Archivio del Tag ‘euro’
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Cosa ci farà Juncker ora (il padrone, non il clown Renzi)
La Germania? «Ha veramente vinto la terza guerra mondiale». Nella seconda, la Raf britannica riuscì a contenere Berlino. Oggi invece il premier inglese David Cameron «ha ceduto di schianto». E Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ha stravinto: «Jean-Claude Juncker, il suo uomo designato e sadico fautore delle Austerità germaniche per l’Economicidio del resto d’Europa, è il nuovo presidente della Commissione Europea». Secondo Paolo Barnard, proprio Juncker annuncia un programma “lacrime e sangue” fondato sulla rapina dei risparmi degli europei, visto che l’élite tecno-finanziaria continua a impedire l’espansione monetaria nell’Eurozona, ridotta ormai a «una landa di miserabile agonia economica», dove «i dati farebbero paura a Dracula». Lo dicono, per primi, «tutti quelli che di denaro se ne intendono (Goldman Sachs, Allianz, Ing, Nomura). La crisi dell’euro? E’ totalmente irrisolta: «Ci guadagnano i soliti noti speculatori internazionali e i Neomercantili tedeschi», gli industriali dell’export che sfruttano gli operai precarizzati.Il programma di Juncker, scrive Barnard nel suo blog, è fondato su tre punti-chiave altamente preoccupanti. Primo: trovare i soldi per rilanciare l’Europa all’interno di un sodalizio fra “mercati dei capitali” e “mercati monetari privati”, per «aiutare le imprese a trovare denaro e ridurne la dipendenza dai prestiti bancari». Secondo: incoraggiare l’impacchettamento di crediti inesigibili (cioè “marci”) attualmente in mano «alle banche europee in agonia», quindi titoli-spazzatura da trasformare in «prodotti finanziari esplosivi» progettati per rastrellare denaro dai risparmiatori, anche attraverso le solite speculazioni dei “fondi-avvoltoio”, cioè «le SS della finanza». Terza mossa: investire nell’Eurozona «la gran somma di 300 miliardi di euro», cioè un’inezia, per di più suddivisa fra fondi pubblici e fondi privati. «Ecco cosa ha detto di serio Juncker fra le mille palle di circostanza», continua Barnard, «ed ecco che razza di catastrofe significa per noi poveracci, famiglie e aziende».La riverniciatura finanziaria dei titoli “marci” ovviamente «non ha bisogno di commenti», dato che «è la ripetizione delle origini della più devastante crisi finanziaria di sempre, quella del 2007-8. E risuccederà». Il terzo punto, quello sull’iniezione di liquidità, è risibile: è come «infondere una goccia di sangue la mattina sulla lingua di un ammalato che sta perdendo 1 litro di sangue all’ora». Spiega Barnard: «Se pensate che la sola disoccupazione italiana – dovuta al 90% alle Austerità di Merkel-Juncker – ci costa 330 miliardi di Pil perduto all’anno, solo a noi italiani, potete immaginare cosa se ne fa la Ue di quegli spiccioli». Ma l’aspetto peggiore è riassunto nel primo passo annunciato da Juncker. «Tradotto per tutti significa questo: “I soldi per salvarci come Eurozona NON non li andiamo a prendere da chi i soldi li può creare gratis per il beneficio dei privati (gli Stati sovrani), ma li andiamo a prendere dai privati, che da una parte sono miliardari che ci caricheranno di interessi assurdi facendoci sopra profitti favolosi, e dall’altra sono poveri Cristi di cittadini che andranno a pescare nei propri risparmi”».Siamo sempre al solito paradigma, continua Barnard: «L’economia va finanziata coi soldi già esistenti che girano in tondo, e che da una parte arricchiscono i soliti arpagoni, dall’altra fottono i cittadini e le aziende. MAI e poi MAI Mai e poi mai finanziare l’economia con il denaro NUOVO nuovo (deficit) degli Stati, che è debito statale che allo Stato costa zero, ma che è CREDITO credito di cittadini e aziende per i quali produce ricchezza, e che non permette a nessuno di lucrare come un maiale. MAI! Mai fare questo. Ora pensate: in un’economia continentale dove per avere denaro si deve dipendere dai Mercati dei Capitali e Mercati Monetari privati (programma Juncker), si arriva necessariamente al punto in cui tutto quel denaro va poi restituito a quei Mercati dei Capitali e Mercati Monetari privati, e restituito CON INTERESSI con interessi. E allora chiedetevi: dove li andremo a prendere quegli interessi, visto che è tutto lo stesso denaro già esistente che gira in tondo, e non ce ne piove di nuovo dal cielo? Risposta: NON non dagli Stati, cui le regole Merkel-Juncker ferocemente proibiscono di emettere denaro (farlo piovere dal cielo). E allora da chi li andremo a prendere i soldini per pagare gli interessi agli arpagoni? Dalle…? Dalle…??? BANCHEEEEE!!! Bancheeee!!!Lavoratori, imprenditori e famiglie: tutti incatenati al debito. Esattamente il contrario di quello che Juncker annuncia a parole, “ridurre la dipendenza” di cittadini e aziende “dai prestiti bancari”. Dove si pescherà il denaro che la Bce non vuole immettere nel sistema economico europeo? Evidente: «Dai risparmi dei cittadini, che quando si riducono – come dimostra la Mosler Economics Mmt – creano anche disoccupazione, oltre che impoverimento nazionale». Questa è la «stupenda prospettiva» che Juncker ci sta annunciando, conclude Barnard: «Ecco cosa vi ha detto il Padrone, ora lo sapete, e sapete che razza di orrore finanziario continuano a creare i nostri tecnocrati europei, con la piena complicità di Matteo Pagliaccetto. E come sempre nessuno di voi farà un emerito xxxx. Ma almeno io ve l’ho spiegato».La Germania? «Ha veramente vinto la terza guerra mondiale». Nella seconda, la Raf britannica riuscì a contenere Berlino. Oggi invece il premier inglese David Cameron «ha ceduto di schianto». E Angela Merkel, la cancelliera tedesca, ha stravinto: «Jean-Claude Juncker, il suo uomo designato e sadico fautore delle Austerità germaniche per l’Economicidio del resto d’Europa, è il nuovo presidente della Commissione Europea». Secondo Paolo Barnard, proprio Juncker annuncia un programma “lacrime e sangue” fondato sulla rapina dei risparmi degli europei, visto che l’élite tecno-finanziaria continua a impedire l’espansione monetaria nell’Eurozona, ridotta ormai a «una landa di miserabile agonia economica», dove «i dati farebbero paura a Dracula». Lo dicono, per primi, «tutti quelli che di denaro se ne intendono (Goldman Sachs, Allianz, Ing, Nomura). La crisi dell’euro? E’ totalmente irrisolta: «Ci guadagnano i soliti noti speculatori internazionali e i Neomercantili tedeschi», gli industriali dell’export che sfruttano gli operai precarizzati.
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Sos: il Tesoro accumula miliardi, teme il crac dell’euro?
Siamo venuti a sapere, da fonte interna e autorevole del ministero competente, che il Tesoro italiano sta accumulando una riserva di denaro liquido superiore al momento attuale ai 92 miliardi di euro – con l’obbiettivo di raggiungere i 150 entro fine anno – in vista del tracollo della valuta unica europea. Immagino non sia sfuggito ai più che Banca d’Italia abbia comunicato l’ammontare del debito pubblico, arrivato a 2.166,3 miliardi, e che il motivo dell’impennata sia anche da addebitare agli oltre 14 miliardi accantonati proprio dal Tesoro. Quasi quindici, per la precisione. Perchè? Perchè far crescere il debito per accantonare contanti? Che senso ha? Da notare che nel 2013 la scorta di liquidi di questa funzione centrale dello Stato era molto inferiore: 62,4 miliardi. Ebbene, in un anno è cresciuta del 50% dell’importo precedente. Non si tratta di aggiustamenti di cassa. Quelli, si contano con le virgole.Qua siamo di fronte a una strategia precisa: accantonare un vero “tesoro” nelle casse del Tesoro. E un tesoro in euro, proprio quando la macchina dello Stato ha un disperato bisogno di denaro, ha senso solo se lo si ritiene strategico, così importante da dover aumentare ancor di più il buco complessivo dello Stato. E’ evidente che l’Italia nel suo piccolo stia correndo ai ripari. Si sta cercando di accumulare contanti per provare a impedire l’insolvenza che s’innescherà non appena arriverà l’autunno. Le previsioni fatte dal governo Renzi sono completamente sbagliate. Non per niente, lo stesso Renzi ha concesso un’intervista al “Corriere della Sera” con la quale ha tenuto a “smentire” voci mai girate ufficialmente – e allora perchè smentirle? – di un possibile “commissariamento” dell’Italia da parte della Troika Ue. E le previsioni errate stanno creando una voragine nei conti pubblici, per ora tenuta nascosta.Alcuni quotidiani hanno scritto di 24 miliardi di buco nei conti. Altri giornali si sono spinti a parlare di “manovra autunnale”. La verità è un’altra. La recessione non sta dando tregua e i dati sono tutti convergenti: l’Europa dell’euro è avviata a un inasprimento della crisi, ora arrivata ad aggredire il cuore della macchina economica europea: la produzione industriale. E’ in forte calo ovunque sia in circolazione l’euro. E anche i fondamentali sono da brivido: quando i Btp italiani arrivano a rendere circa come i titoli di Stato degli Stati Uniti d’America, voi capite che sta accadendo qualcosa di folle. La follia consiste nel tenere artificialmente in equilibrio valori finanziari che sarebbero del tutto squilibrati, se affidati al mercato o, se si preferisce, se rispecchiassero davvero la realtà. Quindi, che accadrà questa estate? Rimarrà tutto com’è ora o s’inizierà a vedere all’orizzonte la tempesta? Francamente, ho la netta sensazione che questo agosto sarà molto, molto simile all’agosto del 2008. Poi, il 15 settembre arrivò il crac della Lehman Brothers. E il 15 settembre 2014 riapriranno le porte del Parlamento dopo la pausa estiva…(Max Parisi, “Il Tesoro italiano sta accumulando una montagna di soldi in previsione del crac dell’euro”, da “Il Nord” del 14 luglio 2014).Siamo venuti a sapere, da fonte interna e autorevole del ministero competente, che il Tesoro italiano sta accumulando una riserva di denaro liquido superiore al momento attuale ai 92 miliardi di euro – con l’obbiettivo di raggiungere i 150 entro fine anno – in vista del tracollo della valuta unica europea. Immagino non sia sfuggito ai più che Banca d’Italia abbia comunicato l’ammontare del debito pubblico, arrivato a 2.166,3 miliardi, e che il motivo dell’impennata sia anche da addebitare agli oltre 14 miliardi accantonati proprio dal Tesoro. Quasi quindici, per la precisione. Perchè? Perchè far crescere il debito per accantonare contanti? Che senso ha? Da notare che nel 2013 la scorta di liquidi di questa funzione centrale dello Stato era molto inferiore: 62,4 miliardi. Ebbene, in un anno è cresciuta del 50% dell’importo precedente. Non si tratta di aggiustamenti di cassa. Quelli, si contano con le virgole.
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Lo Spiegel: spiata da Obama, la Merkel vuole dimettersi
Secondo lo “Spiegel”, Angela Merkel potrebbe presto dimettersi in seguito allo scandalo Datagate: la cancelliera è stata spiata per anni dall’Nsa ed è stata sorpresa a utilizzare un telefono criptato al posto di un normale apparecchio. I bene informati, sostiene Mitt Dolcino, ritengono che la donna più potente del mondo possa essere stata effettivamente spiata «dall’improbabile alleato americano». Forse, qualche informazione sensibile è stata davvero raccolta dal controspionaggio Usa: la conseguenza è che, alla lunga, la premiership tedesca «può essere a rischio scandalo, un po’ come è capitato in Italia con Silvio Berlusconi e in Turchia con Erdogan (o, senza essere premier, in Francia con Strauss Kahn)». Problema: «La Germania non può correre questo rischio, non si può rompere l’incantesimo della rinnovata ricchezza tedesca grazie al Santo Graal che è ed è stata la moneta unica, capace di drenare ricchezza dalla periferia al centro in misura pari a una guerra continentale vinta».Dunque, scrive Dolcino su “Scenari Economici”, l’opzione per la politica tedesca di un cambio in corsa è assolutamente razionale, oltre che legittimo. «Se gli Usa pensavano di trovarsi innanzi ad un paese di sprovveduti, con la Germania hanno certamente sbagliato i conti». Lo stesso “Spiegel”, sempre ben informato, proponeva addirittura l’asilo per Edward Snowden. Le possibili dimissioni della Merkel, per “smarcare” Berlino da qualsiasi possibile imbarazzo, dimostrano l’errore strategico dell’amministrazione Obama, che ha permesso alla Germania di diventare «il vero riferimento europeo», ormai in grado «anche in maniera autonoma di decidere le sorti dei governi di numerosi paesi Ue (l’esempio del Cavaliere è davvero sintomatico)». Allarme: l’ex alleato tedesco può aver causato danni agli Stati Uniti, e può provocarne ancora, trasformandosi in avversario economico. In ogni caso, aggiunge Dolcino, per l’Italia di Renzi si preannunciano tempi durissimi: se la cancelliera aveva davvero promesso meno rigore e più flessibilità, domani il premier potrebbe trovare con in mano un pugno di mosche.Per chi non l’avesse ancora capito, continua Dolcino, «l’austerità è uno strumento in mani tedesche per perpetrare lo status quo favorevole alla Germania, l’unico paese che ha tratto reale beneficio dalla moneta unica». Secondo fonti riservate, Enrico Letta aveva un impegno (forse anche scritto) dell’Europa e della Germania in particolare, per succedere a Herman Van Rompuy alla guida del Consiglio d’Europa, in cambio della «non belligeranza» dell’Italia verso l’Europa della moneta unica «a valle della restaurazione europea operata dal fido Mario Monti, peraltro a danno degli stessi italiani», come dimostra l’esplosione del debito pubblico, il crollo del Pil e quello dei consumi. «La promessa stava per essere mantenuta», scrive Dolcino, e Letta – sebbene per breve tempo – è stato «candidato europeo senza essere candidato dell’Italia». Ma il piano sarebbe saltato quando Renzi ha detronizzato il premier delle “larghe intese” sostenuto da Napolitano, ostacolando la tecnocrazia europea «per la prima volta dopo cinque anni». La Merkel ha davvero fatto promesse importanti a Renzi? E cosa accadrebbe, dunque, se la cancelliera passasse la mano per dribblare il pressing spionistico di Obama?«Per intanto il giovane Renzi certamente non si annoierà – annota Dolcino – dovendo dilettarsi con l’esercizio del tassatore riformista, di fatto eseguendo sebbene di malavoglia i desiderata tedeschi finalizzati a indebolire più che a restaurare l’economia del primo competitore manifatturiero della Germania», cioè l’Italia. Poi «dovrebbero venire le privatizzazioni come dopo la crisi degli anni ’90 e le svendite orchestrate da coloro che furono poi predestinati a brillanti carriere europee (Prodi, Draghi)». Per cui, «le aziende europee e tedesche in particolare (soprattutto in ambito energia, occhio all’interesse tedesco per Enel) sembrano rivestire il ruolo degli avvoltoi in agguato». Con Obama saldamente al potere, «Renzi può stare ragionevolmente tranquillo fino al 2016, supportato dalla possente intelligence americana». Ma che sarà del premier italiano se tra due anni dovesse cambiare il vento negli Usa? Secondo “Scenari Economici”, «se non sarà caos – fatto assai probabile – possiamo dire che la partita è più aperta di quanto sembri».Secondo lo “Spiegel”, Angela Merkel potrebbe presto dimettersi in seguito allo scandalo Datagate: la cancelliera è stata spiata per anni dall’Nsa ed è stata sorpresa a utilizzare un telefono criptato al posto di un normale apparecchio. I bene informati, sostiene Mitt Dolcino, ritengono che la donna più potente del mondo possa essere stata effettivamente spiata «dall’improbabile alleato americano». Forse, qualche informazione sensibile è stata davvero raccolta dal controspionaggio Usa: la conseguenza è che, alla lunga, la premiership tedesca «può essere a rischio scandalo, un po’ come è capitato in Italia con Silvio Berlusconi e in Turchia con Erdogan (o, senza essere premier, in Francia con Strauss Kahn)». Problema: «La Germania non può correre questo rischio, non si può rompere l’incantesimo della rinnovata ricchezza tedesca grazie al Santo Graal che è ed è stata la moneta unica, capace di drenare ricchezza dalla periferia al centro in misura pari a una guerra continentale vinta».
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Granville: l’euro crollerà, ma il potere non lo ammette
Sono convinta che la zona euro finirà. Non conosco né l’ora né il momento, ma il rischio è che tale dissoluzione avvenga nel caos più totale, per colpa dell’accanimento ideologico della classe politica e del suo rifiuto di contemplare il fallimento politico costituito dal progetto euro. Con le elezioni europee del 25 maggio scorso, le popolazioni hanno inviato un messaggio chiaro a Bruxelles: gli europei non sono più disposti a rinunciare ulteriormente a quote della loro sovranità e vogliono rinegoziare le concessioni fatte in passato. La nuova Commissione e il nuovo Parlamento Europeo, però, non ascolteranno questa volontà di cambiamento. Il loro comportamento sarà tale da rendere inutile il voto dato agli anti-euro, che costruiranno una minoranza che sarà ignorata completamente. In funzione del mandato democratico, l’élite politica considera che nulla è cambiato e che, proprio per questo, ha tutto il diritto di continuare ad agire come se nulla fosse accaduto.Credo che il principale problema con i partiti politici europei sia il fatto che non corrispondono più alla realtà della nostra epoca. La maggior parte non ascolta la voce del popolo e il loro comportamento è più rappresentativo dell’epoca feudale che della modernità. Il modo in cui quell’élite politica viene formata e poi “eletta” non ha nulla di democratico se non il nome, poiché la scelta è circoscritta ad un’élite che conosce tutti gli ingranaggi della politica ma ignora le necessità economiche attuali. In Francia, ad esempio, molta della classe politica si è formata all’Ena, il cui scopo iniziale era di selezionare alti funzionari di Stato, ossia persone in grado di eseguire e di mettere in atto le azioni decise da politici eletti e rappresentativi dell’opinione pubblica. Oggi questi alti funzionari si sono impadroniti del potere.Questa burocrazia dominante, composta da tecnocrati e centralizzata all’estremo, soffoca le popolazioni. Questa burocrazia di Stato degna di Courteline, Kafka e Orwell è una macchina infernale nella quale funzionari di Stato, non eletti, come ad esempio all’interno della Commissione Europea o del Fmi, prendono decisioni senza che nessun abbia mai conferito loro un mandato. Non potendo essere sentito, il popolo si sente escluso e questa frustrazione lo spinge a votare per i partiti estremisti. Di fronte a questa situazione, l’élite politica ripete che bisogna “educare” i popoli, considerando essenzialmente le persone come degli imbecilli e ignorando sistematicamente il loro voto, come è avvenuto in occasione del “No” olandese e francese alla Costituzione europea nel 2005. La conseguenza dell’arroganza di questa élite politica europea è, da una parte, l’ascesa dei partiti nazionalisti come il Front National e, dall’altra, il desiderio d’indipendenza di città o di regioni come nel caso della Catalogna, del Veneto e quant’altro.La gente è stanca che siano partiti di centro a prendere tutte le decisioni, con delle politiche che non solo non hanno alcuna comprensione della vita quotidiana del cittadino medio, ma che volutamente ignorano la loro voce. Questa élite politica è convinta di essere l’unica detentrice di ogni soluzione e ci conduce ciecamente verso una nuova crisi, che sarà non solo economica ma anche politica. La politica di svalutazione interna – la riduzione dei salari come unico mezzo per i paesi del sud per mantenere la competitività all’interno dell’Eurozona – non fa altro che rafforzare e aggravare tale situazione. In questo contesto si arriverà a un’inevitabile ristrutturazione dei debiti all’interno della zona euro, vale a dire a una modificazione unilaterale dei contratti, e questo equivale a un default. La crisi dell’Eurozona non si risolverà attraverso la cooperazione franco-tedesca e presto Berlino scoprirà il bluff di Parigi.La Germania e la Francia hanno due priorità fondamentalmente opposte: da un lato, la Germania, non potendo svalutare l’euro, favorisce il rigore fiscale e la svalutazione interna, una riduzione degli stipendi e dei prezzi. Ed è su questa logica che basa la sua competitività e crescita. In altre parole, i costi della manodopera unitari relativamente più bassi rispetto agli altri paesi dell’Eurozona spiegano il successo tedesco. Questo successo è stato possibile grazie alle “riforme Hartz” del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, ed è questo modello che si vuole esportare agli altri paesi tra cui la Francia. Il problema di questa politica è che richiede un lungo periodo di tempo prima di vedere i suoi frutti e presuppone una situazione in cui la traiettoria debito-Pil non aumenti.Dall’altro lato, in Francia, il peso del debito è elevato e aumenterà ulteriormente a causa della bassa inflazione e della crescita zero, dovuta all’aumento delle tasse e all’incertezza creata dal governo di François Hollande per ridurre il deficit. Il tasso di disoccupazione è arrivato a circa l’11 %. Al governo serve una crescita economica per rilanciare la propria immagine, ma le tensioni sociali stanno crescendo e rischiano di aggravare la crisi economica: l’ascesa del Front National esprime alla perfezione lo sbandamento dei francesi e il loro sentimento sempre più diffuso di non essere ascoltati dal governo al potere. L’intransigenza della Germania e l’impossibilità della Francia di attuare le riforme richieste, dovuta ai vincoli politici e temporali, determinano una situazione tale per cui quelli che costituivano i due pilastri della costruzione europea non procedono più nella stessa direzione.In questo contesto, la Francia può solo effettuare riforme che sa di non potere ultimare. Come ogni altro paese dell’Eurozona, la Francia deve conformarsi alle esigenze del Fiscal Compact e rispettarle. Qui non c’è spazio per la scelta, la Francia ha preso impegni. Purtroppo, le misure da prendere per rispettare gli impegni sono dolorose e dunque costose a livello politico. François Hollande è già il presidente più impopolare della Quinta Repubblica, dunque in un certo senso non ha più niente da perdere; ma politicamente, vista la sua mancanza di credibilità, se le riforme saranno imposte ai francesi, il suo governo rischia di destabilizzare le istituzioni della V Repubblica.L’euro è stata creato per una volontà politica, essenzialmente di François Mitterrand, e non c’era alcuna logica economica. Nello stesso modo l’euro sarà dissolto da una volontà politica. Se si presenterà questa volontà politica, potrà anche venire da paesi come la Francia o l’Italia e sarà il riflesso dell’impazienza di popoli che considerano che il costo delle riforme e delle misure economiche richieste sia troppo alto, rispetto a risultati mediocri. Una grande fetta della popolazione colpita da queste riforme è giovane, il tasso di disoccupazione che tocca i meno di 25 anni è elevato; questi giovani non hanno lo stesso senso storico di “preservare l’euro ad ogni costo” dei loro padri. A livello economico, il cataclisma potrebbe ad un tratto arrivare dal peso del debito per paesi come l’Italia o la Francia, soprattutto se la politica monetaria degli Stati Uniti divenisse ancora più restrittiva e i tassi d’interesse aumentassero. I mercati potrebbero essere in allerta. Ma finché i mercati troveranno una sicurezza nelle azioni della Banca Centrale europea, non accadrà nulla.(Brigitte Granville, dichiarazioni rilasciate ad Alessandro Bianchi per l’intervista “L’élite che ci governa si rifiuta di ammettere il fallimento e ci condurrà al caos”, pubblicata da “L’antidiplomatico” su “Voci dall’estero” nel giugno 2014 e ripresa da “Vox Populi”. La Granville è un’economista internazionale dell’università Queen Mary di Londra ed è tra i firmatari del Manifesto per la solidarietà europea).Sono convinta che la zona euro finirà. Non conosco né l’ora né il momento, ma il rischio è che tale dissoluzione avvenga nel caos più totale, per colpa dell’accanimento ideologico della classe politica e del suo rifiuto di contemplare il fallimento politico costituito dal progetto euro. Con le elezioni europee del 25 maggio scorso, le popolazioni hanno inviato un messaggio chiaro a Bruxelles: gli europei non sono più disposti a rinunciare ulteriormente a quote della loro sovranità e vogliono rinegoziare le concessioni fatte in passato. La nuova Commissione e il nuovo Parlamento Europeo, però, non ascolteranno questa volontà di cambiamento. Il loro comportamento sarà tale da rendere inutile il voto dato agli anti-euro, che costruiranno una minoranza che sarà ignorata completamente. In funzione del mandato democratico, l’élite politica considera che nulla è cambiato e che, proprio per questo, ha tutto il diritto di continuare ad agire come se nulla fosse accaduto.
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Triste miracolo: paghe da fame per un tedesco su quattro
Mario Monti, 20 gennaio 2013: «Noi ammiriamo la Germania e vogliamo imitarla in alcune riforme». Beppe Grillo, 15 marzo 2013: «Dobbiamo realizzare un piano comparabile con l’Agenda 2010 tedesca, quel che ha dato buoni risultati in Germania lo vogliamo anche noi» Matteo Renzi, 17 marzo 2014: «La pretesa di creare posti di lavoro con una legislazione molto severa e strutturata è fallita, dobbiamo cambiare le regole del gioco: in questo senso abbiamo nella Germania il nostro punto di riferimento». “Fare come la Germania” è il mantra di tutti, fino al Jobs Act renziano. Storia: nel 2003 il socialdemocratico Schroeder ha smantellato i diritti sociali e tagliato gli stipendi ai lavoratori, per poter rilanciare un’economia basata interamente sull’export e quindi sul basso costo del lavoro. La riforma prende il nome da Peter Hartz, industriale della Volkswagen. Un genio? Fate voi: “Hartz ammette di aver corrotto i sindacalisti Vw ed evita 10 anni di carcere”, titolò di recente il “Sole 24 Ore”. Facile, no? Risultato: nel regno della Merkel dilagano i mini-job da 450 euro, che dopo una vita di lavoro danno diritto a una pensione di 200 euro mensili.Sul sito “MeMmt.info”, Daniele Della Bona ripercorre i passaggi chiave del falso “miracolo” tedesco, basato sul doppio ricatto imposto ai lavoratori e ai partner europei, costretti alla politica di rigore per colpire l’industria nazionale e quindi smantellare la concorrenza industriale, dell’Italia in primis, così scomoda per la manifattura tedesca. Per Roland Berger, storico consulente di Berlino, la chiave delle riforme iniziate nel 2003 è stata «una liberalizzazione del mercato del lavoro», con stipendi rimasti al palo rispetto all’incremento della produttività, a tutto vantaggio del capitale industriale. «Poi è seguito il taglio dei costi del sistema sociale, l’aumento dell’ età pensionabile a 67 anni, la creazione di un segmento di bassi salari». Una confessione peraltro tardiva, rileva Della Bona nel post ripreso dal blog “Vox Popoli”. Più tempestivo era stato lo stesso Schroeder, il cancelliere che regalò un maxi-sconto a Gazprom per poi essere profumatamente assunto dalla compagnia russa. Già nel 2005, al World Economic Forum di Davos, Schroeder ammise: «Abbiamo dato vita ad uno dei migliori settori a bassa salario in Europa».La chiave del boom tedesco sono i famigerati mini-job, per i quali non è obbligatorio neppure versare contributi sociali. Paghette da fame, per 15 ore settimanali. In compenso, il business trova super-conveniente questa formula di assunzione: nel 2003 i minijobber erano 5 milioni e mezzo, nel 2011 erano almeno 7,5 milioni. Una catastrofe, secondo Della Bona, per i lavoratori tedeschi: esplosione di operai con bassi salari, boom del lavoro temporaneo e part-time, crollo dei salari reali medi, aumento della disuguaglianza sociale e reddituale, calo delle tutele contrattuali per tutti i lavoratori. A chi era funzionale questo disegno? E chi ne ha tratto beneficio? «La prima conseguenza è stata quella di creare un mercato del lavoro altamente segmentato», con alcuni lavoratori ben pagati e «un esercito di bassi salariati, spesso costretti a chiedere un sussidio per sopravvivere o a svolgere un secondo lavoro: fra i minijobber sono 2,5 milioni quelli con un secondo impiego». Non a caso, la quota di lavoratori nella categoria a basso salario (cioè inferiore ai 2/3 del salario medio) è il 24,3% degli occupati: è pagato con un’elemosina un lavoratore tedesco su 4, cioè quasi 8 milioni e mezzo di occupati.Nel 2010, secondo Eurostat, all’interno dell’Unione Europea, su 27 paesi membri soltanto 6 avevano una quota di lavoratori a basso salario maggiore di quella tedesca: Estonia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia e Romania. «Non solo 8,4 milioni di lavoratori percepivano nel 2012 una paga oraria inferiore ai 9,30 euro, ma – di questi – 6,6 milioni guadagnavano meno di 8,5 euro all’ora, 5,7 milioni meno di 8 euro, 4 milioni meno di 7 euro, 2,5 meno di 6 euro e 1,7 milioni avevano una paga oraria inferiore addirittura ai 5 euro». Non solo i mini-job “costano” pochissimo e fanno “risparmiare” anche sui contributi previdenziali, ma minacciano di terremotare l’impianto socio-produttivo della Germania, perché creano «le premesse per sostituire lavoratori che avevano contratti a tempo indeterminato». Secondo l’Instituts für Arbeitsmarkt und Berufsforschung (Iab), «il fenomeno è maggiormente visibile nei servizi: qui, molti minijobber svolgono lavori in precedenza assegnati ad occupati a tempo pieno – ma lo fanno con una paga più bassa». Le prove della sostituzione sono visibili anche nel commercio al dettaglio, nel turismo, nella sanità e nel sociale, scrive lo Iab, istituto di ricerca interno all’Agenzia federale per il lavoro. «Soprattutto nelle piccole aziende con meno di 10 dipendenti, i ricercatori hanno potuto confermare che la creazione di nuovi minijobs va di pari passo con l’eliminazione degli occupati a tempo pieno con regolare contratto».I ricercatori dello Iab ritengono «un pericolo» la sostituzione dei lavoratori regolari nelle piccole imprese: indeboliscono le casse sociali e quindi il sistema sociale tedesco. «In particolare, i lavoratori che per un lungo periodo hanno svolto un minijob, rischiano la trappola della povertà in vecchiaia a causa di una pensione troppo bassa». Non solo: «I minijobber non hanno diritto alle ferie e non hanno accesso ai bonus e alle indennità aziendali». Un trend che viene confermato dai dati dell’Ocse: la quota complessiva di lavoratori a tempo determinato e part-time è aumentata notevolmente a partire dal 2003, superando abbondantemente la soglia del 50% fra i giovani occupati tedeschi. «Non dovrebbe dunque stupire che i salari reali medi siano calati in Germania fra il 2003 e il 2009 di oltre il 6%». La situazione tedesca ha allarmato persino l’Ilo, l’International Labour Office delle Nazioni Unite, secondo cui il boom della Germania non è affatto dovuto a un aumento della produttività, ma solo al super-sfruttamento dei lavoratori sottopagati, dal momento che «gli sviluppi della produttività sono rimasti in linea con gli altri paesi dell’Eurozona».Il trucco, a tutto danno dei lavoratori tedeschi, sono state «politiche di deflazione salariale che non solo hanno avuto un impatto sui consumi privati, ma hanno anche condotto ad un ampliamento delle disuguaglianze reddituali ad un velocità mai vista prima, nemmeno dopo la riunificazione, quando molti milioni di persone della Germania Est persero il loro lavoro». Addirittura la Commissione Europea, nel 2012, «ormai a babbo morto», si è accorta del problema, aggiunge Della Bona. Il commissario europeo agli affari sociali, Laszlo Andor, intervistato dal giornale tedesco “Faz.net”, ha infatti riconosciuto che «il mercato del lavoro in Germania è sempre più segmentato», visto che «un gran numero di occupati ha solo un minijob». Pessimo scenario: «Se continua così – avverte Andor – il divario fra lavori regolari e minijobs crescerà rapidamente: i minijobber rischiano di restare in questa situazione e di cadere nella trappola della povertà». La stretta tedesca sui salari, dice ancora il commissario europeo, ha danneggiato gli altri Stati Ue: «Con la sua politica mercantilista, la Germania ha rafforzato gli squilibri in Europa e causato la crisi».Meglio tardi che mai, dirà qualcuno. Peccato che adesso tutti ripetano che anche i paesi del Sud Europa dovrebbero fare come la Germania, ben interpretata dalla stessa Merkel a Davos nel 2013: «Per ottenere riforme strutturali è necessario esercitare pressione», ha detto la cancelliera, ammettendo che «anche in Germania i disoccupati sono dovuti arrivare fino a 5 milioni, prima di ottenere la disponibilità all’attuazione delle riforme strutturali». Rispondendo ai Verdi, nella primavera 2013 il governo tedesco ha risposto – mentendo – che la mancanza di competitività dei paesi in crisi nasce da salari troppo alti e scarsa produttività. La strada maestra, ovviamente, sarebbe «la flessibilizzazione del salario, che in futuro dovrà essere orientato allo sviluppo della produttività», per «garantire l’occupazione e aumentarla». Ci sarebbe da ridere, se non fosse che tutti i partner europei – a cominciare da Renzi – mostrano di credere ancora, nei fatti e negli atti di governo, alla fiaba atroce dell’austerity espansiva made in Germany. I lavoratori tedeschi sono condannati anche dall’Epl, l’indice di protezione del lavoro dell’Ocse, che misura la facilità con la quale si può essere licenziati. Quando si parla di Germania, sottolinea Della Bona, dobbiamo tenere a mente che a Berlino ci sono le grandi multinazionali mercantiliste e i lavoratori, e che l’euro ha beneficiato sicuramente le prime e danneggiato enormemente i secondi.«La politica economica e commerciale tedesca di tipo mercantilistico (esportare il più possibile e ridurre le importazioni per mantenere un saldo estero positivo: “essere competitivi”, come si dice spesso sui media) ha dapprima condotto a una forte riduzione dei salari dei lavoratori tedeschi, fortemente scesi in termini reali a partire soprattutto dal 2003», e ora minaccia – di conseguenza – di mettere in crisi il bilancio statale (esattamente come in Italia) a causa del crollo dei consumi interni e del gettito fiscale. «Se il salario non cresce, difficilmente il lavoratore tedesco può comprare beni e servizi prodotti a casa propria o all’estero: meno soldi hai e meno cose compri». Ci guadagna solo l’industriale tedesco, che fa affari d’oro in due modi: sottopagando i lavoratori e beneficiando della politica europea decisa a Berlino per colpire la concorrenza, come quella italiana. Il super-export tedesco è esploso alla fine degli anni ‘90, «mentre il volume dei consumi delle famiglie, gli investimenti interni e i salari reali sono rimasti pressoché stazionari». Non stupisce che, dall’ingresso nell’euro fino alla crisi finanziaria del 2007, la Germania sia stata il paese che è cresciuto meno in Europa, come conferma l’outlook 2013 del Fmi.Infine, a completare l’affresco ci sono i dati – truccati – della disoccupazione. Ufficialmente, l’Agenzia federale per il lavoro a settembre 2012 parla di 2,7 milioni di disoccupati e di 5 milioni di “persone in età lavorativa ricevono un sussidio di disoccupazione”. Con questi numeri si arriva ad un tasso di disoccupazione di circa l’11.9 %, rileva Della Bona. Ma la stessa agenzia fornisce anche il motivo per cui circa 2,3 milioni di persone in grado di lavorare, destinatarie di un sussidio di disoccupazione, non siano incluse nel tasso di disoccupazione ufficiale: «Non vengono considerati disoccupati tutti coloro che si trovano all’interno di un programma di politica del mercato del lavoro (formazione e inserimento)», cioè quasi 1 milione di persone. Anche chi ha un basso reddito, e per questo riceve un’integrazione, non viene considerato disoccupato: erano 655.000 persone già nel maggio 2012. Sono escluse dal calcolo dei disoccupati altre 630.000 persone, quelle che ricevono un sussidio perché crescono dei figli o vanno a scuola. Poi ci sono 248.000 persone assistite perché “non capaci di lavorare”, e altri 235.000 individui “anziani” che ricevono un sussidio perché hanno più di 58 anni e negli ultimi 12 mesi, semplicemente, non hanno più lavorato. Solo metà dei beneficiari del sussidio è registrata come disoccupata, ammette la stessa agenzia. Anche così, truccando le cifre, la Germania continua a raccontare il suo miracolo triste da 400 euro al mese.Mario Monti, 20 gennaio 2013: «Noi ammiriamo la Germania e vogliamo imitarla in alcune riforme». Beppe Grillo, 15 marzo 2013: «Dobbiamo realizzare un piano comparabile con l’Agenda 2010 tedesca, quel che ha dato buoni risultati in Germania lo vogliamo anche noi» Matteo Renzi, 17 marzo 2014: «La pretesa di creare posti di lavoro con una legislazione molto severa e strutturata è fallita, dobbiamo cambiare le regole del gioco: in questo senso abbiamo nella Germania il nostro punto di riferimento». “Fare come la Germania” è il mantra di tutti, fino al Jobs Act renziano. Storia: nel 2003 il socialdemocratico Schroeder ha smantellato i diritti sociali e tagliato gli stipendi ai lavoratori, per poter rilanciare un’economia basata interamente sull’export e quindi sul basso costo del lavoro. La riforma prende il nome da Peter Hartz, industriale della Volkswagen. Un genio? Fate voi: “Hartz ammette di aver corrotto i sindacalisti Vw ed evita 10 anni di carcere”, titolò di recente il “Sole 24 Ore”. Facile, no? Risultato: nel regno della Merkel dilagano i mini-job da 450 euro, che dopo una vita di lavoro danno diritto a una pensione di 200 euro mensili.
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Barnard: euro-criminali, verrà il giorno che la pagherete
Questo programma ha cercato in tutti i modi di impedirvi di scivolare: vi ha dato gli avvisi, gli strumenti, le soluzioni. Datemi un minuto e mezzo per raccontarvi quello che noi per primi (e unici, in Italia) via abbiamo raccontato di questa catastrofe che è l’Eurozona. Noi vi abbiamo raccontato il salvataggio delle banche, vi abbiamo detto come è successo che una ricapitalizzazione della Banca d’Italia in realtà si è trasformata in qualcosa di diverso da quello che ha detto quel giornale da… del “Sole 24 Ore”. In realtà la ricapitalizzazione di Bankitalia si è trasformata in una ricapitalizzazione continua e gratuita delle banche italiane che sono fallite, ma non hanno ricapitalizzato la tua pensione. Abbiamo raccontato che le banche italiane hanno 150 miliardi di prestiti inesigibili che stanno impacchettando e che venderanno a voi cittadini, pensionati. Vi abbiamo raccontato perché le banche italiane non prestano più alle piccole e medie imprese. Siamo stati gli unici in Italia a spiegare il meccanismo del perché oggi Draghi impone delle regole, per cui le banche dicono: ok, stiamo alle regole di Draghi ma non prestiamo più alle aziende italiane.Abbiamo raccontato che la disoccupazione in questo paese costa 300 miliardi di euro l’anno, 300 miliardi di produzione mancante (la casta costa 23 miliardi di euro). Abbiam detto: smettere di guardare ai ladri di polli, veniteci dietro e cercate di capire chi veramente rovinando, fottendo la vita di tuo figlio, della tua famiglia, la vita delle persone che ami, il lavoro che hai fatto per tutta la vita. Vi abbiamo raccontato che le austerità portano deflazione. Le austerità vogliono dire meno spesa dello Stato, vuol dire meno ricchezza nelle mani dei cittadini italiani che spendono di meno, vuol dire che le aziende non possono caricare i prezzi, i prezzi crollano, le aziende licenziano: è un cane che si morde la coda in modo drammatico. Siamo stati gli unici in Italia a raccontarvi queste cose, vi abbiamo detto che il discorso delle riforme e della competitività di cui parlano tutti questi politici del Pd italiano (ma anche gli europei) non vogliono dire niente. Vogliono dire semplicemente che tu prendi 100 cani e gli butti 70 ossi in un giardino: 30 cani torneranno indietro senza osso. Tu allora li prendi, gli fai tutto il training, li rendi competitivi, fai le riforme del lavoro… però nel giardino butti solo 70 ossi a 100 cani, quindi per i prossimi ventimila anni 30 cani torneranno senza osso.Vi abbiamo raccontato che cosa vuol dire questa balla che raccontano agli italiani per abbassargli gli stipendi e rovinare uno dei paesi più ricchi del mondo. Vi abbiamo raccontato che state pagando voi: è dal 1992 – e siamo l’unica trasmissione italiana che l’ha detto, che gli italiani pagano col proprio debito e coi propri risparmi per mandare avanti il paese. Perché è dal 1992 che sono arrivati i “tecnici” – quelli seri, con la faccia da primario – e avete pagato voi per l’andamento di questo paese: non dovevate pagare voi, doveva essere lo Stato che dava a voi (e voi che risparmiavate, per fare una vita decente). Abbiamo raccontato la chemio-tassazione, abbiamo detto che non è dovuta al fatto che bisogna rendere l’Italia più competitiva: è dovuta ak fatto che esiste una moneta sciagurata, ormai considerata sciagurata da tutti gli analisti del mondo, che si chiama euro.Abbiamo raccontato di Renzi, che è l’uomo delle lenticchie, l’uomo del gioco delle tre carte che prende 5 soldi di là e li sposta di qua: non risolverà più nulla, di questo paese, vista anche la posizione anatomica di questo signor Renzi rispetto al presidente del Consiglio italiano, che si chiama Angela Merkel. La cosa più grave che abbiamo denunciato in questo programma è che il sistema-Europa, i trattati europei – che nessuno di voi ha mai votato, né letto, né conosciuto – hanno sottratto all’Italia la sovranità dello Stato, del Parlamento e della Costituzione. Però c’è una cosa che voglio dire, su “La Gabbia”: Gianluigi Paragone può anche dire “ok, io ho fatto la mia carriera, ho fatto il mio mestiere, denuncio le cose che Floris non denuncia, che Santoro non denuncia”. No, non le denunciano. Massimo D’Alema, un porco della politica, va naturalmente dal porco dell’informazione – gente come Santoro, come Floris. Io voglio dire due cose, sui giornalisti della “Gabbia”: sapete che questi ragazzi, che hanno 28, 29, 30 anni, e che rincorrono Profumo, Ghizzoni, Draghi… be’, questa è gente che si suicida, professionalmente. Si suicida, perché questi ragazzi hanno trent’anni, e a lavorare non li prenderà più nessuno. E’ drammatico, perché lo fanno per voi che state a casa, lo fanno per la vostra salvezza, per raccontarvi esattamente cosa succede in questo paese – non pensano a se stessi. Ma voi dove siete? Dove siete andati?C’è stato un voto al Parlamento Europeo, e i polli – i polli europei – hanno fatto una rivolta, la rivolta dei polli. Cos’hanno fatto? Hanno preso le pennucce e hanno fatto brr-brr-brr, e il Parlamento Europeo ha fatto brr-brr-brr, ma la Commissione Europea, che non doveva mettere Juncker e invece lo metterà perché lo vuole la Merkel – se ne frega. Adesso gli daranno 5 chicchi di mais in più – 5 chicchi, non di più, perché i polli hanno fatto la rivolta, ok? E poi torneranno con la chemio-tassazione, con l’economicidio, e tanti auguri. Noi cittadini abbiamo perso, perché non sappiamo più capire, non sappiamo più ribellarci. Ci sono queste tre persone: una è Mario Draghi, l’altra è Angela Merkel e quell’altro è Jean-Claude Juncker. Questi sono i potenti d’Europa, quelli che decidono del destino di milioni di persone, della sofferenza di milioni di vostri figli – senza coscienza, senza rimorso. E poi ci sono i patetici, osceni servi di scena Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. E questi ridono, perché sanno di aver vinto. Ma io dico: no, non avete vinto. Sentite bene quanto vi prometto: verrà un giorno…(Paolo Barnard, “Ve l’avevamo detto, ma voi avete votato per la rivolta dei polli”, testo dell’intervento alla trasmissione “La Gabbia” su La7 nel giugno 2014).Questo programma ha cercato in tutti i modi di impedirvi di scivolare: vi ha dato gli avvisi, gli strumenti, le soluzioni. Datemi un minuto e mezzo per raccontarvi quello che noi per primi (e unici, in Italia) via abbiamo raccontato di questa catastrofe che è l’Eurozona. Noi vi abbiamo raccontato il salvataggio delle banche, vi abbiamo detto come è successo che una ricapitalizzazione della Banca d’Italia in realtà si è trasformata in qualcosa di diverso da quello che ha detto quel giornale da… del “Sole 24 Ore”. In realtà la ricapitalizzazione di Bankitalia si è trasformata in una ricapitalizzazione continua e gratuita delle banche italiane che sono fallite, ma non hanno ricapitalizzato la tua pensione. Abbiamo raccontato che le banche italiane hanno 150 miliardi di prestiti inesigibili che stanno impacchettando e che venderanno a voi cittadini, pensionati. Vi abbiamo raccontato perché le banche italiane non prestano più alle piccole e medie imprese. Siamo stati gli unici in Italia a spiegare il meccanismo del perché oggi Draghi impone delle regole, per cui le banche dicono: ok, stiamo alle regole di Draghi ma non prestiamo più alle aziende italiane.
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Grillo: stop al racket dell’oscuro parassita chiamato Europa
Dobbiamo togliere di mezzo ogni ostacolo che impedisca ai cittadini di sapere cosa accade, chi prende le decisioni, chi ne fa le spese e chi governa senza essere mai stato eletto dal popolo, ma cambia la vita di chi resta senza lavoro, di chi non ha i soldi per comprarsi da mangiare, di chi è costretto a licenziare i suoi dipendenti o a dichiarare fallimento. Dobbiamo dire alla gente chi sono i nominati, da chi sono stati messi sulle loro poltrone e perché sanno solo ripetere che “serve più Europa”, “servono più soldi alle banche”, “serve più rigore”. L’austerity! Cioè tagli alla spesa pubblica, ma soprattutto ai salari, agli stipendi e alle pensioni. E quando qualcosa si taglia, qualcos’altro deve per forza aumentare: le tasse. Le tasse in Italia sono diventate così alte che ormai bisogna lavorare fino a ottobre non per guadagnare, ma solo per riuscire a pagarle. Ci hanno detto che la soluzione era l’austerity. Era una soluzione, certo, ma era quella sbagliata! In Irlanda e in Portogallo ha funzionato talmente bene che c’è stato un esodo quasi senza precedenti verso altri paesi.In Italia ha funzionato anche meglio: solo nel 2013, più di trecento aziende al giorno sono state costrette a chiudere. Il motivo è semplice: i grandi sacerdoti dell’austerity hanno basato la loro religione su dati parziali. Non serviva essere economisti per accorgersi che una compressione della spesa in un momento di crisi avrebbe portato a una stagnazione, la quale avrebbe peggiorato la crisi. Perfino al Fondo Monetario Internazionale, alla fine, se ne sono accorti: Blanchard ha ammesso l’errore, ma nessuno ha cambiato direzione. Ne ammazza di più la medicina della malattia, ma nessuno che pensi di interrompere il salasso: si continua a succhiare sangue alle aziende, alle imprese, ai lavoratori, ai pensionati, ai cittadini, ai quali si sottrae ogni giorno una fetta di sovranità, per conferirla nelle mani di un oscuro centro di potere governato da non eletti. Così, questa Europa si è trasformata in un gigantesco parassita, un parassita che vive sulle nostre spalle, un parassita che ci afferra per la gola e ci toglie ossigeno.Ci rassicurano che le cose vanno meglio, che la crisi sta passando, che si intravede la luce alla fine del tunnel, ma sono i fari del treno che ci sta per venire addosso! Il treno si chiama Fiscal Compact, il nuovo irrigidimento del Patto di Stabilità e di Crescita che negli anni è stato sforato dalla stragrande maggioranza degli Stati europei. Così, a un paziente già ammalato, hanno somministrato il colpo di grazia: il pareggio di bilancio. Che in Italia abbiamo inserito addirittura nella Costituzione. Significa che se non abbiamo soldi non possiamo neppure trovarne, privi come siamo di sovranità monetaria, senza indebitarci. Una genialata! In più, ci hanno chiesto di ridurre il rapporto debito pubblico-Pil al 60% in 20 anni. Significa prendere un tessuto economico già disastrato, un tessuto imprenditoriale disperato, un tessuto assistenziale ai limiti dell’inesistente, e applicarvi tagli a pioggia pari anche a 50 miliardi all’anno per vent’anni! E lo chiamano “grande sogno europeo”! Ci accorgeremo presto delle conseguenze del Fiscal Compact sui paesi già piegati dal rigore a tutti i costi. «E poi», come in un celebre romanzo di Agatha Christie, «non ne rimase nessuno».Non contenti, per salvare gli amici degli amici, cioè il mondo della tecno-finanza la cui sconsiderata ingordigia ha ridotto in povertà decine di milioni di persone, hanno istituito il Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, e l’hanno ratificato quatti quatti, zitti zitti, come piace a loro. Il Mes indebita interi popoli all’infinito, impegnandosi per centinaia di miliardi che possono essere rinnovati a piacere da un gruppo di oscuri oligarchi che si ritrovano in Lussemburgo, come una setta, senza che nessuno possa leggere le carte che si passano, senza che nessuno possa citarli in giudizio, senza che nessun governo nazionale, neppure futuro, possa rifiutarsi di pagare. E a fronte di questo salasso, che per l’Italia vale da subito 125 miliardi e poi chi lo sa, se un giorno dovessimo avere bisogno di essere salvati, il Mes ci presta i soldi. Ce li presta! E’ come se tu pagassi una kasko per l’assicurazione della tua auto e poi, quando qualcuno ti viene addosso, ti prestano i soldi per il carrozziere. Ce li prestano in cambio di “condizionalità”. Le chiamano “condizionalità”. Ma significano “cessioni di sovranità”. Si infilano nei Parlamenti nazionali e sottraggono ai cittadini ogni giorno un pezzetto dei loro diritti, per conferirli dentro a qualcosa che non c’è ancora. E’ a questo che è servita la crisi. Perché le guerre oggi non si fanno più con i carri armati. Si fanno con lo spread. Da un carrarmato ti puoi difendere: lo spread non lo vedi e non lo senti. E’ un assassino perfetto. Silenzioso ed ineffabile.Grazie allo spread puoi creare strumenti micidiali come l’Erf. Hanno sempre questi nomi biblici, quasi rassicuranti: il Fondo Europeo di Riscatto. Ti fanno credere che devi essere riscattato, perché sei un Piigs. Sei un Piigs anche se versi più soldi all’Europa di quanti alla fine l’Europa non te ne renda. E allora come ti riscattano? Se non ce la fai a rispettare il Fiscal Compact, vengono a suonare con l’esattore alla frontiera, e ti costringono a consegnare gli asset patrimoniali nazionali, le riserve valutarie, le riserve auree e parte del gettito fiscale fino ad ottenere garanzie per tutta la parte eccedente il rapporto del 60% del debito sul Pil. Un curatore fallimentare poi vende tutto. Una immensa Equitalia al cubo! E se consideriamo il gettito fiscale come lo stipendio di uno Stato, l’Europa si trasforma in un creditore che ti impone la cessione del quinto senza che tu possa avere più il controllo del tuo conto in banca.Cosa sarebbe tutto questo? Cosa stiamo diventando? E’ un’immensa Matrix, siamo governati da scienziati pazzi che fanno esperimenti di ingegneria tecnologico-finanziaria su interi popoli e se poi gli esperimenti falliscono e decine di milioni di persone muoiono, allora fa niente: siamo tutti sacrificabili. L’importante è che la casta mondiale, quel 10% degli abitanti della Terra che detiene il 90% delle ricchezze, sopravviva e continui a godere di ottima salute. In Grecia negli ultimi due anni si sono suicidate oltre 7.000 persone: gente che l’ha fatta finita non perché avesse perso il lavoro, ma perché non aveva più neppure da mangiare. Ci sono genitori che hanno deciso di abbandonare i propri figli negli orfanotrofi per garantirgli almeno un pasto al giorno e un letto caldo per l’inverno. In Italia, rispetto ai livelli pre-crisi, ci sono tre milioni di poveri in più (+93,9%), 3 milioni e 700.000 persone disoccupate in più (+122,3%), il Pil è crollato del 9%, la produzione industriale è precipitata del 23,6%, le costruzioni del 43,15%, i consumi delle famiglie si sono ridotti dell’8%, gli investimenti del 27,5%, c’è il -7,8% di occupazione e abbiamo perso quasi due milioni di posti di lavoro.E’ questo il grande successo dell’Europa? Una élite di mentitori di professione che cambia i metodi di calcolo alla bisogna, facendo così sparire in un attimo i dati che non devono essere mostrati? A noi in Italia raccontano spesso che servono più sacrifici, perché “ce lo chiede l’Europa”. Ma l’Europa che vogliamo noi non è quella che continua a drenare linfa dalla propria gente, che rovina i suoi imprenditori, i suoi lavoratori, che toglie lo Stato sociale ai deboli e tutela i ricchi e i forti. L’Europa che vogliamo noi non è quella che costringe le democrazie in crisi a versare centinaia di miliardi che finiscono su un conto in Lussemburgo a finanziare le democrazie che stanno bene, quelle della Tripla A, come la Germania. L’Europa che vogliamo noi non è quella oscura, un buco nero nel quale tutto entra e dal quale nulla esce, ma è l’Europa della democrazia diretta, dei referendum popolari, delle informazioni che circolano e della conoscenza condivisa. E’ l’Europa consapevole delle scelte ambientali che possono ancora cambiare le sorti del nostro pianeta. E’ l’Europa della libertà individuale, dei diritti, della sostenibilità. E’ l’Europa dei cittadini, non quella di Van Rompuy.(Beppe Grillo, estratti dal discorso “L’Europa che vogliamo”, pronunciato a Strasburgo il 1° luglio 2014).Dobbiamo togliere di mezzo ogni ostacolo che impedisca ai cittadini di sapere cosa accade, chi prende le decisioni, chi ne fa le spese e chi governa senza essere mai stato eletto dal popolo, ma cambia la vita di chi resta senza lavoro, di chi non ha i soldi per comprarsi da mangiare, di chi è costretto a licenziare i suoi dipendenti o a dichiarare fallimento. Dobbiamo dire alla gente chi sono i nominati, da chi sono stati messi sulle loro poltrone e perché sanno solo ripetere che “serve più Europa”, “servono più soldi alle banche”, “serve più rigore”. L’austerity! Cioè tagli alla spesa pubblica, ma soprattutto ai salari, agli stipendi e alle pensioni. E quando qualcosa si taglia, qualcos’altro deve per forza aumentare: le tasse. Le tasse in Italia sono diventate così alte che ormai bisogna lavorare fino a ottobre non per guadagnare, ma solo per riuscire a pagarle. Ci hanno detto che la soluzione era l’austerity. Era una soluzione, certo, ma era quella sbagliata! In Irlanda e in Portogallo ha funzionato talmente bene che c’è stato un esodo quasi senza precedenti verso altri paesi.
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Baranes: rassegnatevi, l’Italia chiude e regala pure l’Eni
Spezzeremo le reni allo Stato, e ci stiamo riuscendo. Come? Con le “riforme”, «qualunque esse siano», e con le privatizzazioni, «il nuovo mantra di media e politica», un mainstream allineato all’ideologia neoliberista del pensiero unico: i servizi pubblici sono un peso, l’unico attore abilitato è il mercato. Matteo Renzi è solo l’ultimo esponente di una lunga serie di persuasori occulti, e non importa se la strada che annuncia è fallimentare in partenza – per lo Stato, non per certo per i compratori, dai quali Palazzo Chigi spera di rastrellare 10-12 miliardi, cioè una goccia nel mare degli oltre 2.000 miliardi del debito pubblico anch’esso “privatizzato”, affidato alla lotteria della speculazione finanziaria, vulnerabile dall’epoca del divorzio tra Tesoro e Bankitalia gestito da Ciampi. Debito ora denominato in euro, moneta tecnicamente “straniera” cui il governo non può avere libero accesso. E oggi, avverte Andrea Baranes, la grande privatizzazione avviene in un momento in cui l’acquirente prenota pezzi di Italia a prezzi di realizzo, comprando solo i migliori asset: quindi «è chiaramente lo Stato», cioè i cittadini, «a perdere, non “valorizzando” ma svendendo le proprie partecipazioni».Persino in termini meramente finanziari l’operazione è difficile da capire, scrive Baranes in un post su “Comune.info”, pensando al boccone più grosso, quello dell’Eni, che «da anni, senza eccezioni, distribuisce un dividendo sulle azioni superiore al 5%». Visto che «l’Italia sul suo debito pubblico paga in media il 4% di interessi», è evidente che lo Stato «incasserebbe di più tenendosi azioni che danno più del 5% e continuando a pagare un debito al 4% invece di vendere azioni Eni per diminuire il debito». Tutto questo, peraltro, è poca cosa rispetto alla posta in gioco: «Uscire dalla crisi attuale necessita tra le altre cose di un piano industriale, energetico, occupazionale, una riconversione ecologica dell’economia». Quindi, è mai possibile che «per il governo l’unica “politica” industriale consista non solo nel non dare alcun indirizzo in economia ma addirittura nel vendere – o svendere – le proprie principali partecipazioni a soggetti interessati unicamente alla massimizzazione del proprio ritorno finanziario?».La storia si ripete identica, dopo Telecom, Ilva e Alitalia. Grazie a un certo Mario Draghi, «in pochi anni in Italia abbiamo privatizzato il 100% del sistema bancario – caso più unico che raro su scala globale – per ritrovarci i conti correnti tra i più cari d’Europa, enormi difficoltà di accesso al credito per le piccole imprese e crediti deteriorati o in sofferenza, che stanno strangolando lo stesso sistema bancario», scrive Baranes. «Per uscirne, come nel caso dell’Alitalia, la soluzione prospettata è una “bad bank”: dopo avere privatizzato i profitti, socializziamo le perdite e ripartiamo». Così, «non solo non si impara dagli errori del passato, ma non è nemmeno ipotizzabile un dibattito “laico” su pro e contro delle privatizzazioni: si va avanti a testa bassa, con una fede ideologica che rasenta il fanatismo, aprendo ulteriori spazi ai “mercati” e agli interessi privati». Nessuna sorpresa, comunque: Renzi è in contatto con Tony Blair, advisor strategico della Jp Morgan, la grande banca d’affari che pensa che l’Italia debba sbarazzarsi del suo patrimonio, a cominciare dalla Costituzione. E il ministro Padoan proviene dal Fmi e dall’Ocse, santuari della teologia neoliberista privatizzatrice.Il livello locale non fa eccezione: Roma pensa di cedere pure le sue azioni in Banca Etica e pensa a disfarsi del Teatro Valle «per restituirlo ai romani», dopo che il teatro – sostenuto dai 6.000 cittadini della fondazione “Teatro Valle Bene Comune” – in questi tre anni ha ospitato migliaia di spettatori. «Una gestione aperta, pubblica e partecipata diventa escludente dei cittadini», prende nota Baranes, pensando al sindaco Marino. «La privatizzazione è l’unica strada per aprire al pubblico». Le forze politiche sono tutte impegnate nel coro di condanna del deficit, interpretato come una sorta di malattia: nessuno ricorda che il debito è esattamente la “ragione sociale” dello Stato, lo strumento per assicurare servizi (compresi quelli culturali) senza i quali lo stesso settore privato dell’economia va in sofferenza e alla fine soccombe, dopo aver bruciato i risparmi, di fronte alla concorrenza. Oggi la concorrenza è globalizzata, straniera, tedesca e non solo: l’Italia in rottamazione saluta anche la gloriosa Indesit, emblema di un’epoca perduta – fatta anche di sprechi e veleni, ma soprattutto di benessere per tutto il sistema. Oggi, semplicemente, l’Italia chiude. Svendendo – con Renzi – anche i gioielli pubblici come l’Eni, tra gli applausi del mainstream e il silenzio degli elettori, metà dei quali hanno peraltro votato per il liquidatore di Firenze.Spezzeremo le reni allo Stato, e ci stiamo riuscendo. Come? Con le “riforme”, «qualunque esse siano», e con le privatizzazioni, «il nuovo mantra di media e politica», un mainstream allineato all’ideologia neoliberista del pensiero unico: i servizi pubblici sono un peso, l’unico attore abilitato è il mercato. Matteo Renzi è solo l’ultimo esponente di una lunga serie di persuasori occulti, e non importa se la strada che annuncia è fallimentare in partenza – per lo Stato, non per certo per i compratori, dai quali Palazzo Chigi spera di rastrellare 10-12 miliardi, cioè una goccia nel mare degli oltre 2.000 miliardi del debito pubblico anch’esso “privatizzato”, affidato alla lotteria della speculazione finanziaria, vulnerabile dall’epoca del divorzio tra Tesoro e Bankitalia gestito da Ciampi. Debito ora denominato in euro, moneta tecnicamente “straniera” cui il governo non può avere libero accesso. E oggi, avverte Andrea Baranes, la grande privatizzazione avviene in un momento in cui l’acquirente prenota pezzi di Italia a prezzi di realizzo, comprando solo i migliori asset: quindi «è chiaramente lo Stato», cioè i cittadini, «a perdere, non “valorizzando” ma svendendo le proprie partecipazioni».
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Realfonzo: un referendum contro il pareggio di bilancio
Noi riteniamo che le politiche di austerità, con i tagli indiscriminati alla spesa pubblica e gli aumenti della pressione fiscale, siano una sciagura per l’Italia e più in generale per l’Europa. Già nel 2010 io ed altri promuovemmo una lettera contro l’austerità che fu sottoscritta da circa 300 economisti italiani e stranieri, tra cui autorevolissimi studiosi, ma i governi italiani non hanno mutato di una virgola la loro azione. Ci siamo quindi convinti che di fronte a questa sciagura ed emergenza nazionale ed europea, sia necessario mettere in campo il più ampio schieramento possibile di forze politiche e sociali, con un referendum. Da qui abbiamo definito un comitato promotore largo e eterogeneo, con personalità molto diverse per formazione culturale e sensibilità politica. I quattro quesiti propongono di abrogare alcune disposizioni della legge 243 del 2012, la legge ordinaria che applica la riforma costituzionale del pareggio di bilancio spingendo sulla linea di austerità addirittura più del Fiscal Compact e dei trattati europei.
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Juncker letale per Italia e Francia, e Londra lascerà l’Ue
Condoglianze all’Europa, guidata dal super-falco del rigore Jean-Claude Juncker. Fastidioso per la Gran Bretagna, che non lo voleva – e anche per questo punterà sull’uscita dall’Ue col referendum del 2017 – il nuovo super-tecnocrate neoliberista imposto dalla Merkel come presidente della Commissione Europea sarà un’autentica condanna a morte per Francia e Italia, dove Hollande e Renzi saranno costretti a subire ancora più austerity, assistendo al boom inarrestabile di Marine Le Pen e Beppe Grillo. Lo sostiene l’autorevole analista economico del “Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchard, secondo cui il lussemburghese Juncker è un vero maestro del “metodo” da gangster attribuito al francese Jean Monnet, uno dei tanti “padri” dell’atroce Ue. Testualmente: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede: se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno», ha dichiarato candidamente Juncker al tedesco “Der Spiegel”.La sinistra caricatura di Europa disegnata dal Trattato di Lisbona, scrive Pritchard nell’articolo tradotto da “Voci dall’estero” e ripreso dal blog “Vox Populi”, non ha dato al Parlamento Europeo il potere di scegliere il presidente della Commissione, prerogativa che rimane ai leader nazionali dell’Ue. Gli eurodeputati? Hanno solo il diritto di sfiduciare la Commissione, ma non possono nominarla. «Eppure è esattamente quello che hanno fatto: una cricca di falchi integralisti a Strasburgo ha imposto a forza il presidente Juncker», un diktat accettato dagli «spauriti leader dell’Ue» solo per «ottenere concessioni o ingraziarsi il favore di Berlino». Tesi: il centrodestra (Ppe) avrebbe l’autorità per imporre la sua scelta, avendo “vinto” le elezioni europee. Lettura miope: «Il terremoto elettorale di maggio è andato in direzione completamente opposta: un urlo primordiale dei popoli europei contro la prepotenza dell’Ue e la distruzione di posti di lavoro causata dalla brutale austerità».Infatti, in Francia il Fronte Nazionale ha vinto chiedendo l’uscita dall’euro e col rifiuto viscerale del progetto dell’Unione Europea. «Bisogna essere politicamente analfabeti – protesta Pritchard – per ritenere saggio o appropriato, in questo momento, affidare la macchina Ue a un vecchio insider, uno dei maggiori responsabili delle disgraziate decisioni che hanno portato l’Europa nella sua attuale empasse». Per dirla con Beppe Grillo, «ovunque passi Juncker in Europa, non cresce più l’erba». E Marine Le Pen ha annunciato che si rifiuterà di ratificarne la nomina: «Io non parteciperò alla votazione per il carceriere della prigione: cercherò la fuga dalla prigione». Designare Juncker, sottolinea Pritchard, è stato il massimo “regalo” possibile alla Le Pen e a Grillo. Il neo-presidente della Commissione è «il volto di politiche terrificanti», che hanno intrappolato l’Europa in un drammatico “decennio perduto”, quello dell’euro. Eppure, il Ppe vanta il suo successo (numerico) alle europee. Una commedia degli equivoci: quanti elettori greci, tra quelli che hanno votato Nuova Democrazia, si sono resi conto che avrebbero lanciato alla guida di Bruxelles un uomo come Juncker, candidato a inasprire ulteriormente il rigore? E quanti elettori irlandesi di Fine Gael volevano davvero un’ulteriore integrazione nell’Ue?«Cerchiamo di essere onesti», scrive Pritchard. «Questa parodia è stata imposta dal blocco tedesco di europarlamentari, sia per aumentare i poteri della propria istituzione sia perché il presidente Juncker è ritenuto (per ora) il più sicuro curatore dello status quo nell’Ue, che serve abbastanza bene gli interessi tedeschi». Questo status quo «è rovinoso per la Francia e per l’Italia, eppure François Hollande e Matteo Renzi hanno acconsentito docilmente, lasciando David Cameron a fare una resistenza donchisciottesca contro una decisione che è quasi suicida per l’Unione Europea stessa». Pensavano di assicurarsi un po’ di flessibilità sull’austerità con un compromesso? Illusioni: «Nelle conclusioni del vertice non c’è stato nessun cambiamento sostanziale delle norme Ue sul disavanzo». Infatti, la politica di Bruxelles non cambia di una virgola: «La stagnazione permanente dell’economia è già tradotta in legge nell’Ue grazie al Fiscal Compact. Ogni paese deve tagliare il proprio debito pubblico in maniera meccanica per vent’anni, finché non raggiunge il rapporto del 60% del Pil, indipendentemente dalla politica monetaria o dallo stato dell’economia mondiale. Questo sta già incalzando la Francia, che scivola sempre più a fondo in una trappola di deflazione da debito, con una crescita zero che fa impennare la traiettoria del debito, nonostante un pacchetto di austerità dopo l’altro».Secondo Gilles Carrez, capo della commissione finanze del Parlamento francese, entro il prossimo anno la Francia sfonderà il tetto del 100%: questo significa che il debito dovrà essere tagliato di 40 punti percentuali, ossia di un 2% all’anno, nel bel mezzo di una crisi di disoccupazione. L’Italia sta anche peggio, continua Pritchard, con un debito che si avvita sopra il 133%. «Il signor Renzi può provare a guadagnare un piccolo margine di manovra per investimenti supplementari, ma a questo punto il compito è troppo arduo per qualsiasi leader politico». Colpa della «camicia di forza» dell’Uem, l’unione monetaria europea: l’euro obbliga il governo italiano «a ottenere un surplus di bilancio primario del 5% del Pil anno dopo anno, sempreché la Banca Centrale Europea riesca a raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%, cosa che per ora non riesce a fare». Con lo 0,5% attuale, per conformarsi alle regole l’Italia deve ottenere un surplus vicino al 7%. «Ma ciò non è né possibile né auspicabile, in un paese con una forza lavoro che si contrae e una demografia alla giapponese».Secondo Pritchard, «Renzi avrebbe dovuto affrontare la cancelliera tedesca Angela Merkel quando il suo successo elettorale schiacciante era ancora fresco, chiedendo un blitz di reflazione per cambiare completamente il panorama economico europeo». Ma il giovane premier italiano «ha perso la sua chance, il che porta a chiedersi se non sia soltanto un chiacchierone, che probabilmente verrà messo a tacere in fretta». Forse, aggiunge l’analista del “Telegraph”, per Renzi «era impossibile ottenere di più senza l’aiuto di Hollande», che però è ormai «una figura tragica che replica le politiche deflazionistiche di Pierre Laval nel 1935». Morale: «Per Francia e Italia, gli orrori della trappola della deflazione da debito possono restare dissimulati finché regge il ciclo di liquidità globale, se la Cina va avanti ancora con gli stimoli e se il capo della Fed, la Yellen, si preoccupa di creare posti di lavoro al di sopra di tutto. Ma una volta che il ciclo cambia, Renzi e Hollande malediranno il giorno in cui hanno accettato di venire a patti con la Merkel a Bruxelles», cedendo sull’infelicissima scelta di Juncker.Nel frattempo, la Germania teme seriamente che il Regno Unito possa salutare la sgangherata compagnia europea, dopo che la Merkel «ha allegramente perseguito i suoi interessi con effetti venefici sulla psicologia politica della Gran Bretagna», facendo salire il consenso per un’uscita del paese dalla Ue fino a un record del 47,39%. Berlino ora si sta preoccupando di limitare i danni, aggiunge Pritchard: il vice-cancelliere Sigmar Gabriel ha detto che l’uscita britannica significherebbe la disintegrazione del progetto europeo. «Non dobbiamo sottovalutare l’impatto sugli Stati anglosassoni e sui mercati finanziari», ha detto. «L’Europa sembrerebbe lacerata e indebolita agli occhi del mondo: già viene considerata un continente in declino». Anche per il terribile ministro delle finanze Wolfgang Schauble, l’uscita britannica sarebbe «assolutamente inaccettabile». Ha ragione, dice Pritchard: «Un’uscita britannica sconvolgerebbe la chimica interna dell’Unione Europea, rischiando una reazione a catena», aumentando la solitudine dell’egemone Germania. Non solo: il Regno Unito continua a crescere più dell’Eurozona del 2% annuo, e l’aumento è anche demografico – oltre 400.000 abitanti l’anno – proprio in un momento in cui la Germania sta entrando in una crisi demografica. Dunque la situazione è critica, e oggi un uomo come Juncker è davvero il peggior presidente possibile.Condoglianze all’Europa, guidata dal super-falco del rigore Jean-Claude Juncker. Fastidioso per la Gran Bretagna, che non lo voleva – e anche per questo punterà sull’uscita dall’Ue col referendum del 2017 – il nuovo super-tecnocrate neoliberista imposto dalla Merkel come presidente della Commissione Europea sarà un’autentica condanna a morte per Francia e Italia, dove Hollande e Renzi saranno costretti a subire ancora più austerity, assistendo al boom inarrestabile di Marine Le Pen e Beppe Grillo. Lo sostiene l’autorevole analista economico del “Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchard, secondo cui il lussemburghese Juncker è un vero maestro del “metodo” da gangster attribuito al francese Jean Monnet, uno dei tanti “padri” dell’atroce Ue. Testualmente: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede: se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno», ha dichiarato candidamente Juncker al tedesco “Der Spiegel”.
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Grillo accusa tutti, tranne i veri colpevoli del disastro
Grillo? Ottimo, anzi pessimo. Ha sparato contro i corrotti di casa, senza però mai – neppure una sola volta, in sette anni – alzare il mirino contro i “mandanti” della grande crisi, di cui i partiti dell’establishment sono i semplici maggiordomi. Netto il giudizio di Federico Zamboni, editorialista del “Ribelle” diretto da Massimo Fini, che si esprime «a sette anni esatti dall’annuncio, nel giugno 2007, del primo V-Day, che poi si svolse il successivo 8 settembre», e a quasi cinque dalla costituzione ufficiale, il 4 ottobre 2009, del “Movimento 5 Stelle”. L’accusa principale: nonostante l’impegno, Grillo non ha saputo affrontare il vero nodo della crisi, che dal 2007 «ha fatto emergere con ancora più forza la questione fondamentale del nostro tempo: il rapporto tra società ed economia “di mercato”». In altre parole, la “guerra” «tra la libertà di autodeterminazione dei singoli governi, e quindi dei rispettivi popoli, e i condizionamenti imposti dal modello dominante, incardinato sugli interessi delle oligarchie che gestiscono la finanza internazionale».In prima linea, sugli schermi, ci sono i soliti partiti, quelli che «si accapigliano su tutto» ma, alla resa dei conti, «non smettono mai di assecondare l’odierno assetto delle democrazie occidentali, sull’asse che lega i vertici di Usa e Ue». Il punto da affrontare, scrive Zamboni in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, è quello della loro credibilità o meno «come rappresentanti degli interessi popolari, nella prospettiva non già di una mera attenuazione nelle iniquità esistenti, ma di un loro superamento». Il che implica, ovviamente, «la rimozione delle cause profonde che hanno determinato tali disparità, che sono talmente forti, deliberate e persistenti da costituire delle vere e proprie ingiustizie». La situazione è ormai talmente grave «da esigere che i responsabili di una sopraffazione così cinica e insistita vengano quantomeno identificati e denunciati con estrema chiarezza, in attesa di poterli neutralizzare come meritano».Puntare il dito contro la “casta” italiana? Non basta: «Si tratta di un’espressione equivoca e fuorviante», perché secondo Zamboni «la chiave di volta del disastro italiano non risiede nel malgoverno esercitato a colpi di privilegi ingiustificati e di autentiche ruberie da codice penale: per quanto gravi, e da sanzionare duramente, queste condotte non sono altro che fenomeni collaterali». Per l’analista del “Ribelle”, «la colpa essenziale, la colpa “storica”, consiste nell’aver lasciato che le sovranità nazionali venissero sacrificate ai diktat finanziari, lanciati ora dalle banche centrali, ora da quello che potremmo definire “il fronte della speculazione”, includendovi tanto gli operatori di Borsa quanto i media più o meno specializzati, le agenzie di rating e ogni altro soggetto che si dia da fare per puntellarne le attività – e il terrificante potere».Grillo? E’ rimasto lontanissimo dalla meta. In questi anni «si è certamente scagliato contro molti degli abusi in corso, mettendo nel mirino anche alcune misure-capestro sovrannazionali come il Fiscal Compact e sollecitando un referendum sulla permanenza dell’euro», ma tuttavia «si è sempre astenuto dal tracciare un quadro complessivo delle sue chiavi di lettura e dei suoi obiettivi», al punto che «a tutt’oggi non è dato sapere, con la dovuta certezza, se lui e il M5S rifiutino il modello neoliberista in quanto tale, o se invece si accontentino di auspicarne una variante migliorativa». Una versione “light” che, «pur introducendo qualche limite all’azione dei privati a caccia di lucro e pur esercitando un controllo assai più stringente sui politici», rischia di restare imperniata sui principi e sui dogmi «dello sviluppo infinito e della ricerca incessante del profitto».«Ciò che resta indefinito, quindi, è proprio l’aspetto cruciale», conclude Zamboni. «E da questo mancato chiarimento derivano, per forza di cose, le contraddizioni e le divergenze anche interne che si sono manifestate soprattutto negli ultimi sedici mesi, dopo il grande successo alle politiche del febbraio 2013 e il massiccio ingresso in Parlamento». Se il movimento si è diviso fra trattativisti e oltranzisti dell’opposizione, oggi deve confrontarsi con l’ultima svolta di Grillo per provare a sfidare il Pd sulle riforme: «Se si tratta di un riposizionamento, che mette fine all’epoca del “Tutti a casa”, allora è una decisione strategica: al posto della rivoluzione, la collaborazione», per di più «con personaggi omologatissimi e infidi alla Renzi». Tutto questo, però, è solo tattica. La domanda a monte resta inevasa: cosa pensa, Grillo, del modello di dominio economico-finanziario che ha sequestrato la sovranità nazionale puntando a far sparire lo Stato (e la democrazia) privatizzando tutto, e arrivando per questo a manomettere la Costituzione?Grillo? Ottimo, anzi pessimo. Ha sparato contro i corrotti di casa, senza però mai – neppure una sola volta, in sette anni – alzare il mirino contro i “mandanti” della grande crisi, di cui i partiti dell’establishment sono i semplici maggiordomi. Netto il giudizio di Federico Zamboni, editorialista del “Ribelle” diretto da Massimo Fini, che si esprime «a sette anni esatti dall’annuncio, nel giugno 2007, del primo V-Day, che poi si svolse il successivo 8 settembre», e a quasi cinque dalla costituzione ufficiale, il 4 ottobre 2009, del “Movimento 5 Stelle”. L’accusa principale: nonostante l’impegno, Grillo non ha saputo affrontare il vero nodo della crisi, che dal 2007 «ha fatto emergere con ancora più forza la questione fondamentale del nostro tempo: il rapporto tra società ed economia “di mercato”». In altre parole, la “guerra” «tra la libertà di autodeterminazione dei singoli governi, e quindi dei rispettivi popoli, e i condizionamenti imposti dal modello dominante, incardinato sugli interessi delle oligarchie che gestiscono la finanza internazionale».
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Banche fallite, Ghizzoni e Draghi siedono su Chernobyl
Federico Ghizzoni e Mario Draghi siedono su Chernobyl, il giorno prima del meltdown. E lo sanno. Guardate che ci vuole un sangue freddo indicibile per essere nei loro panni. Ma mentre il primo è uno sfigato, il secondo no. Unicredit, e io l’avevo detto mesi fa, ha un’esposizione da Austria verso est Europa immensa, e questo significa che hanno prestato oceani di euro che non riavranno più. Sono buchi bancari sparsi nei duemila miliardi di euro di buchi bancari di cui soffrono le maggiori banche europee. Oggi arriva la notizia che la terza maggior banca dell’Europa orientale, la Erste Group, austriaca, è di fatto saltata in aria. E indovinate chi sono le altre due? Unicredit e Raiffeisen (svizzera). Non so come stia dormendo Ghizzoni stanotte. Non scherziamo. Le banche europee, e soprattutto quelle maggiori come Bnp, Deutsche e Unicredit, sono fallite: ma non fallite, sono stra-stra-fallite.Draghi, come ho spiegato in precedenza, ha appena annunciato misure camuffate da aiuti all’economia terminale dell’Eurozona che altro non sono se non aiuti alle banche e basta. La ricapitalizzazione di Banca d’Italia altro non è che un trucco per ricapitalizzare le banche italiane anno su anno. Ma credetemi, sono cerotti applicati a uno che ha perso gambe, bacino e intestini su una mina. Il fatto è che ’sti mega-manager neofeudali che siedono a Francoforte, come Draghi, non sanno più come nascondere alla Ue che faranno esplodere le banche DI PROPOSITO di proposito, e con esse i paesi e noi tutti, per poi riportarci alla plebe di 900 anni fa. Progetto neofeudale. Ma lo faranno piano piano, così nessuno se ne accorge. Draghi, poi, siccome deve dimostrare di essere serio e non un criminale (se no come fa quell’ignorante di Travaglio a dire che è “uno serio”?), farà gli esami alle banche a ottobre, i cosiddetti stress-tests.Draghi, come Ghizzoni e tutti gli altri banchieri, sa perfettamente che se questi esami fossero fatti in modo serio rivelerebbero i famosi duemila miliardi di buchi bancari di cui sopra, e soprattutto delle sotto-capitalizzazioni delle banche da far spavento a Godzilla – Deutsche Bank, che è a un effettivo 2,5% invece che essere al 10% come vi sembra?, mentre si è messa in pancia derivati per 20 volte il valore di tutta la ricchezza della Germania? ) – e la corsa sempre delle banche a comprare titoli di Stato italiani e spagnoli a prezzi di molto superiori al loro reale valore rapportato alle reali economie? Lo fanno perché Draghi li sta ingannando con promesse di surplus favolosi fra poco (il famoso Qe che non farà mai), ma sono balle! Quando esploderanno quelli? Vi siete chiesti perché con un’economia italiana ormai a livello del Ghana il nostro Renzi vende dei Btp a prezzi stratosferici e interessi microscopici come fossimo il Giappone?Chiedete sempre a Mario, quel criminale. Credete che una roba del genere possa reggere? I mercati rischiano, ma poi quando la bolla salta, mica ci perdono loro, ci perdi tu sfigato. E allora gli stress-test saranno truccati, patetici teatrini di nessun valore. Così le banche salteranno per aria lentamente una a una e lentamente ci sarà LA SCUSA, DETTATA DAI SOLITI NOTI, PER MASSACRARE LE AZIENDE, I LAVORATORI, I PICCOLI RISPARMIATORI, E LE FAMIGLIE la scusa, dettata dai soliti noti, per massacrare le aziende, i lavoratori, i piccoli risparmiatori e le famiglie bla bla bla bla, velo diciamo da annnnnnniiiiiiiiiiiiiiiii. E sarà giusto così. Perché a quel punto, voi miserabili cazzoni, chiederete aiuto a Renzi, a Grillo e ai suoi puffi in Parlamento, a Celentano, a Benigni, a Balotelli e al SuperEnalotto. Ciao.(Paolo Barnard, “Federico Ghizzoni e Mario Draghi siedono su Chernobyl”, dal blog di Barnard del 5 luglio 2014).http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=883Federico Ghizzoni e Mario Draghi siedono su Chernobyl, il giorno prima del meltdown. E lo sanno. Guardate che ci vuole un sangue freddo indicibile per essere nei loro panni. Ma mentre il primo è uno sfigato, il secondo no. Unicredit, e io l’avevo detto mesi fa, ha un’esposizione da Austria verso est Europa immensa, e questo significa che hanno prestato oceani di euro che non riavranno più. Sono buchi bancari sparsi nei duemila miliardi di euro di buchi bancari di cui soffrono le maggiori banche europee. Oggi arriva la notizia che la terza maggior banca dell’Europa orientale, la Erste Group, austriaca, è di fatto saltata in aria. E indovinate chi sono le altre due? Unicredit e Raiffeisen (svizzera). Non so come stia dormendo Ghizzoni stanotte. Non scherziamo. Le banche europee, e soprattutto quelle maggiori come Bnp, Deutsche e Unicredit, sono fallite: ma non fallite, sono stra-stra-fallite.