Archivio del Tag ‘F-35’
-
Truffa 5 Stelle, il giocattolo preferito dei nemici dell’Italia
Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di ladroni”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.Per pesare lo spessore politico del loro attuale, pericolante portavoce, basta ricordare la disinvoltura con cui Luigi Di Maio nella primavera 2018 tendeva la mano indifferentemente alla Lega e al Pd, pur di far nascere un governo quale che fosse. Lo si è visto brillare puntualmente, Di Maio: prima amico dei Gilet Gialli e poi devoto ad Angela Merkel, socia della bestia nera dei Gilet Janunes, Emmanuel Macron. Una conversione folgorante, sulla via di Bruxelles, come quelle – altrettanto mistiche – sull’Ilva di Taranto, sul Tap pugliese, sulle trivelle petrolifere in Adriatico. Anticamente, i 5 Stelle blateravano di un referendum consultivo sull’euro. Poi, guidati dal loro padrone Beppe Grillo, hanno chiesto asilo a Strasburgo agli ultra-euristi dell’Alde. Mossa non riuscita al primo colpo, ma ora insaponata alla perfezione dall’operazione-Ursula: tra i nazi-euristi, oggi i 5 Stelle si sono aggregati tra gli applausi di chi l’Italia l’ha distrutta per davvero. Sono riusciti in un’impresa da record: tradire ogni tipo di promessa. Non volevano gli F-35 né l’obbligo vaccinale, ma si sono rimangiati tutto. Persino il Tav Torino-Lione è finito nella spazzatura grillina, con l’aggiunta della farsa parlamentare inscenata per recitare per l’ultima volta la commedia degli oppositori, in realtà allineati ai diktat indiscutibili del loro premier Conte e del solito padrone Grillo.Fondato nel 2009, il Movimento 5 Stelle non ha mai sentito il bisogno – in dieci anni – di confrontarsi in un regolare congresso, per misurare idee e verificare tesi e impostazioni. Ha offerto di sé uno spettacolo indecoroso, particolarmente rassicurante per il grande potere economico: una belante scolaresca al guinzaglio, al posto di quella che, nell’Europa devastata dall’austerity, doveva essere l’avanguardia di un riscatto popolare democratico. Non hanno solo tradito ogni aspettativa: hanno diserbato il terreno dove poteva crescere una protesta seria fino a tradursi in proposta concreta. Sono il giocattolo perfetto per chiunque abbia cattive intenzioni, e quindi interesse a disinnescare il dissenso, convogliandolo verso lidi innocui. Appena è comparso un concorrente – non un eroe omerico, solo il modesto Salvini – l’elettorato ex-grillino ha dato inizio all’emorragia, riconoscendo nel capo della Lega molte delle parole d’ordine del grillismo delle origini, messe in campo però con ben altra coerenza. Non appena Salvini ha accennato a contestare Bruxelles, cioè i dominatori che ci fanno la guerra da decenni, il potere ha prontamente usato i grillini per neutralizzare il potenziale disturbatore.Se si votasse oggi, dicono i sondaggi, i 5 Stelle scenderebbero attorno al 10% dei consensi. Se invece sorreggessero il governo anti-italiano al quale stanno affanosamente lavorando, per loro l’estinzione sarebbe garantita. Ma non importa, perché a questo dovevano servire: a disarmare il paese, mantenendolo debole e vulnerabile, dopo aver abilmente finto di raccogliere le migliore istanze degli italiani. Quello infatti era il pericolo: che avesse uno sbocco politico la rabbia di milioni di italiani, esasperati dalla “democratura” finanziaria gestita dall’establishment neoliberista col supporto dei collaborazionisti domestici. Più che servizievoli, i 5 Stelle hanno gareggiato in zelo con le peggiori maschere del vecchio potere italiano ed eurocratico. E ora eccoli – con Matteo Renzi – a progettare un esecutivo con un’unica missione: sabotare Salvini, cioè l’unico politico che mostri (in modo larvale, almeno) una specie di visione del futuro, avendo chiaro che lo status quo – i “signor no” della Commissione che tagliano i viveri all’Italia – può voler dire solo una cosa, e cioè crisi infinita. Gettata la maschera, contro l’Italia ora combattono a viso aperto anche i grillini, disperatamente avvinghiati ai loro seggi parlamentari: capiscono perfettamente che gli elettori, ferocemente traditi, non li perdoneranno mai.Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di pidioti”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.
-
Fcas e Tempest, con i nuovi jet l’F-35 diventa archeologia
In occasione del recentissimo Paris Air Show, un modello del Fcas (Future Air Combat System) ha attirato la curiosità dei presenti: si tratta di un caccia di sesta generazione, scrive “L’Antidiplomatico”. Realizzato in collaborazione con tedeschi e spagnoli, il jet militare è di origine prevalentemente francese. E potrebbe essere la controparte europea di qualsiasi aereo (con equipaggio, o senza) dei caccia stealth di quinta generazione, come gli F-22 Raptor americani, gli Su-57 della Russia e ovviamente i più che controversi F-35, che varie forze europee hanno dovuto acquisire per fare un favore agli Usa. «Fcas è costruito attorno a concetti futuristici: configurazione invisibile, missili a lungo raggio e, soprattutto, volo senza equipaggio», spiega “L’Antidiplomatico”. «Come una regina furtiva, il caccia sarà seguito da un seguito di droni che svolgeranno gran parte del lavoro sporco di combattimento e di scouting», assumendo su di sé il peso del fuoco nemico.Nel frattempo, gli Stati Uniti «stanno lavorando sullo stesso concetto con il programma Loyal Wingman e il drone Xq-58, un sosia mini-F-35 che funzionerà con aeromobili con equipaggio come un branco di cani da caccia e il loro padrone». E per non essere superata dai suoi cugini continentali, da cui si sta separando, la Gran Bretagna – che pure ha acquistato alcuni F-35 – sta anch’essa sviluppando il suo caccia di sesta generazione, il Tempest. «Munito di laser, dovrebbe entrare in servizio intorno al 2035». A questo progetto pare voglia prendere parte anche l’Italia. Questi jet avanzati, aggiunge “L’Antidiplomatico”, possono essere dotati di armi avveniristiche. La società europea di difesa Mbda ha presentato alcuni concetti avanzati di missili: «Sciami di alianti lanciati dagli aerei che riescono a sopraffare un bersaglio a cinquanta miglia di distanza, mentre gli aerei con equipaggio sono al sicuro dalla mischia». Non solo: ci sono anche «missili furtivi a bassa quota che dovrebbero bombardare nemici».Finalmente, nei piani euro-atlantici, figurerebbe anche «un missile supersonico, che può abbattere aerei nemici, navi e difese aeree». Il giorno che entrasse in esercizio sarebbe una prima risposta all’attuale supremazia assoluta della Russia, che ha già testato i suoi nuovissimi missili ipersonici, letteralmente “imparabili”, capaci di affondare una portaerei viaggiando anche a dieci volte la velocità del suono. Ne ha dato una spettacolare dimostrazione lo stesso Putin, diffondendo le immagini di questi missili: lanciati da navi da guerra in navigazione nel remotissimo Mar Caspio, sono piovuti addosso ai miliaziani dell’Isis in Siria senza che i sistemi di allertamento Nato potessero far nulla per intercettarli. Scenari che rendono ancora più inutile il costoso F-35, definito “un bidone volante” dallo storico progettista dell’F-16, secondo cui il jet americano a decollo verticale, lento e impacciato, non soppravviverebbe a un duello aereo con un Mig degli anni Sessanta.In occasione del recentissimo Paris Air Show, un modello del Fcas (Future Air Combat System) ha attirato la curiosità dei presenti: si tratta di un caccia di sesta generazione, scrive “L’Antidiplomatico”. Realizzato in collaborazione con tedeschi e spagnoli, il jet militare è di origine prevalentemente francese. E potrebbe essere la controparte europea di qualsiasi aereo (con equipaggio, o senza) dei caccia stealth di quinta generazione, come gli F-22 Raptor americani, gli Su-57 della Russia e ovviamente i più che controversi F-35, che varie forze europee hanno dovuto acquisire per fare un favore agli Usa. «Fcas è costruito attorno a concetti futuristici: configurazione invisibile, missili a lungo raggio e, soprattutto, volo senza equipaggio», spiega “L’Antidiplomatico”. «Come una regina furtiva, il caccia sarà seguito da un seguito di droni che svolgeranno gran parte del lavoro sporco di combattimento e di scouting», assumendo su di sé il peso del fuoco nemico.
-
Armi russe in Turchia, rischio-finanza per la vendetta Usa
Mentre l’Italia viene bullizzata dalla cosca della Commissione Europea (con zelo particolare dal simpatico ricercatore di bosoni baltici Valdis Dombrovskis) per un preteso minimale scostamento dell’insignificante rapporto debito/pil, un fantasma s’aggira per l’Europa. E’ il fantasma del debito turco. Facciamo un passo indietro. Un anno fa circa Erdogan decide di acquistare il sistema missilistico antiaereo russo S-400 al posto del Patriot americano. La scelta non è di poco conto, il sistema d’arma russo è ovviamente incompatibile con il dispositivo di difesa Nato nel quale sono integrate le forze armate turche. Di fatto dunque si tratta di una scelta che pone la Turchia (paese strategico e secondo esercito della Nato) fuori dalla Nato dal punto di vista militare se non da quello politico e diplomatico. Le reazioni occidentali e americane non tardano ad arrivare: viene bloccata la vendita degli aerei americani di V generazione F-35. Non solo, immediatamente la lira turca intra in fibrillazione. Questo aspetto monetario e finanziario non è di irrilevante portata.La Turchia è un paese che all’epoca viveva un boom economico grazie all’irrorazione di capitali provenienti dall’estero. La fuga di questi capitali – non esattamente estranea alle questioni diplomatiche e militari sopra accennate – impose una manovra di aggiustamento strutturale con la finalità di migliorare il proprio saldo delle partite correnti. Dunque in definitiva fu imposta un’austerità tendente a rendere il paese meno dipendente dai capitali esteri (sulla via di fuga) e a bloccare la svalutazione della valuta locale. Ad un anno circa da questi eventi ci risiamo: la Turchia non desiste dal suo intendimento di acquistare il sistema d’arma russo e rilancia anzi con l’intenzione di acquistare aerei di V generazione o cinesi o russi. Di fatto instaurando una situazione di No Fly Zone per le aereonautiche formalmente alleate della Nato. L’arrivo dei sistemi d’arma in suolo turco è ormai previsto per la fine del prossimo mese. Siamo agli sgoccioli.Non ci vuole l’acume di Metternich per comprendere che di fronte ad una simile decisione di Erdogan c’è da aspettarsi una decisa rappresaglia della Nato e degli Stati Uniti in particolare. Ovviamente nelle dottrine strategiche contemporanee non si agisce più con una dichiarazione di guerra formale. Molto più semplice l’utilizzo di armi non convenzionali, così come prevede la dottrina della Full Spectrum Dominance di Washington. Ovviamente nell’arsenale non convenzionale americano hanno un ruolo preminente le armi finanziarie. Non credo sia esattamente un caso che proprio ieri l’agenzia di rating americana Moody’s abbia declassato a livello B1 (siamo in pieno territorio junk) il debito turco: peraltro si rileva anche il mantenimento dell’outlook negativo. Dunque a breve non possono essere esclusi ulteriori downgrading che porterebbero il debito turco addirittura alla categoria C e dunque ad altissimo rischio default.Non rimane che far notare che le banche europee (ed in particolari quelle spagnole) sono esposte complessivamente per oltre 100 miliardi di euro e dunque sono a rischio di perdite sanguinose che potrebbero innescare una crisi finanziaria in Europa. Certamente alla Casa Bianca questo non è visto con preoccupazione. In Europa invece si cerca disperatamente un capro espiatorio individuato nel solito Calimero italiano al quale si chiede una risibile manovra da pochi miliardi nella malcelata speranza che Roma non accetti e così poterla incolpare dell’eventuale crisi finanziaria che invece – se arriverà – proverrà dall’Anatolia. Ma questo le opinioni pubbliche europee non saranno in grado di vederlo, ipnotizzate dal canto delle sirene dei mass media che in mala fede daranno la colpa ai soliti italiani.(Giuseppe Masala, “Contagio turco e Calimero italiano”, da “Megachip” del 15 giugno 2019).Mentre l’Italia viene bullizzata dalla cosca della Commissione Europea (con zelo particolare dal simpatico ricercatore di bosoni baltici Valdis Dombrovskis) per un preteso minimale scostamento dell’insignificante rapporto debito/pil, un fantasma s’aggira per l’Europa. E’ il fantasma del debito turco. Facciamo un passo indietro. Un anno fa circa Erdogan decide di acquistare il sistema missilistico antiaereo russo S-400 al posto del Patriot americano. La scelta non è di poco conto, il sistema d’arma russo è ovviamente incompatibile con il dispositivo di difesa Nato nel quale sono integrate le forze armate turche. Di fatto dunque si tratta di una scelta che pone la Turchia (paese strategico e secondo esercito della Nato) fuori dalla Nato dal punto di vista militare se non da quello politico e diplomatico. Le reazioni occidentali e americane non tardano ad arrivare: viene bloccata la vendita degli aerei americani di V generazione F-35. Non solo, immediatamente la lira turca intra in fibrillazione. Questo aspetto monetario e finanziario non è di irrilevante portata.
-
Tav Torino-Lione, la bancarotta italiana dei politici falliti
Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). Non si può dire altrettanto del governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati e ora è ridotto a mendicare clemenza da Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamarebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.Stato confusionale: agli italiani avevano raccontato che la morale fa a pugni con la politica. E in nome di una pretesa moralità (la loro) hanno rottamato la politica (sempre la loro, quella che avevano lasciato intravedere nella vaga tuttologia dei loro non-programmi). Nebbiogeni su ogni cosa, i 5 Stelle: armamenti, vaccini, Europa, economia, grandi opere. Laddove sono stati costretti a esprimersi in modo chiaro – il Tap, gli F-35, l’obbligo vaccinale – si sono rimangiati la parola nel modo più plateale. Salvo ricorrere alla farsa nel caso del loro ultimo cavallo di battaglia, il reddito di cittadinanza, ridotto a caricatura stracciona di qualcosa che un tempo si sarebbe definito welfare. L’ultimo passo verso il baratro attende i 5 Stelle in valle di Susa, dove lo stesso Grillo – dal 2005 in poi – ha coltivato personalmemte, con grande impegno, il seme del Partito degli Onesti, schierandosi contro la maxi-opera più inutile d’Europa. Il ministro Toninelli è stato letteralmente fatto a pezzi – sui media – per aver osato compiere l’azione più sensata possibile: affidare il verdetto sulla fattibilità a una autorevole commissione di tecnici. Una scelta che sarebbe normale, in mondo normale. Un atto eroico, invece, nel caso italiano. Scontato, peraltro, l’esito dell’analisi costi-benefici: la Torino-Lione (costosissima e devastante per l’ambiente) sarebbe una ferrovia completamente inutile.E’ diventato un totem, il progetto Tav Torino-Lione. Se ne parla da più di vent’anni, ma del tunnel Italia-Francia non è stato finora scavato neppure un metro. Sull’ipotetica infrastruttura per le merci (perfetto doppione della linea Torino-Lione già esistente, deserta per assenza di merci da trasportare) si sono versati fiumi di parole bugiarde: la più colossale operazione di disinformazione attuata in Italia negli ultimi anni. Lo confermano le recenti elezioni regionali piemontesi, dove proprio il fantasma del Tav valsusino è stato elevato – da tutti i principali attori, centrodestra e centrosinistra, Chiamparino e Zingaretti, Salvini e Meloni – al rango di entità salvifica, pressoché metafisica, nemmeno fosse una sorta di Piano Marshall per il Piemonte. Poche centinaia di addetti, per la sola durata dei cantieri. Un suicidio economico, tranne che per la ristretta filiera degli appalti. Verità a tutti nota, stra-dimostrata da studi autorevolissimi, eppure risolutamente negata. Il maxi-obbrobrio servirebbe solo ad arricchire i suoi costruttori: è stato calcolato che ogni singolo operaio costerebbe un milione di euro, data l’enormità della spesa e l’esiguità del profilo occupazionale. Ma peggio: in vent’anni, i governi a favore dell’opera – di qualsiasi colore – si sono sempre rifiutati di spiegarne l’eventuale utilità. Un silenzio assordante, che non si è interrotto neppure quando la valle di Susa è diventata un problema di ordine pubblico. Nessuna spiegazione, mai, sul perché aprire quei cantieri. Solo slogan, depistaggi, insulti.Insifignicante sul piano strategico ma doloroso sotto l’aspetto finanziario, il progetto Tav Torino-Lione è diventato l’emblema del fallimento italiano: sovranità democratica confiscata con la forza della menzogna. Modelli economici falliti, partiti falliti, politici falliti: al Piemonte (4,3 milioni di abitanti) si continua a raccontare che, senza quella linea ferroviaria – destinata a restare deserta in eterno – la regione precipiterà nella miseria. L’unica forza politica capace di opporsi a questa menzogna orwelliana è stato il Movimento 5 Stelle, che ora però gli elettori piemontesi hanno punito, relegandolo nel recinto umiliante del 13% dei consensi. In pratica – ha concluso Salvini – è stato un referendum sulla Torino-Lione. Si preparano dunque ad avviarla, finalmente, l’inutile follia. Chi resta, a guardia della ragione? Luigi Di Maio, solo lui. Un mini-leader dimezzato, rintronato dalla disfatta, cannibalizzato dall’alleato di governo. In altre parole, inerme. Ma telecomandato, come sempre, da Grillo e Casaleggio. Vista l’attitudine al voltafaccia su qualsiasi impegno, è facile attendersi che i 5 Stelle capitoleranno, infine, anche sul Tav valsusino, imposto dall’oligarchia europea che ha piegato il paese. Il fallimento dell’Italia, a quel punto, raggiungerà la perfezione anche sul piano simbolico. Non ci sono alternative, diceva la Thatcher. Non ce ne sono davvero, se manca un pensiero politico capace di progettare il futuro partendo dalla giustizia sociale.Specialità: dire una cosa e farne un’altra. Escatologia mistica, pronto uso: salvare il mondo (l’Italia, in questo caso). Promesse impossibili, bilancio imbarazzante. Trattasi di bancarotta politica. La si tenta di occultare in ogni modo, ma con risultati discutibili: Salvini, oggi presentato come trionfatore, alle europee non è stato votato neppure da due italiani su dieci. Ha vinto le elezioni, certo (ma correva da solo, contro nessuno). E il governo Conte, che avrebbe dovuto spaccare l’Europa dei tecnocrati, ora è ridotto a mendicare clemenza a Bruxelles, dopo aver rinunciato a proteggere l’Italia. Un capolavoro di ipocrisia, il cui campione assoluto – Luigi Di Maio – ora finge di godersi il consenso domestico rimediato col televoto sulla piattaforma Rousseau-Casaleggio, in realtà preteso a gran voce da Beppe Grillo. Fa così comodo, un leader debolissimo come Di Maio? Le ipotetiche alternative, peraltro, si chiamerebbero Alessandro Di Battista e Roberto Fico. A chi giova, dunque, un soggetto politico così inconsistente, incapace di autonomia decisionale, privo di democrazia interna? Nel 2013 servì ad arginare la rabbia sociale esplosa dopo il governo Monti sostenuto da Berlusconi e Bersani. Al potere dal 2018, il Movimento 5 Stelle è costretto a svelarsi: una caserma di soldatini, ricattati con la minaccia dell’espulsione e lo spettro delle sanzioni pecuniarie nel caso cambiassero casacca, in Parlamento.
-
5 Stelle al guinzaglio: “fedeli” a Di Maio, ora scompariranno
«Scegliendo di confermare Di Maio come leader del movimento, i 5 Stelle si sono condannati all’irrilevanza politica». Massimo Mazzucco ha le idee chiare, in proposito, dopo la clamorosa sconfitta dei penstastellati alle europee. «C’è chi dice che il sud non è tornato a votare in massa “perchè ormai il reddito di cittadinanza l’abbiamo avuto”. C’è chi dice che i 5 Stelle hanno pagato il tradimento sui vaccini, poichè la fetta di elettorato free-vax sarebbe molto più grossa di quello che si immagina. C’è chi dice che i 5 Stelle hanno pagato i vari voltafaccia, sulla Tap, sugli F-35, sull’uscita dall’euro. Ma nessuna di queste motivazioni – scrive Mazzucco su “Luogo Comune” – può spiegare un crollo così verticale del supporto elettorale nell’arco di un solo anno». Il 4 marzo 2018 ben 9 milioni di italiani avevano votato M5S (Salvini oggi è stato votato “solo” da 8 milioni di concittadini). Eppure, a un solo anno di distanza, il consenso grillino si è dimezzato. «Nessun elemento singolo può giustificare una débacle così clamorosa». In realtà, aggiunge Mazzucco, non è possibile capire il tonfo dei 5 Stelle se non si tiene conto del motivo originale per cui avevano avuto successo: «Non si erano presentati come una forza politica, ma con una forza morale».Di fronte ad un mondo fatto di corruzione, di inciuci e di schiene che si piegano docilmente al potere delle lobby, «era comparso dal nulla un movimento di persone che metteva al primo posto i principi più alti, la centralità dell’individuo e la dirittura morale». I 5 Stelle, ricorda Mazzucco, promettevano di cambiare l’Italia «non perchè promettessero soluzioni specifiche, ma perché loro erano diversi». Non si trattava solo di comprare meno F-35, di bloccare le “grandi opere inutili” o di smarcarsi dall’euro: quando nove milioni di italiani li hanno scelti, hanno scelto una politica fatta di sani principi morali, prima ancora che una politica fatta di scelte singole», argomenta Mazzucco. Ci si aspettava che da questi principi morali scaturissero delle decisioni che sarebbero sempre state riconducibili a ciò che è “giusto”, ciò che è “sano”, ciò che è “superiore”. «In altre parole, i 5 Stelle hanno promesso l’impossibile. Perché è impossibile, in un mondo di corruzione, arrivare con la lancia in resta e mettere fine a questa corruzione. Una cosa è gridare “onestà”, ben altra è applicare questa onestà una volta che si è scesi in campo. Perchè l’onestà non è solo quella di chi non ruba, ma è anche – e prima di tutto – onestà intellettuale. Onestà rispetto a ciò che sei, rispetto alle tue idee e ai tuoi principi».Quando ti trovi a combattere faccia a faccia con il “drago nero”, scrive Mazzucco, ti ci devi avvicinare, e avvicinandoti resterai ferito. «E man mano che accumuli ferite cominci ad evitare le sue mosse, cominci a cercare un nascondiglio, cominci a indietreggiare. Cominci a esitare. E ogni volta che indietreggi, dimostri ai tuoi sostenitori di non essere in grado di fare quello che avresti voluto». Aggiunge Mazzucco: «Non c’è bisogno di essere in malafede per andare incontro a queste piccole sconfitte quotidiane. È sufficiente confrontarsi fisicamente con il “drago nero”, partendo dal presupposto sbagliato di poterlo sconfiggere con un colpo secco al cuore, mantenendo intatta la tua onestà morale». E attenzione: quello che viene a vedere lo spettacolo «non è mai un pubblico riconoscente: nel momento in cui vede che indietreggi, ti volta lui stesso la faccia e di te non vuole più sentir parlare». L’errore dei 5 Stelle? «E’ stato molto semplice: promettere l’impossibile. Nel momento stesso in cui hanno detto “apriremo il Parlamento come una scatola di tonno” hanno segnato il loro destino». Nulla, in questo mondo, si apre “come una scatola di tonno”.«L’unico modo di procedere, nel mondo complicato di oggi – aggiunge Mazzucco – è quello di tenere i tuoi principi morali come unica stella polare, anche a costo di dover tornare all’opposizione. Allora sì che la base li avrebbe sostenuti comunque. Ma nel momento in cui rinunci a tuoi principi morali, perchè vuoi restare al governo a tutti i costi, hai già perso la tua partita». Questione di qualche giorno, e la “caserma” penstastellata – ispirata ancora una volta direttamente da Grillo, che ha protetto Di Maio – è tornata a schierarsi con il non-leader, perdonandogli tutto. «Non mi monto la testa, questo è il momento dell’umiltà», scrive Di Maio sul “blog delle stelle”, annunciando l’80% dei consensi incassati dagli oltre 56.000 votanti sulla piattaforma Rousseau. Di Maio tenta di presentare come una vittoria la celebrazione della sconfitta: «Abbiamo segnato il record assoluto di partecipazione a una votazione per il Movimento 5 Stelle», dice, «ed è anche il record mondiale per una votazione online in un singolo giorno per una forza politica». L’unica mossa che sarebbe stato giusto aspettarsi, da Di Maio, erano le dimissioni: avrebbero potuto costringere i 5 Stelle – tutti – a guardarsi allo specchio: sono uno strano “battaglione”, telecomandato da Grillo e Casaleggio, incapace di decisioni autonome.Proprio la mancanza di libertà e di democrazia interna ha impedito ai parlamentari grillini di agire in modo coerente, rispetto a quanto promesso. Una “prigionia” politica che ora ha spinto i militranti a obbedire, ancora una volta, fingendo entusiasmo nel sostenere il fallimentare Di Maio. Per Mazzucco, i grillini «hanno avuto paura di riconoscere l’errore di fondo che la gestione “democristiana” del movimento comportava, e si sono messi da soli in un cul-de-sac che li porterà alla lenta estinzione». Era stato facile profeta, Mazzucco, quando – un anno fa – ripeteva che, seguendo la strada del compromesso, i 5 Stelle avrebbero progressivamente perso quote sostanziali del loro elettorato. Eppure la lezione non gli è bastata, neppure dopo la Caporetto delle europee: «Spaventati e tramortiti dalla batosta elettorale, hanno scelto di restare aggrappati alle posizioni già acquisite invece di cogliere l’occasione per riportare il movimento sul sentiero che ne aveva decretato l’immenso successo elettorale». Ora è solo questione di tempo: «Salvini li schiaccerà lentamente, “con dolcezza”, obbligandoli a seguire una agenda sempre più di destra e sempre più lontana dai loro ideali. E quando avrà finito di spremerli come limoni lì butterà via, restituendoli ad un elettorato che a quel punto non potrà che vendicarsi ancora di più per il tradimento subito».«Scegliendo di confermare Di Maio come leader del movimento, i 5 Stelle si sono condannati all’irrilevanza politica». Massimo Mazzucco ha le idee chiare, in proposito, dopo la clamorosa sconfitta dei penstastellati alle europee. «C’è chi dice che il sud non è tornato a votare in massa “perché ormai il reddito di cittadinanza l’abbiamo avuto”. C’è chi dice che i 5 Stelle hanno pagato il tradimento sui vaccini, poiché la fetta di elettorato free-vax sarebbe molto più grossa di quello che si immagina. C’è chi dice che i 5 Stelle hanno pagato i vari voltafaccia, sulla Tap, sugli F-35, sull’uscita dall’euro. Ma nessuna di queste motivazioni – scrive Mazzucco su “Luogo Comune” – può spiegare un crollo così verticale del supporto elettorale nell’arco di un solo anno». Il 4 marzo 2018 ben 9 milioni di italiani avevano votato M5S (Salvini oggi è stato votato “solo” da 8 milioni di concittadini). Eppure, a un solo anno di distanza, il consenso grillino si è dimezzato. «Nessun elemento singolo può giustificare una débacle così clamorosa». In realtà, aggiunge Mazzucco, non è possibile capire il tonfo dei 5 Stelle se non si tiene conto del motivo originale per cui avevano avuto successo: «Non si erano presentati come una forza politica, ma con una forza morale».
-
Cavalli spara sull’orco Salvini? Così la sinistra si estinguerà
«E se Salvini fosse niente?». O meglio: «Niente mischiato con niente», nemmeno con la malta incolore del post-ideologico? Forse è solo «il formidabile intercettatore di ciò che la gente si vuol far sentire dire, disponibile ad abbracciare qualsiasi ideologia e poi contraddirla seguendo l’algoritmo della pancia degli italiani, come ha appena fatto per la cittadinanza di Ramy», che in poche ore – da “parente di pregiudicati” è diventato addirittura “un figlio”, avendo capito, il leader leghista, «che la maggioranza degli italiani non voleva sentir parlare di burocrazia per il ragazzino eroe». A sparare su Salvini, dalle pagine web de “Linkiesta”, stavolta è l’attore e scrittore Giulio Cavalli, già minacciato dalla mafia e impegnato in Lombardia prima col rozzo giustizialista Antonio Di Pietro (Italia dei Valori) e poi con il post-comunista Nichi Vendola (Sinistra Ecologia e Libertà). La furia iconoclastica di Cavalli si abbatte sul vicepremier gialloverde, dipinto come un mostro di cinismo e spregiudicatezza, capace di essere «tutto e il contrario di tutto». Ovvero: «Da anti-napoletano a patriota amico del Sud». Voltafaccia? Sbagliando, Cavalli imputa a Salvini anche una retromarcia sulla Torino-Lione, dimenticando che la Lega non è stata mai NoTav, ma sempre favorevole alla “grande opera inutile” della valle di Susa.Per Cavalli, Salvini ha cambiato casacca anche in politica estera: da anti-Usa sarebbe diventato pro-Trump, «facendo anche arrabbiare l’amichetto Putin». Anche qui: ai tempi di Bossi, la Lega Nord si schierò con Milosevic e contro i bombardamenti su Belgrado ordinati da Clinton, ma restò alleata del Berlusconi “amico” di Bush, il più che ambiguo presidente del G8 di Genova e poi soprattutto dell’11 Settembre. Quando Salvini ereditò un partito ridotto al 4%, alla Casa Bianca c’era Obama: è per frenare il neo-imperialismo bellicista dei “democrat” che Salvini si avvicinò a Putin, tifando però apertamente per Trump, prima ancora che venisse eletto. Secondo Cavalli, invece, il demone Salvini rivela «la spregiudicatezza di chi è pronto a vivere una contraddizione» pur di «racimolare più voti, accontentare più stomaci, infiammare la claque». Debolezza ideologica: «Salvini non ha un’ideologia perché non ha un’idea sua», sostiene Cavalli. Il capo della Lega, di cui evidentemente non si tollera il successo elettorale, «vive ascoltando il pensiero comune e lo trasforma in promessa politica». Come per «una digestione veloce che non si preoccupa del sapore dei cibi», il boss leghista sarebbe addirittura «pronto a infornare merda», testualmente, per poi «rivenderla come cioccolata, se è il popolo a chiederlo».Visto così, l’orco Salvini sembra un’inammissibile anomalia dentro uno zoo che, senza di lui, sarebbe perfetto. Fuori di polemica: come “voltafaccista” Salvini è un dilettante, rispetto ai 5 Stelle (vaccini, F-35, Tap). E quale nobile impianto idologico rileva, Cavalli, nell’encefalogramma politicamente piatto di Berlusconi e Tajani? Quale segno di vita rintraccia nell’altro zombie, il Pd, che ancora non sa trovare il coraggio autocritico di denunciare l’impostura tecnocratica dell’austerity, che poi è esattamente la fonte della crisi che ha gonfiato le vele degli insopportabili gialloverdi? Vola basso, Cavalli: «Qui siamo oltre la fluidità di Renzi, che riusciva a dire impunemente cose di destra fingendo una posa di sinistra». Lessico da età della pietra: dov’era, la “sinistra”, quando l’Italia veniva immolata sull’altare della falsa Europa? Fischiava il perfido Berlusconi, senza accorgersi che proprio agli eredi della tradizione social-comunista – D’Alema, Prodi e compagnia – il vero potere oligarchico, finanziario e plutocratico affidava il compito strategico di smantellare l’Italia, deindustrializzarla e privatizzarla, senza che nessuno – elettorato, sindacati – muovesse un dito per denunciare lo smottamento anti-nazionale che avrebbe provocato il disastro (di cui oggi raccolgono i cocci, in termini elettorali, proprio la Lega e i 5 Stelle).Per Cavalli, invece, Salvini è «perfino oltre la post-ideologia di Di Maio, che altro non è che un vuoto rimbombante». Ma vogliamo parlare della post-ideologia di Veltroni? O di quella di Carlo Calenda, secondo cui «potremmo pure fare più deficit, ma poi nessuno ci comprerebbe il nostro debito?». Post-ideologia, appunto: ai tempi della “sinistra”, il debito era ancora pubblico. A “privatizzarlo” di fatto fu l’eroe Ciampi, che costrinse l’Italia a rivolgersi al mercato finanziario dei cosiddetti investitori, quelli che per Calenda sono e restano l’unico interlocutore possibile. Non c’è alternativa: lo diceva la Thatcher, e da allora “la sinistra” (anche italiana) si è semplicemente adeguata. Anche perché a dare gli Stati in pasto a Wall Street era stata un’altra “sinistra”, quella statunitense: fu proprio Clinton ad abolire il Glass-Stegall Act, la separazione tra banche d’affari e credito alle imprese, scatenando gli appetiti smisurati della speculazione. Per i fondi d’investimento, da allora, divenne un vero business acquisire titoli del debito, da Stati costretti a mettersi all’asta. E in tutto questo “che c’azzecca”, come avrebbe detto Di Pietro, il Salvini che aveva 8 anni al tempo dello sciagurato divorzio fra Tesoro e Bankitalia, e poco più di 20 quando Clinton regalò il mondo ai finanzieri?Connessioni elementari, che però Giulio Cavalli sembra non voler cogliere, nella sua invettiva semplicistica contro l’estetica discutibile e spesso indigesta del salvinismo. L’eco della storia affiora solo a fette grosse, scomodando paroloni, nel classico ricorso all’armamentario dell’antifascismo convenzionale: Salvini, scrive Cavalli, «fa il fascista quando l’anima fascista del paese spinge per chiedere un gesto», ma poi riesce a irritare “Primato Nazionale”, cioè CasaPound, «per il suo diventare improvvisamente europeista». Europeista Salvini? Socio di Macron, Merkel e Juncker? Urgono spiegazioni, ma Cavalli sorvola. Preferisce scrivere che Salvini «lecca Bannon, lecca Trump, lecca Putin, lecca tutto ciò che i suoi algoritmi gli chiedono di leccare». Sta anche “ingoiando” gli elettori grillini, «affascinati dalla sua capacità di intercettare gli umori». Il che è «il massimo, per un elettorato che intende la politica come filiale di un fast food». Bei tempi, invece, quando un principe della politica come il post-comunista D’Alema si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Cavalli – bontà sua – sa già che Salvini è «tutto e il contrario di tutto: fondamentalmente, niente». E sa già che «alla fine, si inchinerà ai poteri e ai potenti». Quando odiava Berlusconi, la sinistra di potere aveva appena svenduto l’Italia. Ora che odia Salvini, si candida a scomparire anche dal Parlamento. A meno che non sorga qualcosa che finalmente assomigli a un pensiero politico, che sostituisca le facili pernacchie con cui denunciare il presunto non-pensiero dell’avversario, squalificato – come sempre – innnanzitutto per la sua pretesa inferiorità morale.«E se Salvini fosse niente?». O meglio: «Niente mischiato con niente», nemmeno con la malta incolore del post-ideologico? Forse è solo «il formidabile intercettatore di ciò che la gente si vuol far sentire dire, disponibile ad abbracciare qualsiasi ideologia e poi contraddirla seguendo l’algoritmo della pancia degli italiani, come ha appena fatto per la cittadinanza di Ramy», che in poche ore – da “parente di pregiudicati” è diventato addirittura “un figlio”, avendo capito, il leader leghista, «che la maggioranza degli italiani non voleva sentir parlare di burocrazia per il ragazzino eroe». A sparare su Salvini, dalle pagine web de “Linkiesta”, stavolta è l’attore e scrittore Giulio Cavalli, già minacciato dalla mafia e impegnato in Lombardia prima col rozzo giustizialista Antonio Di Pietro (Italia dei Valori) e poi con il post-comunista Nichi Vendola (Sinistra Ecologia e Libertà). La furia iconoclastica di Cavalli si abbatte sul vicepremier gialloverde, dipinto come un mostro di cinismo e spregiudicatezza, capace di essere «tutto e il contrario di tutto». Ovvero: «Da anti-napoletano a patriota amico del Sud». Voltafaccia? Sbagliando, Cavalli imputa a Salvini anche una retromarcia sulla Torino-Lione, dimenticando che la Lega non è stata mai NoTav, ma sempre favorevole alla “grande opera inutile” della valle di Susa.
-
Mazzucco: che pena, se Grillo si allinea anche sui vaccini
Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».Roberto Burioni è l’immunologo che fa fatto della crociata-vaccini una ragione di vita. Grillo ha detto di non conoscerlo neppure. «Curioso, non vi pare?». Povero Beppe: «Che fa, firma un documento come quello senza accorgersi che, tra le righe, propone di silenziare – per legge – anche scienziati come il presidente dei biologi, Vincenzo D’Anna, che ha scoperto vaccini “sporchi” e inefficaci? Non si rende conto, Grillo, che così facendo sdogana il pensiero unico di Big Pharma come il solo ammissibile, negando agli italiani il diritto democratico di essere innanzitutto informati sulla sicurezza dei vaccini che vengono iniettati ai neonati?». Porta lontano, l’amarezza che Mazzucco esprime nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Per principio – sottolinea – non escludo mai la buona fede di nessuno, quindi neppure quella di Grillo: che in ogni caso è ancora in tempo a prendere le distanze da quel documento, se l’ha firmato incautamente, ritirando la sua firma». Certo però che siamo di fronte all’ennesima retromarcia tattica: uno dopo l’altro, tutti i cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle finiscono in soffitta. Al punto da far dilagare il sospetto che Grillo non sia mai stato altro che un abile “gatekeeper”, un dirottatore del dissenso, da “addormentare” poi con calma, affidando a personaggi come Di Maio il pensionamento progressivo, e sempre più sbiadito, delle dirompenti denunce di un tempo.C’era una volta il Beppe Grillo rampante, il trascinatore dei teatri: tuonava contro i vaccini e gli abusi di Big Pharma, contro l’acquisto degli inutili F-35, contro l’euro e contro il bieco signoraggio bancario. «Tutti temi mai più riproposti, ora che ci sarebbe la possibilità – coi 5 Stelle al governo – di affrontarli in modo finalmente incisivo». Su un tema, dice Mazzucco, Grillo non si era scatenato nemmeno prima, quand’era ancora un battitore libero: «Lo avvicinai per chiedergli supporto, riguardo ai miei documentari e ai libri di Giulietto Chiesa, ma lui mi disse che, se si fosse messo a parlare anche di 11 Settembre, il suo pubblico non l’avrebbe più seguito». Fabio Frabetti conferma: in uno dei suoi spettacoli, una sera, Grillo citò la denuncia di Thierry Meyssan: interamente falsa la versione ufficiale, secondo cui le Torri Gemelle sarebbero crollate per via dell’impatto con gli aerei. «La sala praticamente ammutolì», segno che il timore di Grillo era fondato: sarebbe stato troppo, per quel pubblico, accettare anche quella verità. Grillo “gatekeeper”? «Mi rifiuto di crederlo – taglia corto Mazzucco – anche perché parliamo di spettacoli di molti anni fa».Piuttosto, ragione l’autore di “Inganno globale” e “La nuova Pearl Harbor”, il più delle volte la realtà è più semplice. «Succede che arrivi nella stanza dei bottoni, e quel giorno “qualcuno” ti spiega che devi rinunciare a molte delle tue idee. Accade per gradi, senza che vi sia per forza chissà quale complotto, già in partenza». E’ uno schema che si ripete sempre, insiste Mazzucco, citando gli anni di piombo: «Le Brigate Rosse non le avevano inventate i servizi segreti che poi le hanno infiltrate. All’inizio, erano un fenomeno spontaneo. Poi, un giorno, i fondatori delle prime Br – Curcio e gli altri – sono finiti tutti in galera. Da quel momento le nuove leve hanno comiciato a sparare e uccidere, fino alla tragedia di Aldo Moro». E oggi rieccoci qua, con i due Grillo all’opera: la ministra Giulia, che si guarda bene dal bocciare la legge Lorenzin, e l’ex mattatore Beppe, che si mette a tifare per i Talebani della vaccinazione universale, da imporre per legge e a scatola chiusa. Il governo gialloverde? «Non si capisce in cosa si differenzi dai precedenti, visto il poco o nulla che sta combinando, allineato com’è al volere dei soliti poteri forti». Elettori ingannati fin dall’inizio o traditi da politici non all’altezza della situazione? Mazzucco propende per la seconda ipotesi: al di là delle ciance, a Lega e 5 Stelle mancano “gli attributi” per imporsi, e difendere – davvero – gli italiani.Bei tempi, quando Grillo era ancora Grillo. Da parte sua, dire che non è favorevole all’obbligo vaccinale «è un modo vile per togliersi dal pasticcio nel quale si è cacciato», dopo aver firmato – con Renzi – l’appello di Roberto Burioni che di fatto invita lo Stato a emanare leggi «che impediscano alla scienza di fare il suo mestiere, cioè di non smettere mai di porre in discussione le certezze apparenti, anche in tema di vaccini». Per Masssimo Mazzucco, è devastante il danno che Grillo ha inferto al vasto movimento (fatto di medici e genitori) che rivendica il diritto di essere informato, sulle vaccinazioni. Prescrizioni ormai obbligatorie, con l’introduzione della legge Lorenzin: «Era la prima norma che il governo gialloverde avrebbe dovuto eliminare, come peraltro annunciato in campagna elettorale, e invece non l’ha fatto». Strano? No, ma triste: «Più ti avvicini al potere – dice Mazzucco – e più trovi qualcuno che ti batte la mano sulla spalla, per dirti che certi interessi non li puoi toccare. Lo stesso Salvini, ieri contrario all’obbligo vaccinale, oggi tace. Se non altro – aggiunge Mazzucco – almeno, Salvini ha la decenza di non schierarsi apertamente, come fa Grillo, dalla parte di quelli che fino a ieri erano gli avversari dichiarati, cioè Burioni e Renzi».
-
Che amara delusione, quest’anno: l’Italia è rimasta schiava
Se dovessi provare a definire l’anno che si chiude con una sola parola, utilizzerei il termine “delusione”. Questa delusione nasce dalla realizzazione che, qualunque governo possa venire a formarsi in Italia, la nostra situazione non potrà mai cambiare in modo sostanziale. Certo, si potranno dare 100 euro in più a chi è povero, e magari mandare in pensione qualche mese prima chi se lo è meritato, ma la realtà complessiva che ci circonda non potrà mai cambiare più di tanto: siamo una nazione schiava. Schiava economicamente, a causa di un debito che ci schiaccia in maniera insopportabile, e che ci toglie ogni margine di manovra per cambiare efficacemente la nostra organizzazione sociale. Schiava politicamente, perché siamo legati mani e piedi al Patto Atlantico, e da quello non possiamo uscire. Schiava ideologicamente, perché legati a certi dettami del pensiero unico che viene controllato ferocemente dai media di sistema, e che impedisce una qualunque mutazione sostanziale nelle opinioni delle masse.Intendiamoci, non sto dicendo che mi aspettavo una rivoluzione travolgente da parte del nuovo governo giallo-verde. Non sono un ingenuo, e ho vissuto abbastanza a lungo da capire che certe mutazioni possono avvenire solo nel corso del tempo. Ma quando vedo un governo i cui rappresentanti erano palesemente a favore di un’uscita dall’Euro(pa), e ora si ritrovano invece a piegare la testa ai dettami di Bruxelles, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo i cui rappresentanti erano palesemente contrari alle vaccinazioni obbligatorie, e ora invece sembrano diventati i camerieri di Big Pharma, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo che sosteneva apertamente che gli F-35 sono dei bidoni ingovernabili, e ora invece ne tessono le lodi come se fossero dei gioielli di tecnologia futuristica, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza. Quando vedo un governo che era apertamente a favore dell’abolizione delle sanzioni contro la Russia, e ora invece ha completamente smesso di parlare di questo argomento, mi coglie un senso di frustrazione e di impotenza.Forse il senso della storia sta proprio qui, nella distanza che esiste fra le aspettative e la realtà, e nello sforzo che ogni generazione deve compiere per coprire quella distanza. Ma di certo questo non è stato un anno entusiasmante rispetto a questo tipo di progresso. Questo non significa naturalmente che dobbiamo smettere di fare il nostro lavoro. Per quel che mi riguarda, continuerò imperterrito a seguire la strada che mi detta la mia coscienza, anche perchè vedo che la crescita di consapevolezza collettiva è comunque in atto, e non si è affatto arrestata. Questo mi basta e avanza per continuare a fare quello che faccio. Forse stiamo solo vivendo la parte bassa di un’onda lunga, della quale non vediamo che i risvolti negativi, perché sono i più vicini a noi. Magari queste fluttuazioni fanno parte di un ciclo più ampio, la cui summa totale sarà comunque positiva. Lo spero con tutto il cuore, e spero che anche molti di voi la pensino allo stesso modo.(Massimo Mazzucco, “2018, l’anno della delusione”, dal blog “Luogo Comune” del 31 dicembre 2018).Se dovessi provare a definire l’anno che si chiude con una sola parola, utilizzerei il termine “delusione”. Questa delusione nasce dalla realizzazione che, qualunque governo possa venire a formarsi in Italia, la nostra situazione non potrà mai cambiare in modo sostanziale. Certo, si potranno dare 100 euro in più a chi è povero, e magari mandare in pensione qualche mese prima chi se lo è meritato, ma la realtà complessiva che ci circonda non potrà mai cambiare più di tanto: siamo una nazione schiava. Schiava economicamente, a causa di un debito che ci schiaccia in maniera insopportabile, e che ci toglie ogni margine di manovra per cambiare efficacemente la nostra organizzazione sociale. Schiava politicamente, perché siamo legati mani e piedi al Patto Atlantico, e da quello non possiamo uscire. Schiava ideologicamente, perché legati a certi dettami del pensiero unico che viene controllato ferocemente dai media di sistema, e che impedisce una qualunque mutazione sostanziale nelle opinioni delle masse.
-
Governi non eletti, Parlamento illegittimo: questa è l’Italia
Della sentenza della Corte Costituzionale che boccia l’Italicum non mi colpisce tanto la contorta architettura del dispositivo, atta a renderne meno traumatico possibile l’impatto sul sistema politico, ma il pronunciamento in quanto tale. Che è di una gravità inaudita per un paese che voglia restare una democrazia. Per la seconda volta di seguito, la legge elettorale votata dal Parlamento della Repubblica viene dichiarata incostituzionale. E, si badi bene, questo pronunciamento della Consulta non avviene a seguito di una iniziativa delle forze politiche o per qualche pentimento istituzionale, ma per l’azione puntuale e tenace di un manipolo di valorosi giuristi democratici. Sono loro che con il Porcellum prima, con l’Italicum ora, sono andati dal giudice avviando il percorso che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi elettorali. Nelle istituzioni invece silenzio e complicità. Tre presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo decisivo in queste leggi incostituzionali. Ciampi ha firmato il Porcellum senza obiezioni, come ha poi fatto Mattarella con l’Italicum, mentre Napolitano, eletto due volte da parlamenti frutto dell’incostituzionalità, quando era in carica mai ha messo in discussione la legge elettorale, semmai ha solo cercato di non far votare.Nel 2006, nel 2008 e nel 2013 ben tre volte i cittadini italiani sono stati chiamati a eleggere i propri rappresentanti sulla base di una legge elettorale incostituzionale, cioè che non avrebbe dovuto esserci. Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi hanno tranquillamente governato dopo aver ricevuto il voto di fiducia da un Parlamento illegittimo. Un Parlamento che ha preso decisioni che influiscono pesantemente sulle nostre vite, dalla legge Fornero, alla Buona Scuola, al Jobs Act, all’acquisto degli F-35, alle missioni militari in giro per il mondo. Un Parlamento che ha approvato il Fiscal Compact vincolando per i prossimi venti anni l’Italia alle politiche di austerità della Unione Europea e che lo ha addirittura inserito nella Costituzione, stravolgendone l’articolo 81. Un Parlamento incostituzionale che infine ha approvato una completa controriforma della Costituzione, corredata da una corrispondente legge elettorale, passata, è bene ricordarlo, con il voto di fiducia. Sono stati il popolo, con il suo No referendario, e le sentenze della suprema magistratura dello Stato a fermare questa deriva del sistema istituzionale verso la totale illegittimità.Il popolo, la magistratura, i giuristi e i cittadini democratici, loro hanno fermato il disastro e non le altre istituzioni, né quelle italiane, né tantomeno quelle europee, che della distruzione della nostra Costituzione hanno assoluto bisogno, per imporci il loro volere. È una situazione senza precedenti, per una democrazia, quella di operare nella illegittimità delle sue istituzioni da più di dieci anni, e se non si vuole riprendere a precipitare nella china alla fine della quale c’è solo la formale dittatura, bisogna fermare tutto qui e ora. Altro che affidare a un Parlamento squalificato e soprattutto incostituzionale il varo di una terza legge elettorale, magari incostituzionale anch’essa! Altro che il teatrino della politica! Si vada a votare subito, anche con il pasticcio che è venuto fuori dalle sentenze e di cui le varie maggioranze politiche, non le sentenze, hanno colpa. Si metta punto fermo alla catena delle illegittimità e si ricominci a parlare di contenuti materiali delle scelte politiche, e non ancora una volta della governabilità. Principio che da noi ha sviluppato appieno tutte le sue potenzialità antidemocratiche e che ha finito per produrre il suo esatto opposto: lo stato confusionale di un sistema illegittimo. Basta, al voto subito.(Giorgio Cremaschi, “Solo il voto subito ferma la deriva di un sistema illegittimo”, dall’“Huffington Post” del 27 gennaio 2017).Della sentenza della Corte Costituzionale che boccia l’Italicum non mi colpisce tanto la contorta architettura del dispositivo, atta a renderne meno traumatico possibile l’impatto sul sistema politico, ma il pronunciamento in quanto tale. Che è di una gravità inaudita per un paese che voglia restare una democrazia. Per la seconda volta di seguito, la legge elettorale votata dal Parlamento della Repubblica viene dichiarata incostituzionale. E, si badi bene, questo pronunciamento della Consulta non avviene a seguito di una iniziativa delle forze politiche o per qualche pentimento istituzionale, ma per l’azione puntuale e tenace di un manipolo di valorosi giuristi democratici. Sono loro che con il Porcellum prima, con l’Italicum ora, sono andati dal giudice avviando il percorso che ha portato alla dichiarazione di incostituzionalità delle leggi elettorali. Nelle istituzioni invece silenzio e complicità. Tre presidenti della Repubblica hanno avuto un ruolo decisivo in queste leggi incostituzionali. Ciampi ha firmato il Porcellum senza obiezioni, come ha poi fatto Mattarella con l’Italicum, mentre Napolitano, eletto due volte da parlamenti frutto dell’incostituzionalità, quando era in carica mai ha messo in discussione la legge elettorale, semmai ha solo cercato di non far votare.
-
Se Trump spegnesse, con un tweet, anche il Sacro Tav
Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.La mitologia del Tav occidentale resiste da decenni, inattaccabile come un dogma, anche se la sua surreale teologia è stata ripetutamente capovolta, relativizzata, rettificata, sminuita. Doveva essere una linea superveloce per passeggeri, con l’avvento dei voli low-cost è diventata una linea medio-veloce per merci, infine solo un tunnel (ma di 50 chilometri) per merci ormai estinte, che non esisteranno più, sulla dimenticata rotta transalpina tra Italia e Francia, nel ventre del Massiccio dell’Ambin gravido d’acque sommerse, rocce di amianto e vene di uranio. Anche i cinesi devastano intere province, ma almeno hanno uno scopo: costruire dighe idroelettriche. Lo scopo del Tav Torino-Lione va invece rintracciato nella metafisica, evidentemente, nella mistica del potere europeo, il potere reale ma impalpabile, fatto di moneta elettronica gestita da terminali alieni, da imperatori alieni come Mario Draghi, a sua volta agli ordini di invisibili Elohim biblici. La religione, appunto: è l’unica categoria che può spiegare, davvero, la natura più intima dell’oscuro potere europeo, da cui promana – anche – l’ostinata superstizione che protegge, ad ogni costo, la grande opera più screditata della storia italiana, bocciata senza appello (devastante, costosa, completamente inutile) da tutti gli esperti indipendenti della penisola, i tecnici, gli specialisti universitari d’ogni ordine e grado.Lo ripete, inutilmente, anche l’autorità elvetica delegata dalla Commissione Europea a monitorare i trasporti transalpini: la valle di Susa dispone già di una ferrovia internazionale Italia-Francia, quella del Fréjus, che è semi-deserta da anni per mancanza di utenza; sulla linea attuale, il traffico merci potrebbe tranquillamente essere incrementato del 900%. Inutile, dunque – per non dire folle, coi tempi che corrono – insistere nell’aprire un secondo traforo, che costerebbe decine di miliardi, a carico di contribuenti stremati dalla crisi. Le autorità svizzere però ragionano, ingenuamente, come Galileo e Copernico, ignorando cioè che l’astrofisica di Roma e Parigi, Bruxelles e Francoforte è ancora e sempre quella di Tolomeo. A motivare così tenacemente i grandi decisori non è scienza, è verità di fede: gli egemoni non si chinano sul volgare cannocchiale per scoprire com’è davvero il cielo, a loro basta e avanza la certezza incrollabile del dogma, che sorregge la visione magica su cui si fonda il presente feudalesimo illuminato, affidato a una schiera di eletti, secondo cui, semplicemente, quella ferrovia della malora si deve fare, punto. Dio lo vuole. E se la plebe protesta, tanto meglio: imparerà, a sue spese, che la voce del padrone non ammette repliche. Gli ordini non si discutono. La legge è una sola, quella dell’obbediente sottomissione.Ingenui come gli svizzeri, anche i valsusini hanno obiettato, appellandosi alla ragione, ancora confidando in Galileo. Promossero studi, scovarono prove, sfilarono in cortei. Brandendo Copernico, nel lontano 2005 si accamparono in massa sui prati destinati al primo cantiere. Intervenne il governo, che li disperse con la forza (spedendoli all’ospedale). Poi cambiò il governo, ma non la teologia: anche per Prodi, come per Berlusconi, la Terra era sempre piatta e assolutamente immobile. Seguirono ancora Berlusconi, poi Monti, poi Letta, poi Renzi. Tutti devoti alla religione di Tolomeo. Nel frattempo, la situazione non fece che peggiorare: fu introdotto stabilmente il germe dell’ostilità, per coltivare con profitto il carburante della rabbia, foriero di nefaste conseguenze – per la plebe, non certo per gli arconti, i re-sacerdoti, i custodi del Sacro Tav. Ogni tanto alla plebe viene concesso qualche effimero sollievo (il voto, persino il referendum), ma l’impianto teologale resta là, granitico, immutabile. E’ sempre lui, il Signore della Banca, a stabilire il prezzo dei sudditi, inclusi i servitori intermedi e le loro precarie carriere.Così, la Talpa tolemaica ancora scava la sua buia galleria – tunnel geognostico, lo chiamano. Fin dove arriverà, nel suo slancio metafisico? Un tempo, l’antica cosmogonia del Tav ne attestava l’origine divina: sarebbe stato il segmento alpino di un Sommo Disegno, chiaramente provvidenziale, destinato a unire l’Atlantico al Mar della Cina: non più semplici sudditi, gli abitanti dell’area interessata dai futuri cantieri, ma entusiasti neo-cittadini, viaggianti, di una nuova repubblica onirica, la Tratta Kiev-Lisbona. Forse c’è stato qualche contrattempo (provvidenziale, anche quello) se oggi il mezzo di trasporto più in voga è diventato il barcone, la scialuppa. Ma guai a sottovalutare il Disegno: la Talpa è inarrestabile, può raggiungere qualsiasi latitudine sotterranea, dal Celeste Impero al Cremlino. Può scavare anche il fondale oceanico e raggiungere le lontane Americhe. Purché non sbuchi, per errore, alla Casa Bianca – a quel punto, forse, con un tweet, persino il Sacro Tav potrebbe fare la fine dell’F-35. Ma l’America è lontana, cantava qualcuno. E, da questa parte dell’Atlantico, nessuno – nemmeno a Roma, tra i più accesi outsider del Parlamento – ha ancora osato sfidare, per davvero, la teologia di Tolomeo e il feudalesimo dei nuovi Elohim, che s’illuminano d’immenso davanti al terminale elettronico che decreta vita e morte, il destino di interi bilanci, la fortuna e la rovina di interi popoli, a lungo illusi da un sogno chiamato democrazia.Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.
-
Riparare l’Italia? Impossibile, se gli Usa non vogliono
Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzoni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».Un giorno anche questo “impero” crollerà, come tutti gli altri, aggiunge Della Luna nel suo blog. Ma a farlo collassare non saranno certo i ragazzi di “Occupy Wall Street” o del movimento di Grillo. «Siamo inclini ancora oggi a pensare che i policy-makers, i decision-makers, siano tuttora gli Stati, i governi, i parlamenti». Ma in realtà «non lo sono più da molto tempo: essi sono controllati da chi li finanzia, detiene il loro debito, gli fa il rating». Siamo portati a pensare e a promettere: prendiamo la maggioranza assoluta e aggiustiamo le cose per il paese. Ma non funziona così: «I vincoli e i poteri esterni sono ampiamente preponderanti e dettano ciò che puoi e ciò che devi fare, e se non ottemperi ti fanno cadere, mobilitando mass media e giustizia». In piccolo, la falsa partenza della giunta Raggi a Roma dimostra la stessa verità: anche per cambiare le cose in una città non basta avere i voti, «bisogna fare i conti con interessi consolidati appoggiati da ampi settori istituzionali, mediatici e “religiosi”».Sul piano tecnico, continua Della Luna, i metodi per risanare il sistema bancario italiano e per rilanciare l’economia con idonei finanziamenti di ampio respiro sono già disponibili e più volte descritti. Ma, per introdurre riforme importanti, bisogna fare i conti con l’oste: «Chi avanza proposte di riforma di qualche rilevanza, soprattutto in ambiti economico-finanziari, geostrategici, scientifico-tecnologico (soprattutto energetici), dovrebbe preliminarmente verificare se il predetto consenso vi è o non vi è – il cosiddetto “Washington consensus” (e “Berlin consensus”), esponente degli interessi di quell’establishment finanziario-militare-politico che già Dwight Eisenhower indicava come incompatibile con la democrazia e che ancora prima Charles Wright Mills denominò “power elite”». Non se parla mai, «perché discuterne è sgradevole, scabroso». Chi fa proposte di riforma sostanziale dovrebbe prima verificare «quali siano gli spazi di manovra consentiti all’Italia dai vincoli esterni, e in primo luogo dai trattati di pace e relativi protocolli anche riservati, seguiti alla fine della II Guerra Mondiale, e configuranti per l’Italia una sovranità limitata in subordinazione agli Usa».Lo stesso vale per la Germania: «Ogni cancelliere tedesco, prima di assumere il suo ufficio, deve sottoscrivere la “Kanzlerakte”, ossia un impegno di obbedienza alla Casa Bianca». E un protocollo riservato del trattato di pace con gli Usa «attribuisce a questi la “Medienhoheit”, ossia la sovranità sui mass media tedeschi». Ma se la Germania è “previsto” che sia efficiente, per l’Italia le cose cambiano: Della Luna parla di «obblighi verso gli Usa che impongono all’Italia di restare inefficiente in determinati settori e di subire, nascondendolo all’opinione pubblica, prelievi di ricchezza e di altri assets da parte degli Usa o di loro soggetti imprenditoriali. Prelievi che si traducono in tasse e tagli». L’Italia, poi, è costretta a subire «la sistematica violazione delle regole fiscali europee» da parte della Germania, nonché «lo shopping delle sue aziende migliori». Abbiamo «subito passivamente l’attacco ai Btp per imporre il “regime change” nel 2011 con la leva dello spread». E fu il cancelliere Kohl, racconta Della Luna nel saggio “Polli da spennare” (Nexus, 2008) a frenare la riforma italiana dell’efficienza.Piatto forte, comunque, i nostri soldi da versare al sistema finanziario americano: «Negli anni ’90, i governanti italiani – costretti o corrotti – hanno stipulato con primarie banche statunitensi contratti derivati Irs del tipo “banca vince se tassi calano” quando già era determinato che sarebbero calati; quindi l’Italia, il contribuente italiano, sta pagando centinaia di miliardi di perdite su questi contratti, e questi pagamenti chiaramente costituiscono la corresponsione di un tributo alla potenza vincitrice da parte del paese sconfitto e sottomesso». Una pratica turpe, rinnovata «anche grazie all’“Europa”». Per non parlare degli F-35, aerei-rottame, o delle guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, «contrarie agli interessi italiani». La prima vittima? Enrico Mattei: «Fu ucciso mentre, come presidente dell’Eni, disturbava il cartello petrolifero angloamericano».L’indurre destabilizzazioni finanziarie, civili e politiche nei vari paesi della loro zona di influenza, a scopo di sottometterli e sfruttarne le risorse, è una prassi costante delle multinazionali americane, come ben illustrato e documentato da uno dei principali esecutori, John Perkins, nel saggio “Confessioni di un sicario dell’economia” (Minimum Fax). Gli Usa sono il peggior “Stato-canaglia” del pianeta? Già, ma «la sua forza imperiale e il suo controllo dell’informazione gli consente di non apparire tale, in superficie». Della Luna indica una direzione di ricerca, quella dei «protocolli riservati annessi ai trattati di pace e relativi al Piano Marshall». Se risulterà che ci sono e che non permettono le progettate riforme, allora è inutile insistere nel portarle avanti, conclude il saggista. Meglio, a quel punto, progettare «una vasta campagna globale di informazione su quei vincoli, sulla loro dannosità, sulla loro iniquità, al fine di contestare la loro validità e compatibilità coi diritti dell’uomo e coi principi democratici», in modo che americani (e tedeschi) scendano dal trono.Arrivano i nostri e sistemeranno tutto, con riforme dettate dal buon senso? Perfetto, in teoria. In pratica, però, non succede mai. Motivo? Semplice: le soluzioni esistono, ma non ci è permesso adottarle. Da chi? Dalla ristrettissima élite finanziaria che ha in mano il sistema economico. Le cose vanno male (per noi) perché così hanno deciso loro. Inutile illudersi che possa davvero cambiare qualcosa, dice l’avvocato Marco Della Luna, se prima non si stracciano i trattati di sudditanza verso gli Usa e, in Europa, verso la Germania, il vassallo incaricato di frenare – con la crisi indotta – lo sviluppo del vecchio continente, allo scopo di sabotarne la sovranità e quindi la vitalità. Il pericolo, per loro, è sempre lo stesso: la nostra libertà d’azione. «Un ristretto numero di grandi famiglie bancarie, cioè l’establishment angloamericano e poc’altro, detiene nel mondo il potere economico, quindi politico e militare; il suo consenso è indispensabile per ogni significativa riforma in ogni paese dell’area del dollaro. Impone spesso, nel proprio interesse, riforme contrarie all’interesse collettivo, come l’abolizione del Glass Steagal Act, e le mantiene anche dopo che si è manifestata la loro nocività».
-
Progettista: l’F-35 è un bidone, lo abbatte anche un Mig-21
Ho definito l’F-35 un bidone, assolutamente. E’ un bidone. E’ essenzialmente un pessimo aereo, perché è costruito su un’idea stupida. Nel momento in cui provi a progettare un aereo multi-missione, hai già fallito. Nel momento in cui cerchi di costruire un aereo che faccia supporto ravvicinato, combattimenti aria-aria, bombardamenti di interdizione profonda, e che voglia compiere una lista pressoché illimitata di compiti tecnologici, hai già fallito. Non otterrai mai un buon aereo, otterrai un catafalco tecnologico che porterà a un fallimento dietro l’altro. Per fare un esempio, ultimamente i marines hanno sviluppato una passione insensata per gli aerei a decollo verticale, da quando hanno avuto gli Harrier inglesi. Questo rende l’aereo molto tozzo, perché deve ospitare una ventola centrale che spinga l’aria verticalmente, per farlo decollare e atterrare in verticale. Ma con una sezione centrale così grossa ti ritrovi con troppa resistenza aerodinamica. Le ali molto piccole aiutano il decollo verticale, ma impediscono le manovre in combattimento: niente ali, niente virate. Nel duello aereo non ha speranze.Potete star certi che un Mig-21 progettato negli anni ‘50, oppure un vecchio Mirage francese, farebbe fuori in modo impietoso un F-35. Un velivolo da supporto aereo per le truppe? Questo è l’aspetto più ridicolo di tutti, perché per supportare le truppe devi poterti avvicinare molto, devi poter manovrare per riuscire a scoprire bersagli ben camuffati. Devi poter virare a velocità molto bassa. Devi avere una grossa mitragliatrice, come quella che ad esempio ha l’A-10, e devi poter restare nelle vicinanze delle truppe per 4-6 ore. Devi poter gironzolare nella zona, in modo da dargli veramente una copertura per tutta la giornata, fino a quando ce n’è bisogno. Questo è disperatamente impossibile con l’F-35, perché consuma decisamente troppo carburante: ti va bene se riesce a restare in zona per un’ora, un’ora e mezza al massimo. La sua manovrabilità è ridicola: con quell’aereo non si può certo “scendere tra i fili d’erba”, come dicono i piloti, né virare in tempo per individuare un carro armato.Alla velocità in cui deve viaggiare, per via delle ali molto piccole, questo aereo non può manovrare. E non può nemmeno volare lentamente – né dovrebbe farlo, in combattimento, perché si renderebbe vulnerabile. A cosa serve, allora, l’F-35? Assolutamente a niente: è un bidone. E’ anche un pessimo bombardiere. Essendo uno stealth, è progettato per trasportare le bombe al suo interno. Peraltro, va detto che la tecnologia stealth è una fregatura: semplicemente, non funziona. I radar costruiti nel 1942 potrebbero rilevare qualsiasi aereo stealth oggi esistente al mondo – i radar della “battaglia d’Inghilterra”: non che avessero qualcosa di speciale, ma funzionavano sulle onde molto lunghe. Qualunque radar della “battaglia d’Inghilterra” sarebbe in grado di avvistare l’F-35, ma anche l’F-22 e il bombardiere B-2. Qual è allora il compito dell’F-35? Far spendere soldi: questa è la sua unica missione. Serve a fare in modo che il Parlamento Usa mandi dei soldi alla Lockeed. E’ il vero compito dell’aereo.(Pierre Sprey, “L’F-35 è un bidone”, video-intervista pubblicata su YHo definito l’F-35 un bidone, assolutamente. E’ un bidone. E’ essenzialmente un pessimo aereo, perché è costruito su un’idea stupida. Nel momento in cui provi a progettare un aereo multi-missione, hai già fallito. Nel momento in cui cerchi di costruire un aereo che faccia supporto ravvicinato, combattimenti aria-aria, bombardamenti di interdizione profonda, e che voglia compiere una lista pressoché illimitata di compiti tecnologici, hai già fallito. Non otterrai mai un buon aereo, otterrai un catafalco tecnologico che porterà a un fallimento dietro l’altro. Per fare un esempio, ultimamente i marines hanno sviluppato una passione insensata per gli aerei a decollo verticale, da quando hanno avuto gli Harrier inglesi. Questo rende l’aereo molto tozzo, perché deve ospitare una ventola centrale che spinga l’aria verticalmente, per farlo decollare e atterrare in verticale. Ma con una sezione centrale così grossa ti ritrovi con troppa resistenza aerodinamica. Le ali molto piccole aiutano il decollo verticale, ma impediscono le manovre in combattimento: niente ali, niente virate. Nel duello aereo non ha speranze.