Archivio del Tag ‘famiglie’
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Il giorno che il cielo tornerà ad essere blu, anche per l’Italia
Il pubblico italiano è frastornato da continue notizie sulla Siria, la Russia e la Turchia, ma sulle schede elettorali non troverà né la Russia né la Siria, né il Baltico o l’Ucraina. Niente a che fare con la Turchia e la Nato, nemmeno dopo che i turchi hanno messo in fuga nell’Egeo una nave italiana della Saipem, nel silenzio di Roma, di Bruxelles e di Washington. “Ma il cielo è sempre più blu”, cantava Rino Gaetano, all’epoca in cui il cielo era ancora blu: adesso è a strisce, rigato ogni giorno da scie permanenti rilasciate dagli aerei. I cosiddetti complottisti le chiamano “scie chimiche”, mentre tutti gli altri non le chiamano in nessun modo, come se non esistessero proprio: come se il cielo fosse ancora blu come ai tempi di Rino Gaetano. Sul tema, ripetute interrogazioni in Parlamento sono rimaste senza risposta, e nessun partito in lizza alle elezioni del 4 marzo 2018 si azzarda ad accennare alla “geoingegneria” teorizzata in anni lontani dallo scienziato Edward Teller, il profeta dell’aerosol atmosferico concepito per condizionare il clima. Nell’ultimo anno le famiglie italiane sono state letteralmente travolte dall’isteria collettiva sui vaccini, imposti di colpo senza che vi fosse una sola emergenza sanitaria, senza uno straccio di epidemia davvero allarmante. Ma anche i vaccini sono quasi scomparsi dalla campagna elettorale, come se gli italiani fossero chiamati a decidere su qualsiasi cosa, tranne quelle importanti per la loro vita quotidiana.Si parla e straparla di tasse, come se Roma avesse l’ultima parola, in materia. Come se tutti non sapessero, perfettamente, che qualsiasi proposta del futuro governo dovrà essere strettamente conforme ai voleri indiscutibili di un’avida e inflessibile oligarchia finanziaria privatizzatrice. Diktat trasformati in legge da oscuri burocrati non-eletti, infinitamente più potenti di qualsiasi governo regolarmente eletto. La situazione è drammatica, ma non seria: le liste-contro, che in ordine sparso gridano che le regole del gioco sono truccate, hanno ben poche possibilità di raggiungere la soglia minima del 3%, quella della pura testimonianza, mentre i tre grandi blocchi che si contendono Palazzo Chigi hanno tutti rinunciato a smascherare l’impostura capitale su cui si regge la recita dell’attuale non-democrazia europea. Per tutti loro, il cielo è sempre più blu: si apprestano a governare una sotto-libertà come quella dei governatori delle colonie, sottoposti al potere superiore dell’autorità imperiale. Con la differenza che, almeno, il viceré dell’India non si sognava di accreditarsi come autorità sovrana e democratica. Si presentava ai sudditi onestamente, per quello che era: un fedele, scrupoloso esecutore degli ordini di sua maestà.Poi, incidentalmente, esistono anche gli italiani. Lo ha ricordato di recente l’economista Nino Galloni: la notizia è che 4 milioni di aziende (su 4,5) non hanno chiuso né delocalizzato l’attività. Semplicemente, sopravvivono rinunciando al profitto e puntando alla tutela del lavoro. Questo spiega, anche, la sorprendente ripresa dell’export “made in Italy”, che ha guastato la festa a quei poteri europei che avevano scommesso sulla capitolazione industriale del Belpaese. C’è di più: nel silenzio generale, dice sempre Galloni, 2,3 milioni di giovani sono tornati all’agricoltura: e il loro lavoro vale 40 miliardi di euro, in termini di cibo che l’Italia non deve più importare. Intervistata da Claudio Messora, la saggista Enrica Perucchetti (che ha firmato libri su neo-terrorismo “false flag” e neo-propaganda formato “fake news”) fornisce un’analisi inquietante della manipolazione senza precedenti cui è sottoposta l’opinione pubblica. Ma aggiunge un ragionamento: “Se ci manipolano tanto, significa che ancora ci temono. Hanno paura che i cittadini si sveglino”. Non a caso, comunque, il “risveglio” non è ancora previsto per le elezioni del 4 marzo: nessuna vera soluzione è sul tappeto, oggi. Ma domani? Il cielo tornerà a essere più blu?(Giorgio Cattaneo, “Il giorno che il cielo tornerà ad essere blu”, dal blog del Movimento Roosevelt del 2 marzo 2018).Il pubblico italiano è frastornato da continue notizie sulla Siria, la Russia e la Turchia, ma sulle schede elettorali non troverà né la Russia né la Siria, né il Baltico o l’Ucraina. Niente a che fare con la Turchia e la Nato, nemmeno dopo che i turchi hanno messo in fuga nell’Egeo una nave italiana della Saipem, nel silenzio di Roma, di Bruxelles e di Washington. “Ma il cielo è sempre più blu”, cantava Rino Gaetano, all’epoca in cui il cielo era ancora blu: adesso è a strisce, rigato ogni giorno da scie permanenti rilasciate dagli aerei. I cosiddetti complottisti le chiamano “scie chimiche”, mentre tutti gli altri non le chiamano in nessun modo, come se non esistessero proprio: come se il cielo fosse ancora blu come ai tempi di Rino Gaetano. Sul tema, ripetute interrogazioni in Parlamento sono rimaste senza risposta, e nessun partito in lizza alle elezioni del 4 marzo 2018 si azzarda ad accennare alla “geoingegneria” teorizzata in anni lontani dallo scienziato Edward Teller, il profeta dell’aerosol atmosferico concepito per condizionare il clima. Nell’ultimo anno le famiglie italiane sono state letteralmente travolte dall’isteria collettiva sui vaccini, imposti di colpo senza che vi fosse una sola emergenza sanitaria, senza uno straccio di epidemia davvero allarmante. Ma anche i vaccini sono quasi scomparsi dalla campagna elettorale, come se gli italiani fossero chiamati a decidere su qualsiasi cosa, tranne quelle importanti per la loro vita quotidiana.
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Elezioni da medioevo, vince la religione del debito pubblico
“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.I pricipi sono chiari e anche semplici da comprendere, hanno una loro logica, ma sono fondati su presupposti mistificanti della realtà: “Lo Stato è come una famiglia/azienda, non può spendere più di quello che guadagna”, oppure (soprattutto in Italia): “Avete vissuto al di sopra dei vostri mezzi”, la celebre metafora della cicala e della formica, oppure ancora, la frase che apre questo articolo, riportata urbi et orbi da politicanti, pennivendoli, intellettualoidi vari ed eventuali. Una questione, dunque, religiosa, come precedentemente anticipato: abbiamo il Dio Mercato, la dottrina (che ha assunto una dimensione sacrale) e i suoi sacerdoti, che professano la fede e offrono sull’altare della divinità le (tante) vittime sacrificali, al fine di alimentare il sistema. Questa dinamica, in atto da più di 40 anni, è andata avanti lentamente ed inesorabilmente, con un’accelerazione improvvisa e preoccupante nel corso dell’ultimo decennio (dalla “crisi dei mutui subprime” in poi). Inoltre, il sistema di “Inquisizione 2.0” condanna tutti coloro che si azzardano a proporre politiche economiche “anti-cicliche” di stampo keynesiano, poiché la spesa a deficit “graverà sulle spalle dei nostri figli”.Il tutto ignorando le grandi lezioni della Storia. Ignorando, anzi, cancellando totalmente, la memoria collettiva relativa alla Grande Depressione (o crisi del ‘29) e tutto il periodo post-bellico – definito Liberal Consensus – in cui partiti di destra, moderati e di sinistra condividevano sostanzialmente le ricette ispiratrici del New Deal di rooseveltiana memoria (e del boom economico successivo), cancellando le teorie di politica economica di Keynes, anzi rendendole addirittura anti-costituzionali in Italia (con la recente approvazione dell’articolo 81 della Costituzione, sul pareggio di bilancio), e cancellando anche il concetto di Welfare State teorizzato da William Beveridge. Cancellando, in ultima analisi, la dimensione umana, in favore di una visione economicistica della società, che ignora volutamente il diritto degli individui a vivere una vita dignitosa e li costringe a fare sacrifici per espiare colpe che non hanno. Ci troviamo, dunque, nell’epoca del Neoliberal Consensus, in cui partiti di destra, moderati e di sinistra (con la condivisione, da parte di questi ultimi, della “Third Way” di Anthony Giddens) condividono lo stesso paradigma.Per “Liberal” si intende quell’ideologia democratica, social-liberale, progressista, attenta alle istanze di giustizia sociale e ai diritti civili e politici di tutti: parola usata per la prima volta, in questi termini, da Franklin Delano Roosevelt, in contrapposizione a “Conservative”. Per “Neoliberal”, invece, si intende “neoliberismo” (non “neoliberalismo”, che non significa nulla ed è frutto di un’errata traduzione dall’inglese), ovvero il “lassez-faire” portato alla sua radicalizzazione: in altre parole, il fondamentalismo del mercato, sotto forma di teologia dogmatica. Il Neoliberal Consensus prevede un consenso comune in merito a una serie di ricette, che possiamo riassumere così: privatizzazioni, austerity, deregulation finanziaria, riduzione della spesa pubblica, Stato minimo, concezione dello Stato paragonato a un’azienda, vera e propria isteria sui conti pubblici e sul debito pubblico e conseguente “feticismo” delle coperture economiche. Dunque, in conclusione, mentre un “contatore del debito pubblico” lampeggia sui maxi-led delle stazioni di Milano Centrale, Roma Termini e Roma Tiburtina, iniziativa di terrorismo psico-economico intrapresa dall’Istituto Bruno Leoni – il quale simpaticamente ci informa anche del fatto che abbiamo 40 mila euro di debito a testa – l’invito è quello di riflettere criticamente sui programmi economici presentati dai vari partiti e di riflettere sulle pressioni mediatiche e internazionali su determinati temi. Riflettere e sforzarsi di capire perché siamo in presenza di questa condivisione paradossale, che assottiglia le differenze tra “destra” e “sinistra” e le implicazioni nei rapporti con l’Unione Europea. Qualsiasi partito decidiate di votare.(Rosario Picolla, “Verso il 4 marzo: Orwell, il Neoliberal Consensus e le scemenze elettorali”, dal blog del Movimento Roosevelt del 1° marzo 2018).“Il debito pubblico è un peso che grava sulle spalle delle future generazioni: stiamo rubando il futuro ai nostri figli”. Da questa singola frase ci si può rendere conto di come, in Italia, i programmi politici di molti partiti siano sostanzialmente simili (fatte salve alcune eccezioni), con nuance “de sinistra” o “de destra”, volte a (far finta di) “differenziare” gli uni dagli altri. Chi sostiene questa idea, sostiene tutto quel coacervo di teorie economiche che fanno riferimento a un paradigma unico, anzi, a una teologia dogmatica. Già, perché la cosa ha da tempo assunto una dimensione religiosa, tale da non poter essere contraddetta in alcun modo nel dibattito pubblico (la scienza economica, invece, l’ha già fatto), pertanto assistiamo alla demonizzazione continua degli “eretici”. Un vero e proprio oscurantismo, in salsa “Medioevo 2.0”, periodo storico in cui stiamo sprofondando. Un’operazione in stile “1984”, allorché il grande Eric Arthur Blair (in arte, George Orwell) mise tutti in guardia dal fatto che chi detiene il potere nel presente, non solo è in grado di cambiare il futuro, bensì anche il passato, riadattandolo a proprio piacimento e creando una memoria collettiva differente, per mezzo della rimozione di tutti quegli aspetti non approvati dal “pensiero unico”.
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Onu: italiani in via di estinzione, nel 2050 saremo 40 milioni
Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.«Nessun popolo può sopportare un evento così traumatico e l’equilibrio generale dell’Europa ne sarebbe scosso», scriveva Mendras. «L’Italia del nord, oggi così opulenta, ha il più basso tasso di fecondità in Europa: in media, meno di un bambino per donna». Le grandi città italiane “resistono” soltanto grazie all’immigrazione, continua Meotti nella sua analisi sul “Foglio” pubblicata nel 2017. «Prendiamo Venezia: 2.102 nuovi nati nell’ultimo anno, a fronte di 2.878 morti. Nel giro di quindici anni, a Bologna nasceranno il 10% di bambini in meno, il 20% in provincia. Gli anziani tra 65 e 79 anni cresceranno del 15%. Senza immigrazione, l’Emilia Romagna in vent’anni perderebbe 871.000. Si passerebbe dai quattro milioni e 454.000 residenti emiliano-romagnoli del 2016 a tre milioni e 583.000. Una contrazione del 20%». E’ un trend nazionale. Crollano le nascite a Milano: 17.681 nel 2006, 13.682 nel 2014, 12.688 nel 2015 e poco oltre le diecimila nel 2016. Genova è diventata la “città più vecchia d’Europa”. In Val d’Aosta, dal 2008 al 2015 la natalità è diminuita del 24%, il dato peggiore in Italia. «Nel ricchissimo Veneto le nascite sono calate del 20%». Sta “dimagrendo” la Toscana, meno 5,8%. Per Mendras, siamo di fronte a «una rivoluzione ideologica che rischia di mettere in pericolo la civiltà italiana».Una rivoluzione “culturale”: «Nascerà un nuovo tipo di famiglia: senza fratelli, zii, cugini». Un’Italia composta per due terzi da anziani e con pochissimi bambini. E’ esplicito l’economista americano Nicholas Eberstadt: «Ci sarete ancora domani? Un popolo può scomparire». Perché accade questo? Per soldi: «Una delle ragioni è che i figli sono bellissimi, ma non sono economicamente convenienti», afferma Eberstadt. «E in una società che premia ciò che è conveniente, non è una buona idea costruire una nuova famiglia». Se ieri non avere figli era una tragedia, oggi è anche uno stile di vita: si è più “liberi”. Secondo Eberstadt, continua il “Foglio”, «in una società grigia il welfare diventerà insostenibile: dovrete aumentare l’età pensionabile a 72, 73, 74 anni». Continundo su questa strada, «non penso che la società italiana sopravvivrà così come è oggi», aggiunge Eberstadt: «E’ possibile che l’Italia sarà osservata dal resto del mondo come un esperimento, per capire come una società sopravvive a questo terremoto. Sarete una cavia per il resto del genere umano». Sarà un’Italia di centenari, sostiene il noto demografo James Vaupel, già a capo dell’Istituto tedesco Max Planck: «La maggior parte delle persone vive oggi in Italia sarà probabilmente ancora viva nel 2050». La popolazione dell’Italia? «Potrebbe essere di 10 milioni alla fine del XXI secolo, un quinto della popolazione oggi».«Non conosco nessuna società pre-moderna che ha smesso di avere figli», dichiara al “Foglio” lo storico Bruce Thornton, studioso di antichità alla California State University e autore di “Decline and fall of Europe”. «Si vede questo fenomeno tra le élite, per esempio nella Roma tardo-repubblicana, con Augusto che ha cercato di incoraggiare gli aristocratici romani ad avere più figli. Prima dell’età moderna, la gente ha visto i bambini come risorsa più importante di ogni cultura. Solo i moderni possono essere così stupidi da ignorare questa saggezza». Entrerà in crisi la democrazia, in una simile spirale di invecchiamento e sterilità. «La democrazia sarà in pericolo», afferma Thornton, perché welfare sanitario, assistenza e pensioni dipendono dai lavoratori più giovani che pagano le tasse. «Cosa succede quando una maggioranza di vecchi voterà per averne sempre di più, a scapito dei giovani ormai ridotti al lumicino?». Troviamo difficile sacrificarci per le generazioni successive, dice Thornton: «Per questo abortiamo così tanti bambini. Per questo non distribuiamo più la ricchezza dai ricchi ai poveri, ma dai non nati ai vivi». Un paese di vecchi, geopoliticamente irrilevante e vulnerabile. In Francia, gli immigrati islamici – con alto tasso di natalità – sono il 10% della popolazione francese: avranno «il potere politico per iniziare a cambiare la cultura del paese ospitante».Per Thornton, «vedremo grandi investimenti per aumentare la lunghezza della vita, con la produzione ad esempio di reni e cornee artificiali». Esisteranno ancora le pensioni? «Lavorerete di più, come vediamo in America dal 2008. Ma chi pagherà le pensioni? Qui sorgeranno i conflitti». Che cultura produrremo? «Già oggi non ne produciamo più. Ci sarà molta cultura popolare per intrattenere gli anziani». E la religione? «Se n’è andata dall’Occidente: quando i baby boomers saranno vecchi, l’edonismo avrà vinto completamente». Dice il celebre psichiatra inglese Anthony Daniels: «La situazione in Italia mi sembra senza precedenti», simile a quelle di Spagna, Germania e Giappone. «Questa Italia prevalentemente di anziani avrà difficoltà a difendersi dalle popolazioni più giovani. I capelli saranno grigi, ma le persone saranno molto più vigorose di quelle di una volta. Ci saranno adolescenti geriatrici o una geriatria di adolescenti. La gente cercherà un qualche tipo di trascendenza, la troverà nella cosiddetta ‘spiritualità’, paganesimo, culto della natura, il potere curativo dei cristalli, candele, carillon tibetani. La piramide della popolazione tradizionale sarà invertita, gli anziani dovranno lavorare fino a tardi nella vita e saranno assistiti da robot importati dal Giappone».In questo quadro, la Chiesa romana latita. Dovrebbe usare la crisi demografica per una rinascita. Lo sostiene George Weigel, saggista cattolico. «Una nazione che non si riproduce versa in una crisi morale e culturale», dice Weigel al “Foglio”. «La Chiesa dovrebbe prestare attenzione a questo, ma significherebbe rimuovere la polvere dalla propria mentalità museale». Pochi prelati oggi parlano della catastrofe demografica. «Penso che in Occidente abbiamo un desiderio di morte», dice Rod Dreher, giornalista conservatore americano: «Abbiamo scelto il comfort sulla vita». Ratzinger ha detto che ci troviamo di fronte a una crisi spirituale: una grande crisi di civiltà, peggiore di qualsiasi altra dalla caduta di Roma. «Ratzinger è un profeta», sostiene Weigel. «Siamo diretti verso giorni molto bui. I musulmani che arrivano in Europa oggi credono in qualcosa. Troppi di noi occidentali non credono in niente, non nel Dio della Bibbia, ma neanche in se stessi». Per l’americano David Goldman, editore di “Asia Times”, «il declino della popolazione è l’elefante nel salotto del mondo. E’ una questione di aritmetica, sappiamo che la vita sociale della maggior parte dei paesi sviluppati si romperà entro due generazioni. Due italiani su tre e tre giapponesi su quattro saranno anziani nel 2050».Se gli attuali tassi di fertilità continuano, dice Goldman, il numero di tedeschi scenderà del 98% nel corso dei prossimi due secoli. «Nessun sistema pensionistico e sanitario è in grado di supportare tale piramide rovesciata della popolazione». Aritmetica, appunto: «Il tasso di natalità di tutto il mondo sviluppato è ben al di sotto del tasso di sostituzione, e una parte significativa di essa ha superato il punto di non ritorno demografico». La teoria geopolitica convenzionale, dominata da fattori materiali quali il territorio, le risorse naturali e la tecnologia, «non affronta il problema di come i popoli si comporteranno sotto questa minaccia esistenziale, in cui la questione cruciale è la volontà o mancanza di volontà di un popolo che abita un determinato territorio di sfornare una nuova generazione». Il declino demografico, inesorabile, nel XXI secolo «porterà a violenti sconvolgimenti nell’ordine del mondo». E l’Italia? «E’ sulla buona strada, secondo le Nazioni Unite: il numero di donne in età fertile si ridurrà di due terzi nel corso di questo secolo, e diminuirà di circa la metà dal mezzo secolo in poi», Ciò implica «una riduzione della popolazione paragonabile al declino di Roma nel Quinto e Settimo secolo». La causa immediata? E’ la crisi economica, dice Goldman. «L’Italia sarà simile a una casa di riposo, con il 45% popolazione sopra i sessant’anni». Conseguenza: «Il ruolo internazionale dell’Italia si ridurrà con la sua economia».Mentre l’economia continuerà a contrarsi, conclude Goldman, il rapporto deficit-Pil aumenterà. «L’Italia richiederà acquirenti stranieri per le sue attività, il che significa prima di tutto la Cina. L’Italia, insomma, si trasformerà in un parco a tema». Se il Giappone sarà abitato da filippine e indonesiane «pagate da una oligarchia di vecchi», agli italiani resterà il turismo per i cinesi: Roma, Firenze e Venezia. Secondo Goldman, il suicidio demografico italiano ha a che fare anche con il declino della religione. «I più bassi tassi di fertilità si incontrano tra le nazioni dell’Europa orientale, dove l’ateismo è stato l’ideologia ufficiale per generazioni». Al contrario, «Israele avrà più giovani dell’Italia o della Spagna. Un secolo e mezzo dopo l’Olocausto, lo Stato ebraico avrà più uomini in età militare e sarà in grado di mettere in campo un esercito di terra più grande di quello della Germania. Quando la fede scompare, la fertilità svanisce». La spirale di morte in gran parte del mondo industriale, aggiunge Goldman, ha costretto i demografi a pensare anche in termini di fede. «Decine di nuovi studi documentano il legame tra fede religiosa e fertilità. La religione ha cessato di svolgere un ruolo significativo nella società italiana. La metà dei seminaristi di Roma sono africani. Non c’è un Papa italiano da quarant’anni. Ci sarà sempre un nucleo di cattolici in Italia, ma la religione non è ora e non sarà un fattore significativo».Eppure, osserva Meotti, in Italia nessuno parla di suicidio demografico. «Due guerre mondiali – dice ancora Goldman – hanno mostrato agli europei che la loro cultura era deperibile e, per certi versi, costruita su illusioni di superiorità nazionale, e quando queste illusioni sono state chiamate in causa, gli europei hanno visto che non c’era alcuna ragione di sacrificare i piaceri per la cultura». Ancora: «Gli individui intrappolati in una cultura di morte vivono in un crepuscolo del mondo. Abbracciano la morte attraverso l’infertilità, la concupiscenza e la guerra». I membri di una cultura “malata” «cessano di avere figli, si stordiscono con l’alcool e la droga, diventano scoraggiati e spesso la fanno finita con se stessi». Una buona parte del mondo sembra aver perso il gusto per la vita, sostiene Goldman. «La fertilità è scesa finora in alcune parti del mondo industriale in maniera tale che lingue come ucraino ed estone saranno in pericolo in un secolo, e l’italiano nel giro di due». Le culture di oggi «stanno morendo di apatia, non per le spade dei nemici». E l’apatia europea «è il rovescio della medaglia dell’estremismo islamico». Potrà la geriatria italiana essere democratica? «Certamente», conclude Goldman. «Potrete votare democraticamente per chiedere all’ultima persona di spengere la luce».Arrivano ogni anno e sono come un bollettino di guerra. Sono i rapporti dell’Istat sulla popolazione: mai così basso il numero delle nascite. Nel 2016 l’Italia è “dimagrita” di 134.000 persone: come avessimo perso una città delle dimensioni di Salerno. La fecondità è scesa a 1,34 figli per donna: nessun paese al mondo fa meno figli dell’Italia. Secondo lo storico francese Pierre Chaunu, nei paesi europei la disaffezione a procreare ha conseguenze simili alla peste nera che sterminò un terzo della popolazione del continente. A differenza dell’epidemia del medioevo che riempiva i cimiteri, scrive Giulio Meotti sul “Foglio”, l’epidemia di sterilità volontaria svuota i reparti di maternità. Persino per l’Onu, gli italiani sono un gruppo etnico in via di estinzione: nel nostro paese, il rapporto fra nascite e decessi è negativo dal 1990 (per inciso, l’epoca in cui il paese – con il collasso della Prima Repubblica – ha imboccato la via delle privatizzazioni, dell’euro e dell’Unione Europea). I dati per l’Italia – meno di 60 millioni di persone, inclusi però gli immigrati – per le Nazioni Unite sono ancora più terribili se consideriamo il rapporto fra nascite e decessi: indicatore che ha appena raggiunto il valore peggiore di sempre. Dieci anni fa, su “Le Monde”, il sociologo Henri Mendras scrisse che, di questo passo, la popolazione dello Stivale si sarebbe ridotta da 60 a 40 milioni nel 2050.
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Credito ai poveri, e nacque il banchiere più grande al mondo
C’era una volta un uomo. Era un uomo vero, di quelli d’un tempo, e sarebbe divenuto il banchiere più grande del mondo. Uno di quegli uomini che dicevano “non voglio diventare troppo ricco, perché nessun ricco possiede la ricchezza, ma ne è posseduto”. All’epoca – si era in California, nell’America dei primi del Novecento – le banche davano soldi solo alle imprese già affermate. Nessuno dava credito alle piccole imprese. Quell’uomo decise di aprire la sua banca, ma non aveva una sede. Rilevò allora da una signora che voleva ritirarsi in pensione il contratto di affitto di un bar, in un incrocio, per 1.250 dollari. Non aveva clienti, e così iniziò un modo di fare banca diversa da tutte le altre dell’epoca. Si mise a girare per le strade, offrendo piccoli prestiti a chi voleva aprire un capannone, un piccolo ristorante, un esercizio commerciale. Nei primi del Novecento, era impossibile in America avere credito dalle banche, se eri una micro-impresa: vi era una regola per la quale non si davano prestiti inferiori ai 200 dollari. In pratica, per le somme minori ci si doveva rivolgere agli usurai. Quell’uomo iniziò a finanziare piccole cose, dando prestiti a partire da 25 dollari. Divenne famoso per la sua nuova cultura di banca.Io per finanziare un uomo – era solito dire – voglio guardarlo negli occhi e vedere i calli sulle mani. A proposito del fatto che oggi tanto si parla di riforma delle banche popolari, ricordo che quell’uomo volle per la sua banca un azionariato diffuso, un azionariato popolare. Si occupò personalmente di andare a proporre le azioni a gente che non era mai stata in una banca: fornai, lattai, droghieri, ristoratori, idraulici, barbieri. Oggi si parla di austerity, di termini inglesi come “leverage” (il rapporto tra capitale e prestito), di rigore. Ricordo che anche allora si dicevano le stesse cose: in due mesi aveva raccolto 70.000 dollari, ma ne aveva impiegati 90.000 e i suoi soci erano preoccupati. Come faremo? – strillavano. Bisogna avere fiducia nella gente – rispondeva lui agli altri. La gente la ripagò, la sua fiducia. Cominciò ad andare nella banca che permetteva loro di finanziare una bottega, di avere un reddito dignitoso, di comprare una casa, di metter su famiglia, di mandare i figli a scuola. In un anno, quei 70.000 dollari divennero 700.000, e la banca continuava a crescere e a dare fiducia.Nel 1906 a San Francisco avvenne un fatto terribile. Il terremoto distrusse la città e la gente si aggirava disperata per le strade, avendo perso tutto, casa e lavoro. Quell’uomo, mentre gli strozzini si aggiravano per le strade, andò sul molo della città, mise un tavolaccio di legno appoggiato su due barili, in mezzo alla folla dei disperati, ci salì sopra ed espose un cartello, con il titolo “Banca di (X), aperto ai clienti” (il nome della “X” ve lo dirò alla fine di questa storia). Resta il fatto che quell’uomo mise un sottotitolo che aveva lui stesso dipinto sul cartello quella notte: “Prestiti come prima, più di prima”. Quell’uomo si chiamava Peter, e stava realizzando il suo sogno di aprire una banca per i piccoli imprenditori, i diseredati, gli emigranti. La “banca” venne assalita da persone che avevano idee per ricostruire la città e lui prestava soldi con il suo metodo, guardando le persone negli occhi e osservando i calli sulle mani. Segnava i crediti su un quadernetto, annotando nomi e cifre. Girava con un carretto ed elargiva prestiti sulla fiducia, senza garanzia, a persone che non avevano potuto andare a scuola e che per lo più firmavano con una croce. Li valutava fidandosi della loro parola e del loro onore. Lui dava fiducia a quelli che avevano delle idee, dei progetti, non a quelli che avevano dei soldi o proprietà da dare in garanzia.I suoi consiglieri gli dicevano che era un pazzo, che sarebbe finito in rovina. Invece, successe una cosa che nessuno si sarebbe aspettato. Quei piccoli imprenditori tornarono da lui, portando tanti altri amici, gente che toglieva i propri pochi depositi dalle altre banche e li andava a investire da Peter, l’uomo col carrettino. Pochi depositi, ma erano milioni di persone. Tutti gli immigrati della California, i nuovi piccoli imprenditori, vennero presto a conoscere la storia dell’uomo col carrettino e il nome di Peter divenne in breve mito, e da mito leggenda. Successe che l’uomo che dava fiducia al prossimo ricevette fiducia dal prossimo e i suoi conti crebbero, perché tutti volevano portare i propri risparmi alla banca di Peter. La sua politica era diversa da quella di tutte le banche dell’epoca ed era volta a dare soldi ai piccoli, agli artigiani, ai commercianti, agli agricoltori, ai piccoli imprenditori. La banca di Peter negli anni crebbe in tutta la California, aprendo filiali a San Francisco, a Los Angeles, fino ad attraversare l’immensa giovane nazione ed arrivare, nel 1919, a New York. Otto anni dopo, quella banca cambiò nome, e divenne la Bank of America.All’epoca, i consiglieri della banca proposero un premio al suo fondatore, di addirittura 50.000 dollari. L’uomo, che aveva già guadagnato nella sua carriera quasi mezzo milione di dollari, restando fedele al suo detto di quando, da giovane, aveva deciso di creare una banca, per evitare di “essere posseduto dalla ricchezza” rifiutò il premio, dicendo che chiunque desiderasse avere più di 500.000 dollari doveva farsi vedere da un dottore. La smania di denaro è una brutta cosa – disse una volta – io non ho mai avuto quel problema. Detto da uno che a sette anni aveva visto il padre ucciso dopo un litigio per un dollaro, c’era da credergli. Infatti, fece devolvere più volte vari premi alla ricerca scientifica. Oggi le banche aborrono progetti innovativi e la finanza moderna pretenderebbe che non si investa in progetti originali e non consolidati, senza patrimoni dell’imprenditore e adeguate garanzie. Pensate allora a cosa doveva voler dire, all’epoca, finanziare una cosa sconosciuta e incredibile che si chiamava cinematografo: follia, per i suoi colleghi. Peter, a differenza di tutti gli altri banchieri, prestò i suoi soldi a un geniale innovatore, consentendo nel 1921 a tutto il mondo di conoscere “Il Monello”, il meraviglioso film di Charlie Chaplin.Anni più tardi, finanziò Walt Disney, che gli parlava di finanziare un’altra incredibile rivoluzione tecnologica e cioè i cartoni animati. Il mondo conobbe così la favola di “Biancaneve e i sette nani.” Ancora, finanziò un visionario siciliano, Francesco Rosario Capra, rimasto senza lavoro per la crisi del ’29, rivelando così al mondo il genio del celeberrimo regista Frank Russel Capra. Così, mentre gli esperti di finanza insegnavano l’importanza di adottare regole restrittive, Peter finanziava i piccoli imprenditori guardandoli negli occhi e alla fine, tirando i conti, si scoprì che il 96% dei prestiti della banca erano stati rimborsati, senza alcuna garanzia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la banchetta nata in un bar, proseguita su un carrettino, che ora si chiamava Bank of America, superò per depositi la First National Bank e la Chase Manhattan Bank, le due più grandi banche di New York, diventando così la più importante banca del mondo. Dopo la fine della guerra, Peter volle che la Bank of America si impegnasse in prima persona nel piano Marshall, cioè nel gigantesco piano di ricostruzione che ha consentito anche al nostro paese di ripartire, finanziando così, indirettamente, milioni di nostri piccoli imprenditori.Quando, nell’ottobre del 1945, lasciò la presidenza della banca, lasciò i cassetti aperti, affermando che “né lui, né la sua banca, avevano nulla da nascondere”. Quando morì, quattro anni più tardi, dall’inventario dei suoi beni si scoprì che aveva mantenuto la sua parola, e pur essendo stato il banchiere della banca più grande del mondo, il suo patrimonio ammontava esattamente a soli 489.278 dollari, meno del mezzo milione per cui, secondo lui, uno sarebbe dovuto farsi vedere da uno psichiatra. Può sembrare una favola, ma è storia vera. L’ho raccontata perché oggi, se mi guardo intorno, io non vedo una situazione abissalmente diversa dal disastro di San Francisco del 1906 o dalla crisi del ’29. Mentre i politici parlano di riforma della legge elettorale, le imprese chiudono ogni giorno, la gente è a spasso, molti restano senza lavoro e senza speranza. Allora, esistevano uomini di banca come Peter. Oggi i piccoli imprenditori sono disperati. Le banche ripetono il mantra appreso da docenti, banchieri e politici che parlano in lingua inglese, chiedono garanzie, e si sente a ogni angolo la parola “austerity”. Gli anglosassoni ci vengono a insegnare come si fa il mestiere di banchiere e i tedeschi ci insegnano il rigore. Ora, io avrei un sogno. Vorrei che in una nostra città, una qualunque, tra le macerie della nostra economia, un banchiere italiano, un politico italiano, uno statista, prendesse un tavolaccio, lo mettesse in mezzo a una strada e poi ci salisse sopra.Vorrei che ci posasse sopra un cartello con una scritta a mano in cui si leggesse: “Da oggi, prestiti all’economia, come prima, più di prima”. Sottotitolo: “Colleghi, l’austerity ve la potete mettere in quel posto”. E poi, vorrei che quest’uomo cominciasse a ridisegnare le regole del gioco della finanza mondiale, per insegnare a tutti che noi italiani non abbiamo bisogno di lezioni da nessuno, sul come si fa a fare il mestiere del banchiere. Il vero banchiere non chiede le garanzie, ma guarda i calli sulle mani. Questo, sarebbe il mio sogno. Perché sul cartello che quell’uomo aveva scritto di suo pugno, su quel tavolo in mezzo alla strada, c’era il nome della sua banca: Bank of Italy. Questo era il nome originario di quella che sarebbe divenuta, molti anni dopo, la più grande banca del mondo: la Bank of America. Il suo fondatore, l’uomo che guardava gli altri negli occhi e finanziava guardando i calli delle mani, l’uomo che si alzò in piedi insegnando al mondo a rialzarsi in piedi, l’uomo che insegnò a tutti che fare banca non significa chiedere regole, ma dare fiducia, non era un anglosassone. Peter era il secondo nome di Amedeo Giannini, in cerca di fortuna nell’America di fine ottocento, figlio di poveri migranti dell’entroterra ligure. C’era una volta un banchiere. Era un uomo vero. Era un italiano.(Valerio Malvezzi, “L’incredibile storia del banchiere più grande del mondo”, dal sito “Win The Bank”, 2018).C’era una volta un uomo. Era un uomo vero, di quelli d’un tempo, e sarebbe divenuto il banchiere più grande del mondo. Uno di quegli uomini che dicevano “non voglio diventare troppo ricco, perché nessun ricco possiede la ricchezza, ma ne è posseduto”. All’epoca – si era in California, nell’America dei primi del Novecento – le banche davano soldi solo alle imprese già affermate. Nessuno dava credito alle piccole imprese. Quell’uomo decise di aprire la sua banca, ma non aveva una sede. Rilevò allora da una signora che voleva ritirarsi in pensione il contratto di affitto di un bar, in un incrocio, per 1.250 dollari. Non aveva clienti, e così iniziò un modo di fare banca diversa da tutte le altre dell’epoca. Si mise a girare per le strade, offrendo piccoli prestiti a chi voleva aprire un capannone, un piccolo ristorante, un esercizio commerciale. Nei primi del Novecento, era impossibile in America avere credito dalle banche, se eri una micro-impresa: vi era una regola per la quale non si davano prestiti inferiori ai 200 dollari. In pratica, per le somme minori ci si doveva rivolgere agli usurai. Quell’uomo iniziò a finanziare piccole cose, dando prestiti a partire da 25 dollari. Divenne famoso per la sua nuova cultura di banca.
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Crisi, colpa nostra? Bifarini: dai media, soltanto fake news
Se tutti pagassero le tasse in 18 anni si potrebbe sanare il debito pubblico? Ridicolo. A parte il fatto che il debito pubblico non va “sanato”, perché lo Stato non è una famiglia né un’azienda, in realtà non esiste nessuna relazione significativa tra il livello di evasione e il debito di un paese. Anzi, al contrario: se osserviamo Giappone e Stati Uniti, che hanno il più alto debito pubblico al mondo, notiamo che in questi paesi il livello di evasione è bassissimo. Parola di Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” intervistata dal “Giornale” sulle più ricorrenti “bufale”, spacciate di media, in materia di economia. E’ la solita strumentalizzazione: giornali e televisioni «puntano il dito sull’evasione, sui piccoli evasori, attribuendogli la colpa della crisi economica», magari denunciando «gli affitti in nero e ai piccoli imprenditori», ma senza mai fare alcun riferimento «alla grande evasione fiscale da parte delle banche e delle grandi corporation». Motivo: «Si vuole scatenare la solita guerra tra poveri, strumentale poi alla preservazione dello status quo». La “flat tax”? Non è vero che “aiuta solo i ricchi”, anche se «rimane non progressiva verso l’alto, quindi sarebbero avvantaggiate le fasce di reddito più alte». Comunque sia, «è urgente e improcrastinabile una semplificazione e una riduzione significativa della tassazione delle nostre imprese, che si trovano schiacciate dalla competizione internazionale anche in ambito fiscale».Le privatizzazioni come soluzione? Giammai: «Privatizzare vuol dire svendere il nostro bene pubblico senza risolvere il problema della crisi e del debito attuale, mettendolo per lo più in mano ad investitori stranieri», spiega Ilaria Bifarini. «Questo ha ripercussioni notevoli sul livello dei salari (che entrano nel sistema perverso della concorrenza sfrenata, propria del modello neoliberista) e sull’abbassamento ulteriore della qualità dei prodotti e dei servizi». Privatizzando, «si vuole estromettere il ruolo dello Stato dalla politica economica: questo è quanto suggerisce l’Unione Europea per risanare il debito pubblico». In realtà, nonostante le devastanti privatizzazioni degli ultimi anni, il debito pubblico continua a crescere. «Quindi, privare il proprio paese di asset pubblici fondamentali per il proprio sviluppo e per la fruibilità e la qualità dei servizi non è altro che controproducente per l’economia di un paese». Cosa rispondere a chi afferma anche che gli aiuti pubblici uccidono la concorrenza e il Pil? «In realtà è proprio vero il contrario: infatti esiste una relazione diretta tra le dimensioni del governo e il reddito pro capite dei cittadini. Perché un’economia aperta, sviluppata e competitiva possa prosperare, è necessario che ci sia un intervento da parte dello Stato. E che quindi uno Stato offra tutele alle fasce di popolazione più debole in modo che possa funzionare la dinamica del libero mercato».Attualmente, la “teologia” neoliberista imposta dall’Ue fa in modo che avvega l’esatto opposto: i soli aiuti pubblici «sono rivolti ai salvataggi delle banche». Per l’economista, «siamo di fronte a un sistema bancario ipertrofico che non produce ricchezza reale ma soltanto speculazione, evade ed elude i propri profitti». E i cittadini «si trovano a dover finanziare un simile sistema che è deleterio per la crescita e per lo sviluppo». E se la globalizzazione «ha portato indiscutibili miglioramenti nell’ambito dello sviluppo economico e del progresso industriale», oggi ci troviamo in una fase successiva, la cosiddetta “iperglobalizzazione”, «dove a rischio sono la sopravvivenza della democrazia e degli Stati nazionali». Secondo quello che il “trilemma di Rodrik”, dal nome dell’economista turco Danil Rodrik, esiste una relazione diretta di incompatibilità tra democrazia, Stato nazionale e globalizzazione: «Quindi, se spingiamo oltre la globalizzazione, come è già avvenuto, dobbiamo rinunciare o allo Stato nazionale o alla democrazia». Di fatto, aggiunge Bifarini, alla democrazia stiamo già rinunciando: «Ci troviamo di fronte a quella formale, ma completamente svuotata del suo contenuto sostanziale, la cosiddetta “democrazia apatica”». Ora, attraverso l’Ue e l’Eurozona, «ci dicono di rinunciare anche allo Stato nazionale in nome di una governance internazionale inefficace e carente».Altro tragico dogma in auge: limitare la spesa pubblica al 3% del Pil. «Il limite del 3% del rapporto deficit-Pil non è assolutamente salutare per l’economia», sottolinea Ilaria Bifarini. «La prova è che l’Italia si trova a generare un avanzo primario da ben 24 anni con una sola eccezione nel 2009, quindi in realtà paghiamo più di quanto riceviamo e questo non può essere salutare per l’economia e il suo sviluppo». Attenzione: «Non si può riuscire a pareggiare il bilancio attraverso politiche di riduzione del reddito nazionale senza occuparsi del problema della disoccupazione, come insegnava Keynes». Il più falso dei “refrain” impugnati dai profeti del rigore? Avremmo “vissuto al di sopra le nostre possibilità”. Ridicolo: il boom del debito italiano risale al 1981, anno del divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. Nulla a che vedere coi consumi italiani. La crisi finanziaria mondiale del 2008? «Non è una crisi da debito pubblico, ma una crisi generata da un fattore di debito privato». Propaganda: «Si vuole alimentare questa concezione per la quale ci sono paesi come il nostro, spendaccioni (i cosiddetti Pigs, che hanno “vissuto oltre le proprie possibilità”) e che quindi le misure dure, inefficaci e deleterie dell’austerity imposte dalla Troika e dalle istituzioni finanziarie internazionali siano la giusta pena da espiare per i peccati commessi». In altre parole, barando, «si è creata una questione morale su un argomento prettamente economico». Se ne sono accorti, gli italiani?Se tutti pagassero le tasse in 18 anni si potrebbe sanare il debito pubblico? Ridicolo. A parte il fatto che il debito pubblico non va “sanato”, perché lo Stato non è una famiglia né un’azienda, in realtà non esiste nessuna relazione significativa tra il livello di evasione e il debito di un paese. Anzi, al contrario: se osserviamo Giappone e Stati Uniti, che hanno il più alto debito pubblico al mondo, notiamo che in questi paesi il livello di evasione è bassissimo. Parola di Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” intervistata dal “Giornale” sulle più ricorrenti “bufale”, spacciate di media, in materia di economia. E’ la solita strumentalizzazione: giornali e televisioni «puntano il dito sull’evasione, sui piccoli evasori, attribuendogli la colpa della crisi economica», magari denunciando «gli affitti in nero e ai piccoli imprenditori», ma senza mai fare alcun riferimento «alla grande evasione fiscale da parte delle banche e delle grandi corporation». Motivo: «Si vuole scatenare la solita guerra tra poveri, strumentale poi alla preservazione dello status quo». La “flat tax”? Non è vero che “aiuta solo i ricchi”, anche se «rimane non progressiva verso l’alto, quindi sarebbero avvantaggiate le fasce di reddito più alte». Comunque sia, «è urgente e improcrastinabile una semplificazione e una riduzione significativa della tassazione delle nostre imprese, che si trovano schiacciate dalla competizione internazionale anche in ambito fiscale».
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Giannini: lo spettro del Britannia e il reddito di cittadinanza
Una importante novità nell’anno 2018 compare di fronte agli elettori: l’analisi dei principali aspetti riguardanti i programmi dei partiti, soprattutto sul piano dei costi. Tra le ricette che sono state presentate, quella del Movimento 5 Stelle ha destato subito interesse quando ci si è resi conto che conteneva passi copiati da Wikipedia o addirittura dal programma Pd. Per quanto la vicenda possa apparire come un indice di scarsa competenza e conoscenza e quindi suscitare inquietudine, l’attenzione andrebbe focalizzata piuttosto sui concetti di fondo della proposta pentastellata. Secondo gli economisti di stampo keynesiano, per uscire dalle situazioni di crisi economica si deve “fare deficit” per attuare politiche di espansione (di crescita) dando lavoro, investendo in infrastrutture, detassando, conferendo nuovi diritti sociali, ecc. In questo modo la disoccupazione si dovrebbe ridurre, i contribuenti dovrebbero aumentare e con essi le entrate andrebbero a ripianare non solo il nuovo deficit ma anche a ridurre lo stock del debito pregresso. Di Maio, apparentemente in linea con questo approccio, ha insistito sullo sforamento del parametro di bilancio del 3%, un parametro di scarsissima scientificità ma concordato con gli altri soggetti europei: «Prenderemo un po’ di debito e lo investiremo per lo sviluppo», è stato lo slogan in diverse conferenze elettorali.
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Strage di militari malati, silenzio dei media sui vaccini-killer
Mercurio e metalli pesanti nei vaccini somministrati ai militari: non sono un migliaio, ma ben 4.000, i soldati italiani colpiti da gravissimi problemi di salute per motivi di servizio. E ben 340 membri delle forze armate italiane sono morti, a causa di patologie sospette, spesso connesse con l’esposizione all’uranio impoverito degli armamenti. Non solo: tra i fattori di rischio indicati dalla commissione difesa ci sono anche le vaccinazioni. «E la cosa inaudita è che la stampa abbia omesso questo aspetto», accusa Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt, commentando lo scomodo lavoro d’indagine che è costato la non ricandidatura al presidente della commissione, il deputato Pd Gian Pietro Scanu, già sindaco di Olbia, amareggiato per l’eclusione dalle liste renziane. Sotto la sua guida, ricorda il blog del Movimento Roosevelt, «i parlamentari hanno lavorato con indipendenza e determinazione, in mezzo a molti ostacoli». L’attenzione degli esperti «si è allargata dall’uranio impoverito ai vaccini come probabile concausa del problema». Il vicepresidente della stessa commissione, Ivan Catalano, denuncia «una vera e propria censura» ai danni del presidente Scanu, «pressato dai vertici del suo partito, a proposito delle vaccinazioni».La notizia sulla relazione conclusiva della commissione era stata data da “Askanews” e poi dall’“Ansa”: le agenzie di stampa avevano dato ai giornali un resoconto preciso, senza omettere le notizie sui vaccini, ma poi questo dettaglio è stato completamente ignorato da quotidiani e telegiornali, e la notizia stessa «è subito sparita da entrambi i siti ed è diventata irreperibile con qualunque motore di ricerca». Nella sua riunione conclusiva, la commissione «ha incluso nella relazione finale la parte fondamentale sulla profilassi vaccinale, peraltro individuata come probabile fattore causale anche dagli esperti della precedente commissione difesa», scrive il blog del Movimento Roosevelt. Nella conferenza stampa tenuta il 7 febbraio, Gian Piero Scanu ha ribadito il concetto di “spiegazione multifattoriale” delle gravi patologie che hanno colpito 4.000 militari in servizio conducendone alla morte 340, e ha invitato i giornalisti presenti alla lettura integrale del documento, per comprendere appieno la complessità del problema. Da allora, però, «tutte le principali testate giornalistiche nazionali (giornali e telegiornali) hanno completamente omesso la parte relativa alle vaccinazioni, messe sotto accusa».La commissione indica «un eccesso di mercurio e di metalli contenuti nei vaccini militari» e parla di «somministrazioni scorrette (un numero eccessivo di dosi iniettate contemporaneamente)», denunciando anche «l’assenza di esami prevaccinali e di follow up dopo le vaccinazioni». Il Movimento Roosevelt «deplora questa gravissima violazione del diritto dei cittadini ad un’informazione libera, completa e trasparente», afferma Patrizia Scanu. Violazione «ancora più inaccettabile per il fatto che si tratta di un documento istituzionale prodotto dal Parlamento, di enorme rilevanza per le famiglie coinvolte e per l’interesse dell’intera comunità nazionale». Un silenzio stampa così unanime, aggiunge, lascia supporre una regia politica: «La censura di un atto parlamentare sovvertirebbe il principio della rappresentanza», configurando la violazione dell’articolo 21 della Costituzione, che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. A fronte di una situazione così minacciosa per la democrazia, conclude Patrizia Scanu, occorre reagire in nome della trasparenza: «Il popolo italiano è fatto di cittadini, non di sudditi, e i cittadini hanno diritto di sapere». Il Movimento Roosevelt sta valutando la possibilità di intraprendere azioni legali a tutela dei cittadini.Mercurio e metalli pesanti nei vaccini somministrati ai militari: non sono un migliaio, ma ben 4.000, i soldati italiani colpiti da gravissimi problemi di salute per motivi di servizio. E ben 340 membri delle forze armate italiane sono morti, a causa di patologie sospette, spesso connesse con l’esposizione all’uranio impoverito degli armamenti. Non solo: tra i fattori di rischio indicati dalla commissione difesa ci sono anche le vaccinazioni. «E la cosa inaudita è che la stampa abbia omesso questo aspetto», accusa Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt, commentando lo scomodo lavoro d’indagine che è costato la non ricandidatura al presidente della commissione, il deputato Pd Gian Pietro Scanu, già sindaco di Olbia, amareggiato per l’eclusione dalle liste renziane. Sotto la sua guida, ricorda il blog del Movimento Roosevelt, «i parlamentari hanno lavorato con indipendenza e determinazione, in mezzo a molti ostacoli». L’attenzione degli esperti «si è allargata dall’uranio impoverito ai vaccini come probabile concausa del problema». Il vicepresidente della stessa commissione, Ivan Catalano, denuncia «una vera e propria censura» ai danni del presidente Scanu, «pressato dai vertici del suo partito, a proposito delle vaccinazioni».
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Uranio impoverito, sono malati oltre 1.100 marinai italiani
Oltre mille soldati italiani colpiti da malattie collegate all’amianto. La novità? Lo ammette il Parlamento: ci sono dei morti, e solo nella marina i militari colpiti patologie absesto-correlate sono 1.100. Sono le «sconvolgenti criticità» nella salute dei nostri militari, in Italia e nelle missioni all’estero, scoperte dalla commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, presieduta da Gian Piero Scanu, deputato uscente del Pd (non ricandidato). «Risultati imbarazzanti, per i vertici militari e il governo», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una frase per tutte: la «diffusa inosservanza degli obblighi» risulta «perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive». Scondo la relazione, queste criticità «hanno contribuito a seminare morti e malattie». Dai vertici la risposta è stato il «negazionismo», al quale si aggiungono gli «assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle autorità di governo», che hanno ingenerato il dilagare, «tra le vittime e i loro parenti», di uno «sconfortante senso di giustizia negata». Eppure, sottolinea la relazione, gli esperti ascoltati hanno riconosciuto il nesso tra esposizione all’uranio impoverito e tumori.Raccomandando al prossimo Parlamento di «vigilare con il massimo scrupolo sulle modalità di realizzazione della missione in Niger» anche «per quanto attiene alla valutazione dei rischi, all’idoneità sanitaria e ambientale dei luoghi di insediamento del contingente, alla congruità delle pratiche vaccinali adottate e alle pratiche di sorveglianza sanitaria», la commissione definisce «singolare» la «scarsa conoscenza» circa l’uso, durante le missioni all’estero, di «armamenti pericolosi, eventualmente impiegati dai paesi alleati». Per la commissione d’inchiesta, le procedure «convergono nel produrre il duplice effetto di offuscare i rischi incombenti e di arginare le responsabilità dei reali detentori del potere». La vigilanza su salute e sicurezza è «svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici della difesa», la cui azione «si è dimostrata insufficiente». Aggiungono i commissari: «La diffusa inosservanza degli obblighi risulta perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento dei rischi e delle responsabilità effettive».Basti pensare che i responsabili del servizio di prevenzione e protezione, nonché i medici competenti, «in alcuni siti sono risultati addirittura assenti». Critiche anche alla magistratura penale, riporta il “Fatto”: gli interventi dei giudici a tutela della salute dei militari «non appaiono sistematici», e dunque nell’amministrazione della difesa «continua a diffondersi un deleterio senso d’impunità», che porta a un «risultato devastante». Ovvero: «L’idea che le regole c’erano, ci sono e ci saranno, ma che potevano, si possono e si potranno violare senza incorrere in effettive responsabilità». I rischi non si limitano solo alle missioni, visto che «rischi minacciosi» riguardano anche «caserme, depositi, stabilimenti militari», sia per «deficienze strutturali» (particolarmente critiche «nelle zone a maggiore sismicità»), sia per carenze di manutenzione che per la permanenza di «materiali pericolosi». La presenza di amianto, spiegano i commissari, «ha purtroppo caratterizzato navi, aerei, elicotteri».In relazione a tre specifici casi emersi nel corso dell’inchiesta, la commissione ha trasmesso i suoi atti alle procure. Un militare, Antonio Attianese, ammalatosi in Afghanistan, ha denunciato «l’atteggiamento ostruzionistico e le minacce di alcuni superiori», mentre il tenente colonello medico Ennio Lettieri, impegnato in Kosovo (infermeria del comando Kfor) ha denunciato una fornitura idrica «altamente cancerogena», destinata al contingente italiano. Segnalato alla magistratura anche il caso del generale Carmelo Covato, dello stato maggiore: «I militari italiani impiegati nei Balcani – ha detto alla commissione – erano al corrente della presenza di uranio impoverito nei munizionamenti utilizzati ed erano conseguentemente attrezzati». Affermazioni che i commisari giudicano «in contrasto con le risultanze dei lavori e con gli elementi conoscitivi acquisiti nel corso dell’intera inchiesta».Oltre mille soldati italiani colpiti da malattie collegate all’amianto. La novità? Lo ammette il Parlamento: ci sono dei morti, e solo nella marina i militari colpiti patologie absesto-correlate sono 1.100. Sono le «sconvolgenti criticità» nella salute dei nostri militari, in Italia e nelle missioni all’estero, scoperte dalla commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, presieduta da Gian Piero Scanu, deputato uscente del Pd (non ricandidato). «Risultati imbarazzanti, per i vertici militari e il governo», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una frase per tutte: la «diffusa inosservanza degli obblighi» risulta «perfettamente funzionale a una strategia di sistematica sottostima, quando non di occultamento, dei rischi e delle responsabilità effettive». Scondo la relazione, queste criticità «hanno contribuito a seminare morti e malattie». Dai vertici la risposta è stato il «negazionismo», al quale si aggiungono gli «assordanti silenzi generalmente mantenuti dalle autorità di governo», che hanno ingenerato il dilagare, «tra le vittime e i loro parenti», di uno «sconfortante senso di giustizia negata». Eppure, sottolinea la relazione, gli esperti ascoltati hanno riconosciuto il nesso tra esposizione all’uranio impoverito e tumori.
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‘Figlio mio, drogato vincerai’. Carpeoro: siamo oltre l’umano
«Piacere di conoscervi, spero che indoviniate il mio nome. Ma ciò che vi lascia perplessi è la natura del mio gioco». Così Mick Jagger allude alla “comprensione per il diavolo”, cioè la parte meno presentabile di noi stessi. «Guardate San Bernardo, nell’affresco dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: non uccide il demonio ma si limita a domarlo, a tenerlo al guinzaglio», fa notare Gianfranco Carpeoro nel recente convegno romano “Ultime notizie dal futuro”. La celebre “Sympathy for the devil”? Consapevolezza della nostra parte oscura. Comprensibile? Non sempre: Carpeoro si arrende, «di fronte a genitori che consigliano ai figli minorenni di drogarsi, per vincere gare di ciclismo». Emerge dalle intercettazioni dell’indagine di Lucca sul doping imposto ai ciclisti in erba della Altopack-Eppela: 6 arresti e 17 indagati, dopo la morte di Linas Rumsas, giovane promessa di origine lituana. «Sono genitori, capite? E non è il caso isolato di un pazzo. Sono tanti, papà e mamme. Che ai loro ragazzi, spesso perplessi di fronte ai farmaci loro proposti, dicono: ma no, dai, ti devi fidare dell’allenatore. Devi prendere quella roba, se vuoi vincere, se vuoi comprarti il macchinone. Genitori che premono sui figli perché si droghino: è qualcosa che va oltre l’umano. O almeno, oltre la mia capacità di comprensione. C’è qualcosa di terribile, nell’aria».Con queste parole, Carpeoro – saggista e romanziere, avvocato di lungo corso (vero nome, Pecoraro) – si confida con Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube. La notizia: i genitori dei baby-ciclisti di Lucca che raccomandano ai figli, ragazzini di 13-14 anni, di assumere le sostanze dopanti prescritte dalla squadra: epo, ormoni per la crescita e antidolorifici a base di oppiacei, tutti farmaci vietati dalla normativa sul doping. L’ipotesi di reato: associazione a delinquere, con lo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. «Ma l’aspetto di gran lunga più sconcertante – riflette Carpeoro – è l’atteggiamento dei genitori: come siamo arrivati a una società in cui oggi il mafioso seppellisce rifiuti tossici nel prato dove gioca suo figlio?». Stupisce meno, se così si può dire, il dilagare del doping nel ciclismo: «Nessun altro sport richiede altrettanta fatica agli atleti. Niente a che vedere con il calcio. Nel tennis, una partita di quattro ore rappresenta l’eccezione, mentre nel ciclismo la super-fatica è la regola: il ciclista mette il suo corpo alla frusta anche per 6 ore, e magari – nei grandi tour – anche per venti giorni di fila». Ovvio che i ciclisti siano le cavie perfette, per sperimentare sostanze dopanti: «Meglio ancora nel ciclismo dilettantistico, lontano dai riflettori dei media».E’ un grande business, inquietante e oscuro, ha spiegato Carpeoro dopo la morte di Michele Scarponi, già vincitore del Giro d’Italia. «Avevo previsto che ci sarebbero stati fatti continui e molto clamorosi sul ciclismo», ricorda Carpeoro. «E ancora ce ne saranno, ancor più clamorosi: ci sarà il botto, perché il fenomeno è ormai diffuso a livello di massa». Le giovani cavie rischiano la pelle, sperimentando sostanze continuamente create in laboratorio: «Il numero di nuove droghe, ogni anno, è il doppio di quello dei nuovi farmaci». Movente? «Testare sostanze perfomanti, destinate a militari e soprattutto terroristi». Mandanti? «Ambienti supermassonici e servizi segreti, con l’inevitabile complicità di case farmaceutiche: il fenomeno ha una dimensione industriale». Vittime: i ciclisti, innanzitutto. La follia? «I genitori: non riesco a capire il loro comportamento», ammette Carpeoro. «E’ qualcosa che sfugge alle mie capacità razionali: come siamo potuti arrivare fino a questo punto?». Sembra un’escaltion in termini di civiltà, qualcosa di abominevole. E’ vero, la storia umana è comunque costellata di atrocità: «Ma noi conosciamo uno spicchio molto piccolo del nostro passato: cosa sono, qualche migliaio di anni, rispetto a milioni di anni?».Persino l’omicidio è meno inspiegabile, come fenomeno, «rispetto al caso di un padre che dice al figlio: devi drogarti, per vincere e fare soldi». La barbarie dell’omicidio fa meno paura, perlomeno a Carpeoro: «L’uccisione non è sempre un percorso», spiega. «A volte è un moto, è un attimo, un momento di follia, un cortocircuito. A volte è un accidente, favorito da determinate circostanze». Invece, «un genitore che alza il telefono e dice al figlio “se vuoi vincere ti devi drogare” non è la stessa cosa». C’è una premeditazione cinica, ottusa e cieca. «Uccidere, anche in maniera bestiale, fa parte comunque di questo ordine di cose: noi viviamo in un mondo dove si uccide, anche barbaramente». Altra cosa è chiedere al proprio figlio di “uccidersi”, a rate, per acquisire un successo temporaneo, premiato con denaro. «Come fai a pensare una cosa del genere? Non arrivo a capire cosa possa muovere determinate condotte», ammette Carpeoro. «C’è qualcosa che mi sfugge, in questo: forse perché è al di fuori dall’umano?». Il fatto «non è spiegabile con ragionamenti elementari, distinguendo il buono e il cattivo: oltre un certo livello c’è qualcosa che non fa parte, evidentemente, delle mie potenzialità».E’ come se intervenissero logiche diverse, aggiunge Carpeoro. «Intendo: logiche che stanno al di fuori fuori dalla nostra dimensione, e che operano certi distorcimenti all’interno della nostra dimensione, per motivi che magari io non posso capire». “Entità” provenienti da altre dimensioni? «Sicuramente non sono dentro la nostra; poi, di quali altre dimensioni siano non lo so». Simbologo, esoterista e severo giudice della deriva magica dell’occultismo, di fronte ai genitori che “tradiscono” i figli si ferma, non riesce farsene una ragione: «Dobbiamo pensarci a fondo, su come si possa arrivare a tanto. E’ qualcosa che io non posso inglobare in una definizione: anche perché il nostro linguaggio l’abbiamo creato in base a questo mondo, non ad altri». “Pleased to meet you”, dice il diavolo dei Rolling Stones: è stato un piacere conoscervi, e spero che abbiate indovinato il mio nome. Nel caso dei baby-ciclisti, è come se il demonio dell’affesco di Chiaravalle fosse sfuggito al guinzaglio di San Bernardo. Ma a “traviare” i giovanissimi atleti non è un’insidia esterna alla loro vita: la tragedia si svolge in famiglia. Perché? «Non riesco a capirlo», dice Carpeoro. Inquieto, come il pubblico a cui si rivolge il diavolo di Mick Jagger? «Ciò che vi lascia perplessi – ripete il ritornello – è la natura del mio gioco».«Piacere di conoscervi, spero che indoviniate il mio nome. Ma ciò che vi lascia perplessi è la natura del mio gioco». Così Mick Jagger allude alla “comprensione per il diavolo”, cioè la parte meno presentabile (e meno accettabile) di noi stessi. «Guardate San Bernardo, nell’affresco dell’abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano: non uccide il demonio ma si limita a domarlo, a tenerlo al guinzaglio», fa notare Gianfranco Carpeoro nel recente convegno romano “Ultime notizie dal futuro”. La celebre “Sympathy for the devil”? Consapevolezza della nostra parte oscura. Comprensibile? Non sempre: forse si annida anche «in altre dimensioni, diverse da questa». Carpeoro si arrende, «di fronte a genitori che consigliano ai figli minorenni di drogarsi, per vincere gare di ciclismo». Emerge dalle intercettazioni dell’indagine di Lucca sul doping imposto ai ciclisti in erba della Altopack-Eppela: 6 arresti e 17 indagati, dopo la morte di Linas Rumsas, giovane promessa di origine lituana. «Sono genitori, capite? E non è il caso isolato di un pazzo. Sono in tanti, papà e mamme. Che ai loro ragazzi, spesso perplessi di fronte ai farmaci loro proposti, dicono: ma no, dai, ti devi fidare dell’allenatore. Devi prendere quella roba, se vuoi vincere, se vuoi comprarti il macchinone. Genitori che premono sui figli perché si droghino: è qualcosa che va oltre l’umano. O almeno, oltre la mia capacità di comprensione. C’è qualcosa di terribile, nell’aria».
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Un boom dei 5 Stelle inguaierebbe i padrini occulti di Grillo?
Vuoi vedere che, votando in massa per i 5 Stelle, si finisce per mettere nei guai gli sponsor occulti di Grillo e Casaleggio? «La condotta dei vertici pentastellati rivela un disegno ormai palese, interamente organico al potere. Ma non bisogna dimenticare gli elettori, i militanti e molti degli stessi parlamentari: sono brave persone, convinte di impegnarsi davvero per migliorare l’Italia». Se per ipotesi andassero al governo, «alla fine qualcosa di buono dovrebbero pur fare, pena il crollo del consenso interno e la perdita della fiducia dei loro elettori». Ragionamento in libertà che porta la firma di Fausto Carotenuto, già “allievo” di Mino Pecorelli, giornalista assassinato durante gli anni di piombo. Per molti anni analista geopolitico dei servizi segreti italiani e consulente dell’intelligence Nato, Carotenuto – ora promotore del network “Coscienze in Rete” – ha sviluppato una sua teoria, spiritualista, sulla filosofia che reggerebbe il mondo: il potere sarebbe saldamente nelle mani di “piramidi oscure” (sempre le stesse, «gesuitico-massoniche»), le cui malefatte però produrrebbero il risultato di «risvegliare gradualmente le coscienze, proprio attraverso le sofferenze inflitte».Carotenuto è un teorico del “risveglio”: sostiene che ormai, anche in Italia, un cittadino su tre non si fidi più del mainstream politico-mediatico. Al quale, a suo parere, il Movimento 5 Stelle appartiene a pieno titolo, nel ruolo di “gatekeeper”: sarebbe un controllore del dissenso, da convogliare verso forme innocue per l’establishment. «Basta vedere chi sono gli assessori romani, tutti suggeriti dallo studio legale di Previti da cui la Raggi proviene, o le frequentazioni di Di Maio nei peggiori circuiti finanziari internazionali, che si è premurato di rassicurare, spiegando che – con lui a Palazzo Chigi – il potere non avrebbe nulla da temere: non per niente, i ministri non sarebbero grillini, ma tecnici, cioè provenienti da quel mondo che Grillo, nel 2013, aveva promesso di “aprire come una scatola di sardine”». Ai microfoni di “Forme d’Onda”, Carotenuto sostiene che non c’è da farsi illusioni, anche nell’eventualità – praticamente impossibile, sondaggi alla mano – di un governo pentastellato. «I Casaleggio non piovono dal cielo: qualcuno ce li ha mandati», ben sapendo che serviva qualcosa di nuovo per “smontare” la rabbia popolare contro i vecchi partiti, «sostanzialmente pedine, tutti quanti, delle stesse “piramidi oscure”».Secondo Carotenuto, «ogni partito ha in sé entrambe le componenti», ovvero «la destra egoistica», incarnata da personaggi come Bush, Trump e Berlusconi, e la controparte più farisaica, «che a parole si richiama all’umanesimo massonico dei diritti ma solo per attrarre consenso», finendo poi per fare la stessa politica del socio occulto, l’ala destra. «Due facce della stessa medaglia». I 5 Stelle? «Sono espressione di questa seconda categoria, quella degli “amici del popolo”». Obiettivo: «Manipolare i buoni sentimenti di milioni di cittadini, sinceramente democratici». Però attenzione: «Di questo, i grillini nemmeno si accorgono: non sanno di essere manipolati». Il bicchiere mezzo pieno? «Intanto esistono, sono lì, e hanno nobili aspettative di giustizia sociale, di rispetto dell’ambiente e dei territori. Sognano una società più giusta: non sarà facile liquidarli». Come dire: se il Movimento 5 Stelle è stato fabbricato dal potere per neutralizzare il dissenso, non è detto che poi la comunità grillina non possa incidere, al di là dei piani dei fondatori, cioè dei loro presunti mandanti rimasti nell’ombra.E’ vero, finora Grillo e i Casaleggio «li hanno gestiti in modo osceno», con pratiche da caserma, «buttando fuori chiunque osasse alzare la mano per dire la sua». Così, dal programma sono spariti gli accenti originari e più radicali». Uno su tutti, la contestazione dell’euro e dell’Unione Europea. «Per non parlare della pagina, pietosa, dei vaccini: anziché attaccarli, come gli elettori 5 Stelle si sarebbero aspettati, hanno evitato di fare la guerra al decreto Lorenzin: adesso, di fronte alle proteste di milioni di famiglie, Di Maio dice che eliminerebbe l’obbligo vaccinale, ma i vaccini continuerebbe a consigliarli caldamente», fingendo di non sapere cosa significhino, per la salute, e che tipo di business alimentino. Con ciò, conclude Carotenuto, «bisogna però ammettere che il programma dei 5 Stelle, anche privo di molti temi originari, è comunque pieno di buoni spunti: siamo sicuri che non verrebbero attuati, nell’ipotesi in cui dovessero davvero andare al governo?».Vuoi vedere che, votando in massa per i 5 Stelle, si finisce per mettere nei guai gli sponsor occulti di Grillo e Casaleggio? «La condotta dei vertici pentastellati rivela un disegno ormai palese, interamente organico al potere. Ma non bisogna dimenticare gli elettori, i militanti e molti degli stessi parlamentari: sono brave persone, convinte di impegnarsi davvero per migliorare l’Italia». Se per ipotesi andassero al governo, «alla fine qualcosa di buono dovrebbero pur fare, pena il crollo del consenso interno e la perdita della fiducia dei loro elettori». Ragionamento in libertà che porta la firma di Fausto Carotenuto, già “allievo” di Mino Pecorelli, giornalista assassinato durante gli anni di piombo. Per molti anni analista geopolitico dei servizi segreti italiani e consulente dell’intelligence Nato, Carotenuto – ora promotore del network “Coscienze in Rete” – ha sviluppato una sua teoria, spiritualista, sulla filosofia che reggerebbe il mondo: il potere sarebbe saldamente nelle mani di “piramidi oscure” (sempre le stesse, «gesuitico-massoniche»), le cui malefatte però produrrebbero il risultato di «risvegliare gradualmente le coscienze, proprio attraverso le sofferenze inflitte».
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Giannuli: elezioni-spazzatura. Dai partiti, una gara di rutti
La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».Per non parlare dei programmi: tutti i partiti esibiscono solo il “libro dei sogni”. «Abbassare le tasse, ridurre il debito, aumentare la spesa – cioè no, ridurla ma concedendo il reddito di cittadinanza». E poi: «Investimenti per l’occupazione, le dentiere ai vecchi, il bonus alle famiglie e i lecca-lecca agli infanti. E nessuno che si sia degnato di dire dove troverebbe le risorse per tutto questo». I conti? «Numeri in libertà, a casaccio». La gara, nel settore, «l’ha vinta il M5S, che promette tutto ed il contrario di tutto». Ma anche Pd e Forza Italia hanno il loro bel piazzamento. “Liberi e Uguali”, tra mille inconsistenti vaghezze, ha «una sola proposta precisa», cioè abolire le tasse universitarie per tutti: «La traduzione in chiave universitaria della “flat tax” trumpiana». S’indigna, Giannuli: «Ma chi credete di prendere in giro? Pensate che gli elettori abbiano tutti l’anello al naso?». E le liste? «Semplicemente un orrore. La Lega candida solo gli amici di Salvini, il Pd solo quelli di Renzi, il M5S esclude almeno 1/10 dei candidati alla selezione e non comunica le motivazioni, perché deve prevenire infiltrazioni, cambia-casacca, pregiudicati, scalatori e riciclati. Poi si scopre che fra i candidati c’è una valanga di riciclati dell’ultima ora, compreso qualcuno che non si ricordava di essere ancora consigliere comunale di un altro partito, c’è anche un amico di mafiosi, qualche altro ha precedenti penali… meno male che hanno fatto una attenta selezione, perché altrimenti chissà cosa ci presentavano!».E anche dal punto di vista politico, tra i 5 Stelle, spiccano gli economisti di scuola neoliberista come Fioramonti, nonché «i giornalisti Fininvest amici di Gianni Letta». A Firenze, «contro Renzi c’è un renziano che solo 14 mesi fa ha fatto campagna elettorale per il sì al referendum (e questa non ve la perdoneremo mai)». Mancano solo «un po’ di spie, un lenone e qualche alcolizzato cronico (o ci sono e non ce lo avete detto?)». Poi “Liberi e Uguali”: «Ha delle liste che sembrano il festival della ribollita, i poveri militanti di base sono stati semplicemente ignorati». Forza Italia? «Non è cambiata: come sempre mette in lista nani, ballerine e camerieri vari». E bravi, tutti. «Ma insomma, non vi vergognate? Non esiste più la Lega ma il Pds (Partito di Salvini), non il Partito Democratico ma il Pdr (partito di Renzi), non Forza italia ma – come sempre – il Pdb (partito di Berlusconi). E, mi costa dirlo, al posto del M5S c’è il Pdd (partito di Di Maio) che ancora è quel che si oppone all’inciucio renzusconiano, ma di questo passo…».Infine il metodo d’azione, lo stile: «La Lega arriva all’orrore di cavalcare i tentati omicidi fascisti per raccogliere voti anche in quella sentina». Il Pd ha un unico chiodo fisso: il Movimento 5 Stelle, «che attacca con argomenti elegantissimi come l’attacco personale a Di Maio perché incespica sui congiuntivi (come se i suoi fossero tutti accademici della Crusca: mai sentito parlare la ministra della pubblica istruzione Fedeli?)». Dal canto suo, il M5S invita i suoi seguaci a raccogliere prove e foto sulle nefandezze dei rivali, trasformando le elezioni nello “sputtanamento show”. «Anche a me non piacciono i pregiudicati in lista, anche se una condanna in primo grado non significa che uno lo sia, ma insomma, nelle campagne elettorali si parla di politica: magari fai notare le troppe presenze di candidati con guai giudiziari, ma poi vai avanti e confrontati sulle proposte politiche». Qui invece «l’unico confronto è quello degli insulti», dice Giannuli, «e vale per tutti». Un consiglio? «Fate una cosa sfidatevi, a gara di rutti e vediamo chi vince». D’altra parte, chiosa il politologo, «dopo 26 anni di deserto della politica, massimo frutto di Mani Pulite e del populismo occhettiano di Occhetto, Segni e Pannella, cosa possiamo pretendere? Ci si era parlato di partiti-farfalla, constatiamo che il risultato sono i partiti-monnezza».La peggior campagna elettorale di sempre: la più indecente. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese. «Avevo 16 anni quando seguii consapevolmente la campagna elettorale delle politiche, era il 1968. Dunque, quest’anno ”festeggio” (si fa per dire) il cinquantesimo della mia partecipazione politica. Da allora ho visto 13 campagne elettorali politiche, 8 europee e 10 regionali. Ebbene, debbo dire che una campagna elettorale così ripugnante, sciatta, volgare, sguaiata, offensiva come questa non l’avevo ancora vista. E non abbiamo visto tutto, siamo all’inizio». Una camapgna elettorale «offensiva, soprattutto dell’intelligenza degli elettori», costretti a votare con una legge-truffa, ad ascoltare promesse grottesche, a scegliere tra candidati più che mediocri e, in ogni caso, di strettissima obbedienza: tutti devoti al capo del partito che li schiera, si chiami Berlusconi, Renzi o Di Maio. Il Rosatellum? «Incostituzionale, pieno di trucchi demenziali: riesce nel mirabile intento di sacrificare la rappresentatività del Parlamento senza assicurare una maggioranza, salvo che una qualche trappola del sistema (una valanga monocolore nei collegi uninominali, una quota importante di voti dispersi sotto la quota di esclusione) non crei una maggioranza del tutto fittizia. L’unica cosa divertente è che punirà i suoi ideatori».
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Barnard: siamo in crisi perché l’antica élite si è ripresa tutto
Ogni aspetto che regola la nostra vita nell’Unione Europea è deciso dalla Commissione, non eletta da nessuno. La Commissione Europea decide anche sulle Costituzioni: una sentenza della Corte Europea di Giustizia decreta che le leggi europee hanno priorità anche sulle Costituzioni dei singoli paesi. Oggi, per statuto, parlamentari e ministri italiani in Europa sono tenuti a fare gli interessi dell’Europa in Italia, non gli interessi dell’Italia in Europa. Non rappresentano l’Italia in Europa: rappresentano l’Europa in Italia. Questa struttura sovranazionale, creata dall’élite politico-economica messa all’angolo dalla Rivoluzione Francese e poi nel ‘900 dall’affermazione della democrazia, ha ripreso il potere e ha creato l’euro per togliere la sovranità agli Stati. Lo sapevano dal 1943: l’euro serve a togliere agli Stati la loro ragione di esistere, fino a distruggerli. Cito una frase, pronunciata da uno dei grandi burocrati europei, uno degli uomini del vero potere, Jacques Attali. Era consulente di Mitterrand insieme a un insigne economista, Alain Parguez, poi ravvedutosi. Parguez lo ferma in un corridoio della Commissione Europea e gli dice: «Sapete cosa state facendo? State distruggendo l’Europa. Cos’avete in mente?». E Attali risponde, letteralmente: «Non è colpa nostra se la plebaglia europea pensa che l’unione monetaria sia stata fatta per la loro felicità».Questa è la mentalità di coloro che ci considerato «degli outsider rompicoglioni», «una massa ignorante» da mettere ai margini. E hanno vinto, su di noi. Questo progetto di Unione Europea messo nelle mani di burocrati dell’estrema destra finanziaria, completamente svincolato dal controllo dei cittadini, prende piede formalmente in Italia negli anni ‘90, quando improvvisamente crolla la Prima Repubblica. Crolla un sistema di partiti: arriva Tangentopoli e spazza via una classe politica che la finanza internazionale (specie americana) considerava incontrollabile, non dedita a sufficienza al mantra delle privatizzazioni e dei tappeti rossi stesi davanti alla grande finanza speculativa. In Italia c’erano ancora leggi che impedivano grandemente l’esportazione dei capitali (il famoso “capital flight”, che è un fenomeno devastante, che distrugge interi paesi nell’arco di un attimo). L’Italia era un paese con partiti corrotti, ladri, bugiardi e mafiosi. Ma non erano nella Serie A. Erano nella Serie C, non facevano il gioco che contava. E con il crollo dell’Unione Sovietica, scrive un importante economista come Marcello De Cecco, questi partiti perdono ulteriormente il loro valore, per gli Stati Uniti: non servivano più a niente. E chi serviva veramente, in quel momento, alla grande finanza internazionale? Chi poteva essere il grande interlocutore per gli anni ‘90 e Duemila, per la grande finanza speculativa internazionale? Il candidato ovvio: il partito comunista.Era dagli anni ‘60 che il Pci faceva riunioni a Bellagio, sul Lago di Como, con la Fondazione Rockefeller: Sergio Segre, Amendola e soprattutto Giorgio Napolitano, che è stato il grande accoglitore del grande capitale finanziario internazionale dentro il Pci, in Italia, garantendo tappeti rossi stesi davanti a loro. Era dagli anni ‘60 che il Pci, mentre in piazza faceva la retorica dei lavoratori, della sinistra, sotto sotto dialogava. Al Mulino, a Bologna, facevano le riunioni con la Fondazione Agnelli. Veniva Brzezinski, a parlare col Pci: si stavano già mettendo d’accordo negli anni ‘60. E quindi, a maggior ragione, negli anni ‘90 questo partito diventa l’interlocutore privilegiato. Gli americani lo dicono molto chiaro, in un rapporto del Council on Foreign Relations, che incarna la politica estera statunitense: è un partito che ci è utile, scrivono, perché è l’unico in Italia a essere strutturato come una grande azienda, sa come fare business. E infatti lo facevano, il business: facevano chiudere le fabbriche in Italia e assicuravano i soldi per la Fiat in Russia, eccetera. Tangentopoli distrugge la Dc e il Psi ma risparmia il Pci (poi Pds, Ds e Pd). Ne chiesi conto a Gherardo Colombo, giudice di Mani Pulite (io sono di Bologna, città dove si pagavano mazzette per qualsiasi servizio), e Colombo rispose: gli imprenditori denunciavano solo la Dc e il Psi.Di fatto, dopo il ‘92-93 crolla questa classe politica, in Europa si sta consolidando l’Unione Europea, e in Italia arrivano i cosiddetti governi tecnici: Ciampi, poi il grande periodo del centrosinistra fino al 2000. In Italia, questa pianificazione orrenda che ha distrutto Stati, leggi e cittadini è stata portata su un vassoio d’argento unicamente dal centrosinistra. I nomi sono quelli di Andreatta, Prodi, Visco, Bassanini, Draghi, Amato, D’Alema. Le privatizzazioni selvagge dell’Italia avvengono tutte sotto i governi di centrosinistra, che stabiliscono il record europeo delle privatizzazioni, dal 1997 al 2000. Record europeo: riusciamo a battere addirittura l’Inghilterra del partito laburista di destra di Toby Blair. Oggi come allora, pubblicamente il centrosinistra fa la retorica del mondo del lavoro e della solidarietà sociale: tutte balle, questa gente è veramente bieca. L’Italia in quel periodo comincia a vendere i suoi beni pubblici, fa delle scelte sempre condizionate dal fantasma dell’inflazione. Scelte importanti: decide di internazionalizzare il proprio debito. Anziché fare quello che avrebbe dovuto fare una vera coalizione di centrosinistra, cioè trovare le risorse nazionali per gestire il proprio debito (perfettamente gestibile), l’Italia di Prodi e D’Alema internazionalizza il debito, mettendolo nelle mani delle grandi fondazioni economiche estere. Così, grazie a questa bella gente, negli anni ‘90 l’Italia è l’unico paese europeo a consegnarsi totalmente nelle mani della finanza internazionale.Marcello De Cecco (Normale di Pisa, La Sapienza) è considerato il più autorevole economista italiano, in assoluto. Scrive: il permanere di un debito pubblico internazionalizzato costituisce una zavorra permanente per l’economia italiana. Non le permette di correre, e le impedisce di seguire una politica in contrasto con le opinioni dei mercati finanziari internzionali, dai quali può discostarsi solo per pochi mesi. Cioè: se si sgarra per pochi mesi, si è finiti. E aggiunge, citando la caduta del governo Berlusconi nel ‘94: è la prova lampante del fatto che una maggioranza parlamentare che si metta in contrasto con i mercati internazionali si decompone, e il governo cade. Aprite gli occhi: Berlusconi ha avuto guai continui – non per via del fatto che è un pessimo politico, ma perché ha disobbedito a questa gente. Mentre gli altri, quelli che dovrebbero fare i nostri interessi, ci stanno rovinando: la nostra sinistra, quelli di “Repubblica”, Scalfari e De Benedetti (a cui D’Alema ha regalato miliardi, come la rete telefonica delle Ferrovie dello Stato venduta a De Benedetti per niente, e che De Bedenetti ha rivenduto facendo profitti di oltre il 300%). Questa sinistra sta rovinando gli operai, i lavoratori, i cassintegrati, i precari, i giovani che non trovano lavoro.Questo centrosinistra che, internazionalizzando il debito, ha consegnato l’Italia nelle mani della finanza internazionale, che cosa ci ha fatto perdere? Sapete qual è la cifra finale (dati del 2011) che l’Italia ha perduto, per la crisi finanziaria del 2007-2008 causata da questa gente? E ci siamo dentro fino al collo, nelle privatizzazioni e nella svendita del bene pubblico, a beneficio delle grandi banche d’investimento grazie a Prodi e D’Alema. Abbiamo perso 457 miliardi di euro: ricchezza sparita dall’Italia in soli tre anni. Una cifra che vale 33 finanziarie. Il conflitto d’interessi di Berlusconi sono 6 miliardi di euro, la casta di Beppe Grillo sono 4 miliardi di euro, tutte le mafie italiane messe assieme contano per 90-100 miliardi di euro. Questi signori ce ne hanno portati via 457. Questo paese non ha più alcuna possibilità di riscattarsi in nessun modo: con l’arrivo dell’euro, siamo veramente rovinati. In una situazione di questo genere, uno Stato avrebbe una sola possibilità di scampo, che è quello che fanno gli Stati Uniti: spendere a deficit. Stampare denaro, continuare a indebitarsi, svalutare la propria moneta – cioè, tutto quello che si può fare quando uno Stato ha una moneta propria (come il dollaro e la sterlina, com’erano il marco in Germania e la lira in Italia). Noi una moneta propria non l’abbiamo più, abbiamo l’euro.Di chi è l’euro? Di nessuno, nemmeno delle banche. La sua emissione viene decisa dai 16 governatori delle banche centrali dell’Eurozona, la Bce formalmente prende la decisione e le banche centrali nazionali stampano questa moneta. Sapete, quando viene stampato, a chi va in mano l’euro? Al ministero del Tesoro? No: va alle banche private, e da queste ai mercati dei capitali. Il ministro del Tesoro deve costruire un ospedale, aprire una strada, pagare gli stipendi agli insegnanti? Va a bussare ai mercati dei capitali privati e dice: per favore, mi date degli euro? Vi rendete conto di cosa sta succedendo? Uno Stato (teoricamente sovrano, ma non più sovrano) per comprare un cancellino di una lavagna di scuola deve andare al mercato dei capitali privati a prendere in prestito gli euro. I mercati dicono: certo che te li prestiamo, gli euro, ma i tassi di interesse li decidiamo noi. Sapete cosa vuol dire, questo? Sapete cos’è la variazione percentuale di un punto sui tassi d’interesse su miliardi di euro? L’Italia è ridotta come il cittadino strangolato dalla banca a cui ricorre per un prestito, se deve comprarsi l’auto. Ecco perché siamo costretti a tagliare le spese pubbliche. Al contrario di uno Stato a moneta sovrana (Usa, Inghilterra, Giappone) oggi l’Italia ha un debito che è veramente un debito – prima non lo era: era un fantasma, era inventato che fosse un problema, perché lo Stato era indebitato solo con se stesso, non doveva soldi a nessuno.Il debito dello Stato era la ricchezza dei cittadini. Oggi, con l’euro, è cambiato tutto. Oggi siamo veramente indebitati, dobbiamo veramente fare i tagli ai servizi pubblici e dobbiamo veramente tassare per tirar su dei soldi, perché dobbiamo bussare alla porta dei capitali privati per spendere ogni singolo euro destinato alla nazione. A questo pensava l’economista francese François Perroux nel 1943, quando disse: togliendogli la moneta, si toglie agli Stati la ragione di esistere e li si distrugge. Questo ci hanno fatto, e chi ha portato in Italia questa roba su un tappeto rosso è Romano Prodi, con tutta la sua cricca di delinquenti. E’ un disastro: non possiamo neanche più dire che è sbagliato tagliare i fondi alla sanità o alla scuola. I soldi dove andiamo a prenderli? Prima sì, si poteva dire: è sbagliato fare quei tagli, è una scelta politica, ideologica. Oggi non più: ci hanno tolto la funzione primaria dello Stato, e hanno vinto definitivamente. Prima ci impedivano di fare la piena occupazione, il welfare e il benessere per tutti, terrorizzandoci con dei fantasmi ideologici per impedire allo Stato di spendere. Adesso ce lo hanno impedito con uno strumento che è addirittura irreversibile. Adesso, anche un primo ministro si svegliasse una mattina e dicesse “io sono uno Stato sovrano e posso spendere a deficit e creare la piena occupazione”, non può più farlo neanche se vuole, perché non ha più la moneta per farlo.Vuol dire posti di lavoro perduti, aziende chiuse, ricchezza evaporata, povertà. La disoccupazione galoppa, i fallimenti delle aziende sono aumentati del 40% nel solo 2009. Il 30% degli italiani è costretto al prestito, il 38% è in difficoltà economiche, il 76% è costretto alla flessibilità. Il lavoro a chiamata è aumentato del 75%. Un milione e 650.000 italiani sono senza coperture di alcun tipo, se licenziati: non percepiscono nulla. Il 50% delle pensioni italiane sono sotto i mille euro: non ci vivi, non ce la fai. Un italiano su cinque rimanda le visite specialistiche, l’11% degli italiani non si riscalda, l’11% non ha soldi per le spese mediche ordinarie. Il 31% degli italiani non può permettersi di spendere 750 euro per un’emergenza in famiglia. E la grande finanza internazionale ci ha rubato 457 miliardi di euro in tre anni. Qui dobbiamo spalancare la mente. Che cosa succederà? Da qui in avanti, succederà esattamente quello che era pianificato dagli anni ‘30: il ritorno al potere assoluto dell’élite finanziaria, con la marginalizzazione delle leggi e dei cittadini. In particolare, pianificavano che in Europa si creassero delle sacche di povertà talmente ampie da poter poi fare del blocco industriale franco-tedesco una grande potenza dell’export, in competizione con gli Stati Uniti, con la Cina e con l’India.Mantenendo un euro estremamente sopravvalutato, hanno introdotto tutte queste misure di precarizzazione del lavoro e di erosione dei diritti. Stiamo privatizzando a man bassa, stiamo alienando beni pubblici per due lire al capitale privato. Con un euro molto forte, l’Europa non è competitiva sui mercati: ne soffrono le aziende, che devono tagliare il costo del lavoro. Significa che lo Stato deve sborsare cassa integrazione e sborsare un sacco di soldi che non si può più permettere, con l’euro. Questo mette in crisi gli Stati, e la crisi degli Stati crea ancora più incertezza economica, ancora più deflazione e disoccupazione. Il costo del lavoro cala ancora di più: oggi è normale accettare un posto di lavoro al supermercato per 700 euro, coi turni spezzati. In Germania è lo stesso: nel 2009 i lavoratori hanno registrato la più alta produttività europea coi più bassi stipendi. Quindi in Europa si sta creando questa situazione dove c’è un impoverimento drastico, una disoccupazione che sta schizzando alle stelle: stiamo a 23 milioni di disoccupati. Incertezza, povertà crescente, sacche di lavoro sottopagato per competere con la Cina, con l’India e con gli Stati Uniti sul mercato delle esportazioni. E qui il vero potere fa la prima, grande tornata di profitti: diventerà competitivo esportare dall’Europa pagando una miseria il lavoratore europeo.La deflazione e l’incertezza finanziaria fanno sì che i mercati perdano di valore, e se perdono di valore gli Stati sono costretti ai tagli. Devono alienare i beni pubblici, e quindi al primo che arriva a comprare vendono a due lire una Telecom, l’acqua, il sistema sanitario o le ferrovie, cosa che succede dagli anni ‘90 e che succederà ancora di più. Loro comprano a due lire, e quindi fanno la seconda tornata di profitti. Poi l’euro crollerà: crolleranno i tassi di interesse, e gli speculatori internazionali faranno profitti immensi, con i “credit default swaps” e le altre scommesse che si fanno sui crolli delle monete. E alla fine di tutto questo, quando l’Europa sarà un buco nero di economia, ridotta quasi a un territorio da Secondo Mondo balcanico, il vero potere farà la quarta tornata di profitti: le scommesse, coi derivati, sul crollo del mercato europeo. Che è quello che hanno fatto in Grecia: hanno scommesso sul crollo della Grecia, che loro stessi stavano causando. Questo è il futuro che si prospetta, per noi, grazie a questa pianificazione di 70 anni. Guardate che il Fondo Monetario Internazionale (che è uno degli attori principali di questo piano scellerato) ha capito di aver troppo calcato la mano, arrivando a pubblicare un rapporto che prevede per l’Europa lo spettro della disoccupazione di massa. Dobbiamo correre ai ripari, dice il Fmi, che chiede agli Stati di cominciare a spendere a deficit e aumentare la spesa pubblica (ma non lo possiamo più fare, non abbiamo più la moneta).Se il Fondo Monetario arriva a questo, vuol dire che la situazione è più che drammatica. Ci sono uomini – ne cito uno, Carlo De Benedetti – che fin dagli anni ‘90, in combutta coi politici del centrosinistra, avevano già capito perfettamente che cosa stava succedendo, e come fare queste quattro tornate di profitti. Cosa ha fatto? Si è tolto dall’Olivetti, che aveva una competizione sui mercati che non poteva reggere, e si è messo nell’industria dei servizi. E così hanno fatto tanti industriali, anche Benetton: ha lasciato le magliette ai competitor cinesi e indiani e si è buttato nell’acquisizione di questi servizi essenziali. Perché lo fanno? Ok, stanno creando questo buco nero, in Europa. Ci stanno distruggendo completamente. Ma quando saremo tutti più poveri, come faremo a fargli fare dei profitti? La risposta è questa, e loro la conoscono da tanto tempo: in termini tecnico-economici si chiama “captive demand”. Che cosa fanno? Ti impoveriscono, ti precarizzano e guadagnano sulle esportazioni, intanto però si comprano i servizi essenziali per la cittadinanza: la sanità, l’acqua, la luce, i trasporti – tutto, anche l’anagrafe e i servizi funerari. Tutto già previsto dai negoziati internazionali, verrà venduto tutto. Il Pd è il partito italiano più avanzato nella privatizzazione della sanità: ci lavora nelle lobby europee.Quando avranno acquisito questi servizi essenziali, e noi saremo tutti più poveri, loro faranno profitti spaventosi: perché senza l’acqua non possiamo vivere, non possiamo stare senza i treni o senza la sanità. Siamo prigionieri: “captive demand” vuol dire “richiesta prigioniera”, il cittadino diventa prigioniero di una richiesta che deve soddisfare. Per cui starà senza mangiare, rinuncerà alle vacanze e non comprerà più le lenti a contatto, ma l’acqua la pagherà, il gas lo pagherà, la nonna la seppellerirà, l’operazione al fegato la dovrà fare. Chi è l’uomo più ricco del mondo? Non più Bill Gates, ma Carlos Slim: è un messicano, e ha nelle sue mani tutte le telecomunicazioni del Messico. Ha fatto quello che ha fatto De Benedetti, che ha fatto Benetton in Italia. Si è comprato un servizio essenziale: i messicani devono telefonare, non possono non farlo. Saranno dei poveracci, il Messico è un paese di poveri. Ma lui è l’uomo più ricco del mondo, guardacaso. Questo ci stanno facendo, questo ci aspetta.Sbalordisce l’ampiezza di questo disegno criminale, che è il più grande crimine della storia occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi. Perché non solo hanno distrutto gli Stati, le leggi e i cittadini , ma hanno anche tenuto milioni di persone in condizioni di povertà, di bisogno, di indigenza. E oggi tengono i nostri ragazzi precari, le donne che non possono fare figli perché non possono mantenerli, le coppie che non si sposano perché non possono comprare casa. Tuttto questa sofferenza, che è stata immensa per milioni di persone in tutte le nazioni cosiddette ricche, è stato deciso a tavolino. E’ veramente il più grande crimine. E quello che ci aspetta è proprio la conclusione degna di questo crimine immenso, che hanno commesso. Non esito a dire che, di fronte a una pianificazione di questo tipo, occorrerebbe una nuova Norimberga. Bisognerebbe portare questi personaggi (molti sono ancora vivi) a un processo internazionale per crimini contro l’umanità.(Paolo Barnard, estratto della conferenza “Il più grande crimine”, video caricato su YouTube nel 2011. I dati citati, relativi al 2009, disegnano un quadro che poi si è aggravato in modo ulteriormente drammatico, con il governo Monti. Già nel 2010 Barnard aveva pubblicato online il suo saggio “Il più grande crimine”, che ricostruisce la riconquista del potere da parte dell’élite, a spese della democrazia, con un piano concepito a partire dagli anni ‘20 del ‘900, giunto a compimento in Europa con la creazione dell’Unione Europea e dell’Eurozona).Ogni aspetto che regola la nostra vita nell’Unione Europea è deciso dalla Commissione, non eletta da nessuno. La Commissione Europea decide anche sulle Costituzioni: una sentenza della Corte Europea di Giustizia decreta che le leggi europee hanno priorità anche sulle Costituzioni dei singoli paesi. Oggi, per statuto, parlamentari e ministri italiani in Europa sono tenuti a fare gli interessi dell’Europa in Italia, non gli interessi dell’Italia in Europa. Non rappresentano l’Italia in Europa: rappresentano l’Europa in Italia. Questa struttura sovranazionale, creata dall’élite politico-economica messa all’angolo dalla Rivoluzione Francese e poi nel ‘900 dall’affermazione della democrazia, ha ripreso il potere e ha creato l’euro per togliere la sovranità agli Stati. Lo sapevano dal 1943: l’euro serve a togliere agli Stati la loro ragione di esistere, fino a distruggerli. Cito una frase, pronunciata da uno dei grandi burocrati europei, uno degli uomini del vero potere, Jacques Attali. Era consulente di Mitterrand insieme a un insigne economista, Alain Parguez, poi ravvedutosi. Parguez lo ferma in un corridoio della Commissione Europea e gli dice: «Sapete cosa state facendo? State distruggendo l’Europa. Cos’avete in mente?». E Attali risponde, letteralmente: «Non è colpa nostra se la plebaglia europea pensa che l’unione monetaria sia stata fatta per la loro felicità».