Archivio del Tag ‘famiglie’
-
Questa non è una crisi economica, ma un piano di dominio
Questa non è una crisi economica, ma è uno strumento, un processo voluto e pianificato per arrivare a sostituire la zootecnia alla politica, ossia per poter governare la popolazione terrestre con la padronanza e prevedibilità con cui si governa il bestiame nella stalla o i polli in batteria. E per arrivarci con la collaborazione della gente, facendole credere che le riforme siano tutte scelte scientifiche razionali e magari anche democratiche (l’aspetto didattico-ideologico, la dottrina dei mercati sani e disciplinanti). Questo processo è stato avviato dalla metà degli anni ’70, mediante una serie di precise scelte: un preciso modello economico, una serie di riforme legislative, di lungo respiro (soprattutto la deregolamentazione del settore bancario, l’indipendenza delle banche centrali, la privatizzazione del rifinanziamento del debito pubblico), che si sapeva benissimo che cosa avrebbero prodotto, ossia una società e un’economia reale permanentemente in balia dei mercati e ricattabili dagli speculatori finanziari. Una crescente concentrazione di quote di reddito, quote di ricchezza, quote di potere, nelle mani dei pochi che decidono.Tutti gli altri soggetti (cioè Stati, imprese, famiglie, pensionati, disoccupati…) permanentemente con l’acqua alla gola, impoveriti, costretti ad obbedire, ad accettare, come condizione per una boccata d’aria o di quantitative easing, dosi ulteriori di quelle medesime riforme. Dosi ulteriori di concentrazione di ricchezza e potenza, di oligarchia tecnocratica irresponsabile e senza partecipazione dal basso, senza controllo democratico. Senza garanzie costituzionali. Era tutto intenzionale. Infatti, nessuno dei meccanismi finanziari che hanno prodotto e mantengono l’apparente crisi è stato rimosso, dopo, visti i danni che faceva, nemmeno la possibilità per le banche di giocare in Borsa coi soldi dei risparmiatori. Anche l’euro si sapeva benissimo che cosa avrebbe prodotto, in base a ripetute esperienze precedenti con il blocco dei cambi tra paesi economicamente dissimili.Tutto questo non è un incidente, una crisi, un cigno nero, bensì un’operazione di potenziamento e razionalizzazione tecnologica del controllo sociale; non mira banalmente al profitto economico, il quale ormai è un concetto superato da quando la ricchezza si produce con metodi contabili ed elettronici nel gioco di sponda tra banche e governi, che possono creare tanto denaro quanto vogliono. Mira all’ottimizzazione tecnologica e giuridica del dominio sociale. Non è una crisi, e soprattutto non è una crisi economica, signori economisti; sicché affannarsi a proporre ingegnose soluzioni sul piano economico e monetario è incongruo, improduttivo. Non è qualcosa di accidentale, non si sta cercando di uscirne, è un processo guidato verso un obiettivo preciso e già ampiamente conseguito, un processo a cui nessuna forza politica o morale può opporsi efficacemente, dati i rapporti di forza, e l’unica speranza sta nella possibilità che esso sfugga di mano ai suoi strateghi e ingegneri, per la sua stessa complessità e dinamicità.La fascistoide riforma costituzionale ed elettorale di Renzi – diciamo di Renzi, ma sappiamo che le riforme strutturali in Italia le detta Francoforte, nell’interesse di padroni stranieri, e che da qualche tempo i primi ministri italiani agiscono su suo mandato – è un tassello italiano di questa strategia zootecnica, disegnato per consentire la gestione dell’intero paese attraverso un’unica persona, un unico organo istituzionale, il primo ministro, che assommerà in sé i poteri politici senza contrappesi e controlli indipendenti. I tempi forzati in cui detta riforma deve venire attuata sono verosimilmente in relazione al tempo per cui la situazione italiana può reggere, prima che vengano meno le condizioni esterne molto favorevoli oggi presenti, prima che arrivino pesanti scadenze finanziarie, prima che si dissolva l’impressione popolare di incipiente ripresa e che si renda necessario imporre nuovi e impopolari sacrifici.Quando ciò avverrà, si scateneranno forti tensioni sociali e si calcola di poterle reprimere e contenere grazie a una riforma costituzionale di tipo autoritario. Renzi non è un dittatore, è solo un esecutore teleguidato, costruito col marketing. Ma sta preparando il posto di comando per il dittatore che verrà dopo di lui. Ecco il perché della fiducia posta dal governo sull’Italicum, una riforma elettorale che andrà in vigore nel 2016, sicché non ci dovrebbe essere fretta ad approvarla; ma in realtà c’è molta fretta, perché proprio nel 2016 finirà il quantitative easing assieme agli effetti benefici della svalutazione dell’euro, e allora il quadro potrebbe saltare, bisogna avere tutto pronto.Per rispettare questi tempi, e a conferma del fatto che il suo governo come i precedenti rappresenta l’alleanza (asimmetrica) tra gli interessi della casta italiana e quelli del padrone straniero, il governo Renzi deve mantenere l’appoggio degli interessi parassitari legati alla politica e necessari per avere i voti in parlamento, il che spiega perché non ha toccato i centri di spreco e ruberie come le famose società partecipate e non ha proceduto alla spending review, quantunque queste siano vere urgenze. Se l’avesse fatto, la sua maggioranza si sarebbe squagliata subito. Invece il 29 e 30 aprile ben due terzi dai suoi apparenti oppositori interni gli hanno votato la fiducia sulla legge elettorale. Funziona sempre, questa irresistibile attrazione delle poltrone che resteranno a galla quando il paese affonderà.(Marco Della Luna, “Questa non è una crisi economica”, dal blog di Della Luna del 30 aprile 2015).Questa non è una crisi economica, ma è uno strumento, un processo voluto e pianificato per arrivare a sostituire la zootecnia alla politica, ossia per poter governare la popolazione terrestre con la padronanza e prevedibilità con cui si governa il bestiame nella stalla o i polli in batteria. E per arrivarci con la collaborazione della gente, facendole credere che le riforme siano tutte scelte scientifiche razionali e magari anche democratiche (l’aspetto didattico-ideologico, la dottrina dei mercati sani e disciplinanti). Questo processo è stato avviato dalla metà degli anni ’70, mediante una serie di precise scelte: un preciso modello economico, una serie di riforme legislative, di lungo respiro (soprattutto la deregolamentazione del settore bancario, l’indipendenza delle banche centrali, la privatizzazione del rifinanziamento del debito pubblico), che si sapeva benissimo che cosa avrebbero prodotto, ossia una società e un’economia reale permanentemente in balia dei mercati e ricattabili dagli speculatori finanziari. Una crescente concentrazione di quote di reddito, quote di ricchezza, quote di potere, nelle mani dei pochi che decidono.
-
Insegnava a non avere paura, per questo Osho fu ucciso
Osho Rajneesh fu assassinato dalla Cia mediante avvelenamento da tallio. Morì il 19 gennaio 1990, all’età di 60 anni. Faceva paura, perché insegnava a non avere paura di nulla. La morte, scrisse, va accolta con gioia: è come “addormentarsi in Dio”. «Che fu assassinato non lo dice un complottista come me», scrive Paolo Franceschetti. «Lo dice lui stesso, lo dicono i suoi allievi, e la storia del suo assassinio è narrata nel libro “Operazione Socrate”, che spiega anche le ragioni per cui venne avvelenato». Negli anni ‘80, i media lo presentavano come un guru spirituale così anomalo da viaggiare in Rolls Royce, a capo di un clan di appassionati di orge e fumatori di hashish. Non faceva nulla per allontanare da sé l’immagine di personaggio incongruente: secondo Gianfranco Carpeoro, esoterista e studioso di simbologia, il guru indiano emigrato negli Usa aveva capito perfettamente di essere sotto tiro, in pericolo di morte: aveva un enorme ascendente su milioni di giovani, e non voleva fare la fine di John Lennon. Meglio rischiare di passare per ciarlatano, pur di evitare l’omicidio?Osho era una potenza, con qualcosa come 400 titoli usciti a suo nome. Libri praticamente su tutto: vita e morte, religione, amore, denaro, depressione, felicità, etica. E politica. I suoi seguaci italiani? «Sembravano un po’ sciroccati», scrive Franceschetti sul suo blog. Convinti, i “Sannyasin”, che il Maestro se ne fosse semplicemente “andato” per sua scelta. «Dopo aver parlato con loro – confessa Franceschetti – mi convincevo che la storia del suo assassinio doveva essere una balla, prima di tutto perché nessuno dovrebbe aver interesse a uccidere il leader di un branco di sciroccati». La storia della Cia? «Una stupidaggine: quando non si sa a chi dare la colpa, si tira sempre fuori la Cia o gli extraterrestri». Le cose cambiarono quando Francheschetti, avvocato con alle spalle accurate indagini su alcuni dei più atroci casi insoluti della cronaca nera italiana, dal giallo di Cogne al Mostro di Firenze fino alle “Bestie di Satana”, prese in mano un libro di Osho, “La via delle nuvole bianche”. «Rimasi colpito dalla bellezza e della profondità del libro», racconta. «Poi ne lessi altri e via via mi convincevo che il suo pensiero era di una profondità fuori dal comune, che mal si attagliava all’immagine di orge e Rolls Royce che i media ne avevano tramandato».La data della sua morte era quanto meno sospetta, scrive Franceschetti, perché ai giorni nostri è difficile morire a sessant’anni per cause naturali, «specie se stiamo parlando di un uomo che viveva seguendo una dieta sana e principi anche spirituali sani». Osho aveva lavorato, e poi fondato una comunità spirituale, in India. Nel 1981 si trasferì in America e fondò una comunità nell’Oregon, ad Antelope: Raineeshpuram. Venne arrestato il 28 ottobre del 1985 a Charlotte, nella Carolina del Nord, e fu tenuto in stato di arresto per 12 giorni. Motivo del fermo: immigrazione clandestina. «Per quello che, in Oregon, è un semplice illecito amministrativo, Osho fu tenuto, illegalmente, 12 giorni in prigione». Poi gli fu comminata una pena di 10 anni di galera, con la sospensione condizionale, in aggiunta all’espulsione dagli Usa. «Venne accusato perché alcuni cittadini americani che frequentavano la comunità di Osho avevano contratto matrimoni di convenienza con degli stranieri, per far acquisire loro la cittadinanza americana. L’accusa poi era sicuramente falsa, perché Osho era il leader di una comunità che contava oltre 7.000 persone: difficile immaginare che fosse direttamente colpevole di questi reati».Osho venne sottoposto a «una serie di procedimenti illegali», e tenuto in stato di arresto per molti giorni in più rispetto a quella che sarebbe stata la normale procedura, senza che i suoi avvocati fossero avvisati dell’arresto. Venne trasferito in 12 giorni prigioni diverse, «senza motivo e senza una regolare procedura». In un carcere fu registrato col falso nome di David Washington: perché? Fu tradotto in un penitenziario di contea e non nel carcere federale, dove per giunta rimase 4 notti anziché una, come previsto in genere per i prigionieri in transito. Leggendo la sua biografia, e il libro che alcuni suoi discepoli hanno scritto sulla sua morte, saltano agli occhi poi alcune cose. Anzitutto la testimonianza di un detenuto in carcere per omicidio, Jonh Wayne Hearu, che al processo dichiarò di essere stato avvicinato per gettare una bomba sulla comunità di Osho. Furono addirittura insabbiate le testimonianze di alcuni agenti federali, che dichiararono che stavano indagando su un’altra bomba, destinata non alla comunità di Osho ma al carcere nel quale il leader spirituale era stato tradotto. Gli uomini dell’Fbi fecero capire che si trattava di «telefonate partite da centri istituzionali», ma «l’inchiesta su questa vicenda venne insabbiata e il funzionario che stava indagando venne trasferito».Il giorno dell’arresto, continua Franceschetti, erano pronti centinaia di militari che avevano circondato la comunità di Osho. Erano «in assetto da guerra e con elicotteri da combattimento». Il leader spirituale però «fu avvertito della cosa e quel giorno si fece trovare a casa di una sua seguace, dove si consegnò pacificamente». Per giunta, da giorni, i suoi legali chiedevano notizie circa l’eventuale possibile arresto di Osho «il quale, nell’eventualità, voleva consegnarsi spontanemente». Le autorità americane rassicuravano gli avvocati, ripetendo che non dovevano temere nulla. Eppure, «l’arresto fu effettuato a sorpresa e con la preparazione di un vero esercito». Motivo? «A mio parere – dice Franceschetti – avevano preparato una strage, che fu sventata dall’allontanamento di Osho dalla comunità». Probabilmente, «per il governo la cosa migliore sarebbe stato provocare un incidente per poter uccidere Osho direttamente il giorno dell’arresto». Giornali e televisione, che avevano sempre creato problemi alla comunità dipingendola come un covo di satanisti orgiastici, avrebbero liquidato l’aventuale massacro come l’inevitabile esito di un atto di ribellione da parte di fanatici fondamentalisti, una rivolta «repressa con le armi dall’eroico esercito americano».Altro fatto inspiegabile: Osho disse di essere stato in carcere per 11 giorni, quando invece i giorni erano stati 12. «In altre parole, per un giorno Osho perse la memoria. Non fu mai chiarito il perché e il come». Resta il fatto che al guru fu riscontrato un avvelenamento da tallio che lo portò alla morte in pochi anni. «Nei giorni successivi all’arresto, Osho fu trattenuto in carcere più del dovuto perché doveva prepararsi l’avvelenamento da tallio», che avvenne probabilmente «spargendo la sostanza nel letto dove Osho dormì». Era solito dormire su un fianco, e la parte del corpo che risultò agli esami maggiormente contaminata era proprio quella dove Osho aveva dormito. Una morte così sospetta, da mettere in allarme politici e intellettuali anche in Italia, firmatari di una denuncia scritta. Tra questi Lorenzo Strik Lievers, Luigi Manconi, Marco Taradash, Michele Serra, Giorgio Gaber, Lidia Ravera, Giovanna Melandri, Gabriele La Porta. «Il quadro dei fatti è impressionante», scrissero, «e gravissimi sono gli interrogativi che ne escono». Per cui, «se coloro cui spetta non vorranno o non sapranno dare risposte persuasive, saranno essi a legittimare come fondata la denuncia dei discepoli di Osho». I firmatari chiesero l’apertura di un’inchiesta internazionale, per «far luce su questa pagina oscura», e per sapere «se, ancora una volta nella storia, il “diverso” sia stato prima demonizzato e poi eliminato nell’indifferenza generale».Perché fu ucciso, Osho Rajneesh? I suoi allievi accusarono «i fondamentalisti cristiani, che vedono Satana in tutto ciò che non è cristiano». Secondo Franceschetti, erano completamente fuori strada. Tanto per cominciare, «Bush padre, come il figlio e come Reagan (presidente al tempo dell’arresto di Osho) non sono cristiani nel senso “cristiano” del termine». Il cristiano vero «dovrebbe essere tollerante e amorevole verso tutti, e non dovrebbe per nessun motivo uccidere». Loro? «Sono cristiani nel senso “rosacrociano”; fanno parte cioè di quel ramo dei Rosacroce deviato, l’Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’Oro», e quando parlano di Dio e di Cristo «intendono questi termini in senso esattamente opposto al senso cristiano: non a caso in nome di Dio scatenano guerre uccidendo milioni di persone». Bush ha spesso ha ripetuto che “Dio è con lui”. Già, ma «il Dio in nome del quale scatenano la guerra è il loro dio, Horus, non il Dio dei cristiani». Bush quindi «non è un cristiano», mentre Osho «è più cristiano di molti “cattolici”, in quanto seguiva alla lettera i principi di amore e tolleranza che sono scritti nei 4 Vangeli».Franceschetti indaga il profilo spirituale del crimine e la sua traduzione politica: «La comprensione e l’interiorizzazione dei principi su cui si basa la filosofia di Osho è idonea a scardinare proprio quei capisaldi su cui la massoneria rosacrociana basa la sua forza: ovvero il concetto della morte e il concetto del denaro». Di fatto, con i suoi scritti, «Osho incita a non temere la morte, e a viverla come uno stato di passaggio, in cui addirittura si vivrà meglio che nel corpo fisico». Quanto ai soldi, «nonostante girasse in Rolls Royce, non era attaccato al denaro: da giovane insegnava all’università ma rifiutò una promozione perché, disse, non voleva regalare ancora più soldi allo Stato con le tasse». Non si preoccupò mai del denaro, «perché sosteneva che nell’universo arriva sempre esattamente ciò di cui hai bisogno, nel momento giusto». Le Rolls Royce? «Arrivarono perché la sua comunità attirava anche gente ricca, e ciascuno metteva in comune ciò che aveva: gli avvocati gestivano gratis i problemi della comunità, i muratori costruivano, i medici curavano, i docenti di varie discipline insegnavano e, ovviamente, chi aveva soldi, donava soldi».Secondo Osho, «il denaro e il lusso sono un mezzo come un altro, possono esserci o meno, ma non devono intaccare la serenità interiore, che invece si acquista con altri mezzi». Insegnava ad amare la vita, ma non ne era attaccato. Lo dimostrano le testimonianze dei seguaci che raccontano la sua ultima notte: rifiutò l’assistenza del medico personale. «E’ il momento che me ne vada», disse. «Inutile forzare ancora le cose. Ormai soffro troppo, in questo corpo». Per Franceschetti, dunque, «Osho faceva paura perché il sistema massonico in cui viviamo si basa su due fondamenti, la paura della morte e la paura della perdita economica». Senza queste paure, il potere, che vive di minacce dirette o indirette (se ti opponi perderai il lavoro, perderai la vita, perderai l’onore perché ti infagheremo) non potrebbe resistere. Senza la paura della morte (tua e dei tuoi cari) svanisce anche il ricatto familiare che si riassume nella frase: non ti opporre al sistema, se tieni alla tua famiglia. A questo sistema la comunità di Osho contrapponeva un modello alternativo, basato sul mutuo aiuto: baratto e libero scambio di beni e competenze quotidiane, senza mercificazione.«Anche dal punto di vista religioso, Osho poteva far paura», conclude Franceschetti. «Non ha fondato una sua religione, né si ispirava ad una religione particolare. Nei suoi libri e nei suoi discorsi utilizzava il Vangelo quando parlava a persone cattoliche, i Sutra buddisti quando parlava a buddisti, i Veda indiani quando parlava a induisti, e attingeva da fonti ebraiche, sufi e chassidiche». Tra i tanti libri, scrisse anche “Le lacrime della Rosa mistica”, quella a cui si ispirano i Rosacroce. «Si possono leggere i suoi scritti, quindi, pur restando buddisti, cristiani, o ebrei. Ma dava una lettura dei testi sacri più moderna e al passo coi tempi, il che poteva far paura a coloro che ancora ragionano con schemi che risalgono a migliaia di anni fa, e che usano la religione come uno strumento per tenere sotto controllo le menti degli adepti». Osho, in altre parole, «fu ucciso per lo stesso motivo per cui furono uccisi altri leader spirituali famosi, come Gandhi e Martin Luther King». Soprattutto, «fu ucciso per la stessa ragione per cui vengono uccisi tutti quelli che si ribellano al sistema denunciandolo fin nelle fondamenta, dai cantanti, agli scrittori, ai registi, ai magistrati, ai giornalisti». Il potere aveva ragione di temerlo: «La diffusione delle idee di Osho poteva contribuire a scardinare il sistema». Se non altro, il suo pensiero non è andato perduto: lo testimonia la continua ristampa dei suoi libri, sempre più diffusi. «Per certi versi, Osho è più vivo che mai».Osho Rajneesh fu assassinato dalla Cia mediante avvelenamento da tallio. Morì il 19 gennaio 1990, all’età di 60 anni. Faceva paura, perché insegnava a non avere paura di nulla. La morte, scrisse, va accolta con gioia: è come “addormentarsi in Dio”. «Che fu assassinato non lo dice un complottista come me», scrive Paolo Franceschetti. «Lo dice lui stesso, lo dicono i suoi allievi, e la storia del suo assassinio è narrata nel libro “Operazione Socrate”, che spiega anche le ragioni per cui venne avvelenato». Negli anni ‘80, i media lo presentavano come un guru spirituale così anomalo da viaggiare in Rolls Royce, a capo di un clan di appassionati di orge e fumatori di hashish. Non faceva nulla per allontanare da sé l’immagine di personaggio incongruente: secondo Gianfranco Carpeoro, esoterista e studioso di simbologia, il guru indiano emigrato negli Usa aveva capito perfettamente di essere sotto tiro, in pericolo di morte: aveva un enorme ascendente su milioni di giovani, e non voleva fare la fine di John Lennon. Meglio rischiare di passare per ciarlatano, pur di evitare l’omicidio?
-
Colpo di mano, Juncker autorizza gli Ogm anche in Europa
Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.Ovviamente sui giornaloni nazionali non troverete grandi titoli. Sopire, troncare. Fonti riportate dal “Figaro” spiegano che il presidente Juncker era «ossessionato dalla quantità di richieste di autorizzazione di Ogm bloccate» (dagli Stati membri, ndr). Bravo Juncker, è noto che i cittadini europei si torturano ogni giorno sul problema degli Ogm bloccati. Ue batte Natura 2 a 0. Andiamo a vedere la lista degli Ogm autorizzati da Juncker: sui 19 approvati, 17 sono per l’alimentazione umana e animale e 2 riguardano specie di garofani. Ben 11 sono brevetti dell’americana Monsanto (soia, mais, colza e cotone), gli altri 8 sono prodotti della statunitense Dupont e dei gruppi tedeschi Bayer e Basf. Tutto indica un’attenzione speciale delle istituzioni europee per gli interessi delle multinazionali a danno della biodiversità e della libera scelta. Ricordiamo infatti che sementi non incluse in una lista della Ue sono vietate. Lista i cui criteri privilegiano le sementi industriali ed escludono varietà antiche e tradizionali.A riprova, associazioni senza fini di lucro che come Kokopelli promuovevano la biodiversità sono state punite con multe astronomiche e la cessazione dell’attività per aver diffuso semenze tradizionali secondo una sentenza della Corte Europea del 2012. Una sentenza che rovesciava la posizione dell’Avvocatura Generale della stessa Corte Europea, la quale stimava che «il divieto di commercializzazione di sementi (…) è non valido in quanto viola i principi di proporzionalità e di libera impresa secondo l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la libera circolazione delle merci secondo l’articolo 34 Tfue così come il principio di uguaglianza di trattamento secondo l’articolo 20 della detta carta». Dunque la Corte ribalta il parere dell’Avvocatura e vieta le sementi tradizionali. Il terreno è pronto per la mossa successiva. E qui interviene Juncker, che motu proprio autorizza gli Ogm su tutto il territorio europeo.Per salvare le apparenze i singoli Stati potrebbero in teoria vietare gli Ogm sul proprio territorio – ma solo se accettano la riforma proposta tre giorni fa (guarda caso) dalla stessa Commissione Juncker, che rende più facile l’importazione di Ogm in Europa e allo stesso tempo permette ai singoli Stati di vietarle. Divieti che però devono essere motivati in base a pericolo per salute e ambiente (rovesciando l’onere della prova sugli Stati!), sono sempre impugnabili (cfr. Tttip e le prerogative del suo Regulatory Council) e difficilmente applicabili in pratica, vista la libera circolazione delle merci e le ambiguità europee sull’etichettatura degli alimenti. Nulla impedirebbe di trovarci in tavola carne di maiale nutrito con soia transgenica in Germania o Polonia. Poiché le multinazionali hanno tempi lunghi e costi elevati per dimostrare che gli Ogm sono innocui (quando ci riescono), saranno gli Stati a dover dimostrare che sono nocivi, in barba al principio di cautela che dovrebbe regolare le questioni attinenti la salute e l’ambiente. In sintesi, la nostra stessa sovranità alimentare è messa in pericolo dalla Ue.Ma vediamo cosa pensano i cittadini europei degli Ogm. L’Eurobarometer n. 341 del 2010 (stranamente Eurobarometer non ha condotto nessun sondaggio sugli Ogm dopo il 2010) vede una schiacciante maggioranza di cittadini europei CONTRARIA agli alimenti geneticamente modificati. A pagina 18: «Un’elevata percentuale, 70%, ritiene che il cibo Gm (geneticamente modificati) sia innaturale. Il 61% degli europei conviene che i cibi Gm li mettono a disagio. Inoltre, il 61% degli europei è contrario allo sviluppo di alimenti Gm, il 59% non è d’accordo che i cibi Gm siano sicuri per la salute loro e della loro famiglia, e il 58% non è nemmeno d’accordo che gli alimenti Gm siano sicuri per le generazioni future». Come al solito, quindi: le istituzioni europee capitanate dall’ineffabile Juncker si fanno un baffo dell’opinione dei cittadini; la Commissione si dimostra sempre molto attenta agli interessi delle lobby di grandi industrie e banche; la Commissione può agire in maniera autoritaria e antidemocratica, se occorre; l’informazione “ufficiale” oscura queste gravi vicende; il nostro governo è totalmente supino ai diktat europei, se non promotore attivo delle strategie delle lobby (Renzi: «Il Ttip ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano»). Morale: dopo la sovranità monetaria l’Ue ci farà perdere la sovranità alimentare.(Ulrich Anders, “Colpaccio di Juncker: fine della sovranità alimentare, Ogm per tutti”, da “Scenari economici” del 25 aprile 2015).Il grosso vantaggio dell’Ue per le lobby finanziarie e industriali è che è molto più facile influenzare un potere centrale che i singoli governi dei 28 paesi membri. Le istituzioni europee soffrono di una cattiva immagine presso i cittadini europei (vedi Eurobarometer: fiducia nell’Unione Europea al 37% in Ue, sfiducia maggioritaria in 14 paesi tra cui l’Italia). I centri di potere di Bruxelles e Francoforte sono visti come lontani dal popolo; controllati dalle lobby; indifferenti agli interessi e alle opinioni dei cittadini comuni; proni a quelli delle élite finanziarie; sbilanciati a favore dei grandi gruppi a scapito di piccoli produttori e aziende familiari o individuali. Questi cliché sono stati ancora una volta confermati questa settimana in maniera ‘eclatante’ (cit. Renzi). Il colpaccio di Juncker: ieri infatti la Commissione guidata dall’ineffabile Juncker, noto amico dei piccoli contribuenti e feroce avversario delle grandi multinazionali che tentano di eludere il fisco, ha autorizzato l’introduzione in tutta l’Ue di 19 Ogm, senza attendere il parere di Parlamento e Consiglio Europeo. L’autorizzazione vale 10 anni su tutto il territorio europeo e include gli Stati che si erano opposti.
-
Barnard: come asfaltare chi osa negare i crimini di Israele
Quando, il 22 luglio 1946, il terrorismo sionista fece esplodere l’hotel King David di Gerusalemme che ospitava il quartier generale britannico uccidendo 86 funzionari e 5 passanti, e mandando all’ospedale altre 58 persone, Winston Churchill dichiarò testualmente: «Se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo». Nella stessa epoca, 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero di loro pugno sul “New York Times” una protesta veemente contro la brutale ferocia sionista verso i palestinesi, definendola «simile, in organizzazione e metodi, ai partiti nazisti e fascisti». Lo stesso anno, fu addirittura un ministro del primo governo dello Stato d’Israele, Aharon Cizling, a dichiarare: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti, e io sono sotto shock». Parole che tutti dovrebbero ricordare sempre, sottolinea Paolo Barnard, autore di uno studio – basato su prove e documenti storici – che accerta le spaventose e sistematiche atrocità (preventive) commesse da Israele contro i palestinesi.E’ sempre Israle che sferra il primo colpo, e si tratta di un colpo mortale: pulizia etnica, aggressioni terroristiche, omicidi, campagne militari, stragi, stupri di massa, persecuzioni di ogni genere. Tramortiti da tanta violenza, i palestinesi impiegarono oltre 50 anni a reagire, portando il loro caso di fronte alle Nazioni Unite. Tutto inutile, però: Israele continua a uccidere, e il mainstream lo dipinge regolarmente come vittima della storia e della violenza araba. Una montagna sanguinosa di mistificazioni, che Barnard prova a demolire pubblicando il mini-saggio “Come ‘asfaltare’ chi difende Israele con 10 autorevoli risposte”. Fonti: libri di storia di ogni provenienza, relazioni di organi internazionali, documenti ufficiali di governi occidentali. Autore di libri scomodi come “Perché ci odiano”, che indaga le reali cause della (recente) ostilità del mondo islamico verso l’Occidente imperialista, Barnard definisce questo nuovo studio una «guida imbattibile per distruggere uno per uno gli argomenti usati dai personaggi mediatici asserviti alla menzogna quando difendono il terrorismo d’Israele e il genocidio dei palestinesi».Premessa: «Anti-sionismo non significa antisemitismo. Sionisti = élite ebrea criminale genocida dominante in Palestina dall’800 a oggi. Semiti sono i normali ebrei e palestinesi, d’Israele, della Palestina o del mondo. Solo gli ignoranti, o i falsari amici dei sionisti, spacciano un anti-sionista per antisemita». Primo luogo comune: “Sono gli arabi ad aver sempre attaccato gli ebrei emigrati in Palestina per sfuggire alle persecuzioni europee”. Falso: «Menzogna storica totale. Per tutto il XIX secolo e oltre, i palestinesi accolsero l’emigrazione ebraica europea con favore, amicizia ed entusiasmo. Al punto che le massime autorità religiose ebraiche d’Europa lo testimoniarono». Lo disse il 16 luglio del 1947 l’eminente rabbino Yosef Tzvi Dushinsky, alle Nazioni Unite: prima del sionismo, «non vi fu mai un momento, nell’immigrazione degli ebrei ortodossi europei in Palestina, nel quale gli arabi abbiano opposto resistenza alcuna. Al contrario, quegli ebrei erano i benvenuti per via dei benefici economici e del progresso che ricadevano sugli abitanti locali, che mai temettero di essere sottomessi. Era risaputo che quegli ebrei giungevano solo per motivi religiosi e non ebbero difficoltà a stabilire rapporti di fiducia e di vera amicizia con le comunità locali».Vent’anni prima, si esprimeva nello stesso modo un altro rabbino di grande fama, Baruch Kaplan, già a capo della “Beis Yaakov Girls School” di Brooklyn, in giovinezza attivo nella Yeshiva (scuola religiosa) di Hebron. «Gli arabi – dichiarò Kaplan – furono sempre assai amichevoli, e noi ebrei condividemmo la vita con loro a Hebron secondo relazioni di buona amicizia». Lo stesso religioso riferì che il rabbino polacco Avraham Mordechai Alter aveva compiuto una ricognizione in Palestina per «capire che tipo di persone erano i palestinesi, così da poter poi dire alla sua gente se andarci o no». In una lettera, «scrisse che gli arabi erano un popolo amichevole e assai apprezzabile». Lo conferma la Commissione Shaw del governo inglese, a proposito delle violenze fra arabi e sionisti nel 1929: «Prima della Grande Guerra (1915-18) gli arabi e gli ebrei vivevano fianco a fianco, se non in amicizia, almeno con tolleranza». Negli 80 anni precedenti, cioè in epoca precedente al fenomeno sionista, «non ci sono memorie di scontri violenti fra i due popoli». Due popoli? Secondo la vulgata sionista, non esisteva un vero popolo Si trattava di “tribù sparse”, con “pochi individui che vivevano sulle terre bibliche”. Un leader storico del movimento sionista europeo, Israel Zangwill, dichiarò a inizio secolo che «la Palestina è una terra senza popolo», al contrario degli ebrei, «popolo senza terra». Una menzogna, scrive Barnard, smentita di nuovo dall’interno dello stesso movimento sionista europeo, che iniziò la colonizzazione su larga scala della Palestina alla fine del XIX secolo.Al 7° congresso sionista del 1905, un leader di nome Yitzhak Epstein si alzò e lasciò agli atti questa frase: «Diciamoci la verità. Esiste nella nostra cara terra d’Israele un’intera nazione palestinese, che vi ha vissuto per secoli, e che non ha mai pensato di abbandonarla». La narrazione filo-sionista condanna chi considera colonialisti gli israeliani? Peccato, perché «il movimento sionista europeo nacque razzista, violento e prevaricatore (come è oggi). All’arrivo in Palestina trattarono subito i palestinesi come bestie, perché li consideravano poco più che bestie. Furono i sionisti a iniziare violenze e atrocità contro i palestinesi pacifici». A inizio ‘900, in uno scambio fra un fondatore del movimento sionista ebreo europeo, Chaim Weizmann (che sarà il primo presidente d’Israele nel 1948) e gli allora padroni coloniali inglesi, si legge: «Gli inglesi ci hanno detto che in Palestina ci sono qualche migliaio di negri (“kushim”), che non valgono nulla». Parole inequivocabili, e indelebili. Il più celebre umanista sionista della storia, Ahad Ha’am, lanciò un allarme contro la violazione dei diritti dei palestinesi da parte dei sionisti: gli ex “servi nelle terre della Diaspora” «d’improvviso si trovano con una libertà senza limiti, e questo cambiamento ha risvegliato in loro un’inclinazione al dispotismo».«Essi – continua Ha’am – trattano gli arabi con ostilità e crudeltà, gli negano i diritti, li offendono senza motivo, e persino si vantano di questi atti. E nessuno fra di noi si oppone a queste tendenze ignobili e pericolose». Era il 1891, osserva Barnard, mezzo secolo prima di Hitler: già allora il razzismo e la violenza sionista faceva questo a palestinesi innocenti. «Per quasi 50 anni prima dell’Olocausto – continua Barnard – i sionisti che emigravano in Palestina aggredirono i palestinesi e programmarono nei dettagli la pulizia etnica della Palestina, con metodi feroci e terroristici. Ripeto: 50 anni prima di Hitler». Il padre del movimento sionista, Theodor Herzl, aveva dichiarato: «Tenteremo di sospingere la popolazione (palestinese) in miseria oltre le frontiere, procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra… Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione e di nascosto». Un’altra personalità sionista di fine ‘800, Leo Motzkin, sancì: «La colonizzazione della Palestina si fa colonizzando tutta l’Israele biblica, e deportando i palestinesi da altre parti».E’ quindi ovvio che il destino di pulizia etnica del palestinesi fu progettato 50 anni prima della Shoah. E anche nelle decadi successive alla fine ‘800, «il razzismo e la pulizia etnica contro i palestinesi rimasero priorità», per lo Stato ebraico. Alla fine degli anni ’30, ricorda Barnard, «il leader sionista Yossef Weitz aveva anticipato gli infami protocolli nazisti di Wannsee (che, fra le altre cose, listavano gli ebrei d’Europa da deportare) scrivendo i ‘Registri dei Villaggi’ dove si indicavano tutte le famiglie palestinesi da cacciare a forza». Peggio: «Addirittura Ephraim Katzir (che diventerà presidente di Israele, pensate) arrivò a lavorare in laboratorio per trovare un veleno per accecare i palestinesi». Il leader storico sionista, David Ben Gurion, aveva redatto il Piano Dalet per la completa pulizia etnica della Palestina ben prima dell’arrivo in Palestina dei profughi dai campi di sterminio tedeschi. Nel suo stesso diario, Ben Gurion scrisse cose atroci su come colpire i palestinesi innocenti: «Dobbiamo essere precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace».E allora, l’aggressione araba contro gli ebrei del 1948? “Tutte le nazioni arabe attorno alla Palestina – dice il mainstream sionista – tentarono di sterminare gli ebrei, che per fortuna vinsero quella guerra, se no sarebbe stato un altro Olocausto!”. Infatti, i leader arabi “incitarono via radio i palestinesi ad abbandonare i loro villaggi per permettere lo sterminio degli ebrei!”. Per questo, “i palestinesi se ne andarono volontariamente”. «Menzogna completa», protesta Barnard. Intanto, allo scoppio della guerra arabo-ebraica del 1948, gli ebrei sionisti avevano già inflitto 50 anni di atrocità, pulizia etnica e stragi ai civili palestinesi, «per cui la reazione araba aveva una giustificazione pluri-decennale». Ma la tanto millantata guerra del 1948 fu «una messa in scena totale, una vera bufala già organizzata affinché i sionisti vincessero, grazie ad accordi segreti fra Ben Gurion e il Re arabo della Transgiordania, Abdullah». La “guerra bufala”, la chiamò nelle sue memorie il comandante delle truppe arabe, l’ufficiale arabo-inglese Glubb Pasha.Il re Abdullah e Ben Gurion finsero di combattersi per poi spartirsi la Palestina. Le altre truppe arabe non potevano impensierire Israele: «Gli egiziani erano per la metà Fratelli Musulmani con le ciabatte ai piedi, i libanesi non combatterono mai, i siriani erano armati ma erano quattro gatti, e gli iracheni erano sotto gli ordini del traditore Abdullah, per cui fecero nulla». Infatti, dai diari di Ben Gurion, risulta che in piena guerra del ’48 raccomandò al suo esercito: «Tenete il meglio delle truppe per la pulizia etnica della Palestina, secondo il Piano Dalet». Quanto alle “trasmissioni radio” dei leader arabi per incitare i palestinesi ad abbandonare la regione, si tratta di un falso storico sonoramente smentito dalla Bbc, che monitorò l’intera massa di comunicazioni circolate in Medio Oriente nel 1948. Tutte le trascrizioni sono custodite al British Museum di Londra: in esse, scrive Barnard, non vi è traccia di un singolo ordine di evacuazione da parte di alcuna radio araba dentro o fuori dalla Palestina.Al contrario, si possono leggere gli appelli ai civili palestinesi affinché rimanessero a presidiare le loro case. E lo si può ben capire: nel 1948, alla vigilia della guerra “fondativa” del mito dell’invincibilità militare di Davide che si batte per difendersi dal gigante Golia, «la pulizia etnica sionista aveva già espulso 750.000 palestinesi, tutti civili». Ma la menzogna è tenace, si replica puntualmente con la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando gli arabi “tentarono di sterminare gli israeliani”, i quali “in una prova di eroismo militare riuscirono ad evitare un altro Olocausto”. «Questa versione è una farsa, distrutta vergognosamente dai documenti segreti del governo americano e della Cia», annota Barnard. «Non solo gli israeliani non corsero alcun reale pericolo nella cosiddetta Guerra dei Sei Giorni, ma gli arabi tentarono di tutto per non combattere, e furono ignorati da Tel Aviv e dagli Usa. Il governo israeliano invece terrorizzò la popolazione ebraica in quell’occasione, sapendo perfettamente che avrebbe attaccato per primo e avrebbe stravinto».Lo rivelano i documenti americani “declassificati” nel 2005: fu Israele ad aggredire gli arabi, non il contrario. La Cia sapeva che Israele avrebbe annientato gli arabi. Il 3 giugno 1967, al Pentagono, il ministro della difesa statunitense Robert McNamara incontrò il capo del Mossad, Meir Amit. «Quanto durerà questa guerra?», gli chiese. «Durerà sette giorni», rispose il capo dell’intelligence israeliana. Tutto questo mentre il presidente egiziano Nasser, teoricamente nemico di Israele, «disperatamente tentava i contatti con gli inglesi e con gli americani per evitare la guerra», inviando a Washington il suo ministro degli esteri Zakariya Mohieddin per cercare di mediare la pace. «Mentre Mohieddin sta per partire per l’America, gli israeliani attaccano l’Egitto e distruggono l’esercito egiziano».Il premier israeliano Menahem Begin, molti anni dopo confessò tutto: l’aggressione araba era una ‘bufala’. Fu Israele ad aggredire, disse al “New York Times”: «Nel giugno del 1967 di nuovo affrontammo una scelta. Le armate egiziane nel Sinai non erano per nulla la prova che Nasser ci stesse attaccando. Dobbiamo essere onesti con noi stessi. Noi decidemmo di attaccare lui». Questa, conclude Barnard, è un’altra grande bugia che ci hanno raccontato, ed è un modello della storiografia su Israele: «Ci raccontano sempre questa cosa, che Israele è la vittima, che sta per soccombere agli arabi cattivi, mentre la realtà è esattamente diametralmente l’opposto». Perché tante menzogne? Semplice: «L’élite bellica sionista-israeliana ha bisogno delle finte aggressioni arabe, ha bisogno dei pericoli, ha bisogno della minaccia inventata o gonfiata per mantenersi al potere».Per questo, aggiunge Barnard, l’élite israeliana ha così tanta paura della pace, e lavora da sempre – anche all’Onu – per sabotarla in ogni modo, a partire dalla storica risoluzione 181 del 1947. «La leadership sionista visse, e sopravvive oggi, solo grazie alla strategia della tensione che loro creano provocando violenze, proprie o palestinesi, continue». Se la leadership sionista accettasse la pace, continua Barnard, «dovrebbe confrontarsi con un paese, Israele, che essa gestisce da cani». A quel punto, «gli israeliani li caccerebbero». Sono vittime del loro governo, debitamente disinformate. Come valutare, del resto, lo stesso piano di pace del 1947? Consegnava agli ebrei, minoranza assoluta, il 56% delle terre. Il Negev andava a Israele, benché abitato da 90.000 arabi e appena 600 ebrei, ai quali andava anche l’unico porto commerciale vitale, Haifa. Poi andava agli ebrei l’86% delle terre fertili, aranceti, ulivi. Ai palestinesi erano anche negati i confini con la Siria, dove vi sono le fonti di acqua. E Gerusalemme rimaneva “internazionale”, ma di fatto in mano ebraica. «Questa è la vergognosa realtà. Come potevano i palestinesi accettare?».Lord Alan Cunningham, l’ultimo Alto Commissario inglese in Palestina, scrisse a Ben Gurion nel marzo 1948: «I palestinesi sono calmi e ragionevoli, voi sionisti fate di tutto per provocare violenza». Il diplomatico americano Mark Ethridge, inviato alla conferenza di Pace di Losanna nel 1949, dichiarò furioso: «Se non siamo arrivati alla pace è primariamente colpa d’Israele». Nel 1971 il presidente egiziano Sadat aveva offerto la pace a Israele in cambio del suo Sinai illegalmente occupato. Tel Aviv reagì mandando Ariel Sharon a fare la pulizia etnica del Sinai, dove l’esercito israeliano fece orrende stragi condannate dall’Onu e causò la Guerra del Kippur, del 1973. Inoltre, «la criminosa invasione israeliana del Libano nel 1982 (19.000 morti civili arabi) fu causata non da minacce a Israele, ma dall’esatto contrario». Massima rivelazione dell’orrore, il massacro dei civili rifugiati nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila, sterminati da miliziani su ordine dello stesso Sharon.La vera crisi, per Israele, è la pace: Tel Aviv andò in tilt nel 1982, di fronte alla clamorosa proposta di pace avanzata da Yasser Arafat. Il leader dell’Olp, futuro capo dell’Autorità Nazionale Palestinese, fece di tutto per fermare gli estremisti islamici. Lo ammise lo stesso capo dei servizi segreti ebraici Shab’ak, cioè Ami Ayalon, in una relazione al governo: «Arafat sta facendo un ottimo lavoro, si è lanciato anima e corpo contro i terroristi». La massima occasione per la pace? Fu l’incontro a Camp David nel luglio del 2000 fra Clinton, Arafat e il premier israeliano Ehud Barak. «La stampa mondiale riportò che fu Arafat a rifiutare la pace, ma è falso. Fu il contrario. Ai palestinesi non fu presentata alcuna proposta scritta, gli fu chiesto di cedere un 9% di terre, e di ricevere un misero 1%, gli fu negata ogni discussione sul ritorno dei profughi cacciati dalla pulizia etnica pre 1948 (come invece sancisce la Risoluzione Onu 194) e non gli fu concesso nulla su come dividersi Gerusalemme. Come poteva Arafat accettare?».E’ provato che, mentre Israele predicava la pace, in segreto pianificava altra pulizia etnica della Palestina, nonché l’uccisione di Arafat e la guerra ai civili. Sono stati scoperti 5 piani segreti della difesa israeliana a questo scopo, racconta Barnard: nel 1996 il piano “Field of Thorns”, nel 2000 il secondo piano “Field of Thorns”, nel 2001 il piano Dagan, nel luglio 2001 il piano di Shaul Mofaz chiamato “La Distruzione dell’Anp di Arafat”, che in quel momento collaborava con Tel Aviv, e nel 2002 il piano “Eitam” con gli stessi scopi. Nel 2003 gli Usa propongono la pace nel documento “The Road Map”, dove si parla anche di un “Israele che cessi ogni violenza contro i civili palestinesi”. I palestinesi l’accettarono e dichiararono il cessate il fuoco. Tel Aviv portò 14 emendamenti alla proposta americana e di fatto la distrusse. Ma non solo. Ariel Sharon intensificò gli assassinii di sospetti (ma non processati) membri di Hamas, ammazzandogli spesso anche mogli e bambini, ovviamente esacerbando le tensioni. Fine della “Road Map”.Stessa musica con i cessate il fuoco di Hamas, «praticamente sempre violati da Israele, al punto che nel 2006 in una conversazione segreta fra i leader di Hamas in Gaza e Damasco, si sente dire “Non abbiamo ricevuto nessun beneficio dal nostro cessate il fuoco di un intero anno, Israele continua la violenza contro i civili, e stiamo perdendo la reputazione coi civili palestinesi”». Nel famoso rapimento da parte di Hamas del soldato israeliano Gilad Shalit, viene omessa una verità scomoda, e cioè che «il giorno prima Israele aveva rapito due medici palestinesi senza alcun mandato legale, e li ha fatti sparire “incommunicado” (mai rilasciati né processati). La provocazione fu quindi israeliana». Eppure, in un articolo sul “Washington Post” del luglio 2006, il leader di Hamas Ismail Haniyeh riconobbe pienamente il diritto d’Israele di esistere, nonché il diritto alla pace fra «tutti i popoli semiti dell’area». Haniyeh lo fece «nonostante sapesse che quando Arafat riconobbe Israele nel 1993 non ottenne assolutamente nulla, solo violenza». Così, Tel Aviv ignorò anche l’offerta di Haniyeh.Nel 2007 gli Stati Uniti offrono la pace nel Trattato di Annapolis. Ma poiché il testo della Casa Bianca contiene la frase “cessare il terrorismo sia da parte palestinese che israeliana”, Israele boicottò tutto l’accordo. Fine del Trattato di Annapolis. Persino da dentro l’establishment militare d’Israele arriva l’ammissione che è Tel Aviv che boicotta la pace. L’ex capo del Mossad, Efraim Halevy, dicharò nel 2009: «Se Israele volesse veramente eliminare la minaccia dei razzi di Hamas», rudimentali aggeggi, «dovrebbe permettere ai civili di Gaza di sopravvivere consentendo loro di ricevere i beni vitali attraverso la frontiera con l’Egitto, non strangolarli alla fame. Questo garantirebbe la pace a Israele per decenni». Lo conferma Robert Pastor, docente all’American University, già inviato dell’ex presidente Usa Jimmy Carter nei Territori Occupati, cioè Cisgiordania e Gaza. Parole esplicite: è Israele che boicotta la pace. «Hamas – dice Pastor – aveva fermato il lancio dei razzi dal giugno al novembre 2008, ma Tel Aviv non solo rinnegò la promessa di allentare lo strangolamento dei civili di Gaza per cibo, medicinali, e acqua, ma bombardò un “tunnel della disperazione”, quelli che fanno passare poche cose dall’Egitto ai palestinesi. Comunicai chiaramente al governo israeliano che Hamas avrebbe esteso il cessate il fuoco se l’assedio di Gaza si fosse allentato, ma mi ignorarono totalmente».Scrive il mitico reporter d’inchiesta americano Seymour Hersh: «L’attacco a Gaza (2008) da parte d’Israele, e i massacri conseguenti, vennero guarda caso quando il governo turco era riuscito a mediare con diplomatici di Tel Aviv un accordo completo per il ritiro israeliano dal Golan occupato illegalmente da Israele. Ma è ovvio che l’assalto a Gaza distrusse tutta la mediazione. Non fu una coincidenza». Lo sostiene anche l’“Huffington Post”: «Il cessate il fuoco di Hamas del 2008 reggeva benissimo. Fu Israele a uccidere per primo, il 4 novembre. Poi sempre un raid aereo israeliano uccise altri 6 palestinesi, nonostante il cessate il fuoco. Abbiamo fatto un seria ricerca su chi, fra Israele e Hamas, ha rotto più volte il cessate il fuoco in quasi 10 anni, con l’aiuto dell’organizzazione israeliana B’Tselem. E’ indubbiamente Israele che uccide per primo durante un cessate il fuoco, nel 78% dei casi precisamente. Hamas ha violato le tregue solo nell’8% dei casi. Ma se parliamo di tregue lunghe più di 9 giorni, Israele le ha violate per primo nel 100% dei casi».Come si può affermare di fronte a queste prove che sono i palestinesi a rifiutare la pace? A spezzare le tregue? E’ l’esatto contrario, protesta Barbnard. «Questo, senza dimenticare che anche in tempi di cessate il fuoco, Israele continua la sua politica di pulizia etnica palestinese e di violenze gratuite e distruttive contro i villaggi palestinesi, contro il loro diritto di nutrirsi, con rapimenti di minori che spariscono “incommunicado”, torture di prigionieri senza processo e senza tutele legali». Nonostante ciò, la narrazione filo-sionista ha il coraggio di ripetere che “Israele è l’unico Stato democratico della zona”, e quindi “è vergognoso chiamarlo Stato razzista”. In realtà, proprio il razzismo «fu ed è la linfa vitale di tutto il movimento sionista: oggi Israele è l’unico Stato moderno che mantiene un sistema di apartheid feroce contro i palestinesi, talmente rivoltante da essere stato condannato in tutto il mondo». La democrazia in Israele? «Riguarda solo la popolazione ebraica, e neppure tutta».Pochi sanno che le leggi emanate nei decenni dal Jewish National Fund sulle terre di Palestina, da loro occupate attraverso la pulizia etnica, sanciscono che tali terreni sono riservati al 90 agli ebrei; ai palestinesi è proibito affittare o comprare quei terreni che una volta erano loro, prima della colonizzazione sionista. Nel 2003 l’Istituto Israeliano per la Democrazia fece un sondaggio fra gli ebrei israeliani che diede questi risultati: il 53% sostenne che i palestinesi non avevano diritto all’eguaglianza civica con gli ebrei, e il 57% disse che andavano semplicemente cacciati a forza. Il Comitato dell’Onu sui diritti economici, sociali e culturali ha denunciato in termini tragici la mancanza di democrazia in Israele: anche i cittadini israeliani di origine araba sono esclusi dalla residenza nel 93% delle terre; sono esclusi dalla maggior parte dei sindacati, dei servizi pubblici come acqua, elettricità, alloggi, sanità, e sono relegati alle scuole peggiori. I loro salari sono sempre inferiori a quelli degli ebrei. Infine, dice il rapporto dell’Onu, il trattamento da parte israeliana dei beduini è al limite dei crimini contro l’umanità. Bella democrazia, no?«Non c’è Stato ebraico senza la cacciata dei palestinesi e l’espropriazione della loro terra», schiarì Sharon. Razzismo, apartheid. Lo disse anche un famoso giurista sudafricano, John Dugard, esperto di segregazione razziale, inviato dalle Nazioni Unite in Israele e Territori Occupati. Dugard consegnò all’Onu le seguenti parole: «Le leggi e le azioni d’Israele nei Territori Occupati (illegalmente), certamente rispecchiano parti dell’apartheid sudafricana. Si può forse negare che lo scopo di tali azioni e di tali leggi è di mantenere il dominio di una razza (ebrei) su un’altra razza (palestinesi), per schiacciarli sistematicamente?». La democrazia israeliana, inoltre, tollera fra i partiti dell’arco costituzionale il “National Union Party”, che chiede apertamente la distruzione della popolazione palestinese e nega ai palestinesi il diritto di esistere. «Israele – scrive Barnard – è l’unico Stato al mondo dove nel 1995 il governo ha introdotto il concetto di “gruppi di popolazione”, distinguendo il gruppo “ebrei e altri” dal gruppo “arabi”. Il primo comprende ebrei e cristiani non arabi, il secondo musulmani e arabi cristiani. L’unico altro Stato al mondo che aveva questa distinzione settaria era il Rwanda».E c’è di peggio: una rappresentante del partito israeliano “Jewish Home”, la giovane Ayelet Shaked, insieme all’accademico israeliano Mordechai Kedar dell’università di Bar Ilan, ha scritto che le famiglie, cioè bambini, mogli e nonni dei “terroristi” di Hamas «vanno sterminate», e che le loro sorelle e madri «vanno stuprate», dopo 80 anni di orrori ebraici contro quelle famiglie, quelle madri e quelle sorelle. E’ esplicito il professor Joel Beinin, docente di storia alla Stanford University, negli Usa: ha intitolato un suo saggio “Il razzismo è il pilastro dell’operazione Protective Edge di Israele”. Davide e Golia? Sì, ma bisogna invertire le parti:«Il primo attacco suicida palestinese contro Israele è dell’aprile 1994 ad Afula, esattamente dopo un secolo di terrore e di crimini sionisti-israeliani contro i civili palestinesi», chiosa Barnard, che nel suo dossier documenta in modo millimetrico lo sterminato bilancio dell’orrore israeliano. «Uno dei più gravi atti terroristici commessi dal regime di Tel Aviv, in violazione di ogni norma morale e di legalità internazionale, è l’indiscriminato attacco armato agli operatori medici e paramedici che vanno in soccorso ai civili e ai militari palestinesi feriti o uccisi durante gli scontri».Anche questa indicibile pratica è documentata oltre ogni dubbio. «Le Forze di Difesa Israeliane hanno sparato sui veicoli che tentavano di raggiungere gli ospedali, con conseguenti morti e feriti. Medici e personale paramedico sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulle ambulanze, in chiara violazione della legalità internazionale». Da anni Israele sferra attacchi mostruosi su Gaza, sterminando i civili, col pretesto di difendersi dai rudimentali razzi di Hamas, sparati per disperazione. In 14 anni, i razzi Kassam hanno ucciso dai 33 ai 50 civili israeliani, mentre in soli 6 anni Israele ha assassinato un totale di 2.221 civili palestinesi di Gaza, donne e bambini. Norman Finkelstein, ebreo americano e professore di scienze politiche, aggiunge un dettaglio agghiacciante: «Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l’esercito ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’armata tedesca combatté nel Ghetto di Varsavia». Finkelstein è figlio di vittime dell’Olocausto. «Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti – scrive – devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti».Quando, il 22 luglio 1946, il terrorismo sionista fece esplodere l’hotel King David di Gerusalemme che ospitava il quartier generale britannico uccidendo 86 funzionari e 5 passanti, e mandando all’ospedale altre 58 persone, Winston Churchill dichiarò testualmente: «Se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo». Nella stessa epoca, 1948, Albert Einstein e Hannah Arendt scrissero di loro pugno sul “New York Times” una protesta veemente contro la brutale ferocia sionista verso i palestinesi, definendola «simile, in organizzazione e metodi, ai partiti nazisti e fascisti». Lo stesso anno, fu addirittura un ministro del primo governo dello Stato d’Israele, Aharon Cizling, a dichiarare: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati come i nazisti, e io sono sotto shock». Parole che tutti dovrebbero ricordare sempre, sottolinea Paolo Barnard, autore di uno studio – basato su prove e documenti storici – che accerta le spaventose e sistematiche atrocità (preventive) commesse da Israele contro i palestinesi.
-
Precari, classe esplosiva: spettro che si aggira per l’Europa
Uno spettro si aggira per l’Europa, quello del precariato: è clamoroso, sostiene Domenico Tambasco, che a mobilitarsi contro la propria cassa di previdenza siano addirittura gli avvocati, costretti a minimi contribuitivi che prescindono dai loro redditi. Difficoltà inedite, per una professione tradizionalmente prestigiosa, che ora denuncia «gravi forme di sfruttamento» veicolate «dalla finzione della partita Iva». E un clamoroso ribaltamento della tradizionale equazione democratica: non più “lavorare per avere reddito”, ma “avere reddito per poter lavorare”. Attenzione: «I giovani avvocati che aspettano sulle scale dei tribunali di Napoli o Milano i migranti che hanno bisogno di rinnovare il permesso di soggiorno, e guadagnano quindici euro per ogni pratica, non vivono una condizione molto diversa dall’operaio in cassa integrazione oppure dal muratore disoccupato che lavora come piastrellista o falegname freelance». Per Tambasco, ora il re è nudo: la povertà minaccia anche professioni ieri rappresentate come “caste”, triturate anch’esse da un’élite che oggi «accumula, con voracità sempre maggiore, immani guadagni e privilegi». La maggioranza, al contrario, «non può che assistere con sempre maggiore frustrazione all’aumento dei debiti nel deserto dei diritti».I giovani avvocati e i giornalisti freelance non fanno parte dello stesso ceto dei titolari degli studi e dei loro direttori, ma ne sono gli schiavi. Lungi dal limitarsi a rivendicazioni corporative, scrive Tambasco su Megachip, la mobilitazione degli avvocati ha coinvolto anche giornalisti, parafarmacisti, architetti, ingegneri, segretari comunali e provinciali, geometri e archivisti. «Si tratta di una prima forma di mobilitazione di quello che è stato definito il “Quinto Stato”», ovvero «una mescolanza di situazioni sociali opposte e di culture del lavoro spesso divergenti, accomunate tuttavia dal fatto di rappresentare forme lavorative apparentemente “indipendenti”», eppure «ugualmente colpite dal tarlo della precarietà e della quasi totale assenza di strumenti di protezione sociale». Calano le tutele e le garanzie, e in più aumentano gli oneri contributivi verso le proprie casse previdenziali, inclusa l’Inps. Guai seri, poi, in caso di maternità, infortunio e disoccupazione, «con la prospettiva di pensioni che, se conosciute nel loro reale e miserrimo importo, porterebbero ad un vero e proprio “sommovimento sociale”, come dichiarò a suo tempo l’ex presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua».Dal precariato universale che sta dilagando, continua Tambasco, sembra emergere il prototipo di quella che Guy Standing ha definito la “classe esplosiva”, il precariato: è proprio lo strato cognitivo del precariato a dover prendere l’iniziativa. Si tratta di «persone istruite, precipitate in un’esistenza precaria dopo che era stato loro promesso l’esatto opposto: una brillante carriera fatta di crescita personale e soddisfazioni». In prima linea, i giovani lavoratori subordinati, «figli delle famiglie operaie vissute nel sogno della stabilità e della mobilità sociale» e oggi affogati nel mare di una precarietà «vissuta come deprivazione», relativa «ad un passato reale o immaginario». E’ dunque la precarietà, sintetizza Tambasco, «il codice genetico di queste nascenti “coalizioni sociali”». E’ il cardine attorno a cui ruota l’azione dei lavoratori precari da sempre o precipitati nella precarietà dalle “riforme” come il Jobs Act, che fanno esplodere la flessibilità, cioè il “lato oscuro” del neoliberismo globalizzatore, sfruttatore, delocalizzatore. Conseguenze: mercificazione del lavoro, erosione dei salari, insicurezza sociale ed esistenziale.«L’azione di contrasto di questi movimenti – scrive Tambasco – sembra indirizzarsi verso la critica all’ormai invalsa teoria mercatista del lavoro come bene liberamente scambiabile sul mercato indipendentemente dal “valore” dell’uomo che lo presta, all’assioma del lavoro-merce il cui prezzo e la cui quantità è liberamente determinata dalla legge della domanda e dell’offerta cui seguirebbe, conseguentemente, la libera fluttuazione del salario rimessa alla contrattazione individuale, la libera licenziabilità ai fini dell’adeguamento della “forza-lavoro” alle contingenti esigenze del mercato e la libera gestione del “capitale-umano”, demansionabile ad libitum in ragione di semplici “modifiche degli assetti organizzativi aziendali”». Una critica «espressa nella severa denuncia del “lavoro povero”, ossimoro che evidenzia un altro aspetto della precarietà, cui si rivolgono questi movimenti nella loro richiesta di retribuzioni “degne”, adeguate ad un’esistenza libera e dignitosa», non certo costretta ad “avere reddito per lavorare”. Milioni di lavoratori sono finiti nella “società del rischio”, espressione che sintetizza «l’impossibilità di programmare la propria esistenza individuale e familiare a causa dell’instabilità del presente». Come nel medioevo, «ogni minimo imprevisto può ridurre chiunque in rovina». La mobilità sociale? «Orientata dall’alto verso il basso».Decenni orsono, Karl Polanyi prefigurò la nascita di contromovimenti sociali orientati al ripristino dei meccanismi di protezione sociale «dell’uomo in quanto lavoratore, in quanto individuo sociale», collocato «in un ambiente dalle risorse esauribili». Da queste istanze, conclude Tambasco, derivano le nuove richieste di “correttivi solidaristici al sistema contributivo”, di “pensione minima di cittadinanza”, di “estensione universale del welfare” per malattia, maternità, ammortizzatori sociali. E poi “reddito di base”, aliquote contributive sostenibili, restituzione del valore al lavoro. «Quello che sta accadendo in questi mesi in Italia, tra sorrisi sprezzanti, post sarcastici e tweet sardonici, è il fisiologico accumulo di pressioni e spinte sociali provenienti dalla frontiera su cui si sta combattendo la “guerra del lavoro”: è il preannuncio della possibile esplosione, nella generale indifferenza, della “classe esplosiva”».Uno spettro si aggira per l’Europa, quello del precariato: è clamoroso, sostiene Domenico Tambasco, che a mobilitarsi contro la propria cassa di previdenza siano addirittura gli avvocati, costretti a minimi contribuitivi che prescindono dai loro redditi. Difficoltà inedite, per una professione tradizionalmente prestigiosa, che ora denuncia «gravi forme di sfruttamento» veicolate «dalla finzione della partita Iva». E un clamoroso ribaltamento della tradizionale equazione democratica: non più “lavorare per avere reddito”, ma “avere reddito per poter lavorare”. Attenzione: «I giovani avvocati che aspettano sulle scale dei tribunali di Napoli o Milano i migranti che hanno bisogno di rinnovare il permesso di soggiorno, e guadagnano quindici euro per ogni pratica, non vivono una condizione molto diversa dall’operaio in cassa integrazione oppure dal muratore disoccupato che lavora come piastrellista o falegname freelance». Per Tambasco, ora il re è nudo: la povertà minaccia anche professioni ieri rappresentate come “caste”, triturate anch’esse da un’élite che oggi «accumula, con voracità sempre maggiore, immani guadagni e privilegi». La maggioranza, al contrario, «non può che assistere con sempre maggiore frustrazione all’aumento dei debiti nel deserto dei diritti».
-
La Bce: non ci sarà più lavoro nemmeno in caso di ripresa
Vedete, parlo semplice. Ci sono i grandi capi, quelli che, come Mario Draghi o Jean-Claude Juncker, appaiono in pubblico e davanti alla stampa. Loro sorridono, e come canta l’immensa canzone di Povia “Chi comanda il mondo” vi dicono che tutto va bene, c’è la ripresa. Voi ragazzi, qui in Italia disoccupati al 44%, in Spagna oltre il 55% ecc, sperate. Poi ci sono i tecnici che lavorano nell’ombra degli uffici dei grandi capi, quegli scienziati economici ragionieri dei numeri VERITA’, che scrivono per i loro grandi capi la VERITA’. Eccola: “March 2015 Ecb Staff Macroeconomics Projections for the Euro Area”. Tradotto è: marzo 2015, proiezioni macroeconomiche del personale della Bce per la zona euro. E cosa ci dicono i tecnici che sanno la VERITA’ nelle ombre della dittatura dell’Eurozona? Che Draghi non risolverà un accidenti di nulla con tutti i suoi trucchi MONETARI (T-Ltro, Abs, Omt, Qe), perché l’ECONOMIA REALE non ne beneficia (lo diceva anche Barnard).E soprattutto che anche alla fine di tutti i trucchi di Draghi e della cosiddetta ripresa di cui parlano i giornalisti puzzoni delle Tv e quotidiani, attenti… La disoccupazione in Eurozona RIMARRA’ QUASI IDENTICA A OGGI, cioè RISOLTO NULLA, ZERO, per noi gente, famiglie, aziende. ZERO, NULLA. Questo ci dice “March 2015 Ecb Staff Macroeconomics Projections for the Euro Area”. Ma peggio. Il documento interno ha portato il “Financial Times” a scrivere: «La crisi dell’Eurozona è stata così devastante che ha PERMANENTEMENTE DISTRUTTO la capacità delle sue economie di creare lavoro, persino quando ci sarà ripresa». Agghiacciante. Questa è la verità del vostro futuro, ragazzi.E poi la beffa finale. Prima della crisi, INTERAMENTE DOVUTA all’avvento dell’euro come moneta non sovrana per nessuno (con moneta sovrana come il dollaro si rimedia, infatti gli Usa della crisi hanno oggi il 5,5% di disoccupazione, non il 12-14% nostro), ci dice il documento della Bce, «le disoccupazioni erano più o meno simili in tutti i maggiori paesi d’Europa». No, ma l’euro è un successone, suvvia. Lo dice Ezio Mauro di La (vomito) Repubblica, non date retta ai tecnici della Bce. De Benedetti ne sa di più. Poveri voi ragazzi. Vi voglio bene.(Paolo Barnard, “Dietro i loro sorrisi si cela il vostro funerale, ragazzi: la ripresa vista dal vero potere”, dal blog di Barnard del 28 marzo 2015).Vedete, parlo semplice. Ci sono i grandi capi, quelli che, come Mario Draghi o Jean-Claude Juncker, appaiono in pubblico e davanti alla stampa. Loro sorridono, e come canta l’immensa canzone di Povia “Chi comanda il mondo” vi dicono che tutto va bene, c’è la ripresa. Voi ragazzi, qui in Italia disoccupati al 44%, in Spagna oltre il 55% ecc, sperate. Poi ci sono i tecnici che lavorano nell’ombra degli uffici dei grandi capi, quegli scienziati economici ragionieri dei numeri verità, che scrivono per i loro grandi capi la verità. Eccola: “March 2015 Ecb Staff Macroeconomics Projections for the Euro Area”. Tradotto è: marzo 2015, proiezioni macroeconomiche del personale della Bce per la zona euro. E cosa ci dicono i tecnici che sanno la verità nelle ombre della dittatura dell’Eurozona? Che Draghi non risolverà un accidenti di nulla con tutti i suoi trucchi monetari (T-Ltro, Abs, Omt, Qe), perché l’economia reale non ne beneficia (lo diceva anche Barnard).
-
Non c’è nessuna crisi, gli oligarchi vogliono sacrifici umani
In passato alcuni lettori mi hanno contestato l’utilizzo dell’espressione “nazisti tecnocratici” in riferimento a certi personaggi che condizionano le leve di potere in Europa. Il tempo, sempre galantuomo, si è preso la briga di validare alcune mie passate intuizioni, rendendo sempre più palesi e scoperte le pulsioni omicidiarie che attraversano il Vecchio Continente. Preliminarmente tengo a precisare i contorni della mia analisi, conoscendo perfettamente le differenze che intercorrono tra il modello operativo del Fuhrer originale rispetto a quello abbracciato dal suo tardo-epigono Mario Draghi, vero dominus del progetto di annichilimento della civiltà europea ora in atto. Le scellerate condotte poste in essere dai nazisti originali traevano ispirazione dall’assorbimento di una filosofia occulta che non riconosceva dignità a tutti gli esseri umani. Il popolo germanico, ieri come oggi, si sentiva colpito nella sua ontologica purezza, minacciato da un meticciato composto da popoli inferiori da schiavizzare e polverizzare.L’uccisione e la deportazione di neri, zingari ed ebrei, in questa ottica, risultava essere niente di più e niente di meno che un necessitato effetto collaterale da sostenere al fine di salvaguardare un interesse più alto (la salvaguardia della purezza del popolo germanico per l’appunto). I tedeschi di oggi, sempre manipolati da una èlite perversa, sentono di dover difendere con la stessa ottusa foga di allora un altro mito falso: ovvero la purezza del bilancio, messa in discussione adesso non più da neri ed ebrei, ma da imprecisate “cicale mediterranee” pronte a trascinare nella spirale del vizio i virtuosi discendenti di Ario. La pubblica opinione tedesca è palesemente manipolata da quelle stesse penne che, in Italia, tentano pateticamente di addossare al popolo greco la responsabilità della crisi in atto. L’idea del sacrificio rituale come momento “purificante” è da sempre parte della Storia. Oggi, però, in ossequio alle regole formali tipiche di una società apparentemente laica e tecnologica, anche il sacrificio rituale di massa deve giocoforza sublimarsi in maniera apparentemente neutra e incruenta.Finita la premessa passiamo insieme dalla narrazione astratta al caso concreto. Il neoeletto premier greco Tsipras ha calendarizzato l’approvazione di una legge pensata per affrontare una “emergenza umanitaria”. Il termine “emergenza umanitaria”, utilizzato in termini asettici e non enfatici, testimonia la gravità della situazione. Un numero cospicuo di cittadini ellenici, infatti, rischia di morire di freddo, fame, malattie e stenti a causa delle misure di austerità impartite dalla famigerata Troika. Non c’è nulla di retorico o populista nel sottolineare un dato oggettivo e non contestabile. Molti bambini greci sono effettivamente denutriti; molte famiglie elleniche sono state per davvero gettate in mezzo ad una strada e molti malati sono realmente morti in conseguenza di mali curabili a causa della criminale soppressione del servizio sanitario universale. Cosa fanno i nazisti tecnocratici per impedire che il governo Tsipras spenda pochi spiccioli al fine di salvare la vita di molti suoi concittadini? Minacciano ritorsioni, proprio come i nazisti autentici protagonisti dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. E perché i vari Juncker, Dijsselbloem, Schaeuble, Draghi e Merkel dovrebbero osteggiare l’approvazione di lievi misure umanitarie che appaiono nient’altro che buon senso agli occhi di qualsiasi uomo per bene?Invito quelli pronti a rispondere perché “non bastano i soldi” a non dire, né pensare, fesserie, considerata anche l’immensa liquidità che il nostro banchiere centrale ha appena promesso di iniettare nel circuito finanziario europeo fino a data da destinarsi. E allora, perché? Perché gli odierni padroni credono di acquisire forza e vigore dal sacrifico del cittadino greco (italiano, portoghese o spagnolo poco importa), espressione di una umanità inferiore e molesta, da tenere sotto il calcagno di un potere crudele e imbellettato che non può rinnegare la sua ferocia senza al contempo negare in radice anche se stesso. Riuscite ora a spiegarvi la ratio di tanta malvagia pervicacia? Mettetevelo bene in tesa, non esiste nessuna crisi economica in atto. E quelli che provano a combattere una “stirpe nera” con le armi della sola macroeconomia sono degli sprovveduti (nella migliore delle ipotesi). La partita è un’altra. E la posta in gioco è decisamente più alta di quanto non sembri. Come oramai sanno i tantissimi cittadini che hanno letto e meditato sulle pagine del libro “Massoni”, recentemente pubblicato da Gioele Magaldi per Chiarelettere editore.(Francesco Maria Toscano, “Non basta una lettura economicistica della realtà per combattere il nazismo tecnocratico”, dal blog “Il Moralista” del 29 marzo 2015).In passato alcuni lettori mi hanno contestato l’utilizzo dell’espressione “nazisti tecnocratici” in riferimento a certi personaggi che condizionano le leve di potere in Europa. Il tempo, sempre galantuomo, si è preso la briga di validare alcune mie passate intuizioni, rendendo sempre più palesi e scoperte le pulsioni omicidiarie che attraversano il Vecchio Continente. Preliminarmente tengo a precisare i contorni della mia analisi, conoscendo perfettamente le differenze che intercorrono tra il modello operativo del Fuhrer originale rispetto a quello abbracciato dal suo tardo-epigono Mario Draghi, vero dominus del progetto di annichilimento della civiltà europea ora in atto. Le scellerate condotte poste in essere dai nazisti originali traevano ispirazione dall’assorbimento di una filosofia occulta che non riconosceva dignità a tutti gli esseri umani. Il popolo germanico, ieri come oggi, si sentiva colpito nella sua ontologica purezza, minacciato da un meticciato composto da popoli inferiori da schiavizzare e polverizzare.
-
Celente: le banche (e i loro politici) ci stanno rubando tutto
Non è mai accaduto niente di simile nella storia del mondo. Sotto gli occhi di tutti, e a spese di tutti, i governi continuano a razziare ingenti ricchezze per arricchire i responsabili dei più efferati crimini e nefandezze economico-finanziarie. Prima c’era la Tarp. Come pretesto per arginare le turbolenze nel mercato azionario dopo il collasso di Lehman Brothers nel settembre 2008, il presidente George W. Bush approvò solo un mese dopo il “Troubled Asset Relief Program”. Il piano permise al Tesoro degli Stati Uniti di assicurare 700 miliardi di dollari di “beni in difficoltà”, un eufemismo che in realtà significa coprire le nefandezze finanziarie commesse dalle grandi banche e dai grandi speculatori di Wall Street. Poco dopo, il neo-eletto presidente Barack Obama appioppò alla sua nazione nel 2009 il “Recovery and Reinvestment Act”, un piano da 900 miliardi, il più vasto programma finanziario del genere nell’intera storia americana.Obama dichiarò: «Quattrocentomila uomini e donne stanno per mettersi al lavoro per la ricostruzione delle nostre strade e dei nostri ponti fatiscenti, per la riparazione delle nostre dighe e i nostri argini instabili, per portare la banda larga alle imprese e alle famiglie in quasi tutte le comunità degli Stati Uniti d’America, per ammodernare i nostri sistemi di trasporto di massa e per la costruzione di linee ferroviarie ad alta velocità in grado di migliorare gli spostamenti e il commercio in tutta la nostra nazione». Le uniche ‘strade’ che quel trilione di dollari ha riparato veramente sono quelle di Wall Street. Allo stesso tempo, la Federal Reserve statunitense ha portato i tassi di interesse ai minimi storici e ha lanciato politiche di allentamento monetario senza precedenti, che hanno alimentato un boom di Wall Street al costo di Main Street. Il Dow è salito da 8.000 nel 2009 a 18.000 nel 2014, mentre si stima che il 95% dei guadagni è andato all’1% della popolazione degli Stati Uniti.Tuttavia, nello stesso periodo, il prodotto interno lordo ha arrancato intorno a una media del 2,2 %, senza mai dar segno di quel rialzo di cui tanto parlano e si vantano quelli di Washington e la stampa finanziaria. A seguito del piano della Fed, il programma monetario ‘Abenomico’ giapponese annunciato nel dicembre del 2012, ha ottenuto risultati simili. Il Nikkei recentemente ha raggiunto picchi mai toccati da 15 anni a questa parte, mentre il Pil del Giappone oscilla tra cadute improvvise e tiepidi rialzi. Ora, la Banca Centrale Europea ha avviato un programma di Qe (quantitative easing, allentamento monetario) che inietterà 1.300 miliardi di dollari nel sistema finanziario nel corso dei prossimi 16 mesi – e forse anche più a lungo, se sarà ritenuto necessario. Il risultato finale, come per Usa e Giappone, sarà lo stesso: i tassi d’interesse ai minimi storici e il flusso di denaro ‘facile’ faranno rialzare temporaneamente i mercati azionari, mentre le economie dell’Eurozona oscilleranno tra moderata crescita e nuova recessione.I più grandi perdenti in tutto questo saranno i comuni cittadini, senza più un posto sicuro dove mettere i propri risparmi e con sempre più banche europee che ‘pagano’ alcuni selezionati clienti per poter tenere il loro denaro. E con le obbligazioni che ripagano i rendimenti negativi, le compagnie di assicurazione che vendono prodotti e rendite e investono quel denaro in obbligazioni governative e societarie – con l’aspettativa che il rendimento delle obbligazioni sia maggiore di quello che dovranno pagare per l’assicurato – il danno è assicurato. In previsione del piano di Qe del presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, che ammette si tratti di un piano “non convenzionale”, gli investitori (o meglio i giocatori d’azzardo di alto bordo) hanno già pompato circa 36 miliardi di dollari nei mercati azionari europei.Nel frattempo, l’uomo della strada ha appena visto il suo potere d’acquisto scendere drammaticamente a mano a mano che l’euro continua la sua caduta libera, da 1,39 dollari lo scorso marzo a un recente minimo di 1,04 , con la previsione che nel futuro – non troppo lontano – vada in parità o scenda anche al di sotto del dollaro. Breaking Point 2.0. Le iniezioni multi-trilionarie di dollari da parte delle banche centrali, le politiche a tasso zero, i tassi d’interesse negativi, i rendimenti obbligazionari negativi e i fiumi di dollari a basso prezzo che gonfiano artificialmente i mercati azionari e alimentano i giochi perversi di investimenti di capitali/private equity/hedge fund, hanno già avuto dei precedenti nella storia del mondo. E quando sulla terra esplode la Grande Bolla Speculativa, lo scoppio si avverte in tutto il mondo – e per generazioni.(Gerald Celente, “Il tuo denaro, la tua vita”, da “Information Clearing House” del 26 marzo 2015, ripreso da “Come Don Chisciotte”. Fondatore e direttore del “Trends Research Institute”, autore di “Trends 2000” e “Trend Tracking” nonché editore del “The Trends Journal”, Celente fa previsioni economiche e finanziarie fin dal 1980 e di recente ha pubblicato “Il Collasso del ‘09”).Non è mai accaduto niente di simile nella storia del mondo. Sotto gli occhi di tutti, e a spese di tutti, i governi continuano a razziare ingenti ricchezze per arricchire i responsabili dei più efferati crimini e nefandezze economico-finanziarie. Prima c’era la Tarp. Come pretesto per arginare le turbolenze nel mercato azionario dopo il collasso di Lehman Brothers nel settembre 2008, il presidente George W. Bush approvò solo un mese dopo il “Troubled Asset Relief Program”. Il piano permise al Tesoro degli Stati Uniti di assicurare 700 miliardi di dollari di “beni in difficoltà”, un eufemismo che in realtà significa coprire le nefandezze finanziarie commesse dalle grandi banche e dai grandi speculatori di Wall Street. Poco dopo, il neo-eletto presidente Barack Obama appioppò alla sua nazione nel 2009 il “Recovery and Reinvestment Act”, un piano da 900 miliardi, il più vasto programma finanziario del genere nell’intera storia americana.
-
Barnard: la City, che macina il mondo e le sue comparse
Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.La produttività della Germania e della Finlandia è sotto le scarpe, ci dice la City. L’Eurozona… che successo. Il Cancelliere britannico George Osborne ridacchia quando sente parlare Hollande di “tagli ai deficit di bilancio”, cioè le ricette Merkel e Draghi (e della puzzetta Renzi). Ridacchia, è sul Financial Times, non me lo sto inventando. La City… Li ammiro, hanno perso le colonie e hanno vinto il mondo. Il Parlamento Europeo ha tentato la riforma dei Mercati Valutari, ne è uscito un pasticcio che finisce sempre, sempre, per penalizzare la gente. La City ride. La City. La Bce stessa, nonostante le giubilanti dichiarazioni di Draghi che tenta di tutto per mentire, ammette che la disoccupazione nell’Eurozona rimarrà oltre le due cifre % anche se ci sarà la millantata “ripresa”. E allora? Ma che cazzo ce ne frega della “ripresa” se ci terremo il 12, 14% di disoccupazione in Italia col 44% per i giovani?Draghi è riuscito nell’immensa… ehm… impresa di portare i mercati monetari in euro a guadagni NEGATIVI, cioè chiunque abbia investito nella nostra orrenda moneta unica non solo non ci guadagnerà nessun interesse, ma finirà per PAGARE alla banca che glieli custodisce un tasso d’interesse. Di sicuro cresceremo, ma certo, ma di sicuro. Il mondo non vede l’ora di investire in un posto dove deve pagare per aver messo soldi… Ma la City… Sta bene. Io no. E qui piove. Io mi bagno, loro no. La City guadagna SEMPRE, sì, sanno chi è Draghi, hanno vagamente sentito il nome Renzi. Ma loro decidono i tuoi tassi, le commodities, il Libor, l’Euribor, cioè la tua vita, stolto; informati imprenditore, informatevi famiglie, e stanno bene perché manco per il cazzo che sono entrati nell’euro. Non sono scemi alla City. Non sono scemi alla City. E io mi bagno, qui, sotto la pioggia. Voi non capite, le associazioni non capiscono. La City ha vinto il mondo. Sono immensi, infiniti, The Machine. Voi non capite chi sono. Notte.(Paolo Barnard, “La City”, dal blog di Barnard del 26 marzo 2015).Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.
-
Gli orrori della globalizzazione e il silenzio degli intellettuali
Il fenomeno della globalizzazione ha preso le mosse negli ultimissimi anni ‘80, dopo una gestazione ventennale, e ormai è al quarto di secolo: un periodo sufficiente a individuare alcune delle sue principali tendenze e caratteristiche. Non c’è mass media, partito politico, impresa o singolo intellettuale che non affermi che con la globalizzazione tutto è cambiato, che siamo entrati in una fase storica diversa in cui occorre predisporsi ad un continuo mutamento. «Ma, all’atto pratico, l’osservazione suggerisce – almeno in Occidente – che imprese, partiti, mass media e anche intellettuali continuano a comportarsi nei modi consueti». Tutto, scrive Aldo Giannuli, viene letto sulla base di analogie con il passato: la crisi? E’ una ripetizione del 1929. Il disordine mondiale? E’ la riproposizione del periodo che precedette la Prima Guerra Mondiale. L’incontro con altre culture? Già visto nel ‘500, e sono gli altri che devono accettare la cultura più avanzata, ovviamente quella occidentale. «I fatti stanno prendendo una direzione molto diversa da quella prevista e le analogie con il passato servono a poco per capire le tendenze in atto», sostiene Giannuli.«La crisi finanziaria, imprevista e imprevedibile, è curata con costanti iniezioni di liquidità (come se fosse quella di ottanta anni fa) che però hanno effetti sui sintomi ma non sulle ragioni del male oscuro», scrive Giannuli sul suo blog. «Le rivolte arabe, anch’esse impreviste, segnalano una interdipendenza stretta fra crisi economica e dinamiche socio-culturali che sfugge alle capacità di gestione della comunità internazionale». In più, «lo sviluppo cinese ha mutato i rapporti di forza esistenti ma porta con sé problemi insospettati». Questo, continua lo storico, determina un profondo disorientamento soprattutto (ma non solo) nelle classi dirigenti, «che si trovano ad affrontare problemi a un livello di complessità incomparabilmente maggiore del passato, e questo disorientamento sta già producendo effetti molto negativi sul piano delle decisioni: è lo shock da globalizzazione, il fenomeno più rilevante della nostra epoca che si impone al centro dell’attenzione di storici, sociologi, economisti, politologi».Almeno per quel che riguarda l’Occidente, secondo Giannuli, lo shock sembra determinare tre fenomeni: la paralisi dei decisori, la paura dei governati e l’afasia degli intellettuali. «I decisori appaiono sempre più indecisi sul da farsi, tanto sul fianco finanziario (dove l’unica cosa che riescono a decidere è l’inondazione di liquidità, che fa guadagnare tempo ma non cura la crisi), quanto sul piano delle relazioni internazionali (e le esitazioni americane su Iran, Siria e Califfato ne sono una testimonianza, non meno che il pantano ucraino da quale nessuno sa come uscire)». Di fronte a un corso dei fatti, che Giannuli reputa «del tutto imprevisto», e non frutto di pianificazione da parte di una ristrettissima élite, come invece suggerisce Gioele Magaldi nel libro “Massoni”, che svela il ruolo occulto delle “Ur-Lodges”, le superlogge internazionali del massimo potere mondiale, i decisori (tanto politici quanto finanziari) «reagiscono schierandosi a difesa dell’esistente e senza chiedersi se le patologie socio-economiche in atto non siano un prodotto di quel sistema che rifiutano costantemente di mettere in discussione».Dai governanti “rassegnati” alla globalizzazione autoritaria, senza più alternative politiche, si passa ai governati, «cui era stato promesso che la globalizzazione sarebbe stato un cammino fiorito». I cittadini, scrive Giannuli, «assistono impotenti al crollo di queste aspettative, al peggioramento delle loro condizioni di vita, e avvertono sempre più la paura del futuro». Che è, al tempo stesso, «paura dei diversi che giungono dal sud del mondo e che si pensa minaccino posti di lavoro e identità culturale, paura della crisi che erode risparmi e getta nella disoccupazione, paura della concorrenza delle merci straniere che tagliano l’erba sotto i piedi alle nostre aziende, paura di un fisco sempre più vorace che programmaticamente non colpisce più i grandi capitali volati nei paradisi finanziari ma si accanisce sui ceti medi». E ancora: «Paura del terrorismo, delle epidemie, di tutto». E su questo paesaggio «impera il chiassoso silenzio degli intellettuali, che parlano di tutto senza dir nulla». Infatti, «una critica della globalizzazione e dei modi con cui si è realizzata e va avanti è tentata solo da pochissimi», i quali però vengono «spinti ai margini» e restano «privi, in gran parte, di accesso alle tribune massmediatiche». Secondo Giannuli, «c’è una sottile vendetta della storia che punisce chi aveva imposto il “pensiero unico”: democrazia liberale (o quel che si pensava fosse tale) e liberismo economico erano l’unica forma di pensiero legittimata», a scapito di «tutte le altre correnti di pensiero, pure interne al mondo occidentale».Per il politologo dell’ateneo milanese, «la resa senza condizioni della socialdemocrazia ha segnato la riduzione dello spazio politico: tutto il resto ne era espulso». E così, «il rullo compressore della finanza, attraverso gli opportuni finanziamenti, la direzione dei mass media, il controllo dell’industria culturale, la colonizzazione delle facoltà, persino l’uso calibrato del Premio Nobel, tutto è stato usato per imporre questa dittatura culturale. E gli intellettuali – in grande maggioranza – si sono adattati gioiosamente a questo stato di cose, rinunciando ad ogni residuo spirito critico». Oggi, nel momento della crisi, i decisori – non meno che i governati – di fatto «non trovano le parole per capire quel che sta accadendo, e non sanno riconoscere la crisi in atto». E questo, conclude Giannuli, «accade perché dal fronte degli studiosi, dei “tecnici”, di quelli che dovrebbero illuminarli, viene solo un confuso starnazzare che non dice nulla. E’ questa la rumorosa afasia degli intellettuali», peraltro “incanalati” nel mainstream dai tempi del manifesto “La crisi della democrazia”, promosso dalla Commissione Trilaterale: propaganda conculcata negli atenei e nei media anxche attraverso la poderosa macchina dei think-tanks, come l’Aspen Institute, che recluta intellettuali di fama. Il Verbo è sempre lo stesso: il Mercato deve vincere sullo Stato. La democrazia sociale? Rottamata. Il vero potere è finito nelle mani di pochissimi, come nel feudalesimo medievale. E paga legioni di intellettuali perché non dicano la verità e non raccontino quello che sta davvero succedendo.Il fenomeno della globalizzazione ha preso le mosse negli ultimissimi anni ‘80, dopo una gestazione ventennale, e ormai è al quarto di secolo: un periodo sufficiente a individuare alcune delle sue principali tendenze e caratteristiche. Non c’è mass media, partito politico, impresa o singolo intellettuale che non affermi che con la globalizzazione tutto è cambiato, che siamo entrati in una fase storica diversa in cui occorre predisporsi ad un continuo mutamento. «Ma, all’atto pratico, l’osservazione suggerisce – almeno in Occidente – che imprese, partiti, mass media e anche intellettuali continuano a comportarsi nei modi consueti». Tutto, scrive Aldo Giannuli, viene letto sulla base di analogie con il passato: la crisi? E’ una ripetizione del 1929. Il disordine mondiale? E’ la riproposizione del periodo che precedette la Prima Guerra Mondiale. L’incontro con altre culture? Già visto nel ‘500, e sono gli altri che devono accettare la cultura più avanzata, ovviamente quella occidentale. «I fatti stanno prendendo una direzione molto diversa da quella prevista e le analogie con il passato servono a poco per capire le tendenze in atto», sostiene Giannuli.
-
Pilger: Obama, il fascista bugiardo che uccide sorridendo
Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.La sua arma di esecuzione sono i missili Hellfire portati da un velivolo senza pilota, un drone; questi arrostiscono le loro vittime e deturpano la zona con i loro resti. Ogni “colpo” viene registrato sullo schermo di un lontano computer. «I marciatori al passo dell’oca», scrisse lo storico Norman Pollock, «sostituiscono la militarizzazione apparentemente più innocua della cultura totale. E come loro tronfio capoccia, abbiamo un riformatore mancato, allegramente al lavoro, a pianificare ed eseguire assassinii, sorridendo continuamente». Ciò che accomuna i fascismi vecchio e nuovo è il culto della superiorità. «Credo nell’eccezionalità americana con ogni fibra del mio essere», disse Obama, evocando dichiarazioni da fanatismo nazionale degli anni ‘30. Come lo storico Alfred W. McCoy ha fatto notare, è stato Carl Schmitt, devoto di Hitler, a dire: «Il sovrano è colui che decide l’eccezione». Questo riassume l’americanismo, l’ideologia dominante del mondo. Che non sia riconosciuta come un’ideologia predatrice è merito di un ugualmente riconosciuto lavaggio di cervello. Infida, non dichiarata, presentata spiritosamente come illuminazione in cammino, la sua arroganza permea la cultura occidentale.Sono cresciuto con una dieta cinematografica di gloria americana, quasi tutta fatta di distorsione della realtà. Non avevo idea che fosse stata l’Armata Rossa a distruggere la maggior parte della macchina da guerra nazista, ad un costo di ben 13 milioni di soldati. Per contro, le perdite degli Stati Uniti, quelle nel Pacifico incluse, sono state di 400.000 vittime. Hollywood ha falsificato anche questo. La differenza ora è che gli spettatori sono invitati a contorcersi sui sedili guardando la “tragedia” di psicopatici americani che devono uccidere persone in luoghi lontani – proprio come fa il loro stesso presidente. L’attore e regista Clint Eastwood, incarnazione della violenza di Hollywood, è stato nominato per un Oscar quest’anno per il suo film “American Sniper”, che parla di un assassino pazzoide con licenza di uccidere. Il “New York Times” ha descritto il film come «patriottico e pro-famiglia, che ha battuto tutti i record di presenze già nei primi giorni di apertura».Non ci sono film eroici che descrivono l’abbraccio americano del fascismo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’America (e la Gran Bretagna) sono scese in guerra contro i greci che avevano combattuto eroicamente contro il nazismo e resistevano all’ascesa del fascismo greco. Nel 1967, la Cia ha contribuito a portare al potere una giunta militare fascista ad Atene – come ha fatto in Brasile e nella maggior parte dell’America Latina. Ai tedeschi ed europei dell’Est collusi con l’aggressore nazista e coinvolti in crimini contro l’umanità è stato dato un rifugio sicuro negli Stati Uniti; molti sono stati elogiati e premiati per il loro talento. Wernher von Braun è stato il “padre” sia della terribile bomba nazista V-2 che del programma spaziale degli Stati Uniti. Nel 1990, come ex repubbliche sovietiche, l’Europa orientale e i Balcani divennero avamposti militari della Nato, e gli eredi di un movimento nazista in Ucraina hanno avuto la loro opportunità. Nonostante fosse responsabile della morte di migliaia di ebrei, polacchi e russi durante l’invasione nazista dell’Unione Sovietica, il fascismo ucraino è stato riabilitato e la sua “new wave”, salutata dai suddetti tutori dell’ordine come “nazionalista”.Il suo apice è stato raggiunto nel 2014, quando l’amministrazione Obama stanziò 5 miliardi di dollari per un colpo di Stato contro il governo eletto. Le truppe d’assalto erano neonaziste, note come “Settore Destro” e “Svoboda”. Tra i loro capi c’è Oleh Tyahnybok, che ha chiesto l’epurazione della «mafia ebrea di Mosca» e di «altra feccia», tra cui gay, femministe e quelli della sinistra politica. Adesso questi fascisti sono integrati nel governo golpista di Kiev. Il primo vice-presidente del parlamento ucraino, Andriy Parubiy, leader del partito di governo, è co-fondatore di “Svoboda”. Il 14 febbraio scorso, Parubiy ha annunciato che sarebbe volato a Washington per ottenere «dagli Stati Uniti armi molto più moderne e precise». Se ci riesce, questo sarà considerato come un atto di guerra dalla Russia. Nessun leader occidentale ha parlato della rinascita del fascismo nel cuore stesso dell’Europa, ad eccezione di Vladimir Putin, il cui popolo ha sacrificato 22 milioni di persone all’invasione nazista avvenuta attraverso il confine dell’Ucraina.Alla recente conferenza sulla sicurezza di Monaco, l’assistente segretario di Stato di Obama per gli affari europei ed eurasiatici, Victoria Nuland, ha urlato abusi ai leader europei che si opponevano all’armamento degli Stati Uniti del regime di Kiev. Ha chiamato il ministro della difesa tedesco «ministro per il disfattismo». Era stata la Nuland a progettare il colpo di Stato a Kiev. È la moglie di Robert D. Kaplan, un’autorità tra i “neo-con” di estrema destra del “Centro per una Nuova Sicurezza Americana”, ed è stata consigliere per la politica estera del fascista Dick Cheney. I piani della Nuland non sono andati a buon fine. Alla Nato è stato impedito di appropriarsi della storica e legittima base navale russa nelle calde acque della Crimea – dove la popolazione, in gran parte russa ma illegalmente accorpata all’Ucraina da Nikita Krusciov nel 1954 – ha votato in massa per tornare alla Russia, come già aveva fatto nel 1990. Il referendum è stato volontario, popolare e controllato a livello internazionale. Non c’era stata alcuna invasione.Nello stesso momento il regime di Kiev si è avventato ad est sulla popolazione di etnia russa con una ferocia da pulizia etnica. Usando milizie neo-naziste alla maniera delle Waffen-SS, hanno bombardato e messo a ferro e fuoco le città. Hanno usato la fame di massa come arma, tagliato l’elettricità, congelato conti bancari, bloccato l’erogazione di assegni sociali e delle pensioni. Più di un milione di profughi sono fuggiti oltre confine, in Russia. Per i media occidentali, erano persone in fuga “dalla violenza” causata dalla “invasione russa”. Il comandante Nato, generale Breedlove – il cui nome e le cui azioni potrebbero essere stati ispirati al “Dottor Stranamore” di Stanley Kubrick – dichiarò che 40.000 soldati russi si stavano «ammassando» ai confini ucraini. Nell’era di prove forensi satellitari, non ne fornì alcuna.È da lungo tempo che le persone di lingua russa e bilingue dell’Ucraina – un terzo della popolazione – stanno cercando di costruirsi una federazione che rifletta le diversità etniche del paese e che sia autonoma e indipendente da Mosca. La maggior parte non è composta da “separatisti”, ma da cittadini che vogliono vivere in sicurezza nella loro patria e che si oppongono alla presa di potere a Kiev. La loro rivolta e la creazione di “Stati” autonomi è la reazione agli attacchi effettuati da Kiev su di loro. Poco di tutto ciò è stato spiegato al pubblico occidentale. Il 2 maggio 2014, a Odessa, 41 persone di etnia russa sono state bruciate vive nel quartier generale del loro sindacato, nonostante la presenza della polizia. Il leader di “Settore Destro”, Dmytro Yarosh, salutò il massacro come «un altro giorno luminoso nella storia del nostro paese». Nei media americani e britannici, l’atrocità venne riportata come una «tragedia poco chiara», derivante da «scontri» tra «nazionalisti» (neonazisti) e «separatisti» (persone che raccoglievano firme per un referendum per un’Ucraina federale).Il “New York Times” seppellì la notizia, ricacciando come propaganda russa gli avvertimenti sulle politiche fasciste e antisemite dei nuovi clienti di Washington. Il “Wall Street Journal” condannò le vittime stesse titolando: “Incendio mortale in Ucraina probabilmente causato dai ribelli, dice il governo”. Obama si congratulò con la giunta per il loro «contegno». Se Putin si lascerà provocare e andrà in loro aiuto, il suo ruolo di “paria” (preconfezionato in Occidente) giustificherà la menzogna che la Russia sta invadendo l’Ucraina. Il 29 gennaio, il comandante supremo ucraino, generale Viktor Muzhenko, quasi involontariamente fece crollare la base su cui le sanzioni degli Stati Uniti e dell’Ue alla Russia sono posate, quando in una conferenza stampa dichiarò con enfasi che «l’esercito ucraino non sta combattendo contro le truppe regolari dell’esercito russo». Si trattava di «singoli cittadini», membri di «gruppi armati illegali», ma non c’era un’invasione russa. Questo però non fece notizia. Il ministro degli esteri di Kiev, Vadym Prystaiko, ha chiesto una «guerra totale» contro la Russia, potenza nucleare.Il senatore statunitense James Inhofe, repubblicano dell’Oklahoma, il 21 febbraio ha proposto un disegno di legge che autorizza l’invio di armi americane al regime di Kiev. Nella sua presentazione al Senato, Inhofe ha usato fotografie a suo dire di truppe russe che entravano in Ucraina, anche se da tempo si sapeva che erano false. Il fatto ricorda le immagini false di un impianto sovietico in Nicaragua presentate da Ronald Reagan, e delle prove false prodotte da Colin Powell alle Nazioni Unite delle armi di distruzione di massa in Iraq. L’intensità della campagna diffamatoria contro la Russia e la rappresentazione del suo presidente come un cattivo da farsa è qualcosa che io non ho mai visto prima come giornalista. Robert Parry, uno dei giornalisti investigativi più rinomati d’America, che svelò lo scandalo Iran-Contras, ha scritto di recente: «Nessun governo europeo, da quello tedesco di Adolf Hitler, ha finora pensato bene di inviare truppe d’assalto naziste a fare la guerra ad una popolazione nazionale, ma il regime di Kiev lo ha fatto, e lo ha fatto consapevolmente. Eppure tra i media e nello spettro politico dell’Occidente, c’è stato uno studiato sforzo di coprire questa realtà fino al punto da ignorare fatti che sono stati ben definiti».«Se vi domandate come il mondo potrebbe incappare nella Terza Guerra Mondiale – come ha fatto nella Prima Guerra Mondiale un secolo fa – tutto quello che dovete fare è guardare alla follia Ucraina che si è dimostrata insensibile a fatti o ragione». Nel 1946, il pubblico ministero del Tribunale di Norimberga disse dei media tedeschi: «L’uso della guerra psicologica fatto dai cospiratori nazisti è ben noto. Prima di ogni aggressione di grande portata, con alcune poche eccezioni basate su ragioni opportunistiche, hanno avviato una campagna di stampa mirata a indebolire le loro vittime e a preparare psicologicamente il popolo tedesco all’attacco. Nel sistema di propaganda di Stato di Hitler erano i quotidiani e le emittenti radio ad essere le armi più importanti». Sul “Guardian” del 2 febbraio scorso, Timothy Garton-Ash ha in effetti auspicato una guerra mondiale. “Putin deve essere fermato”, diceva il titolo. “E a volte solo le armi possono fermare le armi”. Ha ammesso che la minaccia di una guerra potrebbe «alimentare nei russi una paranoia da accerchiamento»; ma che questo andrebbe bene. Dopo aver controllato le attrezzature militari necessarie per il lavoro, ha rassicurato i suoi lettori che «l’America è equipaggiata meglio».Nel 2003, Garton-Ash, professore di Oxford, ribadì la propaganda che portò al massacro in Iraq. «Saddam Hussein», scrisse, «come Colin Powell ha documentato, ha accumulato grandi quantità di spaventose armi chimiche e biologiche, e ora nasconde quel che ne resta. Sta ancora cercando di procurarsi quelle nucleari». Elogiò Blair come «un proselito di Gladstone, un cristiano liberale interventista». E nel 2006, scrisse: «Ora ci troviamo di fronte alla prossima grande prova dell’Occidente dopo l’Iraq: l’Iran». Tali sfoghi – o come preferisce dire Garton-Ash, le sue «tormentate incertezze liberali» – non sono diversi da quelli delle élite liberali transatlantiche che hanno raggiunto un accordo faustiano. Il criminale di guerra Blair è il loro capo perduto. Il “Guardian”, in cui è apparso l’articolo di Garton-Ash, ha pubblicato un’inserzione a pagina intera di un bombardiere stealth americano. Sulla minacciosa immagine del mostro della Lockheed Martin era scritto: “L’F-35, ottimo per la Gran Bretagna”.Questo “gingillo” americano costerà ai contribuenti britannici 1.3 miliardi di sterline, visto che i suoi precursori modelli “F” hanno fatto stragi in tutto il mondo. In sintonia con il suo inserzionista, un editoriale del “Guardian” chiedeva un aumento delle spese militari. Ancora una volta, dietro tutto questo c’è un motivo serio. Non solo i padroni del mondo vogliono l’Ucraina come base missilistica, ma vogliono anche la sua economia. Il nuovo ministro delle finanze di Kiev, Natalie Jaresko, è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa incaricato degli “investimenti” degli Stati Uniti all’estero. Le è stata conferita frettolosamente la cittadinanza ucraina. Vogliono l’Ucraina per le sue riserve di gas. Il figlio del vice presidente Usa Joe Biden è nel consiglio di amministrazione della più grande compagnia petrolifera del gas e fracking dell’Ucraina. I produttori di sementi geneticamente modificate, aziende come la famigerata Monsanto, vogliono il ricco suolo agricolo dell’Ucraina. Soprattutto, vogliono il potente vicino di casa dell’Ucraina, la Russia.Vogliono balcanizzare o smembrare la Russia per poter sfruttare la più grande fonte di gas naturale sulla terra. Visto che il ghiaccio artico si sta sciogliendo, essi vogliono il controllo dell’Oceano Artico e delle sue ricchezze energetiche, e le estese terre di confine artico della Russia. Il loro uomo a Mosca era stato Boris Eltsin, un ubriacone che ha consegnato l’economia del suo paese alll’Occidente. Il suo successore, Putin, ha ristabilito la Russia come nazione sovrana; questo è il suo crimine. La responsabilità di tutti noi è chiara. È quella di scoprire e denunciare le incoscienti menzogne dei guerrafondai e di non colludere con loro. È di risvegliare i grandi movimenti popolari che hanno portato una fragile civiltà a moderni stati imperiali. Ma soprattutto è di prevenire la conquista di noi stessi: delle nostre menti, della nostra umanità, della nostra autostima. Se rimaniamo in silenzio, la vittoria su di noi è certa, e un olocausto ci aspetta.(John Pilger, estratto da “Perché l’avanzata del fascismo è nuovamente il problema”, post scritto il 26 febbraio sul proprio blog e ripreso il 3 marzo 2015 da “Come Don Chisciotte”).Ciò che accomuna il fascismo passato a quello presente sono gli omicidi di massa. L’invasione americana del Vietnam aveva le sue “zone di fuoco libero”, “conteggio dei caduti” e “danni collaterali”. Nella provincia di Quang Ngai, da dove corrispondevo, molte migliaia di civili (“musi gialli”) sono stati assassinati dagli Stati Uniti; eppure si ricorda solo un massacro, quello di My Lai. In Laos e Cambogia, il più grande bombardamento aereo della storia ha prodotto un’epoca di terrore contrassegnato ancora oggi dallo spettacolo di crateri di bombe congiunti che, dal cielo, assomigliano a mostruose collane. Il bombardamento diede alla Cambogia il proprio Isis, guidato da Pol Pot. Oggi, la più grande campagna del terrore al mondo ha come conseguenza l’esecuzione di intere famiglie, di ospiti a matrimoni, di persone in lutto ai funerali. Sono queste le vittime di Obama. Secondo il “New York Times”, ogni martedì, nella Situation Room della Casa Bianca, Obama consulta un “elenco di persone da uccidere” procuratogli dalla Cia. Decide allora, senza uno straccio di giustificazione legale, chi vivrà e chi morirà.
-
Carpeoro: l’infame complotto degli italiani contro se stessi
L’Italia, oggi, sicuramente ha come nemico i poteri forti. Ma coloro che si dovrebbero opporre a quei poteri fanno tutt’altro. Il problema vero di questo paese non è di storia criminale, ma di storia non governata. Non è che siamo governati male: non siamo governati – il che, per certi aspetti, è peggio: forse, essere governati male è meglio che non essere governati. Certo, l’ideale sarebbe essere governati bene. Ma sapete cos’è necessario, per essere governati bene? Bisogna che, alla fine, qualcuno abbia il potere di decidere; che si sappia chi è che decide; e che il potere democratico, se le decisioni di questa persona si dimostrano sbagliate, la volta successiva lo lasci a casa. Vorremmo che la nostra vita fosse scandita da certezze, che non abbiamo: non abbiamo certezza nella giustizia e non abbiamo certezza nel nostro potere economico, perché non sappiamo chi lo governa. Non più la Banca d’Italia. La Banca Centrale Europea? Sì, ma chi la governa? Siamo sicuri che la governi quello che sembra che la governi adesso?