Archivio del Tag ‘figli’
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Gratteri: una vergogna quelle gabbie per i migranti in Libia
Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».Quello di Gratteri è un pensiero che sembra in via di estinzione, in un’Italia frastornata dal derby che oppone il solidarismo assistenziale delle Ong alla xenofobia elettoralistica degli “impresari della paura”, che speculano sulla criminalità migrante degli sbandati. Ma perché dare per scontato che milioni di persone debbano per forza lasciare le loro case? E’ sacrosanto il diritto di partire per inventarsi una vita diversa dall’altra parte del mondo, «purché però la partenza non sia un atto disperato, indotto dalla miseria o dalla guerra», sottolinea il saggista Gianfranco Carpeoro: difendiamo i diritti dei migranti trascurando però sempre il loro diritto principale, «che è innanzitutto quello di poter vivere una vita dignitosa a casa loro, senza per forza dover dolorosamente rinunciare al proprio paese». In altre parole: «Perché non ci chiediamo come mai questa gente è costretta a scappare? Perché non chiediamo ai nostri governi cosa hanno combinato, in quelle regioni del mondo?». Aiutarli a casa loro? L’Italia sarà in Niger con il proprio esercito, a presidiare un paese tra i 20 più poveri al mondo, ma ricchissimo dell’uranio che è da sempre “proprietà privata” della Francia, destinato ad alimentare le centrali nucleari transalpine.Soccorso occidentale? «No, grazie», rispose Thomas Sankara al vertice panafricano di Addis Abeba, pensando al genere di “aiuti” storicamente ricevuti dall’Africa: finanziamenti interessati e debito eterno, cioè schiavitù. «Teneteveli, i vostri soldi: non li vogliamo più», disse il giovane leader del Burkina Faso, assassinato nel 1987 tre mesi dopo quel coraggioso discorso, in cui chiedeva agli Stati africani di non pagare più il debito estero (la Russia di Putin ha appena condonato il suo, annullando gli oneri a carico dei paesi africani verso Mosca). E mentre la verità ufficiale tuttora nega che a uccidere Sankara sia stato l’attuale presidente del Burkina Faso, Blaise Compaorè, ricevuto all’Eliseo con tutti gli onori da François Mitterrand, l’Unione Europea si appresta a varare un Piano Marshall per l’Africa che, in cambio di infrastrutture, aggraverà il debito del continente nero, quasi sempre retto da dittature filo-occidentali come quella dell’Eritrea, i cui profughi (che sbarcano a Lampedusa) fuggono da un regime a cui l’Italia vende costosi armamenti.L’Africa però resta materia da campagna elettorale: Berlusconi evoca il pugno di ferro contro “mezzo milione di immigrati criminali”, mentre Massimo D’Alema sostiene che proprio ai migranti è affidato il futuro demografico di un paese come l’Italia, dove non ci si sposa più e non si fanno più figli (a causa della crisi economica indotta dall’euro e dal rigore Ue, cosa che D’Alema evita accuratamente di precisare). Nel frattempo restano loro, i sopravissuti alla pericolosa traversata del Canale di Sicilia, a bordo di carrette del mare il più delle volte recuperate in extremis dalla marina militare italiana. Senza una politica degna di questo nome, sottolinea Nicola Gratteri, non ci sarebbe da vantarsi se il flusso dei disperati dovesse calare: «Ogni sera sentiamo ai telegiornali che gli sbarchi sono diminuiti del 3, del 15, del 20%, ma mentre noi parliamo so che ci sono delle donne che vengono violentate o bambini che vengono bastonati a sangue». Le gabbie in Libia per rinchiuderli come animali? «Non sto tranquillo perché ne arrivano duemila in meno», aggiunge il magistrato, per il quale evidentemente la parola “umanità” ha ancora un senso universale, non negoziabile né trasformabile in spazzatura elettolare “di destra” o “di sinistra”.Al magistrato antimafia Nicola Gratteri, uomo simbolo del contrasto alla ‘ndrangheta calabrese, non va giù l’accordo stretto dall’Italia con il governo di Tripoli per fermare i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo. «La strategia di Minniti non mi è piaciuta», dice il procuratore capo di Catanzaro, intervistato da “La7”, «perché non è da Stato civile e occidentale far costruire delle gabbie sulle coste della Libia per impedire che gli immigrati partano». E’ soltanto «un tappo», degradante e indegno, che non risolve certo il problema dell’esodo di popolazioni in fuga dalla guerra e dalla fame, tutti fenomeni innescati dall’economia occidentale e dalla sua geopolitica neo-coloniale. «Bisognerebbe andare in centro Africa, mandare i servizi segreti per capire chi organizza queste traversate nel deserto, e poi andare lì e costruire aziende agricole, ospedali, scuole e rendere il territorio vivibile», sostiene il giudice, chiarendo che – se si vuol sperare di porre un freno all’oceano dei migranti – è necessario investire in Africa per gli africani, non per gli occidentali. Solo a quel punto, «poi, è ovvio che bisogna creare dei flussi regolamentati per la libera circolazione di tutti gli uomini del mondo».
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Tolstoj: se paghi le tasse, finanzi il sistema che ti domina
C’è un bel saggio di Tolstoj – il Tolstoj vecchio, quello più pericoloso – che in Italia è stato tradotto solo nel 1989, pensate: un terzo della produzione di Tolstoj non tradotta in Italia fino all’89 perché troppo pericolosa. Impressionante. Quindi, le biografie italiane di Tolstoj – compresa quella, famosa, di Citati, ancora nelle librerie – sono fatte su due terzi dell’opera di Tolstoj: manca un terzo, che sono i suoi saggi terribili, popolarissimi prima della Prima Guerra Mondiale, che hanno determinato un sacco di guai, per i regimi del tempo. C’era una vignetta interessante su “Le Figaro”, dove si vedeva lo Zar Nicola II piccolino così, spaventato, che scappava, e Tolstoj (enorme) che voleva dargli una pacca sulla testa, per punirlo – pensate che fama aveva. Ecco, è un saggio del 1908, che si intitola “Di chi è la colpa”. Era un periodo brutto, per la Russia: Nicola II era quasi impazzito, a quel tempo, e permetteva ai cosacchi di fare di tutto – dai pogrom alle sciabolate durante le manifestazioni, esecuzioni capitali ogni giorno. E Tolstoj fa un brevissimo elenco di 7-8 righe su quello che è terribile, in Russia, in quel periodo, e dice: quante pene di morte ci sono al giorno? Nove, dieci. Quanta gente viene deportata?Proprio Nicola II aveva cominciato a fare le deportazioni forzate. Tutta la popolazione di una regione viene presa e viene messa in fondo alla Siberia, in un posto che ha sempre l’isobara di gennaio totalmente negativa. Capitava alle sètte religiose. C’era quella dei Molochany, quella dei Duchobory – Molochany vuol dire “bevitori di latte”, perché erano ultra-vegetariani, mentre i Duchobory aborrivano le armi: si rifiutavano di usare persino i coltelli. Gruppi ritenuti pericolosi per la società russa, quindi deportati in massa. E Tolstoj, arrabbiato contro questo, scrive un libro, “Resurrezione”. Gli fanno dei contratti pazzeschi, in tutto il mondo. Tutti i soldi che prende da “Resurrezione”, Tolstoj li usa per comprare una nave e un pezzo di Canada. Dopodiché manda i suoi figli a raccogliere tutti i Duchobory lungo la strada della deportazione, li carica sulla nave nel Mar Nero e li porta in Canada, dove vivono ancora adesso i loro discendenti, che tuttora parlano russo. Tutto ciò, con “Resurrezione”: una cosa grandiosa. Era un pericolo vivente, Tolstoj: non potevano ammazzarlo, né arrestarlo, perché troppo famoso. E in Italia di questo s’è saputo pochissimo, tra l’altro, fino agli anni ‘90.Il saggio “Di chi è la colpa” dice: le cose in Russia vanno male. Di chi è la colpa? Tutti quanti dicono: dello Zar. Ma lo Zar – dice Tolstoj, che era un nobile russo dell’alta società – è un ometto piccolo così, che gioca a tennis e a cricket tutto il tempo. Lui scrive diari, la Zarina segue Rasputin. Come fa, uno così, a dominare 180 milioni di russi? Non può essere tutta colpa sua, la colpa sarà della corte. Ci sono tremila persone, a corte, che fanno i loro maneggi – allora non c’erano le multinazionali, c’erano le corti. Colpa loro, quindi? Ma io, dice Tolstoj, sono vissuto in mezzo a questi fin da bambino: è gente che si fa gli affari suoi, che cerca vantaggi personali anche piccoli; sono tutti indebitati, si sono rovinati con il gioco tutti quanti, bevono come spugne. Come volete che facciano, queste duemilacinquecento persone, a dominare 180 milioni di russi? Allora la colpa è del governo, della Duma, del Parlamento. Inclusi sottosegretari e uscieri, sono settemila persone. Può darsi che sia colpa loro, dice Tolstoj. Però, aggiunge, sono settemila, mentre i russi sono 180 milioni. Come fanno, ’sti settemila, a imporre il loro dominio su 180 milioni di persone?Dicono che esiste il potere, ragiona Tolstoj, che ha sempre odiato questa parola. Cos’è il potere? Nessuno l’ha mai definito. Napoleone sposta cinquecentomila uomini, dalla Francia alla Russia, e ne muoiono 480.000. Napoleone, si dice, aveva un grande potere. Ma era un turacciolo, spinto da una marea di francesi che – chissà perché – volevano andare in Russia e sono morti tutti lì. Il potere? Io non ci credo, dice Tolstoj. E poi questi parlamentari, fisicamente, cosa fanno? Vanno dal russo e gli dicono “tu mi obbedisci”? Se vanno dal Mugik, quello li uccide: li mangia, se non c’è nessuno che guarda. Quindi il problema non sono quei tremila. Chi può essere, allora? L’esercito. Qui ragioniamo, dice: sono quattro milioni di persone. E quello russo era l’esercito più potente del mondo. Ma cos’è un esercito? E’ un insieme di soldati. Va bene, e cos’è un soldato? Questa era il modo di ragionare di Tolstoj, affascinante: sembra un bambino, che fa domande su domande. Dunque, che differenza c’è tra un soldato e un normale cittadino? Le armi: il soldato ha le armi. Le ha comprate lui? No. Gliele ha pagate lo Zar? No. Il governo? No. La corte? Nemmeno. Le armi gliele hanno pagate le tasse. E quindi: chi ha pagato le armi, che fanno diventare un uomo un soldato? E’ chiaro che sei stato tu, perché le tasse le hai pagate tu. E allora: tu perché le paghi, le tasse?E’ chiaro che questo libro qui non poteva uscire negli anni Trenta, non poteva uscire negli anni Settanta e non può uscire oggi. Io l’ho fatto nell’89, questo librone (“Perché la gente si droga”, sono 800 pagine di saggio di Tolstoj). Era un periodo buono, quello. L’Ottantanove, poco prima di Berlusconi. Lì è uscito, il libro. E’ andato molto bene, poi è sparito. E non lo ripubblicano più, perché è troppo pericoloso. Se tu metti una pagina di quel libro lì su Internet, su Facebook, il giorno dopo ricevi una comunicazione della questura, perché è un reato. Oggi, fare questo discorso è un reato: perché è un’esortazione a non rispettare una legge della nazione. Non pagare le tasse? Grave: ti trovi subito nei guai. Tolstoj poteva, a quel tempo. E l’idea è questa: se tu paghi le tasse, perché le paghi? Cosa ti spinge a pagarle? La psicologia del dominio, in realtà, è tutta qua. E’ vero: il dominio non è l’esercizio di un potente, è l’esercizio di un potente condizionato all’approvazione del suddito. Anche la multinazionale può manipolarti, ma si regge sugli acquisti: e tu puoi smettere, di comprare. Sartre diceva: l’uomo è condannato a essere libero; se è servo, è perché ha scelto lui di esserlo.(Igor Sibaldi, estratto della conferenza nell’ambito del seminario “Psicologia del dominio”, svoltosi il 3 dicembre 2017 con Salvatore Brizzi, Giorgio Galli e Calogero Falcone, ripreso su YouTube).C’è un bel saggio di Tolstoj – il Tolstoj vecchio, quello più pericoloso – che in Italia è stato tradotto solo nel 1989, pensate: un terzo della produzione di Tolstoj non tradotta in Italia fino all’89 perché troppo pericolosa. Impressionante. Quindi, le biografie italiane di Tolstoj – compresa quella, famosa, di Citati, ancora nelle librerie – sono fatte su due terzi dell’opera di Tolstoj: manca un terzo, che sono i suoi saggi terribili, popolarissimi prima della Prima Guerra Mondiale, che hanno determinato un sacco di guai, per i regimi del tempo. C’era una vignetta interessante su “Le Figaro”, dove si vedeva lo Zar Nicola II piccolino così, spaventato, che scappava, e Tolstoj (enorme) che voleva dargli una pacca sulla testa, per punirlo – pensate che fama aveva. Ecco, è un saggio del 1908, che si intitola “Di chi è la colpa”. Era un periodo brutto, per la Russia: Nicola II era quasi impazzito, a quel tempo, e permetteva ai cosacchi di fare di tutto – dai pogrom alle sciabolate durante le manifestazioni, esecuzioni capitali ogni giorno. E Tolstoj fa un brevissimo elenco di 7-8 righe su quello che è terribile, in Russia, in quel periodo, e dice: quante pene di morte ci sono al giorno? Nove, dieci. Quanta gente viene deportata?
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Galloni: moneta sovrana e posti di lavoro, o addio Italia
Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.Non si sa fino a che punto tutto questo sia sostenibile, riassume Galloni, economista post-keynesiano e vicepresidente del Movimento Roosevelt. Il paradosso? «Quelli che stanno bene possono permettersi di pagare di tasca propria i servizi sanitari per i figli, l’assistenza agli anziani e quant’altro. I più poveri, bene o male, hanno accesso alla gratuità. Ma il grosso della classe media non ha sufficiente reddito per pagarsi i servizi essenziali, e in alcuni casi neppure per fare la spesa al supermercato o andare al cinema, al ristorante o in vacanza, per pagare le bollette, le rate del condominio. E non ha neppure accesso alla gratuità del welfare residuale». Il guaio? Ci sta crollando addosso la storia. Una storia “sbagliata”, che ha cominciato ad andare storta proprio quando l’Italia ha cessato di essere prima “un’espressione geografica”, e poi un paese popolato di contadini analfabeti. Ai fratelli maggiori d’Europa non è mai andato giù il fatto che il Belpaese potesse stupire il mondo con il suo sviluppo da record, il boom del dopoguerra fondato sull’industria. Probabilmente avremmo potuto superare la Francia, dice Galloni, se non ci fossimo fatti sfilare di mano il futuro delle telecomunicazioni, a patrire dalla geniale invenzione di Olivetti: il personal computer.Poi, aggiunge l’economista, fu essenziale il passaggio dell’89 in cui la Germania, per riunificarsi, rinunciò al marco per ottenere l’appoggio della Francia e puntare al suo vero obiettivo strategico: frenare l’Italia. «Perché un’Italia estremamente competitiva avrebbe reso proibitiva l’opera di riunificazione della Germania». Ma i “cugini” d’oltralpe, ricorda Galloni, prima ancora dei tedeschi hanno sempre lavorato contro l’Italia, contribuendo a far fuori gli italiani più decisivi, a cominciare da Enrico Mattei. Il capo dell’Eni era odiato dalle Sette Sorelle perché concedeva più soldi ai paesi petroliferi, ma a costargli la vita fu lo scontro con Parigi sul gas algerino: di fronte alla mano tesa dei francesi per accordarsi su quel business, Mattei rispose “no, grazie”. Disse: «Io tratterò solo col legittimo governo algerino, quello del popolo, che è rivoluzionario e anti-francese». E così avviene: «Gli algerini – ricorda Galloni – vincono la loro guerra di indipendenza nazionale, fanno gli accordi con l’Italia e però, poco dopo, Mattei viene ucciso. Le ultime ricostruzioni convergono sul coinvolgimento dei servizi segreti francesi».Poi è il turno di Aldo Moro, «altro uomo odiatissimo in Europa». Si era lamentato del fatto che i francesi e gli stessi “servizi” della Fiat (che come l’Eni aveva una sua “polizia segreta”, in gran parte composta da ex poliziotti e carabinieri) non comunicassero tutte le notizie riguardo alle Brigate Rosse, e che addirittura alcuni brigatisti venissero ospitati in territorio francese. Mattei e Moro, quindi Berlusconi: voleva evitare la guerra con la Libia scatenata da Sarkozy, ma è stato “convinto” dal crollo in Borsa del titolo Mediaset, precipitato del 40% in poche ore. Così ha dovuto «abbassare la testa e accettare la terza grande aggressione degli interessi nazionali dell’Italia da parte da parte dei francesi». Ci hanno sempre messo i bastoni tra le ruote, ma il peggio è che adesso l’ossigeno di sta esaurendo: «Non abbiamo più un welfare universale, abbiamo solo un welfare residuale che sta creando ulteriori lacerazioni sul territorio, anche perché spesso è destinato soprattutto agli immigrati. E quindi crea tensioni politiche e sociali che poi diventano determinanti nelle scelte dell’elettorato». Nonostante ciò, osserva Galloni, l’Italia non è ancora crollata: ha dimostrato capacità di resistenza impensabili.«In Italia ci sono 4 milioni di imprese, su quattro milioni e mezzo, che ormai sono fuori dal capitalismo perché non lavorano più per il profitto, ma per controllare risorse reali, darsi una dignità, un futuro». Aziende che «sfuggono a quelle che sono le regole dell’economia e della finanza». Anziché vendere l’azienda e vivere di rendita finanziaria, quattro milioni di imprenditori italiani – caso unico, in tutto l’Occidente – hanno tenuto duro pagando le tasse sulle perdite, senza nessun aiuto dal sistema bancario, e in più con infrastrutture oblsolete e la pubblica amministrazione che rema contro. «Però queste piccole imprese italiane hanno la caratteristica di essere competitive sui mercati internazionali, tant’è che noi siamo, con la Germania, l’unico paese che ha visto aumentare le esportazioni». Stiamo parlando di 9 miliardi di euro: «Non è tanto, però è significativo che ci sia un segno positivo. Ma ancora più significativo e positivo è che ci sia stata una riduzione di 40 miliardi di euro nell’importazione di prodotti agricoli e alimentari, dovuta ad un impressionante ritorno di tre milioni e duecentomila giovani che si sono impegnati nell’agricoltura, per fare quello che i loro padri non volevano più fare: riprendere il mestiere dei nonni». Giovani che «sono tornati a fare quello che si faceva in Italia prima del miracolo economico, che è stato soprattutto industriale».Abbiamo perso tutta la nostra grande industria privata, compreso l’80% di quella a partecipazione statale, che era un gioiello (ma quel 20% che ci rimane ancora fa molta gola a parecchi, compresi i francesi). Però, aggiunge Galloni, abbiamo mantenuto in vita l’80% della piccola industria, delle piccole imprese. «Stiamo parlando di più di 7 milioni di famiglie, che poi corrispondono grossomodo a quel 50% di elettorato che non va più a votare: è gente che non si farà abbindolare da nessuno di quelli che si presentano alle elezioni». La Francia non sta molto meglio: il suo grande problema, sociale, è quello che divide i francesi dagli immigrati, cittadini di serie B. «Da noi è esclusivamente un problema di censo, mentre da loro è un problema di nazionalità: e questo fa sì che lo studente che si è preso una laurea e che vive nella banlieue parigina non potrà mai accettare questo sistema francese». Ora, i grandi potentati finanziari – che finora si erano orientati verso i grandi immobili, i grandi alberghi – adesso stanno puntando all’agricoltura, ai terreni. E con la scusa delle crisi del sistema bancario italiano «cercheranno di entrare con grandi capitali per comprare i mutui al 10-20% del loro valore nominale, per poi rivendere gli appartamenti al 20-30% del mutuo residuo stesso. È un’operazione semplicissima, però potrebbe essere estremamente drammatica».Però poi è difficile che queste ciambelle riescano col buco, aggiunge Galloni, «perché l’Italia ha le energie per reagire e rimettersi in pista». Grande incognita, ovviamente, l’Unione Europea: avremo ancora il “quantitative easing” della Bce o prevarrà un ritorno alle posizioni più rigide, con la riapertura dell’incubo spread, che è un grande ricatto nei confronti del paese? Si insisterà sul Fiscal Compact, «che ovviamente ci metterebbe in ginocchio», oppure i “falchi” perderanno e ci sarà un recupero di fiducia fra i vari paesi? «I grandi potentati finanziari e le grandi multinazionali sono, per loro stessa natura, predatori: non guardano in faccia a nessuno. E dove vedono delle prede di più facile cattura (come siamo noi italiani, perché non abbiamo un governo, una guida, non abbiamo una pubblica amministrazione che funziona, non abbiamo un sistema bancario adeguato alle condizioni e non abbiamo – salvo alcune eccezioni – un sistema infrastrutturale adeguato) è chiaro che loro se ne approfitteranno». Nel 2018 saranno quotate in Borsa le Ferrovie dello Stato? Pessima idea: «Dopo, invece d’inseguire il miglioramento del servizio, dovranno inseguire l’aumento dei saggi d’interesse, altrimenti il titolo perderebbe valore».Lo sappiamo: è in atto una sorta di deindustrializzazione dell’Italia, a vantaggio di élite europee ed extra-nazionali a svantaggio della nostra popolazione. Come possiamo tenerci le industrie? «Dei modi ci sarebbero», risponde Galloni, «ma fanno perno sul ripristino della sovranità nazionale», che non è per forza la chiusura delle frontiere. La sovranità “saggia”, e ormai indispensabile, poggia sulla consapevolezza che quest’Europa dell’euro non sta funzionando: potrebbe implodere. Il Piano-B? «Affiancare alla moneta internazionale – che è straniera – una moneta nazionale». E gli altri paesi dovrebbero fare lo stesso. «Una moneta nazionale non è proibita dai trattati europei, perché avrebbe solo circolazione interna, ma sicuramente servirebbe per fare quegli investimenti e quelle assunzioni – dove servono – per ridare respiro al paese e ripristinare quel concetto di “welfare universale” che ci salva dalla guerra civile». Dopo il 1970, quando cioè l’umanità ha raggiunto livelli record di capacità produttiva, «la crisi ha iniziato a significare che la gente non ha abbastanza reddito». E perché il denaro non circola, beché ormai svincolato dal valore dell’oro? Presto detto: «Non esercitando più la propria sovranità monetaria, lo Stato si trova nella stessa situazione di un qualunque disgraziato che debba chiedere un prestito, se vuole fare investimenti. E non ne può fare di più grandi rispetto a quello che incamera con le tasse».Ma quello delle tasse è un falso problema, spiega Galloni: se si tagliano le tasse ma anche la spesa pubblica, la gente avrà più soldi ma li spenderà tutti per pagare i servizi che prima erano gratuiti. A quel punto la classe media si impoverisce, faccendo crollare i consumi: addio quindi a qualsiasi possibile ripresa. «I consumi aumentano se aumentano i salari, ma oggi non ci sono le condizioni: purtroppo ce le siamo bruciate per tutta una serie di scelte furiosamente sbagliate in tutti i campi, cioè tutte le politiche che hanno portato la flessibilizzazione del lavoro in precarizzazione». Questo ovviamente ha impoverito tutti, «tranne le multinazionali che venivano qui a depredare». Ma l’impresa normale «non ha un vantaggio se i lavoratori sono sottopagati, perché allora chi compra i suoi prodotti?». Si potrebbe rispondere: ci pensano le esportazioni. «Ma per essere competitivi con le esportazioni – cioè con paesi dove i salari sono ancora più bassi dei nostri – devi ridurre i salari. Quindi è sempre un cane che si morde la coda, perché per essere competitivo devi ridurre la domanda interna, ovvero l’economia interna. Che è esattamente il modello europeo. Per questo non funziona, il modello europeo. Se non si supera questo modello deflattivo, il salario sull’occupazione, non ne esce vivo nessuno. Questo lo devono capire i francesi, i tedeschi o gli olandesi e tutti quanti».Che può fare l’Italia, da subito? Lo Stato può emettere una sua moneta, in qualsiasi momento. Il Trattato di Maastricht (articolo 128a) dice che non possiamo stampare banconote. Che problema c’è? Basta stampare “Statonote”, a circolazione nazionale, da usare per assumere e per fare investimenti, «perché poi chi le accettasse le utilizzerebbe per pagare le tasse». In questo modo, si aggirerebbe anche la tagliola del pareggio di bilancio in Costituzione (regalo di Monti), «perché se abbiamo spese superiori alle tasse, basterà aggiungere questa moneta sovrana, la quale – non essendo a debito – avrà lo stesso segno algebrico delle tasse, e cioè il segno più. Quindi: tasse più moneta sovrana, uguale spesa. E abbiamo anche il pareggio di bilancio senza tanti drammi». E possiamo persino coniare degli euro. Le monete vengono stabilite dalla Bce in base a dei plafond nazionali, «quindi non possiamo coniare monete della stessa pezzatura di quelle che abbiamo in tasca. Ma possiamo farlo con altre pezzature. Già la Finlandia lo fa con monete da 2,50 euro, e la Germania ha emesso monete da 5 euro. Anche in Italia sono state emesse monete da 10 euro».In Europa, fino al 1979 la filosofia dominante era che chi fosse stato più forte doveva fare delle rinunce per aiutare gli altri. Funzionava fino a un certo punto, «perché comunque i francesi e tedeschi facevano i marpioni, i furboni, e noi italiani – come al solito – invece aiutavamo gli spagnoli, i greci e i portoghesi a entrare». Dopo il 1979, con il G7 di Tokyo, si rompe il patto di solidarietà e l’Europa ne risente, «per cui il progetto europeo diventa un altro», continua Galloni. «E allora avvengono tutta una serie di scelte che poi porteranno all’euro». A quel punto l’abbrivio è stato molto negativo, ma si voleva fare una politica “di convergenza” che costringesse gli Stati ad avere gli stessi parametri finanziari, anche se avevano situazioni diverse a livello di economia reale. E poi magari si dava un contentino con i fondi la coesione, che furono utili soprattutto per i paesi come la Polonia, che entravano nell’Unione Europea in condizioni molto difficili. «Però alla fine ci siamo trovati con un’Europa dove l’obiettivo è la massimizzazione delle esportazioni, anche a basso valore aggiunto, che si realizzano riducendo salari e occupazione. Quindi è una politica deflattiva dove l’euro funge da moneta straniera, artificiosamente scarsa, che per averla devi pagare». Una vita d’uscita? «La moneta parallela statale, che non è a debito». Non è l’unica soluzione, ma è un passaggio fondamentale: «Dobbiamo rompere l’artificiosità della scarsità, perché sennò non ne usciamo».Ad esempio, per fare il reddito di cittadinanza «dobbiamo togliere a una parte della classe media delle risorse per darle a quelli che non hanno reddito». Errore: il vero reddito di cittadinanza, dice Galloni, deve consistere nella creazione di 7-8 milioni di posizioni lavorative «per mandare a regime tutte le esigenze della società italiana in termini di ambiente, di assetto idrogeologico del territorio, di cura delle persone (soprattutto gli anziani, ma anche i bambini) e di recupero del patrimonio artistico, archeologico e comunque esistente: manutenzioni, strade e ferrovie». Quindi, «se davvero vogliamo essere un paese moderno, è chiaro che abbiamo bisogno di 7-8 milioni di addetti». Ma non ne abbiamo, «quindi non c’è bisogno di fare il reddito di cittadinanza». C’è bisogno, invece di lavoro: che si può creare rapidamente, con moneta sovrana. «Dobbiamo rompere la condizione di scarsità artificiosa, che è voluta per asservire la gente e rendere la democrazia un costo. Invece, la democrazia dev’essere un modo che noi scegliamo per vivere, come scritto nella nostra Costituzione. Se invece diciamo che la democrazia non ce la possiamo permettere – perché non abbiamo i soldi per gestirla – è chiaro che non c’è soluzione».Macché reddito di cittadinanza: serve moneta sovrana per creare 7-8 milioni di posti di lavoro, nel più breve tempo possibile, o il grande capitale straniero – francese, in primis – sbranerà quel che resta dell’Italia. Così Nino Galloni risponde all’allarme lanciato sul “Corriere della Sera” da Roberto Napoletano, già direttore del “Messaggero” e del “Sole 24 Ore”: «La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il Sud a una grande tendopoli». Attenzione, perché Napoletano è stato molto vicino al potere: «Quindi, se in questo momento lancia un grido d’allarme così forte – dichiara Galloni a Claudio Messora, su “ByoBlu” – vuol dire che effettivamente chi è vicino al potere ha la percezione di quello che potrebbe succedere in Italia da qui a uno o due anni: una situazione sociale che si sta sempre più lacerando, fino a un’eventuale rottura». In estrema sintesi: se lo zero-virgola di Pil dell’ultimissima mini-ripresa racconta che 20 milioni di italiani stanno un po’ meglio, ce ne sono 15 che restano in condizioni di povertà vera e propria, mentre 25 milioni di italiani stanno scivolando verso il baratro, senza neppure il paracadute del welfare, che ormai è residuale e protegge solo i poveri.
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Amazon, Ikea, Fca: miliardari grazie al sangue degli schiavi
Jeff Bezos è l’uomo più ricco del mondo, l’ultimo rendiconto ufficiale sul suo patrimonio netto lo fa ammontare a 90 miliardi di euro, più o meno. Questa montagna di soldi l’ha accumulata con Amazon, di cui è fondatore e proprietario. Amazon si presenta con spot pubblicitari buoni e compassionevoli, verso i bambini, i disagiati, gli animali di casa; per tutti c’è un prodotto utile che può essere consegnato in poco tempo, a chi lo ha richiesto, al prezzo di una organizzazione del lavoro e di uno sfruttamento da schiavi. I 4.000 dipendenti del grande magazzino di Piacenza della multinazionale sono scesi in sciopero contro questa oppressione infame. Lo stesso hanno fatto i loro colleghi di Germania. In Gran Bretagna Alan Selby, giornalista del “Mirror”, ha lavorato in incognito nel più grande centro di Amazon in quel paese e ha raccontato la sua terribile esperienza. Salari di fame e 55 ore di lavoro a settimana, per turni devastanti dove si deve correre tra gli scaffali per trovare, confezionare, consegnare prodotti. Si sviene e arrivano le ambulanze, e se non si torna presto al lavoro con il rendimento giusto si viene licenziati. I lavoratori sono bestiame al servizio dei robot, ha sintetizzato Selby.Il padrone e fondatore di Ikea si chiama Ingvar Kartman, in gioventù è stato nazista, ora ha superato i novant’anni e ha lasciato la gestione del gruppo ai figli. Assieme sono una delle famiglie più ricche del mondo, che ha abbandonato la Svezia per pagare meno tasse in Svizzera. Anche Ikea fa pubblicità simpatiche e progressiste, a favore di tutti i tipi di famiglie. Le sue dipendenti però la famiglia fanno fatica anche a vederla. Una madre di due figli, uno dei quali disabile, è stata licenziata a Milano perché non poteva far fronte a un cambio di turni che le rendeva impossibile occuparsi dei suoi figli. Questo atto feroce non è un caso isolato, ci ha pensato la stessa azienda a chiarire che esso è parte di un sistema organico di vessazione del lavoro. Infatti neanche una settimana dopo, a Bari, Ikea ha licenziato un dipendente per un ritardo di 5 minuti. E altri soprusi simili stanno finalmente venendo alla luce.John Elkann è l’ultimo padrone della Fiat, ora Fca, erede e socio della grande e numerosa famiglia miliardaria, anch’essa indisponibile a pagare le tasse nel suo paese. La gestione concreta del gruppo come si sa è affidata a Marchionne, che ha aumentato enormemente i guadagni suoi e i profitti della famiglia. Nel 2019 l’amministratore delegato se ne andrà, ma la famiglia Agnelli continuerà ad accumulare miliardi. Lo ha sempre fatto, anche quando la Fiat non vendeva un’auto. I profitti di famiglia sono sempre stati la sola rigidità dell’impresa, tutto il resto è sempre stato flessibile, il lavoro prima di tutto. Oggi poi la flessibilità è in tempo reale. Così alla fine di ottobre la Fca di Cassino ha lasciato a casa 530 operai assunti a termine, con un semplice Sms. Perché sprecare un colloquio, una parola per delle merci sostituibili in qualsiasi momento? Questo sono e così vengono trattati i lavoratori di Fca. Questi supermiliardari sono vezzeggiati e incensati dai mass media e dagli intellettuali di regime. La politica si prostra i loro piedi. Così Bezos e compagnia controllano il mondo e le nostre vite. Sono straricchi perché in tanti sono poveri e sfruttati.(Giorgio Cremaschi, “Bezos, Kartaman e Elkann: miliardari e schiavisti”, da “L’Antidipomatico” del 30 novembre 2017).Jeff Bezos è l’uomo più ricco del mondo, l’ultimo rendiconto ufficiale sul suo patrimonio netto lo fa ammontare a 90 miliardi di euro, più o meno. Questa montagna di soldi l’ha accumulata con Amazon, di cui è fondatore e proprietario. Amazon si presenta con spot pubblicitari buoni e compassionevoli, verso i bambini, i disagiati, gli animali di casa; per tutti c’è un prodotto utile che può essere consegnato in poco tempo, a chi lo ha richiesto, al prezzo di una organizzazione del lavoro e di uno sfruttamento da schiavi. I 4.000 dipendenti del grande magazzino di Piacenza della multinazionale sono scesi in sciopero contro questa oppressione infame. Lo stesso hanno fatto i loro colleghi di Germania. In Gran Bretagna Alan Selby, giornalista del “Mirror”, ha lavorato in incognito nel più grande centro di Amazon in quel paese e ha raccontato la sua terribile esperienza. Salari di fame e 55 ore di lavoro a settimana, per turni devastanti dove si deve correre tra gli scaffali per trovare, confezionare, consegnare prodotti. Si sviene e arrivano le ambulanze, e se non si torna presto al lavoro con il rendimento giusto si viene licenziati. I lavoratori sono bestiame al servizio dei robot, ha sintetizzato Selby.
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D’Alema: gli italiani non fanno più figli. Chissà come mai…
Come mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.D’Alema appartiene a pieno titolo alla storia del Novecento: il suo nome è legato per sempre all’infelice stagione che vide incrinarsi i decenni del benessere, preparando il crollo sistemico al quale stiamo assistendo. Ma la vera notizia è che l’ex premier sia ancora in campo nel 2017, tra le fila (meramente anti-renziane) di un sedicente movimento “democratico e progressista”. Quella di D’Alema sembra una voce proveniente dalle catacombe della politica, dal cimitero neoliberista nel quale marcirono e poi morirono, a volte anche assassinate, le migliori idee di progresso sociale, giustizia e solidarietà, incarnate in Europa da giganti del pensiero come Olof Palme, leader della gloriosa socialdemocrazia svedese, artefice del più avanzato welfare del continente. Nel salottino televisivo di Lilli Gruber, D’Alema parla come se nulla sapesse di quanto è avvenuto, in questi anni, al paese a cui oggi si rivolge: la colossale svendita del patrimonio nazionale, i tagli sanguinosi alla spesa sociale, l’austerity, la precarizzazione del lavoro e la piaga della disoccupazione. Dov’era, D’Alema, quando l’Italia organizzava il proprio suicidio socio-economico con il macigno del Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni, la crocifissione della Costituzione mediante pareggio di bilancio obbligatorio?L’ex premier post-comunista parla come se non conoscesse Mario Draghi, come se non avesse mai sentito nominare Napolitano e Monti, la Merkel e la spietata Troika che ha ridotto alla fame una nazione come la Grecia. Si limita a descrivere l’Italia come un paese curiosamente in crisi demografica, i cui abitanti – chissà perché – hanno smesso di sposarsi e di metter su famiglia. Il giornalista Paolo Barnard, autore del saggio “Il più grande crimine”, presenta D’Alema come “allievo” di Jacques Attali, eminente politologo francese, già “consigliere del principe” quando lavorava all’Eliseo. Un grande economista transalpino, Alain Parguez, rivela che proprio Attali, oggi padrino di Macron, contribuì a determinare la svolta neo-reazionaria del presidente socialista Mitterrand, “l’inventore” della soglia del 3% (del Pil) come tetto alla spesa pubblica. Una regola artificiosa e nefasta, anti-economica, da allora utilizzata dall’élite finanziaria per scatenare l’attacco frontale alla sovranità di bilancio degli Stati europei, mettendo fine alla loro capacità di realizzare politiche progressiste.Nel suo saggio del 2014 sulla segreta geografia supermassonica del massimo potere (“Massoni”, Chiarelettere), Gioele Magaldi collega D’Alema e Attali sul piano delle loro frequentazioni più riservate: il primo, scrive, milita in due diverse Ur-Lodges, la “Pan-Europa” e la “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum”, mentre il secondo nella “Three Eyes”. Secondo Magaldi, le “logge madri” sono strutture esclusive e sovranazionali del back-office del potere, incubatrici di ogni grande decisione finanziaria, economica e geopolitica. Quelle citate, in relazione a D’Alema e Attali, sempre secondo Magaldi (a sua volta “iniziato” alla Ur-Lodge progressista “Thomas Paine”) sono superlogge orientate in senso neo-aristocratico, grandi protagoniste della globalizzazione universale che sta privatizzando il pianeta, senza più altra bandiera che quella del denaro. Se la figura politica di D’Alema resta complessa, legata alla tormentata conversione atlantica degli ex comunisti (D’Alema fu il primo premier italiano proveniente dal Pci, il partito di Togliatti e Berlinguer), può sembrare un mistero l’ipotetica attualità della sua proposta odierna, la sua stessa permanenza nel club degli interlocutori politici italiani.D’Alema sarà addirittura tra i competitori elettorali del 2018, per giunta nel cartello guidato dall’imbarazzante Bersani, che si richiama in modo surreale all’articolo 1 della Costituzione (“fondata sul lavoro”, ma in realtà “affondata” dalla costituzionalizzazione del rigore imposta dal governo Monti, con i voti di Berlusconi e dello stesso Bersani). La surrealtà di questa sedicente sinistra prosegue nell’omaggio ricorrente a Romano Prodi, il super-privatizzatore dell’Iri che riuscì a passare da Palazzo Chigi alla Goldman Sachs, fino alla guida della Commissione Europea, cioè l’organismo che ha inflitto le maggiori sofferenze ai lavoratori europei. Al fantasma di Prodi, peraltro, si oppone quello del Cavaliere, che allatta agnellini per la gioia degli animalisti ed evoca spettacolari candidature securitarie, scomodando alti ufficiali dei carabinieri. Poi naturalmente c’è l’odiato Renzi, per il quale il male italico numero uno resta “la burocrazia” (infatti: il problema di Palermo è il traffico, dice Benigni nel film in cui interpreta il boss mafioso Johnny Stecchino). E i 5 Stelle? Lontani anche loro dalla zona rossa, quella del vero pericolo: il loro mitico “reddito di cittadinanza” lo finanzierebbero semplicemente “tagliando gli sprechi”, non certo bocciando i diktat di Bruxelles. Un quadro pittoresco, nel quale diventa comprensibile persino la sopravvivenza giurassica dello stesso D’Alema, così sbadato da non domandarsi perché l’Italia sia tanto in crisi, al punto da smettere di fare figli.Perché mai gli italiani non fanno più figli? Non se lo chiede, Massimo D’Alema, mentre ripropone tranquillamente il più classico teorema mondialista: il nostro futuro saranno i migranti, unica risposta all’impoverimento demografico del Belpaese, sempre più anziano e spopolato. L’ex segretario del Pds è stato un esponente di punta della classe dirigente italiana, in particolare di quella “sinistra post-comunista di governo” che supportò la grande cessione della sovranità nazionale dopo la caduta (per via giudiziaria) della Prima Repubblica. Eppure, alla televisione italiana già immersa nel clima politico della campagna elettorale, D’Alema parla dell’Italia come se fosse un turista distratto, e non l’uomo che sedette per due anni a Palazzo Chigi, peraltro vantandosi di aver realizzato il massimo volume possibile di privatizzazioni, un vero e proprio record europeo. Parla come un osservatore sbadato e impreciso, D’Alema, quando si limita a prendere atto che il bizzarro problema che affligge lo Stivale, da molti anni, è la crisi della natalità, il saldo negativo che rivela la decrescita costante della popolazione. Affrontare il male a monte, occupandosi degli italiani? Aiutarli a scommettere nuovamente sul futuro? Ma no, basta rimpiazzarli con un po’ di profughi africani. Per gli italiani, tuttalpiù, D’Alema ha in mente una cura innovativa e rivoluzionaria: reintrodurre l’imposta sulla prima casa.
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Sei scomodo al potere? Rischi l’accusa di molestie sessuali
«Ormai, cari maschi eterosessuali, siamo tutti potenziali molestatori sessuali, è inutile girarci intorno. E’ sufficiente che una donna, anche a distanza di anni, cambi idea». Scrive Fabrizio Marchi: basta che una donna che quel giorno ha fatto sesso con qualcuno dica è stata costretta, «e siamo fottuti». Perché, al di là del risvolto penale «si viene condannati a priori, esposti alla pubblica gogna e cacciati da qualsiasi contesto civile». In altre parole, sostiene Marchi, «se si vuole far fuori qualcuno in tempi brevissimi, il metodo più efficace è accusarlo di molestie sessuali: anche solo mediaticamente, non c’è neanche necessità di denunciarlo». Detto fatto, e «si viene immediatamente marchiati a fuoco e letteralmente cancellati dalla vita civile (in attesa dei risvolti penali)». Fino ad ora, osserva Marchi su “L’Interferenza”, questa tecnica è stata utilizzata per eliminare politicamente personaggi scomodi, sia pure per ragioni diverse, come Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, o Dominique Strauss-Kahn, già a capo del Fmi, candidato in pectore all’Eliseo al posto di Hollande, che fu una scelta di ripiego dopo, appunto, lo scandalo Dsk. Ora l’accusa seriale di molestie è esplosa nel mondo del cinema, ed è già iniziato un effetto-cascata. Attenzione, però: caduti i Vip, «vittime di questa forma di epurazione sociale», tra poco saremo tutti potenzialmente a rischio: «Del resto, quale modo migliore per eliminare il dissenso?».Al netto dei casi più drammatici, dove si sono avute molestie vere, secondo Marchi il più delle volte si celebrano processi sommari e mediatici, senza appello: «E’ sufficiente scaricare addosso al soggetto di turno una montagna di fango, accusandolo di quello che ormai è considerato – e non vuole essere una boutade – il reato più infamante, quello di essere un molestatore sessuale», peggio ancora se seriale. «Non è necessario produrre delle prove, è sufficiente la parola di una donna che dica che in realtà quel rapporto sessuale “consumato” in quella determinata occasione è stato da lei vissuto come una molestia, una costrizione, un condizionamento». Una cosa è certa, aggiunge Marchi: «Se si viene accusati di qualsiasi altro reato, anche molto grave, come corruzione, violenza fisica, rapina a mano armata, addirittura omicidio, non si viene sottoposti alla stessa gogna mediatica». E c’è anche la possibilità di uscirne bene, qualora si riesca a dimostrare la propria estraneità ai fatti: una volta riabilitato, c’è chi ha superato la tempesta, tornando a occupare un ruolo pubblico. «Al contrario, se si viene accusati di molestia o violenza sessuale, anche qualora si venisse assolti per non aver commesso il fatto, il marchio a fuoco non ce lo toglierà più nessuno e non si verrà mai più riabilitati e riammessi nella vita civile».Un destino segnato: lo dimostra la vicenda di Strauss-Kahn. «Assolto dall’accusa di violenza sessuale (è ormai evidente che si è trattato di una trappola per eliminarlo politicamente) è completamente sparito dalle scene». Termini di paragone? «In Cina per far fuori un dirigente politico o un manager bisogna accusarlo di corruzione: è quello il reato considerato più grave». In tutto l’Occidente, invece, la colpa più riprovevole è diventata senza dubbio la molestia sessuale, insiste Marchi. «E se qualcuno pensa di poter essere al riparo perché non appartiene all’upper class o agli ambienti Vip, si sbaglia di grosso», dato che proprio presso l’élite sociale sarebbe in voga questa “pratica”, magari per «ottenere vantaggi in sede giudiziale», tipo «affidamento dei figli, mantenimento della casa, alimenti, allontanamento dell’altro coniuge dai figli». La gran parte di queste accuse «si rivelano in un secondo momento essere false», scrive Marchi: «Non lo dico io, ma i numeri e le statistiche». Ma queste, aggiunge il corsivista, sono solo “prove tecniche di trasmissione”, perché questa formula «verrà presto utilizzata per colpire il dissenso». Lo stesso Assange è stato accusato «a scoppio ritardato» di violenza sessuale, da due donne, per aver fatto sesso senza profilattico, «cosa che per la legge svedese è considerato stupro: non esiste contesto forse più bacchettone di quello falsamente evoluto, ultrafemminista e ultralaicista svedese».Se quello del leader di Wikileaks è un caso eclatante, «possono esserci migliaia di “piccoli casi Assange”, soprattutto fra coloro che sottopongono a critica l’attuale ordine ideologico e sociale dominante», conclude Marchi. Uomo avvisato, mezzo salvato? Purtroppo no, aggiunge l’analista: «Non ci si può salvare dall’accusa di molestia sessuale, perché anche laddove la propria innocenza venisse riconosciuta, non sarebbe sufficiente e reintegrare nella società la persona falsamente accusata». Prima conseguenza, psicologica? Il diffondersi una crescente diffidenza: «Non resta che fare molta, moltissima attenzione a chi frequentiamo». Ma è evidente, dice Marchi, che questa situazione ha già generato un clima psicologicamente “terroristico”: «La relazione fra i sessi è già difficilissima, al giorno d’oggi, per tante ragioni. Ma è ovvio che questa campagna sistematica non potrà che renderla ancora più difficile e torbida». Per Marchi, si tratta di un’altra delle strategie del potere: strategia ultra-sofisticata perché camuffata, messa in campo dall’attuale sistema di dominio sociale «per esorcizzare, allontanare, disinnescare alla radice lo spettro, potenzialmente sempre presente, del conflitto di classe», cioè «il solo che le classi dominanti temono come la peste e che fanno di tutto per cancellare dall’immaginario comune».«Ormai, cari maschi eterosessuali, siamo tutti potenziali molestatori sessuali, è inutile girarci intorno. E’ sufficiente che una donna, anche a distanza di anni, cambi idea». Scrive Fabrizio Marchi: basta che una donna che quel giorno ha fatto sesso con qualcuno dica è stata costretta, «e siamo fottuti». Perché, al di là del risvolto penale «si viene condannati a priori, esposti alla pubblica gogna e cacciati da qualsiasi contesto civile». In altre parole, sostiene Marchi, «se si vuole far fuori qualcuno in tempi brevissimi, il metodo più efficace è accusarlo di molestie sessuali: anche solo mediaticamente, non c’è neanche necessità di denunciarlo». Detto fatto, e «si viene immediatamente marchiati a fuoco e letteralmente cancellati dalla vita civile (in attesa dei risvolti penali)». Fino ad ora, osserva Marchi su “L’Interferenza”, questa tecnica è stata utilizzata per eliminare politicamente personaggi scomodi, sia pure per ragioni diverse, come Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, o Dominique Strauss-Kahn, già a capo del Fmi, candidato in pectore all’Eliseo al posto di Hollande, che fu una scelta di ripiego dopo, appunto, lo scandalo Dsk. Ora l’accusa seriale di molestie è esplosa nel mondo del cinema, ed è già iniziato un effetto-cascata. Attenzione, però: caduti i Vip, «vittime di questa forma di epurazione sociale», tra poco saremo tutti potenzialmente a rischio: «Del resto, quale modo migliore per eliminare il dissenso?».
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E Dio salvò la regina (dal populismo della turbolenta Diana)
Alla fine di agosto di vent’anni fa, le cronache rosa del mondo si tinsero di nero: morì in un misterioso incidente stradale la star di quegli anni, Lady Diana Spencer. Già in vita Lady D. era circondata da un alone di simpatia e di sostegno mediatico, anche perché era vista come la donna che metteva in crisi i compassati protocolli e rituali della monarchia, si presentava come donna libera, principessa da favola e da rotocalco, ma anche da impegno umanitario e da crociate buoniste nel mondo. Per questo la sua morte tragica e precoce fu subito sospettata di essere stata un assassinio per levare di mezzo una bomba a orologeria per la monarchia britannica. In quei giorni e poi nelle indagini che seguirono, nella ridda di voci che si susseguirono riempendo le copertine dei settimanali e le prime colonne dei quotidiani, si ebbe la percezione che la monarchia inglese non sarebbe sopravvissuta al ciclone Diana. La regina Elisabetta pareva piegata sotto il fuoco degli attacchi e delle insinuazioni, il principe Carlo godeva di antipatia globale, aggravata poi dall’unione con Camilla; la monarchia era rimessa in discussione come un arnese anacronistico, ipocrita e crudele.E Lady D. diventava una specie di Mito Globale, affiancata a Madre Teresa di Calcutta; la sua morte fu vista come un atto di accusa alla Tradizione nel nome della libertà al femminile. Tralascio le storie e le dicerie sulla leggerezza di Lady D, sui suoi amori, sulle sue vicende che gettavano un’ombra di discredito sulla Corona e che rivelavano quanto lei fosse inadeguata al ruolo e agli obblighi che comporta. E mi soffermo invece sulle sue conseguenze: ripensando al lutto planetario per la sua morte, alla ricca letteratura pop che la celebrava come una santa, un’eroina e una martire del femminismo contro la tradizione e l’assurdo mondo dei re, noto che il tempo, alla fine, abbia mostrato la sua saggezza. Oggi quella vecchia regina che sembrava sulla via del declino se non della destituzione, è ancora viva e vegeta e ha festeggiato i 65 anni del suo regno, circondata da rispetto e simpatia. E quella vecchissima monarchia, che sembrava eclissarsi dietro le orecchie a sventola di Carlo, ha ritrovato una sua vitalità e un grande consenso.Di Lady D, e del suo alone romantico, è rimasta la simpatia trasferita sui figli e sui nipoti; ma stavolta la loro figura non sono viste fuori e contro la dinastia ma perfettamente dentro, integrate nel segno della monarchia e della continuità dinastica. Perché la gente ama la continuità, si affida alle tradizioni come alla paternità e alla maternità di un popolo, e ama la magnificenza, la lontananza, la regalità dei sovrani. Non solo perché ama sognare, e dunque nello splendore di una Casa Reale proietta i suoi sogni infantili e i suoi desideri di gloria. Ma perché vede riflessa in quell’immagine, in quei castelli da favola, in quelle residenze che vissero grandi eventi, quel filo di continuità con la propria storia, col passato di una nazione, di un impero, di una civiltà. Ciò non toglie nulla alla modernità, alla libertà e alla democrazia, ma li compensa, generando equilibrio tra novità e tradizione, tra popolo e sovranità, tra sacralità e profanità, tra rito e pratica quotidiana.Sulla questione Lady D. non sappiamo i veri contorni della vicenda, della sua vita e soprattutto della sua morte. Ma sappiamo che un’istituzione secolare, millenaria, non può piegarsi ai capricci e alle volontà pur comprensibili di una singola persona. Noblesse oblige, c’è un protocollo da rispettare, la regalità ha oneri e onori e tra i primi c’è quello di rinunciare ai suoi piaceri privati quando è in gioco la dinastia. Da principe godi di tanti privilegi ma devi sapere che quel che fai non risponde solo ai tuoi desideri e alle tue pur umane inclinazioni, ma rientra in un cerimoniale, in una simbologia, in una ritualità, in uno stile che danno il senso della regalità. La monarchia risponde a un altro metro, a un altro criterio rispetto alla leadership popolare. In una cerimonia pubblica, Re Luigi XVI di Borbone, il sovrano poi ghigliottinato dai rivoluzionari, doveva raggiungere l’altare allestito all’aperto ma cominciò a piovere a dirotto all’improvviso e il Re non volle bagnarsi, rinunciando a raggiungere l’altare. Quarantanni dopo, il re borghese Luigi Filippo d’Orleans in una cerimonia pubblica, rifiutò di essere riparato da un ombrello perché volle bagnarsi come i suoi sudditi. Col metro democratico moderno, condanniamo il primo ed elogiamo il secondo. Ma non si considera che un Re non può farsi vedere come uno qualunque, sotto la pioggia, magari con la parrucca e il trucco disfatti dall’acqua, reso quasi ridicolo nel suo sfarzo e nella sua solennità.Un Re deve mantenere il suo decoro, la sua regalità, e se non riesce a compiere la sua cerimonia conservando la sua immunità dai fattori climatici, è meglio che preservi la sua distanza. Luigi Filippo, invece, aveva già aperto le porte al presidenzialismo, alla democrazia repubblicana, se non al populismo. E pur di strappare il consenso e il plauso dei suoi sudditi si improvvisava uno di loro; ben sapendo però – e qui è l’ipocrisia delle monarchie borghesi e poi dei leader popolari – che re sarebbe rimasto a tutti gli effetti e con tutti i privilegi, magari quando non lo vedeva nessuno… Con Lady D e la Regina Elisabetta avvenne una cosa del genere: fece simpatia l’umanità di Lady D., la sua voglia di vivere, le sue trasgressioni, i suoi amori, il suo sguardo dolce da cerbiatto, il suo populismo mediatico con le sue performance progressiste. Ma la dignità di una storia, di una dinastia, di una tradizione furono salvaguardate dalla severa coerenza di una regina che regna sovrana ancora oggi. Dio salvò la Regina, non la turbolenta principessa.(Marcello Veneziani, “E Dio salvò la Regina”, da “Il Tempo” del 30 agosto 2017).Alla fine di agosto di vent’anni fa, le cronache rosa del mondo si tinsero di nero: morì in un misterioso incidente stradale la star di quegli anni, Lady Diana Spencer. Già in vita Lady D. era circondata da un alone di simpatia e di sostegno mediatico, anche perché era vista come la donna che metteva in crisi i compassati protocolli e rituali della monarchia, si presentava come donna libera, principessa da favola e da rotocalco, ma anche da impegno umanitario e da crociate buoniste nel mondo. Per questo la sua morte tragica e precoce fu subito sospettata di essere stata un assassinio per levare di mezzo una bomba a orologeria per la monarchia britannica. In quei giorni e poi nelle indagini che seguirono, nella ridda di voci che si susseguirono riempendo le copertine dei settimanali e le prime colonne dei quotidiani, si ebbe la percezione che la monarchia inglese non sarebbe sopravvissuta al ciclone Diana. La regina Elisabetta pareva piegata sotto il fuoco degli attacchi e delle insinuazioni, il principe Carlo godeva di antipatia globale, aggravata poi dall’unione con Camilla; la monarchia era rimessa in discussione come un arnese anacronistico, ipocrita e crudele.
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Caro Mattarella, io mi dimetto da italiano: siamo in sfacelo
Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.Dopo un’oculata riflessione, durata circa vent’anni ed iniziata con l’età della ragione, guardandomi intorno e facendo una precisa disamina di quanto accaduto, in particolare negli ultimi anni, non posso che confermare quanto scrittole nel primo paragrafo. Crisi economica, mancanza di aiuti agli italiani costretti in degenza economica, le continue pagliacciate da parte dei partiti istituzionali ed aziende sane capaci di fornire lavoro a migliaia di persone portate dallo Stato al fallimento. Questo lo scenario targato Italia 2017. Il governo mantiene e difende, esclusivamente, clandestini, extracomunitari ed immigrati. Chiunque, l’importante che non sia italiano. Il tutto mentre i giovani, figli di questa terra, sono costretti a scappare dal proprio paese. Lo fanno perché non sono tutelati e non hanno nessuna garanzia di trovare un impiego solido, capace di donare speranza nell’avvenire. Nel mentre gli anziani, dopo una vita spesa facendo sacrifici su sacrifici, vedono riconosciuta da questo Stato una pensione da miseria. Inoltre vogliamo parlare degli italiani costretti a dormire in macchina? Uomini e donne scaraventati fuori dal loro nido perché non possono più far fronte ad un mutuo, le banche li strangolano, oppure sfratti dagli alloggi popolari.In questo scempio, le forze dell’ordine sono costrette a lavorare senza nessun tipo di garanzia, trattati peggio dei delinquenti e utilizzando mezzi completamente obsoleti. Infine le famiglie costrette ancora nei container in attesa di un alloggio dopo i, vari, terremoti che hanno sconquassato lo stivale. Chiedere in Irpinia come vivono, a distanza di 37 anni, da quando la terra tremò lasciando le certezze un lontano ricordo. Senza dimenticare il livello vessatorio a cui sono arrivate le tasse nella nostra nazione. Gli esattori, inesorabili vampiri, pronti ad avventarsi sul nostro estenuante ed umile lavoro. Proprio per questi motivi decido di rifiutare la nazionalità italiana e di dimettermi dal ruolo di cittadino italiano. Dalla data odierna mi considero apolide e pertanto richiederò accesso agli aiuti dedicati ai cittadini stranieri residenti sul nostro territorio, oppure in attesa del permesso di soggiorno. Non voglio essere più italiano, quindi rinuncio a tale incombenza. Ci era rimasta un’unica arma a disposizione: il voto. Ormai, ritengo, inutile anche questa espressione democratica da parte dei cittadini. Le malefatte, trasversali, della nostra infausta classe politica – maggioranza, minoranza, sinistra, destra, centro e a stelle – mi rendono certo che nessuno, politicamente parlando, può invertire la rotta in cui l’Italia si è immessa.In questo marasma cito le parole di uno dei padri della patria, Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Divina Commedia di una nazione alla deriva. Per come la politica da seconda repubblica, in linea continua con la prima, agisce e rappresenta la nazione è opportuno e necessario voltargli le spalle. Si votassero da soli. Oppure si facciano votare da chi li ritiene adeguati e si riconosce nella loro cronica incapacità professionale e indegnità morale. Vent’anni in cui ci hanno tolto tutto, anche i sogni, quelli nostri e delle generazioni che verranno. Ci hanno rubato l’unico valore a cui tutti potevano accedere: la libertà. Mi assale e sprofondo in un indomabile senso di vergogna. Lottare? Sì, l’ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, ma purtroppo lottare in questo paese non porta a nulla concreto. Perché questo sistema ed il Dna del nostro popolo, opportunista e disunito, non vuole cambiare o cambierà solo davanti ad un pallone da calcio. La mia, sia chiaro, non è una resa, ma una presa di coscienza della situazione attuale. La lascio alle sue incombenze, citando un altro grande siciliano, Franco Battiato: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene. Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni. Questo paese è devastato dal dolore. Ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”.(Andrea Pasini, “Non voglio più essere un italiano”, dal blog di Pasini sul “Giornale” del 1° novembre 2017. Giovane imprenditore, Pasini gestisce il blog “Senza paura” sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti).Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia. In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano. Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me. Voglio restituire la mia carta d’identità. Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore. Sì, signor presidente, mi dimetto. Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano. Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato. Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere. Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore. Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano. Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.
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Dieudonné e le reti dell’orrore: bambini uccisi dai potenti
Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».Non è difficile mettere fuori gioco Dieudonné, che è «dichiaratamente antisemita». La stessa Francesconi premette: «Non condivido tutto quello che il comico sostiene sugli ebrei». Ma il punto è un altro: la questione non riguarda “gli ebrei”, o meglio i sionisti, ma i bambini. Spesso sequestrati, violati e abusati. Torturati, e infine “sacrificati”. «Durante i suoi spettacoli il comico francese ha parlato più volte dei bambini che vengono violati durante disgustosi rituali sessuali praticati dai “grandi” di questo mondo», avverte la blogger. Per cui, «vi è il legittimo sospetto che questa possa essere la vera ragione dell’interdizione dei suoi spettacoli». In particolare, Dieudonné si è occupato del caso dei fratelli Roche: un caso di malagiustizia che in anni recenti ha suscitato molto clamore in Francia e ha fatto venire allo scoperto le strette connessioni tra pedofilia e magistratura deviata. I due fratelli, Charles-Louis e Diane Roche, hanno denunciato il coinvolgimento di politici e magistrati francesi in pratiche pedofile “controiniziatiche”, a cui pare fosse legato anche il loro padre, il magistrato di Tolosa Pierre Roche. La rivelazione: il potere di una magistratura “nera”, incaricata di insabbiare le indagini e proteggere gli “orchi”, tutti insospettabili.Poco prima di morire di cancro, l’uomo aveva confidato ai figli il terribile segreto che per anni aveva custodito: l’esistenza di una costola deviata della magistratura, «il cui obiettivo segreto è di insabbiare tutte le inchieste e le indagini che provano l’esistenza delle reti pedocriminali e che tentano di fare luce sulle coperture istituzionali di cui i pedofili godono». Bingo: nel suo spettacolo, Dieudonné aveva ospitato uno dei due fratelli, Charles-Louis, «che ha potuto esprimersi liberamente in una sorta di monologo durante il quale ha denunciato i loschi traffici di cui è a conoscenza e in cui pare fosse implicato anche il padre». Il comico ha bollato senza mezzi termini le reti pedofile dell’orrore, definendole «reti sataniste», a capo delle quali vi sarebbe un «gruppo segreto», meglio conosciuto come «élite mondialista». Che cosa ha rivelato di così destabilizzante per i poteri occulti il figlio del defunto magistrato Pierre Roche? Durante lo spettacolo di Dieudonné, «Charles-Louis ha testimoniato sulle confessioni fattegli dal padre che riguardavano i crimini di cui si era macchiato durante l’esercizio della sua carica».In particolare, in punto di morte, Pierre Roche avrebbe «rivelato al figlio di aver partecipato a delle orge nella regione di Tolosa, in compagnia di altre personalità francesi altolocate». Durante queste orge «i partecipanti abusavano di prostitute, di vagabondi rapiti per strada e di bambini». Attenzione: erano «orge che finivano sempre con l’uccisione rituale delle piccole vittime, dopo averle sottoposte a ogni tipo di tortura». Federica Francesconi definisce quelle atroci serate «cerimonie controiniziatiche». Un’allusione precisa: viene chiamato “contro-iniziato” un soggetto che abbia ricevuto un’iniziazione esoterica (per esempio massonica) e che poi faccia un uso distorto, capolvolto, delle conoscenze che gli sono state trasmesse. Per la massoneria democratico-progressista sono “contro-iniziati” gli uomini del massimo potere, aderenti a superlogge internazionali che nei fatti rinnegano gli ideali della stessa tradizione massonica (libertà, uguaglianza, fratellanza) per “pervertire” in senso neo-oligarchico l’ordine mondiale, retto da una casta più o meno occulta di super-potenti, assolutamente reazionari, contrari cioè ai diritti, al benessere e al progresso del 99% della popolazione.Per alcuni di essi si tratta di una vera e propria forma di religione, scrive Gianfranco Carpeoro nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, in cui illustra la dottrina ottocentesca del marchese Saint-Yves d’Alveidre: in base alla teoria della “sinarchia”, l’élite (“illuminata” per auto-elezione) ha il diritto-dovere di governare le masse, visto che il popolo – rozzo e ignorante – non avrebbe gli strumenti per decidere da sé. In altre parole, la democrazia è una bestemmia. E proprio allo svuotamento sostanziale della democrazia si è dedicata l’élite eurocratica, che secondo Dieudonné è anche rigorosamente pedofila. Uccidere un bambino mediante un sacrificio rituale significa “uccidere” il futuro che non ti piace, quello degli altri, al tempo stesso propiziando il tuo: lo sostiene Giuseppe Genna, tra le pagine del romanzo “Nel nome di Ishmael” che svela una realtà abominevole: quella dell’omicidio “rituale” dei bambini, abusati dai pedofili, come viatico “magico” per sanguinosi attentati politici organizzati dall’oligarchia tramite settori deviati dei servizi segreti. Un incubo, simile a quello descritto da Charles-Louis Roche nello spettacolo di Dieudonné. E quelle orge francesi, dice il figlio del giudice, erano quasi sempre filmate, «verosimilmente per ricattare a vita i partecipanti», ne deduce la Francesconi.«I partecipanti alle serate orgiastiche erano tutti membri della massoneria deviata francese la quale, tramite i filmati, teneva sotto scacco i suoi affiliati per obbligarli a lasciarsi manovrare nell’esercizio dei rispettivi ruoli pubblici», aggiunge la blogger. «La testimonianza dei due fratelli Roche è molto importante perché per la prima volta, tramite i suoi figli, un notabile, uno dei membri di questi gruppi occulti che governano i sistemi istituzionali di quasi tutti gli Stati, viola il voto di segretezza e omertà a cui è obbligato per rivelare al mondo i segreti inconfessabili dell’élite satanista». La terribile ricostruzione è proposta anche da un documentario su Dieudonné ripreso da YouTube. Il documento conferma che Charles-Louis Roche ha approfittato dell’ospitalità del comico per rendere pubblica la testimonianza del genitore, e quindi denunciare l’esisternza delle «reti dell’orrore» delle quali padre, magistrato di alto grado, è stato membro, prima di morire. O meglio: «Prima di essere assassinato», si afferma, sostenendo che il giurista non sarebbe morto in modo naturale. E dai media «silenzio totale», visto che gli organi di stampa «eseguono gli ordini».Secondo Charles Louis-Roche, l’ideologia del gruppo cui aveva appartenuto il padre «consiste in un progetto culturale, a cominciare dalla legge, dalla morale e dalla discendenza che ha come scopo la violazione, la tortura e la morte di bambini di età compresa tra i pochi mesi di vita e i 10 anni». Ne parla anche la sorella, Diane Roche: «Reti pedofile, sataniste e mafiose all’interno delle quali dei bambini vengono filmati e contemporaneamente torturati, violati e uccisi». Nello spettacolo di Dieudonné, Charles-Louis Roche ha dichiarato che il padre gli aveva rivelato che a tali reti pedofile «appartengono esponenti del mondo della politica, gli editori, la finanza, i medici». Quali sono le attività di questi circoli? «Consistono nell’organizzare serate estreme, alcune delle vere e proprie rappresentazioni teatrali, che sono di due tipi». Il primo tipo consiste in una “storia della pesca di Cristo”, forse un rituale controiniziatico: «Per festeggiare la Natura, la serata degenera nel sadomasochismo e nel consumo di stupefancenti, che servono per aumentare il piacere dei partecipanti e che costituiscono un doppio premio». Vengono utilizzate anche prostitute e ragazze provenienti da famiglie disagiate: «Sono le candidate ideali per sparire senza lasciare traccia».E chi sarebbero i protettori di queste reti pedofile? Charles-Louis Roche elenca i nomi di 71 magistrati francesi attualmente in carica: li definisce «corrotti» e sostiene che facciano «esattamente ciò che il potere politico ordina loro di fare». Dentro a queste reti esisterebbe un metodo comune di dissuasione, per evitare che troppe verità scomode vengano divulgate. «Questo metodo – denuncia il documentario – consiste nell’ostacolare e nel ricorrere a minacce molto dissuasive per ridurre al silenzio grandi uomini come Dieudonné, il belga Marc Vervloesem ed altri, che hanno rivelato alcune verità e che quindi costituiscono per questi mostri, questi assassini di bambini, un pericolo». Costoro avrebbero «minacciato di rapire i figli di Dieudonné, che ha contribuito a denunciare queste reti pedofile sataniche». Aggiungono gli autori del video: «Sono perfettamente al corrente che Dieudonné conosce l’esistenza di queste reti pedofile, che ha contribuito a denunciare». Si parla di personaggi potentissimi e protetti da impunità assoluta: «Sono coloro che attualmente detengono il potere sulla Terra». Le chiavi del potere, per loro, sarebbero «l’adorazione di Moloch, una delle rappresentazioni di Lucifero simboleggiato da un gufo o da una civetta», nonché il più prosaico «controllo privato della moneta».«Secondo i loro precetti satanici – continuano i documentaristi francesi – l’adorazione del diavolo deve manifestarsi attraverso rituali e cerimonie che coinvolgono bambini, rituali che si rivelano alla presenza di alcuni simboli che li rappresentano». Il filmato accusa in particolare un prestigioso avvocato di origine ebraica, Alain Jacubowicz, che avrebbe minacciato Dieudonné, invitandolo (sinistramente) a «ridere bene con i suoi figli». Jacubowicz è il presidente della Licra, la Lega antirazzista francese, specializzata nella lotta contro l’antisemitismo, che «ha fatto di Dieudonné il bersaglio preferito di una diffamazione mediatica imbastita per screditare il comico e le sue denunce pubbliche contro i poteri occulti», scrive Federica Francesconi. «Jacubowicz è anche colui che ha difeso il B’nai B’rith e il Concistoro israelita durante i processi “Barbie”, “Touvier” e “Papon”, criminali e torturatori nazisti che durante la Seconda Guerra Mondiale si resero responsabili dell’uccisione di migliaia di ebrei». Il B’nai B’rith è un’associazione ebraica di stampo massonico, mentre il Concistoro israelita è l’istituzione rappresentativa degli ebrei di Francia.Quindi Jacubowicz è uno dei massini rappresentanti della comunità ebraica francese, «ma non un personaggio esattamente limpido se, come denunciato da Dieudonné, in un’aula del tribunale, davanti a decine di persone, ha minacciato di nuocere ai suoi figli pronunciando quell’inequivocabile frase dal sapore satanista», aggiunge Francesconi: “ridere bene coi propri figli” può essere un’allusione ai riti infernali di chi “ride” uccidendo bambini? «Ma si sa: a certi personaggi è permesso dire di tutto», aggiunge Francesconi. Certi big «godono dell’immunità pressoché integrale della magistratura», quindi non temono che il loro prestigio sociale possano essere scalfito. «E’ curioso che pochi mesi prima della strage del presunto commando jihadista contro la redazione di Charlie Ebdo, in Francia un disegnatore satirico, Plantu, sia stato assolto in un processo che lo vedeva accusato di incitamento all’odio religioso e alla violenza», aggiunge la blogger, dopo aver disegnato in una vignetta l’allora pontefice Benedetto XVI nell’atto di sodomizzare un bambino. Palntu era stato assolto: quella vignetta «era soltanto una denuncia dell’omertà e del silenzio dei vertici ecclesiastici sul fenomeno sommerso della pedofilia nella Chiesa», e non già un atto di accusa indiscriminato contro tutti i cattolici. «Peccato che la stessa libertà di espressione non venga riconosciuta anche a Dieudonné, forse perché, a differenza di Plantu, punta il dito contro l’onnipotente e tentacolare comunità ebraica? A voi la risposta».Fate tacere quel comico: svela l’esistenza di reti di pedofili satanisti dietro i massimi vertici del potere. E’ il caso del controverso Dieudonné, nome completo M’bala M’bala, umorista francese di origine camerunense, balzato anche in Italia agli onori delle cronache per il suo presunto antisemitismo dopo la strage di Charlie Hebdo. Mesi prima era finito nelle indagini della magistratura francese, che aveva ordinato il boicottaggio del suo spettacolo “Il muro” nei teatri delle più importanti città. Durante lo show, scrive Federica Francesconi sul blog “La strage degli innocenti”, Dieudonné «denunciava apertamente le reti dei pedofili che agiscono in Francia indisturbate grazie alle coperture della classe dirigente del paese». Dopo la circolare emanata dal ministero dell’interno, che imponeva lo stop allo spettacolo che il comico avrebbe dovuto recitare in tutta la Francia, i teatri transalpini gli hanno revocato uno dopo l’altro il permesso andare in scena. «Alcuni movimenti e gruppi hanno denunciato l’intervento delle autorità francesi come un vero e proprio attacco alla libertà di espressione sancita dalla Costituzione». A preoccupare i censori erano «le rivelazioni che Dieudonné aveva fatto durante i suoi show satirici sull’esistenza in territorio francese di radicate e pericolosissime reti pedofile».
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Barnard: petrolio in Yuan, verso la guerra atomica Usa-Cina
Ho appena scritto, all’inizio di un articolo, che il vero pericolo nucleare è la contrapposizione fra i due Imperi, quello al tramonto e quello nascente, Usa & Cina. Vi ho scritto in passato che l’annuncio del governo di Pechino, nell’ottobre del 2015, di rifondare l’Impero cinese lungo l’antica Via della Seta con un investimento di 900 miliardi di dollari, aveva portato quella contrapposizione a limiti frenetici. Vi ho scritto pochi giorni fa che la Cina di nuovo pompa sulla fibrillazione atomica annunciando il progetto di sbancare l’intero mondo con la Artificial Intelligence ad occhi a mandorla, precisamente per affossare ancor di più gli americani. Oggi, a distanza di poche ore, i media hanno sparato un’altra mossa di Pechino che va dritta come un aculeo sul nervo scoperto del dente del Leone Usa: la Cina lancerà dei contratti cosiddetti Futures per acquistare petrolio ma pagando in Yuan, la moneta cinese, e non coi classici dollari. Booom! Tradizionalmente il petrolio è prezzato proprio in dollari secondo il valore dei Futures del greggio Brent o del greggio West Texas Intermediate. E di più: chi venderà alla Cina petrolio potrà avere l’opzione di cambiare gli Yuan in oro puro sugli exchange di Shanghai e di Hong Kong, quindi sarà molto scoraggiato dal cambiare gli Yuan in dollari. Ohi!La Cina è il maggior importatore di petrolio del pianeta, un cliente non trascurabile, no. Questa mossa non solo fa tremare il dollaro come valuta di riserva mondiale – e già questo avvicina il dito del pazzoide Trump al bottone rosso – ma fa anche molto di ‘peggio’ dal punto di vista degli Yankees: permette alla Russia e all’Iran, strozzati da sanzioni occidentali, di esportare oceani di petrolio alla Cina bypassando il dollaro con tanto di dito medio a Washington. E questo… ‘ohhhh boy!’ si dice in americano, cioè il nostro ‘cazzzzi amariiii!’. Ma ancora peggio. Se la mossa cinese avrà successo col petrolio, Pechino di certo estenderà l’offerta di pagare con lo Yuan convertibile in oro (nuova valuta di riserva mondiale?) ad altre fondamentali materie prime, le cosiddette Commodities, sbancando sostanzialmente il mondo economico. Non lo dico scherzando: nell’amministrazione Trump ci deve essere della gente con le palle di ghiaccio per non aver già sganciato la bomba.Se, come detto, già nel 2015 il progetto imperiale della Cina aveva portato le tensioni Usa-Pechino a 1 milione di Terawatt, immaginate le sberle di Cina-A.I., Cina che indebolisce le sanzioni contro i russi e gli iraniani, e probabile Yuan-valuta di riserva mondiale come stanno stracciando i nervi al Pentagono e alla Casa Bianca. Vi ricordo che mesi fa pubblicai, documenti di Stato alla mano, la smentita della nozione secondo cui un presidente americano non può da solo premere il bottone nucleare. Certo che può. E oggi abbiamo Trump. E la Cina se ne fotte e affonda sempre più l’aculeo nel nervo scoperto del dente del Leone. Non dico che la terza guerra mondiale scoppierà giovedì della prossima settimana, ma vi dico questo: ancor di più, non fateli sti poveri bimbi. Fidatevi. Play it cool.(Paolo Barnard, “Cosa vi avevo detto? Un altro passo gigante verso l’atomica boom”, dal blog di Barnard del 25 ottobre 2017).Ho appena scritto, all’inizio di un articolo, che il vero pericolo nucleare è la contrapposizione fra i due Imperi, quello al tramonto e quello nascente, Usa & Cina. Vi ho scritto in passato che l’annuncio del governo di Pechino, nell’ottobre del 2015, di rifondare l’Impero cinese lungo l’antica Via della Seta con un investimento di 900 miliardi di dollari, aveva portato quella contrapposizione a limiti frenetici. Vi ho scritto pochi giorni fa che la Cina di nuovo pompa sulla fibrillazione atomica annunciando il progetto di sbancare l’intero mondo con la Artificial Intelligence ad occhi a mandorla, precisamente per affossare ancor di più gli americani. Oggi, a distanza di poche ore, i media hanno sparato un’altra mossa di Pechino che va dritta come un aculeo sul nervo scoperto del dente del Leone Usa: la Cina lancerà dei contratti cosiddetti Futures per acquistare petrolio ma pagando in Yuan, la moneta cinese, e non coi classici dollari. Booom! Tradizionalmente il petrolio è prezzato proprio in dollari secondo il valore dei Futures del greggio Brent o del greggio West Texas Intermediate. E di più: chi venderà alla Cina petrolio potrà avere l’opzione di cambiare gli Yuan in oro puro sugli exchange di Shanghai e di Hong Kong, quindi sarà molto scoraggiato dal cambiare gli Yuan in dollari. Ohi!
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Ma senza ideologie (oneste) subiamo l’unica rimasta, la loro
Sono ormai decenni che in rete vi parliamo del fatto che questo liberismo sfrenato, ammantato del portato positivo di un concetto di cui tutti si appropriano per i fini più disparati, la “libertà”, era solo un modo per togliervi i diritti faticosamente accumulati dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, dalla rivoluzione industriale in poi. Un modo di rimettervi le catene e legarle nuovamente ai neo schiavisti che tutto hanno a cuore tranne il rispetto della vita, soprattutto di quella umana. Sono decenni che ve lo si dice in tutti i modi, ma voi niente. Volete cambiare lo smartphone ogni sei mesi, volete andarvi a comperare le bottiglie di vino anche alle due di notte, volete (anzi dovete) fare la spesa la domenica perché gli altri giorni siete sequestrati dal caposquadra della nave negriera a remare fino allo stremo delle forze, volete le fragole e le more a gennaio e le arance a luglio, rinunciate all’essenziale ma non al superfluo che vi pagate a rate. Rinunciate persino alla vostra vita, pur di vivere quella degli altri, la sera, a pagamento (si intende).Lo sapevate, ma alla fine vi siete fatti convincere lo stesso che la famiglia è un vincolo, che le tradizioni sono un ostacolo, che la religione è per gli ignoranti, che i confini sono inutili, che le razze sono un’illusione, che le ideologie sono pericolose, che i sessi non esistono, che studiare non serve, che imparare a memoria è sterile, che l’edonismo, il protagonismo e il voyuerismo sono valori, che competere è un dovere, che è perfettamente normale ricomprarvi la salute che vi tolgono assumendo medicinali a vita. Vi siete fatti togliere tutto quello che faceva di voi esseri umani, e avete continuato a votare sempre le stesse persone che vi stavano lentamente consegnando alla casta predatoria, come lotti di schiavi ceduti all’ingrosso: qualche milione di italiani all’asta della Fornero, qualche altro milione all’asta con il Job Act di Renzi, mentre le scudisciate di Monti sfessavano la vostra capacità di opporvi (loro la chiamano “distruzione della domanda interna”).E adesso siete soli. La famiglia non c’è più, è un disvalore. Avete permesso che venisse svilita e spezzata, e ora che al posto dell’acqua avete solo un atomo di ossigeno e due di idrogeno, vagate nel nulla alla ricerca di un legame qualunque, per poi lamentarvene. Eppure era proprio il legame familiare la prima roccaforte che vi difendeva dall’assalto dei barbari invasori. Perché le famiglie si difendono, al loro interno. E per meglio riuscirvi, si alleano con altre famiglie, creano gruppi di interesse, associazioni di quartiere, si uniscono nel nome di un bene superiore, quell’anelito alla trascendenza senza il quale tutto perde di significato. L’amore che le unisce vuole essere rivendicato e pretende di avere il tempo di esprimersi compiutamente. Sì, la famiglia era la più grande minaccia per i proprietari degli allevamenti intensivi di esseri umani.E così, con la celebrazione del rito quotidiano individualistico, e con la riduzione dell’esistenza, operata dallo scientismo, a mera relazione di causa effetto misurabile con il microscopio, tutti i valori, i simboli, i principi, le idee superiori, cioè il carburante di cui brucia ogni scatto di orgoglio, ogni anelito di dignità, si sono progressivamente inariditi, fino a restare un pallido riflesso, una leggenda metropolitana che rivive nei colossal storici alla Spartaco, che non a caso da un lato ci emozionano, dall’altro ci appagano, come se tenessimo di più al destino di qualche centinaia di schiavi vissuti duemila anni fa, piuttosto che al nostro e a quello dei nostri figli.E dopo avervi tolto ogni scudo, ogni difesa, ogni faro cui guardare, nella speranza di riceverne un’indicazione, un conforto che rinvigorisse il desiderio di combattere, dopo avere cioè distrutto ogni riferimento culturale che potesse dare un senso alla ribellione, ora stanno scassinando l’ultima serratura che ancora, in maniera pur dubbia e riformabile, si frappone tra i lupi e gli agnelli, cioè tra le sfrenate élite di capitalisti del globalismo finanziario-speculativo e voi, piccoli lavoratori, il cui ideale più elevato che vi è concesso coltivare è cercare di far quadrare i conti a fine mese, mentre il famoso 1% che ora vuole tenervi in coma farmacologico con il reddito di cittadinanza si gode una vita dal tenore per voi inimmaginabile, disponendo di risorse illimitate al punto da poter essere sprecate infinite volte. Vi stanno cioè togliendo anche le ultime protezioni che potevano garantirvi i sindacati, entrati nel mirino delle marionette della politica ormai da qualche anno.Smantellare i sindacati, senza sostituirli con fortificazioni più efficienti, è l’ultimo passo per avervi totalmente alla loro mercé, come miliardi di formiche impazzite sotto alla percussione pianificata delle possenti zampe dell’elefante globale. E così, mentre le pecore inneggiano all’uccisione del cane pastore, su istigazione dei lupi che nel frattempo si apparecchiano ad un luculliano banchetto, sotto ai nostri occhi ormai accadono cose che avrebbero fatto inorridire i nostri padri, prima ancora dei nostri nonni, ma che a noi sembrano quasi normali, perché il valore della vita è stato completamente svuotato e sostituito con il concetto vuoto della produttività. Non si lavora più per vivere, si vive per lavorare, affinché altri possano vivere senza lavorare. E se osi metterlo in discussione, vieni immediatamente calpestato dalle zampe dell’elefante. Tanto possono farlo, perché sei rimasto solo. Sei stato talmente stupido da farti convincere che “soli” era meglio.È quello che accade ormai dappertutto, e se non ci credete leggete quello che sta succedendo adesso all’Outlet Mc Arthur Glen di Castel Romano, nel servizio del “Manifesto”. Ci sono mamme costrette a lavorare sempre, domeniche comprese. Tutte le domeniche. E siccome osano accordarsi per fare una turnazione in modo che, almeno una domenica sì e quattro no, possano stare a casa con i loro bambini, con la loro famiglia, vengono trasferite a 50 chilometri di distanza o sono costrette ad andarsene, mentre capi senza scrupoli, senza cuore e forse ancora meno consapevoli della loro condizione, rispondono alle mamme imploranti che «bisogna scegliere tra lavoro e famiglia», e ai responsabili aziendali della Calvin Klein è concesso dire impunemente che «la linea dell’azienda è questa. La domenica si lavora, sempre. E basta. E non mi parlate di sindacati perché io non li considero neanche».Questo è il progresso che volevate? Questa è la libertà che desideravate? Essere liberi di scegliere se farvi sfruttare come africani nelle piantagioni di cotone dei secoli scorsi, oppure restare senza lavoro e senza il latte per i vostri figli? E tutto per cosa? Perché qualche ricco turista cinese e russo possa spruzzarsi le ascelle sudate con l’ultimo profumo Calvin Klein? Altro che “le ideologie sono superate“! Qui vanno recuperate, e anche in fretta, perché con la storiella del sogno americano, che tutti possono diventare miliardari e dunque se non lo diventano è solo colpa loro, abbiamo partorito mamme che non importa quanto siano brave sul lavoro: non potranno mai, mai e poi mai andare a vedere i loro bambini tirare calci ad un pallone la domenica mattina. Guardate l’orologio: che ora è? Quanto manca prima che li mandiate tutti affanculo?(Claudio Messora, “Quanto manca prima che li mandiamo tutti affanculo?”, dal blog “ByoBlu” del 20 ottobre 2017).Sono ormai decenni che in rete vi parliamo del fatto che questo liberismo sfrenato, ammantato del portato positivo di un concetto di cui tutti si appropriano per i fini più disparati, la “libertà”, era solo un modo per togliervi i diritti faticosamente accumulati dalle generazioni dei nostri padri e dei nostri nonni, dalla rivoluzione industriale in poi. Un modo di rimettervi le catene e legarle nuovamente ai neo schiavisti che tutto hanno a cuore tranne il rispetto della vita, soprattutto di quella umana. Sono decenni che ve lo si dice in tutti i modi, ma voi niente. Volete cambiare lo smartphone ogni sei mesi, volete andarvi a comperare le bottiglie di vino anche alle due di notte, volete (anzi dovete) fare la spesa la domenica perché gli altri giorni siete sequestrati dal caposquadra della nave negriera a remare fino allo stremo delle forze, volete le fragole e le more a gennaio e le arance a luglio, rinunciate all’essenziale ma non al superfluo che vi pagate a rate. Rinunciate persino alla vostra vita, pur di vivere quella degli altri, la sera, a pagamento (si intende).
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Grazie alla Lorenzin, vi opererà un robot da 3 milioni di euro
Sono al telefono ogni giorno con i Mostri (quando i media mi pagavano ci sarei andato di persona, sorry). Chiamo prefisso 001+ e parlo con le Start Ups americane che fanno A.I., ma soprattutto i robot chirurgici del presente e del futuro. Quelli del futuro saranno in A.I. quantistica, cioè rispetto a quelli di oggi un salto come dire dalla ruota di pietra allo Space Shuttle. Sto su questo tema perché nella devastazione di Tech-Gleba la salute è il lato più orripilante (poi vi dirò cosa gli chiedo e come mi rispondono. Interesting, man, very very cool shit). Ma voglio ora darvi una prospettiva, a voi persone della vita di tutti i giorni. Lo sapete, vero?, che la Lorenzin sta tagliando in sanità anche l’erba delle aiuole degli ospedali, quando ci sono. Ho già citato le graffettatrici chirurgiche made in Cina a Torino e che ti si disfano in pancia. Mi scrive un chirurgo toracico da Palermo, e mi dice che lavorano sostanzialmente coi mezzi di un ‘Curandero’ del Mozambico, ecc. ecc. sappiamo bene, è così dappertutto nelle Ausl.Oggi un portavoce di Vinci robot Usa, uno dei colossi mondiali della robotica in sanità, mi ha detto col suo languido accento della Louisiana che un loro singolo robot chirurgico di vecchia generazione costerebbe a una Ausl italiana queste cifre: 3 milioni di euro per il robot, 170.000 euro all’anno di manutenzione, 3.200 euro in costi opertivi ogni volta che lo accendono per un intervento. Questo, ripeto, per un singolo robot chirurgico e neppure uno dei più complessi (settore chirurgia ginecologica), di vecchia generazione. Calcolate che un Policlinico come quello di Padova o di Bologna dovrebbe essere stipato di questi robot per ogni specialità dove il bisturi deve intervenire. Dottore, sei online? fammi i calcoli, eh?Ho poi chiesto al portavoce di Vinci robot: «Ma quando butterete sul mercato i robot chirurgici con A.I. e computer quantistici a servizio, per cui all’équipe chirurgica e manutentori si dovranno aggiungere fior for di fisici e di software code-makers strapagati e col vincolo del segreto industriale, cosa verranno a costare i vostri robot chirurgici per salvare, per esempio, la mia vita all’Ausl di Bologna?». L’accento del mieloso, afoso sud Usa si trasforma di colpo in un professionale New York style bite: «Non posso commentare». Fine dialogo. Think. Non fate figli.(Paolo Barnard, “Barnard parla ai mostri, e intanto vi dà una prospettiva”, dal blog di Barnard del 28 settembre 2017).Sono al telefono ogni giorno con i Mostri (quando i media mi pagavano ci sarei andato di persona, sorry). Chiamo prefisso 001+ e parlo con le Start Ups americane che fanno A.I., ma soprattutto i robot chirurgici del presente e del futuro. Quelli del futuro saranno in A.I. quantistica, cioè rispetto a quelli di oggi un salto come dire dalla ruota di pietra allo Space Shuttle. Sto su questo tema perché nella devastazione di Tech-Gleba la salute è il lato più orripilante (poi vi dirò cosa gli chiedo e come mi rispondono. Interesting, man, very very cool shit). Ma voglio ora darvi una prospettiva, a voi persone della vita di tutti i giorni. Lo sapete, vero?, che la Lorenzin sta tagliando in sanità anche l’erba delle aiuole degli ospedali, quando ci sono. Ho già citato le graffettatrici chirurgiche made in Cina a Torino e che ti si disfano in pancia. Mi scrive un chirurgo toracico da Palermo, e mi dice che lavorano sostanzialmente coi mezzi di un ‘Curandero’ del Mozambico, ecc. ecc. sappiamo bene, è così dappertutto nelle Ausl.