, in modo atrocemente sanguinoso, osservando i retroscena inquinatissimi delle morti ravvicinate di Falcone e Borsellino. Dopo la seconda, in particolare, si cominciò a parlare di “trattativa Stato-mafia”. Affrontò il tema Vincenzo Calcara, uno dei pochi collaboratori di giustizia che possono veramente essere chiamati “pentiti”. «Il dottor Borsellino – scrisse, nel suo memoriale – era in possesso di verità scomode», di fronte alle quali «in tanti si devono vergognare per averlo lasciato solo al suo destino». Calcara era stato segnato dall’incontro col magistrato, che gli aveva cambiato la vita: una vera e propria redenzione morale. C’erano due piani alternativi per uccidere Borsellino, ricorda Franceschetti: il primo prevedeva l’uso di un fucile di precisione ed era affidato proprio a Calcara, mentre nel secondo caso – un’autobomba – il futuro pentito avrebbe svolto soltanto un lavoro di copertura. «Poi però da Palermo arrivò l’ordine, direttamente da Totò Riina: prima, avrebbe dovuto essere ucciso Giovanni Falcone». Così, Calcara riuscì a non uccidere l’uomo che, anni dopo, gli avrebbe salvato la vita, facendolo rinascere come essere umano. Ma Riina era veramente “il capo dei capi”, o invece era solo il “prestanome” di qualcuno molto più potente, protagonista occulto dell’infinita finita strategia delle tensione italiana?Lo stesso Riina affermò che Borsellino non sarebbe stato “condannato” dalla mafia, ma probabilmente da uomini dello Stato. E nel caso, perché mai? «Forse perché aveva capito che la cosiddetta “trattativa” non era altro che un accordo per realizzare un piano eversivo di destabilizzazione dello Stato, condotta da un “sistema criminale” composto da mafia, massoneria deviata e servizi segreti deviati?». Riguardo alla possibile manovalanza, alternativa o contigua a quella strettamente mafiosa, Solange Manfredi cita le dichiarazioni rese da un ex paracadutista della Folgore, Fabio Piselli, coinvolto nelle indagini sul rogo della nave “Moby Prince”. Una ricostruzione scioccante, che mette insieme la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, l’autobomba fiorentina di via dei Georgofili e la bomba romana di via Fauro. Italia fragilissima, all’epoca: Tangentopoli e passaggio cruciale dalla Prima alla Seconda Repubblica, sotto le forche caudine di Bruxelles, dopo aver spazzato via – a colpi di inchieste – l’intera classe politica. Decisivo, secondo Solange Manfredi, il ruolo nefasto di una sigla-fantasma ma onnipresente, in quegli anni: la Falange Armata.Esisteva dal 1985, sembra, ma compare per la prima volta soltanto il 4 gennaio 1991, quando a Bologna vengono uccisi tre carabinieri nel quartiere del Pilastro. L’ultima apparizione mediatica è del 27 novembre 1994, con il seguente comunicato: “Di Pietro è un uomo morto”. Di mezzo ci sono Falcone e Borsellino, le minacce a Di Pietro per le indagini su Craxi, un’autobomba scoperta a Roma in via dei Sabini a cento metri da Palazzo Chigi, il palagiustizia di Padova dato alle fiamme. Il 19 luglio ‘92, la Falange Armata rivendica l’attentato costato la vita a Borsellino. Un anno dopo, il 16 settembre del ‘93, la Procura di Roma individua in 16 ufficiali del Sismi i telefonisti che rivendicarono le azioni della fantomatica sigla terroristica. Cos’era, la Falange Armata? Secondo l’ex parà Fabio Piselli, «è stata una operazione modello, continuata e mai inquinata, compartimentata e soprattutto posta in sonno e mai disattivata da parte di un organo inquirente o ispettivo». In questo modo «ha raggiunto i propri obiettivi». Dopodiché “l’operazione” «è stata semplicemente conclusa», e i suoi “operativi”, di fatto, «hanno continuato a fare il proprio lavoro», dedicandosi ad altre mansioni e lasciando gli inquirenti impegnati a inseguire una falsa pista, cioè «una “organizzazione”, e non una semplice “operazione”».Risultato scontato: indagini finite in un nulla di fatto, «o con l’arresto di mere, ignare pedine, o di qualche povero innocente sacrificato per confondere gli inquirenti, il quale si è fatto qualche mese di galera ingiustamente e la cui vita è stata rovinata». Omicidi, rapine, attentati, sequestri. E poi: infiltrazioni in attività militari e politiche, trafugamento di armi dello Stato, addestramento di civili in attività militari. Ancora: spionaggio politico e militare, intercettazioni illegali, violazione e utilizzo del segreto d’ufficio, peculato, attentato alla democrazia. «E’ ciò che l’operazione Falange Armata ha posto in essere fra il 1985 ed il 1994 attraverso gli operatori, attivati singolarmente o in piccole squadre», dice Piselli. E’ tutto? No, certo. Sulla “trattativa”, la prima indagine fu archiviata nel 2000 per decorrenza dei termini, ricorda Franceschetti, prima che Antonio Ingroia riaprisse il caso, su cui ormai si sono scritti fiumi di inchiostro. Quello di cui invece Franceschetti è rimasto l’unico a parlare, invece, è un dettaglio sfuggente: il ricorrere – veramente impressionante – delle stesse modalità simboliche che costellano i fatti di sangue “mediatici”, sia gli attentati terroristici che molti delitti in apparenza comuni, destinati alla semplice cronaca nera.Dopo anni di ricerche, Franceschetti ha individuato una “firma” ancora più elusiva di quella della Falange Armata: è la Rosa Rossa, specializzata in delitti rituali anche eccellenti, come quelli del cantante Rino Gaetano e del ciclista Marco Pantani. Personaggi da “punire” secondo lo schema – dantesco – della “legge del contrappasso”, attraverso modalità maniacalmente simboliche, a partire dai nomi dei luoghi (mai casuali) e delle date in cui i delitti si consumano. La morte come tragico cerimoniale, in cui si mette in scena – capovolgendolo – ciò che il malcapitato aveva rappresentato, in vita. Gaetano? Vittima di uno stranissimo incidente stradale, soccorso da una strana ambulanza e morto dissanguato dopo esser stato rifiutato da quattro diversi ospedali – esattamente come nella “Canzone di Renzo”, uscita postuma, in cui saranno gli stessi assassini a portare a spalle la bara. Pantani? Ucciso al residence “Le Rose” di Rimini. Accanto al corpo, un biglietto: “Oggi le rose sono contente, e la rosa rossa è la più contata”. A chi dava fastidio, Pantani? Al business del doping, che coinvolge potenti ambienti massonici: droghe prodotte nei laboratori di Big Pharma, testate sui ciclisti e poi immesse sul mercato (anche quello della guerra, destinate ai soldati).E Rino Gaetano? Nel brano “Nuntereggae più” cita Vincenzo Cazzaniga, storico percettore dei fondi neri Usa indirizzati alla Dc, mentre nella canzone “Mio fratello è figlio unico” menziona “il rapido Taranto-Ancona”, che poi le indagini sugli anni di piombo avrebbero rivelato essere “il treno delle spie”, usato dai servizi deviati per trasportare gli esplosivi destinati alle stragi nelle piazze. Secondo Franceschetti, neppure Falcone e Borsellino sono sfuggiti al lugubre copione simbolico del “contrappasso”: riferendosi all’inferno della Divina Commedia, «la persona da eliminare morirà secondo la logica di far patire alla vittima il “peccato” che questa avrebbe commesso». Un classico: «Molti dei testimoni del disastro di Ustica, il Dc-9 dell’Itavia abbattuto, moriranno in un incidente aereo». Lo stesso Fabio Piselli, testimone dell’incendio della “Moby Prince”, è caricato su un’auto che poi viene incendiata: doveva quindi morire in un rogo, anche lui. Oppure il caso del perito Luciano Petrini: stava facendo una perizia sulla strana fine del colonnello Mario Ferraro, del Sismi, trovato impiccato all’asciugamani del bagno. Ebbene, Petrini morirà a colpi di portasciugamani».La casistica esaminata da Franceschetti è davvero vasta. L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, che smascherava crimini di matrice esoterica, volò dal balcone: «Chi sale troppo in alto, viene gettato dall’alto». Le vie dei killer sono pressoché infinite: «Qualcuno può morire fulminato dalla corrente elettrica come il giovane contestatore siciliano Giuseppe Gatì, perché il fulmine simboleggia la folgore di Zeus che punisce la persona che ha osato troppo». E la chiave simbolica della spaventosa morte di Falcone e Borsellino, entrambi dilaniati dall’esplosivo? Tragicamente semplice: «Li hanno fatti letteralmente saltare in aria, perché quei due stavano per far saltare in aria il sistema parallelo che collega la mafia alla parte oscura del potere ufficiale». Falcone, innanzitutto, «doveva morire in Sicilia – e non a Roma, dove sarebbe stato più facile assassinarlo – perché proprio sull’isola si erano svolte le sue indagini: la regola del contrappasso esigeva quindi che morisse nella stessa terra ove aveva “peccato”». Inoltre, aggiunge Franceschetti, «doveva saltare in aria in modo eclatante, proprio perché voleva far saltare il sistema». Attenzione: «Falcone aveva capito che il fulcro del sistema criminale in Italia non è la mafia. E’ lo Stato. E sono le banche. Quindi doveva saltare in aria perché l’esplosione con cui muore fa da contrappasso all’esplosione che lui voleva assestare al “sistema”».Non è casuale neppure la scelta del luogo dell’agguato: «Falcone è morto a Capaci, a simboleggiare che chiunque sia “capace”, deve morire». La cosa può suonare ridicola, ammette Franceschetti, ma suggerisce di riflettere sul fatto che «stiamo parlando di un’associazione che non lascia nulla al caso, neanche i nomi delle persone che vengono messe in determinate posizioni di vertice politico, finanziario, o amministrativo». C’è anche dell’altro, dietro al nome Capaci: la cittadina prese il nome dalla parola “pace” (Capaci, “cca-paci”) per siglare la fine di una leggendaria punizione, la reclusione sulla vicina Isola delle Femmine di 13 fanciulle. Scoppierà una “pace”, dopo “l’attentatone” costato la vita a Falcone e alla sua scorta? «Esatto: non a caso, come risulta dalla sentenza sulla strage di via dei Georgofili (che riuniva in un solo processo ben sette stragi, commesse a Firenze, Milano e Roma) e dalla sentenza sul Capitano Ultimo, dopo la strage di Capaci venne avviata la famosa trattativa tra Stato e mafia, di cui si fece portavoce il generale Mario Mori, per raggiungere, appunto, la pace». Probabilmente, aggiunge Franceschetti, la morte così eclatante di Falcone «segna anche, simbolicamente, uno spartiacque tra il vecchio metodo di eliminazione dei magistrati (ucciderli) e quello nuovo (delegittimarli). Non più attentati, quindi, ma le cosiddette “armi silenziose per una guerra tranquilla”».La morte di Falcone simboleggia quindi una storica tregua? Fateci caso: dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la mafia siciliana sembra quasi non esistere più: finiscono in carcere Riina e Provenzano, imprendibili per decenni, dopodiché cala il silenzio. «Addirittura, l’allora procuratore antimafia Pietro Grasso è andato al “Maurizio Costanzo Show” a declamare gli immensi successi dello Stato sulla mafia», ormai ridotta – secondo lui – al lumicino. Ricapitolando, il simbolismo della strage di Capaci è: auto, esplosione, Isola delle Femmine, Capaci. «Il probabile significato: Falcone voleva far saltare il sistema (esplosione), quindi dal cielo (auto) arriva la punizione che lo fa saltare in aria; dopodiché dovrà scendere la pace, tra lo Stato e la mafia (Capaci). Così muoiono le persone capaci di arrivare al cuore del sistema». Non è tutto: «A firmare la strage, ci sono due elementi: il gruppo di mafiosi si era posizionato sulla collina vicino Capaci; e la collina si chiama “Raffo Rosso“, ove raffo in ebraico significa “Dio che guarisce”. RR, firma della Rosa Rossa». L’organizzazione di cui parla Franceschetti si ispirerebbe – in modo deformato e deviato – alla confraternita sapienziale inziatica dei Rosa+Croce? Eccola: «La moglie di uno degli agenti di scorta, la donna straziata che fece il famoso discorso ai funerali, si chiama Rosaria Costa: le iniziali, RC).E Borsellino? «Fu ucciso nello stesso modo, anzitutto perché aveva seguito le orme dell’amico. Poi perché anche lui, col Memoriale Calcara, aveva avuto notizie che erano in grado di far saltare il sistema». Non mancano ulteriori indizi simbolici: «Credo che un aspetto della simbologia della sua morte vada trovata anche nella via dove avvenne l’esplosione, via Mariano D’Amelio: un politico che fece leggi sulla magistratura. Chiaro il messaggio: la magistratura deve essere azzerata». Dopo quelle orrende mattanze, «inizialmente sembrò che la magistratura acquistasse più poteri, e che lo Stato volesse realmente fare la guerra alla mafia». Nacque infatti lo strumento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi, e ci furono alcuni ritocchi al codice di procedura penale. «Ma poco dopo – aggiunge Franceschetti – arrivarono leggi che, di fatto, azzerarono il potere della magistratura riducendolo ad un formalismo vuoto, cosicché oggi l’80% dei reati cade in prescrizione, e per reati gravissimi vengono comminate pene ridicole». Sparì di fatto il reato di falso in bilancio, scomparve l’ergastolo per il reato di “attentato agli organi costituzionali”, si cercò di limitare le intercettazioni. Di fatto, dopo la morte di Borsellino, scattò «un’opera sistematica di demolizione dei poteri dei magistrati». Fantasie? Non esattamente, purtroppo.Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».
-
Ieri Borrelli e Craxi, oggi paga Salvini: farà posto a Draghi?
Fu Christine Lagarde a organizzare la caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto dallo scandalo per uno stupro (mai avvenuto): Strauss-Kahn ha fatto la fine di ogni vero socialista, liquidato per via giudiziaria. La Lagarde voleva semplicemente prendergli il posto, alla guida del Fmi: spero che mi quereli, la signora, perché posso dimostrare quello che dico. Ora guiderà la Bce, con l’incarico di “normalizzare” ulteriormente l’Europa. Lavorerà in tandem con la tedesca Ursula von der Leyen, una nazistella che fino a ieri faceva la yes-girl della Merkel. E’ stata messa a capo della Commissione Europea con il contributo determinante dei grillini, che non sanno che sarà proprio lei a decretare la loro morte. E questo conferma che c’è qualcosa di strano, dietro alla gestione dei 5 Stelle, che ora contestano a Salvini il caso delle presunte promesse di finanziamento da Mosca. L’avevo anticipato settimane fa, che contro Salvini si sarebbe scatenata una grossa tempesta giudiziaria. Rinaldi e Borghi gridano al golpe, denunciando le manovre per un governo tecnico presieduto da Draghi, con Pd e 5 Stelle, e Conte commissario europeo? Avevo previsto in anticipo anche il piano per un governo Draghi – che ora va avanti, visto che Draghi ha rifiutato di prendere il posto della Lagarde al Fmi. L’innesco è sempre la magistratura, oggi per eliminare Savini? Giustizia a orologeria? Ne sapeva qualcosa Francesco Saverio Borrelli, appena scomparso.Borrelli è una figura che si è prestata a una manovra non legittima, nel modo in cui è stata condotta, benché l’indagine fosse di per sé legittima. E’ stata una trappola, in cui Craxi è caduto: si era fidato di personaggi che lo attorniavano, da Paolo Pillitteri al magistrato Livia Pomodoro, che lo avevano rassicurato sulla linearità di Borrelli, che poi invece non c’è stata. D’altro canto, lo stesso Borrelli era stato nominato alla guida della Procura di Milano con una manovra simil-Palamara: corsi e ricorsi storici. Quel periodo ha fatto danni che tuttora perdurano, sia nell’ambito della giustizia che in quelli della società e della politica. E se c’è gente che ancora oggi queste cose non le vede, e quando sente parlare di Craxi e di Mani Pulite gli salta il sangue agli occhi, aspettiamo: perché poi magari in un bel tritacarne giudiziario ci capitano pure queste persone, così mi sapranno dire cosa significa e come si sta. In Italia è diminuita, la corruzione, dopo Tangentopoli? Per certi aspetti, Tangentopoli non c’entra niente con la corruzione, intesa come fenomeno sociale. Tangentopoli si rivolse innanzitutto nella direzione del finanziamento illecito dei partiti, nel cui alveo era rifiorita la corruzione: perché quando tu consenti qualcosa di illecito, dall’illecito derivano altri illeciti. Se non fai una normativa di trasparenza, sul finanziamento dei partiti, prima o poi dal finanziamento illecito si passa al vendersi l’appalto (che è cosa diversa).Un conto è il finanziamento illecito: qualcuno ti dà dei fondi, che poi non risultano a bilancio. Altra cosa è il fatto che tu ti sei venduto un appalto per averli, quei fondi. In Italia c’era un sistema di spartizione, per arrivare al finanziamento: se l’erano inventato i partiti più piccoli, per cercare di bilanciare i finanziamenti illeciti provenienti dall’estero, e precisamente dall’America (diretti alla Dc) e dalla Russia (destinati al Pci). Era un finanziamento necessariamente illecito: con che voce mettere a bilancio soldi che venivano dagli Usa e dall’Urss? Questo ha provocato il fatto che i partiti non sono stati trasparenti nei bilanci. E non essendo trasparenti nei bilanci, ne sono discese una serie di cose: era una situazione a catena. Poi, ovviamente, nei partiti, quelli più corrotti facevano carriera: perché al partito portavano finanziamenti che, magari, quelli meno corrotti non riuscivano a portare. In altre parole, il problema era sistemico. Nel momento in cui si doveva dare un giro di vite, dopo l’amnistia dell’89, i partiti hanno rifiutato il “dimagrimento”: erano così grossi, da non saper ridurre le strutture – ormai elefantiache – di cui si erano dotati.Peraltro, l’avvento della televisione commerciale aveva resto costosa la pubblicità elettorale, che prima – con le varie Tribune Politiche – era gratuita. Questo ha provocato un aumento dei costi della politica. E non essendoci più i soldi dell’America e della Russia, quei costi hanno gravato sul sistema degli appalti, anche da parte dei partiti maggiori, e quindi il sistema è esploso. Per questo dico che l’inchiesta Tangentopoli era inevitabile. Quello che era evitabile è che venisse strumentalmemte diretta solo contro Craxi e contro i democristiani. E invece, con la copertura di Borrelli – che pure, comunista non era – il Pci è stato completamente graziato. Il motivo? I comunisti (come s’è visto anche dalle ultime vicende) si erano infiltrati in modo talmente capillare, nella magistratura – istituzionalmente, oserei dire – per cui, tramite personaggi come D’Ambrosio e Caselli, il dialogo era continuo. Perdura anche oggi, questa coltre pseudo-comunista? Sembra evidente, se si pensa all’incrocio tra Palamara, Pd e Csm. Aveva ragione Berlusconi, quando parlava di toghe rosse? Non diceva una bugia. Ma siccome in Italia il più pulito ha la rogna, questa cosa Berlusconi la diceva mescolata a talmente tante bugie, da non essere credibile. Devi poterle dire, certe cose: Berlusconi invece è sempe sceso a patti, sottobanco, con tutti i poteri di cui aveva denunciato l’illegittimità. L’ha fatto per tutelare i suoi interessi, il suo patrimonio, e non c’è nemmeno riuscito fino in fondo – però ci ha provato, certo.Sbagliato considerare la corruzione una piaga italiana? Niente affatto: l’Italia ce l’ha nel Dna, la corruzione. Da noi, se hai bisogno di un certificato non vai al Comune: cerchi un amico, specialmente nel Meridione. E questo deriva da un’atavica assenza di senso dello Stato, e dall’assenza dello Stato stesso. Sicché, non funzionando le cose, le gente si arrangia. Se si arrangia un povero diavolo qualsiasi di un paesino del Sud, poi chi può ci piglia gusto, e magari cerca anche di farci dei soldi. La gente, insomma, si accorge che lo Stato non funziona. Quelli più semplici si limitano a fare in modo che funzioni per loro, ricorrendo a vie traverse. Poi ci sono quelli che dicono: ma visto che il sistema non funziona, perché non ci guadagno sopra? Bisogna ristabilire il senso dello Stato, e quindi innanzitutto la presenza dello Stato: a quel punto sarà facile distinguere gli onesti dai disonesti, mentre ora non lo è. E’ come il mondo degli evasori fiscali: ci sarà pure una percentuale di contribuenti che proprio non ce la fanno, a pagare quelle tasse, ma sono mescolati con delinquenti che le tasse non le pagano perché non le vogliono pagare. Come fai a distinguerli? Devi rendere diverso il sistema fiscale, se vuoi che la differenza risulti evidente. A quel punto diventa facile fare un’agevolazione solo per chi non ce la fa. Invece oggi le agevolazioni si chiamano condoni, e favoriscono pure gli evasori veri, quelli che i soldi per pagare le tasse li avevano, ma se li sono messi via.Ora siamo all’attesissima lapidazione giudiziaria di Salvini? Tanto per cominciare, nell’Eni – che è stata privatizzata – lo Stato ha ormai solo una “golden share”. Tecnicamente, l’Eni non è più una società pubblica. Quindi come si giustifica l’ipotetico reato di corruzione? Senza contare che, a quel tavolo, dell’Eni non c’era seduto nessuno. A Mosca non è stata nemmeno nominata, l’Eni. A quel tavolo semmai c’era qualcuno che rappresentava la Gazprom, che però è russa: quindi dove li stanno ravvisando, i reati? Certo, si sta gonfiando il caso lo stesso: perché l’Italia è fatta così. Ci sono una serie di giornali, di media, che sono sempre pronti a montare meccanismi mediatico-giudiziari. Lo specialista direi che è Marco Travaglio. Ma ci sono altri fior di specialisti, come Peter Gomez, che fanno un giornalismo molto simile alla macelleria. Sono macellai del giornalismo, e quindi vendono coratelle: smembrano manzi e vendono frattaglie, quinto quarto, mezzene. Questo modo di fare, che ha anche delle regie, comporta il fatto che, se una cosa si profila anche solo lontanamente utile per un piano che serva a incastrare qualcuno, il caso viene montato: sottacendo le cose che non fanno comodo e sottolineando gli aspetti che invece fanno comodo per quel progetto.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Carpeoro Racconta” dei 21 luglio 2019).Fu Christine Lagarde a organizzare la caduta di Dominique Strauss-Kahn, travolto dallo scandalo per uno stupro (mai avvenuto): Strauss-Kahn ha fatto la fine di ogni vero socialista, liquidato per via giudiziaria. La Lagarde voleva semplicemente prendergli il posto, alla guida del Fmi: spero che mi quereli, la signora, perché posso dimostrare quello che dico. Ora guiderà la Bce, con l’incarico di “normalizzare” ulteriormente l’Europa. Lavorerà in tandem con la tedesca Ursula von der Leyen, una nazistella che fino a ieri faceva la yes-girl della Merkel. E’ stata messa a capo della Commissione Europea con il contributo determinante dei grillini, che non sanno che sarà proprio lei a decretare la loro morte. E questo conferma che c’è qualcosa di strano, dietro alla gestione dei 5 Stelle, che ora contestano a Salvini il caso delle presunte promesse di finanziamento da Mosca. L’avevo anticipato settimane fa, che contro Salvini si sarebbe scatenata una grossa tempesta giudiziaria. Rinaldi e Borghi gridano al golpe, denunciando le manovre per un governo tecnico presieduto da Draghi, con Pd e 5 Stelle, e Conte commissario europeo? Avevo previsto in anticipo anche il piano per un governo Draghi – che ora va avanti, visto che Draghi ha rifiutato di prendere il posto della Lagarde al Fmi. L’innesco è sempre la magistratura, oggi per eliminare Savini? Giustizia a orologeria? Ne sapeva qualcosa Francesco Saverio Borrelli, appena scomparso.
-
Enrico Letta e l’agguato francese teso a Salvini in Russia
Più ci si addentra nell’affaire russo e più si capisce una cosa: c’è chi ha sperato e forse ancora si illude di far fuori Matteo Salvini con lo stesso metodo con cui è stato fatto fuori Heinz-Christian Strache, leader di “Freihitliche Partei Osterreichs”, l’austriaco Partito delle Libertà. Lo afferma Maurizio Belpietro su “La Verità”, evocando l’ombra di una vecchia conoscenza – Enrico Letta – come candidato in pectore per guidare un ipotetico “governo tecnico” post-salviniano. Per Strache, ricorda Belpietro, fu costruito un trappolone con promesse di soldi russi, proprio come si sarebbe voluto fare con Salvini. Invitato in una villa a Ibiza da misteriosi emissari di un oligarca presentato come “vicino a Putin”, Strache fu filmato mentre discuteva di petrolio e finanziamenti al suo partito. Il video a un certo punto comparve in Germania, sui siti di alcuni giornali, tra cui l’equivalente tedesco dell’“Espresso”, costringendo il vicecancelliere viennese alle immediate dimissioni. «Ecco, con Salvini lo schema doveva essere identico», scrive Belpietro: «Farlo partecipare a un incontro, per poi incastrarlo». Qualcosa però dev’essere andato storto, perché «all’Hotel Metropol, luogo di mille intrighi, invece del capitano leghista si è presentato solo Gianluca Savoini».Belpietro lo descrive come «un ex giornalista della “Padania” che da anni ruota intorno alla Lega attribuendosi un ruolo di consigliere». Savoni? «Un tipo in grigio, sempre pronto a partecipare, soprattutto quando si parla di Russia», paese di cui «si sente un grande esperto, per via di una moglie nata da quelle parti». Grande esperto? Lo smentisce Irina, l’interprete moscovita utilizzato dal “grande consulente”, il quale «non spiccica una parola di russo». In un’intervista al “Corriere della Sera”, per spiegare il personaggio Irina dice che un giorno Savoini le fece una scenata perché si era dimenticata di citarlo in un’intervista. Commento di Irina: se uno è davvero potente come vuole far credere, certo non se la prende se non è citato. «Qualcuno però deve aver creduto che Savoini fosse un personaggio chiave per incastrare Salvini, e così è scattata la trappola del Metropol», osserva Belpietro. «Una hall aperta al pubblico e alle orecchie indiscrete per concludere un affare riservato da 65 milioni. Tonnellate di petrolio, le prime delle quali avrebbero dovuto arrivare via mare già nel novembre scorso. Dove sono finite queste navi, che avrebbero dovuto rifornire l’Eni, nessuno lo sa. La società petrolifera smentisce di aver mai stretto accordi commerciali del genere; ma questo è solo un dettaglio, per il circo mediatico che punta alle dimissioni di Salvini per scardinare la Lega».Nessuno, poi, si interroga su chi abbia avuto interesse a registrare il colloquio e poi a renderlo pubblico. Nessuno si chiede se i giornalisti dell’“Espresso”, che per primi parlarono di questa storia, davvero ascoltarono dal tavolo di fianco la conversazione tra Savoini e i suoi misteriosi emissari. «Possibile captare un discorso in lingue diverse senza destare sospetti e riuscire a riportarlo senza errori? I colleghi del settimanale debenedettiano sono in grado di dimostrare di non essere stati loro a registrare il colloquio e di non essere stati loro a consegnarlo alla Procura? E in questo caso, se la registrazione non arriva da loro, che pure hanno dichiarato di essere stati presenti, chi altri ha realizzato l’audio per poi consegnarlo alla magistratura?». Ancora: «Come è poi possibile che la segretissima operazione che doveva pompare milioni nelle casse della Lega fosse nota ai giornalisti e anche ad altri che poi precostituirono una prova fonica delle registrazione? Le domande, per ora – conclude Belpietro – sono destinate a restare senza risposta, soprattutto fino a che non sarà chiaro come sia stata acquisita la registrazione da parte della Procura».Nel frattempo, s’è scoperto che uno dei partecipanti all’incontro è un avvocato massone, affiliato a una loggia francese. «E guarda caso i francesi sono anche i più acerrimi nemici di Salvini, perché sull’Europa, sull’Italia e sulla Libia, Emmanuel Macron ha progetti che non coincidono esattamente con quelli del capitano leghista», scrive il direttore de “La Verità”. «Far cadere il vicepremier, ossia l’unico uomo forte italiano rimasto su piazza, per l’Eliseo sarebbe un gran colpo». Belpietro intanto nota che per ora, proprio da Parigi, è tornato a farsi vivo «un desaparecido della politica, ossia quell’ Enrico Letta che, oltre a dirigere in Francia una scuola politica e ad aver conquistato una Legion d’onore transalpina, è anche una possibile risorsa da mettere a Palazzo Chigi in un eventuale governo tecnico dopo quello pentaleghista». In un’intervista a “Repubblica”, indovinate che cosa dice, Letta? «Ovvio, no? Chiede le dimissioni di Salvini. La trappola per l’Italia, insomma, è pronta».Più ci si addentra nell’affaire russo e più si capisce una cosa: c’è chi ha sperato e forse ancora si illude di far fuori Matteo Salvini con lo stesso metodo con cui è stato fatto fuori Heinz-Christian Strache, leader di “Freihitliche Partei Osterreichs”, l’austriaco Partito delle Libertà. Lo afferma Maurizio Belpietro su “La Verità”, evocando l’ombra di una vecchia conoscenza – Enrico Letta – come candidato in pectore per guidare un ipotetico “governo tecnico” post-salviniano. Per Strache, ricorda Belpietro, fu costruito un trappolone con promesse di soldi russi, proprio come si sarebbe voluto fare con Salvini. Invitato in una villa a Ibiza da misteriosi emissari di un oligarca presentato come “vicino a Putin”, Strache fu filmato mentre discuteva di petrolio e finanziamenti al suo partito. Il video a un certo punto comparve in Germania, sui siti di alcuni giornali, tra cui l’equivalente tedesco dell’“Espresso”, costringendo il vicecancelliere viennese alle immediate dimissioni. «Ecco, con Salvini lo schema doveva essere identico», scrive Belpietro: «Farlo partecipare a un incontro, per poi incastrarlo». Qualcosa però dev’essere andato storto, perché «all’Hotel Metropol, luogo di mille intrighi, invece del capitano leghista si è presentato solo Gianluca Savoini».
-
Magaldi: soldi alla Lega? Ma Putin tifa per quest’orrenda Ue
Ma ve lo vedete Vladimir Putin, cioè l’amicone segreto di Angela Merkel, finanziare sottobanco qualcuno che cerca di smontare quest’Europa – orrenda – messa in piedi proprio dalla cancelliera, con cui il presidente russo condivide l’esclusivo salotto massonico sovranazionale della superloggia Golden Eurasia, non certo progressista? E chi sarebbe, il terribile nemico dell’Unione Europea? Quello stesso Matteo Salvini rassegnato a rinunciare a Paolo Savona e poi a ingoiare il misero 2% di deficit concesso al governo gialloverde? Suvvia: si è rimbecillito, Putin, per promettere 65 milioni di dollari a un politico italiano irrilevante nel gioco europeo, che infatti ora assiste impotente all’ennesimo trionfo dell’asse franco-tedesco che impone ai massimi vertici due gran dame della massoneria reazionaria, Christine Lagarde alla Bce e Ursula Von der Leyen alla Commissione Europea? Se la ride, Gioele Magaldi, di fronte all’impazzimento mediatico tutto italico (e forse anche un po’ francese) per la non-notizia del fantomatico soccorso elettorale russo – in realtà mai avvenuto – che ha l’aria di essere più che altro «una polpetta avvelenata per l’Eni, che insieme all’Enel è rimasto l’unico avamposto nazionale a fare un po’ di politica estera per l’Italia, gestendo grandi interessi, vista la latitanza fantasmatica dei ministri succedutisi alla Farnesina, dove con Moavero Milanesi abbiamo toccato il fondo».