Archivio del Tag ‘euro’
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Bifarini: l’Ue “guarisce” solo con un New Deal rooseveltiano
Nel mio libro “Inganni economici” parlo di un fenomeno preciso, la “divinizzazione dell’economia”, in base al quale i postulati economici diventano dogmi, e le previsioni profezie. L’inganno principale è credere che l’economia sia una scienza esatta come la matematica. Oggi, un modello economico (valido, forse, in alcune circostanze) viene fatto passare per una legge universale. E’ la logica del “there is no alternative”, non c’è alternativa: il principio con il quale ci è stata propugnata l’austerity. Da questo concetto discendono tanti luoghi comuni. Come la convinzione che la disuguaglianza sociale alla lunga possa portare alla crescita e che le riforme strutturali siano la panacea di tutti i mali, quando spesso si traducono in riduzioni dei salari e dei diritti dei lavoratori e possono addirittura aumentare la disoccupazione nel breve periodo, in una situazione di crisi della domanda quale quella stiamo vivendo oggi. A Davos la Merkel ha detto che la Grecia sarebbe tornata a crescere? Ci vuole un grande coraggio per parlare di successo sulla Grecia. Anzi, è una frase che nasconde una profonda mancanza di sensibilità per il lato umano del dramma greco.E non parlo solo di disoccupazione giovanile inaccettabile, del Pil caduto del 25%, del debito pubblico che dopo la cura della Troika era arrivato al 180%. A causa dei tagli nel settore sanitario in Grecia si è assistito addirittura ad aumento di casi di Hiv, e al ritorno della malaria. L’errore che si fa quando si disumanizza l’economia è non pensare al paese reale: per valutare lo stato di salute di un paese occorre guardare all’occupazione, alle sue imprese, agli investimenti interni, al livello di equità e a quanto la crescita non sia legata a fattori endogeni e contingenti. E sotto questi punti di vista la situazione non è ancora così rosea come si vuol far credere. Intanto, la locomotiva tedesca rallenta vistosamente. La Germania è uno dei paesi più in crisi in questo periodo: la crescita è timidissima, ha sfiorato la recessione tecnica. E’ l’emblema di un modello fallimentare, quello neomercantilista, tutto basato sull’export. Non è solo una crisi industriale, ma anche sociale: è vero che hanno un basso tasso di disoccupazione, ma scontano un alto livello di “working poors”, lavoratori precari e con salari molto bassi. Troppo rigore e pochi investimenti. Per questo la Germania potrebbe implodere su se stessa. Una fragilità tanto più marcata, nel momento in cui Donald Trump, siglato l’accordo con la Cina, adopera lo strumento dei dazi come arma di ricatto in chiave antieuropea.Anche la salute bancaria tedesca non fa ben sperare. Deutsche Bank è uno degli istituti che da tempo ha un problema di sofferenze bancarie e ha subito già dei declassamenti da parte delle agenzie di rating. Pare abbia derivati per oltre 14 volte il Pil della Germania, di cui un alto quantitativo ritenuti tossici. Se la situazione dovesse precipitare, il contagio potrebbe diffondersi, a catena, sulla stabilità dei mercati europei. Quale futuro prevedo per l’Eurozona? Sui tempi non sono ottimista, ma per forza di cose dovrà esserci un cambiamento radicale. Ci sono dei segnali di apertura, anche se restano fazioni di resistenza interne, dovuti agli adoratori dell’austerity, che come cultori di una religione continuano a spingere per un modello economico sbagliato. Il peccato originale dell’Unione Europea? Il problema fondamentale è che la moneta unica è stata anteposta al percorso di integrazione politica e fiscale, che di fatto non c’è ancora. È come costruire un palazzo senza partire dalle fondamenta. Questo rappresenta un handicap di partenza pesantissimo. La crisi del 2008 è nata negli Usa, ma dagli Usa è stata superata, a differenza dell’Europa, che è rimasta ingabbiata nelle sue regole. Dunque le alternative sono due: o una rottura totale, che è alquanto improbabile, oppure continuare il processo di integrazione.Ultimamente c’è chi pensa che la via ambientale possa essere una valida via d’uscita. Larry Fink, il capo del più grande fondo d’investimento mondiale, BlackRock, sostiene che il “climate change” cambierà per sempre il volto della finanza. L’ambientalismo potrebbe essere la leva del cambiamento, l’innesco che ci costringerà a rivedere l’attuale modello economico. Inoltre può essere un incentivo a rivedere tante assurdità di questo sistema, come le delocalizzazioni alimentari, ad esempio, per cui importiamo prodotti che potremmo produrre. Anche il Premio Nobel Joseph Stiglitz, uno dei più accesi critici dell’euro, sostiene che il cosiddetto “green new deal” salverà la moneta unica, perché gli investimenti verdi porranno fine all’austerity. E’ uno scenario credibile? Sicuramente è una visione molto ottimistica. Bisogna vedere se riuscirà a passare la proposta che consente di scorporare dal conteggio del deficit gli investimenti sostenibili, superando il Patto di Stabilità. Ma ad oggi c’è stato un rifiuto soprattutto dai paesi del Nord Europa. Da dove passa il cambiamento?Dobbiamo sperare che qualcuno si svegli: per ritornare a crescere occorre un New Deal di stampo rooseveltiano. Che poi sia verde o di qualsiasi altro colore, poco importa. Anzi, meglio.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a “La Verità” per l’intervista pubblicata il 27 gennaio 2020, ripresa dal blog dell’economista: “Economia, Unione Europea, ambiente: cosa ci aspetta?”).Nel mio libro “Inganni economici” parlo di un fenomeno preciso, la “divinizzazione dell’economia”, in base al quale i postulati economici diventano dogmi, e le previsioni profezie. L’inganno principale è credere che l’economia sia una scienza esatta come la matematica. Oggi, un modello economico (valido, forse, in alcune circostanze) viene fatto passare per una legge universale. E’ la logica del “there is no alternative”, non c’è alternativa: il principio con il quale ci è stata propugnata l’austerity. Da questo concetto discendono tanti luoghi comuni. Come la convinzione che la disuguaglianza sociale alla lunga possa portare alla crescita e che le riforme strutturali siano la panacea di tutti i mali, quando spesso si traducono in riduzioni dei salari e dei diritti dei lavoratori e possono addirittura aumentare la disoccupazione nel breve periodo, in una situazione di crisi della domanda quale quella stiamo vivendo oggi. A Davos la Merkel ha detto che la Grecia sarebbe tornata a crescere? Ci vuole un grande coraggio per parlare di successo sulla Grecia. Anzi, è una frase che nasconde una profonda mancanza di sensibilità per il lato umano del dramma greco.
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Magaldi: massoni in guerra, ma per vincere serve il popolo
La guerra dei poveri, la chiamò Nuto Revelli. E i poveri erano gli alpini in Russia con le suole di cartone, i partigiani in armi dopo l’8 settembre, i montanari che li nutrivano con pane duro e castagne. Un memoriale-capolavoro, quello uscito per Einaudi nel 1962, in cui Revelli racconta in modo magistrale la vertiginosa trasformazione di un intero paese, grazie allo choc collettivo della catastrofe bellica. Metamorfosi che investe lo stesso protagonista: da ufficiale fascista, imbevuto di retorica militarista, a comandante della Resistenza, nelle brigate “Giustizia e Libertà”. Il brusco risveglio, nel 1943, è propiziato dallo sfacelo delle forze armate allo sbando, il 25 luglio. Un anno dopo, quando gli Alleati sbarcheranno in Provenza, una divisione corazzata della Wehrmacht si muoverà dal Cuneese per affrontarli. Nuto Revelli e i suoi riusciranno a rallentare i panzer per dieci giorni, inchiodandoli tra le gole della valle Stura, permettendo così agli americani di conquistare le alture di Nizza. Finita la battaglia, il comandante vorrebbe marciare verso la Liguria. Ma gli uomini glielo impediscono, vogliono svalicare in Francia. E la spuntano: votando, per alzata di mano. Democrazia, in alta montagna, dopo vent’anni di adunate nere: il riscatto della coscienza. Ma non è mai gratis, la libertà. Lo ripete anche oggi chi combatte un’altra guerra, sotterranea ma non troppo, tra le fila della cosiddetta massoneria progressista.
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Eresia Roosevelt: giù le tasse, e reddito universale per tutti
Giù le tasse, usando anche la moneta complementare emessa a costo zero. E soprattutto, reddito universale: assegno mensile di 500 euro, a chiunque, con l’unico obbligo di spendere subito quei soldi. Sembra un costo, ma non lo è. O meglio: la spesa iniziale sarebbe letteralmente oscurata dal salto in avanti del Pil, grazie al “moltiplicatore” keynesiano (spendi 100, e produci 3-400). Risultato: economia in grande ripresa e, alla fine, maggiori entrate fiscali. Sono due dei tre punti-chiave messi a fuoco dal Movimento Roosevelt (il terzo è il diritto costituzionale al lavoro, oggi assente) con l’intento di capovolgere l’ipnosi finanziaria, del tutto artificiosa, che detiene le vere chiavi della crisi europea. Una “maledizione” che sembra economica, e invece è interamente politica. «Si ciancia di lotta all’evasione fiscale, ma l’evasione la si combatte imponendo tasse eque: se si abbassano le aliquote, oggi folli, cresceranno immediatamente le entrate». Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, rilanciando un’idea del rooseveltiano Carlo Toto: rimettere in moto l’Italia, facendola uscire da decenni di sofferenze imposte dall’alto, attraverso una camicia di forza macroeconomica. A questo è servito il vincolo esterno europeo: a comprimere le possibilità del made in Italy, dopo averlo largamente sabotato, smembrato e indebolito.Teoria e pratica del neoliberismo, ideologia di cui l’Italia è stata una cavia perfetta. Pura demenzialità, il tetto del 3% imposto alla spesa. Idem la gestione privatistica dell’euro, basata sulla leggenda della scarsità di moneta (in realtà creabile in modo illimitato e senza costi). In pratica, qualcuno lassù ha chiuso i rubinetti. E al paese ha raccontato che, semplicemente, “doveva” soffrire. Peggio: che le tasse servono a pagare stipendi, a far funzionare lo Stato. Nella stanza dei bottoni, tutti sanno che non è vero: ma il mainstream (economisti neoliberali, partiti e media) fingono di non saperlo. Non ne parlano le Sardine, interessate solo a stoppare Salvini (agevolando la corsa di Prodi verso il Quirinale). Non ne parla Bonaccini, e neppure Zingaretti. La promessa di Flat Tax sbandierata dallo stesso Salvini si è fermata col siluramento di Armando Siri. L’Italia politica sembra essersi rimessa a dormire, divisa solo in apparenza tra custodi del centrosinistra e guardiani del centrodestra. Da Renzi a Berlusconi, nessuna soluzione in vista. Nel 2018, in pieno caos gialloverde, i 5 Stelle sembravano volerci provare: ma il reddito di cittadinanza promosso da Di Maio si è rivelato un’amara barzelletta, un’inutile elemosina elargita al prezzo di severe condizioni.Niente da fare neppure sul fronte della moneta parallela, di cui si era parlato nei mesi scorsi. Ne sa qualcosa un economista keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: basterebbe pochissimo, sostiene, per creare una “moneta di Stato” da affiancare all’euro, senza neppure violare il Trattato di Lisbona. Valore emesso a costo zero, accettato per il pagamento di tasse e imposte. Sarebbe un sollievo immediato, per l’economia. Due piccioni con una fava: meno tasse, ed economia in ripresa. Un altro rooseveltiano, Toto, ora rilancia: se all’abbattimento delle aliquote (e alla facilitazione fiscale propriziata dalla moneta parallela) si aggiunge la maxi-iniezione del reddito universale, l’economia può risorgere. Volerebbero i consumi, dunque il lavoro. Eresia? Sì, certo, ma sarà meglio farci l’abitudine: il Movimento Roosevelt ha intenzione di lanciare una campagna nazionale, sostenendo queste sue proposte a colpi di petizioni popolari. Non ultima quella sul diritto al lavoro: ha poco senso, ribadisce lo stesso Magaldi, che la Costituzione definisca l’Italia una repubblica fondata sul lavoro, se poi l’occupazione non c’è. Meglio che lo Stato assolva in pieno alla sua funzione, fino in fondo: così come la stessa Bce dovrebbe riscrivere il proprio statuto, puntando alla piena occupazione in Europa, anche l’Italia dovrebbe rivedere la sua Carta, impegnandosi a dare un lavoro a chiunque.L’eresia è l’unica possibilità che resta, se gli attori della politica nazionale balbettano. Soluzioni vere, radicali, frontali. Un orizzonte antropologico alternativo all’attuale bassa marea, nella quale nuotano (male o malissimo) tutti i partiti. Ma attenzione: non sono solo i rooseveltiani a scrutare il cielo, in cerca di un futuro possibile e dignitoso. La signora Christine Lagarde ha appena evocato il massimo tabù di questi anni di austerity “teologica”: gli eurobond, per sostenere in modo illimitato i debiti pubblici dei paesi europei, senza più l’incubo speculativo dello spread. E persino Mario Draghi, da parte sua, ha parlato addirittura della Modern Money Theory, cioè l’emissione monetaria teoricamente infinita, con cui rianimare l’economia europea. Il contrario esatto di quel rigore che i sacerdoti dell’eurocrazia continuano a spacciare per volere divino. E se in Italia nessuno si muove, Magaldi annuncia un appello direttamente ai cittadini: firme su firme, per sollecitare la rivoluzione di cui si avverte il disperato bisogno. Smettere di avere paura, scacciare la crisi, tornare a progettare un’Italia più comoda per tutti. Senza più evasione fiscale, grazie a tasse affrontabili. E senza più l’alibi della penuria, in virtù del reddito universale: utile a salvare chi un lavoro non ce l’ha ancora, e fondamentale per movimentare consumi, imprese, assunzioni. Si tratta di cambiare tutto, da cima a fondo. Primo step: scoprire che l’eresia non è il problema, è la soluzione.Giù le tasse, usando anche la moneta complementare emessa a costo zero. E soprattutto, reddito universale: assegno mensile di 500 euro, a chiunque, con l’unico obbligo di spendere subito quei soldi. Sembra un costo, ma non lo è. O meglio: la spesa iniziale sarebbe letteralmente oscurata dal salto in avanti del Pil, grazie al “moltiplicatore” keynesiano (spendi 100, e produci 3-400). Risultato: economia in grande ripresa e, alla fine, maggiori entrate fiscali. Sono due dei tre punti-chiave messi a fuoco dal Movimento Roosevelt (il terzo è il diritto costituzionale al lavoro, oggi assente) con l’intento di capovolgere l’ipnosi finanziaria, del tutto artificiosa, che detiene le vere chiavi della crisi europea. Una “maledizione” che sembra economica, e invece è interamente politica. «Si ciancia di lotta all’evasione fiscale, ma l’evasione la si combatte imponendo tasse eque: se si abbassano le aliquote, oggi folli, cresceranno immediatamente le entrate». Lo sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, rilanciando un’idea del rooseveltiano Carlo Toto: rimettere in moto l’Italia, facendola uscire da decenni di sofferenze imposte dall’alto, attraverso una camicia di forza macroeconomica. A questo è servito il vincolo esterno europeo: a comprimere le possibilità del made in Italy, dopo averlo largamente sabotato, smembrato e indebolito.
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L’Italia frana, mentre Salvini & Sardine pensano all’Emilia
Mentre le Sardine prodiane si affannano nelle piazze a insultare l’Uomo Nero sulla base di slogan vuoti e istericamente pericolosi, come la pretesa di togliere all’odiato nemico la libertà di esprimersi sul web, emerge sempre più chiaramente la vera natura dell’altro colossale abbaglio gialloverde, il cosiddetto fronte sovranista (in realtà solo salvinista). E’ vistoso il panico del Pd di fronte alle elezioni emiliane, in una Regione-simbolo che, per la prima volta nella storia, sembra seriamente contesa dal centrodestra. Ma pur di sviare l’attenzione dal vero pericolo – la fine dell’eterno poltronificio “rosso” – il Pd preferisce scendere sullo stesso terreno di Salvini, fingendo cioè di credere che a Bologna sia in gioco chissà cosa, la fine del mondo, il tramonto dell’umanesimo di fronte all’incombere della barbarie. L’Emilia come linea del Piave, come soglia psicologica: se crollasse, però, insieme all’onesto buongoverno dell’uscente Bonaccini finirebbe rottamato soprattutto lo storico radicamento territoriale di un potere che, partendo dalla genuinità campagnola dei tanti industriosi Peppone, una volta insediatosi a Roma (dopo la fine della Prima Repubblica) ha tranquillamente svenduto il paese alla famelica finanza globalista, grazie a condottieri anti-italiani come Prodi. E qualcuno può pensare seriamente che, con il baldo Salvini, la musica sarebbe diversa?In premessa, ovviamente, del Pd si può dire tutto il male possibile. Liquidati Moro dalla strategia della tensione e Bettino Craxi da Mani Pulite, la filiera ex-Pci ha consegnato quel che restava dell’elettorato di sinistra al turbocapitalismo neoliberista e privatizzatore, che ha distrutto l’economia mista (gruppo Iri) che faceva dell’Italia un paese anomalo, insopportabilmente benestante grazie al traino dell’industria di Stato, pur al netto delle tante piaghe nazionali: il clientelismo atavico e la corruzione dei partiti, l’evasione fiscale record, il ruolo invasivo delle mafie nell’economia. Quell’Italia è stata sabotata già nel 1981 con il divorzio fra Tesoro e Bankitalia, poi al resto ha provveduto il Trattato di Maastricht: dopo il lavoro sporco affidato a Prodi e Draghi, il “vincolo esterno” imposto alla politica nazionale è stato salutato con giubilo da leader come D’Alema. Agli ex amici dell’Urss è stato finalmente permesso di guidare il paese, sia pure solo formalmente, a patto che si limitassero a eseguire gli ordini del grande capitale finanziario neoliberale. Un’opera che solo l’ex sinistra poteva condurre in porto, con provvedimenti come la legge Treu per ridimensionare il peso e i diritti dei lavoratori, d’intesa con la Cgil.A conferma delle menzogne quotidiane fabbricate dalla propaganda sinistrese, per finire l’opera c’è stato bisogno che si chiudesse l’inutile parentesi del cosiddetto ventennio berlusconiano: la pietra tombale sui diritti del lavoro è infatti giunta solo con Renzi, sotto forma di Jobs Act e abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Contro il nuovo partito scelto dal potere per regnare sull’Italia si era levato il Movimento 5 Stelle, che aveva individuato nel Pd – giustamente – il vero nemico della sovranità italiana. Se però l’ex sinistra aveva fatto ricorso a politiche sofisticate e a menti raffinatissime per ingannare l’elettorato, spacciando per medicina il veleno che veniva somministrato al paese, i grillini hanno sfondato alla velocità della luce ogni limite estetico, ogni diaframma di decenza politica: in un pugno di mesi hanno rinnegato al 100% il loro programma iniziale, calpestando tutte le promesse e gettando nella spazzatura le speranze di un elettore su tre. Per un anno, usando come paravento l’uomo-ombra Giuseppe Conte, al governo coi 5 Stelle c’era pure la Lega di Matteo Salvini, che aveva ereditato da Bossi un Carroccio al 4% dei consensi. Quadruplicati, i suffragi leghisti, occupando stabilmente le televisioni per anni, essenzialmente con invettive: contro l’euro e l’Europa matrigna, contro i migranti e i campi Rom da spianare con le ruspe, contro l’atlantismo servile da rimpiazzare con una politica multipolare più rispettosa della Russia e delle istanze nazionali, ricalcando posizioni come quelle espresse in Francia da Marine Le Pen e in Ungheria da Viktor Orban.Una volta al governo, però, il Capitano (coraggioso, a quanto patre, solo a parole) ha cominciato a frenare: ha ingoiato la bocciatura di Paolo Savona imposta dai grandi poteri tramite Mattarella, ha subito senza fiatare il siluramento del fido Armando Siri, l’uomo della Flat Tax, e ha incassato l’umiliante “niet” di Bruxelles in relazione alla richiesta di espandere il deficit: si trattava peraltro solo del minimo sindacale, per finanziare investimenti capaci di dare un po’ di fiato al made in Italy, ma al nostro paese è stato negato anche quello. Di che pasta fosse il sovranismo di Salvini lo si è poi visto nel dicembre 2018, con l’avvilente genuflessione di fronte a uno dei massimi terminali del potere imperialista, nella versione israeliana incarnata dal famigerato Benjamin Netanyahu, uno dei politici più pericolosi del Medio Oriente. Il resto è cronachetta: le penose risse sugli sbarchi e gli strascichi giudiziari all’italiana mentre il vero potere si mangia la Libia, l’inaudita condanna inflitta alla Lega (costretta a “restituire” 49 milioni di euro, in realtà mai rubati) e l’imbarazzante vicenda di Gianluca Savoini, sorpreso a Mosca a discutere di forniture energetiche: fatto su cui Salvini si è finora rifiutato di dare spiegazioni.Unico politico italiano capace di esprimere un esultante tifo calcistico a favore del brutale omicidio del generale iraniano Qasem Soleimani, l’ex mattatore del Papeete è oggi contestato dalle Sardine essenzialmente per il lessico politicamente sgarbato, intollerabile per il buonismo dei gretini che proprio non vedono i 100 trilioni di dollari già pronti, per la speculazione del secolo che si avvale dell’ingenuità della minorenne svedese. Un grande spettacolo per ciechi: da una parte l’implume Greta elogiata dal fantasma-Zingaretti e dall’altra il villanzone lombardo, mentre i tre grandi poteri del mondo (gli azionisti di Vanguard, BlackRock e State Street) stabiliscono – al posto dei politici – come dovremo vivere e cosa dovremo pensare, nei prossimi anni. Avanza nel modo pià subdolo l’ambigua rete wireless 5G, destinata a rivoluzionare il nostro modo di esistere e di lavorare. Secondo medici e scienziati, prima di decretarne la sicurezza per la salute pubblica occorrerebbero almeno tre anni di test e di studi seri e indipendenti, che invece nessuno pretende: del 5G non si preoccupano né Salvini né le Sardine, per non parlare del Pd e dei resti umani pentastellati.Per la prima volta nella storia repubblicana, 130.000 bambini italiani quest’anno sono stati esclusi da nidi e materne: la tragedia dell’obbligo vaccinale imposto senza motivazioni mediche ha messo nei guai milioni di famiglie, ma il problema semplicemente non esiste nell’agenda politica di nessun soggetto, inclusa la Lega e i suoi valorosi detrattori “ittici”. Le autostrade crollano, l’Ilva agonizza e l’Alitalia traballa, la Fiat svende ai francesi l’auto italiana senza dare nessuna garanzia sulla sopravvivenza degli stabilimenti nazionali, ma Salvini & Sardine (come anche grillini e zingarettiani, meloniani e renziani) hanno ben altro per la testa: legge elettorale, prescrizione, taglio dei parlamentari. E soprattutto: elezioni regionali in Emilia Romagna, cruciale bivio per i destini delle italiche poltrone. Interrogativi amletici: riusciranno i Conte-boys e resistere un altro anno, per piazzare 500 figurine (suggerite dai soliti sovragestori) negli enti strategici del sottopotere, fino ad arrivare poi alla poltronissima del Quirinale? Viceversa – ohibò – scatterebbe l’ora di Matteo Salvini, l’eroe del glorioso sovranismo italiano ispirato direttamente da Medjugorje. Lui, il titanico artefice del riscatto nazionale, armato di crocefisso e devoto a San Donald, noto patrono dell’indipendenza italiana di cielo, di terra e di mare.Mentre le Sardine prodiane si affannano nelle piazze a insultare l’Uomo Nero sulla base di slogan vuoti e istericamente pericolosi, come la pretesa di togliere all’odiato nemico la libertà di esprimersi sul web, emerge sempre più chiaramente la vera natura dell’altro colossale abbaglio gialloverde, il cosiddetto fronte sovranista (in realtà solo salvinista). E’ vistoso il panico del Pd di fronte alle elezioni emiliane, in una Regione-simbolo che, per la prima volta nella storia, sembra seriamente contesa dal centrodestra. Ma pur di sviare l’attenzione dal vero pericolo – la fine dell’eterno poltronificio “rosso” – il Pd preferisce scendere sullo stesso terreno di Salvini, fingendo cioè di credere che a Bologna sia in gioco chissà cosa, la fine del mondo, il tramonto dell’umanesimo di fronte all’incombere della barbarie. L’Emilia come linea del Piave, come soglia psicologica: se crollasse, però, insieme all’onesto buongoverno dell’uscente Bonaccini finirebbe rottamato soprattutto lo storico radicamento territoriale di un potere che, partendo dalla genuinità campagnola dei tanti industriosi Peppone, una volta insediatosi a Roma (dopo la fine della Prima Repubblica) ha tranquillamente svenduto il paese alla famelica finanza globalista, grazie a condottieri anti-italiani come Prodi. E qualcuno può pensare seriamente che, con il baldo Salvini, la musica sarebbe diversa?
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Di Maio e Grillo, al capolinea la grande farsa dei 5 Stelle
La notizia, in fondo, è che faccia notizia l’harakiri di Di Maio alla vigilia delle regionali emiliane e calabresi. Era il 27 maggio 2018: chiederemo l’impeachment per Mattarella, tuonava il cosiddetto capo politico dei 5 Stelle. Già l’indomani tornava sui suoi passi, preparandosi a salire a testa china al Quirinale, ingoiato in sole 24 ore il “niet” presidenziale sulla nomina strategica di Paolo Savona al dicastero dell’economia. Due anni prima, i 5 Stelle avevano tentato – a freddo, senza preavviso né spiegazioni – il clamoroso trasloco, a Strasburgo, nel gruppo europarlamentare dell’Alde, quello dei pasdaran ultra-euristi, amici di Mario Monti. L’abbaglio pentastellato si era già palesato in tutto il suo fulgore: un grandioso equivoco da 9 milioni di voti, in un’Italia stremata dalla finta alternanza tra berlusconiani e antiberlusconiani, tutti strettamente devoti alle direttive austeritarie del neoliberismo eurocratico e privatizzatore. Il ciclone Grillo si era abbattuto in modo spettacolare sulla palude italica, promettendo una rivoluzione nella governance. Ora Grillo (lo stesso che nel 2016 tentò di associare i pentastellati ai fanatici guardiani dell’euro) è l’uomo che ha imposto ai suoi sudditi l’alleanza sfacciata con il loro nemico storico, il Pd, il “partito del potere” contro cui si era gonfiato il consenso incautamente attribuito al MoVimento.L’eredità elettorale di Grillo è stata largamente acquisita da Matteo Salvini, che negli ultimi anni ha cavalcato l’onda contestataria dei 5 Stelle, facendo proprie molte delle parole d’ordine grilline. Esattamente come fino a ieri i pentastellati, Salvini – ora all’opposizione – può insistere nell’invocare un rovesciamento sostanziale della filosofia di governo, nel segno del recupero della sovranità italiana. E, proprio come i suoi ex sodali gialloverdi, nemmeno Salvini offre soluzioni praticabili, fondate su parole nette e su un disegno politico credibile, preciso e sostanziale. Non a caso, l’ex vicepremier leghista ha tirato a campare per un anno intero, insieme al suo socio grillino, senza nulla osare: il “governo del cambiamento”, infatti, non ha cambiato di una virgola le avvilenti condizioni della sudditanza italiana rispetto ai poteri forti che gestiscono privatisticamente l’Unione Europea, dentro il grande “frame” del neoliberismo universale dove lo Stato – ridotto in bolletta e ricattato dai “mercati” col giochino dello spread – viene neutralizzato come motore economico e ridotto al ruolo di spietato esattore. A differenza dei 5 Stelle, almeno Salvini si era impegnato sul fronte dell’alleggerimento fiscale: ma, proprio come i suoi ex compagni di viaggio, senza mai entrare davvero nel merito. Tante chiacchiere sulla Flat Tax di Armando Siri, ma mai una spiegazione su come trasformarla in realtà.In altre parole, il salvinismo barricadero edizione 2020, recitato comodamente dall’opposizione, ricorda in modo sinistro le roboanti promesse dei 5 Stelle alla vigilia del loro storico esordio al governo del paese. S’è visto come i grillini abbiano prontamente tradito tutti gli elettori, nel modo più sconcertante: Tap e Tav, vaccini, Ilva, armamenti, trivelle, euro e banche. Velo pietoso sullo sbandieratissimo reddito di cittadinanza, micro-elemosina vincolata a stringenti condizionalità. Inevitabile, peraltro, avendo evitato di affrontare il problema dei problemi: la liquidità a disposizione dello Stato per poter dispiegare vere politiche utili al paese, detassazioni e investimenti di lungo respiro. Sul Grande Nulla degli imbarazzanti 5 Stelle ha imperato solo e sempre il misterioso Grillo, giunto a umiliare Di Maio tentando di fargli credere di avere davvero il potere di decidere qualcosa. Il fatto che oggi Di Maio getti finalmente la spugna, aumentando ulteriormente il caos generale che regna tra i grillini, non dovrebbe avere la minima importanza per chi osserva lucidamente la politica italiana, i devastanti problemi del paese e l’assenza cosmica di soluzioni sul tappeto, da parte di tutti gli attori attualmente sulla scena.La notizia, in fondo, è che faccia notizia l’harakiri di Di Maio alla vigilia delle regionali emiliane e calabresi. Era il 27 maggio 2018: chiederemo l’impeachment per Mattarella, tuonava il cosiddetto capo politico dei 5 Stelle. Già l’indomani tornava sui suoi passi, preparandosi a salire a testa china al Quirinale, ingoiato in sole 24 ore il “niet” presidenziale sulla nomina strategica di Paolo Savona al dicastero dell’economia. Due anni prima, i 5 Stelle avevano tentato – a freddo, senza preavviso né spiegazioni – il clamoroso trasloco, a Strasburgo, nel gruppo europarlamentare dell’Alde, quello dei pasdaran ultra-euristi, amici di Mario Monti. L’abbaglio pentastellato si era già palesato in tutto il suo fulgore: un grandioso equivoco da 9 milioni di voti, in un’Italia stremata dalla finta alternanza tra berlusconiani e antiberlusconiani, tutti strettamente devoti alle direttive austeritarie del neoliberismo eurocratico e privatizzatore. Il ciclone Grillo si era abbattuto in modo spettacolare sulla palude italica, promettendo una rivoluzione nella governance. Ora Grillo (lo stesso che nel 2016 tentò di associare i pentastellati ai fanatici guardiani dell’euro) è l’uomo che ha imposto ai suoi sudditi l’alleanza sfacciata con il loro nemico storico, il Pd, il “partito del potere” contro cui si era gonfiato il consenso incautamente attribuito al MoVimento.
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Carpeoro: Craxi ucciso dai nostri nemici, complici gli italiani
Dove siamo, col cervello, mentre le cose accadono? Perché non riusciamo quasi mai a leggerne il vero segno? Fa impressione, oggi, ascoltare i mea culpa di tanti italiani che, vent’anni dopo la sua morte nella solitudine di Hammamet, rimpiangono in Bettino Craxi il politico puro, lo statista, l’uomo irriducibilmente indipendente dal sistema mainstream, anche a costo di apparire antipatico, altezzoso, insopportabile. E fa ancora più impressione ascoltare un suo antico collaboratore come Gianfranco Carpeoro, spietato con gli storici detrattori di Craxi: «Fino a quando continueranno a dar retta a gente come Travaglio e Scanzi, gli italiani verranno sodomizzati quotidianamente». La durezza di Carpeoro è impietosa: «Quelli che oggi ancora scrivono, mentendo, che Berlusconi fu una sorta di erede politico di Craxi, dimenticano la lite furobonda che li oppose. Insieme ad Andreotti, Craxi costrinse Berlusconi a cedere “l’Espresso” e “Repubblica”. Così poi Berlusconi tradì Craxi, scatenando le sue televisioni nel cavalcare Mani Pulite». L’Italia del benessere stava finendo: «Prodi svendette la Sme a De Benedetti per 600 milioni, e il gruppo fu poi rivenduto per 20 miliardi». Era l’inizio della fine: per “terminare” l’Italia, dopo aver eliminato Moro, bisognava far fuori anche Craxi: «I nemici di Bettino erano gli stessi che avevano tolto di mezzo Moro, per la salvezza del quale proprio Craxi (con Pannella) fu l’unico a battersi».Avvocato per trent’anni, Carpeoro (Pecoraro, all’anagrafe) – massone, simbologo, saggista e romanziere – era cresciuto tra i giovani socialisti calabresi alla corte di Giacomo Mancini. A Milano, aveva seguito Bobo Craxi e ricoperto vari incarichi nel Psi. Poi, tra lui e il leader socialista c’erano stati dissapori, quando a Carlo Tognoli fu preferito Paolo Pilliteri come sindaco milanese: «Il problema, con Bettino, era che non accettava che gli si desse torto, né in pubblico né in privato». Si riconciliariono in piena tempesta Mani Pulite: «Gli scrissi, apprezzò le mie parole. Poi, quando riparò ad Hammamet, andai a trovarlo due volte». Beninteso: «Craxi non è semplicemente morto: è stato ucciso», sottolinea Carpeoro, in video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. L’accusa: gli fu impedito di essere curato in modo adeguato, in Italia, senza venire arrestato. Era piagato dal diabete, insidiato da un tumore. E Craxi preferì morire, piuttosto che affrontare il carcere. In un suo libro appena uscito, Fabio Martini ricorda: l’allora premier Massimo D’Alema chiese al procuratore Francesco Saverio Borrelli di attivare una procedura umanitaria, in modo che Craxi potesse essere operato a Milano, da uomo libero. Ma Borrelli rifiutò. A quel punto, D’Alema avrebbe potuto emanare un decreto, ma non osò farlo. E Craxi, poco dopo, morì. «In carcere, sarebbe sopravvissuto tre giorni», dice Carpeoro: «E per impedirgli di dire la sua, comunque, gli avevano minacciato i figli».Rivelazioni clamorose, anticipate da Carpeoro nel 2015 durante una conferenza dell’associazione “Salus Bellatrix” di Vittorio Veneto, guidata da Francesca Salvador. «Perché Craxi non si difese a viso aperto, contrattaccando, visto che si sentiva vittima di un complotto? Ci aveva provato, contattando Paolo Mieli, Giovanni Minoli e Giancarlo Santalmassi, cioè il “Corriere” e la televisione. Ma quella sera stessa lo raggiunse un avvertimento anonimo e minaccioso all’hotel Raphael, dove alloggiava a Roma». Messaggio esplicito: attento, se parli colpiremo i tuoi figli. «Nel giro di poche ore lo chiamarono Bobo e Stefania: lui aveva trovato la sua casa messa a soqquadro, mentre a lei avevano anche preso i vestiti dagli armadi e glieli avevano bruciati sul terrazzo». I figli erano spaventati, il padre pure: i responsabili della sicurezza di Craxi gli dissero che si trattava di minacce credibili, pericolose. Al che, continua Carpeoro, Bettino rinunciò alle interviste-bomba e passò al Piano-B: «Chiamò l’allora capo della polizia, Vincenzo Parisi, e lo incaricò di mediare coi giudici di Milano». L’offerta: siate “morbidi”, e io lascerò l’Italia. Detto fatto: «In molti notarono l’anomala mitezza di Di Pietro nell’interrogatorio di Craxi». Era il segnale atteso: Craxi lasciò il paese da uomo libero, come pattuito. «La Tunisia, l’estradizione non l’avrebbe mai concessa. Ma l’Italia non l’ha comunque mai chiesta».Ipocrisie colossali? E non è tutto: «Nell’archivio del tribunale di Milano – aggiunge Carpeoro – c’è una stanza inaccessibile dove sono tuttora tenuti sotto chiave i dossier riguardanti 6 anni di indagini condotte prima che si venisse a sapere di Mani Pulite». Indagini-fantasma? «A quanto pare, condotte con metodi non legali», cioè senza avvertire gli indagati. «Me ne parlò direttamente un magistrato», dichiara Carpeoro. «Riferii subito la cosa a Bettino, ma decise di non fare nulla: sottovalutò il pericolo. Io comunque sono pronto a testimoniare in aula, se si apre un’inchiesta su questo». Si riaprirà? Carpeoro ne dubita: «Troppi poteri forti non vogliono che se ne parli: dovranno passare altri dieci anni, prima che questo capitolo si possa riaprire». Ancora tanti, i protagonisti in circolazione. L’ex giustiziere Di Pietro? «Una figura interamente costruita per affondare l’Italia colpendo Craxi. Ogni giorno era a colazione con il console americano: al punto che, per l’imbarazzo, gli Usa furono costretti a liberarsi di quel diplomatico». Bruciava ancora la notte di Sigonella: quale altro leader europeo aveva mai osato far circondare i marines dalla propria polizia, per proteggere un commando palestinese? Gli americani volevano Abu Abbas, inviato da Arafat per risolvere la crisi della nave da crociera Achille Lauro. Craxi lo difese, in nome della sovranità nazionale, pagando per questo un prezzo altissimo.«Quello che i cialtroni della nostra carta stampata continuano a non dire, e a far finta di non sapere – aggiunge Carpeoro – è che l’unica vittima dei sequestratori della nave, l’anziano paralitico Lion Klinghoffer, non era solo un pensionato ebreo con passaporto statunitense: era anche e soprattutto un alto esponente del B’nai B’rith», l’esclusiva massoneria ebraica che rappresenta il nerbo del Mossad, che in quegli anni si era reso responsabile di azioni sanguinose contro i palestinesi. Era il 1985: l’Italia, quinta potenza industriale del mondo, aveva ancora una politica estera (oltre che un vero governo). Bel problema: andava “risolto”. Aldo Moro era stato “sistemato” come sappiamo, dopo esser stato minacciato di morte da Henry Kissinger. Un anno dopo Sigonella, i killer colpirono Olof Palme a Stoccolma: «Era il leader carismatico dei socialisti europei», ricorda Carpeoro: «Lui vivo, non sarebbero mai riusciti a fare questo aborto di Ue». Per un po’ resistette la Francia, «ma lo stesso Mitterrand fu messo fuori gioco». Restava Craxi, e si sa com’è finita. «Se ti metti contro certi poteri, devi solo sperare di vincere», aggiunge Carpeoro: «Sai già in partenza che, se perdi, poi finisci ad Hammanet. E infine muori, assassinato – di fatto – dai nemici del tuo paese, e con la complicità dei tuoi stessi concittadini, che il potere ha messo contro di te».Carpeoro non fa sconti, agli italiani: si sono lasciati manipolare, come i topolini dal pifferaio di Hameln. Solo oggi, vent’anni dopo, molti di loro aprono gli occhi. «Craxi aveva un progetto ben preciso: voleva un’Europa unita, ma governata dai socialisti». Era stata la dottrina di Olof Palme: «Tagliare le unghie al capitalismo, frenarne gli eccessi». Peccato che il potere, in programma, avesse ben altro: neoliberismo assoluto e “totalitario”, svuotamento della democrazia e sottomissione della politica. Tagli alla spesa, crollo della classe media, rigore fiscale, mortificazione dell’economia reale a favore delle grandi concentrazioni finanziarie. In altre parole, l’attuale Disunione Europea: «Profetiche, in questo senso, le invettive di Craxi da Hammamet di fronte all’avvento dell’euro: ma ormai era un leader screditato in ogni modo, esiliato, latitante». Si era battuto per l’Italia, senza che gli italiani se ne accorgessero. La fine della scala mobile? Per Carpeoro, una concessione tattica al sistema. Il “serpente monetario” Sme? Una vittoria craxiana: uno stratagemma per proteggere la lira dalle speculazioni dei Soros. Dopo di lui, il diluvio: privaizzazioni selvagge, fine dello Stato. Oggi l’Italia è in ginocchio, col cappello in mano a mendicare elemosine a Bruxelles, e senza uno straccio di progetto politico – e men che meno, di statista – in grado di disegnare un futuro diverso.Ha stravinto il peggior potere, il neoliberismo finanziario che ci ha imposto l’austerity come dogma religioso. E l’Italia l’ha messa nel sacco nel solito modo, cooptando italiani “collaborazionisti”. «Siamo un paese così, fin dal Rinascimento: pur di sconfiggere la signoria rivale, ci si allea con gli stranieri». Ben lieti, i baroni dell’ex Pci, di accettare il “vincolo esterno” imposto dall’Ue alla politica italiana: caduta la Prima Repubblica arrivarono finalmente al governo, ma a patto di obbedire agli ordini della sovragestione internazionale. «Craxi fu tolto di mezzo perché, esattamente come Moro, una cosa simile non l’avrebbe mai accettata. Non c’era modo di piegarlo: bisognava eliminarlo». Il suo grande errore? «Si fidava degli italiani: immaginava che prima o poi capissero che lavorava per loro». E invece, gli hanno dato del ladro. Non cambiarono idea neppure il giorno che nessun parlamentare alzò la mano per contestarlo, quando in Parlamento chiese: qualcuno può dire di non aver mai percepito finanziamenti politici illegali? «Si evita sempre di ricordare che, in assenza di una legge adeguata per coprire i costi della politica, la Dc fu finanziata per decenni dagli Usa, e il Pci dall’Urss». Ma il ladro era “Bottino” Craxi, come lo chiama Travaglio, anche se persino Borrelli – prima di morire – si è domandato se Mani Pulite non abbia finito per favorire i grandi poteri che volevano depredare l’Italia.«E’ vero che i soldi servivano a finanziare il partito, ma qualcosa restava attaccato alle dita», dice a Craxi un personaggio del film “Hammamet”. «Di sicuro – replica Carpeoro – le dita non erano quelle di Craxi, che per sé non hai preteso una lira: del suo famoso “tesoro”, solo immaginario, non c’è traccia». Aveva tollerato personaggi discutibili, nel Psi? «Certo, ma era inevitabile: se avesse tagliato anche quelli, avrebbe dimezzato i voti. E il suo grande cruccio è sempre stato quello di non essere riuscito a superare il 15%. Già così, comunque, dava fastidio sia alla Dc che al Pci, che avrebbero preferito fingere in eterno di combattarsi, continuando a spartirsi il potere sottobanco in modo consociativo». Cos’è mancato, a Craxi? Gli italiani: il consenso del paese, nonostante gli enormi successi economici. «E il bello è che la parola “socialismo” riscuoteva generale simpatia». Il maggior merito di Craxi? «Aver sgombrato il campo, una volta per tutte, dalla lotta di classe: l’idea di poter raggiungere un socialismo vero con le riforme, cioè senza la violenza di una rivoluzione». Riforme per il popolo, non contro il popolo (come quelle neoliberiste). E com’è che il potenziale campione diventa un nemico pubblico? Pensiero magico: la fabbricazione dell’Uomo Nero. Carpeoro ne fa una teoria argomentata: si educa la gente a votare “contro”, se si vuole distruggere un paese. Caduto un avversario, eccone un altro. L’importante è non costruire mai niente di buono. Ed eccoci qua, con Salvini e le Sardine, Conte e Di Maio. E l’Italia – o quel che ne resta – divorata in un sol boccone dal pescecane di turno.Dove siamo, col cervello, mentre le cose accadono? Perché non riusciamo quasi mai a leggerne il vero segno? Fa impressione, oggi, ascoltare i mea culpa di tanti italiani che, vent’anni dopo la sua morte nella solitudine di Hammamet, rimpiangono in Bettino Craxi il politico puro, lo statista, l’uomo irriducibilmente indipendente dal sistema mainstream, anche a costo di apparire antipatico, altezzoso, insopportabile. E fa ancora più impressione ascoltare un suo antico collaboratore come Gianfranco Carpeoro, spietato con gli storici detrattori di Craxi: «Fino a quando continueranno a dar retta a gente come Travaglio e Scanzi, gli italiani verranno sodomizzati quotidianamente». La durezza di Carpeoro è impietosa: «Quelli che oggi ancora scrivono, mentendo, che Berlusconi fu una sorta di erede politico di Craxi, dimenticano la lite furobonda che li oppose. Insieme ad Andreotti, Craxi costrinse Berlusconi a cedere “l’Espresso” e “Repubblica”. Così poi Berlusconi tradì Craxi, scatenando le sue televisioni nel cavalcare Mani Pulite». L’Italia del benessere in crescita stava finendo: «Prodi svendette la Sme a De Benedetti per 600 milioni, e il gruppo fu poi rivenduto per 20 miliardi». Era l’inizio della fine: per “terminare” il Belpaese, dopo aver eliminato Moro, bisognava far fuori anche Craxi: «I nemici di Bettino erano gli stessi che avevano tolto di mezzo Moro, per la salvezza del quale proprio Craxi (con Pannella) fu l’unico a battersi».
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‘Mani Pulite, su Craxi inchiesta illegale avviata 6 anni prima’
Il film “Hammamet” e nuovi libri su Craxi, con documenti inediti: tutto questo servirà a ristabilire un po’ di verità? Purtroppo, ci sono poteri forti che non hanno interesse a ristabilire la verità, perché dovrebbero auto-accusarsi di cose piuttosto gravi. Il tempo trascorso non è sufficiente, devono passare ancora una decina d’anni. Anche perché c’è una famosa stanza, nell’archivio del tribunale di Milano, che contiene una decina di fascicoli che tuttora non sono visibili e consultabili: e la gente non sa neanche che esistano. Sono lì, e nessuno può entrare in quella stanza dell’archivio senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, nonostante non ci sia alcuna indagine in corso. Questi documenti contengono dati relativi alla nascita dell’inchiesta Mani Pulite, che è nata sei anni prima di quanto la gente sappia. E’ stata fatta andare avanti sottotraccia, contro ogni normativa prevista dalla legge, finché è convenuto farla esplodere. Se ci sarà un’inchiesta, su questo, uno dei testimoni sarò io. Cinque-sei anni prima dell’inchiesta Mani Pulite ricevetti una visita, nel mio studio. Venne a trovarmi un magistrato, e ci fu questo tipo di chiacchierata. Io andai da Bettino, a dirgli “guarda che succede questa cosa”, ma lui disse “freghiamocene”. Tutti possiamo fare errori di sottovalutazione.Non aggiungo altro, ma se ci sarà un’inchiesta io andrò a parlare sotto giuramento. Il magistrato che parlò con me era relativamente famoso, ma non sarebbe salito alla ribalta mediatica perché, successivamente, non avrebbe fatto parte del pool Mani Pulite. Se la magistratura italiana è pilotata da poteri esteri? Anche, ma non solo. Per esempio, Di Pietro aveva contatti con servizi segreti di altre nazioni: questo è emerso. Ha avuto incontri anche col servizio bulgaro, con quello turco, con quello americano. Mi domando perché un magistrato debba incontrare questo tipo di personaggi. Non si pensi, però, che la successiva entrata in politica, da parte di Di Pietro, facesse parte del medesimo persorso: al contrario, non era stata ben vista, da quelli che lo avevano aiutato. Del resto, il percorso è sempre lo stesso: uno va al potere con l’appoggio dei poteri della sovragestione; ma quando poi pensa di poter utilizzare questo per una leadership personale, accentrando troppa attenzione su di sé e su quello che rappresenta, alla sovragestione questo non piace: è accaduto anche a un certo Monti.Mi si chiede se non ho paura, a dire queste cose? Certo che ho paura. Tutti ne abbiamo, benché la paura sia un sentimento che pratico poco. La sensazione che mi possa capitare qualcosa posso anche averla, ma sapete: ho sessant’anni, figli non ne ho fatti, tutto quello che mi doveva capitare mi è capitato. L’unica paura che ho è che possa finire su una sedia a rotelle, diventando un peso per le persone che mi vogliono bene. Se invece mi fanno fuori, che volete che dica: quasi tutto quello che potevo fare, l’ho fatto. L’esplosione pubblica dell’inchiesta Mani Pulite, sei anni dopo? Semplicemente, era stato scarcerato (e non era più processabile) il senatore-chiave per Craxi, Antonio Natali, ex presidente della Metropolitana, che avrebbe dovuto costituire l’affossamento di Craxi sei anni prima. Credo che un po’ di persone siano a conoscenza di questi documenti inaccessibili. Non chiedono che vengano mostrati, perché non ne hanno il potere. La famiglia Craxi? Non so ne sia al corrente. Io comunque queste cose le avevo già dette dieci anni fa, e non è successo nulla.C’è chi si domanda come abbia fatto, un politico arguto e intelligente come Craxi, a non rendersi conto dell’ondata che lo stava per travolgere. Craxi ha sempre avuto una fiducia, nel popolo italiano, molto superiore a quella di qualunque altro uomo politico. Quindi ha sempre pensato che, alla fine, il popolo italiano riconoscesse le sue capacità di governo e gli facesse governare l’Italia con una maggioranza sufficiente. Solo dopo le ultime elezioni (e io già non parlavo più con lui da un po’ di tempo), ha capito che quella fiducia era mal riposta, e non ha potuto fare più niente. Lui doveva vincere le elezioni – anzi, stravincerle – e credeva di riuscirci. Ma non conosceva il popolo italiano. Se Craxi avesse vinto, l’Europa e l’euro avrebbero preso altre strade, e oggi saremmo una nazione più forte e competitiva? Ovviamente sì. Ma scusate, gli italiani non l’hanno votato, Craxi. In un qualunque altro paese al mondo, uno che fa quello che Craxi ha fatto a Sigonella piglia l’80% dei voti. Tutti questi antimericani, che sputano veleno sull’America, quando si trattava di votare Craxi dov’erano? Buoni solo a sciacquarsi la bocca di insulti: buoni a nulla.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Carpeoro Racconta” del 5 gennaio 2020. Simbologo, saggista, giornalista e romanziere, Carpeoro – all’anagrafe, Pecoraro – ha svolto per trent’anni la professione di avvocato, collaborando strettamente anche con Craxi).Il film “Hammamet” e nuovi libri su Craxi, con documenti inediti: tutto questo servirà a ristabilire un po’ di verità? Purtroppo, ci sono poteri forti che non hanno interesse a ristabilire la verità, perché dovrebbero auto-accusarsi di cose piuttosto gravi. Il tempo trascorso non è sufficiente, devono passare ancora una decina d’anni. Anche perché c’è una famosa stanza, nell’archivio del tribunale di Milano, che contiene una decina di fascicoli che tuttora non sono visibili e consultabili: e la gente non sa neanche che esistano. Sono lì, e nessuno può entrare in quella stanza dell’archivio senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica, nonostante non ci sia alcuna indagine in corso. Questi documenti contengono dati relativi alla nascita dell’inchiesta Mani Pulite, che è nata sei anni prima di quanto la gente sappia. E’ stata fatta andare avanti sottotraccia, contro ogni normativa prevista dalla legge, finché è convenuto farla esplodere. Se ci sarà un’inchiesta, su questo, uno dei testimoni sarò io. Cinque-sei anni prima dell’inchiesta Mani Pulite ricevetti una visita, nel mio studio. Venne a trovarmi un magistrato, e ci fu questo tipo di chiacchierata. Io andai da Bettino, a dirgli “guarda che succede questa cosa”, ma lui disse “freghiamocene”. Tutti possiamo fare errori di sottovalutazione.
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Soldi gratis: il mondo vuole la Mmt, e l’Italia ignora Draghi
Finire impiccati dagli interessi passivi sul debito pubblico: succede, se si impedisce allo Stato di rimediare, emettendo liquidità a costo zero. Non a caso, l’Italia è in avanzo primario da decenni: in termini di servizi, lo Stato spende meno di quanto incassi dai cittadini sotto forma di tasse. E allora perché nessuno dà retta a Mario Draghi, che nella sua ultima esternazione da presidente della Bce ha evocato il ricorso alla Modern Money Theory di Warren Mosler, cioè il finanziamento teoricamente illimitato da parte dello Stato mediante immissione di liquidità? Se lo domandano Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su “Milano Finanza”, ricordando che la Mmt è oggi sostenuta persino da Jan Hatzius, capo-economista di Goldman Sachs, e da Stefanie Kelton, “mente” economica del candidato democratico Bernie Sanders. Con Trump, il debito pubblico Usa aumenterà di altri 1.200 miliardi di dollari, sforando i 23.000 miliardi, proiettando l’America nel decimo anno consecutivo di espansione «senza avere problemi di inflazione o di debolezza del dollaro». Il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil, e Tokyo ha appena lanciato un altro piano di espansione fiscale, con tassi d’interesse vicini allo zero, «continuando a smentire gli economisti che si preoccupavano del livello del suo debito pubblico».Anche nell’Eurozona si è “stampato moneta”, ricordano Becchi e Zibordi, nel senso che la Bce ha triplicato il suo bilancio (da 1.300 a 4.700 miliardi in pochi anni) comprando più di un terzo dei titoli di Stato sul mercato, e finanziando banche italiane e spagnole che a loro volta ne hanno comprati. «Il risultato è stato che i tassi di interesse sono scesi più o meno a zero o persino sotto zero, e il mercato e lo “spread” è stato addomesticato». A livello globale il debito pubblico negli ultimi dieci anni è più che raddoppiato, aggingono i due analisti, ma i tassi d’interesse sono scesi ai livelli più bassi della storia: un risultato che è più in accordo con la Mmt che con i testi di macroeconomia più diffusi. «La tesi centrale di Warren Mosler è appunto che la politica ottimale sarebbe non emettere titoli di Stato (Treasury o Btp) e tenere i tassi a zero», riassumono Becchi e Zibordi. «I deficit verrebbero finanziati con un misto di finanziamento da parte della banca centrale ed emissione di titoli a breve come i Bot o i T-Bills a cui applicare un limite di rendimento molto basso (0,5% ad esempio)». Da settembre, la Fed sta comprando 60 miliardi di T-Bills al mese, aiutando (pur senza ammetterlo, e dando una motivazione diversa) a finanziare gli enormi deficit pubblici Usa. E non è un caso che Trump le chieda insistemente di portare i tassi a zero.Negli ultimi anni, archiviato l’orrore della Grecia – paese svenduto, licenziamenti in massa, stipendi dimezzati e pensioni decurtate, ospedali senza medicine per i bambini – negli ultimi anni «il mondo assomiglia più a quello che descriveva la Mmt che a quello dei Cottarelli & Company, per i quali invece l’aumento del debito pubblico porta a rischi di default e, se monetizzato, porta a inflazione e svalutazione senza freni». Quello che è stato vietato alla Grecia (e che avrebbe salvato la società allenica, che oggi ha “i conti in ordine” e quindi la peggiore economia europea) viene invece praticato largamente: si smette di considerare lo Stato “una famiglia” e si torna alla verità, cioè alla funzione salvifica del potere di emissione monetaria a costo zero. «Se ora applichiamo la Mmt alll’Italia – scrivono i Becchi e Zibordi su “Milano Finanza” – dobbiamo ricordare che dai primi anni ‘80 lo Stato ha pagato in totale 4.000 miliardi di interessi su Bot, Cct e Btp, per cui si può senz’altro dire che il debito pubblico, di 2.300 miliardi, sia dovuto solo agli interessi cumulati», e dunque «ad un caso, se vogliamo, di “macro-usura”». Se l’Italia avesse applicato la ricetta Mmt di finanziare in parte tramite la banca centrale e in parte con Bot a rendimento limitato – aggiungono i due analisti – avrebbe potuto risparmiare qualcosa come 3.000 miliardi di interessi ed evitare l’austerità, cioè gli “avanzi primari” a cui è obbligata dal 1995.E’ curioso, continuano Becchi e Zibordi, che si finga di non vedere che a salvare il mondo occidentale da una crisi sistemica (e non solo quello, perché la Cina ha aumentato da 7.000 a 40.000 miliardi di dollari i suoi aggregati monetari) sia stato il massiccio intervento di creazione di moneta. Solo la povera Italia, dopo la Grecia, deve restare esclusa dalla soluzione che tutto il mondo pratica da tempo? Dal 1862 al 1980 lo Stato italiano ha finanziato il 54% dei suoi deficit con moneta emessa dalla banca centrale. «Il cuore del problema è la famigerata creazione di moneta da parte dello Stato, che nel mondo moderno è affidata alla banca centrale quando finanzia i deficit pubblici». Un raddoppio dei debiti pubblici nel mondo come quello occorso dalla crisi di Lehman in poi, finanziato in parte da creazione di moneta della banca centrale, «non ha avuto conseguenze negative, anzi: ha consentito di salvare i sistemi bancari e aumentare la spesa (fuori dall’Eurozona), riducendo le tasse e quindi sostenendo l’economia. «Se si guarda a Spagna e Francia, che hanno raddoppiato il debito pubblico dal 2007 tenendo deficit elevati, si vede che hanno potuto riprendersi molto meglio dell’Italia», che invece «ha continuato a tassare più di quello che spendeva».I 60 o 70 miliardi di interessi l’anno, infatti, «ritornavano solo in piccola parte alle famiglie», per cui il deficit del 2% medio italiano, in realtà, «non stimolava l’economia», e le tasse, comunque, «finivano per aumentare sempre». In più, «il vincolo di bilancio ha impedito allo Stato di intervenire a sostegno delle banche italiane in crisi dopo il 2008», come invece è accaduto negli altri paesi. E così, si è lasciato che si tagliasse in modo indiscriminato il credito alle imprese italiane (-25% in dieci anni). «La soluzione – scrivono Becchi e Zibordi – è invece proprio quella di andare avanti sulla strada della monetizzazione del debito, come ha fatto il Giappone dove la banca centrale ne possiede oggi il 44% e una cifra pari al 100% del Pil nipponico». Da trent’anni il Sol Levante ha altissimi deficit primari, «perché ha tenuto la tassazione molto più bassa di noi», e così «il reddito pro capite giapponese è aumentato quanto quello medio dell’Eurozona, mentre il nostro è collassato del -7% dal 2007». Dopo trent’anni (e dopo aver pagato 4.000 miliardi di interessi sui titoli di Stato), secondo Becchi e Zibordi è insensato non ricorrere alla Mmt: significa «continuare a paralizzare per sempre il popolo italiano». Servirebbe «una soluzione una tantum per monetizzare parte di questo debito, che è poi quello che, sotto false spoglie, sta facendo Bankitalia, che ha ora 400 miliardi di debito pubblico».La Mmt, concludono i due analisti, ha il pregio di inquadrare questa soluzione in una teoria della moneta moderna in cui la politica ottimale sarebbe quella di non emettere più Btp, e di finanziare i deficit per metà tramite la banca centrale e per metà con Bot a tasso prefissato. «Un’altra possibilità è emettere debito permanente a cui dare la caratteristica di moneta, cioè tramite cui consentire al pubblico di spendere come da un conto corrente». Attenzione: i Btp decennali non sono sempre esistiti; sono un’invenzione recente, dei primi anni ‘90, e avevano lo scopo di attirare investitori e banche straniere sul nostro debito, che all’epoca era in mano alle famiglie e alle banche (pubbliche) italiane. «Bisogna riconoscere che è stato un errore estromettere le famiglie italiane e affidarsi al mercato estero, anche se non si vuole ammetterlo nonostante l’evidenza delle banche centrali che sono costrette a stampare moneta per ritirare dal mercato titoli, sia in Europa, che in America che in Giappone». La Mmt di Mosler? «Aveva previsto quello che è successo negli ultimi dieci anni». La sua teoria «aiuta a capire che si può uscire dalla paralisi attuale tornando a dare allo Stato il controllo del suo finanziamento». In tutto il mondo, oggi, si discute finalmente della Modern Money Theory, «e persino Draghi l’ha presa in seria cosididerazione». In Italia, invece, «se ne parla solo per screditarla». Nel 2018, Mattarella stoppò Paolo Savona perché, secondo il capo dello Stato, “i mercati” non lo avrebbero gradito, al ministero dell’economia. Eppure, con la Mmt, i “mercati” di cui parla Mattarella – i signori dello spread – sarebbero fuori gioco: neutralizzati dall’emissione di moneta.Finire impiccati dagli interessi passivi sul debito pubblico: succede, se si impedisce allo Stato di rimediare, emettendo liquidità a costo zero. Non a caso, l’Italia è in avanzo primario da decenni: in termini di servizi, lo Stato spende meno di quanto incassi dai cittadini sotto forma di tasse. E allora perché nessuno dà retta a Mario Draghi, che nella sua ultima esternazione da presidente della Bce ha evocato il ricorso alla Modern Money Theory di Warren Mosler, cioè il finanziamento teoricamente illimitato da parte dello Stato mediante immissione di liquidità? Se lo domandano Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su “Milano Finanza“, ricordando che la Mmt è oggi sostenuta persino da Jan Hatzius, capo-economista di Goldman Sachs, e da Stephanie Kelton, “mente” economica del candidato democratico Bernie Sanders. Con Trump, il debito pubblico Usa aumenterà di altri 1.200 miliardi di dollari, sforando i 23.000 miliardi, proiettando l’America nel decimo anno consecutivo di espansione «senza avere problemi di inflazione o di debolezza del dollaro». Il debito del Giappone rappresenta il 250% del Pil, e Tokyo ha appena lanciato un altro piano di espansione fiscale, con tassi d’interesse vicini allo zero, «continuando a smentire gli economisti che si preoccupavano del livello del suo debito pubblico».
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Vietato stupirsi se gli Usa, popolo eletto, calpestano i diritti
Gli Usa, giovani come sono, quasi mai sono stati in pace e hanno una lunga storia di soprusi, di omicidi e di violazioni dei diritti dell’uomo nonché del diritto internazionale, il quale ultimo si dimostra, ancor più del diritto nazionale, pieghevole nella sua interpretazione ed effettività a seconda dei rapporti di forze in lizza. Nei libri di storia per le scuole non lo si racconta, ma durante la IIª Guerra Mondiale, gli Usa hanno violato le convenzioni internazionali in modo non sporadico, ma metodico. Bombardavano frequentemente quartieri residenziali e persino scuole (Gorla) e giostre (Grosseto). Eseguivano anche mitragliamenti di civili a volo radente. Me lo hanno confermato testimoni oculari e vittime. Ricordiamo i 300.000 civili circa bruciati vivi con un bombardamento al fosforo su Dresda, bersaglio strategicamente inutile; i circa due milioni di prigionieri tedeschi, dopo la fine della guerra, nei campi di concentramento, prigionieri che gli Usa ridefinirono giuridicamente Disarmed Enemy Forces onde esimersi dalla Convenzione di Ginevra del 1929 a tutela dei prigionieri di guerra e darsi così il diritto di ridurre le loro razioni sotto le soglie di sopravvivenza, negando loro anche i ripari contro le intemperie.
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Casca il mondo, l’Italia sparisce. E nessuno dice la verità
“La guerra infinita”, “Il più grande crimine”, “Massoni”. Tre libri – italiani – senza precedenti nel mondo, quando uscirono. Nel primo, edito da Feltrinelli nel 2003, Giulietto Chiesa svelava la drammatica inconsistenza della versione ufficiale sull’11 Settembre, oggi conclamata: i tremila architetti e ingegneri dell’associazione 9/11 Thruth (e i pompieri di New York) dimostrano la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle, certo non abbattute da aerei dirottati. Otto anni dopo, archiviato l’inferno dell’Iraq e neutralizzato il supertestimone Julian Assange, di fronte alla crisi finanziaria globale e alla micidiale austerity europea è stato Paolo Barnard ad afferrare il torno per le corna, con un instant-book diffuso sul web e ora pubblicato da Andromeda: il golpe tecnocratico dell’Eurozona riletto in chiave criminologica, dalle sue premesse (la svendita dell’Italia affidata a Prodi e Draghi) fino all’estrema conseguenza del devastante “economicidio” eseguito da Monti. Infine, nel 2014, è stato il massone progressista Gioele Magaldi ad aggiungere una spiegazione decisiva, facendo luce sul missing link che separa la cronaca dalla verità del potere: il ruolo delle superlogge sovranazionali, presentate per la prima volta con nomi e cognomi.Che fine hanno fatto, questi tre autori che il mainstream continua a ignorare? Due di loro – Chiesa e Magaldi – presidiano canali di informazione critica, mentre il terzo (Barnard) ha abbandonato anche il web, deluso dall’immobilismo italiano: cittadini ipnotizzati da un’offerta politica demenziale o cialtrona, come quella dei 5 Stelle, e “leoni da tastiera” incapaci di strutturarsi in opinione pubblica militante, in grado di impegnarsi politicamente per cambiare qualcosa. Giulietto Chiesa è passato per l’esperimento deludente della “Lista del Popolo” con Antonio Ingroia e ora segue da vicino Vox Italia, la formazione di Diego Fusaro. Soprattutto, anima le trasmissioni web di “Pandora Tv” e quelle nuovissime di “Contro Tv”, emittente fondata con Massimo Mazzucco, il cui esplosivo documentario “11 Settembre, inganno globale” fu trasmesso in prima serata nel 2006 su Canale 5 da “Matrix”, talkshow allora condotto da Mentana. Magaldi, dal canto suo, ha fondato il Movimento Roosevelt, entità trasversale meta-partitica: missione, inoculare il virus del risveglio democratico nei partiti italiani. E’ anche tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, piattaforma politica keynesiana, e partecipa a trasmissioni web-tv sui canali YouTube di “Border Nights” che ospitano lo stesso Mazzucco.A che punto è la notte? Difficile dirlo, data la nebbia che avvolge l’Italia: buio pesto, là fuori. A Palazzo Chigi siede il prestanome Giuseppe Conte, ottimamente relazionato con il Vaticano (nel frattempo divenuto socio di Lapo Elkann tramite il fondo Centurion basato a Malta), mentre le cosiddette Sardine fanno la guerra all’opposizione ignorando le eroiche imprese del governo più imbarazzante di sempre, attorno a cui ronzano statisti del calibro di Renzi, Di Maio e Zingaretti. L’Italia nel frattempo cade a pezzi: il crollo del viadotto Morandi e l’oscena vicenda del Tav Torino-Lione ne emblematizzano il declino, causa morte civile della politica, insieme all’agonia dell’Ilva, all’ignobile silenzio ufficiale sulla rete 5G, alla scandalosa gestione dell’obbligo vaccinale che nel 2019, per la prima volta, ha escluso 130.000 bambini da nidi e asili. Nel frattempo, la Exor di John Elkann si compra “Repubblica” e “L’Espresso”, cede ai francesi il timone dell’ex Fiat e non concede alcuna garanzia sul futuro degli stabilimenti italiani. In compenso ne aprirà uno in Marocco e si prepara a intascare altri 136 milioni di euro, stavolta dal governo Conte (che dichiara guerra al contante e ai micro-evasori, mentre la Fca continua a pagare le tasse in Olanda anziché in Italia).Argomenti caldi, sui media: gli sbarchi dei migranti e il malvagio Salvini. In compenso si lascia credere che il mondo verrà salvato da Greta Thunberg, cioè dai mega-investitori planetari alle spalle della ragazzina, Goldman Sachs e BlackRock in testa, che si apprestano a riverniciare di “green” i fondi-pensione da vendere a centinaia di milioni di persone, una torta da oltre 100 trilioni di dollari. Riassunto delle puntate precedenti? Non disponibile: i media non se ne occupano. Magari pontificano sulle altrui “fake news” sorvolando sulle proprie, ma si sono ben guardati dal recensire “La guerra infinita”, “Il più grande crimine” e “Massoni”, tre volumi risultati preziosissimi per gli italiani desiderosi di capire almeno qualcosa dello smisurato caos nel quale sembra finito il mondo, senza più distinzione tra destra e sinistra, buoni e cattivi, progressisti e conservatori. Si è appena celebrato l’anniversario della caduta del Muro di Berlino: poteva essere l’anno zero, l’avvento dell’epoca di pace sognata da Gorbaciov? Errore: Wall Street si gettò subito sulla Russia per spolparla, mentre alla Cina fu permesso di entrare nel grande giro mondiale del Wto ma in modo selvaggio, senza tutele per gli operai e per l’ambiente. Risultato: globalizzazione feroce e lavoratori occidentali nei guai, alle prese con la sciagura delle delocalizzazioni e la competizione impossibile con prodotti a bassissimo costo.Riassume Barnard: fu l’avvocato Lewis Powell, nel lontano 1971, a dettare il vademecum con cui l’élite “feudale” si sarebbe ripresa il pianeta, privatizzandolo. Con il libraccio “La crisi della democrazia” (di Gianni Agnelli la prefazione all’edizione italiana), la Trilaterale di Kissinger e soci spiegò che “l’eccesso di democrazia” si cura solo tagliando la democrazia. In Europa, gli oligarchi crearono un’Unione Europea concepita come il Sacro Romano Impero, fatta di sudditi da ridurre all’obbedienza. Bersaglio numero uno: gli Stati, pericolosi “competitor” del grande capitale. Vittima illustre: la ricchissima Italia dell’economia mista, supportata dall’Iri. Utili leggende fabbricate dal neoliberismo: il debito pubblico come malattia, come colpa (come se il governo avesse dovuto prima “risparmiare”, per poter poi finanziare le infrastrutture strategiche che permisero all’Italia del boom economico di uscire dall’età della pietra in cui l’aveva sprofondata la guerra fascista). Ora siamo agli sgoccioli: dopo la cura Monti il paese è a pezzi, ma i partiti pensano alle poltrone (e le Sardine a Salvini). Nel frattempo, la guerra – quella che Gorbaciov avrebbe voluto cancellare dalla faccia della Terra – è ridiventata una prassi ordinaria, fisiologica, a cui non si fa più neppure caso. Afghanistan e Iraq, Yemen, Somalia, Libia e Siria. Normalissimo, spararsi addosso per conto terzi: gli americani con le portaerei, i russi con i missili.Spiega Chiesa: l’11 Settembre fu creato a tavolino come casus belli per attuare il Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano redatto dai neocon, i signori del Deep State. Guerra planetaria, per terremotare l’economia e ridare fiato agli Stati Uniti, la superpotenza con il maggior debito estero del globo. A peggiorare ulteriormente il quadro provvede Magaldi: quei signori erano e sono massoni, che militano nelle superlogge reazionarie (che, attenzione: sono diffuse in tutto il pianeta, reclutando politici di ogni grande paese). Riletta così, la geopolitica si riduce a una serie di spaventosi regolamenti di conti, a guerre per bande. L’11 Settembre? E’ stata l’abominevole trovata di una Ur-Lodge terroristica, la Hathor Pentalpha dei Bush, per accelerare – manu militari, con la guerra innescata dal terrorismo “false flag” – questa folle globalizzazione neoliberista e mercantile, questa guerra mondiale dei super-ricchi contro il resto del mondo. I cocci, ovviamente, ci stanno cadendo addosso. C’è il sangue del terrorismo “domestico”, targato Al-Qaeda e poi Isis, e c’è lo sfacelo delle economie nazionali, dove neppure il Pil corrisponde più al benessere medio: più cresce, e più la maggioranza soffre, data la forbice ormai mostruosa tra produttori e rendita finanziaria.Era il 2010 quando Barnard cominciò a diffondere il suo contro-Vangelo sulla dominazione dell’euro, la moneta “privatizzata” per schiavizzare il 99% degli europei. Rimase lettera morta il clamoroso meeeting di economia promosso nel 2012 a Rimini con le migliori menti finaziarie dell’economia keynesiana. Inutile anche il viaggio di Warren Mosler in Italia, i consigli dispensati al governo romano. Tesi elementare: se si recupera sovranità monetaria si può tornare a investire nel mercato interno, battendo la crisi creata dalla globalizzazione. E i media nazionali? Silenzio, su tutta la linea. Non c’è pericolo che ai vari Floris, Formigli e Gruber venga in mente di sfiorare l’argomento: mutismo assoluto, anche ora che persino sua maestà Mario Draghi ha osato evocare la Modern Money Theory di Mosler. Da “La guerra infinita” sono passati 16 anni. Chi ha letto anche “Il più grande crimine”, e poi “Massoni”, si domanderà cosa mai potrà scuotere i dormienti, oggi lobotomizzati da Facebook, Twitter e WhatsApp. Si apre il 2020, e l’oscurità è fittissima. Julian Assange resta in prigione, anche se 80 medici raccomandano che sia ricoverato, essendo in pericolo di vita. L’Italia è in via di estinzione anche in Libia, ma quel che importa sono le regionali in Emilia. Qualcuno spieghi alle Sardine che l’Italia era un grande paese: c’èra giusto bisogno di innocue e appetitose Sardine per finire di divorarlo in santa pace.“La guerra infinita”, “Il più grande crimine”, “Massoni”. Tre libri – italiani – senza precedenti nel mondo, quando uscirono. Nel primo, edito da Feltrinelli nel 2003, Giulietto Chiesa svelava la drammatica inconsistenza della versione ufficiale sull’11 Settembre, oggi conclamata: i tremila architetti e ingegneri dell’associazione 9/11 Thruth (e i pompieri di New York) dimostrano la “demolizione controllata” delle Torri Gemelle, certo non abbattute da aerei dirottati. Otto anni dopo, archiviato l’inferno dell’Iraq e neutralizzato il supertestimone Julian Assange, di fronte alla crisi finanziaria globale e alla micidiale austerity europea è stato Paolo Barnard ad afferrare il torno per le corna, con un instant-book diffuso sul web e ora pubblicato da Andromeda: il golpe tecnocratico dell’Eurozona riletto in chiave criminologica, dalle sue premesse (la svendita dell’Italia affidata a Prodi e Draghi) fino all’estrema conseguenza del devastante “economicidio” eseguito da Monti. Infine, nel 2014, è stato il massone progressista Gioele Magaldi ad aggiungere una spiegazione decisiva, facendo luce sul missing link che separa la cronaca dalla verità del potere: il ruolo delle superlogge sovranazionali, presentate per la prima volta con nomi e cognomi.
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Come fermare l’estinzione degli italiani: impariamo da Putin
La situazione della natalità in Italia sta peggiorando anno dopo anno. E’ un paese che sta sparendo, in pratica. Gufismo, pessimismo? No, dati Istat, forniti da gente che fa statistica per mestiere. «La popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2018 è inferiore di oltre 124 mila unità rispetto all’anno precedente pari al -0,2%. Si tratta del quarto anno consecutivo di diminuzione: dal 2015 sono oltre 400 mila i residenti in meno, un ammontare superiore agli abitanti del settimo Comune più popoloso d’Italia. Al primo gennaio 2019 risiedono in Italia 60.359.546 persone, di cui l’8,7% sono straniere. Il numero di cittadini stranieri che lasciano il nostro paese è in lieve flessione (-0,8%) mentre è in aumento l’emigrazione di cittadini italiani (+1,9%)». Ora, preso atto che questi sono numeri e che quindi neanche Mattarella nella sua forma più smagliante può negarli, viene da chiedersi: perché? E soprattutto, questo trend è davvero inarrestabile? Come ribadisco sempre su queste pagine, l’Italia è stata, per la maggior parte della storia delle civiltà, il paese più ricco del mondo. Su questo si trovano opinioni diverse e dati in parte contrastanti, ma basta fare un piccolo test: dove si trovano gli edifici, i monumenti, le infrastrutture artisticamente più belle, costose e grandi del mondo? E in quale paese tali opere sono numerose e diverse sia per stili, materiali impiegati ed epoche storiche?Ecco, appunto: se andate in Germania, Stati Uniti, Svizzera, Giappone, non c’è niente di simile, ma neanche di lontanamente paragonabile, proprio. Questo cosa significa? Significa che gli italiani non sono geneticamente né culturalmente inferiori a nessun altro popolo… anzi! E però gli italiani hanno perso la Seconda Guerra Mondiale e hanno abbracciato progetti sovranazionali guidati da “altre” nazioni: pertanto, in Italia, si è accettata una lingua straniera per i commerci, una moneta straniera (l’euro) e un governo straniero, quello della Commissione Europea. Detto diversamente, ma più chiaramente, l’Italia è oggi una colonia, un luogo dove al limite si può venire in vacanza, così come capitò ai primi del Novecento all’India, per i britannici, durante l’età vittoriana. In questa situazione, sposarsi e fare dei figli è un rischio elevato. Conviene di più farne a meno e vivere da single con l’aiuto della famiglia d’origine. Ma il quesito più interssante è il secondo: si può invertire il calo della natalità? Sì, perchè questo è già successo diverse volte nella storia dell’umanità. Nel Trecento, ad esempio, la popolazione europea crollò letteralmente di quasi un terzo a seguito di malattie come la peste, che non cessarono subito dopo, ma gli europei seppero riadattarsi alla mutata situazione e tornare a crescere di numero.Quindi, nella storia e nel lunghissimo periodo, la popolazione è sempre cresciuta, ma non nel breve e medio periodo, durante il quale anzi vi sono stati decenni di decrescita della natalità. In Inghilterra, nel ‘700 si ebbe un’impennata dei nati perché l’industrializzazione consentiva alle coppie di trovare lavoro subito, di sposarsi prima e dunque di avere più figli, e precocemente. In Italia, dopo la guerra, grazie alla scarsa disoccupazione dovuta alla necessità della ricostruzione, vi fu il fenomeno dei BabyBoomers, che riguardò tutto l’Occidente e che aumentò a dismisura il numero degli abitanti. Sono solo esempi, ma che dimostrano come sia possibilissimo invertire un trend. L’ultimo caso – nessuno lo sa – è quello della Russia. Come si vede da tutti i grafici forniti in questi anni dalla Banca Mondiale, la Russia – schiacciata dalle pressioni internazionali all’indomani dell’esperienza sovietica – non aveva né fiducia in se stessa, né una gestione nazionale dell’economia. Poi è arrivato un leader che ha invertito la rotta cambiando le cose grazie alla cura dell’interesse nazionale. I russi, che erano precipitati come demografia negli anni ’90, si sono “miracolosamente” ripresi mentre tutti gli altri paesi ex comunisti promuovevano la migrazione della loro forza lavoro.Su Wikipedia si legge: «Poche nascite e molti morti ridussero la popolazione russa dello 0,5% ogni anno, durante gli anni ’90. Questo tasso si presentava in continua accelerazione. Per ogni 1.000 russi vi furono 16 morti e solo 10,5 nascite, provocando il declino della popolazione da 800.000 a 750.000 l’anno. L’Onu stimò che la popolazione della Russia del 2006, circa 140 milioni, sarebbe potuta diminuire di un terzo entro il 2050». Nel 2005, con il secondo mandato del presidente Putin, la stabilità della situazione politica ed economica ha comportato una maggiore attenzione del governo sulla questione demografica, attraverso strumenti che favorissero da una parte l’aumento della natalità, come incentivi economici alla nascita del secondo e terzo figlio o crediti immobiliari alle coppie di neo-sposi, dall’altra parte la diminuzione della mortalità attraverso una riforma generale del sistema sanitario nazionale. Nel 2016, la popolazione russa ha registrato un +0,2% rispetto al 2015, segnando così una inversione che si protrae nel tempo, pur molto lentamente. Quelli appena trascorsi sono stati anni difficili, per i russi, a causa di sanzioni, tensioni in Ucraina e nel Medio Oriente. Ma il declino è stato fermato, contrariamente a quanto avviene da noi, in Italia. Ricette semplici ed efficaci da copiare quanto prima: come noto agli economisti di ogni latitudine ed epoca storica, non è possibile crescere economicamente con un crollo costante della natalità nazionale.(Massimo Bordin, “Come fermare l’estinzione degli italiani”, dal blog “Micidial” del 2 gennaio 2020).La situazione della natalità in Italia sta peggiorando anno dopo anno. E’ un paese che sta sparendo, in pratica. Gufismo, pessimismo? No, dati Istat, forniti da gente che fa statistica per mestiere. «La popolazione residente in Italia al 31 dicembre 2018 è inferiore di oltre 124 mila unità rispetto all’anno precedente pari al -0,2%. Si tratta del quarto anno consecutivo di diminuzione: dal 2015 sono oltre 400 mila i residenti in meno, un ammontare superiore agli abitanti del settimo Comune più popoloso d’Italia. Al primo gennaio 2019 risiedono in Italia 60.359.546 persone, di cui l’8,7% sono straniere. Il numero di cittadini stranieri che lasciano il nostro paese è in lieve flessione (-0,8%) mentre è in aumento l’emigrazione di cittadini italiani (+1,9%)». Ora, preso atto che questi sono numeri e che quindi neanche Mattarella nella sua forma più smagliante può negarli, viene da chiedersi: perché? E soprattutto, questo trend è davvero inarrestabile? Come ribadisco sempre su queste pagine, l’Italia è stata, per la maggior parte della storia delle civiltà, il paese più ricco del mondo. Su questo si trovano opinioni diverse e dati in parte contrastanti, ma basta fare un piccolo test: dove si trovano gli edifici, i monumenti, le infrastrutture artisticamente più belle, costose e grandi del mondo? E in quale paese tali opere sono numerose e diverse sia per stili, materiali impiegati ed epoche storiche?
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Onore a Paragone, espulso. Ma che ci faceva tra i 5 Stelle?
Gianluigi Paragone in rotta coi 5 Stelle? Ovvio, data la caratura politica del personaggio. E’ stato l’unico giornalista italiano (televisivo, per giunta) ad aver osato dare spazio a un ultra-eretico come Paolo Barnard, il primo a denunciare l’euro come strumento di dominazione finanziaria post-democratica, dopo essersi speso – con larghissimo anticipo su chiunque altro – nel divulgare in termini popolari, per i non addetti, i fondamentali della materia oscura (economica, finanziaria) che si è impossessata della politica, trasformando i partiti in semplici passacarte, meri esecutori – per lo più ignoranti – di decisioni altrui. Fa decisamente onore, a Paragone, il fatto di venir finalmente espulso dalla congrega grillina che fa da stampella al Pd e tiene in vita l’orrendo governo Conte, protetto dalle cancellerie europee anti-italiane e mantenuto insieme solo dal terrore delle elezioni anticipate, cioè la fine dei privilegi per le centinaia di signori-nessuno che Beppe Grillo ha miracolato, trasformandoli provvisoriamente in parlamentari. A sconcertare, semmai, è la scelta compiuta da Paragone due anni fa, quando decise di candidarsi proprio con loro, i grillini, che avevano già cominciato a gettare la maschera: risale infatti al 2016 il tentato trasloco, a Strasburgo, tra le file dell’Alde iper-eurista, fierissimo dell’infame austerity imposta agli europei.Stupisce che un sincero democratico come Paragone abbia potuto accettare di subire, fin dall’inizio del suo mandato, il ménage finto-democratico che domina l’impostura politica grillina, scandita dal più vuoto degli slogan – uno vale uno – e smentita ogni giorno dalla prassi di bottega, il movimento “detenuto” privatamente da Casaleggio e rappresentato altrettanto privatamente, nei momenti decisivi, dal solo Grillo. Che ci faceva, l’ottimo Paragone, in così pessima compagnia? Cosa sperava di ottenere, impuntandosi nel denunciare gli scempi e i tradimenti del Conte-bis? Come immaginare di ottenere un rigurgito di coscienza dai grillini imbullonati alle poltrone, pronti a smentire oggi e domani quello che solo ieri promettevano? E’ sterminato l’elenco delle vergogne che giustamente Paragone richiama, con l’unico effetto di riscuotere la stima, il rispetto e il consenso dei milioni di elettori che ancora si domandano come abbiano potuto gettare il loro voto nella spazzatura, nel 2018, dando fiducia a Di Maio e soci, credendo davvero che dicessero sul serio quando assicuravano la svolta democratica che il paese attende da trent’anni. Come si può sperare che il riscatto democratico venga da un gregge sottomesso, che in dieci anni non si è mai confrontato democraticamente nemmeno per sbaglio, in un regolare congresso?Proprio l’illustre ospite di Paragone – Paolo Barnard – fu il primo a lanciare l’allarme, in tempi non sospetti: che razza di democrazia ci si può aspettare da una setta politica fanatizzata a comando da due privati cittadini, Grillo e Casaleggio, con potere di vita e di morte su chiunque osi esprimere il benché minimo dissenso? Oggi, gli ometti parcheggiati in Parlamento sanno perfettamente di perdere la faccia, oltre che i voti ingiustamente ottenuti, ma restano dove sono – incollati allo scranno – ben consapevoli del fatto che, alla prossima tornata elettorale, di loro non resterà più nulla. In compenso, ai sommi poteri hanno offerto uno spettacolo memorabile: la rabbia degli italiani elusa e tradita, gli elettori raggirati, gli impegni disattesi. Una colossale presa in giro: all’amo hanno abboccato milioni di elettori, nel paese che più di ogni altro aveva motivo per reclamare una radicale inversione di rotta nella governance europea. Gli eurocrati si saranno divertiti in mondo, nel vedere che un grande paese come l’Italia si è lasciato buggerare dal signor Grillo e dai suoi rivoluzionari all’amatriciana. Non ci voleva molto a capire, fin dall’inizio, che la partita era truccata: il Movimento 5 Stelle non ha mai proposto niente di serio. Zero: non un’idea per cambiare le regole. Solo fumo: le auto blu, i vitalizi e altre stupidaggini. Possibile che non se ne fosse accorto, un giornalista coraggioso e acuto come Gianluigi Paragone?(Giorgio Cattaneo, “Onore a Paragone, espulso: ma che ci faceva, uno come lui, nei 5 Stelle?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 3 gennaio 2019).Gianluigi Paragone in rotta coi 5 Stelle? Ovvio, data la caratura politica del personaggio. E’ stato l’unico giornalista italiano (televisivo, per giunta) ad aver osato dare spazio a un ultra-eretico come Paolo Barnard, il primo a denunciare l’euro come strumento di dominazione finanziaria post-democratica, dopo essersi speso – con larghissimo anticipo su chiunque altro – nel divulgare in termini popolari, per i non addetti, i fondamentali della materia oscura (economica, finanziaria) che si è impossessata della politica, trasformando i partiti in semplici passacarte, meri esecutori – per lo più ignoranti – di decisioni altrui. Fa decisamente onore, a Paragone, il fatto di venir finalmente espulso dalla congrega grillina che fa da stampella al Pd e tiene in vita l’orrendo governo Conte, protetto dalle cancellerie europee anti-italiane e mantenuto insieme solo dal terrore delle elezioni anticipate, cioè la fine dei privilegi per le centinaia di signori-nessuno che Beppe Grillo ha miracolato, trasformandoli provvisoriamente in parlamentari. A sconcertare, semmai, è la scelta compiuta da Paragone due anni fa, quando decise di candidarsi proprio con loro, i grillini, che avevano già cominciato a gettare la maschera: risale infatti al 2016 il tentato trasloco, a Strasburgo, tra le file dell’Alde iper-eurista, fierissimo dell’infame austerity imposta agli europei.