Archivio del Tag ‘finanza’
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Grecia, il Corriere: abbiamo nascosto la strage dei bambini
Scriveva Seneca che la verità, anche se sommersa, viene presto o tardi a galla. E così è stato anche in questo caso. Federico Fubini, vicedirettore del rotocalco turbomondialista “Corriere della Sera”, ha fatto candidamente questa incredibile confessione nel corso di un’intervista televisiva ai microfoni di “Tv2000” [minuto 17]: «In Grecia morti 700 neonati in più per la crisi. Ma ho nascosto la notizia». Fubini ha ammesso di aver censurato tale notizia per non incoraggiare gli euroscettici e i partiti sovranisti. Insomma, per garantire la tenuta dell’ordine eurocratico della Ue, innalzato panglossianamente dai padroni del discorso (sempre a completamento del rapporto di forza dominante) a meilleur des mondes possibles. «Faccio una confessione – ha placidamente asserito Fubini a “Tv2000”, riferendosi alla notizia – c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul Corriere della Sera». Se questo è giornalismo, verrebbe da dire chiosando Primo Levi. Ben 700 bambini morti grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progetto chiamato Unione Europea, con le “crisi” che essa fisiologicamente produce: e che, in realtà, sono il necessario portato delle politiche liberiste fondative della Ue, pensate ad hoc dai dominanti per massacrare le classi deboli.Le chiamano crisi: sono aggressioni con morti condotte dalla classe dominante capitalistica contro i dannati della cosmopolitizzazione europeista. L’ho detto e lo ridico: gli euroinomani di Bruxelles la chiamano gloriosamente Unione Europea, in verità è l’unione delle classi dominanti europee contro i popoli e le classi lavoratrici d’Europa. Questa è realmente la Ue, un immenso campo di concentramento finanziario. Fanno di tutto per nasconderlo e per glorificarlo. Ma la storia, che è storia della libertà, si ricorderà di loro. Si ricorderà di chi è stato connivente con questo genocidio finanziario, di chi ha taciuto e di chi l’ha nobilitato con parole roboanti (“integrazione”, “unione”, ecc.). L’Unione Europea è l’apice di un capitalismo che si è liberato dalla presa della sovranità nazionale e, dunque, della politica e, di conseguenza, da ogni possibile controllo democratico del popolo. La democrazia è sovranità popolare “nello” Stato. Ma perché vi sia sovranità “nello” Stato, occorre che vi sia anche sovranità “dello” Stato: ossia che lo Stato sia sovrano nelle sue scelte di politica economica e monetaria. La Ue ha rimosso la sovranità “dello” Stato e, per questa via, anche quella “nello” Stato, ossia la sovranità democratica popolare.In apparenza, l’obiettivo era evitare guerre tra Stati nazionali. In realtà, era distruggere le democrazie. Tant’è che la democrazia oggi è assente (il Parlamento della Ue ha un ruolo coreografico): e in compenso prosperano le guerre economiche tra Stati debitori (Grecia) e Stati creditori (Germania). Con tanto di cadaveri, prodotti senza nemmeno usare i cannoni e le bombe: solo con le subdole leve del debito e del credito, dello spread e dell’austerità depressiva decisa nei caveau delle banche da tecnocrati in doppiopetto e sorriso burocratizzato. Conseguenza di tutto ciò? Sovrano è oggi il mercato senza politica, con dominio assoluto dei tecnici e dei finanzieri cinici e apolidi. Che decidono spietatamente della vita dei popoli, ad essa anteponendo il “pareggio di bilancio” e i “conti in ordine”. Anche se ciò comporta la nuova strage erodiana dei 700 bambini ellenici! Prodigio della ragion liberista! I padroni del discorso, si sa, usano la condanna dei totalitarismi passati come risorsa ideologica per far sì che i sudditi amino il nuovo totalitarismo glamour del libero mercato. Oggi più che mai valgono le parole scritte da Adorno in “Prismi”: «Il mondo nuovo è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso non essendoci nulla da contrapporgli».(Diego Fusaro, “Fubini confessa di aver nascosto la notizia dei bimbi morti in Grecia. La verità viene a galla!”, dal “Fatto Quotidiano” del 3 maggio 2019).Scriveva Seneca che la verità, anche se sommersa, viene presto o tardi a galla. E così è stato anche in questo caso. Federico Fubini, vicedirettore del rotocalco turbomondialista “Corriere della Sera”, ha fatto candidamente questa incredibile confessione nel corso di un’intervista televisiva ai microfoni di “Tv2000” [minuto 17]: «In Grecia morti 700 neonati in più per la crisi. Ma ho nascosto la notizia». Fubini ha ammesso di aver censurato tale notizia per non incoraggiare gli euroscettici e i partiti sovranisti. Insomma, per garantire la tenuta dell’ordine eurocratico della Ue, innalzato panglossianamente dai padroni del discorso (sempre a completamento del rapporto di forza dominante) a meilleur des mondes possibles. «Faccio una confessione – ha placidamente asserito Fubini a “Tv2000”, riferendosi alla notizia – c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul “Corriere della Sera”». Se questo è giornalismo, verrebbe da dire chiosando Primo Levi. Ben 700 bambini morti grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progetto chiamato Unione Europea, con le “crisi” che essa fisiologicamente produce: e che, in realtà, sono il necessario portato delle politiche liberiste fondative della Ue, pensate ad hoc dai dominanti per massacrare le classi deboli.
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Quale 25 Aprile e quale Liberazione, nella Colonia Italia?
Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.Insomma, discorsi da Balcone, dalla cui pomposa prosopopea cerimoniale, nel caso specifico del tutto abusiva, immancabilmente esalano i vapori dell’ipocrisia e dell’autorità fondata su chiacchiere e distintivo. E a volte, su felpe e giubbotti, abusivi pure questi. Tutte cose che con i fasti evocati da lontano, sempre senza averne i titoli, abusivamente, hanno il compito di coprire i nefasti del presente e dei presenti. Non ho partecipato ad alcuna celebrazione, ufficiale o ufficiosa, trovandole tutte spurie e inquinate. Dal Quirinale a un’Anpi che condivide con tutte le sinistre la perdita di sé e che si mette ad arzigogolare sull’equivalenza tra nazifascismo e quello che i superrazzisti dell’Impero e delle sue marche definiscono razzismo. Mistificando per tale quello di chi smaschera l’operazione colonialista, detta globalizzazione, ai danni dei dominati del Sud e del Nord. Gli sciagurati sovranisti, identitari, refrattari alla levigatezza dell’uniformato. Seppure lo definiscano tale, non ne fa sicuramente parte Matteo Salvini, sovranista farlocco e sfascia-Italia del “prima gli italiani”, purchè si tratti di trafficoni eolici, trivellatori di terre e mari, sfondatori di valli e montagne, magna magna di ogni genere, cravattai lombardoveneti, insomma tutti i missi dominici dell’Impero.Genìa che è stata decisiva perché i risultati del 25 aprile fossero consegnati nelle mani e nelle borse dei nuovi invasori. Genìa maledetta. E’ stato lo spirito dei tempi coronati dal 25 aprile e subito successivi che ha innalzato l’Italia – dal fascismo squadrista frantumata in giovani obnubilati, popolo plebeizzato e impecoranato, federali in stivali e loro mignotte, intellettualità sedotta, asservita e abbandonata, brutalità ed elementarietà di azione e pensiero (salvo grandi architetti) – ai livelli di un passato come quello dei Leopardi e dei moti ottocenteschi. Che ha prodotto i Fenoglio, Calvino, Pavese, i De Sica, Rossellini, Monicelli, giganti che hanno nanificato, moralmente e culturalmente, tutto quello che è venuto dopo e che formicola a petto in fuori nei Premi Strega e Bancarella. Si può dire, e spiacerà ai nonviolenti, di vocazione o altro, che quello Zeitgeist, così generoso, è uscito dalla canna di un fucile.Da ex-direttore responsabile e inviato di guerra del quotidiano “Lotta Continua” e militante (a lungo latitante) di quell’organizzazione, che contro il fascismo aggiornato del consociativismo di regime, con il suo terrorismo di Stato, pure qualcosa ha fatto, mi permetto, nel mio piccolo e intimo, di ringraziare i partigiani tutti. Formazione di popolo. Più di tutti quelli garibaldini, e rigettare nel buco nero dell’esecrazione gli Alleati, che ai primi hanno sottratto e pervertito la vittoria, poi procedendo a sottrarre e pervertire ciò che di ogni vivente fa quello che è: la sovranità sua, della sua comunità, del suo passato, presente, futuro, nome. Di questo gli antifascisti da terrazzo, antisovranisti del re di Prussia, non sanno e non dicono, bisognosi come sono dei cartonati in camicia nera e saluto romano per occultare il fascismo global-digital-finanziario che li ha reclutati e di cui si sono inoculato il virus. Il che non mi impedisce, sia detto per inciso, di trasecolare a fronte di chi insiste a definire Piazzale Loreto “giustizia di popolo”.Stessa matrice. Oggi si vedono sul palcoscenico della commedia nazionale e occidentale, in grande spolvero, nuovi “antifascisti”. Ce ne sono addirittura di patrocinati da George Soros, che non si fa scrupoli di affiancarli all’altra sua creatura: “Me too”. Come sempre quando il pifferaio riesce a riunire e riconciliare in un’unica truppa ratti e bambini ignari, li si trovano, schiamazzoni e autocertificati, dall’estrema sinistra a quella vera destra che si dice vuoi centrosinistra, vuoi centrodestra. Virgulti, balilla e giovani italiane del Nuovo Ordine Mondiale, puntano quello che in artiglieria viene chiamato “falso scopo” (e il puntamento indiretto verso un obiettivo non individuabile a vista). In parole semplici, additando un chihuahua ringhiante nei bassifondi ideologici urbani, si urla “al lupo, al lupo”, con l’effetto di distogliere la nostra mira dal lupo mannaro vero che tiene al guinzaglio chi urla. (Chiedendo scusa al lupo per la becera metafora fiabesca. E ricordando che il ministro dell’ambiente 5 Stelle, Costa, proibisce di abbattere i lupi, mentre Salvini, forte di mitraglietta, ne autorizza l’abbattimento: fatto che contiene in nuce tutto il significato delle temperie in cui il post-25 aprile, tradito come nemmeno il presunto Giuda il presunto Gesù, ci ha ingabbiato e nelle quali, o i 5 Stelle staccano la spina, o rischiamo il corto circuito e il black out loro e di tutti noi).Il discorso della Liberazione va ripreso ab imis fundamentis. E’ per questo che ho spostato le mie commemorazioni-celebrazioni a due giorni dopo, il 27 maggio del 1937. E il giorno tristissimo della morte di Antonio Gramsci (io c’ero già e ricordo una serie di quaderni di mio padre con sopra, imparai dopo, le immagini, tra altre, di Marinetti, D’Annunzio, Gozzano, Leopardi e Gramsci). Non significa niente, ma sono contento di esserci già stato quando ancora viveva Gramsci. E’ insensato, ma mi pare che così sono in qualche modo contemporaneo e, quindi, più partecipe di quel “popolo” a cui questo sardo degno della sua terra ha ridato un nome, un’identità, un progetto, nel tempo che più lo ha visto conculcato, mistificato, sviato da una storia che era iniziata con Dante, che aveva serpeggiato per secoli e che si era rifatta prorompente con la Repubblica Romana e le altre affini, incancellabili madri dei nostri partigiani. Come Anita Garibaldi, che, sul colle Gianicolo, sparava ai francesi rinnegati, lo è specificamente delle nostre partigiane. E come lo era anche delle brigate femminili alla Comune di Parigi (dove c’erano pure i dai neoborbonici esecrati garibaldini!). Che nessun movimento o gruppo femminista ricorda e onora, preferendo icone tipo Hillary o Boldrini.(Fulvio Grimaldi, “Quale 25 aprile. Quale 27 aprile. Quale liberazione”, dal blog di Grimaldi del 26 aprile 2019).Ho superato il 25 aprile uscendo dalla culla di questo eterno presente, dalla quale, a noi pupetti, i pupari non fanno né vedere passato, né prospettare futuro. Eterna sospensione tra l’unico pensiero possibile, quello attuale, e l’unica tecnologia disponibile, quella digitale. Ho afferrato una radice e mi sono ritrovato sotto il monumento sul Gianicolo alle vittorie di Garibaldi sui francesi e alla memoria della Repubblica Romana (1848), poi annegata nel sangue dei patrioti e del popolo romano dalle monarchie francese, borbonica, austroungarica che Pio IX aveva invocato dal suo esilio a Gaeta (i bersaglieri gli avrebbero reso la pariglia a Porta Pia, vent’anni dopo). Priorità assoluta delle potenze, non diversamente da oggi, stracciare una Costituzione che a quella di esattamente cent’anni dopo poco aveva da invidiare e, dato l’ambiente europeo e la sua affermazione di sovranità, era perciò anche più meritevole. Un monumento che mi proteggeva dallo scroscio di toni enfatici e parole declamatorie grandinate dal Quirinale e rimbombate nella camera dell’eco che è la stampa italiana. Toni e parole all’apparenza del tutto rituali, generiche e banali, altisonanti, proprio come si retoricheggiava ai tempi di Lui, prendendo fiato a ogni periodo, passando dal grave all’imperativo nobile e finendo sull’intimidatorio per chi non dovesse darsela per intesa.
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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.
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La droga gestita della Cia, uno strumento di politica globale
Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi.La droga figurava come il business più remunerativo tra quelli più noti. La natura criminale del business dettava quindi le regole del gioco. Mentre alcuni dei guadagni erano effettivamente utilizzati a supporto di operazioni sotto copertura, altri erano deviati verso l’arricchimento personale di agenti e dirigenti dell’agenzia, oppure rimanevano nelle mani di gruppi finanziari con potere di lobby nell’amministrazione statunitense. Di conseguenza, la complicità nel business della droga iniziò a diffondersi verso il livello più alto dell’establishment nordamericano… Il primo caso rappresentante le connessioni tra la Cia e il business della droga risalgono al 1947, anno in cui Washington, preoccupata dell’ascesa del movimento comunista nella Francia post-bellica, si associò con la nota e spietata mafia corsa nella lotta contro la sinistra. Dal momento che il denaro non poteva essere riversato nella sgradevole alleanza attraverso canali ufficiali, una grossa fabbrica di eroina venne istituita a Marsiglia con l’assistenza della Cia, che alimentava l’affare. L’iniziativa imprenditoriale impiegava abitanti del posto, mentre la Cia organizzava il ciclo degli approvvigionamenti, ed il terrore fisico e psicologico contro i comunisti in Francia alfine impedì loro di raggiungere il potere.Successivamente lo schema adottato è stato replicato nel mondo. All’inizio degli anni ’50 la Cia dirigeva un network di fabbriche di eroina nel Sud Est Asiatico e con parte dei guadagni sosteneva Chiang Kai-shek, che combatteva contro la Cina comunista. La Cia iniziò quindi a patrocinare il regime militare in Laos, rafforzando i propri legami nella regione del Triangolo d’Oro comprendente Laos, Thailandia e Birmania, paesi che hanno contribuito per il 70% della fornitura globale di oppio. La maggior parte della merce era diretta a Marsiglia e in Sicilia per il trattamento effettuato dalle fabbriche gestite dalla mafia corsa e siciliana. In Sicilia, l’associazione criminale che gestiva diverse fabbriche di droga era stata fondata da Lucky Luciano, un gangster americano nato in Italia e rideportatovi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le informazioni non classificate non lasciano alcun dubbio circa il lavoro che Luciano svolgeva per l’intelligence americana. L’uomo è stato, senza grosse motivazioni, rilasciato dalla prigione americana nel 1946 prima di aver scontato la sua condanna; l’associazione criminale italiana che operava sotto il controllo statunitense condivideva i guadagni con i patroni americani, i quali utilizzavano il denaro per portare avanti una guerra segreta contro il partito comunista italiano.La Cia continuò a prelevare denaro dal Triangolo d’Oro durante la Guerra del Vietnam. La droga proveniente da questa regione veniva trafficata illegalmente negli Stati Uniti e distribuita a basi militari americane all’estero. Ne deriva che molti dei veterani della Guerra del Vietnam sono rimasti segnati non solo dalla guerra, ma anche dall’uso di narcotici. Le attività legate al traffico della droga portate avanti dalla Cia dovevano rimanere segrete, ma evitare di venire a conoscenza di azioni così gravi era difficile. Uno scandalo enorme scoppiò infatti negli anni ’80 coinvolgendo la banca Nugan Hand di Sydney, con filiali registrate alle isole Cayman, e il precedente direttore della Cia William Colby avente funzione di consigliere legale. La Cia ha utilizzato la suddetta banca per operazioni di riciclaggio di denaro sporco nella gestione dei proventi derivanti dal traffico di droga e armi in Indocina. La geografia dei traffici di droga appoggiati dalla Cia si ampliò costantemente. Negli anni ’80, lo scambio “armi per droga” è stato replicato per finanziare i Contras del Nicaragua; ma dopo essere stato scoperto, il Comitato delle relazioni estere del Senato americano ha dovuto aprire un’inchiesta. Una frase del rapporto del Senato sul famoso accadimento affermava: «I decisori statunitensi non erano immuni all’idea che i soldi della droga fossero una soluzione ideale al problema del finanziamento del Contras».Questa dichiarazione, in linea generale, potrebbe dimostrare che le attività della Cia erano strettamente collegate alla politica estera americana. Il business della Cia nel narcotraffico si è diffuso senza precedenti quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica entrarono indirettamente in conflitto in Afghanistan. La comunità dell’intelligence americana finanziò generosamente i Mujahiddin, in parte con i soldi derivanti dal narcotraffico. Gli aerei statunitensi che consegnavano armi alla nazione rientravano carichi di eroina. Secondo giudizi indipendenti, all’epoca, circa il 50% del consumo di eroina negli Stati Uniti proveniva dall’Afghanistan. “La mafia, la Cia e George Bush” di Pete Brewton (New York: S.P.I. Books, 1992) offre una serie di dati concreti che provano i legami esistenti tra il direttore della Cia e il presidente americano Bush e la mafia. Lo stesso presidente, in certe fasi della sua carriera, combinò la propria funzione pubblica con la politica e il business della droga. L’establishment americano ha concluso che la droga, oltre ad essere stata impiegata per circostanze politiche, potrebbe tornare utile nel raggiungimento di obiettivi geopolitici di lungo termine.Quando Paul Brenner divenne capo di Baghdad con un’autorità che nemmeno Saddam Hussein si sognava, non fece alcun tentativo per innalzare una barriera contro l’ondata del narcotraffico che travolse l’Iraq. Inoltre è importate notare che il business della droga, durante il governo di Saddam, era un problema inesistente nel paese. «Questa è la panacea di ogni rivolta. Drogateli, rendeteli dipendenti come pesci affamati. In seguito, dopo aver preso il controllo della loro radio e televisione, storditeli con la propaganda». Baghdad, la città che non aveva mai visto l’eroina fino a marzo del 2003, ora è sommersa di stupefacenti, inclusa l’eroina. Secondo un rapporto pubblicato dal giornale “The Indipendent” di Londra, i cittadini di Baghdad si lamentavano che la droga, come l’eroina e la cocaina, erano smerciate per le strade delle metropoli irachene. «Alcune relazioni suggeriscono che il traffico di droga e armi era sostenuto dalla Cia, al fine di finanziare le sue operazioni segrete internazionali», scrive Brenda Stardom. Nel suo rapporto, un abitante di Baghdad spiegava: «Saresti stato impiccato, per il traffico di droga. Ma ora si può ottenere eroina, cocaina, qualsiasi cosa». I civili tossicodipendenti non hanno nessuna volontà di resistere, mentre la trionfante Washington, che ottenne le risorse del paese, è incurante del fatto che questa gente è condannata all’estinzione.L’operazione anti-terroristica lanciata immediatamente dopo il dramma dell’11 Settembre è giunta a conclusione in Afghanistan 11 anni dopo. Washington tratta la questione come un successo, ma evitare l’opinione pubblica genera gravi effetti collaterali. L’Afghanistan è stato abbandonato in uno stato di distruzione, con interi villaggi annientati, migliaia di persone decedute, prigionieri, campi di concentramento e rifugiati in tutto il paese. Sconfiggere il business della droga era l’obiettivo più pubblicizzato dell’intera “guerra al terrore” americana, ma il risultato e gli obiettivi della campagna erano completamente diversi. Nelle mani della coalizione occidentale, l’Afghanistan si è trasformato nel principale produttore mondiale di droga. Gli Usa e il business della droga si sono intrecciati sin dalla fine del secondo conflitto mondiale. Per Washington, la droga è stata a lungo un elemento strutturale della politica estera, oltre all’enorme mercato nero mondiale che alimenta l’economia “legittima” dell’Occidente… Un dollaro destinato al commercio della droga rende fino a 12.000 dollari, nella migliore delle ipotesi. Il costo dell’eroina afghana aumenta nettamente man mano che ci si sposta a nord del paese – in Pakistan ammonta a circa 650 dollari al chilo, 1.200 in Kyrgyzstan, raggiungendo i 70 dollari al grammo nella città di Mosca. Un chilo di eroina equivale a 200.000 dosi, e una dipendenza disperata inizia dopo 3 o 4 dosi.Il capitale “legittimo” sarebbe temporaneamente insostenibile senza il trascinante mercato nero globale. Entrambi i componenti dell’economia mondiale sono incentrati sugli Stati Uniti. Washington è consapevole che la produzione di droga può essere messa in atto solo dopo aver soddisfatto il requisito principale, cioè che gli utili finali non creino un effetto a cascata sul produttore. Diversamente, il mercato nero si sgretolerebbe all’istante. La mafia che gestisce il traffico di droga “in linea” riesce ad ottenere il 90% dei ricavi dall’eroina. Accanto ad altri soggetti coinvolti nel traffico, coloro che lavorano la materia prima ricevono il 2% del guadagno, gli agricoltori di papavero il 6% e i commercianti di oppio il 2%. La produttività del mercato nero utilizza anche aree coltivate a prezzi marginali. Promuovere un conflitto armato nella zona agricola è il modo più semplice per attenuare i costi richiesti dagli agricoltori, considerando che le armi sono la merce con più alto valore equivalente. La formula è che più sanguinoso è il conflitto e più alti sono i ricavi dalle vendite di armi e droga. L’instabilità, associata al controllo del disordine, rappresenta il motore del mercato nero. I due fattori armonizzano la domanda e l’offerta, tuttavia per assottigliare i costi e non avere difficoltà occorre diffondere aspirazioni separatiste. Il comandante della situazione dovrebbe impegnarsi con gruppi etnici, clan o fazioni religiose piuttosto che con enti statali.L’Afghanistan ha distribuito un totale di circa 50 tonnellate di oppio durante la metà degli anni ’80, ma la cifra è balzata a 600 tonnellate entro il 1990, un anno dopo il ritiro dei sovietici. Dopo aver sequestrato il 90% del territorio afgano e preso controllo della coltivazione di papavero locale, i Talebani si sono scrollati di dosso la presa della Cia e del Dipartimento di Stato americano, causando la perdita della quota statunitense dei circa 130 miliardi di dollari di profitto che la mafia poteva ottenere se le forniture venivano incanalate con successo in Asia centrale. Riprendere il controllo della produzione di eroina dal potere dei Talebani era l’obiettivo fondamentale dietro la campagna statunitense in Afghanistan. Al momento la missione è compiuta, gran parte dell’eroina viene acquistata e trasmessa dalla Cia e dal Pentagono ad altri paesi. Dopo aver costruito le basi militari in Kyrgyzstan, Uzbekistan e Tagikistan e insediato il governo di Hamid Karzai, Washington ha aperto nuove rotte di approvvigionamento, eliminando i concorrenti e facendo sì che la capacità degli stabilimenti di trasformazione dell’oppio in eroina non siano mai privi di lavoro. Al momento, l’Afghanistan rappresenta il 75% del mercato globale di eroina, l’80% del mercato europeo e il 35% del mercato statunitense. Circa il 65% del rifornimento di droga dell’Afghanistan attraversa l’Asia centrale post-sovietica, e anche se questa disposizione sarà leggermente modificata, il traffico persisterà anche dopo il ritiro della coalizione occidentale dall’Afghanistan.L’alleanza criminale tra la Cia e i Talebani è un fatto noto e non svanirà. Attualmente, i gruppi criminali albanesi del Kosovo possiedono un ruolo di primo piano nel commercio internazionale della droga. L’indipendenza del Kosovo dalla Serbia ha permesso agli Stati Uniti di pianificare un nuovo punto di appoggio per il business della droga, con particolare riguardo all’Europa. Oltre un milione di albanesi risiedono in Europa occidentale e la maggior parte di loro sopravvive grazie a diversi affari illegali, soprattutto quello della droga. Senza dubbio, gli Stati Uniti hanno deliberatamente presentato all’Europa un problema che d’ora in poi aumenterà. Secondo l’agenzia anti-narcotici russa, circa 100.000 persone in tutto il mondo – più di quante uccise dall’esplosione nucleare che distrusse Hiroshima – muoiono ogni anno a causa degli stupefacenti provenienti dall’Afghanistan. In questo contesto, in Russia, il bilancio è di circa 30.000 vittime. L’agenzia russa sul controllo della droga afferma che la produttività è raddoppiata negli ultimi dieci anni e ad oggi il 90% delle dosi di droga consumate globalmente – un totale di 7 miliardi – rappresentano eroina. La tossicodipendenza sta invadendo l’odierna Russia e nel mix con l’abuso di alcool sta mettendo in pericolo l’esistenza stessa della nazione.La Russia è molto attiva nell’incoraggiare la lotta internazionale contro la droga – il ministro degli esteri Sergej Lavrov, per esempio, ha ricordato al forum anti-droga 2010 che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite osserva il problema della droga come una minaccia alla pace e alla sicurezza globale. Il suo punto di vista era che il mandato della coalizione in Afghanistan dovrebbe essere aggiornato per includere delle misure ben più robuste, incluso lo sradicamento dei campi di oppio e lo smantellamento delle fabbriche di droga. I passi per contrastare la produzione di stupefacenti in Afghanistan dovrebbero essere altrettanto decisi di quelli scattati in America Latina contro il traffico di cocaina, afferma Lavrov, sottolineando anche che un coordinamento in tempo reale tra la Russia e la Nato, lungo il confine con l’Afghanistan, potrebbe essere di grande aiuto. Mosca ha mandato per anni segnali in merito, ma l’atteggiamento della Nato sembra essere impassibile. Il capo dell’agenzia russa del controllo della droga Viktor Ivanov ha affermato nel 2010 che la Russia ha fornito delle informazioni riservate agli Stati Uniti e all’amministrazione afghana riguardo 175 stabilimenti di droga in Afghanistan, eppure nessuno di questi è stato smantellato. I fondi continuano quindi ad accumularsi sui conti bancari di coloro che gestiscono questi traffici ed è chiaro che questa condizione richiede un fronte anti-narcotico molto più ampio. Mosca perderà solo tempo e vedrà sempre più russi morire se attende una mossa dell’Occidente per sottoscrivere tali iniziative. È giunto il momento di adottare misure drastiche contro coloro che diffondono la morte confezionata in dosi.(“La droga, uno strumento di politica globale”, da “La Crepa nel Muro” del 9 aprile 2019).Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le élite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale. Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la Cia, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la Cia chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi.
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Notre-Dame è l’11 Settembre europeo. Magaldi: farò i nomi
«Ringrazio il “fratello” Ken Follett per aver alzato un’eccellente palla, che non mancherò di schiacciare». Così Gioele Magaldi commenta le clamorose dichiarazioni dell’autore de “I pilastri della Terra”, che alla televisione inglese – ospite del programma “Good Morning Britain” – ha lanciato il pesante sospetto che il rogo di Notre-Dame sia stato di origine dolosa. «Qui sta succedendo qualcosa d’altro», ha detto Follett, mentre l’incendio era ancora in corso. «Sono inorridito», ha aggiunto, di fronte allo spettacolo della guglia gotica avvolta dalle fiamme: «È come se qualcuno fosse morto». Chiaro il riferimento simbolico al rogo del 18 marzo 1314, a Parigi, in cui fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Templari. «Forse il grosso pubblico non sa che Notre-Dame è un simbolo per la massoneria, per il cristianesimo e anche per il neo-templarismo cristiano», afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista internazionale, di cui – spiega – fa parte lo stesso Ken Follett. «Tanti neo-templari sono indignati, per quello che si ritiene un clamoroso atto, spregevole e cinico, rispetto a questo luogo così importante per la sensibilità spirituale di molti».Magaldi annuncia rivelazioni esplosive: si prepara a fare nomi e cognomi di quelli che, a suo parere, sono gli ispiratori della distruzione della cattedrale parigina: «Una vicenda davvero vergognosa, che potremmo definire l’11 Settembre franco-europeo». Naturalmente – aggiunge Magaldi, in web-streaming su YouTube il 22 aprile con Fabio Frabetti di “Border Nights” – «oggi, un 11 Settembre non poteva più presentarsi con le caratteristiche dell’11 Settembre newyorchese del 2001, né con le caratteristiche degli attentati (che obbediscono alla stessa logica) avvenuti sempre a Parigi, uno dei quali a pochi passi dall’allora presidente François Hollande». Oggi, sempre secondo Magaldi, «mostrare ulteriormente la vulnerabilità degli apparati di sicurezza e di intelligence francesi sarebbe stato un boomerang». Ma non è detto che questa storia di Notre-Dame «non si trasformi in un autogoal per i suoi ideatori». Per Magaldi, il rogo della cattedrale parigina «è una strana vicenda, che avviene con una stranissima coincidenza: era in corso in Libia l’attacco di forze notoriamente supportate da ambienti che fanno capo al governo francese, e c’è senz’altro anche un collegamento di senso tra quello che è accaduto nello Sri Lanka: non per caso vengono colpiti alcuni tipi di strutture».In Italia, il primo a mettere in relazione il rogo di Notre-Dame con i Templari è stato l’avvocato Paolo Franceschetti, autore di indagini importanti sui misteri italiani e sui delitti rituali contornati da simbologie massoniche. «Notre-Dame – ha spiegato, sempre a “Border Nights” – è il più importante santuario del templarismo, dedicato al divino femminile». Nella sua ricostruzione, Franceschetti sottolinea la vocazione anche inevitabilmente politica del templarismo: i cavalieri del Tempio erano il cuore di un network internazionale che voleva unire i popoli europei, abbattendo le frontiere. Dare fuoco oggi a Notre-Dame, richiamando il tragico rogo di Jacques de Molay, equivale a una dichiarazione di guerra contro chi sognò gli Stati Uniti d’Europa? Spiegazioni che probabilmente non tarderanno ad arrivare da Gioele Magaldi, che è l’autore del bestseller “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014: il saggio svela il ruolo occulto, nella gestione del potere mondiale, di 36 superlogge sovranazionali, alcune delle quali – di segno neoaristocratico e reazionario – avrebbero orchestrato la strategia della tensione condotta a livello mondiale a partire proprio dall’attentato alle Torri Gemelle.Dopo New York, Parigi? In Europa, sostiene Magaldi, «i governi sono subordinati a gruppi di potere privati, oligarchici, che utilizzano i loro frontman, nelle cancellerie e nelle presidenze, per seguire delle politiche che non rappresentano nemmeno i rispettivi interessi nazionali». In altre parole «c’è una regia sovranazionale che sfrutta i governi nazionali per perseguire fini inconfessabili e opachi». Una logica alla quale non sfugge l’Eliseo: Magaldi definisce “massone reazionario” lo stesso Emmanuel Macron, già dirigente finanziario dei Rothschild. Un finto progressista, in realtà “cavallo di Troia” della peggiore oligarchia post-democratica: ormai la pensano così anche i francesi, come dimostra la rivolta dei Gilet Gialli contro le misure di austerity. Ma perché bruciare la cattedrale “templare”? «All’amministrazione Macron e ai suoi danti causa (apolidi e sovranazionali, oltre che francesi) serviva come il pane un evento come quello accaduto a Notre-Dame», afferma Magaldi. Che annuncia: «Nelle prossime ore chiarirò per bene – con nomi, cognomi e circostanze – quello che so o credo di sapere, sulla base di fonti precise e autorevoli».«Ringrazio il “fratello” Ken Follett per aver alzato un’eccellente palla, che non mancherò di schiacciare». Così Gioele Magaldi commenta le clamorose dichiarazioni dell’autore de “I pilastri della Terra”, che alla televisione inglese – ospite del programma “Good Morning Britain” – ha lanciato il pesante sospetto che il rogo di Notre-Dame sia stato di origine dolosa. «Qui sta succedendo qualcosa d’altro», ha detto Follett, mentre l’incendio era ancora in corso. «Sono inorridito», ha aggiunto, di fronte allo spettacolo della guglia gotica avvolta dalle fiamme: «È come se qualcuno fosse morto». Chiaro il riferimento simbolico al rogo del 18 marzo 1314, a Parigi, in cui fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Templari. «Forse il grosso pubblico non sa che Notre-Dame è un simbolo per la massoneria, per il cristianesimo e anche per il neo-templarismo cristiano», afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista internazionale, di cui – spiega – fa parte lo stesso Ken Follett. «Tanti neo-templari sono indignati, per quello che si ritiene un clamoroso atto, spregevole e cinico, rispetto a questo luogo così importante per la sensibilità spirituale di molti».
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Notte della sinistra? Troppo americana la verità di Rampini
Da troppo tempo il capitale mondiale si è affidato ai servigi d’una sinistra che, ripudiato il classico ruolo di tutela degli interessi delle classi subalterne, si è schierata dalla parte dei potenti. Ora è il momento di sbarazzarsi di questi servi sciocchi che, per voler strafare, si sono sputtanati al punto da non poter più garantire legittimità al regime neoliberista. Allertate dal dilagare del populismo («uno spettro che si aggira per l’Europa» lo ha definito il “New York Times”, parafrasando un detto di Marx) le élite dominanti sguinzagliano i migliori cervelli per escogitare alternative. Costoro suggeriscono due possibili soluzioni: da un lato, la cooptazione dei populismi di destra per investirli del ruolo di garanti della continuità del sistema, dall’altro, la ricostruzione di una sinistra social-liberale capace di riottenere il consenso popolare. L’ultimo libro di Federico Rampini, noto corrispondente di “Repubblica” da New York (“La notte della sinistra”, Mondadori), inscrive l’autore fra i promotori della seconda soluzione.Il libro contiene una serie di feroci critiche nei confronti delle sinistre “fighette”, tali da far impallidire quelle che il sottoscritto ha rivolto contro lo stesso bersaglio (Vedi “Il socialismo è morto. Viva il socialismo”, Meltemi): la sinistra che ha abbandonato al loro destino i deboli, si salva l’anima impegnandosi a proteggere gli ultimi solo se e quando sono immigrati stranieri (regalando alle destre la rappresentanza della rabbia degli autoctoni poveri); la sinistra “cosmopolita” esalta l’apertura dei mercati finanziari, rinunciando a proteggere l’economia nazionale dalla colonizzazione straniera (spalancando ponti d’oro alla propaganda “sovranista”); la sinistra “politicamente corretta”, relegati in soffitta Gramsci e Pasolini, elegge a propri eroi intellettuali star hollywoodiane e boss della canzone e dello spettacolo, gente che esibisce sgargianti divise femministe e antirazziste confezionate dai loro consulenti di marketing; la sinistra “ecologista”, che viaggia su auto elettriche da centomila euro, pretende che gli sfigati che circolano su sgangherate utilitarie finanzino le politiche ambientaliste pagando tasse sul carburante “sporco” (innescando la rabbia dei gilet gialli contro Parigi).Rampini è passato dalla parte del popolo e chiama alla rivoluzione? Non proprio, come vedremo. La sua indignazione nei confronti del “buonismo” dei militanti no border, per esempio, è compatibile con un atteggiamento apologetico nei confronti di vecchi e nuovi colonialismi. La sinistra recita il mea culpa per i crimini occidentali che provocano la miseria degli altri popoli, costringendoli a migrare? Così rimuove colpe e responsabilità delle presunte “vittime”, sentenzia Rampini, che poi aggiunge: bene e male sono equamente distribuiti e noi non siamo l’ombelico del mondo. Curiosa critica dell’eurocentrismo, visto che non contesta la missione “civilizzatrice” dell’Occidente, purché affidata al comando imperiale americano, orientato – beninteso – in senso progressista, “di sinistra”. La polemica di Rampini contro le sinistre radical chic, si accompagna infatti al sogno di rilanciare la vecchia, cara sinistra del trentennio glorioso, quella sinistra keynesiana/kennediana che gestiva il compromesso fra capitale e lavoro, assicurava welfare, occupazione e salari decenti e cooptava le classi subalterne nella lotta contro la minaccia sovietica.Nostalgia delle sinistre socialdemocratiche al tempo della guerra fredda, che mai si sarebbero sognate di mettere in discussione l’egemonia americana, né avrebbero imboccato la via dell’austerità, suscitando la reazione populista. Nostalgia di politiche che solo la guerra fredda, evocando lo spettro di un’alternativa globale al sistema capitalista, aveva reso possibili. Ecco perché Rampini fa di tutto per resuscitare quello spettro, coltivando un’ideologia che potremmo definire “anticomunismo senza comunisti”. Così la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping vengono arruolati per evocare l’immagine di un nuovo “Impero del male”, sorvolando sul fatto che a giocare il ruolo di aggressore e provocatore, in questa nuova sfida planetaria, sono gli Stati Uniti assai più di questi paesi. Così il tentato golpe contro Maduro, ispirato da Washington e affidato a una figura priva di ogni legittimazione democratica, viene presentato come un intervento “umanitario” per restaurare la democrazia, e non come l’ennesima interferenza in un Paese latinoamericano per mantenere il controllo sul “cortile di casa” senza sottilizzare sui mezzi (do you remember Allende?). Così Snowden e Assange, da eroi della lotta per la trasparenza dell’informazione (come venivano descritti fino a qualche anno fa anche dalla maggior parte dei media occidentali), diventano infami spie russe.Concludo osservando che il libro di Rampini è stato fin troppo profetico in merito all’ultimo punto, tanto che – a costo di apparire “complottista” – mi sorge il dubbio che disponesse di informazioni riservate sull’imminenza del blitz nell’ambasciata ecuadoriana di Londra per catturare Assange. In ogni caso, il libro ha anticipato la campagna denigratoria che i media hanno scatenato contro i “traditori” dell’Occidente, con toni da propaganda prebellica. Vedi quanto scrive Beppe Severgnini sul “Corriere della Sera”: «È vero: gli Stati Uniti hanno abusato della propria supremazia tecnologica per infiltrarsi nella vita di troppe persone, negli Usa e all’estero. Ma è lecito istigare una fonte a commettere un reato, come ha fatto Assange con Chelsea Manning, che sottrasse migliaia di documenti segreti? È giusto che tutto sia sempre noto a tutti?». Traduco: è giusto che i cittadini sappiano cosa succede nel segreto dei comandi militari? Non è meglio tenerli all’oscuro sui crimini commessi dal proprio campo, in modo che continuino a credere che il male sta tutto dall’altra parte?(Carlo Formenti, “Rampini, Assange e la notte della sinistra”, da “Micromega” del 15 aprile 2019).Da troppo tempo il capitale mondiale si è affidato ai servigi d’una sinistra che, ripudiato il classico ruolo di tutela degli interessi delle classi subalterne, si è schierata dalla parte dei potenti. Ora è il momento di sbarazzarsi di questi servi sciocchi che, per voler strafare, si sono sputtanati al punto da non poter più garantire legittimità al regime neoliberista. Allertate dal dilagare del populismo («uno spettro che si aggira per l’Europa» lo ha definito il “New York Times”, parafrasando un detto di Marx) le élite dominanti sguinzagliano i migliori cervelli per escogitare alternative. Costoro suggeriscono due possibili soluzioni: da un lato, la cooptazione dei populismi di destra per investirli del ruolo di garanti della continuità del sistema, dall’altro, la ricostruzione di una sinistra social-liberale capace di riottenere il consenso popolare. L’ultimo libro di Federico Rampini, noto corrispondente di “Repubblica” da New York (“La notte della sinistra”, Mondadori), inscrive l’autore fra i promotori della seconda soluzione.
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Vietato svelare la verità: con Assange muore il giornalismo
La data – 11 aprile 2019 – vivrà nell’infamia negli annali dei “valori” occidentali e della “libertà di espressione”. L’immagine è desolata. Un giornalista ed editore ammanettato è stato trascinato fuori con la forza dall’interno di un’ambasciata, mentre stringeva un libro di Gore Vidal sulla storia dello Stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il meccanismo è brutale. Il co-fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato arrestato perché gli Stati Uniti lo pretendevano dal governo britannico dei Tory, che per parte sua ha sostenuto di non aver fatto pressione sull’Ecuador per revocare l’asilo ad Assange. Gli Stati Uniti cancellano magicamente i problemi finanziari dell’Ecuador, ordinando al Fmi di rilasciare un provvidenziale prestito di 4,2 miliardi di dollari. Subito dopo, i diplomatici ecuadoriani “invitano” la polizia metropolitana di Londra a entrare nella loro ambasciata per arrestare il loro ospite di lungo termine. Andiamo al sodo. Julian Assange non è un cittadino statunitense, bensì australiano. WikiLeaks non è un’organizzazione di media basata negli Stati Uniti. Se il governo Usa dovesse ottenere che Assange sia estradato, processato e incarcerato, legittimerebbe il suo diritto di perseguire chiunque, comunque, ovunque, in qualsiasi momento. Chiamatelo l’Uccisione del Giornalismo.Il caso del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (Doj) contro Assange è fragile, nel migliore dei casi. Tutto ha a che fare essenzialmente con la pubblicazione di informazioni classificate nel 2010: 90mila file militari in Afghanistan, 400mila file sull’Iraq e 250mila cablogrammi diplomatici diffusi su gran parte del pianeta. Assange è accusato di aver aiutato Chelsea Manning, l’ex analista dell’intelligence statunitense, ad ottenere questi documenti. Ma la faccenda diventa più complicata. È anche presumibilmente colpevole di “incoraggiare” Manning a raccogliere più informazioni. Non c’è altro modo di interpretarla. Ciò equivale, senza più alcuna esclusione di colpi, alla criminalizzazione totale della pratica giornalistica. Per il momento, Assange è accusato di “cospirazione volta a commettere intrusioni informatiche”. L’accusa sostiene che Assange ha aiutato Manning a decifrare una password memorizzata sui computer del Pentagono collegati al Secret Internet Protocol Network (SiprNet). Nei registri delle chat del marzo 2010 ottenuti dal governo Usa, Manning parla con qualcuno chiamato alternativamente “Ox” e “associazione di stampa”. Il Doj è convinto che questo interlocutore sia Assange. Ma devono dimostrarlo definitivamente.Manning e questa persona, presumibilmente Assange, si sono impegnati in “discussioni”. «Durante uno scambio, Manning disse ad Assange che ‘dopo questo upload, è tutto quello che mi è rimasto’. Al che Assange rispose: ‘degli occhi curiosi non sono mai rimasti all’asciutto nel corso della mia esperienza’». Tutto questo non regge. I grandi media privati statunitensi pubblicano regolarmente fughe illegali di informazioni classificate. Manning offrì i documenti che aveva già scaricato sia al “New York Times” che al “Washington Post” – e fu respinto. Solo allora si avvicinò a Wikileaks. L’accusa secondo cui Assange abbia cercato di aiutare a decifrare la password di un computer è in giro dal 2010. Il Dipartimento di Giustizia sotto Obama ha rifiutato di avallarla, consapevole di ciò che significherebbe in termini di potenziale messa al bando del giornalismo investigativo. Non c’è da stupirsi che i media privati statunitensi, spogliati di uno scoop della massima importanza, abbiano successivamente iniziato a denunciare WikiLeaks come agente russo.Il grande Daniel “Pentagon Papers” Ellsberg aveva già avvertito nel 2017: «Obama ha aperto la campagna legale contro la stampa andando alle radici dei rapporti investigativi sulla sicurezza nazionale – le fonti – e Trump andrà dietro agli stessi raccoglitori/giardinieri (e i loro capi, gli editori). Per cambiare metafora, un’accusa ad Assange è il “primo uso” dell’opzione nucleare contro la protezione che il Primo Emendamento assicura alla stampa libera». Le attuali accuse del Dipartimento di Giustizia – essenzialmente il furto di una password del computer – sono appena l’inizio della valanga. Almeno per ora, la pubblicazione non è un crimine. Eppure, qualora sia estradato, Assange potrebbe essere accusato anche di ulteriori cospirazioni e persino della violazione della Legge sullo Spionaggio del 1917. Quantunque debba ancora chiedere il consenso di Londra per avanzare ulteriori accuse, al Dipartimento di Giustizia non mancano gli avvocati in grado di applicare sofismi per evocare un crimine dal nulla.Jennifer Robinson, l’abilissimo avvocato di Assange, ha giustamente sottolineato che il suo arresto è «un problema di libertà di parola» perché «riguarda i modi in cui i giornalisti possono comunicare con le loro fonti». L’inestimabile Ray McGovern, che conosce una o due cose sulla comunità di spionaggio degli Stati Uniti, ha evocato un requiem del quarto potere. Il contesto completo dell’arresto di Assange viene alla luce una volta esaminato che risulta conseguente al fatto che Chelsea Manning ha trascorso un mese in isolamento in una prigione della Virginia per aver rifiutato di denunciare Assange di fronte a un gran giurì. Non c’è dubbio che la tattica del Dipartimento di Giustizia sia quella di spezzare Manning con ogni mezzo disponibile. Ecco cosa dice la squadra legale di Manning: «L’atto d’accusa contro Julian Assange, dissigillato oggi, è stato ottenuto un anno prima che Chelsea comparisse davanti al Gran Giurì e si fosse rifiutato di rendere testimonianza. Il fatto che questa incriminazione sia esistita da oltre un anno sottolinea quanto la squadra legale di Chelsea e la stessa Chelsea hanno detto da quando è stata emessa una citazione per comparire di fronte ad un Gran Giurì federale nel distretto orientale della Virginia: che convincere Chelsea a testimoniare avrebbe duplicato le prove già in possesso del Gran Giurì e questo non era necessario affinché gli avvocati statunitensi ottenessero un’accusa contro Assange.»La palla è ora presso un tribunale del Regno Unito. Assange rimarrà indubbiamente in prigione per alcuni mesi per evitare la cauzione mentre procede l’estradizione secondo il dossier statunitense. Il Dipartimento di Giustizia ha verosimilmente discusso con Londra su come un giudice “adatto” possa fornire il risultato desiderato. Assange è un editore. Di suo non ha fatto trapelare assolutamente nulla. Anche il “New York Times” e il “Guardian” hanno pubblicato ciò che Manning aveva scoperto. “Collateral Murder”, tra le decine di migliaia di prove, dovrebbe essere sempre in prima linea nell’intera discussione: si tratta di crimini di guerra commessi in Afghanistan e in Iraq. Quindi non c’è da meravigliarsi che lo Stato Profondo americano non perdonerà mai Manning e Assange, benché il “New York Times”, in un altro lampante esempio di due pesi e due misure, potrebbe ottenere un lasciapassare. Il dramma alla fine avrà bisogno di essere chiuso nell’Eastern District della Virginia perché la sicurezza nazionale e l’apparato dell’intelligence hanno lavorato per anni a questa sceneggiatura, a tempo pieno.In qualità di direttore della Cia, Mike Pompeo è andato dritto al punto: «È tempo di chiamare Wikileaks per quello che è realmente: un servizio di intelligence ostile non statale spesso favorito da attori statali come la Russia». Quel che di fatto equivale a una dichiarazione di guerra sottolinea quanto in realtà sia pericoloso Wikileaks, per il solo fatto di aver praticato del giornalismo investigativo. Le attuali accuse del Dipartimento di Giustizia non hanno assolutamente nulla a che fare con l’ormai demistificato Russiagate. Ma aspettatevi che il successivo calcio politico sia roboante. Il campo di Trump al momento è diviso. Assange è sia un eroe pop che combatte contro la palude dello Stato Profondo, sia un umile scagnozzo del Cremlino. Allo stesso tempo, Joe Manchin, un senatore democratico del Sud, gioisce, stando agli atti, come un proprietario di una piantagione del diciannovesimo secolo, sul fatto che Assange sia ora “nostra proprietà”. La strategia democratica sarà quella di usare Assange per arrivare a Trump. E poi c’è l’Unione Europea, di cui alla fine la Gran Bretagna potrebbe non far parte, più tardi piuttosto che più presto. L’Unione Europea sarà molto vigile sul fatto che Assange venga estradato nell’“America di Trump”, poiché lo Stato Profondo si assicura che i giornalisti di tutto il mondo abbiano effettivamente il diritto: di rimanere sempre in silenzio.(Pepe Escobar, “Hai il diritto di rimanere sempre in silenzio”, da “Asia Times” del 13 aprile 2019; articolo tradotto da Costantino Ceoldo per “Megachip”).La data – 11 aprile 2019 – vivrà nell’infamia negli annali dei “valori” occidentali e della “libertà di espressione”. L’immagine è desolata. Un giornalista ed editore ammanettato è stato trascinato fuori con la forza dall’interno di un’ambasciata, mentre stringeva un libro di Gore Vidal sulla storia dello Stato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il meccanismo è brutale. Il co-fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è stato arrestato perché gli Stati Uniti lo pretendevano dal governo britannico dei Tory, che per parte sua ha sostenuto di non aver fatto pressione sull’Ecuador per revocare l’asilo ad Assange. Gli Stati Uniti cancellano magicamente i problemi finanziari dell’Ecuador, ordinando al Fmi di rilasciare un provvidenziale prestito di 4,2 miliardi di dollari. Subito dopo, i diplomatici ecuadoriani “invitano” la polizia metropolitana di Londra a entrare nella loro ambasciata per arrestare il loro ospite di lungo termine. Andiamo al sodo. Julian Assange non è un cittadino statunitense, bensì australiano. WikiLeaks non è un’organizzazione di media basata negli Stati Uniti. Se il governo Usa dovesse ottenere che Assange sia estradato, processato e incarcerato, legittimerebbe il suo diritto di perseguire chiunque, comunque, ovunque, in qualsiasi momento. Chiamatelo l’Uccisione del Giornalismo.
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Nostra Signora del Templari: sapete cos’è bruciato a Parigi?
Quanti sanno che la cattedrale di Notre-Dame de Paris è un progetto templare dedicato in apparenza alla Maddalena, ma in realtà alla Dea Madre, la Terra? Lo efferma il simbologo Paolo Franceschetti, avvocato, a lungo impegnato a far luce su misteri italiani e delitti rituali. In un intervento a “Border Nights” all’indomani del rogo nella capitale francese, Franceschetti rivela che Notre-Dame, dopo Chartres, doveva servire a «riportare sulla Terra l’energia femminile, oscurata per secoli dal Vaticano». Il web complottista è a caccia di possibili retroscena sull’eventuale origine dolosa del disastro. L’unica certezza, per ora, è la sicurezza ostentata dalle autorità, convinte di poter escludere la pista terroristica. L’ombra del templarismo, però, negli ultimi anni ha scosso Parigi: richiamavano direttamente la simbologia templare gli attentati affidati alla manovalanza dell’Isis. Una strana “firma”, per siglare fatti di sangue particolarmente efferati, come se si trattasse di una vendetta: proprio a Parigi fu bruciato sul rogo Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dell’Ordine del Tempio, i cui superstiti poi confluirono in parte nella futura massoneria (di seguito, le rifessioni testuali di Franceschetti).Cosa potrebbe voler dire, oggi, colpire Notre-Dame? In teoria, dovrebbe servire a portare ancora più squilibrio in un’epoca in cui lo squilibrio è voluto e preventivato. “Deve” esserci: anche astrologicamente, siamo in un periodo di squilibrio. L’attuale congiunzione di Plutone con Saturno è terribile, e quindi stiamo subendo anni terribili (chi conosce l’astrologia sa che, da quel punto di vista, “deve” andare così). E probabilmente ci sono forze del bene che sono “troppo forti”, quindi qualcuno potrebbe aver voluto ripristinare – in negativo – l’equilibrio. Notre-Dame è una delle chiese templari più importanti del mondo, insieme a quella di Chartres. Chratres è la prima, e anche la più bella. I Templari, poi, resisi conto che il simbolismo di quella cattedrale era un po’ troppo evidente, insieme ad altre cose che avrebbero voluto celare, nelle cattedrali successive quei simboli li hanno resi più criptici, più difficili da decifrare. Quindi Notre-Dame è un gradino sotto Chartres, come bellezza e anche come simbologia, però è il simbolo della divinità femminile: per questo non l’hanno chiamata “Maria, madre di Gesù”, o Madonna. No, è Notre-Dame: nostra signora, cioè un titolo generico dato a una divinità femminile.In Notre-Dame, i Templari vedevano più la Maddalena, che la Madonna. Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia – dicono gli esperti – cita la “madonna” diverse decine di volte, ma la verità è che Dante (tranne che in un passo, in cui cita davvero la madre di Gesù) non cita mai Maria di Nazareth: è sempre un’altra figura, mai ben identificata – la Maddalena, o altro: non c’è comunque mai un riferimento esplicito alla Madonna. E Dante era un templare: sappiamo che scrisse la Divina Commedia proprio quando i Templari andavano a processo e temevano di essere distrutti. Per evitare che fosse disperso il patrimonio di conoscenze templari e rosacrociane Dante scrisse quell’opera, che è la sintesi della sapienza templare. Senza mai alludere a Maria, madre di Gesù, i Templari hanno dedicato alla “madonna” tutte le loro chiese. San Bernardo è il vero creatore dei Templari, anche se non quello ufficiale: all’inizio, più della metà dei Templari erano suoi parenti, o conoscenti intimi. Quindi, dietro ai Templari c’erano San Bernardo e il movimento cistercense. San Bernardo era un devoto della “madonna” e diffuse quel culto. Attenzione: non il culto della Madonna, ma il culto del femminile. Voleva ripristinare il culto dell’energia del femminile, violata dalla Chiesa cattolica, che era prettamente maschilista e aveva distrutto tutto ciò che era energia femminile.Fu questo che i Templari ripristinarono. Come? Costruendo una serie di cattedrali, che non a caso – se unite idealmente da trattini di penna, sulla carta geografica – formano la costellazione della Vergine. Era un modo per riportare in Terra l’energia della Vergine, cioè l’energia femminile. Le cattedrali gotiche, infatti, sono immense centrali energetiche: da una parte servivano energeticamente a elevare l’aura di chi vi entrava, anche a loro insaputa, e dall’altra quelle “centrali energetiche” dovevano riportare sulla Terra l’energia femminile oscurata e messa in disparte dalla Chiesa cattolica. Quindi, Notre-Dame è il simbolo dell’energia femminile. I Templari sapevano che, nei tarocchi, il Mondo – la ventunesima carta, quella che termina il ciclo degli arcani maggiori – è rappresentato da una donna. La donna è al centro di un ovale, con ai lati i quattro evangelisti. Chiaro il messaggio: la Terra è un essere vivente, ed è femminile, dotato di energia femminile. I Templari erano convinti del fatto che uno degli squilibri che determinavano l’assetto del mondo – allora come oggi gravato da guerre, carestie – fosse proprio l’eccesso di energia maschile. In quel modo, con quelle cattedrali, intendevano restaurare il femminile nel mondo. E Notre-Dame è la più importante, di quelle cattedrali-simbolo del femminile come equilibrio, e anche della Terra come essere vivente.I Templari pensavano che siamo tutti figli, parti infinitesimali di questo essere, la Terra, che è molto più grande di noi, al punto da sfuggire alla nostra comprensione. Gli stessi antichi, del resto, la pensavano come un essere vivente (non a caso la si chiama Madre Terra, spesso ritenendola una dea, esattamente come gli altri pianeti: esseri viventi superiori a noi). Noi pensiamo di essere l’unica forma di vita importante nell’universo, e usiamo anche su Marte i nostri parametri vitali, perché abbiamo stabilito che solo la nostra è vita. Ma questa è una follia. I Templari invece erano degli iniziati che conoscevano perfettamente queste realtà. Infatti hanno costruito quei capolavori, le cattedrali, su cui ci sarebbe molto da dire: i loro sistemi simbolici sono tuttora sconosciuti a molti ricercatori, che si domandano come mai avessero costruito determinate cose, e non riescono a capire come siano state erette quelle guglie altissime con dei mezzi che oggi faremmo fatica a utilizzare, per arrivare allo stesso risultato. Ecco i maestri costruttori: la scienza del costruttore era la scienza del vero sapiente, da cui poi nacque la massoneria. Liberi muratori, appunto: la loro era la scienza dei costruttori, impegnati a “riportare il divino in Terra”.Agli scettici vale la pena ricordare alcuni numeri, che riportano il templarismo nella storia recente. Per esempio, il “processo” che le Brigate Rosse fecero ad Aldo Moro inizia 666 anni dopo il processo ai Templari. Qual era il simbolo delle Br? La stella a cinque punte. E qual era, invece, il simbolo della Dc? La croce rossa su sfondo bianco: la stessa dei Templari. Quindi, secondo un’interpretazione simbologico-esoterica (fondata sul ribaltamento speculare, ndr), erano “i Templari” che vendicavano se stessi, dopo 666 anni. Essendo stati distrutti ai primi del 1300, e avendo il loro ultimo maestro Jacques de Molay giurato vendetta contro il sovrano e contro il Papa, i Templari hanno continuato a lavorare in segreto. Si sono ricostituiti e hanno portato a compimento quello che era il loro progetto: l’Europa unita, verso un mondo unito. Il Nuovo Ordine Mondiale, sostanzialmente, è un progetto templare. E dato che con la morte di Moro partiva una nuova era finanziaria – perché lo Sme, il nuovo sistema monetario europeo, partì subito dopo la morte di Moro – quel delitto politico può essere considerato, esotericamente, come un immenso sacrificio rituale, di portata internazionale, per sancire e formalizzare l’inizio dell’Unione Europea. Lì nacque il progetto della moneta unica, che ha comportato l’attuale devastazione socio-economica.“La Repubblica” scrive che l’incendio della cattedrale di Notre-Dame è «la Waterloo dell’idea di nazione». E aggiunge: «Il fuoco è cieco, è vero; ma nell’Europa che diventa sovranista, con Notre-Dame sta bruciando l’idea di nazione», visto che quello andato in fiamme «è il tetto che ci copriva tutti». Dunque le nazioni danno sempre più fastidio, al progetto mondialista? Si utilizza un simbolo per fare un discorso politico? Probabilmente, dietro a questi articoli, c’è un messaggio in codice. Cosa volevano fare, i Templari? Volevano fondare un unico Stato internazionale, e infatti crearono i loro centri, chiamati “commende”, dal Portogallo alla Terrasanta. Erano monaci e guerrieri; riunivano regalità (la saggezza del sovrano) e spiritualità. L’unione tra regalità e spiritualità era andata distrutta. Anticamente, il Re era anche sacerdote, e spesso era saggio. Prima di Carlo Magno, in Francia, regnavano i Re Merovingi, che erano saggi Re-sacerdoti. La loro memoria è stata distrutta, ma era stata un’epoca straordinaria: ai tempi dei Merovingi non c’erano analfabeti, perché era il Re che insegnava alla popolazione. Si racconta che guarissero i malati con il tocco delle mani, perché avevano compiuto profondi percorsi spirituali (tutte cose di cui, oggi, gli storici riderebbero).I Templari, dunque, volevano instaurare un sistema di Re-sacerdoti, di monaci guerrieri ma saggi, e che fosse transnazionale, oltre gli Stati nazionali. Ci stavano riuscendo, infatti, e in modo geniale: con il denaro. Il loro unico obbligo era la protezione dei pellegrini in Terrasanta (non potevano impugnare le armi per altri motivi). Cominciarono allora a prestare denaro a tutti gli Stati. Formalmente dipendevano dalla Chiesa, ma in realtà erano una specie entità indipendente, di Stato all’interno dei vari Stati. Alla fine, divenuti troppo potenti, vennero scoperti e distrutti. Poi però hanno rifatto lo stesso progetto: il Nuovo Ordine Mondiale è un sistema ideale, retto da iniziati assai più saggi del popolo, idonei a governare la massa. La democrazia? E’ solo teorica: per l’autogoverno del popolo servirebbero le informazioni essenziali, che invece la massa non ha. “Loro” sanno benissimo che la democrazia è una burla, e infatti l’hanno instaurata proprio per poter governare in segreto, in silenzio, per poi instaurare questo Nuovo Ordine, il cui ruolino di marcia sta avanzando perfettamente. Uno degli strumenti che i Templari usarono per ottenere il potere era il denaro: loro, infatti, hanno creato il sistema finanziario attuale. Erano il banconmat dell’epoca: potevi depositare il denaro in una loro “commenda” ottenendo in cambio un certificato; andavi in giro con quello e non con le monete, così non rischiavi di essere derubato, e poi potevi ritirare il capitale in qualunque parte del mondo sotto il loro controllo.Di fatto, i Templari hanno fondato il sistema bancario attuale. Hanno creato poi la Svizzera, provvedendo a renderla indipendente da ogni altro Stato. Non a caso la bandiera della Svizzera è il simbolo templare, sia pure leggermente modificato nel colore. E avendo giurato di distruggere la Chiesa e gli Stati nazionali, stanno tuttora perseguendo quell’obiettivo. Come lo distruggono, uno Stato? Sempre nello stesso modo, col denaro: le crisi economiche. Usano quello stesso strumento che i primi Templari avevano creato per il benessere di tutti, e che non era stato capito. Le forze oscure all’epoca distrussero i Templari, e oggi i loro “eredi” si vendicano, metaforicamente, distruggendo tutto a loro volta, sempre con quel denaro che si voleva utilizzare per il bene del popolo. La verità è che nei secoli questi Templari, poi confluiti anche nella massoneria, hanno sì limitato il potere degli Stati nazionali e abbattuto il potere temporale della Chiesa cattolica, ma sono stati infiltrati dalle correnti peggiori, quelle più nere. Così abbiamo il perseguimento di questa agenda, che va verso un Nuovo Ordine Mondiale. Teoricamente sarebbe un obiettivo condivisibile, ma non con questi mezzi – cioè la distruzione sistematica di intere popolazioni, disagi sociali, guerre a ripetitizione nei paesi del terzo mondo per farne emigrare gli abitanti e preparare qui una immensa mescolanza, facilmente centralizzabile quando – fra qualche decennio – le nazioni non esisteranno più.(Paolo Franceschetti, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella trasmissione web-radio “Border Nights” del 16 aprile 2019).Quanti sanno che la cattedrale di Notre-Dame de Paris è un progetto templare dedicato in apparenza alla Maddalena, ma in realtà alla Dea Madre, la Terra? Lo afferma il simbologo Paolo Franceschetti, avvocato, a lungo impegnato a far luce su misteri italiani e delitti rituali. In un intervento a “Border Nights” all’indomani del rogo nella capitale francese, Franceschetti rivela che Notre-Dame, dopo Chartres, doveva servire a «riportare sulla Terra l’energia femminile, oscurata per secoli dal Vaticano». Il web complottista è a caccia di possibili retroscena sull’eventuale origine dolosa del disastro. L’unica certezza, per ora, è la sicurezza ostentata dalle autorità, convinte di poter escludere la pista terroristica. L’ombra del templarismo, però, negli ultimi anni ha scosso Parigi: richiamavano direttamente la simbologia templare gli attentati affidati alla manovalanza dell’Isis. Una strana “firma”, per siglare fatti di sangue particolarmente efferati, come se si trattasse di una vendetta: proprio a Parigi fu bruciato sul rogo Jacques de Molay, l’ultimo gran maestro dell’Ordine del Tempio, i cui superstiti poi confluirono in parte nella futura massoneria (di seguito, le riflessioni testuali di Franceschetti).
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Chi rubava? Chi ha minato il reddito della nostre famiglie?
Lo voglio ribadire per i giovani, perché è vitale per voi sapere questa cosa. Bettino Craxi passa per il grande ladro d’Italia, per la rovina del paese, quando nella realtà i grandi ladri sono oggi e la rovina d’Italia è oggi, e i dati sono incontestabili. Bettino Craxi viene accusato di aver tagliato la scala mobile: era un sistema di indicizzazione dei prezzi all’inflazione che non funzionava, serviva solo a far fare tessere alla Cgil. Fu eliminato e, come vedrete dai dati, l’Italia dei lavoratori ne ha solo guadagnato. Fu accusato di aver dato l’8 per mille al Vaticano quand’era una balla: erano gli italiani che davano l’8 per mille al Vaticano, non Bettino Craxi. Vediamoli, questi dati. Sono cose che oggi non leggerete sui giornali. Una tabella dell’Ocse mostra il risparmio medio delle famiglie su scala internazionale mettendo in paragone i paesi più industrializzati. Ecco, negli anni del socialismo di Bettino Craxi (10 anni), dopo aver speso tutto quello che doveva spendere, ogni famiglia italiana risparmiava in media il 25%. Una cosa incredibile. Poi sono arrivati i politici cosiddetti “puliti”, e nel 2000 il risparmio delle famiglie italiane si è dimezzato. Poi è arrivato l’euro, e il risparmio è stato disintegrato.Oggi siamo al 5%, con l’euro. E la corruzione? Quattrocento indagini per corruzione durante Tangentopoli. Oggi, coi politici nuovi, nell’era dell’euro: 516 indagini per corruzione, sono state registrate (in tempi addirittura minori: 14 anni per Tangentopoli 10 anni dopo l’arrivo dell’euro). Questi sono dati drammatici, che vengono consegnati dal rapporto Res a Piercamillo Davigo nel 2016 davanti al Csm. Allora chi rubava? L’Italia di Craxi rubava, ma molto meno di oggi. E ci ha reso la settima potenza mondiale, con un potere d’acquisto che era dal 30 al 70% superiore a oggi. L’Italia di oggi ruba molto di più, e siamo distrutti economicamente: abbiamo una disoccupazione giovanile mostruosa e una crescita stimata allo 0,2%. Ragazzi, è su questo che dovete ragionare.(Paolo Barnard, video-messaggio su Twitter ripreso da “Come Don Chisciotte” il 14 aprile 2019. Giornalista, Barnard ha lavorato per le maggiori testate italiane, prima di fondare “Report” con Milena Gabanelli. Poi escluso dalla Rai a causa delle sue inchieste scomode su Big Pharma e sulle lobby che manovrano la Commissione Europea, da anni studia l’economia e le dinamiche ordoliberiste che hanno impoverito la popolazione occidentale. E’ del 2011 l’ampio saggio “Il più grande crimine”, che svela come l’élite finanziaria ha progettato l’Unione Europea sulla base del modello neo-feudale, usando l’euro per distruggere la classe media, confiscare la democrazia e demolire i diritti sociali in Europa).Lo voglio ribadire per i giovani, perché è vitale per voi sapere questa cosa. Bettino Craxi passa per il grande ladro d’Italia, per la rovina del paese, quando nella realtà i grandi ladri sono oggi e la rovina d’Italia è oggi, e i dati sono incontestabili. Bettino Craxi viene accusato di aver tagliato la scala mobile: era un sistema di indicizzazione dei prezzi all’inflazione che non funzionava, serviva solo a far fare tessere alla Cgil. Fu eliminato e, come vedrete dai dati, l’Italia dei lavoratori ne ha solo guadagnato. Fu accusato di aver dato l’8 per mille al Vaticano quand’era una balla: erano gli italiani che davano l’8 per mille al Vaticano, non Bettino Craxi. Vediamoli, questi dati. Sono cose che oggi non leggerete sui giornali. Una tabella dell’Ocse mostra il risparmio medio delle famiglie su scala internazionale mettendo a confronto i paesi più industrializzati. Ecco, negli anni del socialismo di Bettino Craxi (10 anni), dopo aver speso tutto quello che doveva spendere, ogni famiglia italiana risparmiava in media il 25%. Una cosa incredibile. Poi sono arrivati i politici cosiddetti “puliti”, e nel 2000 il risparmio delle famiglie italiane si è dimezzato. Poi è arrivato l’euro, e il risparmio è stato disintegrato.
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Federico Caffè fu fatto sparire dai killer di Palme e Sankara
Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punzione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».Unico indizio a disposizione, per ora: la sicurezza italiana. Tra il 2015 e il 2016, dopo la strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo, l’intera Europa sembrava sul punto di trasformarsi in un mattatoio. Eppure, Magaldi annunciò: vedrete che il nostro paese non subirà attentati. Motivo: l’antiterrorismo italiano è “pulito” e coopera strettamente con settori della Cia altrettanto leali. Il terrorismo targato Isis, aggiunse, può colpire solo in paesi dove i servizi segreti sono infiltrati dagli agenti della strategia della tensione: la Francia in primis, ma anche – come si è visto – il Belgio e la Spagna, il Regno Unito e la Germania. In altre parole: se i “cattivi” hanno orchestrato il terrore per affermare il loro potere (magari impaurendo Hollande per poi lanciare Macron), sul fronte opposto i “buoni” si sono accordati per unire le forze e proteggere almeno uno Stato europeo: non un paese a caso, naturalmente, ma l’Italia che di lì a poco sarebbe diventata gialloverde. Messaggio: non siete più onnipotenti, se c’è un pezzo di Europa che resta al riparo del vostro stragismo che spara nel mucchio, mietendo vittime tra i passanti. E sarà proprio l’Italia la prima pietra su cui costruire una nuova Europa, finalmente democratica.Missione compiuta? Solo a metà: gli ultimi anni in Italia sono trascorsi senza sangue, ma il governo Conte si è lasciato ugualmente spaventare da Bruxelles. Colpa del Deep State, ammette il deputato grillino Pino Cabras: al governo, dice, insieme ai 5 Stelle e alla Lega c’è anche un terzo incomodo, lo “Stato profondo” che ha potentissimi terminali anche al Quirinale, e lavora per sabotare il cambiamento. Nel bloccare la nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia, Sergio Mattarella spiegò che “i mercati” (veri padroni della situazione, quindi, a prescindere dalle elezioni) non l’avrebbero gradito, quel ministro. Con Savona all’economia, non avrebbero esitanto a mettere nei guai l’Italia con il ricatto dello spread. Dal convegno londinese sul New Deal Europeo, organizzato dal Movimento Roosevelt, Cabras ha rincarato la dose: lo “Stato profondo” è insediato ovunque, anche nei ministeri oltre che al Colle, e sta frenando qualsiasi cambio di paradigma: «Lega e 5 Stelle sono divisi su tutto, tranne che su un punto: resistere al Deep State, nel tentativo di dare più soldi agli italiani». Magaldi apprezza il coraggio di Cabras, la cui denuncia – clamorosa – è passata sotto silenzio, letteralmente ignorata dai media. «Il Deep State, però, non può diventare un alibi: perché il governo gialloverde non ci ha nemmeno provato, a rompere le regole Ue con un bel 10% di deficit. Si è limitato a quel misero e inutile 2%, prendendo schiaffoni a Bruxelles e tornando a Roma con la coda tra le gambe».Poteva andare diversamente? «Doveva», dice Magaldi. Che spiega: tutto sta cambiando, ai piani alti. «E già oggi, i politici intenzionati a lavorare per il benessere della collettività non hanno più motivo di avere paura di essere soli, di fronte a chi vorrebbe delegittimarli con la diffamazione o addirittura ucciderli, come nel caso di Palme e Sankara, o magari farli sparire, come accadde a Federico Caffè». Ed ecco la rivelazione, che Magaldi anticipa il 15 aprile a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming settimanale del lunedì, su YouTube: al convegno milanese del 3 maggio (“Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”) sarà lo stesso Magaldi a fornire dettagli inediti sui mandanti della sparizione di Caffè. Altre notizie clamorose saranno fornite dall’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt e già allievo di Federico Caffè. Il professore era il più importante economista keynesiano: formò personaggi come Mario Draghi e Marcello De Cecco, Bruno Amoroso e Ignazio Visco (Bankitalia), Franco Archibugi e Giorgio Ruffolo. E poi Luigi Spaventa, Enrico Giovannini, Ezio Tarantelli (assassinato dalle Br) e lo stesso Alberto Bagnai, ora senatore leghista.Persino Wikipedia scrive che Federico Caffè fu uno dei principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, occupandosi tanto di politiche macroeconomiche che di “economia del benessere”: «Al centro delle sue riflessioni economiche ci fu sempre la necessità di assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli». In altre parole, era il “cervello” dell’economia democratico-progressista: piena occupazione e welfare, cioè l’esatto contrario della politica del rigore che avrebbe preso il sopravvento, diventando un dogma – lo strapotere dei “mercati” – cui sembra piegarsi anche il Quirinale. La sua improvvisa scomparsa è un mistero rimasto irrisolto? Ufficialmente sì, ma non per Magaldi: secondo il presidente del Movimento Roosevelt, il convegno di Milano strapperà finalmente il velo sul caso Caffè. «C’è un filo rosso – avverte – che lega la sua sparizione agli omicidi di Olof Palme e Thomas Sankara». Palme, carismatico leader socialdemocratico svedese, era il faro del socialismo europeo: aveva varato il miglior welfare del continente e stava per essere eletto segretario generale dell’Onu. Una carica che gli avrebbe consentito di vegliare anche sull’Europa, scongiurando l’avvento del feroce ordoliberismo mercantilista che, da Maastricht in poi, ha rimesso in sella l’élite impoverendo il 99% della popolazione.Quanto a Sankara, parla per lui l’esodo dei migranti che sbarcano in Italia partendo dall’Africa Subsahariana affamata dal neocolonialismo: tre mesi prima di essere assassinato, il giovane leader del Burkina Faso aveva chiesto la cancellazione del debito estero e la fine degli aiuti finanziari all’Africa, vere e proprie catene post-coloniali. Il sogno del socialista Sankara? Un’Africa libera e sovrana, padrona a casa propria, capace di crescere basandosi sulle sue forze. «C’è un nesso che collega l’omicidio di Sankara e quello di Palme alla sparizione di Federico Caffè», insiste Magaldi, preparandosi a fornire dettagli inediti su quegli eventi che, nella seconda metà degli anni ‘80, hanno contribuito a plasmare lo sconfortante scenario di oggi. Un nome esemplare? Mario Draghi: il super-banchiere della Bce «non ha seguito il suo maestro, Federico Caffè, e oggi è nel gotha dei burattinai, degli artefici della involuzione post-democratica dell’Europa e del mantenimento del paradigma ideologico neoliberista in Europa e nel mondo». Paradigma spietato, per il quale ha duramente lavorato il Deep State massonico reazionario di cui lo stesso Draghi, secondo Magaldi, è un autorevolissimo esponente.Si può credere, a Magaldi? Qualcuno, di fronte al saggio “Massoni” (bestseller italiano, ignorato dai media mainstream) si è ritratto, rifugiandosi dietro l’assenza di prove documentali. Falso problema, assicura l’autore, che in premessa avverte: «Chiunque si senta diffamato me lo segnali, ed esibirò le carte che lo riguardano: dispongo di 6.000 pagine di documenti, troppo ingombranti per essere inseriti in un volume». Corollario: nessuno dei tantissimi big menzionati – Napolitano e Monti, lo stesso Draghi – si è azzardato a smentire alcunché. Meglio la consegna del silenzio. Ma il meccanismo innescato da quel libro sembra inesorabile: operazione trasparenza. Nel 2015, Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt. A fine marzo, ha promosso a Londra un confronto strategico tra economisti e politologi per mettere a fuoco un possibile New Deal europeo, basato sul recupero di Keynes (spesa pubblica strategica) per abbattere l’ideologia dell’austerity e restituire benessere alla popolazione. E ora è in arrivo l’assise milanese su Rosselli, Palme e Sankara, con anche le inedite news sulla sorte di Federico Caffè. «Questo incontro serve a dire: viviamo da decenni sotto la cappa di un’ideologia imperante e pervasiva, egemonizzante – il neoliberismo – che noi adesso rifiutiamo radicalmente».Il Movimento Roosevelt, continua Magaldi, si ispira alla lezione di Rosselli, Palme e Sankara: «Il nostro è un laboratorio politico che ha iniziato il suo percorso rivoluzionario a Londra, e a Milano affronta la sua seconda tappa». Teoria e pratica del Piano-B: «La nostra è un’ideologia social-liberale, opposta al neoliberismo: vogliamo proporla in Europa e nel mondo, ridando fiato a una corrente di pensiero che è stata rimossa, nei vari centrosinistra e centrodestra di tutto l’Occidente, a favore di una pervasività dogmatica del neoliberismo». Non si scherzava, ai tempi di Rosselli, ucciso su mandato del regime fascista di Mussolini. Ma c’era poco da ridere anche all’epoca di Palme, unico premier europeo assassinato mentre era in carica: freddato nella civilissima Svezia all’uscita di un cinema, nel cuore dell’Europa democratica. Il killer? Rimasto nell’ombra, ma fino a un certo punto: gli svedesi ricordano benissimo la strana morte del giallista Stieg Larsson, che al caso Palme si era interessato svolgendo indagini accurate, fino a consegnare alla polizia svariati documenti. La pista: servizi segreti, Deep State oscuro. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016, Gianfranco Carpeoro – dirigente del Movimento Roosevelt – ricorda che, alla vigilia dell’omicidio Palme, un certo Licio Gelli indirizzò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente telegramma: “La palma svedese sta per cadere”.Se ti metti contro il Deep State, puoi rischiare la pelle: succede spesso, ed è capitato anche a Julian Assange. «Puoi essere fatto fuori con la diffamazione e la delegittimazione, con il fango che ti gettano addosso, oppure puoi essere eliminato». Assange? «Ha avuto coraggio», ammette Magaldi: «C’è dell’eroismo, nel suo agire». Per Magaldi, però, il destino del fondatore di Wikileaks non è segnato: «La questione è estremamente complessa», si limita per ora a dire l’autore di “Massoni”, lasciando capire che attorno al giornalista australiano si muovono forze diverse e opposte, e che l’estradizione richiesta da Trump potrebbe non trasformarsi in una feroce vendetta nei confronti di Assange. Il motivo? Sempre lo stesso: starebbe cambiando la natura del Deep State. O meglio, la sua composizione. «Oggi, se si ha il coraggio di svolgere il proprio mandato democratico – dichiara Magaldi – lo si può fare senza più il timore di essere eliminati, perché nel Deep State c’è stata, è in corso e si sta irrobustendo di mese in mese una riorganizzazione dei circuiti massonici progressisti, i quali non consentiranno – come è stato in passato – che nessun sincero politico democratico venga assassinato o eliminato in modo improprio».Beninteso: il nemico è ancora molto potente. Uomini che hanno conquistato i posti chiave della finanza, dell’economia, degli Stati. Magaldi li definisce «gli alfieri della massoneria neoaristocratica, i costruttori dell’ideologia neoliberista: quelli che tuttora gestiscono una globalizzazione di merci e capitali che non è fatta anche di diritti, di democrazia e di giustizia sociale». Ma aggiunge: «Credetemi, oggi a quei signori non conviene giocare sporco, nel momento in cui nella questione sono coinvolti anche i massoni democratico-progressisti che hanno la stessa consuetudine con il Deep State. Non gli conviene, è un problema di calcolo». E insiste: «Se c’è qualcuno che vuole agire a beneficio del popolo non abbia paura, non si lasci fermare da minacce o blandizie. Vada avanti per la sua strada, perché c’è chi è in grado, con la sua sola presenza, di frapporsi alle indebite interferenze da parte di rappresentanti del Deep State che vogliono sovvertire le regole del gioco democratico, piegandole a interessi opachi di natura privata». Per questo, aggiunge Magaldi, non hanno più scuse tutti quei politici «divenuti maggiordomi e camerieri, senza più quella forza di elaborazione politica che a molti, nel Novecento, è costata la vita».Oggi, assicura Magaldi, i politici che volessero davvero «difendere il senso e la dignità del proprio mandato, operando al servizio della collettività», possono evitare di farsi intimidire o corrompere per eseguire gli ordini dei soliti burattinai: «Li invito a cercare proprio nell’ambito del Deep State quei circuiti progressisti che sono impegnati per la difesa della democrazia, e che quindi potranno garantire che il Deep State oscuro non interferisca più con lo svolgimento di una normale dialettica democratica». Magaldi è stato affiliato alla Thomas Paine, la più progressista delle 36 Ur-Lodges che gestiscono il back-office del potere mondiale. Il suo Grande Oriente Democratico, movimento massonico d’opinione, è collegato alle superlogge progressiste. E’ in corso una sorta di guerra inframassonica: dopo decenni di letargo, la componente democratica si starebbe risvegliando. Le prove del contrattacco in corso? Tanto per cominciare, la sicurezza di cui ha goduto l’Italia durante l’ultima stagione dell’infame auto-terrorismo europeo, targato Isis ma gestito da settori inquinati dell’intelligence. E ora, dice Magaldi, i cavalieri oscuri del peggior Deep State si preparino: il convegno di Milano svelerà dettagli clamorosi anche sulla misteriosa scomparsa di Federico Caffè.Non abbiate paura, il Deep State non è più un monolite oscuro: tra le sue fila oggi ci sono anche i “buoni”, che vigilano sui politici coraggiosi. Tesi firmata da Gioele Magaldi, frontman italiano della massoneria progressista sovranazionale e autore del saggio “Massoni”, che nel 2014 ha svelato il vero volto – supermassonico – dell’oligarchia reazionaria che da decenni regge le sorti del pianeta. In vena di rivelazioni, Magaldi oggi si spinge oltre. Il caso Julian Assange? Aspettate e vedrete: non tutti i mali vengono per nuocere. Può darsi che il suo ruvido arresto non preluda a chissà quale punizione: niente di più facile che si ritorca contro i personaggi messi in imbarazzo proprio dal fondatore di Wikileaks (come Hillary Clinton, accusata di aver truccato le primarie democratiche Usa, che in realtà sarebbero state vinte dall’outsider Bernie Sanders). E non è tutto: il 3 maggio, a Milano, sono in arrivo rivelazioni potenzialmente esplosive sul mistero del professor Federico Caffè, insigne economista keynesiano scomparso da Roma il 15 aprile 1987. Dietro, anticipa Magaldi, c’è la stessa mano che un anno prima aveva assassinato il premier svedese Olof Palme, e che di lì a poco avrebbe ucciso Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso. Tre personaggi scomodi, che ostacolavano il dominio globale neoliberista. Oggi però – altra notizia – non sarebbe più possibile eliminarli: «Fare il gioco sporco, ai nemici della democrazia, non conviene più: sanno perfettamente che in quello stesso Deep State ci sono anche elementi progressisti».
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Bifarini: da 30 anni lo Stato spende meno di quanto incassa
Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta», che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!Spread e debito pubblico: fanno ormai parte delle nostre vite, ne sentiamo parlare continuamente, ossessivamente, tanto da preoccuparcene più della disoccupazione giovanile a livelli inverosimili e di una mancata crescita che ormai ci sta traghettando dalla crisi alla recessione. Eppure l’opinione pubblica ha talmente interiorizzato la narrazione mercato-centrica del mainstream che non sembra credere ad altro: siamo stati spendaccioni e irresponsabili (Piigs) e dobbiamo dunque espiare le nostre colpe con una giusta dose di rigore e disciplina. Dunque l’austerity è la giusta – nonché unica – strada da percorrere, così come vuole l’approccio dogmatico del modello economico neoliberista, il tatcheriano “Tina”, there is no alternative. Abbiamo un debito pubblico intorno al 130% del Pil, secondo in Ue solo a quello della Grecia, per cui meritiamo la condizione di sorvegliati speciali di Bruxelles e di essere dunque defraudati di una nostra politica fiscale autonoma (di quella monetaria siamo già stati privati). È la strada indicata dalla «virtuosa» Germania, esempio di disciplina e rispetto delle regole per noi italiani, così dissoluti e un anche un po’ scostumati.Gli effetti sono tanto disastrosi quanto immediati: l’ammontare di debito, che nel 1981 era intorno al 58,5%, dopo soli tre anni raddoppia e nel 1994 arriva al 121% del Pil. Come riportato dallo stesso Andreatta alcuni anni dopo, questo stravolgimento strutturale era necessario per salvaguardare i rapporti tra Unione europea e Italia, e per consentire al nostro paese di aderire allo Sme, ossia l’accordo precursore del sistema euro. Quando l’Italia fa il suo ingresso nell’euro non risponde ai parametri del debito pubblico richiesti da Maastricht, ma l’interesse politico e l’artefatto entusiasmo generale per la sua partecipazione hanno la meglio. Sarà la crisi del 2008 a far emergere tutti i limiti e la fallimentarietà di un’area valutaria non ottimale e insostenibile come l’Eurozona: l’Italia, come altri paesi, senza la possibilità di ricorrere alla svalutazione del cambio, non riesce a recuperare terreno. Il debito pubblico, che finora era rientrato in una fase discendente, passa dal 102,4% al 131,8% del 2017. Una crescita notevole, ma di gran lunga ridimensionata se paragonata all’incremento del debito pubblico di altri paesi dell’area euro, come Spagna, Portogallo e la stessa Francia.Nello stesso arco temporale, infatti, Madrid ha visto il suo debito pubblico schizzare dal 38,5% al 98,3%, il che significa un tasso incrementale di circa il 150%! La crisi non ha risparmiato neanche il vicino Portogallo, che è arrivato lo scorso anno a un livello del debito molto vicino al nostro (125,7%), partendo da un “contenuto” 71,7% del 2008. Eppure i due paesi iberici hanno sforato ripetute volte il famigerato vincolo del 3% – parametro tanto assiomatico quanto infondato – permettendo così all’economia di tornare a crescere, a differenza di quella italiana che si è incamminata nel percorso distruttivo dell’austerity. Situazione analoga per la Francia, con un valore del debito pubblico allo scoppiare della crisi inferiore del 70% e che oggi si aggira intorno al 100%, ma senza che ciò le abbia impedito di aumentare la spesa pubblica e il deficit di bilancio, assicurando in questo modo la crescita del Pil. Dunque, sintetizzando, il nostro famigerato debito pubblico è sì più elevato, ma è partito da una situazione di evidente svantaggio, ed è cresciuto in termini percentuali del tutto in linea con l’andamento degli altri paesi dell’euro a seguito della crisi; anzi, anche meno di altri, come abbiamo visto, e aggravato dalle politiche di austerity, i cui effetti deprimenti sull’economia sono conclamati.Rimane il problema dei tassi d’interesse (da cui il famigerato spread), da noi più elevati che altrove, proprio a causa delle modalità dei meccanismi di collocamento dei titoli di Stato introdotto a seguito dell’epocale divorzio tra i due istituti finanziari italiani. È stato stimato che in trent’anni abbiamo pagato la colossale cifra di 3mila miliardi di interessi sul debito pubblico! In queste circostanze a nulla valgono gli sforzi fiscali dell’Italia, che registra da quasi trent’anni avanzo primario, ossia quella situazione, del tutto antisociale, per cui lo Stato incassa più di quanto spende, esclusi gli interessi sul debito pubblico. Per onerare il costo del debito, ossia quell’assurda creazione del denaro dal denaro, vengono sottratte risorse finanziarie per servizi pubblici e sostegno alla popolazione in difficoltà. Dunque, una redistribuzione al contrario, dai cittadini ai mercati finanziari. Il tempo delle riforme è ormai improcrastinabile.(Ilaria Bifarini, “La verità sul debito pubblico italiano”, dal blog della Bifarini del 29 marzo 2019).Ma quando si è creato il fardello del debito pubblico italiano? Tutto parte nel 1981, in cui accade un evento epocale, che fa da spartiacque nella storia della sovranità economica italiana: il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Con un atto quasi univoco, cioè una semplice missiva all’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, Andreatta mette fine alla possibilità del governo di finanziare monetariamente il proprio disavanzo. Rimuovendo l’obbligo allora vigente da parte di Palazzo Koch di acquistare i titoli di Stato emessi sul mercato primario, la Banca d’Italia dismette il ruolo di prestatrice di ultima istanza. D’ora in poi, per finanziare la propria spesa pubblica, l’Italia deve attingere ai mercati finanziari privati, con la conseguente esplosione dei tassi d’interesse rispetto a quelli garantiti in precedenza. Ma non solo: viene rivisto il meccanismo di collocamento dei titoli di Stato, introducendo il cosiddetto «prezzo marginale d’asta», che consente agli operatori finanziari di aggiudicarsi i titoli al prezzo più basso tra quelli offerti e, quindi, al tasso di interesse più alto. Ad esempio, se durante un’emissione di 50 miliardi di Btp, 40 vengono aggiudicati a un rendimento del 3%, mentre il restante al 5%, alla fine tutti i 50 miliardi saranno aggiudicati al 5%!
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Che bel regalo, Draghi senatore a vita e poi al Quirinale
Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.Folgorante, l’ascesa di Draghi nell’élite finanziaria mondiale: dal vertice di Bankitalia a quello della Bce, la mega-banca che emette l’euro, cioè la moneta che sarebbe stata “impossibile” e letteralmente insostenibile, per il giovane studente Mario. Determinante, si dice, il transito negli Usa: Draghi è stato uno stratega della Goldman Sachs, la banca speculativa più temuta al mondo: quella che, tra l’altro, truccò i bilanci della Grecia, creando le premesse per il crollo di Atene. A disastro avvenuto, Draghi si occupò dei greci anche nelle vesti di inflessibile censore della Troika europea, in rappresentanza della Bce. Una conversione, la sua – da Keynes al neoliberismo – che lascia stupefatti: il geniale economista inglese aveva ispirato le politiche espansive che hanno arricchito l’Europa, mentre i suoi avversari (da Von Hayek a Friedman) hanno impoverito i nostri popoli, espropriandoli del potere statale di spesa a beneficio dell’oligarchia finanziaria, divenuta l’unica padrona del denaro. Come si spiega, un simile voltafaccia, da parte di quello che, ai tempi di Caffè, si presentava come un promettente economista post-keynesiano? L’immenso potere del denaro, certo: il dominio di Wall Street è divenuto assoluto, specie dopo che Clinton abolì il Glass-Stegall Act, la norma con la quale Roosevelt aveva tagliato le unghie alla speculazione (separazione netta tra banche d’affari e credito alle imprese). Franata la diga, la finanza predatoria è diventata una lotteria perversa, capace di piegare gli Stati. E oggi infatti eccoci qui, a elemosinare decimali di deficit, implorando una tecnocrazia di non-eletti.Ma non è tutto. Nel suo saggio, Magaldi svela un retroscena illuminante: il massone Draghi milita in ben 5 Ur-Lodges. Le superlogge sovranazionali sono in tutto 36 organismi occulti e molto trasversali, in grado di controllare il pianeta, ben al di sopra dei governi. Per la cronaca, il presidente della Bce sarebbe affiliato alla “Edmund Burke”, alla “Pan-Europa” e alla “Der Ring”, nonché alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “Three Eyes”, veri e propri santuari della supermassoneria “neoaristocratica”, protagonista dell’attuale globalizzazione finanziaria e post-democratica imposta a mano armata anche con la guerra e, all’occorrenza, persino il terrorismo e la strategia della tensione, oltre che con l’arma dell’austerity che ha precarizzato il lavoro e impoverito le popolazioni occidentali. Tutto merito loro: a imporre le durezze della crisi sono i signori del “back office” supermassonico. Sono questi, dice Magaldi, i veri “azionisti” di Mario Draghi, comicamente celebrato – dai media – come una specie di salvatore della patria. E’ vero l’esatto contrario: l’Italia ha patito le conseguenze dell’azione di Draghi, che appartiene a un’oligarchia apolide, senz’altra patria che il denaro. «Viene presentato come il santo protettore dell’Italia? Mettetelo a Palazzo Chigi, e poi vedrete di che pasta è fatto», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.Certo, visto dall’Italia oggi sembra remotissimo, Super-Mario, impegnato a vegliare sull’Europa dall’alto dell’Eurotower di Francoforte. Per questo, gli italiani riescono a bersi la versione del mainstream, che poi è questa: se non ha potuto fare abbastanza, per l’Italia, è perché il povero Draghi «aveva le mani legate dalle presunte regole della Banca Centrale Europea», e magari «era costretto a mediare con Jens Weidmann della Bundesbank». Tutte storie: «Fatelo governare, e vedrete di cosa sarà capace». Quanto sono fondate, le voci secondo cui Mattarella lo promuoverebbe senatore a vita, come già fece Napolitano con Monti, per poi proiettarlo a Palazzo Chigi? L’incarico alla Bce scadrà in autunno, e si sa che Draghi ambirebbe a prendere il posto di Christine Lagarde al vertice del Fmi. Secondo Magaldi, potrebbe anche concedersi un periodo sabbatico. Certo è che qualsiasi decisione sarà come sempre concertata con il super-potere finanziario, di cui Draghi resta una pedina di prima grandezza a livello mondiale. Senatore a vita, dunque? Non è dato saperlo. Probabilmente, dice Magaldi, la nomina potrebbe gradirla non tanto come “ascensore” verso la guida del governo, ma come viatico per un obiettivo più ambizioso: la presidenza della Repubblica. In ogni caso, aggiunge Magaldi, se mai dovesse fare il premier «sarebbe un regalo, per noi che combattiamo contro ciò che Mario Draghi rappresenta».Un simile esito sarebbe perfettamente speculare rispetto all’esperienza di Monti, che nel 2011 era osannato dai media, quando dalle pagine del “Corriere della Sera” «dispensava saggi consigli, ma non aveva mostrato come li avrebbe messi in pratica». Duro l’impatto con la realtà: «Averlo visto governare ci ha liberato per sempre dall’idea che Monti sia un uomo saggio e soprattutto preoccupato del bene collettivo degli italiani». Non pensate che con Draghi sarebbe diverso, chiarisce Magaldi, dal 2015 presidente del Movimento Roosevelt e ora promotore del “Partito che serve all’Italia”, per recuperare la perduta sovranità democratica. Draghi? Tuttora, viene proposto dal mainstream come il paladino degli interessi italiani, «l’uomo che ha risolto la crisi economica e che dalla Bce ha assicurato il “quantitative easing”, salvando le banche». Tutto falso: «Come banchiere centrale, è intervenuto quando i buoi erano già scappati dalla stalla, cioè quando l’economia europea era in picchiata e parecchi paesi erano ormai stati commissariati con l’avvento dei tecnocrati al governo». A quel punto, «Draghi ha fatto in modo che i denari arrivassero alle banche e non all’economia reale, per aiutare la quale non ha mosso un dito».Severo il giudizio di Magaldi sul super-banchiere europeo: «Mario Draghi è fra i registi di questa pessima governance post-democratica europea. E’ colui che ha detto che il “pilota automatico” è inserito nel sistema di gestione dell’economia dei vari paesi europei, e quindi non importa chi viene eletto: o aderisce alle indicazioni di questo “pilota automatico”, o viene delegittimato». In più c’è l’ombra, imbarazzante, della crisi Mps: «Insieme ad Anna Maria Tarantola, che all’epoca guidava la vigilanza di Bankitalia – continua Magaldi – Draghi è anche responsabile, per l’Italia, di quello che è accaduto nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena». Quindi, non dovrebbe essere gratificato di un posto di senatore a vita: «Semmai – dice Magaldi – dovrebbe essere messo sotto processo, anche per i danni che ha fatto, nella gestione delle privatizzazioni all’italiana, come direttore generale del ministero del Tesoro, carica rivestita ininterrottamente dal 1992 al 2001». Purtroppo viviamo in un mondo orwelliano, che ribalta la verità: e così Mario Draghi, «che è stato tra i personaggi più funesti, per il destino d’Europa e d’Italia», oggi «viene santificato dai media mainstream».“Mister Euro” direttamente al comando dell’Italia, una volta rottamata la deludente esperienza gialloverde? Niente paura, dice Magaldi: «Questa situazione ci deve mettere di buon umore». E perché mai? «Perché è tipica dei momenti pre-rivoluzionari: alla vigilia di ogni rivoluzione, da chi occupa poltrone che stanno per franare miseramente proviene sempre un sussulto di arroganza, di disprezzo della verità, di imbroglio della comunicazione». Draghi a Palazzo Chigi? «Sarebbe un ottimo modo per vedere il suo vero volto, perché in questo mondo così veloce ormai le menzogne e i bluff durano poco. Dategli anche la presidenza della Repubblica, e poi ci divertiremo: perché ormai siamo arrivati alla frutta». Sulla crisi in corso, Magaldi è nettissimo: «L’Italia è stanca di essere malata, e ormai vede che non c’è stata nessuna cura». Pie illusioni, quelle alimentate dai gialloverdi: «Ignominiosa la rinuncia a lottare per il deficit, e vergognosa le genuflessione di Di Maio davanti alla Merkel». Tradotto: l’Italia ha perso un anno di tempo, dando credito a Lega e 5 Stelle. Domani il super-potere oserà schierare addirittura Draghi per spegnere gli ultimi focolai di ribellione, disinnescando la speranza che dall’Italia possa partire il riscatto democratico europeo? Quello, scommette Magaldi, sarà il segnale: di fronte a tanta arroganza, gli elettori finalmente insorgeranno. Primo passo: licenziare i finti rivoluzionari gialloverdi, che si sono fatti prendere a sberle dai signori di Bruxelles e dal loro nume tutelare, il potentissimo Mario Draghi.Che bel regalo, se Mario Draghi venisse nominato senatore a vita. Regalo per chi? Ovvio: per quelli che, come Gioele Magaldi, sono impegnati a smascherare l’ineffabile inventore del “pilota automatico”, la tragica farsa dell’algoritmo finanziario che di fatto confisca la sovranità democratica e rende inutili le elezioni. «Una volta al potere in Italia, Draghi sarebbe costretto a mostrare il suo vero volto: e dovrebbe andare in giro non con una, ma con cinque scorte». Il draghetto Mario? «Più che a Palazzo Chigi o meglio ancora al Quirinale, lo vedrei bene in tribunale: dovrebbe rispondere, finalmente, di tutti i danni che ha causato al nostro paese», dice Magaldi, che nel saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) traccia un profilo inedito del “venerabile” super-banchiere. Allievo dell’economista keynesiano Federico Caffè, si laureò con una tesi che oggi può sembrare sconcertante. Ovvero: imporre all’Europa una moneta unica sarebbe un suicidio economico. Poi, accadde qualcosa. Il 2 giugno 1992, anche Draghi – allora direttore generale del Tesoro – salì a bordo del panfilo Britannia ormeggiato a Civitavecchia, dove il gotha della finanza atlantica progettava la grande privatizzazione del Belpaese. Da allora, anche grazie a Super-Mario, s’è scritta tutta un’altra storia: crisi e disoccupazione, erosione dei risparmi, iper-tassazione. Fino al “golpe bianco” del 2011 innescato dalla letterina della Bce – firmata insieme a Trichet – per la “deposizione” di Berlusconi e l’avvento di Mario Monti, con la regia di Napolitano.