Archivio del Tag ‘fascismo’
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Italiani buoni a nulla, così l’Ulivo ci ha svenduto ai tedeschi
Si chiama “foreign dominance”, dominio esterno: a partire dal Trattato di Maastricht, attraverso l’adesione all’euro e la direzione politica dell’Ulivo di Romano Prodi, ha decretato il declino dell’Italia, come nel Seicento. Il paese è nelle mani di potentati stranieri, in questo caso tedeschi, che stanno letteralmente deindustrializzando il paese, gettandolo in una crisi senza uscita. E’ la tesi di un economista di prestigio come il professor Giulio Sapelli: «La politica economico-monetaria dell’Ulivo ha disarmato le menti e, nel mentre, ha armato nuove classi economico-politiche cosmopolite (i Padoa Schioppa ne sono l’esempio più sconcertante), a cominciare dai Ciampi e dai Draghi e per finire con i Monti, costruiti dai quotidiani e dai poteri situazionali di fatto filo-teutonici e anti-Usa, che già Gramsci aveva ben descritto, seguendo Machiavelli e parlando del “cosmopolitismo”, ossia del servilismo internazionale degli intellettuali italiani». Abbiamo a che fare con «ragionieri del mondo, affascinati dal mito umiliante che narra che gli italiani nulla san far da sé e hanno quindi bisogno, per bene agire, di choc esterni: l’ordoliberalismus teutonico appunto, mito che in qualsivoglia altra nazione farebbe sfidare a duello colui che accusa il suo interlocutore di sostenere tale tesi».Si dovrà fare la storia dell’Ulivo che ne affronti la teoria economica prevalente, scrive Sapelli in un’analisi su “Il Sussidiario”. La politica monetaria intrapresa con Maastricht? «Va inserita nella specificità della vicenda monetaria italiana che è sempre stata – come sappiamo – determinata da un’oscillazione e da un intreccio continuo tra “fiscal dominance” e “foreign dominance”». Sapelli sgombra il campo da un presupposto “mitologico” come quello dell’indipendenza delle banche centrali dal Tesoro («per dipendere da chi, se non dalle burocrazie o dalle euroburocrazie spartite in basi a criteri di potenza nazionale?»). Problema che «non incide sui temi della “foreign dominance”», non è determinante. «Ciò che è e fu determinante a partire dai tempi dell’Ulivo (sino a oggi) è il fatto che l’indipendenza delle banche centrali europee dell’Eurozona e quindi dell’Italia fu lo strumento più idoneo allorché si ritenne di potere e voler fare la volontà della nazione accettando, anzi, invocando, il dominio estero sulle nostre scelte di politica monetaria ed economica non in una condizione di condivisione ma, invece, di crescente sottrazione di sovranità».La tesi di Sapelli è che proprio l’Ulivo «ha rappresentato l’acme della “foreign dominance” e l’ha reso pressoché irreversibile – almeno nel breve periodo – con l’entrata nell’euro e quindi con la definitiva perdita della sovranità monetaria». Ciò che è stata una delle fasi della “foreign dominance”, ossia l’egemonia tedesca sul sistema economico e su quello monetario in primis italiano grazie all’Europa a dominazione germanica, è ormai divenuta una delle caratteristiche della stessa nazione italiana, continua Sapelli. Non ne ucsiremo, «se l’Europa non muterà volto», ossia se non si riscriverà il Trattato di Maastricht e non cadranno tutti i suoi presupposti: «Essi hanno condannato alla decadenza l’Italia, come fu nella crisi del Seicento. I mezzi furono diversi, gli esiti saranno e già sono assai simili: de-industrializzazione, depauperamento del capitale umano con la sua emigrazione da un lato e la sua emasculazione emotiva dall’altro».In parallelo, scontiamo anche la “fiscal dominance”, cioè il ruolo del Tesoro nella creazione monetaria. «Determinare la quantità di moneta e dei tassi d’interesse – scrive Sapelli – è un compito che rimane nelle mani della politica e delle istituzioni finanziarie: oppongono il principio di gerarchia a quello di mercato e allocano le risorse in questo con sistematica prevalenza». In questo senso, «il ruolo del mercato è subalterno e sottoposto al controllo politico anche in un contesto internazionale che può renderlo difficile. Ma questa è stata fondamentalmente la condizione in cui l’Italia si è trovata a operare per la sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro durante tutta la sua storia sino ai primi anni Novanta del Novecento. Proprio gli anni in cui inizia l’esperienza dell’Ulivo». Una storia «contrassegnata da una diversità della “foreign dominance” anche in condizioni ben precedenti l’Ulivo», cioè sin dai tempi di Cavour, «passando per il predominio inglese e francese e poi quello tedesco che fu decisivo per la creazione del sistema bancario italiano e per inverare poi durante il fascismo paradossalmente il predomino nordamericano, con un ruolo decisivo esercitato dalla banca Morgan». Oggi, l’attuale assetto è presentato come non riformabile: dall’Ulivo in poi comanda “l’Europa”, e l’Italia affonda.Si chiama “foreign dominance”, dominio esterno: a partire dal Trattato di Maastricht, attraverso l’adesione all’euro e la direzione politica dell’Ulivo di Romano Prodi, ha decretato il declino dell’Italia, come nel Seicento. Il paese è nelle mani di potentati stranieri, in questo caso tedeschi, che stanno letteralmente deindustrializzando il paese, gettandolo in una crisi senza uscita. E’ la tesi di un economista di prestigio come il professor Giulio Sapelli: «La politica economico-monetaria dell’Ulivo ha disarmato le menti e, nel mentre, ha armato nuove classi economico-politiche cosmopolite (i Padoa Schioppa ne sono l’esempio più sconcertante), a cominciare dai Ciampi e dai Draghi e per finire con i Monti, costruiti dai quotidiani e dai poteri situazionali di fatto filo-teutonici e anti-Usa, che già Gramsci aveva ben descritto, seguendo Machiavelli e parlando del “cosmopolitismo”, ossia del servilismo internazionale degli intellettuali italiani». Abbiamo a che fare con «ragionieri del mondo, affascinati dal mito umiliante che narra che gli italiani nulla san far da sé e hanno quindi bisogno, per bene agire, di choc esterni: l’ordoliberalismus teutonico appunto, mito che in qualsivoglia altra nazione farebbe sfidare a duello colui che accusa il suo interlocutore di sostenere tale tesi».
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L’Isis in Kosovo, come volevano gli Usa (complice l’Italia)
Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.Una terra non appartiene solo a chi la abita in quel momento, ma è anche frutto delle generazioni che l’hanno vissuta e lavorata in precedenza facendone ciò che è. Era quindi una questione che indipendentisti kosovari e Serbia avrebbero dovuto risolversi fra loro. Che c’entravano gli Usa che stanno a 10mila chilometri di distanza? Ma siccome essi hanno interessi geopolitici dappertutto, anche sul più sperduto atollo, convocarono sotto la loro guida una Conferenza di pace a Rambouillet. Le condizioni poste alla Serbia (molto invisa anche perché era rimasto l’ultimo paese paracomunista in Europa) erano tali che Belgrado non avrebbe dovuto rinunciare solo alla sovranità sul Kosovo, ma anche su se stessa. E i serbi, già defraudati della vittoria conquistata sul campo di battaglia in Bosnia (perché, sul terreno, sono i migliori combattenti del mondo e si deve alla loro resistenza alla Wermacht quel ritardo di tre mesi che fu fatale a Hitler, perché ritardò il suo attacco all’Urss e così le truppe di Von Paulus si scontrarono col Generale Inverno che aveva già sconfitto Napoleone – questo merito storico bisognerebbe riconoscerglielo, qualche volta) dissero di no.Allora gli americani, con alcuni servi fedeli fra cui l’Italia (gli aerei partivano da Aviano), violando il principio del diritto internazionale – fino ad allora mai messo in discussione – della non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano (e con questo precedente è ora difficile bacchettare la Russia perché si è intromessa in Ucraina a difesa degli indipendentisti russi di Crimea e di altre zone russofone), bombardarono per 72 giorni una grande e colta capitale europea come Belgrado facendo 5500 morti, fra cui molti di quegli albanesi che pretendevano di difendere. E, poiché da sempre bombardano “’ndo cojo cojo”, colpirono anche l’ambasciata cinese. Princìpi a parte, abbiamo finito per favorire la componente islamica dei Balcani, quella che oggi provoca le isterie Fallaci-style.Gli Usa però almeno un piano ce l’avevano: costituire una striscia di musulmanesimo moderato (Albania + Bosnia + Kosovo) in appoggio a quella che allora (oggi molto meno) era la loro grande alleata nella regione, la Turchia. Ma sbagliarono anche quella volta i calcoli: oggi i musulmani dei Balcani sono assai meno moderati, molti stingono nello jihadismo e la Turchia sta via via abbandonando l’assetto laico di Ataturk per un regime sempre più confessionale. Ma particolarmente stolida fu la partecipazione dell’Italia a quell’aggressione. Perché noi con i serbi non abbiamo mai avuto alcun contenzioso (l’abbiamo avuto semmai con i croati che fascisti erano e fascisti sono rimasti). Abbiamo anzi un legame storico che risale ai primi del Novecento. A quell’epoca si pubblicava a Belgrado un quotidiano che si chiamava Piemonte, perché i serbi vedevano nell’Unità d’Italia un modello per raggiungere la loro. Inoltre il ‘gendarme’ Milosevic, checché se ne sia detto e scritto, era, almeno dopo la pace di Dayton, un fattore di stabilizzazione nei Balcani. Ridotta ora la Serbia ai minimi termini, in Kosovo, Bosnia, Macedonia, Montenegro e Albania sono concresciute grandi organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari sporchi nel paese ricco più vicino, l’Italia.Quando a “Ballarò”, presente Massimo D’Alema, dissi che la guerra alla Serbia oltre che illegittima era stata cogliona, l’ex premier – che guidava il governo all’epoca dell’intervento non fiatò. Ma io a “Ballarò” non ci ho più rimesso piede. Ma l’avventurismo yankee nei Balcani ci ha lasciato un altro regalo, il più gravido di conseguenze: ora, per i contraccolpi dell’aggressione alla Serbia del ‘99, gli uomini del Califfo li abbiamo sull’uscio di casa, mentre gli Usa se ne possono fregare perché c’è l’oceano di mezzo. Eppoi almeno qualcosa hanno ottenuto: oggi in Kosovo c’è la loro più grande base militare. Non è poco visto che, in giro per il mondo, ne hanno una settantina.(Massimo Fini, “Il Califfo in Kosovo, grazie a Usa e Italia”, da “Il Fatto Quotidiano” del 18 febbraio 2016).Adesso si scopre che in Kosovo (come in Bosnia e in Albania) c’è una forte presenza jihadista. Ma guarda, chi avrebbe mai potuto immaginarselo? Come sempre, come per l’Afghanistan, la Somalia, la Libia e l’Egitto, si dimentica il pregresso, lo si sottace pudicamente o, nella migliore delle ipotesi, si sorvola. Chi nel 1999, senza il consenso dell’Onu, anzi contro la sua volontà, aggredì la Serbia ortodossa guidata da Slobodan Milosevic? Gli americani. Che c’entravano gli americani? Niente. Si trattava di una questione interna allo Stato serbo, dove si trovavano a confronto due ragioni: quella dei kosovari albanesi che nei decenni precedenti erano diventati maggioranza e avevano creato un movimento indipendentista (peraltro foraggiato e armato dagli Usa e che, come ogni resistenza, non disdegnava l’uso del terrorismo) e quella della Serbia a mantenere l’integrità dei propri confini e un territorio storicamente suo da secoli. Oltretutto il Kosovo, dopo la battaglia di Kosovo Polje del 1389, era considerato “la culla della patria serba”.
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Duff: uno di questi pagliacci dominerà gli Usa (e il mondo)
Ho appena finito di farmi una barba lunga così ascoltando Mitt Romney e Donald Trump. Cominciamo allora dal livello di assurdità che li distingue: ai tempi della guerra in Vietnam sono stati entrambi degli spregevoli renitenti alla leva. Nel corso della loro vita hanno avuto entrambi dei forti legami con il crimine organizzato. Hanno entrambi ereditato le loro fortune personali, poi incrementate fregando gli altri. Affrontiamo inoltre un’altra verità a lungo dimenticata: il Gop è interamente gestito da Sheldon Adelson, un boss del gioco d’azzardo di Macao, con una storia di cui non possiamo cominciare a discutere sperando poi di poter entrare in una macchina senza l’aiuto di una squadra di artificieri. Ad aiutarli ci sono i ‘gemelli malvagi’, i fratelli Koch, dei mostri indescrivibili. Guidano il Partito Repubblicano e possono evitare di essere considerati come ‘criminalità organizzata’ solo perché sono più grandi e potenti del tradizionale ‘crimine organizzato’, oltre che molto più pericolosi.Mentre la gente è costretta a saccheggiare i propri risparmi, sono proprio queste bestie [Adelson, i Koch …] e i politici che esse controllano – sono 350 i membri del Congresso e 22 i governatori di cui tirano le fila, assieme ai cartelli della droga, alle compagnie petrolifere e a Wall Street – ad essere i veri terroristi: sono essi stessi l’Isis, Al-Qaeda, l’incarnazione stessa della guerra. Puntare il dito contro Hillary o George Soros è semplice … sono dei bersagli molto facili, lo ammetto. Sono i pianificatori delle vicende di Bengasi, i sostenitori di Boko Haram, di al Qaeda e dell’Isis. Tuttavia, se vogliamo ‘crescere’ e porci delle domande difficili, chiediamoci perché la tronfia ‘principessa neocon’ [Victoria Nuland], moglie di uno dei fratelli Kagan, fu ‘consacrata’ alla distruzione dell’Ucraina proprio da Hillary Clinton. I ratti stanno spolpando l’Ucraina mentre i politici fascisti che a loro fanno capo, con l’aiuto di una ben orchestrata ‘crisi dei profughi’, stanno prendendo l’Europa dal basso.Prendetevi i 6 minuti e 27 secondi che sono necessari e sedetevi su una sedia a guardare il video del “South Front”. Cominciate a pensare alla situazione del mondo intero e al fatto che, mentre stiamo spingendo la Russia verso la bancarotta e la Cina verso la guerra, i nostri ‘salvatori’ dovrebbero essere proprio questi pagliacci. Mi piace veramente tanto ascoltare Trump. Quello che posso dire è che ha un’intelligenza di basso livello, che è un personaggio tutto sbagliato ed essenzialmente la caricatura di se stesso: il cartone animato di un cartone animato. Tuttavia, vale il doppio di Mitt Romney ed è una specie divinità se comparato a Kasich, a McCain o a Jeb Bush. Romney crede veramente di potersi infilare nella corsa alla presidenza e c’è un motivo se può nutrire questa speranza. Il Gop sta alimentando il ‘Dipartimento di Giustizia’ con dei propri files su Trump. Romney, inoltre, sembrerebbe un candidato perfetto, affidabile, con la sua abbronzatura scintillante e i suoi abiti sempre un po’ troppo attillati.Mi ricordo di G. W. Bush e della sua enorme tuta antiproiettile, adatta a coprire il suo grosso sedere e le sue spalle strette: un tentativo per bilanciare il suo sguardo, compreso fra quello di uno scimpanzé e quello del ‘Gollum’ [un personaggio del “Signore degli Anelli”]. Romney, invece, ha un aspetto esteriore veramente bello e, dopo aver ascoltato il discorso di Trump, il suo commento ‘in ginocchio’, comincio a pormi un paio di domande al riguardo di Trump. Ma poi, di nuovo, in una nazione governata da pedofili, l’idea di mettere in discussione la natura di qualsiasi relazione fra adulto e adulto – o fra essere umano ed essere umano, se quest’ultimo termine è più chiaro – viola i veri standard morali dell’America, per come essi sono nella realtà. Nel 2012 alcuni amici dell’Fbi vennero a trovarci nella nostra sede, portando con loro la prova della complicità di Romney con la criminalità organizzata, con il traffico di droga – assieme al suo partner Carlos Salinas – e infine i contratti clandestini che aveva stipulato con Castro ed il ‘Kgb’. Le registrazioni di quelle interviste sono su YouTube.Qualunque sia la mia opinione su Trump, è un ‘capo’ e ha le spalle ben al di sopra della gente del Gop. Ha introdotto un nuovo livello di chiarezza nel discorso politico americano. Il solo problema è che molto di quello che dice è poco considerato, una conseguenza del suo convulsivo modo di parlare, generato da quello che posso solo immaginare sia un caso di ‘sindrome da deficit di attenzione’. Non credo, comunque, che intenda esprimere, nella realtà, le cose folli che gli escono di bocca ed è senz’altro molto meno ‘pericoloso’ di quanto possa sembrare. Anch’io credo che non sia in possesso delle capacità amministrative e dell’energia personale che possano metterlo davanti al ‘pacchetto’ [dei candidati repubblicani alla presidenza]. Per quanto riguarda i democratici, in questo momento è Hillary la favorita. A meno che non venga uccisa, sarà lei il presidente. Il suo programma di politica interna è eccezionale ma, per quanto riguarda la politica estera, è chiaro che lei è ‘gestita’ da una ‘forza nascosta’ che non ama molto gli Stati Uniti.E’ molto doloroso doverlo dire, in particolare per chi come me è sempre più anziano e non è ancora uno stupido integrale. Mi ricordo di Ike, di Nixon e di Reagan. Dei rospi velenosi che avrebbero dovuto essere strangolati nella culla, ma che tuttavia erano lontani mille miglia da ‘W’ [Bush], la più grande mostruosità umana della nostra epoca, di qualsiasi nazione e di qualsiasi specie. Il rischio reale, con Trump, è che nessuno lo può comprare e che lui non condivide i sogni del resto del Gop, capace solo di blandire i ragazzini e ballare al fianco di Tony Scalia, in una gioiosa esaltazione dell’Angelo della Luce [Lucifero]. “Veterans Today” è per la maggior parte un club di bravi ragazzi ma, per quanto riguarda le pubblicazioni, lo staff di Vt è composto più da ‘Bar Fighters’ [combattenti da bar] che da ‘Bible Thumpers’ [coloro che considerano la Bibbia uno strumento per attaccare gli altri e non la guida per una vita corretta]. Ci sono delle verità in quello che stiamo dicendo, per la memoria di cui siamo portatori e che speriamo di condividere con tutti gli altri, mettendo gli orologi indietro fino all’epoca di presidenti ormai morti da molto tempo, come Roosevelt, Truman, Ike e gente simile, come ad esempio il primo ministro Churchill.Ma siamo ormai arrivati al momento della ‘ricreazione’ pomeridiana, del football consumato ‘out of the box’. Il pipistrello si è liberato dai legacci e ha messo fuori la testa, sul campo di gioco. Alcuni ragazzi sono rimasti indietro, giocano al ‘salto della corda’ con le ragazze sviluppando quelle capacità che altri vorrebbero aver guadagnato. Altri invece si sono attaccati alle gonne delle insegnanti in attesa del suono della campanella, che consentirà loro di tornare alla sicurezza e al calore delle loro scrivanie. Sono proprio quest’ultimi, coloro che non hanno mai fatto una scelta, che non hanno mai battuto troppi sentieri, sono proprio costoro i nostri leader nazionali. Se guardiamo ai candidati del Gop, a Jeb, a Kasish, a Cruz, a Rubio o a Trump, anche a Romney, ebbene sono proprio loro ‘quei ragazzi’, quelli di cui ci eravamo scordati e che sono riapparsi nella nostra vita come una vile pugnalata alle spalle, con le loro facce che sorridono alle organizzazioni criminali. Ditemi voi se mi sto sbagliando.(Gordon Duff, “Solo una goccia d’intelligenza”, da “Veterans Today” del 3 marzo 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Veterano del Vietnam, Duff è un prestigioso analista internazionale, molto popolare anche sui media).Ho appena finito di farmi una barba lunga così ascoltando Mitt Romney e Donald Trump. Cominciamo allora dal livello di assurdità che li distingue: ai tempi della guerra in Vietnam sono stati entrambi degli spregevoli renitenti alla leva. Nel corso della loro vita hanno avuto entrambi dei forti legami con il crimine organizzato. Hanno entrambi ereditato le loro fortune personali, poi incrementate fregando gli altri. Affrontiamo inoltre un’altra verità a lungo dimenticata: il Gop è interamente gestito da Sheldon Adelson, un boss del gioco d’azzardo di Macao, con una storia di cui non possiamo cominciare a discutere sperando poi di poter entrare in una macchina senza l’aiuto di una squadra di artificieri. Ad aiutarli ci sono i ‘gemelli malvagi’, i fratelli Koch, dei mostri indescrivibili. Guidano il Partito Repubblicano e possono evitare di essere considerati come ‘criminalità organizzata’ solo perché sono più grandi e potenti del tradizionale ‘crimine organizzato’, oltre che molto più pericolosi.
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Tredici aquile morte, per il giudice Scalia morto il giorno 13
Tredici aquile americane stranamente trovate morte poco dopo la scomparsa del mitico giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, baluardo dei conservatori ma integerrimo difensore del potere centrale dello Stato federale. Si chiama proprio Federalsburg – nome che sembra evocare il governo federale – la località del Maryland dove sono stati ritrovati i volatili. L’aquila di mare dalla testa bianca, detta anche aquila calva, è il simbolo araldico della nazione. In più le aquile morte sono 13, ed esattamente il giorno 13 (febbraio) si è spento l’alto magistrato, alle soglie degli 80 anni. E’ morto vicino a Shafter, in Texas, dove soggiornava in vista di una battuta di caccia. Animali, dunque: il giudice si apprestava a ucciderne, ma è deceduto prima di poter sparare; in compenso, altri animali – quelle aquile – sono “piovuti dal cielo”, fulminati: non cinque o dieci, ma proprio 13. Ce n’è abbastanza per scatenare la caccia all’ipotetico messaggio segreto contenuto in queste straordinarie “coincidenze”. Maurizio Blondet vi scorge una minaccia rivolta a Donald Trump, temutissimo da super-oligarchi come Soros e Murdoch, schierati con la Clinton. Altri, come Micheal Snyder, temono che la combinazione simbolica possa alludere all’imminente “morte” degli Stati Uniti.In un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, Snyder ricorda che l’aquila dalla testa bianca è l’animale “nazionale” degli Usa, rappresentato sul “Great Seal”, lo stemma ufficiale usato per certificare i documenti del governo federale. Attenzione poi al numero 13, che simboleggia proprio la morte, nel codice esoterico “praticato” dagli ambienti iniziatici di stampo massonico-crowleyano, in cui nomi, date e numeri non sono mai casuali. Tredici è anche il numero di Stati che in origine ratificarono la Costituzione degli Stati Uniti, e il Maryland era uno di questi. Conseguentemente, scrive Snyder, c’è chi suggerisce che la morte di queste 13 aquile sia un segno che la dipartita del giudice della Corte Suprema possa rappresentare l’inizio della fine anche per la Costituzione degli Stati Uniti, se non addirittura «la morte di tutta l’America». La notizia della strana strage di volatili non è sfuggita ai media mainstream: “Nbc News” ricorda che si tratta della più grande moria di aquile calve che mai abbia avuto luogo nel Maryland nel corso degli ultimi trent’anni. Un animale super-protetto: l’uccisione di anche un solo esemplare può essere punita con una multa da centomila dollari.Snyder insiste sulla sinistra ricorrenza numerica: sono 13 le colonie originali americane, così come il numero delle strisce sulla bandiera Usa. In un articolo per “Charisma News”, Ricky Scaparo dettaglia alcuni significati del numero 13 che risalgono all’antichità. Nimrod, il potente cacciatore che si era “posto davanti al Signore” (aveva cercato di prenderne il posto – Genesi 10:9), era il 13° nella linea genealogica di Cam, uno dei tre figli di Noè sopravvissuti al diluvio. Tredici, inoltre, sono i governi creati dagli uomini che, ispirati da Satana, si ribellarono all’Eterno. L’espressione “valle di Hinnom” è citata nella Sacra Scrittura 13 volte: la valle fu teatro dei riti diabolici ispirati al dio pagano Moloch, adorato dai Fenici, che comprendevano il sacrificio di bambini. Nell’Apocalisse (rivelazione), «il drago, simbolo di Satana, viene citato 13 volte». Per San Paolo (“Lettera ai Romani) i peccatori hanno 23 caratteristiche, e la tredicesima li qualifica come “nemici di Dio”.Ma anche il dollaro americano ha il numero 13 incorporato dappertutto, continua Snyder: sono 13 i gradini sulla piramide del “Great Seal”, e sempre 13 le lettere in “Annuit Coeptis”, la frase che sovrasta la scritta “novus ordo seclorum”: unendo le due frasi si ottiene “novus ordo seclorum annuit coeptis”. «Sono molte le ipotesi sulla traduzione di questa frase latina», annota Snyder: «Si va da “un nuovo ordine mondiale arride agli iniziati” a “un nuovo ordine mondiale, la divinità ha acconsentito”, o anche “si annuncia la nascita di un nuovo ordine mondiale”, oppure “una nuova era arride agli iniziati”». Ma non è tutto: sono 13 le strisce sullo scudo posto al di sopra dell’aquila, e ancora 13 le stelle al di sopra dell’aquila. Sono sempre 13 anche le lettere che compongono il motto nazionale americano “E pluribus unum”, cioè “da molti, uno soltanto”. E ancora: sono 13 le frecce nell’artiglio sinistro del volatile araldico. A queste, corrispongono le 13 le foglie e i 13 i frutti sul ramo d’ulivo nell’artiglio destro dell’aquila americana.«Non ho tutte le risposte, ma credo che siamo davanti ad un segnale molto importante per gli Stati Uniti», conclude Snyder. «La situazione era incredibilmente desolante anche prima della morte di Scalia. Il nostro paese sta morendo ogni giorno un po’ di più e i segnali sono ben visibili attorno a noi». C’è di che preoccuparsi? «Credo che dovremo affrontare momenti peggiori di quelli che il paese abbia mai visto fino ad ora». Per Wikipedia, il giudice Scalia era considerato un pilastro dell’ala conservatrice della Corte Suprema. Di origini siciliane, ha sempre aderito alla dottrina dell’interpretazione originaria della Costituzione. A differenza di altri suoi colleghi conservatori, ha mantenuto un punto di vista a favore del potere nazionale e di un esecutivo forte. Scalia, ricorda Roberto Festa sul “Fatto Quotidiano”, era stato nominato da Ronald Reagan nel 1986, primo italo-americano a far parte della Corte. Nato a Trenton nel 1936, cresciuto a New York, aveva iniziato la sua carriera legale nell’amministrazione Nixon.«Secondo Emendamento, finanziamento della politica, commercio, aborti, matrimoni gay, ruolo del potere esecutivo: non c’è campo della giurisprudenza e della società Usa dove Scalia non abbia fatto sentire la sua voce», ricorda il “Fatto”. Scalia era celebre per lo stile caustico di molte sue prese di posizione e sentenze. Contrarissimo al propagarsi dell’ideologia gender: lo scorso giugno, in occasione della legalizzazione dei matrimoni gay, aveva detto che i giudici «hanno preso posizione nella guerra culturale», e previsto effetti disastrosi anche su altre aree della morale e della sessualità. Dotato del gusto per la battuta tagliente, Scalia era un nemico del politically correct. Di recente, aveva dichiarato che gli studenti afroamericani potevano trovare giovamento nel frequentare «università meno prestigiose». Altrettanto importante, ricorda sempre Roberto Festa, è stato il suo ruolo nel 2013, quando la Corte ha scardinato alcune delle norme-chiave della legge che tutela il diritto di voto dei neri. «E centrale è stata la sua voce nella battaglia all’Obamacare e nella sentenza che dà il via libera ai finanziamenti alla politica da parte delle grandi multinazionali».Sempre secondo Festa, la morte improvvisa di Scalia complica seriamente i disegni dei repubblicani, in vista della corsa per la Casa Bianca. Oggi, la Suprema Corte è in assoluta parità: 4 giudici progressisti contro 4 conservatori. Storicamente, la Corte ha contribuito a orientare la società americana in un senso piuttosto che in un altro. «La Warren Court, quella presieduta da Earl Warren tra il 1953 e il 1969, allargò in modo drammatico i diritti civili, sindacali, politici. In anni più recenti, la Corte guidata da William Rehnquist ha invece sostenuto quella “rivoluzione conservatrice” che da Reagan in poi ha toccato gran parte della società». Scalia, sottolinea il “Fatto”, era anche una pedina essenziale nella campagna che gli Stati a guida repubblicana vogliono scatenare alla Corte Suprema per neutralizzare una serie di leggi invise ai repubblicani: la riforma sanitaria, appunto, e poi gli ordini esecutivi di Obama sull’immigrazione, l’aborto, la legge Dodd-Frank che rende più severe le regole per l’industria finanziaria. E ancora, quella che tutela le specie a rischio di estinzione: come l’aquila calva?«Chi è attento a cogliere i “segni” ha messo in relazione la morte delle 13 aquile con la morte del giudice», scrive Maurizio Blondet nel suo blog, «e mai erano state trovate morte d’un colpo 13 aquile calve. Per di più, vicino alla cittadina di nome Federalsburg». Impossibile, per Blondet, non ricordare che gli àuguri traevano segni sul destino di Roma dal volo degli uccelli, aquile o corvi. «Un malaugurio per la Federazione?». Blondet ipotizza che il “messaggio” sia rivolto direttamete all’outsider Donald Trump, che gli oligarchi repubblicani (che hanno perduto Scalia) temono, in quanto non omologato al loro sistema di dominio. Molto prima dell’avvento di Trump, l’Italia sperimentò – con Berlusconi – la comparsa di un nuovo tipo di capo «populista, miliardario e mediatico, che il popolo ha votato in funzione anti-establishment». Del resto, lo stesso Mussolini «anticipò Hitler», e i fascismi europei di quegli anni «furono imitatori di quello italiano». Come sappiamo, «la storia si è ripetuta in forma di farsa», ma Berlusconi «non ha capito quello che la storia voleva da lui». E Trump? Cosa penserà di quelle 13 aquile calve, ritrovate dopo la morte del giudice Scalia il giorno 13?Tredici aquile americane stranamente trovate morte poco dopo la scomparsa del mitico giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, baluardo dei conservatori ma integerrimo difensore del potere centrale dello Stato federale. Si chiama proprio Federalsburg – nome che sembra evocare il governo federale – la località del Maryland dove sono stati ritrovati i volatili. L’aquila di mare dalla testa bianca, detta anche aquila calva, è il simbolo araldico della nazione. In più le aquile morte sono 13, ed esattamente il giorno 13 (febbraio) si è spento l’alto magistrato, alle soglie degli 80 anni. E’ morto vicino a Shafter, in Texas, dove soggiornava in vista di una battuta di caccia. Animali, dunque: il giudice si apprestava a ucciderne, ma è deceduto prima di poter sparare; in compenso, altri animali – quelle aquile – sono “piovuti dal cielo”, fulminati: non cinque o dieci, ma proprio 13. Ce n’è abbastanza per scatenare la caccia all’ipotetico messaggio segreto contenuto in queste straordinarie “coincidenze”. Maurizio Blondet vi scorge una minaccia rivolta a Donald Trump, temutissimo da super-oligarchi come Soros e Murdoch, schierati con la Clinton. Altri, come Micheal Snyder, temono che la combinazione simbolica possa alludere all’imminente “morte” degli Stati Uniti.
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Katherine Frisk: il Diavolo veste Prada e siede in Vaticano
Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.Non crede nella democrazia e certamente non nelle strutture democratiche di una Repubblica. Sostiene il monopolio, la tirannia politica, l’egemonia e le strutture di tipo gerarchico. I suoi Tribunali sono delle ordalie [il ‘giudizio di Dio’] e non dei luoghi dove i testimoni, sotto la propria responsabilità, possono parlare liberamente. Negli ultimi 1.000 anni il Vaticano si è sempre posto l’obiettivo di fagocitare la Russia, che invece è rimasta cristiano-ortodossa – a dispetto dell’invasione comunista finanziata dai banchieri di Wall Street – e non ha ceduto alla dittatura del Papa né alla sua pretesa di possedere tutto il pianeta, con tutti i suoi corpi e tutte le sue anime. Una Chiesa Apostolica basata su tutti i suoi dodici discepoli – e non del solo Pietro, che è l’unica persona che la Bibbia considera al livello di Satana – è più in linea con il concetto di Federazione di Stati, di Repubblica e di democrazia.Gli spagnoli, ai tempi dell’Inquisizione e dell’ascesa dei Gesuiti, hanno esplorato e colonizzato il Nuovo Mondo, in particolare il Sud America. Nel 20° secolo, in tutto il Continente, abbiamo regolarmente assistito alla soppressione della volontà popolare per mezzo delle violente dittature fasciste, con la ‘mano nascosta’ della Cia, forzata dal Vaticano, a svolgere un ruolo di primo piano. C’è ancora chi sta cercando di divorarsi la Russia – oggi come negli ultimi 1.000 anni – ma c’è anche chi ha preferito trasferirsi, poco a poco, nei paesi del Sud America, portando con sé le sue ricchezze. Queste persone hanno anche generato – utilizzando le ampie risorse del Vaticano – un Nuovo Ordine Mondiale, prototipo del fascismo corporativo, sotto l’egida degli accordi per il Tpp [Trans Pacific Partnership] e per il Ttip [Transatlantic Trade and Investment Partnership]. Il Vaticano, che una volta era il loro ‘pane-e-burro’, si è ora ampliato trasformandosi in quello che è conosciuto come il ‘Vampire Squid’. Una piovra costituita da multinazionali i cui tentacoli abbracciano tutto il mondo.Sotto il regime del Tpp e del Ttip le multinazionali diventeranno esse stesse, analogamente al Vaticano, una specie di Stato, con i loro Tribunali segreti, le loro immunità diplomatiche ed il loro status di aziende esentasse. Avranno gli stessi diritti e gli stessi poteri dei governi. Potranno anche citarli in giudizio per le perdite di reddito conseguenza di Leggi da loro emanate sulla remunerazione del lavoro, sulla sanità e sull’ambiente …. in realtà su qualsiasi Legge governativa che le multinazionali vedessero come un ostacolo alla loro redditività. La Nobiltà Nera, i Gesuiti, gli Illuminati ed i Banchieri Sionisti cambieranno come camaleonti … anzi, lo hanno già fatto. Sono diventati gli Amministratori Delegati delle multinazionali e si sono liberati con successo degli stati-nazione, dei troni sui quali una volta erano seduti, degli altari che una volta servivano come sacerdoti ed infine delle Banche Centrali che un tempo controllavano. Scusate ragazzi, ma il cavallo è già scappato dalla stalla.Negli ultimi 500 anni hanno rubato tutto l’oro che potevano e l’hanno immagazzinato in impianti privati di cui non si sa nulla, lasciando i paesi di tutto il mondo con ‘sistemi bancari centrali’ ormai pressoché defunti, in bancarotta. Il Vaticano diventerà una ‘chiesa povera’ semplicemente perché tutta la sua ricchezza ha già da tempo lasciato l’Italia, insieme a tutto l’oro che era nelle sue catacombe, alle sue opere d’arte e alla sua biblioteca. Oggi, tutto ciò che si vede in Vaticano è una replica. Il ‘vero potere’ del Vaticano ha da tempo lasciato libero l’edificio. Ora siede nei Consigli d’Amministrazione, traccia e pianifica la piena attuazione del Tpp e del Ttip e, se incontra delle difficoltà lungo la strada, scatena ‘rivoluzioni colorate’, tsunami, terremoti e siccità, per convincere le varie nazioni a rientrare nei ranghi. Si tratta, fra l’altro, di crimini contro l’umanità che dovrebbero essere affrontati in un ‘Tribunale di Diritto Internazionale’. I suoi responsabili dovrebbero essere indagati, processati e condannati.Avendo fallito in almeno tre occasioni di prendersi la Russia – Napoleone e le due Guerre Mondiali, ma anche la guerra in Ucraina del 2014 e i patetici tentativi degli anni ’90, attuati attraverso delle guerre economiche – [il vero potere] ha ora deciso di scaricare l’Europa nel suo complesso, per approdare nei più salubri climi del sud del mondo. E, come al solito, farà in modo che tutto questo sembri colpa di qualcun altro. In ogni caso è questo il loro piano. Da qui il finanziamento di Soros ai ‘profughi’ diretti in Europa e la promessa fatta ai wahabiti [sauditi] che la fallita invasione [a suo tempo tentata] dall’Impero Ottomano potrà ora aver luogo. I musulmani saranno chiamati invasori, colonizzatori … e saranno la causa principale della distruzione della società europea per come la conosciamo. Ma le cose potrebbero risultare del tutto diverse da come [il vero potere] se le aspetta.Per gli europei la soluzione migliore, se vogliono sopravvivere, è di chiudere le frontiere, rifiutare di firmare il Ttip e poi andare verso Est unendosi all’Aiib [Asian Infrastructure Investment Bank] e ai Brics. Si tratta di un ‘caval donato’, non stiano a ‘guardare in bocca’. Dovrebbe tenere la Monsanto fuori dall’Europa e rimandare i ‘profughi’ da Soros con un biglietto di sola andata! Egli è così ricco che potrà senz’altro accoglierli, nutrirli e vestirli. Egli li ha finanziati, in primo luogo, perché potessero andare in Europa …. ed allora rimandateglieli indietro. Dopo secoli di tirannia del Vaticano gli europei diventeranno liberi. Dite ciao alla Nobiltà Nera, ai Gesuiti ed ai banchieri sionisti perché stanno imbarcandosi su aerei diretti in Sud America. Vi siete liberati di loro. Mille anni di persone inviate al rogo sono stati veramente troppi. Papa Francesco ha fondamentalmente chiuso bottega e il Vaticano è ormai un guscio vuoto. Lui non calza scarpe Prada e sta dando una rappresentazione del ruolo che contrasta con quella di Papa Benedetto, che sedeva su un Wc dal coperchio d’oro. Ma il suo è solo fumo negli occhi, baby!Polonia, Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono già svegliate. Si muovono verso Est ed hanno gettato nella discarica le politiche di Bruxelles. Questi paesi sono stanchi di essere usati ed abusati, di essere scaraventati in mezzo a guerre che hanno attraversato e distrutto il Continente, mentre coloro che le hanno istigate se ne vanno via con le tasche piene, dopo aver devastato le popolazioni. L’Ungheria, nella sua saggezza, ha bruciato i campi Ogm della Monsanto e ha sradicato questa multinazionale dal paese. Seguirà presto il resto dell’Europa. L’Ucraina Orientale diventerà uno Stato indipendente. La Polonia e l’Ungheria reclameranno quello che originariamente era il loro territorio e la giunta nazi-sionista di Kiev resterà isolata in un piccolo Stato. Chi è che ha bisogno di quei mostri? Il mondo intero, nel 2014, ha visto i loro barbari stupri, le loro ruberie ed i loro saccheggi. La Germania andrà presto verso Est, così come la Francia.Per quanto riguarda la Spagna, il paese è ancora legato al Sud America da un cordone ombelicale, analogamente alla Nobiltà Nera e a quello che una volta era il Vaticano, ma ora solo il grande ‘Vampire Squid’. Chissà come andrà a finire? La Turchia sta scavandosi la tomba con le proprie mani, minacciando la Russia nel nord della Siria. Dovesse persistere, il paese sarà suddiviso tra Armeni, Curdi e Cristiani Ortodossi d’Occidente. Quello che sarà lasciato alla Turchia sarà solo un territorio di lieve entità. Mi aspetto anche che Costantinopoli e la Basilica di Santa Sofia siano restituite alla Grecia, paese cui appartengono. E così l’Apocalisse sarà compiuta. Questo è quello che, a torto o a ragione, son riuscita a capire. Io sono solo una donna [nel senso di ‘essere umano’] e mi riservo di conseguenza il diritto di cambiare idea in qualsiasi momento. Il tempo dirà se ho avuto o meno ragione.(Katherine Frisk, “Il diavolo veste Prada – il fascismo, il Vaticano e il 21° secolo”, da “Veterans Today” del 23 gennaio 2016, tradotto da “Come Don Chisciotte).Il Vaticano è il prototipo di un’entità fascio-corporativa. Non risponde né paga le tasse a nessuno. I suoi vescovi e i suoi sacerdoti hanno l’immunità diplomatica in tutto il mondo. Ha le sue ambasciate e possiede più beni immobili di qualsiasi altra entità del pianeta. Non ha mai avuto a che fare con Dio, Gesù o il cristianesimo …. ma con il potere, il controllo e la ‘moda’. Il Vaticano ha rilevanti partecipazioni in tutte le più grandi aziende multinazionali, come ad esempio la Lockheed-Martin e la Bank of America. Ma chi e che cosa è davvero il Vaticano? Cosa si nasconde dietro agli ‘uomini eletti’ [i Papi] che calzano scarpe rosse fatte da Prada (il Diavolo veste Prada)? Una fra le più grandi reti pedofile presenti sul pianeta, un’industria attiva nel riciclaggio del denaro e nella gestione del commercio illegale dei farmaci e delle armi. Il Vaticano è una ‘copertura’ per la ‘nobiltà nera’ d’Europa, per i banchieri sionisti e per la setta wahhabita controllata dalla famiglia reale saudita.
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Guerra: l’Italia torna nella Libia che abbiamo ceduto all’Isis
La nuova guerra di Libia della Nato è già iniziata con le azioni di commando e i voli sotto copertura. Tra breve l’intervento militare esplicito verrà dichiarato e l’Italia sarà in prima fila. Le pressioni di questi giorni del governo Usa e di quello della Francia servono a superare dubbi tattici ed elettorali, non a imporre una scelta che il governo italiano ha già preso. Il coinvolgimento militare del nostro paese in tutti gli scenari e gli impegni di guerra della Nato è sempre più esteso, in Asia, Africa, Europa. Come ha vantato Renzi l’Italia è tra i primi paesi al mondo per truppe all’estero. Ultimo annuncio quello dell’invio di centinaia di soldati in Iraq per difendere affari privati nella costruzione di una diga. Più cresce l’impegno militare all’estero, più il territorio del paese è militarizzato. Dal Muos al Trident, dalle servitù militari antiche a quelle modernissime, dalla Sicilia e dalla Sardegna a tutta la penisola, l’inquinamento militare dilaga. Fino alla terribile decisione di installare bombe nucleari di nuova generazione nel Friuli e nel bresciano. Bombe nuove perché studiate per essere davvero usate in qualche guerra umanitaria, invece che essere conservate per pura deterrenza.
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Nazionalizzare il denaro, l’unica rivoluzione per noi schiavi
Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.L’attuale situazione della società è veramente molto grave e con pessime prospettive, soprattutto perché la cosiddetta crisi economica appare ormai chiaramente come uno strumento volontariamente attivato e mantenuto per concentrare il reddito e la ricchezza, ma anche il potere politico, nelle mani di pochi grandi finanzieri che si deresponsabilizzano celandosi dietro istituzioni politiche ufficiali che essi hanno svuotato di potere effettivo; e al contempo per far accettare alla gente di avere meno diritti, meno libertà, meno dignità, meno benessere, e di essere governata da lontano e da soggetti irresponsabili. Insomma è una crisi indotta a scopi di ingegneria sociale. Appare altrettanto chiaro che, pertanto, non è possibile risolverla per le vie interne dell’ordinamento giuridico nazionale o internazionale, cioè ad esempio attraverso le elezioni e i parlamenti, dato che esse sono interamente controllate dall’oligarchia al potere su scala globale. Quindi solo un’azione rivoluzionaria dal basso, una rivoluzione popolare, parrebbe idonea a risolvere il problema.Lo conferma il fatto che sono rimasti e rimangono completamente inascoltati, anche di fronte all’avverarsi delle loro previsioni, gli autorevoli economisti che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno preavvertito le istituzioni dei disastri che sarebbero stati causati dalle riforme monetarie e bancarie in cantiere, perché hanno proposto e stanno proponendo rimedi razionali. Sono rimasti inascoltati perché parlavano dal punto di vista dell’interesse collettivo, non di quello dell’élite decidente. Molto semplice. Ed eccoci ritornati all’opzione rivoluzionaria. Ma questa opzione deve fare i conti con i dati della realtà storica seguenti. Pensiamo alle grandi rivoluzioni popolari: quella francese, quella sovietica, quella cinese, quella nazista, quella khomeinista in Persia. Tutte sono avvenute a furor di popolo, il popolo si aspettava di risolvere i suoi problemi, ma le cose sono andate diversamente, nel senso che il popolo ha subito un forte peggioramento della sua situazione.In Francia, dopo la rivoluzione, vi fu un ventennio di stragi, con il periodo del Terrore, poi delle guerre contro le coalizioni monarchiche, poi delle guerre napoleoniche, e intere generazioni di giovani furono annientate sui campi di battaglia. Alla fine, in Francia ritornò la monarchia – non è buffo? – e per giunta la Francia si ritrovò subalterna al Regno Unito, cioè perse la sua indipendenza politica. Certo, la rivoluzione francese pose fine al feudalesimo e mise al potere il capitalismo. Negli altri esempi citati, sappiamo tutti che cosa avvenne a quelle nazioni dalle loro rivoluzioni popolari in termini di guerre, distruzioni, dittature, arretratezza. Alle volte, in periodi di acuta crisi, nei quali era evidente una qualche particolare causa della crisi, gli interessi collettivi hanno ottenuto riforme a loro tutela contro gli interessi delle classi sfruttatrice dominanti. Cito come esempi le riforme dei Gracchi nella Roma antica e il Glass-Steagall Act a seguito della crisi del ’29, entrambe tese a porre freno al saccheggio della società da parte della classe finanziaria.Ma poi, in tutti i casi di questo tipo, le classi dominanti, attraverso una pianificazione politica di medio e lungo termine, con azione di lobbying e corruzione, approfittando della cronica distrazione del popolo, hanno sempre recuperato le posizioni perdute e hanno portato avanti i loro interessi contro la popolazione subalterna. Ciò avvenne al tempo dei Gracchi, ed è avvenuto anche ultimamente, con l’abolizione del Glass Steagall Act nel 1999 e tutta una serie di riforme del diritto finanziario e bancario, che hanno permesso le megafrodi bancarie con cui i banchieri hanno realizzato e stanno realizzando enormi profitti a danno della collettività anche oggi e praticamente senza mai pagare il fio. Gli interessi concentrati e consapevoli vincono su sempre su quelli diffusi, nel medio e lungo periodo. Di solito però già anche nel breve periodo.La via rivoluzionaria, nel mondo odierno, è peraltro impraticabile, sia perché l’oligarchia al potere a un enorme vantaggio tecnologico e militare su qualsiasi movimento popolare, disponendo non solo di argomenti ma anche di strumenti di monitoraggio e intervento capillari nella vita di ciascuno, il sogno di tutti i dittatori della storia; sia perché è un mondo interdipendente, perciò, quand’anche un paese insorgesse e se liberasse dai suoi oppressori finanziari e politici, verrebbe bloccato e messo in ginocchio nel giro di pochi giorni. Pensiamo inoltre che l’Italia è un paese e militarmente occupato dagli Stati Uniti con oltre 130 basi militari. E che dipende da forniture esterne per sopravvivere, innanzitutto dal petrolio, che si paga in dollari.Siamo insomma condannati a restare stabilmente in questa situazione e in questo trend peggiorativo, che ci porta verso abissi di insicurezza, di privazione di diritti e libertà, di invasione delle nostre vite da parte di un potere tecnologico incontenibile, entro un regime alla Orwell? Con ragionevole sicurezza, in base all’osservazione dei fatti storici, a questa domanda si può rispondere di no, poiché la storia ci mostra che i sistemi di potere, regni, imperi e repubbliche, così come le costituzioni e le condizioni giuridiche ed economiche, non sono mai stati stabili, non sono mai durati a lungo, soprattutto da quando l’umanità si è messa a commerciare e ha sviluppato varie tecnologie. Cioè da più di 25 secoli. Anche gli imperi apparentemente più solidi, più forti, più invincibili, sono crollati, si sono frantumati, perlomeno a causa di processi disorganizzati ivi interni. Senza bisogno di rivoluzioni popolari.Se esaminate per esempio la storia di Roma, dall’epoca monarchica a quella repubblicana a quella del principato e a quella del dominatus, cioè da Diocleziano in poi, vedrete che gli assetti costituzionali, economici, organizzativi, demografici, si trasformano incessantemente, e che le cose più costanti sono proprio i meccanismi che alimentano squilibri: la lenta demolizione dell’agricoltura e della popolazione in Italia, il trasferimento della ricchezza e del potere dall’aristocrazia terriera senatoriale alla classe finanziaria equestre, il travaso di oro da occidente a oriente (causato dal passivo della bilancia commerciale). Insomma, i grandi cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti, nella storia. Sono avvenuti non solo per effetto di azioni volontarie (collettive o individuali), ma pure e soprattutto per il concorso di forze e di processi molteplici, impersonali, perlopiù incompresi o fraintesi, perlopiù irresistibili, e solitamente con esiti diversi da quelli previsti, progettati, desiderati. Fattori di tipo climatico, economico, demografico o tecnico-scientifico. Pensate all’inaridimento delle fertili pianure nordafricane, al declino demografico della Grecia antica, al declino tecnologico dell’Impero romano, alla divaricazione economica operata dall’introduzione dell’euro tra i paesi che lo usano.Altra illusione abituale: l’uomo pensa che le cose continueranno ad andare in futuro nel modo in cui sono andate in passato, e mira sempre a raggiungere qualche assetto definitivo e sicuro, nel privato come nel pubblico: l’amore per sempre, il matrimonio indissolubile, il posto fisso, i diritti umani inalienabili, un’organizzazione statale perenne, definitiva, perfetta, come la repubblica progettata da Platone. O almeno destinata a durare 1000 anni, come il Reich vagheggiato da Hitler. Ma, al contrario, tutti gli assetti prodotti dall’uomo sono impermanenti, caduchi, transeunti, provvisori. Come l’uomo stesso. Tutto scorre, giustamente osserva Eraclito. Non riusciamo a stabilizzare un tubo. Il grande Cesare Ottaviano Augusto aveva capito i difetti strutturali del possente sistema-paese che governava, e cercò di correggerli, ma non vi riuscì, e come lui non vi riuscirono molti, a Roma e altrove.I grandi cambiamenti, le trasformazioni sistemiche, avvengono, ma solitamente sono molto diversi dai progetti di coloro che li causano: il divenire storico sfugge dal controllo e dalla pianificazione. Pensate per esempio alla I Guerra Mondiale: ognuna delle potenze che vi parteciparono aveva i suoi piani, le sue previsioni, le sue intenzioni, e tutte furono smentite dallo svilupparsi dei fatti. La guerra stessa assunse caratteri che nessuno aveva immaginato. Il suo esito fu… di innescare fascismo, nazismo e una seconda guerra mondiale. Invero, nessuno è mai riuscito a governare la storia, né a prevederla. Tanto meno ci sono riuscite le rivoluzioni popolari, le quali hanno bensì dato colpi e prodotto effetti, ma non gli effetti voluti e progettati, bensì gli altri e impreveduti – almeno per esse. Il comportamento collettivo è sempre miope e ottuso. I popoli non riescono a evitare fallimenti prevedibili.Anche l’attuale tecnocrazia globalizzata, come sistema di potere, è destinata a deteriorarsi, e a cadere, magari proprio perché primo poi le sfuggirà di mano la stessa tecnologia, che si sviluppa e moltiplica le sue capacità in modo praticamente è miracoloso – come Skynet della serie Terminator. Oppure forse cadrà per la sua contrarietà ai bisogni oggettivi, fisiologici, degli esseri umani: essa, guidata com’è dalla logica del bilancio, del rendimento annuale o comunque di brevissimo termine, sta forzando l’uomo e la comunità ad adattarsi a vivere secondo questo brevissimo termine, accettando la precarietà, la discontinuità, l’instabilità come caratteri di fondo dell’esistenza, e rinunciando alla sicurezza, alla progettabilità di lungo termine, alla stabilità, che sono esigenze oggettivamente insite nell’essere umano. E’ una violenza radicale e protratta, implementata attraverso il controllo delle istituzioni. Se scoppiamo, allora potremo dire davvero di essere noi il cambiamento. Oppure ancora è una catastrofe geofisica, climatica, ecologica, il fattore che sta per rimescolare le carte.La popolazione generale, anche buona parte di quelli con istruzione superiore, è consapevole del suo malessere, dell’insicurezza oggettiva in cui sempre più vive, di alcune malefatte compiute da certi potenti; ha una consapevolezza aneddotica, episodica, spesso personificata, dei mali del sistema; ma non è consapevole delle cause strutturali e non manifeste. Non saprebbe dove intervenire, anche potendo. Quindi, mi direte, tu stai dicendo che non c’è niente da fare, per uscire dall’attuale situazione, perché non abbiamo la capacità di correggerla, e del resto essa prima o poi finirà da sé. In effetti, più o meno è così. Più o meno, perché razionalmente e realisticamente ci sono alcune cose da fare, anche per cercare di fare in modo che l’uscita dall’attuale condizione sia verso una condizione non peggiore, magari migliore. Innanzitutto, bisogna fare cose per mettersi al riparo, per difendersi, a livello privato, personale. L’azione politica è pressoché inutile o controproducente, come dimostrano i casi di quei movimenti e di quei partiti che, dopo avere iniziato con grande promesse di rottura, o si sono spenti, oppure si sono omologati al sistema che dovevano abbattere, come in Grecia e in Spagna. Anche tra i grilli nostrani molti danno segni di volersi alleare col Partito Democratico per stabilizzarsi nel potere e nei suoi vantaggi.L’azione collettiva raramente parte e ancora più raramente è efficace, ma l’azione individuale o su scala di piccoli gruppi è fattibile, sul fronte della tutela della salute, del patrimonio, della libertà, considerando sempre anche l’opzione dell’emigrazione verso paesi che consentono una migliore tutela di questi valori. Certamente, di fronte a un drastico e rapido peggioramento della condizione di vita e del livello di dignità, a breve potrebbe anche porsi fortemente l’opzione del suicidio, del suicidio stoico, cioè dell’uomo che rifiuta di vivere privato della libertà e della dignità: pensiamo a Lucio Anneo Seneca che si suicida per non soggiacere agli arbitri e ai capricci di Nerone. Ma non preoccupatevi: pochissimi seguiranno Seneca, in ogni caso, perché gli uomini si adattano facilmente a una vita di pecore schiave, o di topi che sopravvivono arrangiandosi negli angoli bui.Che cosa resta da fare, in positivo, dopo tanti “non podemos”? Proprio grazie a ciò che dicevo all’inizio, ossia alla indeterminatezza e libertà del divenire storico, alla sua apertura, non può mai venir meno la possibilità di entrare in modo rilevante in questo divenire. Poche verità storiche sono certe e comprovate come la potenza esercitata dalle idee nei millenni: Platone, Aristotele, Gesù, Galileo, Marx, Freud, Einstein, e Fra’ Luca Pacioli, l’inventore della partita doppia – solo per fare qualche nome – sono più che mai attuali e attivi, sono potentissimi… La Rivoluzione Francese mancò gli obiettivi pratici di breve e medio termine, ma nel lunghissimo termine essa è – si può ben dire – ancora in svolgimento… nei cambiamenti nel pensiero, nella coscienza collettiva, nelle dinamiche sociali… nell’aver creato una cosa che cosa prima assente, in Europa, dai tempi di Atene, ossia il pubblico dibattito politico.Assieme all’amico psichiatra Paolo Cioni, col saggio “Neuroschiavi”, ho cercato di dare un contributo mirato all’analisi e al contrasto ai mezzi di rimbecillimento e irreggimentazione di massa che tanta parte hanno nella governance sociale, nella compressione della libertà mentale e critica che è l’anima di quel dibattito. E in altri saggi, in solitaria oppure in cooperazione con qualche amico, ho diretto i riflettori su quello strumento di dominazione e sfruttamento sociale che è il potere monetario vestito nelle banche private, e sui suoi meccanismi occultati dalle prassi contabili oggi applicate, e la cui comprensione da qualche anno si viene ora diffondendo. La sua comprensione a livello perlomeno di classi imprenditoriali e intellettuali sarebbe un presupposto per un possibile rivolgimento strutturale della società, per una possibile fine del regime parassitario imposto dal capitalismo finanziario attraverso proprio quelle prassi contabili false, le quali sono alla base del fatto che esso è divenuto un perfetto strumento di dominio sociale: uno strumento che, da un lato, rende la società e l’economia e le istituzioni sempre più dipendenti da sé stesso e sempre più forzatamente obbedienti ai suoi dettami, perché sotto permanente ricatto di fatali conseguenze; e che, dall’altro lato, attraverso l’uso di moneta-debito progressivamente indebitante, sottrae alla società una quota sempre crescente di reddito, pubblico e privato, sotto forma di interessi, di bail out (saccheggio dell’erario) e bail in (saccheggio dei risparmi o investimenti finanziari).E’ una prigionia estorsiva sistemica, in via di perfezionamento, rispetto a cui le truffette del tipo Banca Popolare dell’Etruria sono soltanto incidenti dovuti all’avidità di banchieri locali, incidenti da coprire subito in qualche modo al fine di poter proseguire col perfezionamento del sistema, col piano di lungo periodo. Prima della rivoluzione del 1789, i popolani francesi, sfruttati dai signori feudali, avevano fatto jacqueries, ossia assalti ai depositi di granaglie dei castelli sotto la spinta della fame – cioè avevano attaccato la sola superficie del problema. Questo equivale ai nostri movimentisti, agli indignados, a quelli che oggi manifestano contro i banchieri che li hanno fregati e chiedono rimborsi da parte dello Stato e carcere ai furbetti del credito e le dimissioni della bella ministra Boschi. Niente di risolutivo.Il salto di qualità che dalle jacqueries (le quali lasciano il tempo che trovano) portò alla vera rivoluzione (che cambia invece il tempo), sia pur nel senso che abbiamo visto, avvenne allorquando, nell’agosto del 1789, alla guida del popolino, si misero intellettuali che sapevano dove mettere le mani, e allora gli insorti penetrarono nei castelli non per rubare la farina, ma per aprire i forzieri e distruggere gli atti di proprietà dei fondi terrieri in essi custoditi, facendo così crollare il sistema latifondista. L’equivalente di questa operazione, oggi, potrebbe essere – dico: potrebbe – il pubblico smascheramento dei sistematici falsi in bilancio con cui i banchieri privati creano la quasi totalità dei mezzi monetari circolanti senza pagare su tale creazione alcuna tassa e senza assumersi le responsabilità politiche e sociali dell’esercizio di un tale primario potere pubblico, e la conseguente nazionalizzazione del sistema monetario-creditizio con la liberazione della società dalla moneta indebitante ora in uso. Ma ciò non credo possa partire dall’Italia, la quale non ha alcuna tradizione o predisposizione rivoluzionaria.(Marco Della Luna, estratto da “Crisi, rottura del sistema e trasformazione”, testo preparato per la conferenza organizzata dalla casa editrice Nexus a Cagliari il 17 gennaio 2016 e ripreso dal blog di Della Luna).Noi uomini siamo portati a pensare che sia possibile risolvere un problema, una crisi, un’ingiustizia, attraverso un’azione collettiva delle persone interessate e consapevoli. Se scopriamo quello che ci sembra essere la causa di un grave male che affligge la società (questa causa potrebbe essere il signoraggio o un certo uso delle onde elettromagnetiche o i vaccini o le registrazioni anagrafiche, tanto per fare qualche esempio), siamo portati a pensare che, diffondendo la consapevolezza di questa nostra scoperta fondamentale, susciteremo una reazione collettiva e coordinata dei nostri simili che potrà risolvere il problema dal basso, con un’azione di massa, magari rivoluzionaria. Solo che tale reazione collettiva e coordinata, nel mondo reale, non vuole partire: il grosso della popolazione non si interessa, se si interessa non capisce, se capisce presto dimentica, se non dimentica comunque non si coordina e non agisce. Questa è l’umanità reale, con i suoi reali comportamenti. Mi obietterete che però, di fatto, l’umanità è capace di fare rivoluzioni. Lo ha dimostrato. Avete ragione.
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Vota il nazista che è in te: gli americani la sanno lunga
Scorciatoie, da Hitler a Donald Trump. Copione identico, per mietere consensi: il nemico è là fuori, e il nostro eroe vigilerà sulla nazione. «Per tutti coloro che temono e odiano con intensità e consapevolezza i musulmani (e la maggior parte delle persone non bianche) Trump può sembrare una persona sensibile: si batte contro l’Uomo Nero e permette agli americani di dormire sogni tranquilli», scrive il blog “InfoShop”. «Decenni di inarrestabile ed efficace propaganda militare hanno seminato i frutti maturi che Trump sta raccogliendo. Nel 2016 scopriremo quante mele marce riuscirà a scovare». Secondo la fonte statunitense, «ogni volta che l’Isis (o qualche gruppo affine) ammazza un americano o qualcuno di uno Stato alleato, la fama di Trump aumenta, con i suoi seguaci che affermano cose del tipo: “Anche se la gente non vuole ascoltarlo perché spesso ciò che dice è provocatorio, lui dice la verità e tiene d’occhio quei musulmani”». Il candidato repubblicano sarà anche imbarazzante, ma certo non è il primo. E una lunga storia, non segreta ma neppure messa in mostra, lega alcuni campioni americani al nazismo: dai boss di Wall Street al trasvolatore Lindbergh, fino al magnate Ford e ai pesi massimi di alcuni tra le maggiori multinazionali.In una singolare panoramica storica proprosta da “Mickey Z” e tradotta da “Come Don Chisciotte”, il blog “InfoShop” racconta di Fritz Kuhn, un veterano che nella Prima Guerra Mondiale combattè nell’esercito tedesco e il 20 febbraio 1939 arringò al Madison Square Garden 22.000 membri ferventi dell’associazione tedesco-americana «di fianco a un ritratto di George Washington alto 30 piedi, adornato di svastiche nere», e con 1.300 agenti di guardia all’esterno dell’edificio newyorkese. «Kuhn si assicurò un gran numero di fedeli seguaci “spiegando” come sia Lenin che J.P. Morgan fossero ebrei e che il vero nome di Franklin Delano Roosevelt fosse in realtà “Rosenfeld” (altre voci divulgate da Kuhn riguardavano la first lady: si vociferava, per esempio, che Eleanor passò al presidente la gonorrea “contratta da un negro” e che visitò Mosca per imparare “innominabili pratiche sessuali”)». Il proselitismo di Kuhn non passò inosservato al Terzo Reich, che lo aveva invitato alle Olimpiadi del 1936, dove potè incontrare il Führer. Ma non fu il solo filonazista: durante la Grande Depressione, padre Charles Coughlin pregava tutti i giorni per le paure degli americani, e ne parlava a 40 milioni di ascoltatori sintonizzati su 47 stazioni radio. Chiamava “comunista” il leader del partito laburista David Dubinsky, ricorda lo storico Robert Herzstein. «Quando un giornalista del “Boston Globe” chiese a Coughlin di provare questa accusa, venne preso a cinghiate in faccia».Anche se i suoi attacchi xenofobi gli fecero perdere parte dei suoi sostenitori, Coughlin rimase popolare e continuò ad inveire indisturbato contro “gli assassini e gli oppositori di Cristo”, continua “InfoShop”. Nel 1938 ristampò sul suo giornale “Social Justice” il noto trattato antisemita “I protocolli dei savi anziani di Sion”. Per i suoi sforzi, la stampa nazista lo nominò Coughlin “il commentatore radiofonico più potente d’America”. Nel frattempo, l’eroe dell’aria Charles Lindbergh avvicinò moltissimo gli Usa alla Germania nazista: «Quando godeva ancora del prestigio internazionale grazie al suo “Spirit of St. Louis”, Lucky Lindy venne invitato a visitare la Germania nel 1936 “a nome del generale Goering e del ministro dell’aviazione tedesca”. Dopo aver ampiamente pubblicizzato la potenza aerea tedesca, l’aquila solitaria Lindbergh fu onorata da Goering e invitata a partecipare alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Berlino, dove definì Hitler “un uomo di indubbia grandezza” che “aveva fatto molto per i tedeschi” e che rese la Germania “la nazione più interessante del mondo”». Lo storico Kenneth Davis ricorda che Lindbergh divenne un leader del movimento isolazionista “America First”, finanziato da Ford, il cui intento era quello di tenere gli Stati Uniti fuori dal conflitto mondiale. «In uno dei suoi discorsi Lindbergh disse agli ebrei americani di “chiudere il becco” e accusò “la stampa in mano agli ebrei” di spingere gli Stati Uniti verso la guerra».Nei suoi diari, Goebbels ne elogiava le gesta. «L’opinione pubblica negli Usa inizia a vacillare», scriveva il “profeta” di Hitler il 19 aprile 1941. «Gli isolazionisti sono molto attivi. Il colonnello Lindbergh rimane fedele ai suoi ideali con tenacia e coraggio. Un uomo d’onore!». E il 30 aprile 1941: «Lindbergh ha scritto a Roosevelt una lettera molto animata. E’ indubbiamente il più tenace oppositore del presidente». E ancora, l’8 giugno dello stesso anno: «Questi ebrei americani vogliono la guerra. E quando arriverà il tempo, con la guerra ci si strozzeranno. Ho letto una brillante lettera di Lindbergh a tutti gli americani. Spiega agli interventisti come se la caveranno. Stilisticamente magnificente. Quell’uomo ha qualcosa». Dopo che l’America entrò nella Seconda Guerra Mondiale, annota “InfoShop”, Lindbergh cominciò a venire deriso perché si era schierato con i nemici dell’America e l’opinione pubblica gli si rivoltò contro. «L’insegna pubblicitaria luminosa di Lindbergh in cima a un grattacielo di Chicago venne presto rinominata “l’insegna Palmolive”, e la montagna rocciosa del Colorado soprannominata “Picco Lindbergh” venne immediatamente ribattezzata “Picco dell’Aquila Solitaria”. Tuttavia il danno recato alla sua immagine fu contenuto grazie alle sue innumerevoli missioni come pilota nella guerra nel Pacifico. Alla fine la sua reputazione rimase intatta».«Parte della mia bellezza sta nel fatto che sono molto ricco», dice oggi Trump. In realtà, scrove il blog, «i “ricconi” mandavano avanti i loro loschi affari fascisti molto prima che Donald ricevesse il suo primo “piccolo prestito”». Nei decenni precedenti la Seconda Guerra Mondiale, «fare affari con la Germania di Hitler o l’Italia di Mussolini (o, per delega, con la Spagna di Franco) non creava scalpore ai dirigenti dell’industria, così come al giorno d’oggi non stupisce la vendita di hardware militare all’Arabia Saudita». Il giornalista investigativo Christopher Simpson afferma che «dagli anni Venti, svariati leader di Wall Street e dell’establishment della politica estera Usa mantennero stretti legami con la loro controparte tedesca, attraverso matrimoni combinati o condividendo gli investimenti», che in Germania aumentarono rapidamente dopo l’ascesa al potere di Hitler, incrementando addirittura del 48,5 % tra il 1929 e il 1940. «Alcune delle corporations statunitensi che investirono in Germania durante gli anni Venti furono la Ford, la General Motors, la General Electric, la Standard Oil, la Texaco, la Itt e la Ibm, e tutte miravano al crollo della manodopera e del partito della classe operaia. Numerose di queste aziende continuarono le loro operazioni in Germania durante la guerra, usando a volte la forza lavoro degli schiavi dei campi di concentramento, con pieno appoggio del governo americano».«Ai piloti veniva dato l’ordine di non colpire in Germania le fabbriche di proprietà americana», scrive Michael Parenti. «Così, Colonia venne quasi completamente rasa al suolo dai bombardamenti alleati ma lo stabilimento della Ford, che forniva equipaggiamento militare all’armata nazista, rimase indenne, così i civili tedeschi cominciarono ad usare lo stabilimento come riparo antiaereo». Sullivan e Cromwell, due tra le più potenti imprese legali di Wall Street dagli anni Trenta, «sostennero il fascismo globale». Allen e John Foster Dulles, i due fratelli che erano a capo dell’azienda, «boicottarono nel 1932 il matrimonio della sorella perché lo sposo era ebreo». I fratelli Dulles «fungevano da contatto con la Ig Farben, la ditta che forniva il gas letale usato nelle camere a gas naziste». Prima della guerra, «il fratello maggiore John Foster mandava telegrammi ai suoi clienti tedeschi che cominciavano con il saluto “Heil Hitler” e, nel 1935, negò con superficialità l’idea di una minaccia nazista in un articolo scritto per l’“Atlantic Monthly”». E nel 1939 dichiarò all’Economic Club di New York: «Dobbiamo accogliere e coltivare il desiderio della Nuova Germania di trovare nuove possibilità per le sue iniziative».Il fratello minore, Allen, che nel frattempo aveva incontrato il dittatore tedesco, promosse il concetto post-bellico che le multinazionali erano uno strumento della politica estera americana e, che per questo, dovevano essere immuni dalle legislazioni dei singoli Stati. «Questo concetto venne poi applicato a istituzioni quali la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio». Nel 1946 i fratelli Dulles ebbero un ruolo di spicco nella fondazione dell’intelligence americana e nel conseguente reclutamento dei criminali di guerra nazisti. Secondo “InfoShop”, però, «il sostenitore del Terzo Reich più simile a Trump fu Henry Ford, il magnate autocratico che disprezzava i sindacati, schiavizzava i suoi lavoratori e licenziava i dipendenti beccati a guidare macchine di altre case automobilistiche». Un antisemita dichiarato, convinto che gli ebrei corrompessero i “gentili” con «sifilide, Hollywood, gioco d’azzardo e jazz». Nel 1918, Ford comprò e diresse la testata “The Dearborn Independent”, «che diventò presto un forum antisemita». Nel loro libro “Chi finanziò Hitler”, James e Suzanne Pool citano il “New York Times”, che nel 1922 sostenne che «a Berlino vi erano voci ampiamente diffuse circa il finanziamento da parte di Henry Ford al movimento nazionalista antisemita di Adolf Hitler a Monaco».Nel suo romanzo su Ford “Il re macinino”, Upton Sinclair afferma che i nazisti ricevettero 40.000 dollari dal magnate per ristampare volantini antisemiti tradotti in tedesco, mentre altri 300.000 dollari vennero inviati a Hitler attraverso un nipote del Kaiser. «Adolf Hitler gli fu sempre grato, tanto da tenere una foto di grandi dimensioni del pioniere dell’automobile sulla sua scrivania». Il Kaiser sosteneva: «Consideriamo Heinrich (sic) Ford il leader del crescente movimento fascista in America». Hitler sperava un giorno di «importare truppe d’assalto negli Stati Uniti per aiutarlo a diventare presidente». Nel 1938, il giorno del suo settantacinquesimo compleanno, a Henry Ford venne conferita la Gran Croce dell’ordine supremo dell’ Aquila Tedesca dal Führer in persona. Fu il primo americano (il secondo fu James Mooney della Gm) e la quarta persona al mondo (tra queste, Mussolini) a ricevere il più grande riconoscimento concesso a cittadini non tedeschi. Conclude “Mickey Z”: «Spero non ci sia bisogno di dimostrare ulteriormente che il fascismo, la xenofobia e la demagogia sono americani quanto una torta di mele geneticamente modificata». Non fa accezione Trump, che «demonizza chi è già stato demonizzato» (i messicani, gli attivisti neri), e vede aumentare i consensi grazie a quel tipo di retorica.Scorciatoie, da Hitler a Donald Trump. Copione identico, per mietere consensi: il nemico è là fuori, e il nostro eroe vigilerà sulla nazione. «Per tutti coloro che temono e odiano con intensità e consapevolezza i musulmani (e la maggior parte delle persone non bianche) Trump può sembrare una persona sensibile: si batte contro l’Uomo Nero e permette agli americani di dormire sogni tranquilli», scrive il blog “InfoShop”. «Decenni di inarrestabile ed efficace propaganda militare hanno seminato i frutti maturi che Trump sta raccogliendo. Nel 2016 scopriremo quante mele marce riuscirà a scovare». Secondo la fonte statunitense, «ogni volta che l’Isis (o qualche gruppo affine) ammazza un americano o qualcuno di uno Stato alleato, la fama di Trump aumenta, con i suoi seguaci che affermano cose del tipo: “Anche se la gente non vuole ascoltarlo perché spesso ciò che dice è provocatorio, lui dice la verità e tiene d’occhio quei musulmani”». Il candidato repubblicano sarà anche imbarazzante, ma certo non è il primo. E una lunga storia, non segreta ma neppure messa in mostra, lega alcuni campioni americani al nazismo: dai boss di Wall Street al trasvolatore Lindbergh, fino al magnate Ford e ai pesi massimi di alcuni tra le maggiori multinazionali.
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Renzi teme il referendum contro le sue riforme piduiste
Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.«Inutile star qui a ricordare che alcuni di quelli che Renzi considera “successi” sono in realtà macelleria sociale, a partire dal Jobs Act e dall’abolizione dell’articolo 18, che hanno consegnato la vita e la dignità di ogni singolo lavoratore dipendente al capriccio delle singole imprese o addirittura dei singoli “capetti” e caporali», scrive Barontini su “Contropiano”. «Inutile anche insistere sulla nauseante vicenda delle quattro banche “salvate” sacrificando i correntisti più ingenui, truffati allo sportello con l’offerta di obbligazioni-carta-straccia». Renzi, in realtà, era stato scelto per la bisogna: «Lo abbiamo messo lì noi», rivendicò allegramente Sergio Marchionne quasi agli inizi. Messo lì, Renzi, «per distruggere definitivamente il patto costituzionale del dopoguerra, già duramente sfibrato dal ventennio berlusconiano e dalla lenta scomparsa di una qualsiasi rappresentanza politica “di sinistra” (la cui azione, insomma, fosse coerente con le parole)».E quindi, conclude Barontini, ha perfettamente senso che il premier non-eletto leghi al referendum d’autunno il suo destino politico, «anche se non giureremmo sulle sue effettive dimissioni in caso di sconfitta». Ma attenzione: «Non c’è solo la nefasta grandezza del legare il proprio nome a una svolta reazionaria di portata storica, che manda in soffitta il “patto tra i produttori” (con tutti i compromessi del dopoguerra) e disegna una Terza Repubblica piduista e repubblichina (in combinazione con l’Italicum), in cui soltanto i ceti dominanti possono disporre di rappresentanza e accedere ai palazzi del potere (o quel che ne è rimasto, dopo i molti trasferimenti di sovranità all’Unione Europea)». Secondo l’analista, c’è anche la certezza di una catastrofe del Pd alle elezioni amministrative di primavera. Soprattutto in quelle città dove, per motivi diversi, il partito del premier è quasi scomparso dalla scena politica: Roma e Napoli. «Due città opposte, con la prima che ha visto il Pd gestire l’amministrazione all’interno del sistema chiamato Mafia Capitale, e la seconda che lo aveva espulso già quattro anni fa, scegliendo De Magistris anziché uno dei tanti maneggioni del circo barnum “democratico”».«Il rottamatore quindi lascia che siano i suoi uomini a gestire e perdere la partita di primavera, svalutandone il significato politico generale già cinque mesi prima delle elezioni. E cerchia in rosso la data del referendum per stabilire se la reazione – con lui al balcone – avrà davvero vinto o no». Per Barontini sarà una partita complicata, «perché la retorica del “nuovo” (le riforme, i giovani ministri sempre sorridenti, le facce ignote – più che nuove – che ammoniscono il popolo ogni giorno dallo schermo) ha in genere facile gioco contro tutto quel che – per le ragioni più diverse, dalle nobili alle ignobili – viene comunque racchiuso sotto l’etichetta del “vecchio”». Se non si vuol essere solo spettatori passivi «bisognerebbe saper rovesciare questi termini», perché «non c’è nulla di più “vecchio” di una società in cui chi non possiede un’impresa non ha nemmeno diritto di parola. Non c’è nulla di più “preistorico” di un rapporto di lavoro in cui il “prestatore d’opera” deve essere sempre flessibile e muto, “liquido” e sostituibile in ogni istante. È il mondo disegnato dal capitale multinazionale e dall’Unione Europea, cui Renzi presta temporaneamente la faccia e le battutine».Mentre – in piena catastrofe Eurozona – il presidente della Repubblica indica “l’evasione fiscale” come il vero problema del disastro economico che sta retrocedendo l’Italia lontano dal G20 (folle super-tassazione imposta dalla moneta unica, e quindi crollo del Pil, fallimenti, chiusure, licenziamenti), il premier Matteo Renzi completa la narrazione ufficiale, istituzionale, con «l’esaltazione ridicola di quel +0,8% di Pil con cui si chiuderà il 2015 (dopo quattro anni di segni meno, e in presenza di circostanze eccezionalmente favorevoli come il quantitative easing della Bce e il tracollo del prezzo del petrolio)», scrive Dante Barontini, sottolineando che al centro del «soliloquio renziano» di fine anno resta, soprattutto, «il tema “spartiacque” della sua avventura politica», che non sono ovviamente le amministrative di primavera, «ma il referendum confermativo sulla oscena “riforma costituzionale” che sostanzialmente abolisce la Costituzione “nata dalla Resistenza”», quella a cui lo stesso Mattarella non manca di rendere continuamente omaggio.
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Lo straordinario coraggio del popolo siriano parla a tutti noi
Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.Più di due anni fa, la mia ex-videoredattrice indonesiana pretese una risposta in tono alterato: «Così tante persone muoiono in Siria! Ne vale davvero la pena? Non sarebbe più semplice e migliore per i siriani mollare e lasciare che gli Stati Uniti abbiano ciò che esigono?». Cronicamente pietrificata, questa giovane donna era sempre alla ricerca di soluzioni facili per mantenersi al sicuro, e con significativi vantaggi personali. Come tanti altri oggi, di questi tempi, per sopravvivere e andare aventi, hanno sviluppato un sistema contorto che poggia su tradimenti, autodifese e inganni. Come rispondere a una domanda del genere? Era legittima, dopo tutto. Eduardo Galeano mi disse: «La gente sa quando è il momento di combattere. Non abbiamo il diritto di dirglielo… e quando lo decide, è nostro obbligo sostenerla, anche guidandola se ci avvicina». In questo caso, il popolo siriano ha deciso. Alcun governo o forza politica potrebbe imporre a un’intera nazione tale enorme eroismo e sacrificio.I russi l’hanno fatto durante la Seconda Guerra Mondiale, e i siriani lo fanno ora. Due anni fa risposi così: «Ho assistito al crollo totale del Medio Oriente. Non c’era più niente in piedi. I paesi che hanno optato per la propria strada sono stati letteralmente rasi al suolo. I paesi che hanno ceduto ai dettami occidentali hanno perso anima, cultura ed essenza, trasformandosi alcuni nei luoghi più miseri della terra. E i siriani lo sapevano: se si arrendevano, sarebbero divenuti un altro Iraq, Yemen o Libia, perfino Afghanistan». E così la Siria si oppose. Decise di combattere, per sé e per la sua parte nel mondo. Ancora una volta, elesse il suo governo e si appoggiò al suo esercito. Qualunque cosa gli occidentali dicessero, qualsiasi tradimento le Ong scrivessero, la semplice logica lo dimostrava. Questa nazione modesta non ha media così potenti da condividere i propri coraggio e agonia col mondo. Sono sempre gli altri che ne commentano la lotta, spesso in modo del tutto dannoso. Ma è innegabile che, mentre le forze sovietiche fermarono l’avanzata dei nazisti a Stalingrado, i siriani sono riusciti a fermare le forze fasciste alleate degli occidentali nella sua parte del mondo.Naturalmente la Russia ne è direttamente coinvolta. Naturalmente la Cina osserva, anche se spesso nell’ombra. E l’Iran ha dato aiuto. Ed Hezbollah del Libano ha fatto ciò che descrivo spesso, una lotta epica assieme a Damasco contro i mostri estremisti inventati e armati da Occidente, Turchia e Arabia Saudita. Ma il merito principale deve andare al popolo siriano. Sì, ora non c’è più nulla del Medio Oriente. Ora sono più le lacrime che le gocce di pioggia a scendere su questa terra antica. Ma la Siria è in piedi. Bruciata, ferita, ma in piedi. E come è stato ampiamente riportato, dopo che le forze armate russe sono giunte in soccorso della nazione siriana, oltre 1 milione di siriani è potuto reintrare a casa… spesso trovando solo cenere e devastazione, ma a casa. Come le persone tornarono a Stalingrado, oltre 70 anni fa.Quindi quale sarebbe la mia risposta a tale domanda ora: “sarebbe più facile il contrario”, arrendersi all’Impero? Credo qualcosa del genere: «La vita ha un senso, è degna di essere vissuta solo se possono essere soddisfatte certe condizioni di base. Non si tradisce un grande amore, sia esso per un’altra persona o per un paese, l’umanità o gli ideali. Se non lo si fa, sarebbe meglio non nascere affatto. Allora dico: la sopravvivenza del genere umano è l’obiettivo più sacro. Non qualche effimero vantaggio o ‘sicurezza’ personale, ma la sopravvivenza di tutti noi, persone, nonché della sicurezza di tutti noi, esseri umani». Quando la vita stessa è minacciata, la gente tende a opporsi e a combattere, istintivamente. In quei momenti, alcuni dei capitoli più monumentali della storia umana sono stati scritti. Purtroppo, in quei momenti, milioni morirono. Ma la devastazione non è a causata da coloro che difendono la nostra razza umana. E’ causata dai mostri imperialisti e dai loro succubi.La maggior parte di noi sogna un mondo senza guerre, senza violenza. Vogliamo che la vera bontà prevalga sulla Terra. Molti di noi lavorano senza sosta per tale società. Ma fino a quando non sarà costruita, fino a quando ogni egoismo estremo, avidità e brutalità sarà sconfitto, dobbiamo lottare per qualcosa di molto più “modesto”, per la sopravvivenza dei popoli e dell’umanesimo. Il prezzo è spesso orribile. Ma l’alternativa è un grande vuoto. Semplicemente il nulla, alla fine, e nient’altro! A Stalingrado, milioni morirono per farci vivere. Nulla rimase della città, tranne che acciaio fuso, mattoni sparsi e un oceano di cadaveri. Il nazismo fu fermato. L’espansionismo occidentale iniziava la ritirata, all’epoca verso Berlino. Ora la Siria, con calma ma stoicamente ed eroicamente, si oppone ai piani sauditi, qatarioti, israeliani, turchi e occidentali per distruggere il Medio Oriente. E il popolo siriano ha vinto. Per quanto tempo, non lo so. Ma ha dimostrato che un paese arabo può ancora sconfiggere potenti orde assassine.(Andre Vltchek, “La Siria è la Stalingrado del Medio Oriente”, dalla rivista oline “New Eastern Outlook” del 2 gennaio 2016, ripreso dal newsmagazine “Aurora”. Andre Vltchek è un filosofo e scrittore russo, anche regista e giornalista investigativo, ideatore di “World Vltchek”, applicazione per Twitter).Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.
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Le Pen ha perso. La cattiva notizia? Hanno vinto gli altri
«C’è una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che hanno vinto gli altri». Secondo Aldo Giannuli, «siamo stretti fra un presente insopportabile e un’alternativa peggiore». Se il Front National non può essere definito “fascistoide”, come Alba Dorata e l’ungherese Jobbik, sul partito di Marine Le Pen – uscito sconfitto ai ballottaggi per le amministrative (nonostante gli 800.000 voti in più rispetto al primo turno) grazie all’alleanza tra Hollande e Sarkozy – pesano «il più frusto e gretto nazionalismo, la critica superficiale dei poteri finanziari che lascia intatto l’assetto capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità reazionaria». E poi «la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte». Ma la cattiva notizia, aggiunge Giannuli, «è che vincano quelli di sempre, le forze di sistema».Certo, i socialisti ne escono massacrati con la certificazione della loro irrilevanza politica, anche se il loro capo resta all’Eliseo. «Ma risorge la stella di Sarkozy: sai che acquisto!». Come è accaduto all’Ukip, a Podemos ed al M5S, forze diversissime fra loro ma accomunate dalla collocazione antisistema, il Fn è stato fermato quando sembrava stesse per spiccare il grande balzo, scrive Giannuli sul suo blog. «Personalmente penso che Ukip, Afd e Fn siano alternative peggiori all’esistente, mentre Podemos e M5S, al contrario, siano preferibili». In Grecia si è affermata Syriza – sappiamo a quale prezzo – e la coalizione di Tsipras è più simile alla Linke tedesca, con cui condivide l’appartenenza alla Sinistra Europea, piuttosto che a Podemos, nuovissima forza emersa come risposta alla crisi. Anche il voto francese dimostra che le forze più nuove e dichiaratamente antisistema «non riescono a sfondare, pur ottenendo risultati vistosi», anche per via del blocco delle “famiglie” politiche tradizionali (socialdemocratici, democristiani, liberali e Verdi), tutti pronti a far quadrato contro i “barbari”.In questo comportamento dell’elettorato, continua Giannuli, è evidente la paura del “salto nel buio”: «Ad esempio, l’uscita dall’euro è vista come una avventura pericolosissima che mette a rischio risparmi e redditi da lavoro, e la risposta delle forze antisistema (a parte Podemos che non mette in discussione l’euro o l’appartenenza alla Ue) non è apparsa tranquillizzante, perché non è stata prospettata alcuna credibile exit strategy che, quantomeno, attutisca l’eventuale urto». Più in generale, «queste forze sono apparse credibili più come espressione della protesta sociale che come possibile forza di governo: proposte troppo semplicistiche e al limite del miracolismo, personale politico non adeguato al ruolo, apparato organizzativo insufficiente». Per non parlare del silenzio assoluto sulla politica estera. In più, «i partiti antisistema rifiutano ogni alleanza come dimostrazione della loro “diversità”, una forma di integralismo im-politico più ancora che anti-politico».Eppure, un blocco elettorale vincente «non è una sommatoria di voti di anonimi cittadini, ma l’aggregazione di un blocco sociale, in grado di coprire uno spettro di interessi abbastanza stratificato». Neppure la Dc, partito “pigliatutto” per eccellenza, ce la faceva da sola: aveva bisogno dei partiti “laici”. «Può sembrare un paradosso che i partiti che si ergono contro il sistema, in nome degli interessi del popolo, poi non capiscano la dialettica delle forze sociali», aggiunge Giannuli. «Ma è appunto il loro essere populisti che li porta a concepire il popolo come una unità omogenea, priva di interessi differenziati e non attraversata da una dialettica interna». Insomma, «la protesta è giusta ma non basta». Per il salto – dalla protesta alla proposta – occorre «munirsi di una cultura politica di riferimento, superare le rozzezze attuali e darsi una struttura organizzativa adeguata: la tastiera di un computer non è sufficiente ad assicurare tutto questo».«C’è una notizia buona e una cattiva. Quella buona è che ha perso la Le Pen, quella cattiva è che hanno vinto gli altri». Secondo Aldo Giannuli, «siamo stretti fra un presente insopportabile e un’alternativa peggiore». Se il Front National non può essere definito “fascistoide”, come Alba Dorata e l’ungherese Jobbik, sul partito di Marine Le Pen – uscito sconfitto ai ballottaggi per le amministrative (nonostante gli 800.000 voti in più rispetto al primo turno) grazie all’alleanza tra Hollande e Sarkozy – pesano «il più frusto e gretto nazionalismo, la critica superficiale dei poteri finanziari che lascia intatto l’assetto capitalistico della società, il richiamo ad una tradizione più immaginaria che reale, dietro cui si nasconde una anti-modernità reazionaria». E poi «la becera xenofobia, il populismo greve che si contrappone ad ogni dimensione culturale, la richiesta ottusa della pena di morte». Ma la cattiva notizia, aggiunge Giannuli, «è che vincano quelli di sempre, le forze di sistema».
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Francia e Venezuela, la falsa sinistra: bara, e quindi perde
In una sola giornata la sinistra riceve due colpi secchi perdendo (e male) le elezioni politiche in Venezuela ed amministrative in Francia. Sono due contesti diversi e due sinistre diverse: neoliberista, europeista, moderata ed elitaria quella francese, populista e altermondialista quella carachegna, ma entrambe incapaci di essere forza di cambiamento e di affrontare una crisi internazionale come questa in corso. Nel caso francese occorre dissipare un equivoco che dilaga sui media: che si sia trattato di una reazione di fatti del 13 novembre. Intendiamoci: quella strage ha avuto la sua parte nel gonfiare le vele del Fn, con la conclamata incapacità di Hollande di far fronte al pericolo terrorista. Quando, dopo un attentato grave come quello dell’8 gennaio, si chiama in piazza la gente e ci si mette alla testa di un corteo di tre milioni di persone con i capi di Stato e poi non succede niente e gli jihadisti tornano a colpire anche più duro, hai solo dato la misura della tua impotenza e, dunque, non puoi non aspettarti una reazione molto aspra dell’elettorato. Però non si può ridurre tutto a questo solo problema: la popolarità di Hollande (e del Ps) era in picchiata ben da prima dell’attentato di Charlie Hebdo ed, anzi, fu proprio quell’attentato a regalargli una momentanea risalita nel sondaggi, come simbolo dell’unità nazionale contro l’aggressione subita.Il guaio è l’incapacità di Hollande di affrontare la crisi economica, con punte di disoccupazione mai viste e di avere una politica estera di qualche autonomia. Ed i due aspetti c’è un evidente nesso: nella questione greca Hollande si è comportato come il valletto-capo della Merkel e non ha avuto un guizzo di soggettività, mentre sulla questione ucraina e sulla Siria si è comportato come il maggiordomo di casa Obama. I francesi, si sa, hanno una idea molto alta di sé stessi e sono attenti tanto allo stato economico della nazione quanto alla politica estera ed uno straccio di presidente così proprio non lo tollerano. Di Hollande si può parlare solo per ridere e, se non fosse stato per la caduta di popolarità di quell’altra macchietta di Sarkozy ed per il noto infortunio di Dominique Strauss-Kahn, mai avrebbe potuto sognare di sedere sulla sedia che fu di De Gaulle e di Mitterrand. Quanto al Ps francese, è un partito spento sin dal dopo-Mitterrand (che pure concluse il suo ciclo presidenziale che la solenne bestialità dell’euro). Ed ora siamo all’ennesimo insuccesso della socialdemocrazia neoliberista ridotta ormai a succedaneo dei partiti della destra democristiana e liberale.Questo schema a tre, che sino a cinque anni fa, rappresentava il 90% dell’elettorato europeo, non funziona più: la crisi fa emergere con troppa evidenza la natura elitaria ed antipopolare di quel sistema politico ed insorgono i vari movimenti populisti. Anche i partiti socialisti di sinistra o comunisti d’Europa farebbero bene a chiedersi come mai abbiano intercettato ben poco del malessere sociale seguito all’esplosione della crisi e che, invece (salvo il caso di Syriza, sin che regge) si è riversato sui nuovi partiti populisti. La sinistra d’antan ha preferito guardare verso le pulsioni altermondialiste latinoamericane, di cui i chavisti erano la punta di diamante. Guardare e predicare, ma guardandosi bene dall’imitare. In realtà, anche nel caso sudamericano, si trattava di una variante dello schema populista, che mescolava marxismo, cattolicesimo sociale e peronismo e che non era in grado di esprimere una reale alternativa di governo. Di fatto, l’esperimento chavista è stato l’uso della rendita petrolifera per fondare un welfare che ne distribuisse i benefici. Ottima cosa, ma destinata all’insuccesso in mancanza di una ristrutturazione dell’economia che desse al Venezuela un solido impianto industriale.I paesi produttori di materie prime sono sempre i primi ad essere colpiti dalle crisi, come è puntualmente accaduto nel Venezuela degli ultimi quattro anni che ha dovuto gonfiare il suo debito. La formula ha funzionato in termini di consenso sin quando il debito non è esploso e sinchè il gioco era nelle mani di Chavez che, oltre che essere un personaggio carismatico, era un sincero democratico che cercava il consenso popolare. Ma, quando Chavez è morto, il gioco è passato nelle mani di un piccolo burocrate stalinista come Maduro, incapace di gestire la crisi economica e sociale del paese. L’elettorato (giustamente) non ha perdonato a Maduro la brutale repressione della protesta studentesca di due anni fa, condotta in perfetto stile fascista con l’uso della tortura da parte della polizia. Né ha perdonato il dilagare della corruzione fra militari, polizia e quadri del Pst. Senza quella vasta corruzione (che per la verità c’era già ai tempi di Chavez che, però, si sforzava di contrastarla) non si sarebbe potuto assistere al dilagare del mercato nero che ha ridotto alla fame diversi strati di popolazione.Ora è arrivato il conto. Non credo affatto che la destra che ha vinto saprà esser migliore e risolvere i problemi sociali del paese, ma gli chavisti meritavano questo severo ceffone. E qui veniamo al perché la sinistra perde, come si vede, in entrambe le versioni, quella elitaria e quella populista. La risposta è semplice: perché in entrambi i casi è una sinistra solo di nome e non di fatto. La sinistra non può essere quella di chi difende l’oligarchia europeista, ma nemmeno quella dei burocrati che fanno solo dell’egualitarismo verbale e per il resto pensano solo a procurarsi privilegi e reagiscono con la repressione alle proteste popolari. Già immagino i commenti dei difensori d’ufficio dell’uno e degli altri: la sinistra deve imparare ad essere molto severa con sé stessa e a non cedere ai facili giustificazionismi che servono solo a porre le premesse della prossima sconfitta. Se vuol tornare a vincere, la sinistra deve tornare ad essere reale forza di cambiamento, il che significa prima di tutto autoprocessarsi per gli errori passati e poi cambiare cultura politica, modelli organizzativi e forme di azioni. Il peggior tradimento di una idea è la sua mummificazione, perché una idea che non cambia nel tempo è una idea che tradisce sé stessa.(Aldo Giannuli, “Francia e Venezuela, la sinistra che perde”, dal blog di Giannuli del 7 dicembre 2015).In una sola giornata la sinistra riceve due colpi secchi perdendo (e male) le elezioni politiche in Venezuela ed amministrative in Francia. Sono due contesti diversi e due sinistre diverse: neoliberista, europeista, moderata ed elitaria quella francese, populista e altermondialista quella carachegna, ma entrambe incapaci di essere forza di cambiamento e di affrontare una crisi internazionale come questa in corso. Nel caso francese occorre dissipare un equivoco che dilaga sui media: che si sia trattato di una reazione di fatti del 13 novembre. Intendiamoci: quella strage ha avuto la sua parte nel gonfiare le vele del Fn, con la conclamata incapacità di Hollande di far fronte al pericolo terrorista. Quando, dopo un attentato grave come quello dell’8 gennaio, si chiama in piazza la gente e ci si mette alla testa di un corteo di tre milioni di persone con i capi di Stato e poi non succede niente e gli jihadisti tornano a colpire anche più duro, hai solo dato la misura della tua impotenza e, dunque, non puoi non aspettarti una reazione molto aspra dell’elettorato. Però non si può ridurre tutto a questo solo problema: la popolarità di Hollande (e del Ps) era in picchiata ben da prima dell’attentato di Charlie Hebdo ed, anzi, fu proprio quell’attentato a regalargli una momentanea risalita nel sondaggi, come simbolo dell’unità nazionale contro l’aggressione subita.