Archivio del Tag ‘Europa’
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Soleimani come Massud: ucciso l’eroe, seppellirai la pace
Qassem Soleimani era certamente un militare, un duro, ma era anche uomo di Stato, un consigliere politico insostituibile per la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei: in quella veste «ha dimostrato di essere un uomo di stabilizzazione, un tessitore, al pari della sua risolutezza come guerriero». Attenzione: nel 2001, un paio di giorni prima dell’11 Settembre, il leggendario guerrigliero afghano Ahmad Shah Massud venne ucciso in un attentato. Chi lo fece (il signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar, agente dell’Isi – l’intelligence pakistana, braccio operativo della Cia) sapeva benissimo che da lì a poco l’Afghanistan sarebbe stato invaso. I killer di Massud non volevano tra i piedi un eroe nazionale che rappresentasse un punto di stabilità per quel paese. «Chi ha ucciso Soleimani sa bene cosa sta per succedere e ha inteso togliere di mezzo preventivamente un perno di stabilità per tutta la regione». E’ l’analisi che Simone Santini offre, dal blog “Megachip”, per leggere tra le righe del caos scatenato dall’infame agguato terroristico statunitense, in territorio iracheno, costato la vita al leader dei Pasdaran, eroe nazionale iraniano e liberatore della Siria grazie alla storica sconfitta impartita al’Isis, la sanguinosa formazione terrorista sunnita finanziata e protetta dall’Occidente.Da Santini, uno sguardo disincantato e prospettico sul nuovo pericoloso incendio mediorientale, scatenato – colpendo l’Iran – per minare il possibile rafforzamento dell’asse tra Teheran e Pechino (e magari Mosca) nel quadro della “nuova guerra fredda” in corso (o, se si preferisce, Terza Guerra Mondiale a puntate). Già tre anni fa, all’indomani della elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, Santini elencava i compiti che sarebbero stati affidatio all’amministrazione Trump. Primo: ripristinare e proteggere l’economia interna, ricostruendo le sue basi fondamentali. Ovvero: Stati Uniti rimessi in pista come motore produttivo, manifatturiero, verso la piena occupazione, mettendo fine alle delocalizzazioni selvagge. Poi: distensione con la Russia, ma senza cedere nulla di quanto conquistato nel frattempo. Tradotto: «Congelamento dello status quo, fine delle aggressioni, reciproco rispetto formale e collaborazione laddove gli interessi fossero convergenti». Cruciale il capitolo Cina, come si è visto: massima competizione commerciale ed economica con Pechino, «ma senza spingere al momento sull’acceleratore del confronto militare». Sul medio periodo, prevedeva Santini, «si dovrà alzare sempre più l’asticella della competizione globale e porre Pechino davanti ad una scelta strategica: accettare la supremazia americana in cambio di una parziale condivisione dei dividendi dell’Impero oppure il confronto militare, sempre più aggressivo».E intanto: «Concentrarsi nell’immediato sullo scacchiere mediorientale, lo scenario più urgente». Dunque: «Fine della sponsorizzazione del jihadismo sunnita, che ha esaurito in quell’area la sua funzione, e spinta verso la democratizzazione delle petromonarchie del Golfo, a partire dall’Arabia Saudita. Il nemico principale, tuttavia – sottolineava Santini tre anni fa – torna ad essere lo sciismo politico e i suoi alleati, il cosiddetto asse della resistenza, e il suo centro nevralgico, l’Iran». Le linee di faglia su cui si sarebbe mossa l’amministrazione americana erano dunque ben visibili da subito, conferma oggi l’analista di “Megachip”. «Questi tre anni di presidenza, turbolenti, ci hanno poi confermato quelle direttrici e consentito di approfondire taluni approcci». In particolare, per quanto riguarda il confronto con l’Iran, «Trump è apparso bilanciarsi tra le due fazioni principali dello Stato Profondo statunitense che, semplificando e banalizzando, si potrebbero così riassumere: la fazione realista, “il partito dell’assedio”, per cui il nemico va accerchiato, logorato, ma non colpito a fondo perché poi diventa molto difficile ricomporre i cocci di quel che si è rotto; la fazione idealista, messianica, “il partito della guerra”, per cui vale il motto “colpisci per primo, colpisci due volte, e sui cocci pisciaci sopra”».Tra queste due posizioni “imperiali”, ne esistono tante altre, variegate e composite, e Trump è a cavallo di una di queste. «Nel gruppo di potere che lo ha portato alla Casa Bianca, ad esempio – scrive oggi Santini – ci sono quelli che vorrebbero concentrarsi esclusivamente sugli affari interni lasciando sullo sfondo il resto del pianeta, e le lobbies ultrasioniste il cui unico interesse è togliere di mezzo la Repubblica islamica iraniana». L’assassinio di Qasem Soleimani, secondo Santini, dimostra che il “partito della guerra” ha preso definitivamente il controllo della strategia nei confronti dell’Iran. «Se Trump abbia preso tale decisione o sia stato messo davanti al fatto compiuto sarà materia di dibattito per gli storici, ma non cambia la situazione», aggiunge l’analista. «In ogni caso, c’è chi ritiene prevalente l’ipotesi di una decisione diretta del presidente, soprattutto per scopi elettorali: creare un nemico esterno imminente lo aiuterebbe a tirarsi fuori dai guai interni, richiesta di impeachment e collaterali (va aggiunto che anche Israele è, di nuovo, in campagna elettorale, e questa tornata è esistenziale per Netanyahu ancor più che per Trump)». La tesi opposta è quella di un Trump che non vorrebbe lo scontro diretto, ma vi è spinto dai falchi del complesso militare-industriale. «Tutto più o meno plausibile», annota Santini: «Personalmente propendo per una ipotesi intermedia, rifacendomi anche ad un precedente storico», quello di Bill Clinton.Durante tutto il 1998, l’allora presidente vide montare in maniera virulenta lo scandalo Lewinsky, un sexgate che portò alla sua incriminazione per spergiuro ed ostacolo alla giustizia. «Clinton non aveva a cuore la crisi internazionale che si stava profilando all’orizzonte, il Kosovo: sapeva a malapena dove si trovasse». Poi, improvvisamente – continua Santini – nell’autunno inoltrato di quell’anno, «quando lo scandalo interno era al culmine, decise di mettere la crisi balcanica al centro della sua azione politica». Miracolo: «Altrettanto improvvisamente la crisi interna si sgonfiò». E la crisi del Kosovo, «da affare regionale, divenne affare globale». Si domanda Santini: «Furono molto bravi gli strateghi di Clinton a sviare l’attenzione o, piuttosto, il sexgate rivelò la sua vera natura?». Si trattò quindi di «uno strumento di pressione montato ad arte da alcuni centri di potere, per fare sì che il presidente, e alcuni altri centri di potere che egli rappresentava, portassero gli Stati Uniti in guerra». In altre parole: «Sventolando il Kosovo davanti a Clinton fu facile trovare un accordo win-win: tu ci dai la guerra e il sexgate finisce nel dimenticatoio». Mutatis mutandis, può essere accaduto lo stesso in questa fase tra Trump, i gruppi di potere del Deep State, l’impeachment e l’Iran.A questo punto, prosegue Santini nella sua analisi, si fa un gran discutere su quali potrebbero essere le future mosse degli iraniani: la preoccupazione di una escalation è fortissima e tangibile, visto che si temono ripercussioni drammatiche. «Alcuni analisti sostengono che gli Usa stiano scherzando col fuoco, che hanno commesso un errore fatale, che la politica estera statunitense è allo sbando, chiaro segnale del loro inarrestabile declino». Santini non è affatto d’accordo: «Ritengo invece che questa escalation, questa accelerazione di fase, sia stata lucidamente pianificata e perseguita». Infatti, le due conseguenze immediate che ha già prodotto «sono esattamente quelle che gli americani si attendevano». Tanto per cominciare, «l’Iran si è ritirato dall’accordo nucleare». Il governo di Rouhani-Zarif ha resistito fino all’ultimo: «Ha resistito alla denuncia unilaterale del trattato da parte americana, che lo rendeva di fatto vuoto, ha resistito alla imposizione di ulteriori pesantissime sanzioni che stanno avendo profondi effetti sulla società iraniana». I politici di Teheran «hanno più volte chiesto sostegno diplomatico agli immobili e tremebondi paesi europei, inutilmente».Ora, aggiunge Santini, «l’atto terroristico americano, una sorta di dichiarazione di guerra, ha colpito sotto la cintola la componente moderata del potere iraniano», che di fatto «non può più resistere alle pressioni della componente radicale senza esserne travolta sul piano interno». E così, «gli Stati Uniti hanno di nuovo lo strumento retorico e mediatico principe da brandire contro l’Iran e contro i riottosi alleati europei per giustificare le prossime aggressioni: la paura della bomba atomica in mano agli ayatollah (e poco importa se tale minaccia sia sempre stata inesistente, conta solo che venga percepita come tale)». La seconda conseguenza, poi, secondo Santini è molto sottile da interpretare: «Che il Parlamento iracheno abbia decretato la cacciata delle truppe straniere di occupazione dal paese potrebbe sembrare una sconfitta per gli americani, ma così non è». Il governo iracheno infatti è fragilissimo, di fatto dimissionario dopo le imponenti manifestazioni popolari contro corruzione e condizioni economiche dei mesi scorsi, represse a costo di centinaia di morti e migliaia di feriti, e che si sono interrotte solo in seguito alla promessa del premier Abdul-Mahdi di dimettersi. «Un governo in queste condizioni non ha la minima forza per imporre la decisione assunta contro gli Stati Uniti».L’Iraq si trova, oggettivamente, in una condizione di pre-guerra civile. «Se fossi uno stratega americano, o israeliano, farei il possibile per favorire tale drammatico esito», scrive Santini. Tutti nemici: iracheni contro curdi e sunniti contro sciiti, ma le divisioni interne travagliano le stesse componenti sciite. «Il mondo sciita non è monolitico», spiega Santini: «In particolare, la dottrina khomeinista ha prodotto al suo interno una profonda frattura di ordine religioso ma con importanti riflessi politici», dato che «religione e politica nell’Islam si intrecciano intimamente». In Iraq «esistono fazioni sciite radicali ma nazionaliste (la principale è quella che fa capo a Moqtada al Sadr) e fazioni sciite altrettanto radicali ma filo-iraniane (che si richiamano alla ideologia e organizzazione degli Hezbollah libanesi)». Gli sciiti nazionalisti iracheni – aggiunge Santini – mal sopportano (è un eufemismo) l’ascesa egemonica degli sciiti filo-iraniani in Iraq. Sicchè, lo scontro armato è all’ordine del giorno, visto che «questi partiti, gruppi e fazioni sono tutti strutturati in organizzazioni paramilitari». Dare la parola alle armi? «Sarebbe possibile se il paese sprofondasse nel caos», in una sorta di “tutti contro tutti” dagli esiti imprevedibili.In quel caso, conclude Santini, «l’Iran sarebbe risucchiato in questa guerra civile irachena e ne uscirebbe ulteriormente dissanguato». Dopo due guerre che hanno raso al suolo l’Iraq, emerge una verità di fondo: «Gli americani in questi lunghi anni di occupazione hanno dimostrato di non avere la forza militare sufficiente per imporre la loro egemonia, ma ce l’hanno a sufficienza per “controllare” una guerra civile, aperta o sotterranea, indefinitamente, finché fosse nel loro interesse». Ed ecco che, alla luce di questa analisi, risulta meno “folle” e incomprensibile l’efferata uccisione del grande tessitore carismatico Soleimani, che Santini – in modo davvero suggestivo – accosta alla fine, altrettanto atroce, che la longa manus terroristica degli Usa riservò al “leone del Panshir”, l’eroe nazionale afghano che (come il guerriero Soleimani) avrebbe avuto il prestigio, l’autorevolezza e la popolarità per imporre la pace, mettendo fine alle ingerenze internazionali nel suo tormentato paese. Ieri il comandante Massud, oggi il generale Soleimani: e i registi della morte provengono dalla medesima capitale, Washington.Qassem Soleimani era certamente un militare, un duro, ma era anche uomo di Stato, un consigliere politico insostituibile per la “guida suprema” dell’Iran, l’ayatollah Alì Khamenei: in quella veste «ha dimostrato di essere un uomo di stabilizzazione, un tessitore, al pari della sua risolutezza come guerriero». Attenzione: nel 2001, un paio di giorni prima dell’11 Settembre, il leggendario guerrigliero afghano Ahmad Shah Massud venne ucciso in un attentato. Chi lo fece (il signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar, agente dell’Isi – l’intelligence pakistana, braccio operativo della Cia) sapeva benissimo che da lì a poco l’Afghanistan sarebbe stato invaso. I killer di Massud non volevano tra i piedi un eroe nazionale che rappresentasse un punto di stabilità per quel paese. «Chi ha ucciso Soleimani sa bene cosa sta per succedere e ha inteso togliere di mezzo preventivamente un perno di stabilità per tutta la regione». E’ l’analisi che Simone Santini offre, dal blog “Megachip“, per leggere tra le righe del caos scatenato dall’infame agguato terroristico statunitense, in territorio iracheno, costato la vita al leader dei Pasdaran, eroe nazionale iraniano e liberatore della Siria grazie alla storica sconfitta impartita al’Isis, la sanguinosa formazione terrorista sunnita finanziata e protetta dall’Occidente.
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Cabras a Salvini: per gli sciiti, Soleimani era come Garibaldi
Per rendersi conto – da italiani – dell’impatto morale e politico dell’assassinio deciso da Donald Trump e dai suoi falchi, potremmo paragonare il generale Qasem Soleimani alla forza iconica celebratissima di un Giuseppe Garibaldi, ma senza gli sbiadimenti e le annacquature dei secoli che passano. Un Garibaldi contemporaneo, dunque, con l’audacia propria del militare di razza, ma dotato anche di un’aura da predestinato – percepita a livello popolare in molti paesi – assimilabile a quella di un difensore della giustizia disinteressato, una sorta di Paolo Borsellino del mondo sciita. Per le caratteristiche dello sciismo contemporaneo – molto propenso ad attualizzare nella Storia di oggi le proprie tradizioni e la propria identità più profonda – un’altra figura eroica e martire diventa un’indispensabile termine di paragone: l’Imam Hussein. Il che crea una saldatura dalla forza inimmaginabile tra fede e passione politica rispetto alle inaridite passioni occidentali. Donald Trump non ha decapitato una forza. Nell’ascoltare il suo partito della guerra ha invece appiccato, come i suoi predecessori, un incendio che non saprà spegnere, perché circonda il Medio Oriente di basi militari ma non lo capisce.Un incendio che costerà lutti e caos, e che va fermato spegnendo anche le complicità dei mentecatti. Fra questi includo quel Salvini che si dimostra una volta di più un sovranista di cartone con l’anima del vassallo che si vende per un piatto di lenticchie ai padroni da lui cercati spasmodicamente, un irresponsabile impreparato che mette da subito in pericolo migliaia di militari italiani in Libano e in Iraq. Occorre risollevare la capacità di analisi, mettere da parte i sovranisti di cartone e i bacia-pantofole, e capire immediatamente qual è il nostro preminente interesse nazionale in un momento di così gravi tensioni internazionali. L’epoca del comando unilaterale ha superato ogni soglia di pericolo. Va evitata ogni escalation del conflitto, a partire dai rischi di guerra civile in Iraq e in tutta la Mezzaluna sciita. Potrà riuscirci solo un sistema di relazioni multilaterali che coinvolga tutte le capitali che contano, con cui parlare e da far parlare immediatamente.(Pino Cabras, “Capire la gravità di un omicidio politico. Mettiamo da parte i sovranisti di cartone”, da “Megachip” del 4 gennaio 2020. Storico collaboratore di Giulietto Chiesa, Cabras è stato eletto deputato nel 2018 con i 5 Stelle ed è membro della commissione affari esteri della Camera. Ha pubblicato svariati saggi, tra cui “Balducci e Berlinguer. Il principio della speranza”, edito da La Zisa nel 1995, nonché “Strategie per una guerra mondiale. Dall’11 settembre al delitto Bhutto”, pubblicato da Aìsara nel 2008. Insieme allo stesso Chiesa, per Ponte alle Grazie, nel 2012 ha pubblicato “Barack Obush. La liquidazione di Osama, l’intervento in Libia, la manipolazione delle rivolte arabe, la guerra all’Europa e alla Cina: colpi di coda di un impero in declino”. Veemente, lo scorso anno, la sua denuncia delle violenze scatenate a Caracas dai seguaci di Juan Guaidò, appoggiato dagli Usa, nel tentativo di rovesciare il presidente venezuelano Nicolas Maduro).Per rendersi conto – da italiani – dell’impatto morale e politico dell’assassinio deciso da Donald Trump e dai suoi falchi, potremmo paragonare il generale Qasem Soleimani alla forza iconica celebratissima di un Giuseppe Garibaldi, ma senza gli sbiadimenti e le annacquature dei secoli che passano. Un Garibaldi contemporaneo, dunque, con l’audacia propria del militare di razza, ma dotato anche di un’aura da predestinato – percepita a livello popolare in molti paesi – assimilabile a quella di un difensore della giustizia disinteressato, una sorta di Paolo Borsellino del mondo sciita. Per le caratteristiche dello sciismo contemporaneo – molto propenso ad attualizzare nella Storia di oggi le proprie tradizioni e la propria identità più profonda – un’altra figura eroica e martire diventa un’indispensabile termine di paragone: l’Imam Hussein. Il che crea una saldatura dalla forza inimmaginabile tra fede e passione politica rispetto alle inaridite passioni occidentali. Donald Trump non ha decapitato una forza. Nell’ascoltare il suo partito della guerra ha invece appiccato, come i suoi predecessori, un incendio che non saprà spegnere, perché circonda il Medio Oriente di basi militari ma non lo capisce.
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Patto col diavolo: perché Trump ha ucciso il nemico dell’Isis
Un colpo al cerchio e uno alla botte: prima Al-Baghdadi, poi il maggiore nemico dell’Isis. Gianfranco Carpeoro accusa Donald Trump di aver ceduto ai veri sponsor del terrorismo islamico, nel decretare l’uccisione del generale Qasem Soleimani. Assassinando a Baghdad il leader iraniano, che aveva combattuto in modo determinante in Siria contro le milizie jihadiste, il capo della Casa Bianca ha provato a placare la rabbia degli azionisti occulti dell’Isis annidati nel Deep State americano, furibondi con Trump per la recente eliminazione del loro uomo, il “califfo” dello Stato Islamico. Lo stesso Carpeoro punta il dito contro la superloggia “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush, nella quale avrebbero segretamente militato sia Osama Bin Laden che Ibrāhīm al-Badrī, meglio noto come Abu Barkr Al-Baghdadi, estremista islamico stranamente rilasciato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca perché potesse poi assumere la guida del sanguinario Califfato. Sarebbe il caso che qualcuno spiegasse a Matteo Salvini, entusiasta dell’omicidio di Soleimani, che Trump ha fatto uccidere il nemico numero uno del terrorismo islamico, l’uomo più temuto dall’Isis. E l’ha fatto per garantirsi il supporto della peggior destra reazionaria americana, in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Il sangue di Soleimani allontanerà il pericolo di impeachment?Avvocato di lungo corso, Carpeoro (all’anagrafe, Pecoraro) è un eminente studioso di simbologia, autore di romanzi sui Rosa+Croce e di saggi particolamente scomodi. Nel libro “Il compasso, il fascio, la mitra” ha messo in luce i rapporti inconfessabili tra fascismo, massoneria e Vaticano, svelando retroscena inediti grazie ad archivi massonici riservati: per esempio, nel libro si spiega come l’omicidio Matteotti fu organizzato dal faccendiere massone Filippo Naldi, dopo che Matteotti (a sua volta massone) aveva scoperto, a Londra, che era stato il Re, Vittorio Emanuele III, il maggior beneficiario della maxi-tangente versata dalla Standard Oil dei Rockefeller per ottenere il monopolio delle forniture di petrolio per l’Italia fascista. In un altro saggio, “Dalla massoneria al terrorismo”, Carpeoro rivela il codice simbolico interamente massonico (e non islamico) nascosto dietro agli attentati dell’Isis in Europa, messi a segno con la copertura di servizi segreti compiacenti. Strategia della tensione: al vertice della sovragestione, osserva Carpeoro, c’è un’élite supermassonica reazionaria imbevuta di suprematismo, incluso quello riflesso nella teoria della “sinarchia” elaborata a fine ‘800 dal marchese francese Saint-Yves d’Alveydre, secondo cui solo un’oligarchia “illuminata” ha il diritto-dovere di decidere per il popolo, incapace di autogovernarsi in modo democratico.Questa “filosofia” è stata incarnata nel secondo ‘900 da potentissime superlogge come la “Three Eyes” di Kissinger, grande regista del golpe cileno contro Salvador Allende. Un quarto di secolo dopo, lo stesso giorno – l’11 settembre – sono crollate le Torri Gemelle: atto d’inizio della “guerra infinita” che, dopo la caduta dell’Urss, ha letteralmente terremotato il pianeta, e in particolare il Medio Oriente. In prima linea, tra gli sponsor del “neoterrorismo” ci sarebbe la superloggia “Hathor Pentalpha” fondata da Bush padre nel 1980, reclutando anche importanti politici europei come l’inglese Tony Blair (da cui le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam) e il francese Nicolas Sarkozy, protagonista della fine di Gheddafi. Nella “Hathor” militerebbe anche il turco Erdogan, fino a ieri grande protettore dell’Isis in Siria, tra i massimi padrini di Al-Baghdadi. E sarebbe stata proprio la “Hathor”, secondo Carpeoro, a premere su Trump dopo l’uccisione del “califfo”, per eliminare il prestigioso generale Soleimani, eroe nazionale dell’Iran e bestia nera dei terroristi islamici. In cambio, i boss della “Hathor” avrebbero garantito a Trump il loro appoggio, a partire dalle incognite dell’impeachment al Senato. Una mossa determinante, quindi, che permetterebbe a Trump di incassare anche l’appoggio dell’inflente “lobby ebraica”, che spinge da sempre per ridimensionare l’Iran.Secondo Carpeoro, i poteri opachi che agiscono all’ombra della Casa Bianca e controllano gangli vitali della politica statunitense starebbero riorganizzando e rifinanziando l’Isis, dopo la pesante sconfitta che il terrorismo ha subito in Siria a opera della Russia e delle forze speciali iraniane del generale Soleimani. Prima o poi, sostiene sempre Carpeoro, verranno allo scoperto le prove del fatto che la medesima cupola di potere, incarnata dalla “Hathor Pentalpha”, ha direttamente organizzato il maxi-attentato dell’11 Settembre. Ma il momento della verità sembra rinviato, e nel frattempo tornano a moltiplicarsi gli attentati-kamikaze, per ora su scala ridotta. Alla vigilia di capodanno, è stato Trump ad avvertire i russi di un maxi-attentato in preparazione a San Pietroburgo, che avrebbe potuto provocare una strage di vaste proporzioni. Lo stesso Trump, che si è vantato dell’eliminazione di Al-Baghdadi, è però “costretto” oggi a rivendicare anche l’uccisione di Soleimani, che gli sarebbe stata imposta proprio da quel Deep State che, a quanto pare, ha ancora intenzione di utilizzare il terrorismo “false flag” targato Isis per i suoi inconfessabili obiettivi geopolitici e affaristici. La “Hathor” avrebbe dunque il potere di piegare all’occorenza anche la Casa Bianca, contando comunque sul cinico opportunismo di Trump: è un patto col diavolo, quello che lo scodinzolante Salvini finge di scambiare per fermezza.Un colpo al cerchio e uno alla botte: prima Al-Baghdadi, poi il maggiore nemico dell’Isis. Gianfranco Carpeoro accusa Donald Trump di aver ceduto ai veri sponsor del terrorismo islamico, nel decretare l’uccisione del generale Qasem Soleimani. Assassinando a Baghdad il leader iraniano, che aveva combattuto in modo determinante in Siria contro le milizie jihadiste, il capo della Casa Bianca ha provato a placare la rabbia degli azionisti occulti dell’Isis annidati nel Deep State americano, furibondi con Trump per la recente eliminazione del loro uomo, il “califfo” dello Stato Islamico. Lo stesso Carpeoro punta il dito contro la superloggia “Hathor Pentalpha”, fondata dai Bush, nella quale avrebbero segretamente militato sia Osama Bin Laden che Ibrāhīm al-Badrī, meglio noto come Abu Barkr Al-Baghdadi, estremista islamico stranamente rilasciato nel 2009 dal centro di detenzione iracheno di Camp Bucca perché potesse poi assumere la guida del sanguinario Califfato. Sarebbe il caso che qualcuno spiegasse a Matteo Salvini, entusiasta dell’omicidio di Soleimani, che Trump ha fatto uccidere il nemico numero uno del terrorismo islamico, l’uomo più temuto dall’Isis. E l’ha fatto per garantirsi il supporto della peggior destra reazionaria americana, in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Il sangue di Soleimani allontanerà il pericolo di impeachment?
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Renzi, Grillo e il nullivendolo Conte: un decennio senza eredi
Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».All’epoca, scrive Veneziani su “La Verità”, passava per statista Gianfranco Fini, da quando si era messo contro il Cavaliere. «La sua parabola finì presto e nel peggiore dei modi possibili, perfino peggio di quanto si potesse prevedere considerata la sua inconsistenza». Finì male pure la parabola di Bossi. E finì il centrodestra, «mentre il paese si consegnava al governo dei tecnici, sotto la sorveglianza dell’Europa». Così nacque il “tecnomontismo”: i tecnocrati, «di buon nome e di gran curricula», chiamati per riparare i danni, «lasciarono un’impronta nefasta», rivelandosi «abbastanza funesti e feroci nello stremare il paese, tassarlo, metterlo in ginocchio e diffondere un’atmosfera di catastrofe e depressione nazionale». Ne uscimmo malconci col breve governo Letta di eurosinistra, «che fu una pallida transizione tra i tecnici e il ritorno della politica, naturalmente da sinistra». Cominciò allora, senza passare dalle urne, la veloce parabola di Renzi: non durò neanche un triennio, «ma in quel tempo sembrò inaugurare un’era, perlomeno un ciclo, vista anche la sua giovane età, la sua energia e il crescente consenso».Renzi, ricorda Veneziani, non aveva rivali né a destra né a manca, «e infatti il peggior rivale di Renzi fu Renzi stesso, che distrusse il suo alter ego per troppo ego: la sua prepotenza accentratrice, il suo voler strafare, stravincere, stracomandare». Ci fu un momento, in effetti, in cui «avrebbe potuto compiere una svolta decisiva: quando annunciò il partito della nazione, lasciando a sinistra i vecchi dinosauri comunisti e la sinistra radicale e spostandosi al centro con un partito trasversale». Ma non ebbe il coraggio di andare fino in fondo, scrive Veneziani. «Stressò il paese in una guerra di rottamazione globale, uno contro il Resto del mondo, fino a che il mondo lo fece a pezzi». Poi annunciò di ritirarsi dalla politica, senza però mai farlo. «Provato così in un quinquennio tutto l’arco delle possibilità – berlusconismo, finto futurismo finiano, sinistra bersaniana, tecnici e sinistra napoleonica renziana – la politica lasciò il passò al dilettantismo assoluto e dannoso dell’antipolitica, interpretato da un comico, una piattaforma, una lobby e una banda di sciamannati o scappati di casa».Così avvenne il prodigio del Movimento 5 Stelle diventato primo “partito”, soprattutto al sud. «Un fenomeno senza precedenti, ma non senza conseguenze: letali». La prima sorpresa fu, un anno e mezzo fa, l’alleanza populista e teoricamente antieuropeista tra i grillini e i leghisti di Salvini. «Un esperimento ardito, preoccupante non solo per l’Unione Europea, ma che destava curiosità e comunque segnava la sconfitta del tardo bipolarismo ma anche un superamento dei berlusconismi destrorsi e sinistrorsi, come quello renziano». L’esperimento populista-sovranista fu tenuto in vita artificialmente per un anno, facendo crescere a dismisura la popolarità di Salvini. «Poi esplose, incautamente, per una valutazione sbagliata di Salvini e una mossa a sorpresa di Renzi. Fino a che si giunse al più raccapricciante mostro dei governi italiani repubblicani, quello grillo-sinistro, che accompagna la fine del decennio». Per Veneziani è «il peggiore che si potesse avere, perché la faziosità intollerante della cupola di sinistra, col suo antifascismo di risulta e di riporto, si è unita alla dannosa ignoranza dei grillini, incapaci di tutto, e nel modo peggiore».Degna sintesi di quell’unione fu lo stesso premier Giuseppe Conte, «assunto come figurante nel precedente governo, venuto dal nulla e nullivendolo egli stesso, che con ripugnante trasformismo passò da guidare l’alleanza con Salvini a guidare l’alleanza antisalviniana, con la sinistra di cui ora si professa simpatizzante». I risultati sono sotto gli occhi (piangenti) di tutti: il decennio, nato sotto la stella (un tempo rossa) di Giorgio Napolitano, è finito «sotto la parrucca bianca di Sergio Mattarella». Nel decennio le abbiamo provate tutte, eccetto il sovranismo: grande incognita, «ma è l’unica via che non abbia ancora avuto esiti fallimentari». Eppure, per l’establishment sembra «la sciagura suprema, decretata a priori, da evitare a ogni costo». E ora che il decennio si è concluso, chiosa Veneziani nella sua analisi, il paese è sospeso nel vuoto: appeso al nulla.Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».
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Politica zero: vaccini, 5G, Ilva e Tav. Italiani, arrangiatevi
La rete wireless 5G prevede l’interazione di un milione di “device” elettronici per ogni chilometro quadrato. L’accademico svedese Olle Johansson, neuroscienziato, avverte: il danno biologico causato dai campi elettromagnetici come quelli emessi dai telefoni cellulari è già stato dimostrato in modo schiacciante. In Italia, 4 milioni di persone sono state sottoposte in modo semiclandestino alla sperimentazione del 5G. Il governo rinuncia al “principio di precauzione” prescritto dalla stessa Ue, ben sapendo che soltanto fra tre anni si avranno notizie precise e definitive riguardo al forte impatto del 5G sul corpo umano. La decisione: si procede con l’estensione a tappeto della nuova rete, salvo poi eventualmente valutarne gli effetti collaterali (a posteriori). C’è un partito – uno solo – che abbia preso in seria considerazione il problema? Per la prima volta nella storia, quest’anno 130.000 bambini italiani sono stati esclusi dai nidi e dagli asili, non essendo stati vaccinati. Dopo le iniziali reazioni sul “mostruoso” decreto Lorenzin, il successivo governo gialloverde non ha rimosso l’obbligo vaccinale, imposto in assenza di emergenze sanitarie.In Puglia – unica Regione ad aver monitorato il fenomeno – ben 4 bambini su 10 hanno subito reazioni avverse alla vaccinazione. Negli Stati Uniti, ammonta a 4 miliardi di dollari la somma finora sborsata dallo Stato per risarcire i danneggiati da vaccino (per legge, dagli anni ‘80, negli Usa le aziende che producono vaccini non solo legalmente perseguibili). Chi se ne sta occupando, un Italia? Quale partito, forza politica, movimento politico? In valle di Susa, la Guardia di Finanza ha sequestrato una enorme discarica di materiale pieno di amianto nel sito che avrebbe dovuto ospitare il nuovo cantiere Tav. Di recente, è stato arrestato (per voto di scambio con la ‘ndrangheta) l’assessore regionale Roberto Rosso, tra i più accesi supporter del Tav. E la politica nazionale? Ha semplicemente archiviato l’analisi del progetto Torino-Lione, scandalosamente inutile, nell’ultimo periodo servito solo – in modo strumentale – per opporre 5 Stelle e Lega. In quei monti, ricchi di amianto e di uranio, si scaverà il tunnel ferroviario più ridicolo d’Europa. Un binario che nasce morto, e che simboleggia la desolante deriva del paese, guidato dal fantasma-Conte.Ammainate le bandiere grilline, chi è rimasto oggi a contestare un cantiere fermo tuttora ai preliminari, destinato a costruire un’infrastruttura devastante per l’ambiente, costosissima e senza futuro, i cui appalti fanno gola a tutte le mafie della penisola? Lacrime di coccodrillo, invece, sul caso Ilva, con la popolazione di Taranto – operai e abitanti – nella tenaglia del ricatto: lavoro o salute, stipendio o cancro. Rimettere l’acciaio nella mani dello Stato? Certo, probabilmente sarebbe la soluzione ideale: ma non ci sono i soldi, perché non c’è una politica che li pretenda. A dire il vero, non c’è una politica che governi in modo trasparente e responsabile nemmeno il problema-vaccini, o l’avvento del 5G. Non c’è ombra di democrazia, in tutto questo. Sovranità, cittadinanza: non c’è niente. Nessuna forza è in campo per ripensare la governance del paese insieme ai cittadini, cominciando innanzitutto col dare risposte ai problemi più eclatanti che li affliggono. Non c’è bisogno di aggiungere che nulla di tutto ciò, naturalmente, compare neppure di striscio nei programmi dell’ultima italica barzelletta, l’imbarazzante fenomenologia della Sardine.La rete wireless 5G prevede l’interazione di un milione di “device” elettronici per ogni chilometro quadrato. L’accademico svedese Olle Johansson, neuroscienziato, avverte: il danno biologico causato dai campi elettromagnetici come quelli emessi dai telefoni cellulari è già stato dimostrato in modo schiacciante. In Italia, 4 milioni di persone sono state sottoposte in modo semiclandestino alla sperimentazione del 5G. Il governo rinuncia al “principio di precauzione” prescritto dalla stessa Ue, ben sapendo che soltanto fra tre anni si avranno notizie precise e definitive riguardo al forte impatto del 5G sul corpo umano. La decisione: si procede con l’estensione a tappeto della nuova rete, salvo poi eventualmente valutarne gli effetti collaterali (a posteriori). C’è un partito – uno solo – che abbia preso in seria considerazione il problema? Per la prima volta nella storia, quest’anno 130.000 bambini italiani sono stati esclusi dai nidi e dagli asili, non essendo stati vaccinati. Dopo le iniziali reazioni sul “mostruoso” decreto Lorenzin, il successivo governo gialloverde non ha rimosso l’obbligo vaccinale, imposto in assenza di emergenze sanitarie.
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Tutti i mafiosi sono Sì Tav: la ‘ndrangheta nella Torino-Lione
Non tutti i SìTav sono mafiosi, certo. In compenso, tutti i mafiosi sono Sì Tav. Lo afferma il sociologo Marco Revelli su “Volere la Luna”, mettendo in ridicolo le Madamine e la massa in arancione mobilitata soprattutto dal Pd attraverso Sergio Chiamparino, raccontando che il Piemonte rimarrebbe isolato dall’Europa se non si costruisse l’inutile ferrovia Torino-Lione, doppione perfetto dell’attuale linea italo-francese che già attraversa la valle di Susa. Cos’è successo, nel frattempo? Una serie di arresti hanno permesso di far emergere il retroterra mafioso che inquinerebbe molti appetiti cantieristici. «A differenza di tanta brava gente», scrive Revelli, i mafiosi «non hanno falsa coscienza e non credono alle favole». Ovvero: «Sanno benissimo che un’opera inutile, dannosa, e soprattutto molto, ma molto, costosa, serve solo a chi la fa. E fanno di tutto per essere tra chi la fa». Revelli sottolinea il recente arresto di Roberto Rosso, esponente del centrodestra piemontese, tra i più accaniti supporter della Torino-Lione: «E’ accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” per l’acquisto di pacchetti di voti da rappresentanti di primo piano in Piemonte della cosca dei Bonavota (nomen atque omen) di Vibo Valentia». Insieme al collega Agostino Ghiglia, ricorda Revelli, il 20 maggio proprio Rosso aveva srotolato dal balcone del municipio di Torino uno striscione SìTav e il simbolo “Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia”.Lo stesso Rosso aveva esortato il centrodestra a non disertare la seconda manifestazione delle Madamine, il 17 maggio, per non lasciare al solo Chiamparino «il verbo SìTav» (per Forza Italia ci sarà Lara Comi, ora arrestata «con l’accusa di corruzione e truffa ai danni dell’Ue», e per il Pd sarà presente Maria Elena Boschi). Ancora lo scorso 10 novembre, continua Revelli, Rosso (nel frattempo promosso assessore regionale “alla legalità” nella giunta di Alberto Cirio), aveva festeggiato il compleanno della prima manifestazione SìTav «con una bicchierata insieme al collega Mino Giachino e al forzista Paolo Zangrillo, ancora una volta invocando il pugno duro della “giustizia” contro i delinquenti dei centri sociali e i “fautori dell’illegalità” della val di Susa». Mai fare d’ogni erba un fascio, ammette Revelli, per di più se – nel caso di Rosso – si parla di un procedimento giudiziario ancora all’inizio, ben lontano da una condanna. «Sono convinto che, in quella piazza sbagliata, erano certo tante le persone in buona fede, quelli che credevano davvero alla “fake” secondo cui senza il super-treno e soprattutto il super-tunnel da 57 chilometri Torino resterebbe del tutto scollegata dall’Europa», scrive Revelli. In tanti s’erano bevuto la bufala di Chiamparino, «secondo cui al fondo di quella galleria si potrebbe contemplare il sol dell’avvenire anziché il ghigno degli affaristi transfrontalieri».Di fatto, però, «dal momento in cui sono incominciate le maxi-indagini sulla penetrazione della ‘ndrangheta in Piemonte, non ce n’è stata una che non abbia tirato nella rete qualche pesce più o meno grosso di ‘ndrina coinvolto con gli appalti Tav o fortemente interessato ad essi, tanto da interferire più o meno pesantemente con le politiche locali, comunali, regionali, di valle o di comprensorio». Così – continua Revelli – è stato per la maxi-indagine “Minotauro”, in cui era incappato Giovanni Toro, condannato a sette anni (quello del «la mangio io la torta Tav»), la cui ditta aveva asfaltato la strada per i mezzi della polizia nel cantiere della Val Clarea «e il cui uomo di fiducia, Bruno Iaria (condanna a cinque anni), capo della locale ‘ndrina di Cuorgné, era stato capocantiere per la ditta di Fernando Lazzaro (anch’egli finito in carcere) che eseguiva i primi lavori di insediamento a Chiomonte». Così anche per l’indagine “San Michele” della procura di Torino, che portò a rivelare le azioni intimidatorie compiute dalla ‘ndrina di San Mauro Marchesato al fine di favorire ditte vicine «agli interessi della cosca nei lavori di costruzione della Tav Torino-Lione». In quel caso, aggiunge Revelli, è stata la stessa Corte di Cassazione a certificare che «la ‘ndrangheta era interessata a lavori di costruzione del Tav Torino-Lione in valle di Susa».L’ultima retata, nell’ambito dell’inchiesta “Fenice”, non ha portato solo all’arresto di Rosso: ha scoperchiato anche «un fitto intreccio di interessi, da parte della ‘ndrangheta, a che i lavori per il Tav in valle Susa riprendessero e “il cantiere di val Clarea andasse avanti”». Interessi documentati dall’impegno di due presunti ‘ndranghetisti di rango, Francesco Viterbo (quello che dice «io i giudici li metterei tutti sopra una barca e poi gli sparerei») e Onofrio Garcea, «figura importante della ’ndrangheta a Genova (condannato in attesa di Cassazione), ma da tempo attivo a Torino», dove sarebbe stato «spedito a riorganizzare le file dell’organizzazione mafiosa nell’area di Carmagnola, scompaginate a marzo dall’operazione “Carminius”». C’erano anche loro, nella piazza torinese delle Madamine, a tutelare i propri affari futuri? Forse, semplicemente, «se ne stavano tranquilli a casa a sghignazzare – come gli imprenditori ignobili per il terremoto dell’Aquila – a vedere tanta brava gente lavorare per loro e a contemplare lo scempio paesaggistico e sociale del cantiere in Val Clarea».Non tutti i SìTav sono mafiosi, certo. In compenso, tutti i mafiosi sono Sì Tav. Lo afferma il sociologo Marco Revelli su “Volere la Luna“, mettendo in ridicolo le Madamine e la massa in arancione mobilitata soprattutto dal Pd attraverso Sergio Chiamparino, raccontando che il Piemonte rimarrebbe isolato dall’Europa se non si costruisse l’inutile ferrovia Torino-Lione, doppione perfetto dell’attuale linea italo-francese che già attraversa la valle di Susa. Cos’è successo, nel frattempo? Una serie di arresti hanno permesso di far emergere il retroterra mafioso che inquinerebbe molti appetiti cantieristici. «A differenza di tanta brava gente», scrive Revelli, i mafiosi «non hanno falsa coscienza e non credono alle favole». Ovvero: «Sanno benissimo che un’opera inutile, dannosa, e soprattutto molto, ma molto, costosa, serve solo a chi la fa. E fanno di tutto per essere tra chi la fa». Revelli sottolinea il recente arresto di Roberto Rosso, esponente del centrodestra piemontese, tra i più accaniti supporter della Torino-Lione: «E’ accusato di “scambio elettorale politico-mafioso” per l’acquisto di pacchetti di voti da rappresentanti di primo piano in Piemonte della cosca dei Bonavota (nomen atque omen) di Vibo Valentia». Insieme al collega Agostino Ghiglia, ricorda Revelli, il 20 maggio proprio Rosso aveva srotolato dal balcone del municipio di Torino uno striscione SìTav e il simbolo “Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia”.
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L’ennesimo anno disastroso, che stavolta ci aprirà gli occhi
Quali prove ci attendono, come umanità, per il 2020? Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali. Continueranno a sforzarsi di devastare la Natura, l’Arte, la Scienza, la Cultura, l’Economia, la Politica, il Diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane… E nel farlo continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte. Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza. Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan».Queste stesse tendenze si sono manifestate anche nel 2017, nel 2018 e nel 2019. E certamente continuerà in questo modo nel 2020, aggiungendo l’aggravarsi prevedibile del contrasto interislamico sciiti-sunniti, e quello inter-sunnita tra il fronte guidato dal Qatar ed il fronte guidato dall’Arabia Saudita. Proprio i due fronti che stanno ora producendo la pericolosa crisi libica a due passi dalle nostre coste. E sempre nel 2015-2016-2017 scrivevamo: «La guida occulta mondiale rimarrà saldamente nelle mani della piramide gesuita-massonica, anche se il superiore gioco del divide et impera comincerà a creare fratture competitive anche in questo fronte». Questo è con grande precisione quello che è poi avvenuto e che avrà ulteriori sviluppi nel 2020. La Brexit, la presidenza Trump, il ruolo dei sovranisti solo apparentemente anti-sistema, le manifeste debolezze del quadro intereuropeo, i fallimenti e le spaccature del Pd e del 5 Stelle, il risorgere delle destre parafasciste, le forti voci di dissenso a Papa Francesco nelle gerarchie cattoliche…Questi e numerosi altri segnali mostrano con evidenza che il blocco granitico di potere gesuita massonico – sia pure ancora dominante – ha comunque delle forti incrinature. Indispensabili per il gioco del “divide et impera” dei grandi poteri oscuri, e quindi foriere di forti tempeste, di feroci scontri, ma anche di maggiori spazi per la libertà delle coscienze. Come già per lo scorso anno, la presidenza Trump appare come un elemento di forte rottura degli equilibri precedenti, e continuerà ad avere certamente un ruolo destabilizzante. Come dimostrano le prese di posizione filo-sioniste su Gerusalemme, l’attiva campagna industrialista e antiecologista, le guerre commerciali al resto del mondo e l’aperto sostegno ai peggiori ambienti economici americani. Da una parte sarà il più forte ostacolo ai disegni di dominazione del gruppo gesuita-massonico, ma dall’altra anche un elemento amplificatore di forme-pensiero degradanti, aggressive, violente, antiumane. Una modalità molto diversa da quella “gesuitica”, fredda e apparentemente “buona”, ma sempre per fini manipolatori. Che tuttavia già da qualche anno non stava dando i risultati sperati di “seduzione” ampia ed efficace dell’opinione pubblica.Di fronte alle varie risposte positive delle coscienze in risveglio, che non si sono fatte sedurre più di tanto dai disegni di centralizzazione e verticalizzazione, i gruppi di manipolazione mondialisti hanno ormai chiaramente deciso di puntare su un periodo di emergenze e di spaccature, che prepari il terreno in modo forzoso ad una nuova, successiva spinta alla centralizzazione ed ad una ulteriore perdita di libertà e sovranità locali. Visto che non ci convinciamo con le “buone”, loro stanno liberando nuovamente i “cattivi” evidenti, e hanno riaperto il ring degli scontri e della devastazione. I Trump e i Salvini svolgono proprio questa funzione. Il ruolo di Putin va interpretato nella stessa direzione. Non si tratta di un “salvatore”, come molti in modo ingenuo interpretano il ruolo di questo sanguinario feudatario del potere, ma di una delle pedine fondamentali del “divide et impera” che si affaccia come nuova stagione della manipolazione, e che vedremo svilupparsi ancora nel 2020.Anche in Italia il patto d’acciaio gesuita-massonico, che ha prodotto papato e renzismo, e che ha falcidiato le fila dei vecchi avversari politici ed economici, sia ai livelli locali che nazionali, ha cominciato nel 2018 e 2019 a mostrare alcune crepe. Il gioco politico – con la evidente crisi dello sfrontato e ridicolo renzismo, e del decotto Pd – si è riaperto, come prevedevamo già dal 2017. L’influenza della presidenza Trump e degli ambienti conservatori internazionali si è già fatta sentire negli equilibri politici italiani, con l’improvviso risorgere della destra leghista. Una destra che, dietro la sentita esigenza di ordine e sicurezza, nasconde ed esercita una sollecitazione anti-coscienza all’odio e all’egoismo. E avevamo scritto che avremmo probabilmente visto un cinquestelle chiaramente indirizzato a cercare di agguantare le poltrone di comando di Palazzo Chigi. E avevamo anticipato che, qualora questo fosse avvenuto, la dirigenza M5S avrebbe svelato il proprio vero volto di strumento del potere, di nuovi camuffamenti manipolatori delle solite vecchie congreghe.Una presidenza del Consiglio ed altri incarichi di governo nelle mani di uomini chiaramente vicini ai gesuiti, e le stupefacenti virate in senso filo-americano, filo-Nato, filo-euro, filo-Unione Europea, filo-finanza internazionale, filo-vaccini, filo-spese militari, filo-Tap e altro, la dicono lunga su chi veramente si cela dietro gli impulsi sani di tanti bravi ragazzi. Bravi idealisti, illusi per anni dalle seduttive parole di una maschera, Grillo, ormai ridotta al silenzio o a incomprensibili deliri di parole vuote. E che sono e saranno i primi a soffrire per i brutali “tradimenti”, che vedremo crescere e farsi evidenti – a beneficio delle coscienze – anche nel 2020. Nel 2018-2019 queste due appendici italiane del divide et impera mondiale, la destra parafascista della Lega e il gesuitico cinquestelle, hanno convissuto con difficoltà nel governo, pur di sostituire la classe dirigente precedente, ormai decotta e non più utile al potere vero. E hanno preparato il terreno per l’attuale stagione di un nuovo teatro di finta alternanza democratica, nel quale la Lega si pone come guida della destra egoica e conservatrice e un M5S in decomposizione – insieme al Pd – come nuova sinistra fintamente progressista.Un nuovo teatrino fatto per illuderci che un cambiamento della politica sia avvenuto, concedendo qualcosa alle masse e sacrificando con nostra soddisfazione vecchi gruppi politico-affaristici – anche a colpi di magistratura – pur di consentire ai soliti poteri occulti di continuare a gestire e manipolare la struttura istituzionale politica, economica, scientifica e culturale. Il progetto di Unione Europea, entrato negli scorsi anni in una fase di crisi, cerca ora di riprendere la corsa alla centralizzazione anti-umana. L’uscita dei riottosi britannici dall’Ue e di Salvini dal governo favorisce la ripresa di un programma di verticalizzazione molto forte per i prossimi anni. Le spinte sovraniste non sono state sufficienti a determinare equilibri diversi nel nuovo Parlamento Europeo. Anche per l’evidente “tradimento” di alcuni partiti che si dicevano contrari al centralismo europeo, come il cinquestelle, e che ora ne sono diventati una importante stampella.I governi delle grandi potenze occidentali continueranno a perseguire i disegni dei loro padroni oscuri, ammantandosi di perbenismo e dell’immagine ipocrita di finte democrazie, mentre il volto anti-umano della emergente potenza cinese sarà ancora più evidente e la grande civiltà indiana continuerà a sprofondare in un gretto e volgare materialismo. E l’Africa, apparentemente abbandonata e lasciata al proprio destino, sarà sempre più da una parte terreno del conflitto di religioni e culture e dall’altro territorio di conquista delle armate economiche neocolonialiste straniere. E i paesi islamici continueranno a svolgere il ruolo di vittime e di volano della creazione di vortici di violenza, odio e paura con effetti anti-coscienza in tutto il mondo, mentre un Israele sempre più fanatico, duro e nazionalista continuerà a svolgere un ruolo squilibrante in tutto il Medio Oriente. Foriero di possibili crisi, perfino nucleari, con l’emergente potenza persiana.Le grandi forze industriali continueranno a inquinare e devastare l’ambiente, e i loro padroni oscuri useranno in modo crescente i disastri creati dai loro stessi strumenti per evidenziare una emergenza climatica solo in piccola parte di origine antropica, volta a spingere la gente a sostenere la creazione di nuove forme di governance mondiale e le nazioni a cedere sovranità. Anche in questo caso la presidenza Trump sembra ostacolare temporaneamente questi progetti (ma forse favorirli a più lunga scadenza, inducendo un ulteriore peggioramento di alcune particolari emergenze ambientali). Tutta l’attenzione viene e verrà rivolta ad un non problema, quello della anidride carbonica, sulla base del quale le grandi finanziarie e le multinazionali si apprestano a guadagnare migliaia di miliardi dei nostri soldi, sotto forma di grandi ed estesi cambi di tecnologie; mentre altre tecnologie elettromagnetiche (come il 5G), alimentari, farmaceutiche, industriali e mililtari, volute dagli stessi poteri e ancora più dannose, stanno per circondarci completamente.I soliti gruppi, con i loro strumenti (Onu, Club di Roma, Goldman Sachs) creano campagne planetarie di disinformazione (la povera Greta, etc), ed enormi capitali nostri verranno spesi con la scusa di riparare danni che non sono di origine antropica, invece di usarli per l’adattamento delle strutture e dell’economia umana ad un cambio climatico in gran parte naturale, del quale nessuno parla. L’attacco portato alla salute dei corpi attraverso la perversa strategia mondiale di obbligo vaccinale – partita proprio dall’Italia – continuerà certamente con forza, attraverso il malefico strumento di vaccini appositamente alterati per indurre problemi alle coscienze in risveglio. Fino ad ora questa operazione ha prodotto come risultato un forte risveglio di coscienze, in numero crescente. Questo effetto continuerà anche nel 2020, soprattutto a causa dell’aumento delle reazioni “avverse” ai vaccini, alle quali l’opinione pubblica sarà sempre più attenta. Anche nel 2020 ogni crisi verrà fomentata o usata per controllarci meglio, per spingerci infine verso formazioni centralizzate mondialiste o premondialiste, come l’Europa, per toglierci sovranità, democrazia e libertà esteriori.Faranno tutto questo, come nel 2019 e negli anni precedenti, solamente per bloccare il più grande fenomeno dei nostri tempi: il risveglio delle coscienze. Quel risveglio che per la prima volta nella storia umana sta producendo masse importanti – anche se non ancora maggioritarie – capaci di una epocale rivoluzione interiore: quella di mettere gli esseri della Natura, gli animali e gli altri esseri umani quanto meno sullo stesso piano di se stessi. Quella rivoluzione interiore che per la prima volta fa in modo che tanta gente – almeno un terzo dell’umanità – cominci pensare che non siamo venuti qui per predare tutto quello che incontriamo, ma per vivere in armonia con la Natura e volendo l’uno il bene dell’altro, cominciando finalmente ad amare il nostro prossimo come noi stessi. Proprio per reazione alle nefandezze compiute contro di noi, anche nel 2020 altri cuori ed altre menti si apriranno alla voglia di bene. Come è avvenuto fino ad ora: i tentativi di bloccare i risvegli si sono spesso risolti per reazione in ulteriori ondate di prese di coscienza.(Estratto da “Come sarà il 2020?”, previsioni pubblicate il 30 dicembre 2019 da “Coscienze in Rete”, network fondato da Fausto Carotenuto, già analista geopolitico dell’intelligence Nato).Quali prove ci attendono, come umanità, per il 2020? Certamente le forze anticoscienza continueranno a creare crisi, guerre, emergenze, aggressioni chimiche, fisiche, farmacologiche, alimentari, psichiche, culturali. Continueranno a sforzarsi di devastare la Natura, l’Arte, la Scienza, la Cultura, l’Economia, la Politica, il Diritto, la Terra, le corporeità e le relazioni umane… E nel farlo continueranno a presentarci con grande enfasi mediatica dei cattivi da odiare, ma anche dei falsi profeti da amare e da seguire: lupi travestiti da agnelli nelle religioni, in politica, nella finanza, nella cultura, nell’arte. Cercheranno da una parte di sedurci nelle direzioni sbagliate e dall’altra di incuterci terrore, ansia, paura, rabbia, odio, depressione, indifferenza. Nel 2015 dicevamo per il 2016: «Alcune crisi mondiali come quella Islam-Occidente o quella Occidente-Russia – create per condizionarci – assumeranno forme e sviluppi ancora più inquietanti. L’aumento dell’emergenza migratoria e del terrorismo islamista in Europa, l’estendersi della crisi ad altri paesi. L’estensione di un ruolo inquietante e destabilizzante della Turchia di Erdogan».
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Capodanno, sventata strage in Russia. Putin: grazie, Trump
In un comunicato stampa ufficiale, Vladimir Putin ha ringraziato Donald Trump e l’agenzia di sicurezza federale degli Usa per una soffiata che ha permesso di sventare una serie di attentati terroristici. «Gli attacchi, che si sarebbero dovuti compiere nella città baltica di San Pietroburgo, avrebbero dovuto interessare più punti della città», scrive Andrea Massardo su “InsideOver”, l’inserto geopolitico del “Giornale”. La notizia: «L’intervento dell’unità investigativa americana ha permesso alle forze dell’ordine russe di intervenire in tempo per evitare il compiersi degli attentati». Nell’azione, aggiunge Massardo, sarebbero stati coinvolti due cittadini russi con l’intenzione di colpire l’antica capitale degli Zar durante le celebrazioni del capodanno, col rischio di coinvolgere un numero molto alto di persone. «Nonostante il clima teso che interessa le due nazioni per le questioni riguardanti il gasdotto del Mar Baltico e la difficile situazione di guerra civile che interessa l’Ucraina – sottolinea Massardo – i due leader sono stati in grado di tenere in piedi le comunicazioni necessarie per gestire al meglio la crisi». Fattore, questo, molto importante «nell’evidenziare come, in situazioni esterne alle logiche economiche e politiche internazionali, i due paesi siano in grado di cooperare nonostante le difficoltà nella gestione della politica estera e nonostante le due linee di pensiero spesso agli antipodi».La notizia potrebbe rivelare retroscena anche più clamorosi, a proposito della “sovragestione” occulta del cosiddetto neoterrorismo, di marca Isis, sostanzialmente pilotato da settori deviati dell’intelligence. Lo sostiene il simbologo Gianfranco Carpeoro, massone e avvocato di lungo corso (vero nome, Pecoraro), nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la regia “supermassonica” di spezzoni dei servizi segreti che avrebbero orchestrato i più sanguinosi attentati europei degli ultimi anni, a cominciare da quelli messi a segno in Francia (Charlie Hebdo, Bataclan, Nizza). «Vedo un ritorno di quel tipo di terrorismo», aveva detto Carpeoro un mese fa nella sua video-chat su YouTube, con Fabio Frabetti di “Border Nights”, dopo il riaffiorare dei nuovi segnali di violenza, per iniziativa di “kamizake” in apparenza isolati. «Temo siano il preludio di una escalation, verso un attentato stragistico di grandi proporzioni», era stata la previsione dell’avvocato. Quello appena sventato in Russia – per capodanno, addirittura – sarebbe dunque potuto essere il maxi-attentato così precisamente paventato da Carpeoro, anche sulla base di informazioni provenienti dal network massonico internazionale? E in questo caso: che significato rivestirebbe la tempestiva collaborazione tra il massone Trump e il massone Putin? E’ noto infatti che entrambi i presidenti militano in superlogge sovranazionali, in costante contatto tra loro al di là dei protocolli della politica estera.«Non è la prima volta che, grazie alla collaborazione americana viene sventato un attentato in Russia», ricorda comunque Massardo sul quotidiano diretto da Sallusti: «Due anni fa la stessa città di San Pietroburgo sarebbe stata il bersaglio di un altro attacco, questa volta alla cattedrale di Kazan». Anche in quel caso, spiega il reporter, l’intervento di Washington aveva permesso di anticipare i dinamitardi, permettendone la cattura prima che il gesto fosse stato portato a compimento. E anche in quella situazione, «i ringraziamenti di Putin per il presidente americano Trump e per i servizi investigativi d’oltreoceano non erano mancati, evidenziando come la collaborazione internazionale sia pietra fondante della lotta ai terrorismi internazionali». Attenzione: com’è gli Usa sono stati in grado di sventare attentati, dimostrando di conoscere le intenzioni degli attentatori? La risposta è nella domanda: come ha ricordato il presidente siriano Bahar Assad nell’intervista concessa a Monica Maggioni (e poi non trasmessa dalla Rai), le milizie terroristiche attive per anni in Siria erano state reclutate, finanziate, armate e addestrate da apparati militari Nato. Una celebre foto immortala il senatore John McCain, inviato speciale di Obama in Medio Oriente, a colloquio in Siria con Abu Bakr Al-Baghdadi, il capo dell’Isis che ora gli Usa hanno dichiarato di aver ucciso (senza mostrarne le prove, come già per Osama Bin Laden).La Russia è naturalmente nel mirino dei gestori del terrorismo, dopo l’intervento militare in Siria che ha salvato il governo di Assad e liberato il paese, invaso dalle milizie jihadiste. Evidente che gli sponsor clandestini dell’Isis – Turchia in testa, ma anche Francia e Gran Bretagna – hanno cambiato politica, cessando di garantire il proprio appoggio ai terroristi, peraltro (secondo molti osservatori) “assistiti” in modo discreto anche da paesi come Israele e Arabia Saudita, tutti alleati degli Usa. Con Trump, la musica è cambiata: il presidente succeduto a Obama ha sostanzialmente smilitarizzato l’area, lasciando campo libero al Cremlino. Potrebbe quindi essere una semplice conseguenza, dunque, la collaborazione con Mosca anche sul piano della lotta al terrorismo: con Trump, la Casa Bianca avrebbe “staccato la spina” a quei settori del cosidetto Deep State (Cia, Pentagono) sospettati di condurre sottobanco una sorta di strategia della tensione, con l’utilizzo spregiudicato di cellule terroristiche che agiscono dietro il paravento del fanatismo islamista. Che la Russia resti comunque un obiettivo dell’eversione lo dimostrerebbe anche il recente attentato-kamikaze compiuto da uno sparatore solitario, che ha aperto il fuoco nel palazzo dei servizi segreti a Mosca: l’antipasto dell’escalation sventata a San Pietroburgo?Come già sottolineato due anni fa, scrive ancora Massardo sul “Giornale”, anche stavolta Putin ha tenuto a precisare come il legame che unisce le unità investigative russe e americane nelle questioni di sicurezza internazionale e lotta al terrorismo sia rodata ed efficiente, per il merito di entrambe le fazioni. L’avvicinamento dimostrato dall’ennesimo scampato pericolo, secondo il giornalista, potrebbe persino riaprire il dialogo tra i due colossi mondiali, attualmente ai ferri corti non solo riguardo all’Ucraina, ma anche al Medio Oriente, con differenti alleati e tentativi di inserirsi nelle aree sotto influenza rivale. «Nonostante al momento tali contatti si siano limitati alle unità investigative dei due paesi e ai rapporti tra i due presidenti – aggiunge Massardo – non è escluso che nuovi canali di comunicazione vengano aperti nel prossimo futuro». Ragione in più per concludere che il neoterrorismo sia uno strumento squisitamente politico, anche se inconfessabile: a seminare strage si può anche inviare uno squilibrato, alterato da droghe o da tecniche di condizionamento mentale, ma alle sue spalle agisce una sapiente regia, che ne protegge le mosse. Non è un caso che tutti i terroristi in azione sul suolo europeo in questi anni siano stati immediatamente uccisi, prima che i magistrati potessero interrogarli. L’aiuto americano a San Pietroburgo vuol forse dire, dunque, che il vertice del massimo potere ha finalmente messo fuori gioco gli insospettabili impresari, altolocati, del più efferato e cinico stragismo “false flag”, compiuto sotto falsa bandiera?In un comunicato stampa ufficiale, Vladimir Putin ha ringraziato Donald Trump e l’agenzia di sicurezza federale degli Usa per una soffiata che ha permesso di sventare una serie di attentati terroristici. «Gli attacchi, che si sarebbero dovuti compiere nella città baltica di San Pietroburgo, avrebbero dovuto interessare più punti della città», scrive Andrea Massardo su “InsideOver“, l’inserto geopolitico del “Giornale”. La notizia: «L’intervento dell’unità investigativa americana ha permesso alle forze dell’ordine russe di intervenire in tempo per evitare il compiersi degli attentati». Nell’azione, aggiunge Massardo, sarebbero stati coinvolti due cittadini russi con l’intenzione di colpire l’antica capitale degli Zar durante le celebrazioni del capodanno, col rischio di coinvolgere un numero molto alto di persone. «Nonostante il clima teso che interessa le due nazioni per le questioni riguardanti il gasdotto del Mar Baltico e la difficile situazione di guerra civile che interessa l’Ucraina – sottolinea Massardo – i due leader sono stati in grado di tenere in piedi le comunicazioni necessarie per gestire al meglio la crisi». Fattore, questo, molto importante «nell’evidenziare come, in situazioni esterne alle logiche economiche e politiche internazionali, i due paesi siano in grado di cooperare nonostante le difficoltà nella gestione della politica estera e nonostante le due linee di pensiero spesso agli antipodi».
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Magaldi: la mafia dei media tace sulla massoneria che conta
Comodo, sparare a man salva sulle piccole massonerie regionali: funziona a meraviglia, come escamotage per non parlare mai dell’unica massoneria che conti davvero, quella sovranazionale, a cui Gioele Magaldi ha dedicato il bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Nomi e cognomi, indicazioni mai smentite: «E’ anche grazie a quel libro, citato in Parlamento dai 5 Stelle, se poi Napolitano s’è dovuto dimettere, dopo aver insediato Monti alla guida del governo su mandato delle aristocrazie massoniche più reazionarie». Magaldi presenta Napolitano come un esponente di spicco della superloggia “Three Eyes”, «di cui la P2 di Gelli era stata la succursale italiana». Precisa l’autore: «Posso documentare ogni mia affermazione: dispongo di 6.000 pagine di dossier». Nessuno, però, ha mai preteso di visionare quei documenti. E’ più facile, semmai, riesumare il fantasma di Gelli per parlare della massoneria in termini generici e persino criminologici, sulla scorta di inchieste molto mediatiche come quella sull’ipotetica connessione tra logge e ‘ndrangheta, in Calabria, attorno alla figura di Giancarlo Pittelli. In attesa che le indagini proseguano, Magaldi resta prudente: «Troppe volte, dopo l’iniziale polverone suscitato dai media, non è emerso nulla di sostanziale, per il paese: neppure l’indagine “Minotauro” condotta da Agostino Cordova pervenne ad alcunché di clamoroso».«Intendiamoci: la mafia è profondamente radicata nelle regioni del Sud», premette Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Ma attenzione: «Del contrasto a Cosa Nostra negli anni ‘90 beneficiò la ‘ndragheta calabrese, e tuttora vive indisturbata la potentissima mafia cinese, di cui nessuno parla mai». Singoli massoni implicati in trame malavitose in Calabria? Magaldi denuncia la ricorrente inclinazione dei media ad associare la massoneria alla mafia, nel Meridione, ogni volta che qualche massone risulta coinvolto in indagini. Un discriminazione che gli pare inaccettabile: «Se a essere indagato fosse un esponente cattolico, chi sarebbe così stupido da criminalizzare, solo per questo, tutti i cattolici?». Aggiunge Magaldi: «Se diciamo che ogni siciliano puzza di mafia e ogni calabrese puzza di ‘ndrangheta, allora demonizziamo tutti». Inutile aggiungere che «ci sono fior di siciliani e di calabresi che, oltre a essere ottimi cittadini, sono anche massoni». Non solo: «Erano massoni anche fior di giudici morti ammazzati, eroici combattenti antimafia». Insiste Magaldi: il connubio mafia-massoneria, presentato come qualcosa di fisiologico, «esiste solo nei sogni di qualche giornalista ignorante e di qualche magistrato che spesso prende lucciole per lanterne».Un ruolo decisivo, in questa deformazione ottica, sarebbe rivestito proprio da certa stampa: «Troppi articoli di giornale – afferma Magaldi – sono scritti da gente che di massoneria non sa e non capisce nulla. E forse (e questo è ancora più grave) di massoneria capisce poco o nulla anche la magistratura. O fa finta di non capire? Non lo so». Già “venerabile” della loggia Monte Sion del Grande Oriente d’Italia e ora “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, snodo italiano del network supermassonico sovranazionale di segno progressista, Magaldi si rivolge direttamente ai giudici: «Sono a disposizione per spiegare alla magistratura che, se vuole indagare su gravi danni arrecati alla collettività, allora bisogna che scavi tra le privatizzazioni fatte negli anni ‘90, in Italia: perché lì ci sono danni molto più grandi di quelli che possa procurare qualunque intreccio tra massonerie di “peones” e malavite scalcinate». Messa tra parentesi l’indagine in corso nel Vibonese, Magaldi attacca: «Provate a chiedere ai giornali che si parli dei livelli massonici che hanno consentito a Romano Prodi e a Mario Draghi di privatizzare in modo osceno importanti asset italiani, e di stabilire un rapporto svantaggiosissimo per l’Italia rispetto all’Eurozona e all’Unione Europea».Curioso: oggi, Prodi e Draghi stanno per contendersi la poltronissima del Quirinale, puntando a prendere il posto di Mattarella. Due opzioni decisamente opposte: con ostantato candore, il veterano Prodi (sabotatore dell’Iri e già presidente della Commissione Europea) fa allegramente il tifo per le Sardine, riducendo il problema-Italia alla “fenomenologia di Salvini”, mentre Draghi – al contrario – ammette di aver fatto, per trent’anni, il contrario dell’interesse nazionale. L’ex presidente della Bce si mostra “pentito” delle maxi-privatizzazioni imposte al paese quando era direttore generale del Tesoro. Da governatore di Bankitalia – aggiunge Magaldi – Draghi non vigilò sul Montepaschi quando la banca senese si stava avventurando in operazioni spericolate. Non solo: Anna Maria Tarantola, la titolare della vigilanza in Banca d’Italia, fu promossa alla guida della Rai «dal massone Monti, insediato a Palazzo Chigi con l’aiuto dei “fratelli” Napolitano e Draghi». Questa, ribadisce Magaldi, è la massoneria che conta: «Provate a dire una cosa del genere, e vedrete se i media oseranno parlare di certe reti massoniche neoaristocratiche, sovranazionali e potentissime (altro che i quattro boss di Vibo Valentia)».Vero: il sistema-media continua a ignorare gli avvertimenti di Magaldi. E persino quelli di Draghi: apprestandosi a lasciare la Bce, il super-banchiere europeo ha infatti rilasciato dichiarazioni clamorose, prefigurando la necessità di un cambio di rotta rivoluzionario. Fine del rigore, e della scarsità artificiosa di moneta. Draghi ha parlato di eurobond per azzerare lo spread e addirittura dell’eventualità di ricorrere alla Modern Money Theory, che – mediante emissione monetaria virtualmente illimitata – autorizzerebbe gli Stati a ricorrere a robusti deficit per rilanciare l’economia. «Inoltre, in privato – aggiunge Magaldi – lo stesso Draghi ha bussato ai circuiti massonici progressisti: chiede di essere appoggiato, per poter usare la sua autorevolezza (nazionale e internazionale) per rimediare al disastro che ha contribuito a creare, obbedendo ai diktat neoliberisti degli ultimi decenni che hanno provocato la grande crisi europea e il declino economico dell’Italia». E i giornali? Buio pesto: «Silenzio: omertà mafiosa, da parte dei media, su questi temi». Altro che titoloni sul binomio “mafia e massoneria” in Calabria. «Questa è la vera mafia», accusa Magaldi: «E’ l’omertà mafiosa dei media sui temi che riguardano davvero le dinamiche più importanti del potere».Comodo, sparare a man salva sulle piccole massonerie regionali: funziona a meraviglia, come escamotage per non parlare mai dell’unica massoneria che conti davvero, quella sovranazionale, a cui Gioele Magaldi ha dedicato il bestseller “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere. Nomi e cognomi, indicazioni mai smentite: «E’ anche grazie a quel libro, citato in Parlamento dai 5 Stelle, se poi Napolitano s’è dovuto dimettere, dopo aver insediato Monti alla guida del governo su mandato delle aristocrazie massoniche più reazionarie». Magaldi presenta Napolitano come un esponente di spicco della superloggia “Three Eyes”, «di cui la P2 di Gelli era stata la succursale italiana». Precisa l’autore: «Posso documentare ogni mia affermazione: dispongo di 6.000 pagine di dossier». Nessuno, però, ha mai preteso di visionare quei documenti. E’ più facile, semmai, riesumare il fantasma di Gelli per parlare della massoneria in termini generici e persino criminologici, sulla scorta di inchieste molto mediatiche come quella sull’ipotetica connessione tra logge e ‘ndrangheta, in Calabria, attorno alla figura di Giancarlo Pittelli. In attesa che le indagini proseguano, Magaldi resta prudente: «Troppe volte, dopo l’iniziale polverone suscitato dai media, non è emerso nulla di sostanziale, per il paese: neppure l’indagine “Minotauro” condotta da Agostino Cordova pervenne ad alcunché di clamoroso».
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Cile, miracolo economico privatizzato (e violenza di Stato)
Lo stipendio medio di un cileno non arriva ai 350 euro mensili, mentre in poco tempo il biglietto della metro è quadruplicato, arrivando a costare 1 euro (come da noi). La crisi che sta attraversando il Cile in questi giorni non si può racchiudere tutta nei due numeri appena citati, però rendono bene l’idea del “miracolo” economico liberista in Sudamerica. Non so voi, ma a me ogni volta che discuto di economia latinoamericana, viene rifilata la solita manfrina del virtuoso Cile, nazione che al contrario degli altri paesi sudamericani avrebbe abbracciato la libera economia di mercato con continuità. “E’ il paese più stabile del Sudamerica”; “almeno in Cile non ci sono sacche di socialismo reale”; “in Cile sembra di stare in Europa”. Queste, più o meno, le considerazioni che sentiamo ripetere da anni. Di solito, vengono pronunciate come considerazioni di tipo politico, magari riferite al dittatore Pinochet, ai diritti umani, alla tortura e all’amicizia del caudillo cileno con l’utraliberista inglese Margaret Thatcher. In altre parole, se tutti riconoscono in Pinochet un dittatore, molti sono pronti ad attenuarne le responsabilità giocandosi la carta del “miracolo” economico del Cile, della crescita del Pil a ritmo del 6 per cento annuo.Nelle immagini di questi giorni, con le autoblido dei carabineros che si accaniscono sulla folla spappolando i femori dei manifestanti, abbiamo finalmente modo di accorgerci di questo “miracolo” con i nostri occhi. Occhi che almeno in Europa continuiamo a preservare, mentre secondo le testimonianze di Santiago i manifestanti perdono l’uso della vista a causa dei lacrimogeni. Le donne che vanno in pensione, nella stragrande maggioranza, non arrivano ai 250 euro mensili, mentre gli uomini pochi centesimi di più. Ma non è tanto questo: in molti paesi del Sudamerica gli stipendi sono questi o anche più bassi, ma è la sproporzionalità col costo dei servizi e l’abuso del credito a fare la differenza, e ciò accade perchè i servizi essenziali in Cile – contrariamente ad altre parti del Sudamerica – sono privati, non pubblici. Ecco allora che la situazione (tremenda!) di Cuba, dove gli statali hanno uno stipendio mensile che non arriva ai 30 euro al mese, può apparire persino migliore di quella cilena. All’Avana un biglietto di sola andata costa 8 centesimi e l’abbonamento mensile dei trasporti 2 euro; quindi la situazione non è migliore del Cile, ma almeno a Cuba l’accesso a scuola e sanità sono gratuiti, mentre sotto il regime di Piñera, no.In Cile, in questi anni, la gente comune è andata avanti facendo debiti con le banche, anche solo per fare la spesa al supermercato: altro che crescita del Pil al 6 per cento! In Cile, comunque, la protesta sul costo dei servizi era iniziato tranquillamente, ma la polizia, in solito stile Sudamericano, si è comportata in modo terrificante, come se un banale flash-mob fosse sinonimo di colpo di Stato. Ma come già detto non è solo una questione di trasporti. La situazione antidemocratica del Cile si trascina ormai da decenni. In buona sostanza, dopo l’omicidio di Salvador Allende, cos’è successo in Cile da un punto di vista pratico (cioè senza scomodare grafici e tabelle)? Che Pinochet ha creato due paesi diversi: uno per i ricchi, ed uno per i poveri. In quello per i poveri, se ti ammali, puoi tanquillamente crepare prima di essere curato. Se, invece, appartieni alla classe ricca, allora puoi permetterti un servizio privato e salvarti. Non è difficile da capire. Non occorre scomodare la curva di Laffer, le supercazzole di Michele Boldrin, la scuola austriaca, Polanyi, Cottarelli, Esa Fornero e Carlo Marx. Il liberismo è questa roba qua. E solo un cretino o una persona in malafede non lo vuole capire. Spesso, tuttavia, cretinismo e disonestà intellettuale coincidono.(Massimo Bordin, “Il ‘miracolo’ economico del Cile”, dal blog “Micidial” del 22 dicembre 2019).Lo stipendio medio di un cileno non arriva ai 350 euro mensili, mentre in poco tempo il biglietto della metro è quadruplicato, arrivando a costare 1 euro (come da noi). La crisi che sta attraversando il Cile in questi giorni non si può racchiudere tutta nei due numeri appena citati, però rendono bene l’idea del “miracolo” economico liberista in Sudamerica. Non so voi, ma a me ogni volta che discuto di economia latinoamericana, viene rifilata la solita manfrina del virtuoso Cile, nazione che al contrario degli altri paesi sudamericani avrebbe abbracciato la libera economia di mercato con continuità. “E’ il paese più stabile del Sudamerica”; “almeno in Cile non ci sono sacche di socialismo reale”; “in Cile sembra di stare in Europa”. Queste, più o meno, le considerazioni che sentiamo ripetere da anni. Di solito, vengono pronunciate come considerazioni di tipo politico, magari riferite al dittatore Pinochet, ai diritti umani, alla tortura e all’amicizia del caudillo cileno con l’utraliberista inglese Margaret Thatcher. In altre parole, se tutti riconoscono in Pinochet un dittatore, molti sono pronti ad attenuarne le responsabilità giocandosi la carta del “miracolo” economico del Cile, della crescita del Pil a ritmo del 6 per cento annuo.
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Basta fango: se tutti i partiti si unissero per salvare il paese
Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.Fango e morte per i libici, gli yemeniti, gli stessi europei fatti a pezzi nelle piazze dal sedicente Isis, sotto il naso di polizie distratte. Fango e botte, per buon peso: sprangate in faccia ai manifestanti di Hong Kong e a quelli di Parigi. C’è chi la chiama terza guerra mondiale a rate, a puntate, a geometria variabile. Con tanto sangue, e soprattutto fango, a ogni latitudine. La piccola Italia (non così piccola, ma rimpicciolita dagli stregoni dell’Ue) diventa addirittura microscopica, nella fanghiglia della sua non-politica di ieri e di oggi. Non un partito vero, che pensi al domani: tutto è fermo alle elezioni del giorno dopo. Sondaggi, telegiornali, talkshow. Il non-governo attanagliato dal terrore del voto, l’opposizione che non va oltre l’ovvio disgusto per le non-decisioni dei prestanome che occupano i palazzi. La cosiddetta crisi morde sempre di più: acciaierie in panne e banche sull’orlo del tracollo, viadotti che si schiantano, fabbriche che chiudono, industrie che scappano all’estero per pagare meno (sia il lavoro che le tasse). Politica assente: massima irrisione, la non-protesta delle Sardine. Una beffa grottesca: festicciole e canzoni, al funerale dell’Italia.Uno spettacolo surreale, offerto al mondo che ci guarda, e che osserva la nostra incapacità strutturale di leggere la crisi, di riconoscerne i mandanti e gli esecutori. Attaccano Salvini, i dimostranti ipnotizzati dalla disinformazione: se la prendono con un micro-leader che domani forse non esisterà nemmeno più, e che comunque (questa la sua colpa) non ha ancora fatto assolutamente niente per restituire al paese una visione precisa, nonché una strategia su come uscire dall’oceano di fango nel quale sta affondando. Quel che non si perdona, alla Lega, è di essere l’unico partito a suo modo vitale, legittimato dal consenso? In effetti sembra fuori posto, questa Lega – prontamente assediata dalle inchieste – nell’Italia dell’anonimo e cardinalizio Conte, dell’esanime Zingaretti, della caricatura Renzi, degli zombie un po’ cialtroni che fino a ieri promettevano un mondo a 5 stelle. Altro? Macché. Fango per tutti, a reti unificate, senza sforzarsi di capire perché siamo finiti così in basso. Cos’è il debito pubblico? Cosa sono l’Eurozona, il Mes, la Brexit, il Fiscal Compact, il pareggio di bilancio? Cos’è davvero l’avanzo primario, che da quasi trent’anni fa sì che lo Stato prelevi dai cittadini, sotto forma di tasse, più di quanto il governo non spenda, per gli italiani, in termini di servizi?Economia, questa sconosciuta: deve provvedere Mario Draghi, nientemeno, a suggerire che la via d’uscita può essere dalla parte opposta, rispetto al plumbeo rigorismo della Bce. Proprio lui, Draghi, è come se dicesse: ci si salva facendo l’esatto contrario di quel che ho fatto io, in tutti questi anni, prima al Tesoro e poi a Bankitalia, quindi a Francoforte. Modern Money Theory: emissione illimitata di liquidità, a costo zero. Altro che super-tasse, altro che austerity imposta per volere divino. Deficit positivo: vuol dire soldi da investire, lavoro, consumi, economia (e alla fine, risanamento del bilancio). Il “nuovo” Draghi, keynesiano e sovranitario, potrebbe essere l’eroe perfetto, per le Sardine – per loro, e per chiunque aspiri a recuperare il senso delle cose, il contatto con la realtà (cos’è lo Stato e a cosa serve, come deve funzionare). “Prestatore di ultima istanza”: parole divenute antiche solo qui, in questa Europa nanizzata dall’Ue, dai trattati intangibili che la recintano, deprimendola. Atroce, storicamente, per un continente dove – tra Parigi e Londra – nacque la democrazia moderna, già incubata in modo larvale nel medioevo italiano dei Comuni, e poi evocata tra le barricate della Repubblica Romana. Mazzini e Garibaldi: non volevano forse una democrazia europea, di popoli fratelli? Sappiamo com’è andata: due guerre mondiali. Poi la pace tra le rovine, la ricostruzione, la prodigiosa rinascita nel Belpaese. Fino a quando, lassù, non s’è deciso che potesse bastare, e che dovessimo tornare a soffrire.Modern Money Theory: massima eresia. La sventola Draghi, e nessuno fiata. Nessuno lo intervista, lo interroga, lo incalza. Sarebbe la notizia del secolo, in teoria, in materia finanziaria. Certo, non è merce maneggevole per l’insultificio. Meglio il fango, certo: è tanto più comodo. Nel fango si sguazza un po’ tutti, perché non è difficile trovare il bersaglio adatto, visto il livello dello zoo politico. Sarebbe bello vedere un altro film. Gente che accetta di sedersi allo stesso tavolo, a discutere. Fine del tifo, della gara di rutti. Tema: rimettere insieme i frantumi. Unirsi, con un obbligo: cancellare la lavagna delle prossime elezioni, e mettersi a pensare. Trovare, insieme, il gusto del bicchiere mezzo pieno. Ce ne sarebbe, da studiare. Prima, però, converrebbe archiviare le bandiere. Si fa così, da sempre, quando si vuole la pace. Si mettono da parte i vecchi rancori, le liturgie rituali, le identità solo formali. Destra e sinistra: che senso hanno, oggi? Cos’ha fatto, di buono, il centrodestra di governo? E in cosa si è distinto, il centrosinistra, rispetto ai tagli sociali dell’era berlusconiana? Entrambe le fazioni hanno obbedito a diktat. L’hanno votata insieme, la legge Fornero. Hanno mostrato il medesimo rispetto reverenziale per lo sciagurato Patto di Stabilità, che in capo a dieci anni ha ridotto le strade dei paesi italiani a campi minati, dove si fa lo slalom tra le buche perché il Comune non ha i soldi per l’asfalto.Hanno ragione, le Sardine, a reclamare una diversa estetica, gentile e dialogante. Mancano il bersaglio, certo: sparano all’orso di cartone, senza avvedersi che il luna park è recintato come un lager, dove tutto è proibito. Siamo prigionieri, ecco il punto. Beninteso, prigionieri europei del terzo millennio: privilegiati, senza nessuna guerra in casa da settant’anni. Siamo persino liberi di parlare, di insultarci allegramente, di vomitare fango contro gli orsetti di cartone. Ma è tutto qui, quel che sappiamo fare? Non ci viene il sospetto che le nostre animose divisioni siano l’habitat perfetto, per chi vuole continuare a portarci via tutto? Nei decenni della sovranità relativa, monetaria, l’Italia divenne la quarta potenza industriale del pianeta. E questo, nonostante le sue piaghe: mafia, evasione fiscale di massa, corruzione dilagante della politica. Eppure il paese cresceva, tutti stavano meglio e sapevano che i figli avrebbero avuto ancora più opportunità. Il deficit aveva fatto da motore, e il mastodonte Iri era il volano di un’economia che trascinava migliaia di aziende. Poi hanno fatto a pezzi tutto, dando la colpa a noi: al debito delle cicale, alla mafia, agli evasori, ai politici corrotti.Con queste miserabili menzogne hanno eretto il recinto spinato dell’attuale luna park, su cui sventola la bandierina blu-stellata della cosiddetta Europa. Mafia, evasione, corruzione? Esattamente come prima. La differenza? Non possiamo più spendere. Il risultato è una specie di catastrofe: meno servizi, meno welfare, meno sanità, meno pensioni. Meno soldi, meno consumi, meno futuro, meno tutto. Rigore, tasse, delimitazioni assurde come la suprema frode del famigerato tetto del 3% alla spesa pubblica: pura invenzione di un’ideologia maligna, spacciata per norma scientifica, per legge economica. Balordo imbroglio, grazie al caos organizzato a tradimento. Dopo decenni di cospicue regalie statali, la grande industria se la svigna in Serbia, in Romania e in Polonia, dove le maestranze costano di meno. La Fiat scappa in Olanda, lasciando a secco il fisco del paese che l’ha coperta di miliardi per decenni. E che dire dell’inflessibile Germania? Trucca i suoi conti pubblici, facendo dimagrire il debito di Stato depennando quello delle Regioni e la spesa pensionistica. E noi in piazza, valorosamente, a intonare gli inni dell’antifascismo di un secolo fa, mentre i predoni del 2019 ridono degli italiani, ingenui incorreggibili.Che bello, se qualcuno mettesse in produzione l’altro film: quello che manca. Tutti seduti allo stesso tavolo. Di Maio e Renzi, Salvini e Zingaretti, la Meloni. Conferenza a reti unificate, per dire: signori, c’è un problema. Le regole vanno cambiate. Siamo tutti d’accordo, finalmente. Vogliamo salvare gli italiani, tornare alla democrazia reale dello Stato. Lanciare una democrazia continentale. Far nascere qualcosa che ancora non esiste: una Unione Europea, di gente che si aiuta. Bello e impossibile? Soltanto un sogno, un’utopia? Pure, proprio da lì si parte: sono i sogni a dissipare il fango. Il resto, poi, viene da sé. Di fronte a un orizzonte nuovo, chi mai perderebbe ancora tempo a vomitare insulti? Molto sta nel crederci, all’orizzonte amico. Serve qualcuno che innanzitutto lo disegni, faccia vedere quanto sarebbe attraente, e spieghi anche quali passi, esattamente, sarebbe necessario compiere, verso la meta. Prima, però, deve tornare il sole almeno nei pensieri: per metter fine al fango, alla paura, alla stupidità dell’odio. Sta a noi, la prima mossa: se scoppia la pace, si mette male per gli sfruttatori. Lo sanno bene, i padroni del luna park. Gli unici a non saperlo ancora, a quanto pare, siamo noi?(Giorgio Cattaneo, “Basta fango: se tutti i partiti italiani si unissero, per salvare il paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 18 dicembre 2019).Fango su fango, per produrre altro fango, lungo un desolato orizzonte di fango. Tutto è uguale a niente, ormai? Buio sul povero Giulio Regeni, massacrato in Egitto: anni di parole contro il truce regime del Cairo, e silenzio assordante sugli elusivi committenti di Giulio, le ambigue e reticenti agenzie di Cambridge che probabilmente lo mandarono al macello, a sua insaputa. Fango su fango, anche se si vuole inquadrare il martirio dei migranti: tutto sembra risolversi nell’insulso derby violento all’italiana, pro o contro Salvini, senza uno sputo di analisi sull’immane tragedia dell’Africa. Solo maschere, per questo piccolo avanspettacolo nutrito di personaggi come Carola Rackete e Greta Thunberg (perfetta, la svedese, per eludere – con il suo dogma climatico – il vero dramma dell’avvelenamento terrestre). A vincere è il fango, declinato ovunque. Fango sulla Russia, anche in salsa olimpionica: tutto si esaurisce negli ipotetici Russiagate, senza che nessuno si interroghi sul ruolo di Mosca, di Bruxelles, di Berlino e di Washington. I media fotografano una società che, anziché pensare, insulta. Fango su Trump, per le presunte intrusioni in Ucraina, dopo che il paese fu travolto da una rivoluzione colorata, progettata a tavolino e finita con la consegna del gas ucraino al figlio di Joe Biden, allora vice di Obama. Fango su tutti, a turno: sui siriani e gli iracheni, sui palestinesi, sui curdi.
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Magaldi: Draghi vuol fare una rivoluzione. Guai, se mente
Confermo: i contatti sono in corso. A noi, massoni progressisti, il “fratello” Mario Draghi continua a dire: datemi fiducia, e io emenderò tutto ciò che ho fatto nel passato e sarò l’artefice di un cambiamento epocale, per l’Italia e per l’Europa. Draghi ha detto e ridetto, giurato e spergiurato che questa è la sua intenzione. Come ricorda Marco Moiso, Draghi si è espresso in questi termini anche pubblicamente. E’ stato uno dei falchi della gestione neoliberista della moneta europea, ma ultimamente ha riconosciuto la difficoltà della Bce nel contribuire a rilanciare l’economia reale, visto che ha immesso capitali quasi solo nell’economia finanziaria. Per questo ha parlato della necessità di legare la Bce a un potere politico, eventualmente il Parlamento Europeo. Ha parlato di eurobond, e persino dell’opportunità di cominciare a considerare modelli economico-monetari radicalmente differenti, addirittura la Modern Money Theory. A noi, esponenti dei circuiti massonici progressisti, Draghi ha dichiarato espressamente di voler essere lui, come “pentito”, uno degli artefici di un cambiamento totale del modello di governance in Europa e in Italia.Lo affermo in modo solenne: misureremo la sua traiettoria dopo passo, senza fare sconto alcuno. Se non facesse quello che ci ha promesso, sarà letteralmente sommerso dagli scheletri che, dai suoi armadi, danzeranno in modo macabro davanti alla sua figura, fino a costringerlo a correre a gambe levate. Ci metto la firma: ve lo assicuro, che in quel caso ci sarebbe un esito di questo tipo. Quindi: guai, a Mario Draghi, se intende prendere in giro la pubblica opinione e gli stessi “fratelli” progressisti, rispetto ai quali ha detto: io sono pronto a fare questo tipo di lavoro, e altri sono con me. Le reti massoniche progressiste possono costringere Draghi a ritirarsi, come già avvenne con Napolitano, che si dimise anche e soprattutto a seguito della pubblicazione del mio libro “Massoni” e dell’interrogazione parlamentare che ne seguì, da parte del Movimento 5 Stelle (in quel caso, della senatrice Laura Bottici). A seguito di quella interrogazione si mise in moto il processo che portò alle dimissioni di Napolitano, che non ha mai retto il confronto con quello che nel libro “Massoni” viene detto, rispetto a lui.Furono determinanti le nostre analisi sul ruolo di Napolitano nella crisi che portò all’incarico a Mario Monti e a una gestione della governance italiana all’insegna dell’austerità. Di Napolitano ha pesantissime responsabilità nell’aver capolvolto in modo spregiudicato le sue idee sull’Europa: qualche decennio prima, quando era un dirigente del Pci, le sue idee erano limpidamente critiche e lucide, nel valutare l’impossibilità democratica della costruzione europea che si andava facendo, e il suo carattere antipopolare. Poi divenne ministro dell’interno, nonché il “comunista preferito” dal massone Kissinger, trasformandosi nel difensore arcigno di qualunque Europa, anche di quella austera, creando quel danno enorme al popolo italiano che è stato il governo Monti, con l’approvazione del pareggio di bilancio in Costituzione. Ebbene, Draghi ha fatto anche peggio di Napolitano, con le privatizzazioni gestite all’epoca in cui era direttore generale del Tesoro. Altro che Britannnia: quella è roba per i gonzi. Sul Britannia non s’è deciso nulla.Il famoso party sul panfilo inglese assomiglia alle riunioni del Bilderberg, dove si beve Champagne di marca, si fa lobbying, ci si mostra camerieri e maggiordomi, ma le decisioni vengono prese altrove, prima e dopo. Il Britannia è stato questo: una cosa che poi servisse ai complottisti per rendersi ridicoli, nel pensare che un progetto come quello di destrutturazione, deindustrializzazione, privatizzazione e predazione dell’Italia lo si possa fare salendo su una nave. Queste cose si strutturano negli anni, si ribadiscono in mille altri contesti. Mario Draghi può essere raccontato come colui che, in continuità negli anni, dal 1992 al 2001, ha gestito le privatizzazioni dal ministero del Tesoro. Quasi tutti, ormai, sanno che sono state uno scempio di asset e beni pubblici. E il principale artefice di questo scempio è stato proprio Mario Draghi, che viene presentato oggi come il salvatore dell’euro.Ora, se questa nostra contro-narrazione la facciamo tutti i giorni, con strumenti di crescente intensità, il povero Mario Draghi dovrà fare le valigie, da qualunque scranno, se non dovesse rispettare gli impegni che ha preso. E se sarà tanto masochista da rimanere, peggio per lui. Quello che intanto possiamo fare, invece, è certificare se Draghi sarà sincero, nell’assumere i panni dell’antagonista di se stesso rispetto al passato, cioè del “pentito” che inaugura un nuovo corso – proprio lui, perché sa benissimo quello che va fatto, e contro chi va fatto. E noi allora non gli faremo la guerra quotidiana che altrimenti gli faremmo. E naturalmente gli daremo anche degli aiuti, che adesso (vista la delicatezza della questione) non posso specificare: farei un regalo ai nostri avversari, se dicessi adesso cosa potremmo fare, di “chirurgico”, in favore di Mario Draghi. I prossimi passi? Sarebbe sciocco, da parte sua, se cercasse di fare il presidente del Consiglio. E non gli sarà facile diventare presidente della Repubblica, dopo Mattarella, perché su Draghi terremo comunque i riflettori puntati, già a partire dall’imminente uscita del secondo volume della serie “Massoni”.Nel libro, che si intitolerà “Globalizzazione, esoterismo e massoneria”, Draghi avrà un posto d’onore, a ricordarne tutte le nefandezze, senza sconto alcuno. Oggi Draghi è il personaggio italiano più potente: al mondo non c’è nessun altro italiano che abbia un curriculum di potenza come il suo. Il potere comunque è sempre fluido: chiunque, domani, potrebbe essere messo da parte. E nelle lotte interne della politica italiana (sempre più complesse, ambigue e oscure) non sarà facile, nemmeno per Draghi, ascendere al Quirinale. Insomma, vedremo. Noi siamo disposti a dargli una mano, se intente mantenere le promesse. Ma c’è poi un altro signore, con cui dobbiamo fare i conti, e stavolta senza l’apertura di credito che concediamo a Draghi (se dimostrerà di rispettare la parola data e gli impegni che dice di voler prendere). Questo signore è Romano Prodi: a differenza di Draghi, non ha fatto nessun atto di pentitismo. Ed è responsabile quanto Draghi delle cattive privatizzazioni italiane e dello scempio del sistema-Italia nel rapporto contrattuale di ingresso nell’Unione Europea e nell’Eurozona.L’opzione di Prodi è alternativa a quella di Draghi. Prodi punta al Quirinale, è la sua ultima occasione. E anche per questo, insieme ad altri, Prodi ha incoraggiato la nascita del movimento delle Sardine, il cui profilo autoritario è ben rilevato da Barbara Spinelli sul “Fatto Quotidiano”, laddove da parte delle Sardine si equipara la violenza verbale (le opinioni) a quella fisica (i fatti), senza più fare la necessaria distinzione tra idee e fatti che è invece fondamentale, in ogni Stato di diritto. Penso che i partigiani democratici, quelli che hanno cantato Bella Ciao in montagna rischiando la pelle, oggi scenderebbero idealmente da quelle montagne e prenderebbero a calci nel sedere questi giovinastri infantili: oggi, inneggiare all’antifascismo e ignorare i pericoli reali (che vengono da tutt’altra parte) mi sembra un atto di mancanza di rispetto verso chi la Resistenza l’ha fatta davvero.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate nel corso della trasmissione web-streaming su YouTube “Massoneria on air” del 19 dicembre 2019, condotta da Fabio Frabetti di “Border Nights”, con la partecipazione di Paolo Franceschetti e Marco Moiso, vicepresidente del Movimento Roosevelt di cui Magaldi è il leader. Il citato volume “Massoni”, edito da Chiarelettere, uscì a fine 2014. In quelle pagine, Magaldi disegna – in modo esclusivo – la mappa occulta del potere massonico mondiale, affidato a una quarantina di superlogge. Napolitano è indicato come appartenente alla “Three Eyes”, il cenacolo supermassonico reazionario dominanto da figure come quella di Kissinger, mentre Draghi è presentato come membro di 5 diverse Ur-Lodges, tutte di stampo “neoaristocratico” e oligarchico: oltre alla stessa “Three Eyes” sono elencate la “Pan-Europa”, la “Compass Star-Rose / Rosa-Stella Ventorum” e la “Der Ring”).Confermo: i contatti sono in corso. A noi, massoni progressisti, il “fratello” Mario Draghi continua a dire: datemi fiducia, e io emenderò tutto ciò che ho fatto nel passato e sarò l’artefice di un cambiamento epocale, per l’Italia e per l’Europa. Draghi ha detto e ridetto, giurato e spergiurato che questa è la sua intenzione. Come ricorda Marco Moiso, Draghi si è espresso in questi termini anche pubblicamente. E’ stato uno dei falchi della gestione neoliberista della moneta europea, ma ultimamente ha riconosciuto la difficoltà della Bce nel contribuire a rilanciare l’economia reale, visto che ha immesso capitali quasi solo nell’economia finanziaria. Per questo ha parlato della necessità di legare la Bce a un potere politico, eventualmente il Parlamento Europeo. Ha parlato di eurobond, e persino dell’opportunità di cominciare a considerare modelli economico-monetari radicalmente differenti, addirittura la Modern Money Theory. A noi, esponenti dei circuiti massonici progressisti, Draghi ha dichiarato espressamente di voler essere lui, come “pentito”, uno degli artefici di un cambiamento totale del modello di governance in Europa e in Italia.