Archivio del Tag ‘Europa’
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Siria: Putin ferma l’Isis, cioè Erdogan (che rinnega Ataturk)
Giovedi scorso, all’inizio del colloquio-maratona di Mosca, il presidente russo Vladimir Putin si è rivolto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan con quella che probabilmente è la più straordinaria mossa diplomatica di questo giovanissimo 21° secolo. Putin ha detto: «All’inizio del nostro incontro, vorrei esprimere ancora una volta le mie sincere condoglianze per la morte dei vostri militari in Siria. Sfortunatamente, come vi avevo già riferito durante la nostra telefonata, nessuno, comprese le truppe siriane, conosceva i loro spostamenti». È così che un vero leader mondiale dice – di persona, ad un leader regionale – di astenersi dal posizionare le sue forze a sostegno dello jihadismo, in incognito, nel bel mezzo di un esplosivo teatro di guerra. La discussione faccia a faccia fra Putin ed Erdogan, con solo gli interpreti presenti nella stanza, è durata tre ore, prima di un’altra ora con le rispettive delegazioni. Alla fine, tutto si è risolto con Putin che ha trovato un modo elegante di salvare la faccia ad Erdogan per mezzo di, avete indovinato, un ulteriore cessate il fuoco a Idlib (iniziato giovedì a mezzanotte) scritto e firmato in turco, russo ed inglese, “tutti i testi con la stessa validità giuridica”.Inoltre, il 15 marzo comincerà il pattugliamento congiunto turco-russo lungo l’autostrada M4, il che significa che le infinite e mutevoli frange di Al-Qaeda in Siria non potranno riconquistarla. Se tutto questo sembra un déjà vu, è perché lo è. Molte foto ufficiali dell’incontro di Mosca mostrano in primo piano il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov e il ministro della difesa Sergey Shoigu, gli altri due pesi massimi presenti all’incontro, a parte i presidenti. Sulla scia di Putin, Lavrov e Shoigu devono aver aver dato, senza mezzi termini, una bella lavata di capo ad Erdogan. È abbastanza: adesso, per favore, comportati bene oppure pagane le dure conseguenze. Una caratteristica prevedibile del nuovo cessate il fuoco è che sia Mosca che Ankara, che fanno parte del processo di pace di Astana insieme a Teheran, rimangono impegnate a garantire “l’integrità territoriale e la sovranità” della Siria. Ancora una volta, non vi è alcuna garanzia che Erdogan la rispetterà.È fondamentale ricapitolare le cose fondamentali. La Turchia è in una profonda crisi finanziaria. Ankara ha bisogno di soldi, molti soldi. La lira sta crollando. Il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) ha perso le elezioni. L’ex primo ministro e leader del partito, Ahmet Davutoglu, il teorico del neo-ottomanesimo, ha lasciato il partito e si sta ritagliando la propria nicchia politica. L’Akp è impantanato in una crisi interna. La risposta di Erdogan è stata quella di passare all’offensiva. È così che vorrebbe ripristinare il proprio carisma. Mettiamo insieme Idlib con le sue pretese marittime sulle acque intorno a Cipro e il ricatto all’Unione Europea, attuato sommergendo di rifugiati l’isola greca di Lesbo, e avremo il modus operandi tipico di Erdogan in pieno svolgimento. In teoria, questo nuovo cessate il fuoco costringerà finalmente Erdogan ad abbandonare tutte quelle miriadi di metastasi di Al-Nusra/Isis, quelli che l’Occidente chiama i “ribelli moderati”, debitamente armati da Ankara. Questa è la linea rossa definitiva di Mosca e anche di Damasco. Non sarà lasciato alcun territorio a disposizione degli jihadisti.L’Iraq è un’altra storia: l’Isis è ancora presente tra Kirkuk e Mosul. Nessun fanatico della Nato lo ammetterà mai, ma – ancora una volta – è stata la Russia a prevenire la minaccia dell’”invasione musulmana” dell’Europa pubblicizzata da Erdogan. Anche se, in primo luogo, non si è mai trattato di una vera e propria invasione: solo poche migliaia di migranti economici dall’Afghanistan, dal Pakistan e dal Sahel, non di siriani. Non esiste “un milione” di rifugiati siriani in procinto di entrare nell’Ue. L’Ue, come sempre, continuerà a blaterare. Bruxelles e la maggior parte delle capitali europee non hanno ancora capito che è stato Bashar al-Assad ad aver sempre combattuto Al-Nusra/Isis. Semplicemente, non comprendono la correlazione delle forze sul terreno. La loro posizione di ripiego è sempre stato il disco rotto dei “valori europei”. Nessuna meraviglia che l’Ue sia un attore secondario nell’intera tragedia siriana.Mentre cercavo di collegare le motivazioni di Erdogan-Khan alla storia della Turchia e agli imperi delle steppe, avevo ricevuto un eccellente feedback da alcuni analisti turchi progressisti. La loro posizione, in sostanza, è che Erdogan è un internazionalista, ma solo in termini islamici. Dal 2000 in poi è riuscito a creare un clima di negazione delle antiche motivazioni nazionaliste turche. Usa l’identità turca, ma, come sottolinea un analista, «questo non ha nulla a che fare con i turchi antichi. È un Ikhwan. Neanche a lui importa dei curdi, finché rimangono i suoi ‘islamisti buoni’». Un altro analista sottolinea che «nella Turchia moderna, l’essere ‘turco’ non è legato alla razza, perché la maggior parte dei turchi sono anatolici, una popolazione mista». Quindi, in breve, ciò che interessa ad Erdogan è Idlib, Aleppo, Damasco, La Mecca e non l’Asia sud-occidentale o l’Asia centrale. Vuole essere il “secondo Ataturk”.Eppure nessuno, tranne gli islamisti, lo vede in questo modo, e «talvolta lui mostra la sua rabbia proprio per questo motivo. Il suo unico obiettivo è quello di battere Ataturk e creare un opposto islamico di Ataturk». E la creazione di quell’anti-Ataturk passerebbe attraverso il neo-ottomanesimo. L’eccellente storico indipendente Can Erimtan, che avevo avuto il piacere di incontrare quando viveva ancora ad Istanbul (ora si è auto-esiliato), offre un ampio background eurasiatico dei sogni di Erdogan. Bene, Vladimir Putin ha appena dato un po’ di respiro al secondo Ataturk. Nessuno però scommette più sul fatto che questo nuovo cessate il fuoco non si trasformi in una pira funeraria.(Pepe Escobar, “Putin salva Erdogan da se stesso”, da “Asia Times” del 6 marzo 2020; articolo tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Giovedì scorso, all’inizio del colloquio-maratona di Mosca, il presidente russo Vladimir Putin si è rivolto al presidente turco Recep Tayyip Erdogan con quella che probabilmente è la più straordinaria mossa diplomatica di questo giovanissimo 21° secolo. Putin ha detto: «All’inizio del nostro incontro, vorrei esprimere ancora una volta le mie sincere condoglianze per la morte dei vostri militari in Siria. Sfortunatamente, come vi avevo già riferito durante la nostra telefonata, nessuno, comprese le truppe siriane, conosceva i loro spostamenti». È così che un vero leader mondiale dice – di persona, ad un leader regionale – di astenersi dal posizionare le sue forze a sostegno dello jihadismo, in incognito, nel bel mezzo di un esplosivo teatro di guerra. La discussione faccia a faccia fra Putin ed Erdogan, con solo gli interpreti presenti nella stanza, è durata tre ore, prima di un’altra ora con le rispettive delegazioni. Alla fine, tutto si è risolto con Putin che ha trovato un modo elegante di salvare la faccia ad Erdogan per mezzo di, avete indovinato, un ulteriore cessate il fuoco a Idlib (iniziato giovedì a mezzanotte) scritto e firmato in turco, russo ed inglese, “tutti i testi con la stessa validità giuridica”.
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E’ stata la Germania a infettare l’Europa, inguaiando l’Italia
Se qualcuno non aveva ancora capito che l’Europa unita non esiste, a spiegarglielo ora provvede il coronavirus: di fronte all’emergenza sanitaria, un peso massimo come l’Italia viene lasciato completamente solo. Da Bruxelles, nessuna indicazione su come affrontare l’epidemia in modo coordinato. Ma c’è chi fa peggio: la Germania. Sarebbero stati proprio i tedeschi a infettare il resto del continente. O almeno: è tedesco il primo caso conclamato di coronavirus in Europa, ben prima del famigerato focolaio di Lodi. Ma a Berlino si sono ben guardati dal segnalarlo: e così il virus si è diffuso, estendendosi ovunque, ma lasciando alla sola Italia il ruolo pubblico dell’untore. Lo afferma Marco Pugliese, in una ricostruzione sul “Sussidiario”: potrebbe essere stato un 33enne tedesco ad avere diffuso il coronavirus in Europa. Però Berlino ha taciuto le informazioni e l’Italia ne sta pagando il prezzo. La notizia mette in imbarazzo «sua maestà la Germania». E così, «il paese più affidabile per antonomasia, in Europa, si scopre nudo». Attenti: «Mentre in Italia si litigava riguardo a quarantene e selfie in ristoranti cinesi, in Germania si consumava il fatto che avrebbe dato origine all’epidemia di coronavirus destinata a stravolgere il Belpaese».Il “paziente zero”, un uomo di 33 anni, il 20 e il 21 gennaio aveva partecipato ad un meeting a Shanghai, insieme a una collega. «La donna, in Germania dal 19 al 22 gennaio, era asintomatica. Accusò primi malori il 26 gennaio, proprio durante il volo di ritorno in Cina, e risultò positiva al virus 2019-nCov». La donna, continua Pugliese sul “Sussidiario”, informò tempestivamente i colleghi tedeschi della sua positività. Ma nel frattempo l’uomo, reduce da una breve influenza, era già rientrato al lavoro: «Fu trovato positivo, anche se ormai asintomatico». Oltre a ciò, il 28 gennaio risultarono positivi altri tre impiegati dell’azienda. «Il caso creò scalpore, per il fatto che fossero presenti soggetti privi di sintomi». Secondo Pugliese, è proprio questo «l’episodio chiave all’origine della diffusione europea». Osserva il giornalista: «Le sequenze genetiche del coronavirus ottenute dalla ricerca italiana non sono ancora numerose, ma attestano una certezza: non è colpa degli italiani se l’infezione si è diffusa». Una mappa genetica pubblicata da “nextrstrain.org” evidenzia inoltre come lo stesso caso tedesco «potrebbe essere stato all’origine di una catena di contagi, ed essere collegato a molti casi in Europa e in Italia».Le infezioni in Messico, Finlandia, Scozia e Italia, e perfino i primi casi in Brasile, appaiono geneticamente simili al focolaio di Monaco, aggiunge il “Sussidiario”. «Uno scenario totalmente capovolto, rispetto a quello narrato nell’ultimo periodo». E qui è intervenuta la grande manipolazione: la Germania ha comunicato il tutto «con una certa furbizia, giocando con le parole». Il primo contagio è stato infatti descritto come “unicum scientifico”, abilmente veicolato come “scoperta di contagio asintomatico”. «Vero, ma eludendo si trattasse d’un focolaio». Poi, tramite il ministro della salute, Berlino «ha parlato di pandemia, ma descrivendo il tutto come “problema mondiale”». Di fatto, «una narrazione in cui la Germania “scopre” e “avverte”». Falso: «In realtà ha in casa un focolaio mal controllato (e non apertamente comunicato) e delle dichiarazioni fumogene riguardo possibili pandemie». Tutto questo, «senza esporre alla dura legge del mercato la Germania, che nel frattempo non utilizzava tamponi e classificava contagi e decessi dovuti all’influenza classica, di fatto puntando la pistola fumante verso Roma».Aggiunge lo stesso Pugliese: «Molti tedeschi in ferie, soprattutto in Italia, vennero tamponati al ritorno in Germania e trovati positivi. Dando la notizia in questo modo, l’intento era di far passare gli italiani come responsabili del contagio europeo, almeno indirettamente». E così, «l’Italia «finiva sott’acqua, con un Conte incredulo e frastornato dinanzi all’aumento dei casi, con il governo in discussione e sotto accusa. Il crollo in Borsa ha fatto il resto: «Mercati e mezzo mondo hanno iniziato a sfiduciare il paese, all’improvviso solo e considerato poco affidabile». E’ stata «una narrazione tremenda, che ha fatto crollare l’economia italiana tramite uno scossone peggiore a quello dovuto all’11 Settembre». Hanno vinto i “furbi”: «Germania (e anche Francia) hanno continuato con una politica mediatica d’omissione, che di rimbalzo ha portato l’Italia sull’orlo del baratro». Il governo tedesco? «Non ha solo cercato di contenere il morbo, ma anche il nefasto effetto economico prodotto dall’immagine di un “paese in quarantena”. Dopo la scoperta del “paziente zero”, anche l’Ecdc (European center for disease prevention and control), infatti, lascia intendere che anche altri Stati Ue siano già nello stessa situazione dell’Italia ma non lo dicano».Ora, riassume Pugliese, non interessa colpevolizzare chi s’ammala e diffonde, ma sottolineare «una pessima quanto faziosa comunicazione europea, che in aggiunta a qualche errore del nostro governo ha trasformato l’Italia nella nazione untrice per antonomasia (una situazione simile alla Cina)». L’Italia si è vista quindi caricata di un doppio fardello: «Da una parte contenere il virus con misure forti, dall’altra evitare di passare come “grande focolaio europeo”, a tutto discapito della salute e della Borsa». Uno scenario deleterio, conclude il “Sussidiario”, da cui in queste ore si sta cercando di uscire «grazie ad uno studio che di fatto scagiona il nostro paese, ma ci fa capire quanto la Ue sia in pezzi», visto che «quel che ha subito l’Italia avrebbe potuto essere evitato». Una Ue sempre più in frantumi e una Germania non proprio affidabile: «Sono le due certezze partorite da questa crisi, che è sempre più logorante». Ma perché a pagare è sempre l’Italia? «Perché è il paese più giovane di tutti», sostiene Gianfranco Carpeoro, saggista, su YouTube: «Siamo una nazione unita solo da 150 anni. Prima, gli abusi stranieri sulla penisola erano ancora peggiori». Ma l’Ue non dovrebbe impedire tutto questo? «Certo, se solo esistesse: ma una vera Unione Europea non è mai nata».Se qualcuno non aveva ancora capito che l’Europa unita non esiste, a spiegarglielo ora provvede il coronavirus: di fronte all’emergenza sanitaria, un peso massimo come l’Italia viene lasciato completamente solo. Da Bruxelles, nessuna indicazione su come affrontare l’epidemia in modo coordinato. Ma c’è chi fa peggio: la Germania. Sarebbero stati proprio i tedeschi a infettare il resto del continente. O almeno: è tedesco il primo caso conclamato di coronavirus in Europa, ben prima del famigerato focolaio di Lodi. Ma a Berlino si sono ben guardati dal segnalarlo: e così il virus si è diffuso, estendendosi ovunque, ma lasciando alla sola Italia il ruolo pubblico dell’untore. Lo afferma Marco Pugliese, in una ricostruzione sul “Sussidiario”: potrebbe essere stato un 33enne tedesco ad avere diffuso il coronavirus in Europa. Però Berlino ha taciuto le informazioni e l’Italia ne sta pagando il prezzo. La notizia mette in imbarazzo «sua maestà la Germania». E così, «il paese più affidabile per antonomasia, in Europa, si scopre nudo». Attenti: «Mentre in Italia si litigava riguardo a quarantene e selfie in ristoranti cinesi, in Germania si consumava il fatto che avrebbe dato origine all’epidemia di coronavirus destinata a stravolgere il Belpaese».
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Tentazione: usare l’emergenza per un golpe, incluso il Mes
Il coronavirus sembra non volerne sapere dei modelli matematici fatti apposta per ingabbiarlo: le cifre crescono, e così assistiamo a una moltiplicazione dell’incertezza, mentre si consuma il balletto quotidiano dell’indecisione del governo. Attenti: il momento è propizio per instaurare uno “stato d’eccezione”. Lo afferma il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, intervistato da Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «L’emergenza – spiega Mangia – consente di fare infinite cose che in condizioni normali non si potrebbero fare», dalla nomina di un “commissario al coronavirus” fino alla firma del Mes, passando per l’introduzione forzata del wireless 5G. Esistono precedenti: all’indomani del terremoto di Messina del 1908, lo Stato neo-unitario inventò l’istituzione del decreto-legge. «La disciplina dell’emergenza si è sviluppata simultaneamente in tutta Europa, e se n’è fatto ampio uso durante e soprattutto subito dopo la Prima Guerra Mondiale: basti pensare a una calamità come l’influenza spagnola, che uccise soltanto in Italia quasi 400.000 persone». Un giurista come Santi Romano diceva che l’emergenza è una fonte del diritto: «Vale sicuramente per il coronavirus. Pensiamo al decreto-legge 6/2020 appena varato dal governo e ad altro che potrebbe arrivare».
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Virus, paura e soldi: con Ricciardi l’Oms commissaria l’Italia
Un bel servizio della Televisione Svizzera mette bene in evidenza la manovra dei poteri mondialisti attraverso l’Oms e i governi. Con lo sfruttamento terroristico ripetuto negli anni del fenomeno montato delle pandemie, in gran parte artificioso. Anche il nostro governo è stato “commissariato” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha messo improvvisamente al fianco del presidente del Consiglio, a dirigere la gestione della crisi, un uomo dell’Oms, un certo professor Walter Ricciardi. Ci aveva colpito in questi giorni nei dibattiti televisivi sul coronavirus la presenza continua e molto critica e terrorizzante di questo signore. Litigava puntualmente con i nostri migliori virologi che parlavano realisticamente di un virus non mortale, di un qualcosa poco più di una influenza. Si dichiara amico di Burioni, il vaccinista di massa, come da indicazioni dell’Oms, e questo la dice lunga… E puntualmente, dopo qualche giorno, viene nominato consigliere del governo sulla questione coronavirus, e per i rapporti con l’Oms.Da dove viene questo tipo? Ha cominciato stranamente facendo l’attore. Ma, si sa… certe competenze possono tornare utili. Ma poi intraprende una fulminante carriera nel mondo medico nazionale e internazionale. E nel suo curriculum compaiono tutti i più importanti incarichi di potere medico ospedaliero, universitario e istituzionale, nazionale e internazionale, a partire dagli ambienti cattolici. Importanti incarichi all’Università Cattolica del Sacro Cuore, al Policlinico Gemelli, primo membro non americano del National Board of Medical Examiners degli Usa, presidente della European Association of Public Health dell’Oms. Socio fondatore con Montezemolo di “Italia Futura”, direttore della Regione Europea per l’Oms, componente del panel di esperti della Commissione Europea per gli investimenti della Commissione Europea che decide come spendere i soldi nella sanità (!), rappresentante per l’Europa della Wfpha, la Federazione Mondiale delle Società di Sanità Pubblica, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, rappresentante dell’Italia nell’Executive Board dell’Oms.Un funzionario importante della dittatura scientifica, del nuovo papato scientifico che ha sostituito il principio di autorità dogmatico del papato romano. Appena si è seduto al fianco del ministro della sanità, e soprattutto del presidente del Consiglio, Conte, ha cominciato a strigliare le Regioni perché non si facevano coordinare abbastanza dal governo, vale a dire dal suo “consigliere”… l’uomo dell’Oms (vale a dire dall’Oms). Il terrore avanza; tra un po’ arriverà il vaccino, e tutto il mondo se lo farà – o almeno lo comprerà – quando ormai il virus avrà già esaurito la sua spinta espansiva. Big Pharma farà i suoi incassi, i suoi burattini verranno premiati con soldi e carriere, la paura e il terrore avranno comunque raggiunto il loro effetto di tentare di ostacolare il risveglio delle coscienze.(”Il terrorisno dell’Oms e il coronavirus”, da “Coscienze in Rete” del 26 febbraio 2020).Un bel servizio della Televisione Svizzera mette bene in evidenza la manovra dei poteri mondialisti attraverso l’Oms e i governi. Con lo sfruttamento terroristico ripetuto negli anni del fenomeno montato delle pandemie, in gran parte artificioso. Anche il nostro governo è stato “commissariato” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha messo improvvisamente al fianco del presidente del Consiglio, a dirigere la gestione della crisi, un uomo dell’Oms, un certo professor Walter Ricciardi. Ci aveva colpito in questi giorni nei dibattiti televisivi sul coronavirus la presenza continua e molto critica e terrorizzante di questo signore. Litigava puntualmente con i nostri migliori virologi che parlavano realisticamente di un virus non mortale, di un qualcosa poco più di una influenza. Si dichiara amico di Burioni, il vaccinista di massa, come da indicazioni dell’Oms, e questo la dice lunga… E puntualmente, dopo qualche giorno, viene nominato consigliere del governo sulla questione coronavirus, e per i rapporti con l’Oms.
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Sardine, pesci pagliaccio del potere: epilogo dalla De Filippi
E ora è giunto l’epilogo. Quod erat demonstrandum. Da subito lo dicemmo. E ora ne abbiamo la conferma: esilarante, certo. Abbiamo, cioè, la conferma che si scrive “Sardine” e si legge “pesci pagliaccio”. Pesci pagliaccio prodotti e inscatolati dal potere globalcapitalistico: che li ha prodotti affinché nuotassero nelle acque melmose, basse e fetide del pelago globalista, sempre muovendosi secondo le correnti del politicamente corretto e del nuovo ordine mentale. E ora la conferma definitiva giunge dall’ultimo esilarante episodio della saga tragicomica di questi fenomeni ittici da baraccone, che si sono esibiti alla corte di “Amici” della signora De Filippi. Uno spettacolo che parla da sé. E che rivela l’alto grado di apprezzamento da parte dello stesso potere che li ha macchinati, ideati e inscatolati per gestire il consenso e il dissenso ad usum sui: eccoli, i pesci pagliaccio sul palco di “Amici” a recitare la parte dei dissidenti, dei dissidenti amici del potere finanziario cosmopolitico. Il quale spaccia per dissenso tutto ciò che il vero dissenso possa delegittimare e destituire.Più globalizzazione contro il populismo, più mercato contro il sovranismo, più Europa e meno Italia: un dissenso che non combatte contro nulla e che solo serve a rinsaldare il mortifero giogo del globalismo mercatista che l’ha prodotto in vitro. E che ora, dopo averlo usato, può all’occorrenza scaricarlo in modo esilarante: garantendo, appunto, alle Sardine la fine dei pesci pagliaccio che da sempre sono, sul palco di “Amici”, tra applausi e luci, con nasi incipriati e sorrisoni inebetiti di una gioventù la cui testa è stata sacrificata sull’altare dell’incubo globalista. Una gioventù, in sostanza, che ama le proprie catene e che solo è disposta a lottare contro tutto ciò che eventualmente possa spezzarle, si chiami sovranismo o populismo, socialismo o lotta di classe. Ve le immaginate le Giubbe Gialle o Assange da “Amici”? Certo che no. E infatti il potere massacra senza pietà e le Giubbe Gialle e Assange. E invece celebra i pesci pagliaccio e Greta, Carola e tutti gli altri teatranti messi in scena dal sistema stesso.Sembravano, davvero, fatti apposta per “Amici” più che per le piazze, questi pesci pagliaccio dal futuro garantito da mamma e papà: cerchietto genderisticamente corretto in testa ed erre blesa, sguardo spento o malmostoso a seconda dei casi, nemici in ogni atomo della classe lavoratrice e degli sconfitti del globalismo, questi pesci pagliaccio cresciuti e allevati nell’acquario del padronato cosmopolitico hanno per ora esaurito la loro missione. Hanno servito a dovere il sistema dominante, che distrattamente li ringrazia e, per ora, li ripone nel suo comodo e ben servito acquario, pronto a rispolverarli ove ve ne fosse bisogno. Intanto, assistiamo al temporaneo epilogo di queste creature ittiche prive di spina dorsale: epilogo di cattivo gusto, almeno quanto il loro funambolico esordio, che li aveva fatti apparire un prodotto spontaneo delle piazze. Proprio loro, cresciuti e allevati ad arte con il mangime omologato del sovraffollato acquario del globalismo mercatista.(Diego Fusaro, “Sardine? Semmai sono pesci pagliaccio. Il triste epilogo dalla De Filippi”, da “Affari Italiani” del 29 febbraio 2020).E ora è giunto l’epilogo. Quod erat demonstrandum. Da subito lo dicemmo. E ora ne abbiamo la conferma: esilarante, certo. Abbiamo, cioè, la conferma che si scrive “Sardine” e si legge “pesci pagliaccio”. Pesci pagliaccio prodotti e inscatolati dal potere globalcapitalistico: che li ha prodotti affinché nuotassero nelle acque melmose, basse e fetide del pelago globalista, sempre muovendosi secondo le correnti del politicamente corretto e del nuovo ordine mentale. E ora la conferma definitiva giunge dall’ultimo esilarante episodio della saga tragicomica di questi fenomeni ittici da baraccone, che si sono esibiti alla corte di “Amici” della signora De Filippi. Uno spettacolo che parla da sé. E che rivela l’alto grado di apprezzamento da parte dello stesso potere che li ha macchinati, ideati e inscatolati per gestire il consenso e il dissenso ad usum sui: eccoli, i pesci pagliaccio sul palco di “Amici” a recitare la parte dei dissidenti, dei dissidenti amici del potere finanziario cosmopolitico. Il quale spaccia per dissenso tutto ciò che il vero dissenso possa delegittimare e destituire.
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Paura e morte, la dittatura della superpotenza democratica
Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi tentacoli, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco continua, imperterrito, a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultimo residuo del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in questo caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.Nel 2020, tecnicamente, in molte regioni del mondo la parola democrazia non significa niente, nella migliore delle ipotesi (nella peggiore, equivale al rituale ricorrente di bombardamenti, guerre, milioni di esuli e rifugiati, tra inconfessabili calcoli economici e reciproche convenienze, tacitamente stipulate da oligarchie formalmente nemiche ma in realtà alleate, sottobanco). Il capolavoro della superpotenza democratica, in Medio Oriente, negli ultimi anni è stata la sua micidiale doppiezza: massimo appoggio alla peggiore di tutte le dittature dell’area, l’Arabia Saudita, e guerra sporca contro ogni altro attore della regione, destabilizzato dalle rivoluzioni colorate o brutalmente devastato attraverso bande armate di tagliagole. Lo spettacolo della democrazia atlantica in versione mediorientale lo hanno lungamente scontato, sulla loro pelle, prima gli iracheni e poi i siriani. Questi ultimi, in particolare, sono stati letteralmente assaliti dalle milizie terroristiche organizzate, protette, armate e finanziate dalla superpotenza democratica e dai suoi camerieri regionali. I tagliagole hanno seminato orrore, terrore e morte, fino a quando non è intervenuta la Russia. Liberata la Siria e restituito il territorio ai siriani, il turco Erdogan – uno dei manovali terroristici reclutati dalla superpotenza democratica – ora non accetta il verdetto militare, e prova a negare ai siriani il diritto a una vittoria compiutamente definitiva.Un vero e proprio eroe del riscatto nazionale siriano, il generale Qasem Soleimani – numero due del regime teocratico di Teheran, fiero avversario dell’Isis prima in Iraq e poi in Siria – è stato assassinato in modo brutale, a tradimento, con un raid terroristico a suon di missili ordinato dalla superpotenza democratica. La colpa di Soleimani? Una: era abile, stimato, autorevole. Legato all’oligarchia medievale dell’Iran, credeva nell’espansione della Mezzaluna Sciita come contrappeso geopolitico alla legge del taglione imposta dalla superpotenza democratica. Soleimani ha fatto la fine di Saddam, di Gheddafi, e di chiunque altro si opponesse – a vario titolo – alla spietata dittatura della superpotenza democratica. La cosiddetta opinione pubblica, nella patria mondiale della democrazia, è dominata da quattro famiglie, cui fanno capo centinaia di reti televisive. Un unico telegiornale, declinato in più modi, trasmette – 24 ore su 24 – le stesse notizie, distillate dalle medesime fonti. Ogni quattro anni, naturalmente, si vota. George Walker Bush divenne presidente a tavolino, per decreto, grazie a clamorosi brogli in Florida. Il suo successore, Barack Obama, aveva promesso – mentendo – di cambiare le regole del gioco: è stato il presidente che ha fatto assassinare più persone, nel mondo, attraverso gli omicidi mirati affidati ai droni.Obama, che ha dichiarato di aver ucciso anche Osama Bin Laden (spegnendo così il clamore sulle indiscrizioni riguardanti la sua vera origine – si sospettava che non fosse nato alle Hawaii, ma in Africa, cosa gli avrebbe impedito di candidarsi alla Casa Bianca) è stato anche il presidente che, dopo aver amnistiato i bari di Wall Street, si è inventato i Russiagate contro Putin, ha spintonato l’Europa per imporre le sanzioni alla Russia, ha fatto spiare anche il telefono privato di Angela Merkel. Poi la superpotenza democratica ha voltato pagina, con una nuova entusiasmante sfida elettorale: da una parte la cannibale Hillary Clinton, dall’altra il rozzo Donald Trump. Ora sono tutti d’accordo, ai piani alti, nel tagliare le unghie alla Cina: erano stati loro a delocalizzare in Asia (in paesi senza democrazia) la grande industria americana, ma adesso – visto che la Cina ha superato il maestro – pensano sia giunta l’ora di fare retromarcia, e intanto si godono le delizie del coronavirus. Nel frattempo, tra poco si rivota. Un candidato, Bernie Sanders, spara a zero sugli abusi razzisti del governo israeliano e si schiera con i palestinesi. Secondo tutti i bookmaker, non ha nemmeno una possibilità su mille di diventare il nuovo presidente della superpotenza democratica. Ecco il gioco: post-democrazia contro non-democrazia. Trovare la differenza.(Giorgio Cattaneo, 1° marzo 2020).Il dittatore della Nato, Erdogan, ora fa a botte a viso aperto con la Siria, protetta dalla Russia. Nemmeno la Siria è la patria della democrazia, ma almeno non minaccia di precipitare anche l’Italia in qualche guerra. La Siria, come narrato dal generale clintoniano Wesley Clark, era – con la Libia, l’Iraq, l’Afghanistan e l’Iran – tra gli obiettivi imperiali della superpotenza democratica. Sarebbe stata devastata, dalla potenza democratica e dai suoi terminali, per una serie di ragioni. Perché si era rifiutata di ospitare un gasdotto scomodo per l’egemonia energetica russa. E perché il governo di Damasco, imperterrito, continuava (e continua) a chiamare Territori Occupati le regioni della Cisgiordania che Israele ha rubato ai palestinesi, in barba alle inutili disposizioni delle Nazioni Unite. Soprattutto, il regime di Assad è laico, avanzato, progredito, largamente sostenuto dalla maggioranza della popolazione: è l’ultima residua incarnazione del partito Baath, il fantasma del socialismo panarabo sorto con il sovranismo egiziano di Nasser, durante la decolonizzazione, e sopravvissuto con Saddam Hussein, il despota già alleato dell’impero democratico ma poi abbandonato, sconfitto e infine impiccato dalla superpotenza che ha arrostito donne e bambini con il fosforo bianco nella fornace di Fallujah, violando qualsiasi convenzione Onu sull’uso delle armi di distruzione di massa, in quel caso scatenate anche contro l’inerme popolazione civile.
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Usa-Cina, la guerra sporca del coronavirus. Le vittime: noi
Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina non è democratica.Per inciso: Pechino detiene una fetta rilevante del mostruoso debito estero statunitense, il maggiore del mondo (gli Usa consumano, ma il costo lo scaricano sui cinesi). Comodo, oggi, per il debitore insolvente, dichiarare guerra proprio alla Cina, il creditore: guerra ufficiale, con i dazi, e guerra segreta a colpi di virus? L’ipotetica “guerra batteriologica Usa” è il primo dei tre scenari esplorati da Galgano, sul blog “Maestro di Dietrologia”. La cronistoria è precisa. Nel 2017, proprio a Wuhan (l’avanzatissima Silicon Valley cinese) viene aggiornato un importante centro di ricerca di livello 4: oltre al personale cinese operano l’Oms, scienziati inglesi e americani. Obiettivo delle ricerche: un progetto condiviso per la salute pubblica mondiale. Il laboratorio esiste dal 2014, e nel 2015 viene brevettato un vaccino per un nuovo ceppo di coronavirus, molto più pericoloso dell’attuale, grazie anche agli ingenti fondi della Commissione Europea e della Fondazione Gates. A marzo 2019, il Canada invia un pacchetto di virus letale da studiare in caso di contagio a Wuhan. Operazione inizialmente segreta, poi desecretata dallo stesso governo cinese, preoccupato per la pericolosità della circolazione di tali agenti patogeni nel suo territorio.Il 18 ottobre del 2019, il Global Security Studies della John Hopkins University, di concerto con la Fondazione Gates, Bloomberg e il World Economic Forum, riunisce 15 leader mondiali (politici, economisti, filantropi, scienziati e militari) per simulare una pandemia partita ipoteticamente dal Brasile. Lo studio, chiamato Evento 201, riproduce virtualmente un’emergenza di 18 mesi per una pandemia globale, con 65 milioni di morti. Precisamente, l’Evento 201 simula lo scoppio di un coronavirus “zoonotico” che si trasmette da pipistrelli e maiali all’uomo, esattamente come nella spiegazione “scientifica” che ci hanno raccontato i media dopo i primi casi di contagio. Sempre a Wuhan, il 15 ottobre scorso, in occasione dell’evento Military World Games si registra una presenza massiccia di militari occidentali e funzionari del Pentagono, oltre che apparati di intelligence. «Ed è curioso – scrive Galgano – che due settimane dopo, proprio nella stessa città e dopo tutti i precedenti studi virologici e le simulazioni effettuate, sia nata la pandemia: il tempo di incubazione può variare entro un range di 15 giorni e, guarda caso, i primi casi ufficiali sono venuti fuori lo scorso inverno».Secondo la rivista “The Lancet”, il primo caso di infezione risale ipoteticamente al 1° dicembre, e la persona contagiata non si sarebbe mai recata al famoso mercato ittico di Wuhan. Il primo decesso ufficiale è invece dell’11 gennaio 2020. L’emergenza massima cade proprio durante il capodanno cinese, il 25 gennaio, con flussi migratori di centinaia di milioni di persone in viaggio dalle campagne alle città, a bordo di treni e aerei: quale migliore occasione per estendere il contagio? Negli Usa, il super-esperto Francis Boyle lo afferma candidamente, evitando di ricordare che nei laboratori militari di Wuhan non ci sono solo scienziati cinesi. «Il coronavirus è un’arma da guerra biologica creata in un laboratorio di Wuhan, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne è già a conoscenza», afferma Boyle in un’intervista video rilasciata al sito “Geopolitics and Empire”. Il professor Boyle, docente di diritto all’Università dell’Illinois, nel 1989 ha redatto il Biological Weapons Act, la legge antiterrorismo per le armi biologiche. Boyle sostiene che il coronavirus, «un’arma da guerra biologica potenzialmente letale», sarebbe «fuoriuscito da un laboratorio di massima sicurezza» di Wuhan.Il governo cinese avrebbe quindi inizialmente cercato di coprire il caso, mentre ora sta adottando misure drastiche per contenere l’epidemia. E visto che il laboratorio Bsl-4 di Wuhan è anche un centro di ricerca dell’Oms, secondo Boyle la stessa organizzazione sanitaria mondiale «non poteva non sapere». Galgano ricorda gli avvertimenti del genarale Fabio Mini, già dirigente Nato: la guerra batteriologica sarà una delle più insidiose, nel futuro. In un mondo fino a ieri traumatizzato dall’Isis, creatura terroristica “fabbricata” in provetta da settori dell’intelligence occidentale, perché escludere che gli stessi poteri occulti che hanno scatenato l’Isis possano ricorrere anche ad agenti patogeni per provocare epidemie letali? «Ci sono troppi investimenti e studi in joinventure con l’apparato militare, per non solleticare certe idee e per non testare e utilizzare tali strumenti», riflette Galgano. «Perché mai gli Usa e altri paesi del blocco occidentale non dovrebbero utilizzare, come armi, eventuali virus da tempo studiati», visto che «il Pentagono, la Nato, l’Oms e tutte le Fondazioni occidentali hanno speso migliaia di miliardi di dollari e fatto ingenti investimenti ovunque in questo settore strategico?».Nella peggiore delle ipotesi, il Covid-19 potrebbe rappresentare «la prima di una lunga serie di pandemie non casuali, un primo vero test di massa per studiare gli effetti su larga scala, non più solamente relegati alle simulazioni teoriche, comprendendo il grado di sostenibilità delle popolazioni e dei diversi governi colpiti dalla “cattiva sorte”». Servirebbe a «verificare sul campo il funzionamento delle quarantene, la reazione delle persone e di eventuali isterie di massa», e in più – fatto non secondario – favorirebbe «una vaccinazione di massa sempre più accettata», oltre a provocare, nel frattempo, ingenti danni collaterali, e cioè «diverse conseguenze negative dal punto di vista finanziario, militare e geopolitico». Una “piccola pandemia” sembra tragicamente funzionale: può destabilizzare l’economia del “rivale”, «senza innescare necessariamente una guerra militare, che forse non converrebbe a nessuno». Per i suoi ipotetici ideatori sarebbe addirittura «un male minore», secondo “Maestro di Dietrologia”, «proprio ora che la Cina stava primeggiando economicamente, proprio durante il capodanno cinese, proprio nella stessa città dove la Fondazione Gates e la “sovragestione” hanno investito e operato nei laboratori di ricerca di Wuhan».Attenzione, sono solo ipotesi: «Non ci sono prove documentabili, ad oggi, che possa essere una strategia voluta». Ci sono semmai «ottimi indizi», sicuramente più numerosi di quelli che depongono a favore della pura casualità, a cui sembrano invece credere i media. Sono gli stessi media che, peraltro – lo ricordano vari medici italiani intervistati da Claudio Messora su “ByoBlu” – stanno trattando il coronavirus come fosse la peste, scatenando il panico tra la popolazione in modo criminale e irresponsabile, data anche la bassissima pericolosità del virus in Italia, che a quanto pare minaccia seriamente solo gli individui anziani e già molto malati. Ma guai a fare ipotesi complottistiche: in televsione, Diego Fusaro è stato zittito (e insultato, come se fosse pazzo) per il solo fatto di aver ipotizzato, a rigor di logica, la possibilità di includere, tra le altre, anche l’eventuale origine dolosa. Su Twitter, Paolo Barbard mette a fuoco un altro indizio preoccupante: a svelare la correlazione tra uomo e pipistrelli, nella propagazione del virus, è stata l’università californiana di Berkeley, e l’ha fatto con uno studio finanziato – con largo anticipo sull’epidemia – proprio dalla Darpa, l’agenzia del Pentagono specializzata in armi sperimentali, biologiche e batteriologiche. Interpellati i diretti interessati, Barnard registra le risposte: «Duemila righe di email firmate da Jared Adams, responsabile della comunicazione della Darpa, e silenzio assoluto invece da parte di Cara Brook, la biologa responsabile della ricerca».Tutta colpa dei soliti “amerikani”, cioè del famigerato Deep State che, dopo aver assassinato i Kennedy e Martin Luther King, avrebbe organizzato l’auto-attentato dell’11 Settembre? Non è detto, osserva “Maestro di Dietrologia”: per Simone Galgano, c’è pure la possibilità che la Cina, ormai messa in stato di assedio dalla superpotenza atlantica, possa aver esibito «la prova di forza del Drago», auto-sabotandosi per dimostrare la sua capacità di resistenza, nel caso qualcuno pensasse davvero di sterminare i cinesi, altrimenti inarrestabili. Galgano la definisce un’eventualità non troppo remota: «La Cina mostrerebbe i muscoli, mettendo in campo una copertura sanitaria su larga scala difficilmente replicabile in altri paesi». Un paese che si presenta «più forte e unito che mai, dinnanzi a sciagure di qualsiasi natura». In pratica: «Sacrificando solo sul breve termine la sua economia», Pechino colpirebbe il business occidentale «puntando su un’economia autarchica, nazionalista, in netto contrasto con la globalizzazione vigente». Un avvertimento alla comunità internazionale: la Cina si salverebbe comunque, mentre a sprofondare saremmo noi. Beninteso: a partire dall’Africa, è in corso una guerra segreta, anche per il controllo delle materie prime.Da parte sua, Pechino non tollera il dissenso e non esita a schiacciare la protesta di Hong Kong. Sarebbe capace di attuare una simile strategia della tensione, tra lacrimogeni e virus, per cristallizzare il potere centrale? In questo – ed è il terzo scenario contemplato da Galgano – è impossibile non tenere conto delle Ur-Lodges, le potenti superlogge internazionali di cui parla Gioele Magaldi nel saggio “Massoni”, pubblicato da Chiarelettere nel 2014: si tratta di «un network di poteri transnazionali, composto da multinazionali di ogni settore strategico “senza patria”, da eserciti senza appartenenza nazionale, da poteri massonici, “magici” ed economici globalisti, che lavorano al di sopra delle entità statuali». Anche la Cina è coinvolta nelle sovragestioni supermassoniche. Reti elusive, che non agiscono per schemi rigidi: «Sono infinitamente più elastiche, non ideologiche. Mutano forma come camaleonti e la loro trasversalità determina la loro forza». In questa piramide di poteri, «ogni livello mette in atto le proprie strategie per soddisfare i suoi bisogni, e le due possibilità descritte precedentemente (una guerra batteriologica Usa e una prova di forza della Cina) possono in questo mondo essere valide entrambe e convivere come opzioni, senza contraddizioni sostanziali».Manipolazioni a catena: «Noi ingenuamente pensiamo che il potere si realizzi e finisca all’interno di Stati sovrani, ma quello è solo un nostro limite culturale e uno dei motivi per i quali viviamo ai piedi dell’oracolo», scrive Galgano. Questa, aggiunge, è «una sovragestione che necessita di abbeverarsi al capitalismo occidentale e di implementare nuove visioni orwelliane distopiche e dispotiche, che si nutre della medicalizzazione di massa e delle tecnologie pervasive di controllo strutturale, per governare i tempi della modernità dall’alto dei cieli, ad libitum». Dacci oggi il nostro virus quotidiano: «Perché dare limiti al potere quando, per definizione, esso non ha forma?». Lo stesso Magaldi ricorda che, nel 1981, le superlogge – soprattutto reazionarie, ma anche progressiste – firmarono lo storico patto “United Freemasons for Globalization”. Alla Cina di Deng Xiaoping – segretamente affiliato al club delle Ur-Lodges neoaristocratiche – fu permesso di entrare nel Wto, senza pretendere che il colosso asiatico si democratizzasse. Oggi, l’ala progressista della supermassoneria sovranazionale contesta questa scelta e pretende che Pechino cambi passo, aprendo alla democrazia. Simmetricamente, il fronte reazionario (rappresentato, al di là delle etichette, da politici “dem” come i Clinton) si intendeva benissimo, fino a ieri, con l’oligarchia cinese.Un equilibrio infranto ora dal protezionismo di Trump, che negli ultimissimi anni ha coagulato attorno a sé l’intera classe dirigente degli Usa, divenuta ostile alla Cina, come conferma un osservatore del calibro di Edward Luttwak. E’ la stessa Nancy Pelosi, boss del partito democratico e acerrima rivale di Trump, a sparare a man salva su Huawei, anche incorrendo in una gaffe clamorosa come quella segnalata da Massimo Mazzucco a “Contro Tv”, in collegamento con Giulietto Chiesa: la Pelosi ha ammesso di temere la tecnologia 5G made in China, proprio perché sa che il digitale (quando è di marca Usa) serve a controllare direttamente gli utenti, attraverso un poderoso spionaggio di massa. «C’è un grande conflitto in atto da diversi anni tra Usa e Cina, e uno dei tanti motivi oggi è rappresentato dal colosso Huawei per il controllo dell’etere globale», ribadisce Galgano. La conferenza sulla sicurezza di Monaco – aggiunge – è diventata l’arena di un nuovo scontro fra gli Usa di Trump e la Cina, che in questa occasione si è difesa sfoderando l’orgoglio socialista, all’insegna dello slogan “non ci fermerà nessuno”.Cuore del confronto, il veto americano su Huawei: «Un cavallo di Troia dei servizi cinesi», secondo il segretario di Stato americano Mike Pompeo, l’uomo che ha brindato all’uccisione in Iraq del leader iraniano Qasem Soleimani, alleato della Cina, assassinato dagli Usa in modo terroristico, con un missile. L’impero non scherza, se vede minacciati i suoi privilegi feudali: consentire a Huawei di installare la rete 5G in Europa «potrebbe arrivare a mettere a rischio la Nato», secondo il ministro della difesa Usa, Mark Esper. Il ministro degli esteri cinese Wang Yi replica senza mezzi termini: «Le accuse sulla Cina sono bugie. Negli Usa non si accetta l’idea del successo in uno Stato socialista, ma questo è ingiusto, i cinesi meritano una vita migliore». Aggiunge: «Nessuno potrà fermarci, la Cina uscirà più forte di prima dall’emergenza del coronavirus», che quindi – secondo Pechino – non comprometterà la crescita del gigante asiatico. «Non vogliamo conflitti con la Cina», dichiara Pompeo, che però avverte: Pechino deve smettere di esercitare pressioni «palesi e nascoste» su nazioni come Italia, Corea del Sud e Iran. «Tutti paesi – chiosa Galgano – curiosamentre tra i più colpiti da questo virus».Epidemia artificiale, virus da laboratorio appositamente coltivato: attacco alla Cina da parte degli Usa o, addirittura, mossa cinese per contagiare l’Occidente e “vaccinarsi”, in anticipo, da qualsiasi analoga minaccia occidentale? Tutte domande che Simone Galgano riassume in tre possibili scenari, per spiegare il boom del coronavirus, partito in sordina con la notizia del primo contagio a Wuhan, a fine 2019. Premessa geopolitica: gli Usa hanno messo la Cina nel mirino, accusandola di competere in modo sleale nel mercato globale (prodotti a basso costo, senza tutele per i lavoratori e per l’ambiente). Ma fu proprio l’élite del capitalismo occidentale ad affidare al Sud-Est Asiatico il ruolo di “manifattura del pianeta”, che poi i cinesi hanno interpretato alla perfezione. Il potere globalista sapeva benissimo che la delocalizzazione delle industrie avrebbe creato disoccupazione in Occidente, e che il nuovo turbo-capitalismo cinese (controllato dall’oligarchia comunista) avrebbe messo in crisi l’Europa e gli Stati Uniti, imponendo prezzi insostenibilmente bassi. Oggi la leadership Usa “si ricorda” improvvisamente che la Cina, non è democratica.
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Medico: Italia fragile ma sincera, a minacciarla è il panico
Se dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio al governatore di Lombardia, sino al sindaco di Trescore Cremasco e poi ancora sino a medici, funzionari di sanità e infermieri oltre che naturalmente a televisioni e giornali, tutti ci raccomandano di non preoccuparci, allora vuol dire che la situazione è veramente seria. La Lombardia e il Nord Italia, in particolare Milano, hanno preso misure drastiche che dai tempi bellici non si sentivano più nominare. Paesi blindati, chiusura di scuole, università, cinema e teatri, orari ridotti di pub, bar e ritrovi pubblici, perfino le messe per una settimana sono sospese. Misure di manzoniana memoria allora imposte dal tribunale di Sanità: «Si dispose a prescriver le bullette per chiudere fuori dalla città le persone provenienti da paesi dove il contagio si era manifestato, a bruciare robe, a mettere in sequestro case, a mandare famiglie al lazzaretto. I delegati presero in fretta e furia quelle misure che parvero loro le migliori e se ne tornarono, colla trista persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e fermare un male già tanto avanzato e diffuso».Ma oggi siamo nel 2020 e l’Italia inspiegabilmente è divenuta l’untore d’Europa, i nostri vicini iniziano a guardarci con sospetto e nemmeno noi siamo proprio tranquilli. Certamente non siamo razionali, visto quello che è successo nei supermercati lombardi domenica 23 febbraio. Ci hanno tolto il calcio e abbiamo cercato la gara all’ultimo pacco di pasta. Perché? Nessuno delle migliaia di invasati del carrello saprebbe rispondere freddamente a questa domanda. Anche i cosiddetti esperti sono di opinioni differenti: sentiamo virologi che negano la pandemia e riducono la gravità del coronavirus a poco più di una influenza stagionale (che ha circa 200 morti annuali in Italia), mentre altri sottolineano che il 20% dei colpiti da corona necessitano di ricovero in rianimazione. Insomma, oscilliamo tutti, a diversi livelli, tra il convincerci che va tutto bene e il farci travolgere dal panico più o meno sociale. Ma cosa dovrebbe farci pendere verso uno o l’altro di questi due poli?Certo, tecnicamente è una malattia nuova, senza terapia specifica o preventiva, ci sono solo le misure di supporto generiche sino all’intubazione e al respiratore automatico; non è ancora chiaro il meccanismo o il comportamento, quando il pericolo di contagio è massimo. Il cosiddetto paziente zero è introvabile; sono al lavoro matematici e fisici alla ricerca dell’algoritmo perfetto che lo faccia rintracciare. Poi perché questa esplosione proprio in Italia, quando anche Germania e Francia hanno stretti rapporti commerciali e turistici con la Cina? Nascondono qualcosa che noi invece sbandieriamo in maniera del tutto trasparente? Un punto fermo c’è: coronavirus non è né Ebola né peste. Il tasso di letalità aggiornato in Cina è del 3,8 per cento, un po’ minore in Italia dove peraltro sono decedute solo persone anziane e defedate da altre malattie. Gli altri sinora sono guariti. Ma il mettere in fila tutti questi e altri elementi non ci porterà al risultato voluto. Non ci dirà se scegliere speranza o panico.Un uomo o una donna soli, isolati, senza un punto fermo, sono fragili e diventano preda di chi è più forte, dei condizionamenti che la nostra società esercita, delle paure e dei sentito dire. Ubbidirà all’ordine di correre al supermercato o di barricarsi in casa. Occorre una saldezza personale e di giudizio data dal rapporto e dal credito con i nostri cari, i nostri simili, cercando il significato del nostro vivere. Insomma tutta questa inaspettata situazione, certamente critica, non può non farci nascere domande sincere, umane (cosa è questa paura? Di che cosa ho paura? C’è speranza? Dove?) Non saranno i nostri scrupoli a cambiare la situazione. Oltre ad usare la ragione, e quindi ad ascoltare e seguire i consigli di chi sta gestendo con competenza la situazione, a continuare a costruire nelle nostre giornate (io non temo di continuare il mio lavoro di medico in corsia o Pronto Soccorso) occorre sperimentare una grande gratitudine per quello che la vita ci ha offerto e che abbiamo sempre dato per scontato, e che adesso paradossalmente ci manca. Coscienti della nostra fragilità ma anche della nostra dipendenza saremo certamente più profondi e più autentici. Affrontando il mare aperto del domani.(Patrick Reali, “Non le paure cambiano le cose ma continuare a costruire nelle nostre giornate”, dal “Sussidiario” del 25 febbraio 2020).Se dal presidente della Repubblica al presidente del Consiglio al governatore di Lombardia, sino al sindaco di Trescore Cremasco e poi ancora sino a medici, funzionari di sanità e infermieri oltre che naturalmente a televisioni e giornali, tutti ci raccomandano di non preoccuparci, allora vuol dire che la situazione è veramente seria. La Lombardia e il Nord Italia, in particolare Milano, hanno preso misure drastiche che dai tempi bellici non si sentivano più nominare. Paesi blindati, chiusura di scuole, università, cinema e teatri, orari ridotti di pub, bar e ritrovi pubblici, perfino le messe per una settimana sono sospese. Misure di manzoniana memoria allora imposte dal tribunale di Sanità: «Si dispose a prescriver le bullette per chiudere fuori dalla città le persone provenienti da paesi dove il contagio si era manifestato, a bruciare robe, a mettere in sequestro case, a mandare famiglie al lazzaretto. I delegati presero in fretta e furia quelle misure che parvero loro le migliori e se ne tornarono, colla trista persuasione che non sarebbero bastate a rimediare e fermare un male già tanto avanzato e diffuso».
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Mai sprecare un’arma: virus, la guerra ibrida contro la Cina
La politica delle nuove Vie della Seta, o Belt and Road Initiative (Bri), era iniziata con il presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (Nur-Sultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta). Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa. La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni. Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinazia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025. La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati Stem [scienze, tecnologia, ingegneria e matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
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Disabilitare la politica: e ci sono riusciti, dal 2001 in poi
Mille anni fa, nel remotissimo 2001, l’allora anonimo Vladimir Putin – appena insediato al Cremlino, dopo l’esausto Eltsin – era poco più che un fantasma tra le rovine dell’Urss disastrata dalle privatizzazioni: non osò alzare la voce neppure per il misterioso affondamento del sommergibile Kursk nel Mare di Barents con i suoi 118 marinai, mentre il mondo si rassegnava a tollerare l’apparente infantilismo semianalfabeta dello sceriffo Bush junior. A Genova, sotto il sole di luglio, si animava la stranissima festa multicolore dei NoGlobal, scandita delle canzoni di Manu Chao: una kermesse variopinta, innocua, per molti essenzialmente ingenua. Andava ancora di moda la speranza in un mondo migliore, sebbene per la maggior parte dell’opinione pubblica non ce ne fosse neppure bisogno: andava benissimo quello che già c’era, senza più la guerra fredda (grazie a Gorbaciov) e senza vere crisi all’orizzonte. Tutto cambiò di colpo il 20 luglio, nel capoluogo ligure, con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda. Nemmeno due mesi dopo, bruciavano le Torri Gemelle di New York. Si spalancò davanti agli occhi di tutti un mondo infinitamente peggiore, tra crateri di violenza inspiegabile, terrorismo, guerre infinite. E a ruota, catastrofiche crisi economico-finanziarie.
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Italiano in Cina: censura e panico, il virus ha spento il boom
Il coronavirus sta destabilizzando il mondo intero. Ha sconvolto le vite di chi in Cina vive e lavora e l’impatto sull’economia è un’incognita mondiale. Io vivo a Shanghai, abito in Cina da quasi vent’anni. Ora sono in quarantena volontaria, dopo essere tornato con un volo Shanghai-Mosca-Monaco in Europa e con un bus da Monaco in Italia. Cosa si provava ad essere in Cina durante quest’emergenza coronavirus? Le sensazione era di stranezza. Una megalopoli vuota. Lavoravo da casa, via chat. Ero costretto al telelavoro dal 25 gennaio, cioè da quando la situazione è precipitata. L’azienda per cui lavoro mi aveva anche prenotato il volo per rientrare in Italia il 22 febbraio, ma ho deciso di anticipare. Lo scenario è spettrale. Uscivo solamente per comprare da mangiare, con la mascherina. Città deserta. Cosa si dice, in Cina? I dati sull’emergenza coronavirus sono considerati credibili? In realtà no. Molti colleghi e amici cinesi ai dati non hanno mai creduto più di tanto. Certo, parlare apertamente è complicato. I video che circolano? Ad oggi non sappiamo con certezza quali sono falsi e quali veri. In Cina sono molti gli account chiusi e il controllo è capillare.Sul coronavirus circolano tre ipotesi. La prima è che sia stato creato per destabilizzare Xi dall’interno del partito, diviso tra conservatori e riformisti. A molti non è chiaro cosa sia successo in Cina dal 2014. La seconda ipotesi è che il virus sia stato creato dagli Usa per destabilizzare il paese. In terza battuta si pensa che sia una fatalità legata appunto al mercato del pesce. E la censura gioca un ruolo fondamentale. Dal 26 gennaio è in vigore una legge che punisce con il carcere chiunque divulghi notizie “non ufficiali”, cioè non governative. Inoltre i cittadini cinesi sono molto più controllati, per così dire, elettronicamente. Nel senso che ormai tutte le transazioni, dal supermercato al ristorante, al cinema, avvengono via wechat. Poi c’è il sistema del credito sociale che sta venendo implementato. Da quello che ho capito è un credito in punti che sale o diminuisce a seconda di quanto la persona è affidabile nel pagare i creditori, ma si estende a quello che uno fa, dice online, addirittura compra: sono anni che il servizio dei corrieri in Cina viene votato dai clienti e ci sono multe nel caso di più di un reclamo, e immagino anche provvedimenti quando il punteggio scende.Ricordate quella puntata di “Black Mirror” in cui la reputazione online era fondamentale nel quotidiano? In Cina la direzione è questa, e proprio quest’anno il sistema verrà esteso a tutte le città. Un punteggio basso può cambiare la tua vita: niente crediti, niente treni superveloci, niente vacanza all’estero, e via dicendo. Il “credito statale” si estenderà a tutti gli aspetti della vita personale. Ovviamente sono esclusi i cittadini stranieri, anche se è stata aggiornata la politica sui visti e anche gli stranieri vengono catalogati in base a livello di studio, ruolo lavorativo e vari altri fattori in A, B, C, dove “A” è il valore più alto. I cittadini cinesi, però, sono catalogati anche in base a cosa comprano, a cosa guardano on line – il porno è illegale e vengono date multe salate – fino al commento sui social. Il mio viaggio di ritorno? In realtà avevo soprattutto paura di prendermi il virus in aeroporto o sull’aereo (non dai cinesi, che indossavano tutti le mascherine, ma da alcuni stranieri che sottovalutano il problema fidandosi dei dati estremamente bassi snocciolati dal governo). Sono riuscito ad arrivare tramite uno scalo a Mosca. Controlli? In Cina tre volte prima di salire in aereo. A Mosca ancora. Il personale dell’aereo spesso non aveva la mascherina, così anche molti stranieri; i cinesi invece la indossavano tutti. A Monaco praticamente nulla, ovviamente neanche in bus, con il quale sono tornato in Italia.Ora sono a casa. Domenica non mi sono sentito bene e il giorno dopo ho avvisato i sanitari. Mi hanno ricoverato, prelevandomi con le apposite tute e fatto tutti i test (tre, e tutti negativi). Poi sono tornato a casa in un paio di giorni, e ora devo rimanere 14 giorni in quarantena. Lavoro da casa. Tornare in Cina? Credo e mi auguro che tutto questo si concluda a giugno. Io ho in progetto di tornare, magari a settembre, ovviamente se la situazione non degenera. Tutto tornerà come prima? A mio parere no. Il colpo per Pechino è stato molto duro. Molti torneranno, tanti altri non credo. Inoltre molte aziende non riapriranno. Del resto in Cina si respirava un’aria diversa già dal 2014, una tensione che lasciava ipotizzare che il sogno cinese stesse finendo. In parte dipende da come si concluderà questa storia e se i dati erano veritieri. Certo il sistema deve cambiare, ci sono parecchi problemi irrisolti.(Dichiarazioni rilasciate da un italiano rientrato dalla Cina a Marco Pugliese, per l’intervista “Vi racconto la censura di Pechino” pubblicata dal “Sussidiario” il 18 febbraio 2020. L’intervistato è protetto dall’anonimato, per ovvie ragioni).Il coronavirus sta destabilizzando il mondo intero. Ha sconvolto le vite di chi in Cina vive e lavora e l’impatto sull’economia è un’incognita mondiale. Io vivo a Shanghai, abito in Cina da quasi vent’anni. Ora sono in quarantena volontaria, dopo essere tornato con un volo Shanghai-Mosca-Monaco in Europa e con un bus da Monaco in Italia. Cosa si provava ad essere in Cina durante quest’emergenza coronavirus? Le sensazione era di stranezza. Una megalopoli vuota. Lavoravo da casa, via chat. Ero costretto al telelavoro dal 25 gennaio, cioè da quando la situazione è precipitata. L’azienda per cui lavoro mi aveva anche prenotato il volo per rientrare in Italia il 22 febbraio, ma ho deciso di anticipare. Lo scenario è spettrale. Uscivo solamente per comprare da mangiare, con la mascherina. Città deserta. Cosa si dice, in Cina? I dati sull’emergenza coronavirus sono considerati credibili? In realtà no. Molti colleghi e amici cinesi ai dati non hanno mai creduto più di tanto. Certo, parlare apertamente è complicato. I video che circolano? Ad oggi non sappiamo con certezza quali sono falsi e quali veri. In Cina sono molti gli account chiusi e il controllo è capillare.
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Gregoretti, giustizia politica: oggi Salvini, domani chiunque
Il caso Salvini-Gregoretti? Ne va del principio della separazione dei poteri, garanzia dello Stato di diritto. Tutto nasce da un divieto di sbarco. C’è o no c’è il reato di sequestro di persona? È un’accusa basata su una fattispecie di reato a dir poco incongrua, addirittura bizzarra. Innanzitutto non è chiaro chi sarebbero stati gli esecutori materiali del sequestro. Chi concretamente ha posto in essere la condotta criminosa? L’equipaggio? Inoltre il sequestro di persona è un reato di carattere permanente, significa che l’offesa del bene giuridico si protrae nel tempo. Il fatto è avvenuto sotto i riflettori del mondo. Sulla nave salirono anche rappresentanti delle istituzioni. A fronte di un episodio di quella gravità, al quale tutti hanno avuto modo di assistere, perché la polizia giudiziaria ad esempio non è intervenuta? Un sequestro di persona che nessuno avrebbe fatto nulla per impedire o interrompere. Dunque si tratta al massimo di un limitazione della libertà di circolazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 16 della Costituzione. Se fosse arrivata per ipotesi un’altra nave disposta a trasferire i migranti altrove, il ministro dell’interno lo avrebbe forse impedito? No di certo. L’ipotesi del sequestro non regge nella maniera più assoluta. E comunque le libertà, tutte le libertà, non sono mai assolute, ma incontrano dei limiti.Il 20 gennaio scorso l’ex ministro Salvini ha chiesto a tutti componenti della Giunta per le immunità, compresi i senatori della Lega, di essere mandato a processo, nella convinzione di avere difeso l’interesse nazionale. Sul piano politico il messaggio è chiaro: l’ex ministro ritiene di avere agito nell’interesse dell’Italia difendendone i confini, la sovranità, il diritto-dovere del governo di regolare il fenomeno migratorio e di reprimere il traffico di esseri umani da parte di organizzazioni criminali. Il senatore Salvini ritiene pertanto di non avere nulla da temere da un processo. Ma la questione è più complessa. L’autorizzazione a procedere riguarda esattamente un punto specifico: non si entra nella fattispecie del reato di sequestro. Si deve soltanto giudicare se il ministro abbia agito ai sensi della legge costituzionale 1/1989 “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”. Certo, si può dissentire sulla decisione di chiudere i porti. La questione è divisiva e non riguarda solo l’Italia.Guardate cosa succede quotidianamente alle frontiere francesi. Ma che la decisione dell’ex ministro fosse atto politico – e per definizione libero nel fine e insindacabile dall’autorità giudiziaria – è un dato assolutamente evidente. La concessione dell’autorizzazione a procedere da parte del Senato è un precedente pericoloso: significa che, per non essere indagati dalla magistratura, da oggi in poi si dovrebbe fare entrare in Italia, unico paese al mondo, chiunque si presentasse alle frontiere senza documenti. La questione comunque prescinde dalla persona Matteo Salvini. Oggi la questione riguarda Salvini, ma domani potrebbe riguardare qualunque altro ministro al posto suo. Domani, qualsiasi altro ministro potrebbe essere indagato dalla magistratura per avere appunto esercitato funzioni politiche. Posso dire che personalizzare la vicenda è un grave errore. Nell’autorizzazione a procedere non è in gioco l’avversario politico da abbattere, anche perché l’avversario politico non si abbatte per via giudiziaria, semmai lo si batte nelle urne. Ne va invece del principio della separazione dei poteri, postulato del moderno costituzionalismo e garanzia dello Stato di diritto.Conte ha accusato Salvini dicendo che la sua non è stata una scelta collegiale dell’esecutivo e ha distinto tra sbarco e ricollocazione: Salvini ha impedito lo sbarco, mentre il premier si occupava di trovare i paesi disposti ad accogliere. È una motivazione che non convince dal punto di vista costituzionale. Secondo l’articolo 95 della Costituzione, il presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile, innanzitutto di fronte al Parlamento e in attuazione del mandato ricevuto. Se il presidente del Consiglio reputa inaccettabile e ingiustificabile l’atto politico o amministrativo di un ministro, ha il potere, ai sensi della legge 400/1988, di sospenderne l’adozione. Ma non c’è stato niente di tutto questo: non soltanto Conte non ha disconosciuto ufficialmente l’operato di Salvini, ma nemmeno ha sospeso la sua azione. Se non lo ha fatto, implicitamente ha avallato l’operato di un ministro che agiva con il consenso di tutto il governo. Ricordiamoci dell’articolo 40 del codice penale: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.Ora Salvini potrebbe incorrere nelle due fattispecie previste: la sospensione, che ha carattere retroattivo, come ha detto la Corte Costituzionale nel 2015, e che può concretizzarsi a seguito di condanna di primo grado. Può arrivare fino a 18 mesi. L’altra misura prevista è l’incandidabilità per coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva a più di 2 anni di reclusione per reati punibili almeno fino a 4 anni. Poiché il reato di sequestro aggravato è punibile da 3 a 15 anni, si rientra anche in questa ipotesi. I tempi? Non sono fattispecie immediate, ma potrebbero prima o poi arrivare. Si apre un capitolo complesso, lungo e irto di insidie. La richiesta di autorizzazione a procedere su una questione come questa, che è politica per definizione, non sarebbe mai dovuta neppure arrivare nelle aule parlamentari. Sottoporre a sindacato giudiziario atti politici rischia di trasformare gli stessi atti giudiziari in atti politici. La deriva illiberale che ne potrebbe derivare è evidente. Ritengo che su questo gigantesco conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato si dovrà prima o poi pronunciare la Corte Costituzionale.(Ginevra Cerrina Feroni, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Il voto del Senato non riguarda solo Salvini, ma tutti i politici”, pubblicata dal “Sussdiario” il 12 febbraio 2020. La professoressa Cerrina Feroni è docente ordinario di diritto costituzionale nell’università di Firenze. Il caso esaminato, com’è noto, riguarda la decisione di Salvini di impedire lo sbarco della nave Gregoretti, della Guardia Costiera, con a bordo 131 immigrati. Il 25 luglio 2019 la Gregoretti recuperò in acque Sar maltesi 50 migranti imbarcati dal peschereccio Giarratano e altri 91 da un pattugliatore della Guardia di Finanza. Vennero fatti sbarcare a Pozzallo il 31 luglio e poi redistribuiti nei paesi europei disponibili ad accoglierli).Il caso Salvini-Gregoretti? Ne va del principio della separazione dei poteri, garanzia dello Stato di diritto. Tutto nasce da un divieto di sbarco. C’è o no c’è il reato di sequestro di persona? È un’accusa basata su una fattispecie di reato a dir poco incongrua, addirittura bizzarra. Innanzitutto non è chiaro chi sarebbero stati gli esecutori materiali del sequestro. Chi concretamente ha posto in essere la condotta criminosa? L’equipaggio? Inoltre il sequestro di persona è un reato di carattere permanente, significa che l’offesa del bene giuridico si protrae nel tempo. Il fatto è avvenuto sotto i riflettori del mondo. Sulla nave salirono anche rappresentanti delle istituzioni. A fronte di un episodio di quella gravità, al quale tutti hanno avuto modo di assistere, perché la polizia giudiziaria ad esempio non è intervenuta? Un sequestro di persona che nessuno avrebbe fatto nulla per impedire o interrompere. Dunque si tratta al massimo di un limitazione della libertà di circolazione, secondo quanto stabilito dall’articolo 16 della Costituzione. Se fosse arrivata per ipotesi un’altra nave disposta a trasferire i migranti altrove, il ministro dell’interno lo avrebbe forse impedito? No di certo. L’ipotesi del sequestro non regge nella maniera più assoluta. E comunque le libertà, tutte le libertà, non sono mai assolute, ma incontrano dei limiti.