Archivio del Tag ‘Enrico Letta’
-
Così Letta e Conte remano contro il governo Draghi
Colpo su colpo, in pochissimo tempo sono cambiati il capo del governo, quello dei 5 Stelle e quello del Pd. Si tratta di tre “Papi stranieri”, annota Ugo Finetti sul “Sussidiario”, presentando l’ex presidente della Bce, l’Enrico Letta da anni “esule” a Parigi, e il Giuseppe Conte non solo assente dal Parlamento, ma nemmeno iscritto al club grillino. Tre extraparlamentari, che sembrano chiamati (come salvatori della patria) a rimettere in piedi tre situazioni distinte, in un panorama di Parlamento e partiti che sembrano un po’ esausti e disorientati dopo esperienze fallimentari, di destra e di sinistra. «Non è però da escludere un cortocircuito tra questi leader parallelamente “paracadutati”». Nel discorso con cui – su mandato di Beppe Grillo – ha assunto la guida del M5S, Conte ha parlato di «rifondazione» e di «neo-movimento», tratteggiando la trasformazione dell’orda grillina in un partito tradizionale, con commissioni tematiche e referenti territoriali. Il famoso “uno vale uno” cede il posto al primato della “competenza”, scrive Finetti, e la decantata democrazia diretta (attraverso piattaforma digitale) ormai è additata con sospetto, visto che la sua gestione a cura di Davide Casaseggio non sarebbe affatto neutrale.Come già prefigurato da Di Maio – aggiunge Finetti – anche il carattere del Movimento 5 Stelle diventa meno aggressivo e di tono liberale e moderato. Ma soprattutto, il nuovo capo dei naufraghi pentastellati ha parlato di un rilancio con obiettivi ambiziosi sulla scena politica. «In questo quadro – osserva il giornalista, sul “Sussidiario” – quel che più colpisce nell’intervento di Conte è il silenzio su Draghi: in particolare, non una parola sull’attuale gestione della pandemia e del Recovery Plan». Per Finetti, si tratta di un silenzio eloquente: «In sostanza, Conte rivendica la sua esperienza (che è stata sfiduciata da Parlamento e Quirinale) e non esprime alcun giudizio positivo sul governo, né avanza proposte costruttive: non riconosce Draghi come primo interlocutore della sua azione politica, anzi lo ignora». L’annuncio della «rifondazione» per dar vita a un «mio movimento» ha essenzialmente «il tono di un ritorno in campo per una rivincita, volta alla riconquista di Palazzo Chigi», imprescindibile per il narcisismo di “Giuseppi”, il “nullivendolo” più amato dagli italiani rimasti in letargo.A sua volta, il nuovo “commissario” del Pd è impegnato in una sorta di rifondazione del partito, a cominciare dallo sforzo di rivitalizzare il radicamento territoriale. «Ma anche Enrico Letta, al pari di Conte, sembra guardare soprattutto a organizzare il dopo-Draghi», sottolinea Finetti. «La priorità del leader del Pd è infatti la nuova legge elettorale, insieme alla costruzione di una coalizione, da Speranza a Calenda, al di là delle prossime elezioni comunali in cui, in vari casi, i rapporti sono localmente compromessi». In sostanza Enrico Letta – come lo stesso Conte – si muove «mettendo in secondo piano l’azione dell’attuale governo, se non per attaccare Salvini», contro cui allestire una sorta di “fronte popolare” per le prossime elezioni politiche. Di certo, ammette Finetti, il leader leghista non manca di offrire munizioni agli avversari. «In particolare, il vertice di Budapest ha rivelato una certa confusione politica». Salvini dichiara che l’obiettivo dell’incontro è la nascita di un nuovo soggetto nel Parlamento di Strasburgo denominato “Rinascimento europeo”, «ma al termine non c’è nessuna dichiarazione congiunta, né l’annunciata Carta dei Valori».Inoltre, ognuno rimane fermo nella casella di partenza: l’ungherese Orban nel gruppo misto, il polacco Moraviecki in Ecr con Giorgia Meloni e Salvini in “Identità e democrazia” con Marine Le Pen. A parte le “salviniadi europee”, comunque, resta centrale il dato italiano: Conte e Letta snobbano vistosamente Draghi, come se fosse una meteora. «È poi da vedere se Mario Draghi sia davvero una mera parentesi, un personaggio di serie B, isolato e irrilevante sulla scena internazionale e nel mondo economico-sociale italiano, come danno per scontato i leader del Pd e del M5S». Conte e Letta, aggiunge Finetti, «si stanno infatti comportando come se l’ex presidente della Bce e della Banca d’Italia fosse una sorta di impresa di pulizie chiamata a superare l’emergenza sanitaria ed economica – che la precedente alleanza tra i due loro partiti non era stata in grado di affrontare – per poi, dopo aver imbiancato Palazzo Chigi, uscire servilmente di scena per farli confortevolmente accomodare». Facile immaginare che non sarà così. Di fatto, però – chiosa Finetti – la strana coppia (Conte & Letta) sta intanto preparando una sorta di blackout politico, proprio per ostacolare l’esecutivo Draghi.Colpo su colpo, in pochissimo tempo sono cambiati il capo del governo, quello dei 5 Stelle e quello del Pd. Si tratta di tre “Papi stranieri”, annota Ugo Finetti sul “Sussidiario“, presentando l’ex presidente della Bce, l’Enrico Letta da anni “esule” a Parigi, e il Giuseppe Conte non solo assente dal Parlamento, ma nemmeno iscritto al club grillino. Tre extraparlamentari, che sembrano chiamati (come salvatori della patria) a rimettere in piedi tre situazioni distinte, in un panorama di Parlamento e partiti che sembrano un po’ esausti e disorientati dopo esperienze fallimentari, di destra e di sinistra. «Non è però da escludere un cortocircuito tra questi leader parallelamente “paracadutati”». Nel discorso con cui – su mandato di Beppe Grillo – ha assunto la guida del M5S, Conte ha parlato di «rifondazione» e di «neo-movimento», tratteggiando la trasformazione dell’orda grillina in un partito tradizionale, con commissioni tematiche e referenti territoriali. Il famoso “uno vale uno” cede il posto al primato della “competenza”, scrive Finetti, e la decantata democrazia diretta (attraverso piattaforma digitale) ormai è additata con sospetto, visto che la sua gestione a cura di Davide Casaseggio non sarebbe affatto neutrale.
-
Magaldi: ristori-flop. Oligarchi con Letta, contro Draghi
«Male sul fronte sanitario, malissimo su quello economico». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, boccia le misure di sostegno (troppo timide) varate dal governo Draghi, in un’Italia dall’economia ancora tramortita dalle chiusure forzate. «E’ vero, non siamo più nella primavera 2020, in cui – per volere di Conte – non poteva circolare nessuno. Però avanza inesorabile la morte civile del paese, col pretesto della pandemia, come se le restrizioni fossero risolutive, per arginare il virus: e sappiamo che non lo sono». Il guaio? «Il regime di lockdown fa comodo a tanti poteri, restii a rinunciare alle loro nuove prerogative: per questo, il 1° Maggio, anche se ci sarà ancora il coprifuoco, la Milizia Rooseveltiana compirà una “passeggiata” serale in piazza Campo dei Fiori, a Roma, per sollecitare il ritorno alla normalità, cioè alla libertà». Il 17 febbraio, alla prima “passeggiata” ai piedi della statua di Giordano Bruno aveva partecipiato anche Enrico Montesano.«Quella che pratichiamo è una forma di disobbedienza civile, nonviolenta, per dire dire basta a misure assurde: dall’emergenza Covid si esce innanzitutto ricorrendo finalmente a cure domiciliari precoci, in modo da ridurre molto i ricoveri in ospedale». Magaldi quindi non approva la linea adottata in materia sanitaria da Mario Draghi, che ha volutamente lasciato a Roberto Speranza il ruolo di arcigno “carceriere” degli italiani. «Finora, purtroppo, il nuovo governo non ha osato uscire dalla modalità adottata praticamente da tutti, in Europa, che prevede il ricorso sistematico alle restrizioni», sottolinea il presidente del Movimento Roosevelt. «Da una parte lo capisco: Draghi non intende esporsi all’accusa di esser stato imprudente, che gli verrebbe mossa da chi aspetta solo un suo passo falso. In realtà, il suo piano è semplice: immunizzare al più presto la popolazione, coi vaccini, per poi organizzare finalmente la ripresa. E in questo senso, eliminando Arcuri e altri, qualcosa di buono l’ha fatto».Quanto all’emergenza socio-economica, Magaldi distingue: «Draghi ha esposto propositi rivoluzionari: recuperare Keynes, anche in Europa, per risollevare l’economia in modo decisivo, con investimenti pubblici senza precedenti». Dov’è il problema? «Nell’approccio alla crisi, ormai devastante per milioni di italiani: non puoi limitarti a elemosinare “ristori” che fanno ridere i polli. Se impedisci a un esercizio di lavorare – insiste Magaldi – non puoi elargire solo le briciole: devi rinfondere i titolari di tutti gli introiti perduti». Un invito, quindi: «Meglio che il governo si corregga subito, incrementando i “ristori”, prima che sia troppo tardi: se non interviene per tempo, infatti, molte aziende non riusciranno a riaprire mai più. Ed è una vera catastrofe, che insieme alla ristorazione, allo spettacolo e al turismo coinvolge, in modo devastante, un vastissimo indotto».Altro campanello d’allarme, per il leader “rooseveltiano”, l’ascesa di Enrico Letta alla guida del Pd. «Ha l’aria di essere tornato in campo proprio per dare fastidio a Draghi, per conto dei poteri oligarchici che temono ciò che il neo-premier potrebbe fare». L’accusa di Magaldi discende dal profilo dello stesso Letta: «E’ un servizievole paramassone, abituato a eseguire ordini provenienti dai poteri che contano. E oggi – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt – quei poteri massonici di segno “neoaristocratico” hanno davvero paura, di fronte ai propositi enunciati da Draghi: cioè l’abolizione definitiva dell’austerity, facendo dell’Italia il punto di partenza per una rigenerazione (economica, sociale e democratica) della stessa Europa». Un piano che l’ex presidente della Bce ha enunciato già l’anno scorso, in un intervento sul “Financial Times”: utilizzare la pandemia come alibi per cancellare il rigore neoliberista, rimettendo mano all’intervento strategico dello Stato nell’economia, senza più badare a spese.I poteri reazionari a cui risponde Letta, secondo Magaldi, potrebbero anche utilizzare il neo-segretario del Pd per ostacolare Draghi nella sua proiezione verso il Quirinale. Tra i fantasmi appostati dietro l’angolo, per esempio, c’è sempre Romano Prodi: Magaldi l’ha definito «globalizzatore in grembiulino», militante nell’area massonica conservatrice (nonostante la sua collocazione tattica nel centrosinistra). Neppure Letta – che massone non è – ha mai mostrato segni di “pentimento”, rispetto al suo passato di pallido continuatore del massone oligarchico Monti. Tutti spettri, le cui ombre si allungano sul futuro di quello che i media avevano ribattezzato Super-Mario. «Se ci tiene a diventare capo dello Stato – chiosa Magaldi, esponente italiano del circuito massonico progressista sovranazionale – Draghi farà bene a correggere il suo approccio di fronte al Covid, limitando le restrizioni (come chiede la Lega) e soprattutto a metter mano a ben altri fondi, per indennizzare le aziende ancora incredibilmente costrette alla chiusura».«Male sul fronte sanitario, malissimo su quello economico». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, boccia le misure di sostegno (troppo timide) varate dal governo Draghi, in un’Italia dall’economia ancora tramortita dalle chiusure forzate. «E’ vero, non siamo più nella primavera 2020, in cui – per volere di Conte – non poteva circolare nessuno. Però avanza inesorabile la morte civile del paese, col pretesto della pandemia, come se le restrizioni fossero risolutive, per arginare il virus: e sappiamo che non lo sono». Il guaio? «Il regime di lockdown fa comodo a tanti poteri, restii a rinunciare alle loro nuove prerogative: per questo, il 1° Maggio, anche se ci sarà ancora il coprifuoco, la Milizia Rooseveltiana compirà una “passeggiata” serale in piazza Campo dei Fiori, a Roma, per sollecitare il ritorno alla normalità, cioè alla libertà». Il 17 febbraio, alla prima “passeggiata” ai piedi della statua di Giordano Bruno aveva partecipato anche Enrico Montesano.
-
La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori
Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.E appunto, là in basso resta l’Italia: il mitico Recovery Plan solo scarabocchiato da Giuseppi, assistito dal leader del New Pandemic Consenus chiamato Marco Travaglio. Ecco Emma Bonino che invoca l’Alleanza Ursula, i 5 Stelle smarriti nel loro nulla, l’ectoplasma politico che si usa ancora chiamare Pd. Fantasmi: quello di Berlusconi e quello di Draghi vanno a spasso insieme all’ombra di Salvini, il babau di ieri, tra le strida di Giorgia Meloni. Della bomba all’uranio che ha sventrato la politica, tanti anni fa, non c’è più traccia. Girano mezze figure, sempre le stesse, sopravvissute a tutto: D’Alema e Bettini, Gianni Letta e suo nipote Enrico (che raccomanda la resa definitiva al Grande Reset antropologico, al Nulla Sarà Più Come Prima). Incidentalmente, il paese crolla: un milione di senza-lavoro, mezzo milione di mini-aziende chiuse. E gli italiani ancora tutti in casa, quieti, ad aspettare con fiducia la fine del mondo, davanti al televisore che forse quest’anno non trasmetterà l’imprescindibile Festival di Sanremo, giusto per adeguarsi ai teatri chiusi, ai cinema chiusi, ai concerti annullati insieme alle mostre, alle migliaia di negozi e locali sprangati, alle zone rosse, al distanziamento morale e religioso, al coprifuoco eterno, al Ricordati che Devi Morire.Chi l’avrebbe detto, che sarebbe finita così? Finita l’era Bush, sulle macerie dell’11 Settembre si erano aperti interrogativi finalmente luminosi. Persino il fuoco fatuo di Occupy Wall Street aveva aperto occhi dormienti: la Grande Ipocrisia aveva cominciato a dipingersi anche sulla maschera rassicurante di Barack Obama, rendendo evidenti le sozzure del backstage, tra le denunce di Julian Assange e quelle di Ed Snowden. Big Data, Big Tech, Big Tutto: ora siamo alla censura spudorata, alla carcerazione di massa, all’ora d’aria concessa (”consentita”) per portar fuori il cane, mentre a Berlino si allestiscono graziosi lager per eventuali renitenti al Trattamento Sanitario Obbligatorio prescritto dall’Autorità. Letteralmente assordante, il silenzio della cosiddetta società civile: industria, terziario, artisti, pensatori universitari, scrittori e cantanti. Ancora più epico il mutismo dei sindacalisti: zitti su tutto, mentre il casato Elkann si sbarazza della Fiat cedendola ai francesi, e trattando con la Cina per liberarsi anche di Iveco e New Holland, dopo aver intascato miliardi nel 2020 causa crisi pandemica (e milioni, per fabbricare mascherine), tenendo in pugno il suo impero editoriale, “Stampa” e “Repubblica”. Per un anno, su tutto questo ha vigilato l’oscuro Giuseppi, coi suoi Dpcm da Stato Libero di Bananas.Ora si rifà sul serio, che diamine: c’è in ballo l’Alleanza Ursula, caldeggiata da statisti del calibro di Gentiloni e Sassoli, con l’aggiunta del Franceschini Dario. Ursula über alles, la Madonna Pellegrina di Sassonia, nuovo faro della civiltà europea, quella che intanto continua, come niente fosse, a essere retta da una Commissione non elettiva e da una banca centrale privatizzata, cinghie di trasmissione dei poteri fortissimi che parlano attraverso organismi come la Ert, European Roundtable of Industrialists, centomila miglia al di sopra del popolo bue che poi si scanna, nelle ormai inutili elezioni nazionali, appassionandosi alle piccole risse di cortile tra orazi e curiazi. L’ultima, quella italiana, finì ingloriosamente nel 2019, dopo le timide speranze accese l’anno prima dall’ambiguo governo gialloverde, azzoppato sul nascere dall’amputazione di Paolo Savona imposta per tramite di Mattarella. Il paese era già malatissimo, ma ancora non era scoppiata l’ultima guerra: quella affidata a personalità di livello mondiale come Domenico Arcuri, Roberto Speranza, Massimo Galli e gli altri Premi Nobel al servizio della patria.Andrà tutto bene, ragliavano gli italioti dai balconi, festeggiando in tricolore l’unica Liberazione disponibile, quella (alla memoria) di 75 anni fa. Poi vennero l’estate, le sacre elezioni regionali e l’altrettanto sacro Taglio dei Parlamentari. A seguire: la corsa ai tamponi, per gonfiare i numeri della Seconda Ondata, trattata esattamente come la Prima (cioè senza un protocollo per curare, a casa, i malati di Covid). Sempre la pochette di Giuseppi ha fatto in tempo a inaugurare anche la farsa della campagna vaccinale italiana, in un paese che – ormai da 365 giorni, ininterrottamente – non parla altro che di contagi, come se il mondo si fosse fermato per sempre a Wuhan. Banchi a rotelle e monopattini, Dad e smart working, distanziamento e mascherine. Non una soluzione – non una, mai – per uscire dalla catastrofe. Paura, minacce, moniti e intimidazioni, scodellate giorno per giorno dall’oscurantismo della nuova religione scientista, spacciata per scientifica. Un’ipnosi potentissima, micidiale, da cui pare che nessuno riesca a riscuotersi.La recitazione pandemica ha spazzato via tutto: libertà, diritti, democrazia, ragione, senso critico e voglia di vivere, quest’ultima rimpiazzata con l’ingloriosa rassegnazione a una sopravvivenza coatta e precaria nei sottoscala dell’umanità. Un posto umido e buio, dove non è lecito pensare. Decenni di orrori – le guerre neoliberiste, il terrorismo fatto in casa – cancellati con un colpo di spugna sanitario, quasi metafisico, perfetto per sospendere il diritto e dividere le plebi in modo feroce, da una parte la maggioranza cieca e autoritaria degli impauriti, dall’altra la minoranza demonizzata dei cosiddetti negazionisti. Viviamo in un paese dove il governo ha istituito un Ministero della Verità, per far sparire le notizie scomode alla velocità della luce, così come fanno anche Facebook, Twitter e YouTube. Così, la celebrazione della sacrosanta Giornata della Memoria, nel 2021, rischia di avere lo stesso suono sinistro della fanfara che, ad Auschwitz, intonava le note di “Rosamunda” sulla Piazza dell’Appello, nel silenzio ghiacciato dei prigionieri.(Giorgio Cattaneo, “La fanfara di Auschwitz e il nostro ultimo anno di orrori”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 gennaio 2021).Ma davvero siamo ancora qui, dopo un anno di litania funebre pandemica, a parlare di politicanti del calibro di Conte e Renzi, Di Maio e Zingaretti? Lassù giganteggia Angela Merkel, di cui Ambrose Evans-Pritchard sul “Telegraph” ha appena tracciato il mirabile bilancio: ha provocato la Brexit e distrutto l’idea stessa di unità europea come luogo desiderabile. Lo spettacolo, intorno? Monsieur Rothschild impone il coprifuoco alla Francia, l’anonimo Psoe spagnolo si finge socialista, la Grecia alla fame si arma fino ai denti contro la Turchia. E la residuale realpolitik italiana incassa con la mano sinistra una decina di miliardi di euro vendendo elicotteri e fregate all’Egitto, mentre con la destra auspica che l’Egitto faccia giustizia sul caso Regeni, massacrato a due passi dalla Libia, già italiana e poi francese, ora russo-turca in attesa di segnali di fumo dagli ologrammi insediati alla Casa Bianca, dopo la splendida e trasparente sconfitta elettorale inflitta al bieco Donald Trump. Poi, laggiù, resta l’Italia. Il paese di Pasolini e Primo Levi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli. Tutti morti: rimane Saviano, prendere o lasciare. Saviano e l’altro Papa, Bergoglio, quello che raccomanda il vaccino etico universale, per la gioia di Big Pharma, Bill Gates e gli apolidi demiurghi di Davos.
-
Dolcino: se cade Trump cade Conte, il suo alleato segreto
E se Giuseppe Conte fosse, da sempre, una carta coperta di Donald Trump? In questo caso, salvo miracoli, il suo destino è segnato: se Trump cade, sotto il peso dei presunti brogli elettorali (voto postale) che potrebbero travolgerlo, lo stesso Conte dovrebbe lasciare Palazzo Chigi. E’ la tesi – controcorrente e assai suggestiva – sostenuta (non da oggi) da Mitt Doclino, osservatore speciale che vanta rapporti privilegiati con fonti d’intelligence. La caduta di Trump – e quindi, a ruota, di Conte – aprirebbe per l’Italia i più cupi scenari: il paese finirebbe nella morsa franco-tedesca dell’Ue, senza più nessun paracadute americano. Il “liquidatore” del paese sarebbe Draghi, alla cui “redenzione” Dolcino non crede. L’ex presidente della Bce agirebbe come e peggio di Monti, e o farebbe col supporto del Pd, di Renzi e del “falso sovranismo” della Lega, che addirittura coltiverebbe un progetto, molto tedesco, di “secessione” (economica?) del Nord Italia. E’ un mondo capovolto, quello presentato da Mitt Dolcino. Che, come prova delle sue tesi, esibisce l’evidente riluttanza di Conte nel firmare l’ultimo drammatico Dpcm “ammazza-Italia”, considerato assolutamente inutile nell’arginare il coronavirus ma, in compenso, perfetto per affondare definitivamente un paese il cui debito pubblico, di questo passo, arriverà al 180% del Pil. Precondizione ideale per la “tempesta perfetta” (spread) che proporrebbe un copione già visto, ma stavolta con esiti irreversibili: confisca materiale dei beni italiani.«Conte ha aspettato all’inverosimile per pubblicare il Dpcm voluto dall’Ue, quello che ammazza definitivamente l’Italia. Costretto, dagli eventi a cedere». Mitt Dolcino lo definisce «un lockdown cattivo, folle, che fa passare l’Italia sulla sponda dei più rigoristi». Aggiunge: «Era il Dpcm voluto da Bruxelles, quello dell’orda del Pd di Open, capitanata da Soros e da Renzi e supportata dalla Lega pro-euro, impersonificata nella famiglia Salvini e in Fontana». Previsione: «Ora l’Italia muore, ovvero verrà fatta a pezzi, salvo miracoli: non durerà un mese, con cotante folli misure», e quindi «non potrà a lungo restare relativamente benestante, unita e in pace». Lo stesso blogger ammette di essere convinto del fatto che «l’obiettivo del Covid e di questo lockdown sia anche e soprattutto di rompere l’asse “anglo”, ossia rompere il paese in Ue più filo-Usa: è dal 1861 che l’Italia unita fa danni agli imperi centrali». Per ovvie ragioni geostrategiche, la Germania (con la Francia) vorrebbe «diventare il quarto polo geostrategico globale, quello più neofeudale, quello che abbisogna vitalmente dei beni dei vicini per prosperare». Neo-colonialismo allo stato puro, insomma, «come per l’Africa dei piedi neri». E chi avrebbe lottato fino all’ultimo, segretamente d’intesa con Trump, per evitare il baratro italiano? Proprio lui, “Giuseppi”.Prima, scrive Dolcino, il premier ha «preso in giro tutto e tutti», reiterando fino alle calende greche la fatidica firma del Dpcm. «Poi, visti i brogli Usa, il premier è stato costretto a cedere e ha firmato il Dpcm cattivo, quello destinato ad ammazzare l’Italia», che Dolcino considera «voluto dalla fondazione Open, da Soros, dal Pd europeista, dalla Lega e da Forza Italia: ossia dai tifosi di Biden». Sì, perchè se Biden vince – sostiene Dolcino – l’Italia verrà messa sotto tutela tedesca. Finirà davvero così? «Non ci scommetterei, sull’epilogo finale negli Usa», dal momento che «abbiamo infatti patrioti anche dall’altra parte dell’Oceano che stanno facendo tutto quanto lecito e possibile per evitare che dei chiari brogli portino all’elezione di un presidente che sembrerebbe non aver rispettato il processo democratico». Quanto accade in Italia, invece, secondo Dolcino è ormai lampante. «Prima Fontana, quello dei camici del cognato e la cui assistente è la moglie di Salvini, che si scaglia contro il Dpcm di Conte, dopo aver lui imposto in passato il coprifuoco e dopo aver lui invocato assieme a Salvini il “chiudete tutto”. Poi Enrico Letta (parlo del nipote del braccio destro di Berlusconi) che scrive, su Twitter, che Trump non si è comportato da presidente».Dolcino è preoccupato: «Sappiate che in Italia le proteste monteranno, è inevitabile. E porteranno prestissimo alle dimissioni di Conte, uomo di Trump». Conte, cioè «colui che non firmava il Dpcm (suicida per il paese) sperando nell’elezione di Donald J. Trump negli Usa, con il fine di farla finita con i lockdown, che servono solo per ammazzare l’economia e non per fermare il virus». Prova ne è la Spagna, «che blocca con semi-lockdown e mascherine e blocchi di centri di svago il paese da quest’estate, senza minimamente riuscire a fermare il virus». Cosa succederò, a breve? «Dimissioni di Conte, naturalmente, se cadrà il suo mentore Trump. E passaggio di poteri a Draghi. Il quale, per rimanere nell’euro – non immediatamente, ma a breve – imporrà una tassazione abnorme agli italiani, al limite della confisca». Ossia: «Taglio delle pensioni, Imu sulla prima casa, una folle ed inutile patrimoniale che però esenterà la casta rientrata in Italia con la legge dei Paperoni voluta da Matteo Renzi». Dolcino evoca uno scenario fatto di «forze dell’ordine che entrano in casa per confiscare beni delle famiglie utili a ripagare il debito dello Stato, tanto per farvi capire la piega che si rischia di prendere, con un rapporto debito/Pil prossimo al 180%».Il timore dichirato è che il sistema-paese faccia crack, a breve. «Aspettatevi dunque insurrezioni e fame». Il motivo? Interessi: «I tedeschi e i francesi si sono infatti messi d’accordo con alcuni notabili italiani per far fare a loro il lavoro sporco, al fine della spoliazione degli averi della popolazione: è tipico del colonialismo». Dolcino accusa la Lega, «che si dice abbia ottenuto la promessa tedesca di abbonare il debito a fronte di una secessione del Nord Italia, sulla falsariga della divisione della Germania in due parti». Senza considerare che «la deindustrializzazione italica procederà spedita, comunque, trasformando appunto il Nord Italia nel paese di Don Rodrigo e di Renzo Tramaglino». E il Sud? «Ritengo resterà invece agli Usa per necessità militari, rispettando più o meno la Linea Gotica come confine». Tutto questo, ribadisce Mitt Dolcino, se Trump non vince. «Chiaramente, per cotanto scempio ci vorrà il Draghi, il tecnico, magari per il tramite di una puntuale crisi dello spread, con il Mario che verrà invocato prima di tutto dalla Lega, ossia dai falsi sovranisti, che lo voteranno sperando così che la gente non capisca che il liquidatore venuto dalla Bce farà perfettamente quello che la Lega ha concordato di fare con il nord Ue, per restare nell’euro».Mitt Dolcino ignora deliberatamente le clamorose prese di posizione che hanno segnato l’inedita rottura di Mario Draghi con gli ex alleati franco-tedeschi. Nella primavera 2019, quand’era ancora presidente della Bce, Draghi giunse a rinnegare le politiche del rigore europeo (da lui stesso incarnate, per anni), fino al punto di evocare il ricorso al drastico “helicopter money” della Mmt, la Teoria della Moneta Moderna che raccomanda emissioni di denaro illimitate, a costo zero, per far riprendere le economie in affanno. Stessa musica un anno dopo, in piena crisi Covid: dalle colonne del “Financial Times”, a fine marzo lo stesso Draghi ha raccomandato prestiti imponenti, a fondo perduto, per sostenere Stati, aziende e famiglie: un mare di miliardi, destinato a non trasformarsi in debito da ripagare. Poco dopo, la sera stessa in cui a Bruxelles era in corso il primo vertice europeo sull’emergenza, a Draghi è bruciato il tetto di casa. Tutto questo, però, a Mitt Dolcino non basta: semplicemente, non crede al “ravvedimento” di Draghi. E non solo: sostiene che Conte sia la “quinta colonna” italiana di Trump. «Vi sembra folle, questa interpretazione? Non dovete fare altro che aspettare e verificare», conclude il blogger. «Nel caso che il quasi-miracolo della vittoria di Trump non si concretizzi (o anche solo nell’attesa che ciò accada) l’Italia non dura un mese, in cotanto lockdown, secondo me». E chiosa: «Spero solo abbiate chiari gli stenti a cui andrete incontro».(Mitt Dolcino, “Conte, dopo aver ritardato all’inverosimile la pubblicazione del Dpcm voluto dall’Eu sperando nella vittoria di Trump, visti brogli Usa si arrende e firma. Immediatamente le reazioni dei pro-€. Finalmente è tutto chiaro! Ecco cosa sta succedendo”, dal blog di Mitt Dolcino del 5 novembre 2020).E se Giuseppe Conte fosse, da sempre, una carta coperta di Donald Trump? In questo caso, salvo miracoli, il suo destino è segnato: se Trump cade, sotto il peso dei presunti brogli elettorali (voto postale) che potrebbero travolgerlo, lo stesso Conte dovrebbe lasciare Palazzo Chigi. E’ la tesi – controcorrente e assai suggestiva – sostenuta (non da oggi) da Mitt Dolcino, osservatore speciale che vanta rapporti privilegiati con fonti d’intelligence. La caduta di Trump – e quindi, a ruota, di Conte – aprirebbe per l’Italia i più cupi scenari: il paese finirebbe nella morsa franco-tedesca dell’Ue, senza più nessun paracadute americano. Il “liquidatore” del paese sarebbe Draghi, alla cui “redenzione” Dolcino non crede. L’ex presidente della Bce agirebbe come e peggio di Monti, e o farebbe col supporto del Pd, di Renzi e del “falso sovranismo” della Lega, che addirittura coltiverebbe un progetto, molto tedesco, di “secessione” (economica?) del Nord Italia. E’ un mondo capovolto, quello presentato da Mitt Dolcino. Che, come prova delle sue tesi, esibisce l’evidente riluttanza di Conte nel firmare l’ultimo drammatico Dpcm “ammazza-Italia”, considerato assolutamente inutile nell’arginare il coronavirus ma, in compenso, perfetto per affondare definitivamente un paese il cui debito pubblico, di questo passo, arriverà al 180% del Pil. Precondizione ideale per la “tempesta perfetta” (spread) che proporrebbe un copione già visto, ma stavolta con esiti irreversibili: confisca materiale dei beni italiani.
-
Addio Italia, Conte ha prenotato la fine del sistema-paese
Solo un demente può scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo vertice di Bruxelles: il paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non certo gratis: per averla, il paese dovrà obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le tasse. Stiamo parlando di un paese che da tre decenni è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse. Per inciso: il paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle blocco imposto all’economia da un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati all’idea di affrontare le elezioni. Secondo Bankitalia, si profila un autunno allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello, delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.Dettaglio tragicomico, di fronte all’immane disastro che si annuncia, il tempo che una parte del pubblico ancora spreca attorno a quella pericolosa nullità politica chiamata Giuseppe Conte, piccolo passacarte allevato tra i palazzi vaticani e le italiche baronie universitarie, per poi essere sistemato – nel caso tornasse utile – nelle retrovie del movimento finto-giustizialista creato a colpi di “vaffa” dall’ex comico democristiano Beppe Grillo, presente (Bonino dixit) sul panfilo Britannia nel 1992 insieme a Mario Draghi e al gotha finanziario che puntava a spolpare il Balpaese, devastato dal ciclone Tangentopoli. Negli ultimi anni, l’Italia politica ha digerito comparse e prestanome al servizio di stranieri, rivoluzionari all’amatriciana e lacchè gallonati. Nomi pallidi, tutti, per politiche pallide: Veltroni e Renzi, Salvini, Letta e Gentiloni, fino agli inguardabili figuranti del grillismo di lotta e di poltrona. L’unico segno di vita, nell’Obitorio Italia, s’era intravisto all’esordio dei gialloverdi, con due richieste: Paolo Savona all’economia, e una timidissima espansione del deficit. Risultato: il “niet” dello Stato Profondo italo-europeo. Mesto ripiego, l’incresciosa insistenza sullo scandaloso business dei migranti, da cui lo sdegno “antirazzista” degli “antifascisti” (che dormivano, quando il neonazismo vero, finanziario – quello dei poteri forti – si sbranava il loro paese).Ed è proprio su un’Italia agonizzante e trasformata in farsa – il derby deprimente tra Salvini e le Sardine – che è stata sganciata la bomba nucleare, la palingenesi antropologica del coronavirus. Forse gli apprendisti stregoni non erano così certi, di riuscire a trasformare gli uomini in topi. Il risultato ha superato ogni aspettativa: ancora oggi, si vede gente circolare all’aperto con il volto travisato dalla museruola raccomandata dall’Oms, e quindi dai suoi camerieri italiani travestiti da ministri. Se esistesse la macchina del tempo, sarebbe esilarante paracadutare in questa Italia personaggi del secolo scorso come Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer. Vivevano in un paese dove esistevano ancora leader e statisti, partiti, sindacati, editori puri, giornalisti. Era un paese vitale e invidiato, che arricchiva i cittadini stimolando l’economia col deficit, per creare servizi avanzati e realizzare infrastrutture strategiche. Aveva tare enormi: il divario Nord-Sud, l’elefantiaco para-Stato improduttivo, la mafia, un’elevatissima corruzione e il record europeo di lavoro nero ed evasione fiscale. Quell’Italia era comunque la quinta potenza industriale del pianeta. Un paese rispettato, capace di stabilire relazioni speciali con gli arabi e con l’Urss, nonché di rivendicare la sua quota di sovranità in modo anche clamoroso, come a Sigonella.Da trent’anni, l’Italia gira per l’Europa col cappello in mano (e il conto lo fa pagare innanzitutto agli italiani). Amato, Ciampi, Draghi, Prodi, Napolitano, Berlusconi, D’Alema, Letta: è lunghissimo l’elenco dei personaggi cedevoli, complici di poteri extra-nazionali o comunque proni allo stillicidio della spietata precarizzazione sapientemente imposta dal potere ordoliberista e mercantilista spacciato per Unione Europea. Un progetto pluridecennale, pianificato a tavolino a partire dal Memorandum Powell del lontano 1971 passando per il manifesto “La crisi della democrazia”, fino all’invenzione francese del tetto del 3% alla spesa pubblica e agli infernali trattati (Maastricht, Lisbona) che hanno segnato la condanna delle economie sud-europee, in primis quella italiana. Colpo di grazia, il governo Monti e l’obbligo del pareggio di bilancio che annulla – di fatto – il ruolo dello Stato, riducendolo a mero esattore e rendendo carta straccia la Costituzione antifascista del 1948.Ora siamo alle comiche finali: quel che ancora resta in piedi, dell’Italia, verrà divorato a stretto giro (leggasi: piano Colao) per far fronte agli impegni-capestro che “Giuseppi” ha appena contratto coi soliti strozzini, intenzionati a “finire il lavoro” cominciato trent’anni fa a bordo del Britannia. Con la differenza che oggi l’Italia è allo stremo: avrebbe bisogno, subito, di centinaia di miliardi; e invece vedrà solo briciole, col contagocce, a partire dal 2021. La catastrofe incombente, lungamente preparata con decenni di guerra sporca contro i diritti sociali (a proposito di antifascismo), ora rischia di far collassare il sistema-paese grazie al disastro planetario della gestione terroristica del Covid, in cui l’Italia ha offerto la peggior performance in assoluto: in percentuale abbiamo avuto più morti del Brasile, e siamo l’unica nazione industriale europea messa in ginocchio dalla mancanza di aiuti governativi. Col passare dei mesi, o forse soltanto delle settimane, sarà chiara a tutti la verità che i grandi media fingono di non conoscere: e cioè che da questo orrore si può uscire soltanto stracciando i trattati europei, a partire da Maastricht, e gettando al macero anche la cartaccia appena firmata dall’infimo Giuseppe Conte.(Giorgio Cattaneo, “Addio Italia, Conte prenota la fine del sistema-paese”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 luglio 2020).Solo un demente può scambiare per un mezzo successo la catastrofe italiana sigillata dall’ultimo vertice di Bruxelles: il paese che fu di Mattei, Moro e Pertini torna a casa scondinzolando per aver “ottenuto” dai padroni d’Europa il permesso di spendere 200 miliardi di euro, ma solo se farà il bravo. Una parte di quei soldi, la fetta più grossa, li dovrà restituire: sono soltanto un prestito. L’altra parte è a fondo perduto, ma non certo gratis: per averla, il paese dovrà obbedire al padrone, rassegnandosi a tagliare il welfare e alzare (ancora) le tasse. Stiamo parlando di un paese che da tre decenni è in avanzo primario: lo Stato spende, per i cittadini, meno di quanto i cittadini gli versino sotto forma di tasse. Per inciso: il paese in questione ha l’acqua alla gola, dopo i tre mesi di folle blocco imposto all’economia da un governo di spettri, sorretto da partiti terrorizzati all’idea di affrontare le elezioni. Secondo Bankitalia, si profila un autunno allucinante: una famiglia su tre non saprà più come arrivare a fine mese. Si temono rivolte, e per questo il governo-fantasma ha nel cassetto la proroga dello stato d’emergenza, per poter imporre un nuovo coprifuoco come quello, delirante e suicida, già inflitto nella primavera peggiore della storia repubblicana col pretesto di un allarme sanitario mostruosamente manipolato.
-
Magaldi: addosso a Pappalardo, per salvare l’imbelle Conte
Non sparate sul generale Antonio Pappalardo: troppo facile, dipingerlo come un populista da operetta dopo aver alimentato il terrorismo psicologico sul Covid, per poi reggere la coda al disastroso governo Conte che ha messo in ginocchio il paese imponendo il peggior lockdown che si sia visto in Europa. «E’ sleale, la stampa che si avventa su Pappalardo: il suo “teatro”, utile per scuotere l’opinione pubblica, non è diverso da quello di chi recita da sempre la parte, altrettanto teatrale, del politico paludato». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, difende il leader dei Gilet Arancioni, in piazza lo scorso weekend a Milano: «Pappalardo, che innanzitutto è un uomo simpatico e spiritoso, merita un plauso almeno per la passione con cui esprime la sua insofferenza verso questo governo incapace e catastrofico». Su molti punti, peraltro, Magaldi non concorda con l’ex ufficiale dei carabinieri, già parlamentare nella Prima Repubblica e poi sottosegretario con Ciampi. «Il suo è un programma di riforme profonde, anche costituzionali, che richiederebbero anni per essere attuate, e non certo con il solo consenso delle piazze», precisa Magaldi. «Oggi invece si tratta di incalzare Conte con proposte immediatamente praticabili e comprensibili a tutti: sperando che il governo le adotti, sia pure in ritardo».
-
La Germania: niente soldi all’Italia. Capito, Pd e 5 Stelle?
Gli “europeisti” italiani, da Gentiloni e Sassoli, passando per Zingaretti e Bersani, lo stesso Conte il suo ministro Gualtieri, prendano nota: la Germania boccia il diritto della Bce di assistere i paesi travolti dal Covid. Lo conferma la storica sentenza con cui la Corte Costituzionale di Karlsruhe il 5 maggio ha condannato il governo e il Parlamento tedesco, imponendo alla Bundesbank di partecipare ai programmi della Bce solo a patto che il “quantitative easing” favorisca la Germania. «Cari italiani, non vi lasceremo soli», annunciò oltre un mese fa – parlando in italiano – la presidente tedesca della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, votata dal Pd ed eletta con il contributo determinante dei 5 Stelle, oggi letteralmenre scomparsi dai radar (se non per il viceministro della sanità Sileri che preannncia il vaccino obbligatorio come precondizione per riottenere la libertà). Due anni fa, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia, temendo la reazione contraria dei “mercati” (più decisivi, quindi, della volontà degli elettori italiani), l’euro-commissario tedesco Günther Oettinger si affrettò a “ricordare” che sarebbe stata proprio la finanza privata a «insegnare agli italiani come votare». Fallito nel 2019 il governo gialloverde, la sua attuale controfigura – il Conte-bis – ora rischia di schiantarsi contro l’ennesimo “niet” proveniente dalla Germania: niente soldi, per voi italiani, neppure di fronte alla catastrofe del coronavirus.Come osserva Stelio Mangiameli sul “Sussidiario”, siamo di fronte all’inizio della fine dell’Ue. Il cuore profondo della Germania bancaria, che si esprime oggi attraverso la corte di Karlsruhe, è pronto a tutto: sfidando la Bce, intende «fermare il processo di integrazione europeo sul bagnasciuga dell’intergovernativo e della perfetta simmetria», anche se questo dovesse costare «la vita all’euro e all’Unione Europea». La Germania, peraltro – ricorda Mangiameli – non ha mancato un solo appuntamento, dal 1992 (Trattato di Maastricht) «per avvantaggiarsi quanto meglio e di più, a cominciare dalla fissazione del cambio dell’euro, con il quale fece pagare agli altri, compresa l’Italia, i costi della sua riunificazione». Poi, durante la crisi economica e nella vicenda greca, «ne approfittò, consentendo ai trust tedeschi di fare acquisti di infrastrutture greche importanti (come gli aeroporti)», e tutto questo «dopo avere imposto alla Grecia la ristrutturazione del debito che in origine era modesto, e che fu fatto lievitare con i programmi di “aiuto”». A seguire, il governo tedesco «ha praticato il “bail-in” con l’intervento diretto per salvare le banche tedesche che avevano in pancia un’enorme quantità di titoli tossici», e l’ha fatto «giusto in tempo per imporre all’Italia il divieto, grazie alla direttiva del 2014».Adesso, in piena crisi da Covid-19, con la sospensione del divieto degli aiuti di Stato «il governo tedesco si accinge a varare un programma di sostegno all’industria tedesca di mille miliardi di euro», che però non serve a sostenere la piccola e media industria (bar, ristoranti, artigiani, professionisti) ma serve a «dare vita ad un grande processo di innovazione del sistema industriale», al punto che la stessa Commissione Europea «ha avanzato dei dubbi sulla legittimità delle dimensioni dell’intervento finanziario tedesco, squilibrato rispetto agli intendimenti avuti dalle istituzioni europee nel permettere gli aiuti». Ora, la Corte Costituzionale di Germania chiede conto alla Bce di come ha investito i soldi per i programmi di acquisto dei titoli, «come se fosse un segreto». Nel bilancio della banca centrale, spiega sempre Mangiameli, ci sono 2.189 miliardi di euro di titoli di Stato dei paesi dell’Eurozona: 534 miliardi sono titoli tedeschi, 452 miliardi sono francesi e 393 miliardi sono titoli di Stato italiani. Per Mangiameli, la corte tedesca «viola il principio del primato del diritto europeo». Non solo: infrange il giudicato della sentenza della Corte di Giustizia (C-493/17) del dicembre del 2018 e viola, per eccesso di giurisdizione, gli articoli 267 e 344 del Tfue, il Trattato di Lisbona. In più, accusa in modo infondato la Bce di agire fuori dalle sue competenze. «E, in modo poco responsabile, non si rende conto che sono state proprio quelle decisioni della Bce che hanno salvato l’euro».Attenzione: in tutti questi anni, fa notare sempre Mangiameli, proprio la Germania «ha violato ripetutamente i trattati europei, con il surplus di esportazioni e con tutte le furbizie che in ogni ordinamento si possono escogitare, violando il principio della leale collaborazione che vincola gli Stati membri». Tutto questo, è stato sempre tollerato dall’Ue «per deferenza ingiustificata» verso Berlino. Il cui abuso sistematico è stato tollerato anche dal governo francese, in quel caso «in cambio dello sforamento ripetuto del deficit di bilancio», da parte di Parigi. Noi italiani invece lo abbiamo tollerato in cambio di niente, senza contropartita: perché? «Con molta probabilità – risponde Mangiameli – perché la nostra classe politica non sa fare la politica europea, così come quella interna. Basti considerare cosa è accaduto in questi due mesi di emergenza in Germania e in Italia. In terra tedesca la sanità e l’emergenza civile è competenza dei Länder e il governo federale s’è guardato bene dall’intervenire, lì ha semplicemente sentiti; e sono stati i Länder tedeschi a decidere di accogliere i malati di Covid-19 dall’Italia».In Italia, il governo Conte «ha mostrato di non avere alcun peso a livello europeo». Sul piano interno «si è preoccupato dell’audience, nei social e nelle televisioni», quindi «ha promesso risorse per superare la crisi economica». Ma finora, riconosce Mangiameli, ha distribuito pochissimo. Peggio: «Ha preteso una quantità di potere enorme, violando le regole sui diritti costituzionali e sfidando le Regioni, anziché soccorrerle, come avrebbe dovuto fare». E l’unica preoccupazione reale che ha avuto, alla fine, è stata quella di «impugnare le ordinanze delle Marche e della Calabria». E adesso, Conte – che aveva appena venduto agli italiani il “successo” del Recovery Fund (solo chiacchiere, lo avevano prontamente smentito i media tedeschi) – sbatte il naso contro la porta che la Gemania gli chiude in faccia – a lui e a 60 milioni di italiani, a cominciare dal presidente Mattarella. La voce del Quirinale s’era levata solo dopo l’iniziale provocazione di Christine Lagarde: la neopresidente della Bce aveva precisato (non richiesta) che alla banca centrale non spettava l’obbligo di calmare gli spread. Una mossa calcolata, evidentemente, per suscitare reazioni contrarie (puntualmente arrivate), così da sbloccare finalmente la Bce attivando l’acquisto di titoli di Stato per supportare il deficit aggiuntivo causato dai costi dell’emergenza Covid.Non solo: nei giorni scorsi, un grande analista economico come il tedesco Wolfgang Münchau (”Financial Times”) aveva salutato con favore il recentissimo piano messo a punto dalla Lagarde: un programma inaudito di aiuti, pari a qualcosa come 3 trilioni di euro. In altre parole: helicoptery money, per cancellare – una volta per tutte – il falso dogma della scarsità di moneta, su cui si è finora basata la spaventosa austerity europea (di cui si sono avvantaggiati solo la Germania e i sui satelliti come l’Olanda, che pratica la pirateria fiscale attraendo le grandi aziende italiane a cominciare dall’ex Fiat, oggi proprietaria di “Repubblica” e “Espresso” oltre che della “Stampa”). Proprio la “minaccia” della Bce – soldi per tutti, finalmente, e in quantità mai vista – deve aver innescato l’altolà tedesco, che ora compromette seriamente il futuro della stessa Unione Europea. La brutalità del “pronunciamento” tedesco è la peggiore delle risposte alla clamorosa lettera con cui Mario Draghi, sul “Financial Times”, due mesi fa annunciava la necessità di una svolta storica: basta rigore, perché stavolta – senza una massiccia iniezione di denaro pubblico, erogato subito e senza condizioni – la nostra economia andrebbe incontro a un collasso catastrofico.Nonostante questo, il governo Conte ha cincischiato fino all’ultimo – senza concludere nulla, finora – con la tentazione del Mes: all’Italia sarebbero “regalati” solo 35 miliardi (vincolati alla sola spesa sanitaria) per poi indurre il paese – che per riprendersi ha bisogno di centinaia di miliardi – ad accettare il maxi-prestito aggiuntivo, sempre del Mes, da restituire in tempi brevi e a condizioni insostenibili. Solo qualche giorno fa, l’inaudito Bersani si schierava con la Germania e contro l’Italia “spendacciona” e fiscalmente inaffidabile. Ora da Karlsruhe proviene un vero e proprio atto di guerra contro il nostro paese: riusciranno, gli italiani, a capire davvero quello che sta succedendo? Riusciranno una buona volta a liberarsi degli “europeisti” formato Bersani e Gualtieri, che lavorano da sempre (consapevoli o meno) per il Re di Prussia? Se si guarda all’attuale compagine di governo, c’è da mettersi a piangere: Conte paralizza il paese lasciandolo senza soldi e raccontandogli che avrebbe strappato alla Germania chissà quali concessioni, e dal canto suo Zingaretti (mentre la Lombardia scopre la cura sierologica contro il Covid) annuncia in modo surreale che costringerà gli abitanti del Lazio a sottoporsi al vaccino antinfluenzale. Quanto ai 5 Stelle, cioè la forza politica più rappresentata in Parlamento, di loro si sono perse le tracce: l’unico a finire sui giornali è il signor Rocco Casalino, prestigioso spin doctor di Conte, già indimenticabile tronista televisivo del Grande Fratello.Sarà il dramma economico che ora incombe sul paese a scatenare l’unica possibile reazione, cioè il recupero della sovranità finanziaria per evitare il tracollo? E’ evidente che, di fronte all’ennesima provocazione tedesca (stavolta inaudita, gravissima), si imporrebbe un governo di salvezza nazionale, che abbandoni la linea del finto trattativismo servile e perdente, sin qui perseguita a partire dalla caduta del governo Berlusconi nel 2011. Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte: suonatori diversi, ma stessa musica. L’economista Nino Galloni ha in tasca un Piano-B, attuabile immediatamente e senza neppure violare i trattati europei: emettere moneta nazionale, parallela e non a debito, in quantità sufficiente per riaprire aziende, negozi e ristoranti. Dal canto suo, Draghi vede un’unica possibilità all’orizzonte: fare tabula rasa di tutti i vincoli europei, pena la morte del sistema economico italiano. Se la Germania oggi usa la foglia di fico della sua Corte Costituzionale per essere sleale con l’Europa e con l’Italia anche di fronte al coronavirus, non si vede come il vecchio quadro europeo si possa ricomporre. Né di capisce come Conte, Casalino, Gualteri e l’ectoplasmatico Di Maio possano in alcun modo traghettare l’Italia fuori dall’incubo.Gli “europeisti” italiani, da Gentiloni e Sassoli, passando per Zingaretti e Bersani, lo stesso Conte il suo ministro Gualtieri, prendano nota: la Germania boccia il diritto della Bce di assistere i paesi travolti dal Covid. Lo conferma la storica sentenza con cui la Corte Costituzionale di Karlsruhe il 5 maggio ha condannato il governo e il Parlamento tedesco, imponendo alla Bundesbank di partecipare ai programmi della Bce solo a patto che il “quantitative easing” favorisca la Germania. «Cari italiani, non vi lasceremo soli», annunciò oltre un mese fa – parlando in italiano – la presidente tedesca della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, votata dal Pd ed eletta con il contributo determinante dei 5 Stelle, oggi letteralmenre scomparsi dai radar (se non per il viceministro della sanità Sileri che preannncia il vaccino obbligatorio come precondizione per riottenere la libertà). Due anni fa, quando Mattarella sbarrò a Paolo Savona le porte del ministero dell’economia, temendo la reazione contraria dei “mercati” (più decisivi, quindi, della volontà degli elettori italiani), l’euro-commissario tedesco Günther Oettinger si affrettò a “ricordare” che sarebbe stata proprio la finanza privata a «insegnare agli italiani come votare». Fallito nel 2019 il governo gialloverde, la sua attuale controfigura – il Conte-bis – ora rischia di schiantarsi contro l’ennesimo “niet” proveniente dalla Germania: niente soldi, per voi italiani, neppure di fronte alla catastrofe del coronavirus.
-
Democrazia e liberazione: il memorabile 25 aprile 2020
Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Greta Thunberg, Giuseppe Piero Grillo detto Beppe, Romano Prodi, Vittorio Colao, Massimo D’Alema, Henry Kissinger, Giorgio Napolitano, Angela Merkel, Nicolas Sarkozy, Wolfgang Schäuble, Paolo Gentiloni, Eugenio Scalfari, Marco Travaglio, Antonio Di Pietro, Mark Carney, William Henry Gates III detto Bill, Giuliano Amato, Emmanuel Macron, Josè Maria Aznar, Matteo Renzi, Enrico Letta, Gianni Letta, Fabio Fazio, Dietlinde Gruber detta Lilli, Gerhard Schröder, Alexis Tsipras, Vittorio Grilli, Corrado Formigli, Ray Dalio, Milena Gabanelli, Jeff Bezos, Laurence Fink detto Larry, Ronald O’Hanley, Giovanni Floris, Elsa Fornero, Mortimer Buckley, John David Rockefeller, Federico Fubini, Antonio Martino, Marcello Dell’Utri, Beatrice Lorenzin, Virginia Raggi, Carlo Cottarelli, Carola Rackete, Franco Bassanini, Vittorio Grilli, Barack Hussein Obama.
-
Renzi, Grillo e il nullivendolo Conte: un decennio senza eredi
Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».All’epoca, scrive Veneziani su “La Verità”, passava per statista Gianfranco Fini, da quando si era messo contro il Cavaliere. «La sua parabola finì presto e nel peggiore dei modi possibili, perfino peggio di quanto si potesse prevedere considerata la sua inconsistenza». Finì male pure la parabola di Bossi. E finì il centrodestra, «mentre il paese si consegnava al governo dei tecnici, sotto la sorveglianza dell’Europa». Così nacque il “tecnomontismo”: i tecnocrati, «di buon nome e di gran curricula», chiamati per riparare i danni, «lasciarono un’impronta nefasta», rivelandosi «abbastanza funesti e feroci nello stremare il paese, tassarlo, metterlo in ginocchio e diffondere un’atmosfera di catastrofe e depressione nazionale». Ne uscimmo malconci col breve governo Letta di eurosinistra, «che fu una pallida transizione tra i tecnici e il ritorno della politica, naturalmente da sinistra». Cominciò allora, senza passare dalle urne, la veloce parabola di Renzi: non durò neanche un triennio, «ma in quel tempo sembrò inaugurare un’era, perlomeno un ciclo, vista anche la sua giovane età, la sua energia e il crescente consenso».Renzi, ricorda Veneziani, non aveva rivali né a destra né a manca, «e infatti il peggior rivale di Renzi fu Renzi stesso, che distrusse il suo alter ego per troppo ego: la sua prepotenza accentratrice, il suo voler strafare, stravincere, stracomandare». Ci fu un momento, in effetti, in cui «avrebbe potuto compiere una svolta decisiva: quando annunciò il partito della nazione, lasciando a sinistra i vecchi dinosauri comunisti e la sinistra radicale e spostandosi al centro con un partito trasversale». Ma non ebbe il coraggio di andare fino in fondo, scrive Veneziani. «Stressò il paese in una guerra di rottamazione globale, uno contro il Resto del mondo, fino a che il mondo lo fece a pezzi». Poi annunciò di ritirarsi dalla politica, senza però mai farlo. «Provato così in un quinquennio tutto l’arco delle possibilità – berlusconismo, finto futurismo finiano, sinistra bersaniana, tecnici e sinistra napoleonica renziana – la politica lasciò il passò al dilettantismo assoluto e dannoso dell’antipolitica, interpretato da un comico, una piattaforma, una lobby e una banda di sciamannati o scappati di casa».Così avvenne il prodigio del Movimento 5 Stelle diventato primo “partito”, soprattutto al sud. «Un fenomeno senza precedenti, ma non senza conseguenze: letali». La prima sorpresa fu, un anno e mezzo fa, l’alleanza populista e teoricamente antieuropeista tra i grillini e i leghisti di Salvini. «Un esperimento ardito, preoccupante non solo per l’Unione Europea, ma che destava curiosità e comunque segnava la sconfitta del tardo bipolarismo ma anche un superamento dei berlusconismi destrorsi e sinistrorsi, come quello renziano». L’esperimento populista-sovranista fu tenuto in vita artificialmente per un anno, facendo crescere a dismisura la popolarità di Salvini. «Poi esplose, incautamente, per una valutazione sbagliata di Salvini e una mossa a sorpresa di Renzi. Fino a che si giunse al più raccapricciante mostro dei governi italiani repubblicani, quello grillo-sinistro, che accompagna la fine del decennio». Per Veneziani è «il peggiore che si potesse avere, perché la faziosità intollerante della cupola di sinistra, col suo antifascismo di risulta e di riporto, si è unita alla dannosa ignoranza dei grillini, incapaci di tutto, e nel modo peggiore».Degna sintesi di quell’unione fu lo stesso premier Giuseppe Conte, «assunto come figurante nel precedente governo, venuto dal nulla e nullivendolo egli stesso, che con ripugnante trasformismo passò da guidare l’alleanza con Salvini a guidare l’alleanza antisalviniana, con la sinistra di cui ora si professa simpatizzante». I risultati sono sotto gli occhi (piangenti) di tutti: il decennio, nato sotto la stella (un tempo rossa) di Giorgio Napolitano, è finito «sotto la parrucca bianca di Sergio Mattarella». Nel decennio le abbiamo provate tutte, eccetto il sovranismo: grande incognita, «ma è l’unica via che non abbia ancora avuto esiti fallimentari». Eppure, per l’establishment sembra «la sciagura suprema, decretata a priori, da evitare a ogni costo». E ora che il decennio si è concluso, chiosa Veneziani nella sua analisi, il paese è sospeso nel vuoto: appeso al nulla.Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».
-
Magaldi: sarà il 2020 a smascherare il governo dei bugiardi
Sapete che c’è, di bello, nell’anno nuovo? La verità, in dosi crescenti. Medicina amara, ma salutare. In altre parole: i burattini al governo, camerieri di ben altri poteri, riusciranno sempre meno a ingannare i cittadini con le loro chiacchiere. Ne è convinto Gioele Magaldi, che nel bestseller “Massoni” ha messo in piazza le trame di quelli che considera i veri burattinai, i signori delle superlogge massoniche reazionarie che hanno progettato la globalizzazione-canaglia, modellando un’Ue che ricorda il Sacro Romano Impero e un’Eurozona fondata sulla scarsità immaginaria di moneta, e quindi “obbligata” a imporre l’austerity. Il film sarebbe ai titoli di coda, se perfino un super-falco del rigore come Mario Draghi oggi ammette: non era vero niente, si può cambiare tutto. Basta la volontà politica, per “fabbricare” i soldi che servono a rilanciare economia e occupazione. «Il re è sempre più nudo, e io credo che nel 2020 ci sarà un salto di qualità in questa denudazione delle menzogne di chi ha detenuto il potere in questi ultimi decenni in modo improprio, abusivo e asservito a poteri elitari, antidemocratici e antipopolari», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.Massone progressista e “gran maestro” del Grande Oriente Democratico, il presidente del Movimento Roosevelt non ha dubbi: siamo a un punto di svolta. «Da un lato il 2020 non potrà ancora offrire niente di buono, all’Italia, ma – per contro – sarà sempre più difficile, per l’establishment, nascondere l’epocale cambiamento in atto, a livello globale, di cui parla ad esempio Federico Rampini nel volume “La nuova guerra fredda”, incentrato sullo scontro strategico tra Usa e Cina con cui farà i conti anche il sistema-Italia». Per Magaldi il 2020 non sarà risolutivo, ma sarà un anno preparatorio molto importante, dopo il deludente bilancio di un 2019 «segnato dal venir meno delle speranze suscitate dal governo gialloverde, il cosiddetto “governo del cambiamento” che in realtà non ha cambiato nulla e ci ha consegnato questo personaggio, Giuseppe Conte, buono per tutte le stagioni». Uno scenario «risibile e grottesco», quello illuminato dal discorso di fine anno pronunciato da Conte, visto che in concreto per gli italiani non cambia assolutamente nulla: «Le tasse sono sempre altissime, la disoccupazione giovanile dilaga, il divario nord-sud è sempre più drammatico, le infrastrutture sono fatiscenti. E poi non c’è più una politica estera, nemmeno per la Libia». In altre parole «non c’è una bussola, tirano tutti a campare e in più ligitano: l’unica cosa che tiene in vita il governo Conte è la paura delle urne».Quantomeno, secondo Magaldi, «il 2020 costringerà sia il governo che le opposizioni a superare la loro attuale retorica, perché a livello globale tutto si sta modificando rapidamente, al punto da lasciar sperare in una diversa evoluzione della globalizzazione, fin qui solo neoliberista». Per Magaldi, «l’ottimismo sta nel fatto che lo sguardo degli italiani è sempre più maturo, consapevole e disincantato». Lo è anche quello degli europei e degli abitanti di paesi lontanissimi: «La globalizzazione ha prodotto un’intensità inedita nello scambio di conoscenze». Per capirlo, basta uno sguardo alla clamorosa rivolta di Hong Kong «contro il sistema elitario della Cina, non certo democratico», a cui però il nostro establishment «non sa offrire nulla di concreto». Intendiamoci: anche i cinesi ci guardano. E noi cosa proponiamo loro? «Da parte nostra, non c’è neppure una seria autocritica sullo stato non certo esaltante della stessa democrazia occidentale». Che tutto stia per cambiare, assicura Magaldi, lo assicura anche il clamoroso riposizionamento di Mario Draghi: «Lui, il principe dell’austerity e delle pessime privatizzazioni, dell’egemonia neoliberista nella governance Ue, ora dice che è venuto il momento di cambiare tutto».Di fatto, aggiunge Magaldi, lo stesso Draghi «riconosce una cosa: che ci hanno mentito tutti, lui compreso, per decenni». Cioè: «Non è vero che dobbiamo rassegnarci al rigore perché non ci sono soldi. Basta cambiare le regole: creare gli eurobond, annullare lo spread, fare della Bce un motore di sviluppo». L’austerity, peraltro, non ha fatto che aumentare il debito. «Se invece investiamo, possiamo moltiplicare la ricchezza aumentando il Pil e riducendo il debito». I soldi oggi non sono un problema, perché ormai sono “moneta fiat”, creata dal nulla: basta emetterne a sufficienza. «Quello che manca, semmai, è la volontà politica». E a mancare sono anche le idee, nel caso di Conte, che Magaldi definisce «una comparsa di nessun rilievo, destinata a sparire». Del resto, «quanto è durato Renzi, ben più comvincente e più efficace di Conte nella capacità di comunicare?». L’attuale premier «ricorda, per grigiore, Enrico Letta e Paolo Gentiloni». Per aiutare l’Italia «servono coraggio e visione, che a Conte mancano: occorre spiegare cosa fare e come, dove prendere i soldi per fare cosa».Magaldi parla di 200 miliardi da chiedere subito, per resuscitare l’Italia: lavoro, infrastrutture, scuole. Come ottenere quei soldi? «Semplice: basta chiedere un piano speciale di investimenti, stralciabile dal computo del deficit». Chi lo propone? «Nessuno: non certo Conte, ma non lo chiese neppure Salvini quand’era al governo». La verità è che da trent’anni non abbiamo più una classe politica all’altezza dell’Italia: «Quella della Prima Repubblica, almeno, aveva una percezione chiara della vocazione italiana ad essere leader del Mediterraneo, facendo da cerniera col Medio Oriente e con paesi come l’Iran, la Cina, la Russia». Mai avrebbe accettato di rassegnarsi al rigore, al peggioramento costante delle condizioni dei cittadini, anno dopo anno. Ora siamo “sovragestiti” attraverso pallide mezze figure, «maggiordomi di poteri altri rispetto a quelli che si vedono». Ecco perché, chiosa Magaldi, nel 2020 gli italiani scopriranno in modo sempre più chiaro che «dietro ai discorsi fumosi e generici di Conte non c’è assolutamente nulla di utile per il paese». L’amara verità diverrà sempre più evidente: è l’unica consolazione, par di capire, in arrivo con il mediocre 2020.Sapete che c’è, di bello, in arrivo con l’anno nuovo? La verità, in dosi crescenti. Medicina amara, ma salutare. In altre parole: i burattini al governo, camerieri di ben altri poteri, riusciranno sempre meno a ingannare i cittadini con le loro chiacchiere. Ne è convinto Gioele Magaldi, che nel bestseller “Massoni” ha messo in piazza le trame di quelli che considera i veri burattinai, i signori delle superlogge massoniche reazionarie che hanno progettato la globalizzazione-canaglia, modellando un’Ue che ricorda il Sacro Romano Impero e un’Eurozona fondata sulla scarsità immaginaria di moneta, e quindi “obbligata” a imporre l’austerity. Il film sarebbe ai titoli di coda, se perfino un super-falco del rigore come Mario Draghi oggi ammette: non era vero niente, si può cambiare tutto. Basta la volontà politica, per “fabbricare” i soldi che servono a rilanciare economia e occupazione. «Il re è sempre più nudo, e io credo che nel 2020 ci sarà un salto di qualità in questa denudazione delle menzogne di chi ha detenuto il potere in questi ultimi decenni in modo improprio, abusivo e asservito a poteri elitari, antidemocratici e antipopolari», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”.
-
Carpeoro: impossibile fidarsi di Salvini, resterà neoliberista
Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.La Popolare di Bari è fondamentale, per il Pd, perché il presidente pugliese Michele Emiliano è uno dei maggiori referenti dell’assetto politico del partito. I 5 Stelle si erano scagliati contro il decreto salva-banche del governo Renzi, e ora hanno disertato l’ultimo Consiglio dei ministri. Quello della Popolare di Bari è un casino grosso, molto più grosso di quelli che ebbe Renzi, che aveva coinvolto banchette come l’Etruria. E dietro al problema della Popolare di Bari c’è un personaggio di grande peso, nel Pd: Emiliano è uno dei sostegni principali della segreteria Zingaretti. Quindi, cosa succederà? Ci sarà un accordo tra Renzi e Salvini? Renzi ha una caratteristica: ha messo nel sacco tutti quelli che erano alleati con lui. E non credo che Salvini sia così scemo da aggiungersi alla lista. Renzi ha beffato Enrico Letta, che era pure suo amico. Poi ha fatto fuori il vecchio establishment (Rosy Bindi, D’Alema). Poi ha fregato Bersani, poi anche Berlusconi. E come li ha fottuti? Non mantenendo, clamorosamente, parole date e patti politici. Renzi non muore per le cazzate che fa, perché le cazzate le hanno fatte tutti. Renzi muore, politicamente, perché nessuno farà mai più un patto con lui.I 5 Stelle hanno detto: se Renzi non si siede al banco, non ci allieamo col Pd (e in tempi non sospetti, non adesso). Questo perché nessuno si fida più, di Renzi: ha imbrogliato tutti quelli che poteva, e gli interlocutori attuali non hanno intenzione di aggiungersi all’elenco. Salvini ha detto che “sta studiando”, ma poi ora esulta per la vittoria di Boris Johnson? A Salvini delle elezioni inglesi non importa niente: la sua è solo propaganda. Salvini ha la necessità inderogabile di essere continuamente presente sui media. Lui è, al 90%, pura presenza sui media. Dato che questo è un popolo bue, al popolo bue devi dare il pastone che è abituato a mangiare. E Salvini glielo dà, giustamente. Lui ha un unico obiettivo: andare a votare, e riscuotere il suo credito attuale. Ora usa toni più moderati? La sua è tattica: cerca di essere accettato come futuro leader del paese. Per quanto riguarda la fiducia al Salvini politico, la mia valutazione è prossima allo zero. Non appena abbandonerà questa sua linea dei tagli netti, un tanto al chilo, a colpi di mannaia, mezzo partito gli si rivolterà contro.Salvini può fare allusioni, promesse e ondeggiamenti; ma poi, al momento delle scelte, si dovrà alleare con Berlusconi e dovrà comunque sposare politiche che la gente gli contesterà. Anche ammettendo che sia in buona fede, come fa ad abbandonare una politica neoliberista, avendo come alleati Berlusconi e la Meloni? Un secondo dopo riperderebbe tutti i voti che si è guadagnato, con questa linea di destra ottusa ma premiante, in Italia. Salvini è obbligato, a fare politiche di destra. E quindi, alla fine, è obbligato comunque – sia pure in chiave sovranista – ad aderire a uno schema neoliberista. Perché il sovranismo non è in lite col neoliberismo: il sovranismo propone solo slogan, di falsa indipendenza e autonomia, ma alla fine può mantenere il regime neoliberista esattamente negli stessi termini in cui lo mantengono i finti progressisti. Il solito schema: se non si cambiano le premesse, le conseguenze non possono cambiare. Le premesse da cambiare sono queste: bisogna fare una rivoluzione culturale, per la quale il neoliberismo torni a essere liberismo, e il falso progressismo diventi un progressismo vero.Liberismo e progressismo a quel punto si potrebbero confrontare, in politica, non più su slogan, ma su progetti di paese. Io sono socialista, quindi spero che vinca il progretto progressista. Però, se ci fosse un progetto liberista, non sarei così preoccupato. Il problema è che l’alternativa è un progetto neoliberista, che è tutt’altra cosa. La gente si studi le grandi figure liberali dell’Ottocento. Il problema è che poi arriva un signor Reagan, e trasforma le politiche liberali in politiche egoistiche e ottuse. E’ da lì che viene il problema: quando Reagan teorizza che a decidere è il mercato, e non il politico illuminato, dice una cosa che è contraria sia al progressismo sia al liberismo. E si chiama neoliberismo, non ha un altro nome. Il neoliberismo vive sull’ingiustizia sociale. Crisi economiche, tasse inique, guerre, paura: il potere vuole che le persone stiano male? No: il potere vuole semplicemente che le persone non contino, non che stiano male; ci sono stati momenti storici in cui al potere conveniva che le persone stessero bene.Mentre matura la Brexit, in Italia la situazione è quella che conosciamo: il Mes, Conte, le Sardine, Salvini che sembra tendere la mano per un governo provvisorio di salute pubblica. Le Sardine? Sono il festival della banalità e del luogo comune: finiranno nel nulla, come i Girotondi, nonostante la speranza del Pd di usarle come copertura della sua totale insipienza. Salvini? Certo che può accordarsi con la maggioranza: ma questi glielo garantiscono, di tornare alle urne in primavera? Se si vota in primavera, a Salvini conviene (non so fino a che punto convenga all’Italia, ma a lui conviene). I 5 Stelle sono in cancrena: necrosi anticipata. Quindi è plausibile che, appena si vada a votare, diventino importanti come una piuma sulla bilancia. Io continuo a prevedere la caduta del governo: sono scoppiate due grane grosse, e francamente non vedo come possano riuscire a risolverle. La prima grana sono le inchieste su Renzi: se procedono in modo virulento, Renzi potrebbe essere portato a far saltare il banco. La seconda è il formidabile dissidio che è scoppiato non tanto sul Mes, quanto sulle banche. Va bene che sono in cancrena, ma i 5 Stelle – se votano il salvataggio della Banca Popolare di Bari – vanno incontro a un suicidio assistito.
-
Sicuri che Salvini al governo riuscirebbe a bocciare il Mes?
«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità”, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.C’era da «mandare avanti qualcuno» al posto dell’impresentabile Pd: «Le sardine in piazza, i grillini in Parlamento e l’avvocato di tutte le cause al governo», osserva Veneziani. Il Pd? «Deve stare dietro e avvalersi di funzionari testati e garantiti dall’Europa, tipo Gualteri, tipo Gentiloni, tipo Enrico Letta. O la new entry, il passpartout Conte Fregoli, pronto a tutto pur di restare sul palcoscenico a recitare la parte del premier». Spettacolo ormai sotto gli occhi di tutti: «Con linguaggio orwelliano lo chiamano il SalvaStati, ma la sua traduzione reale è AmmazzaStati, insieme alle rispettive sovranità e agli interessi generali». Però, aggiunge Veneziani, «la porcata sul Mes scontenta e tradisce troppa Italia, e le coperture politiche – da quella renziana a quella dimaionese – tremano paurosamente e rischiano da un momento all’altro di crollare». E’ un fatto: «Mai, la base elettorale e militante grillina, espressa da Alessandro Di Battista, avrebbe accettato di essere usata come copertura per il peggior asservimento all’Europa». La speranza del Pd è che prevalga la paura di perdere la poltrona: che fine farebbero, i parlamentari grillini, se si tornasse a votare? E questo è davvero l’unico appiglio, per il Pd e «il consulente premier ingaggiato».Probabilmente, continua Veneziani, un simile calcolo personale spinge Grillo «a insistere sul governo in corso e a tacere su questa svendita nazionale», temendo il supremo potere di ricatto dell’establishment eurocratico. Più facile il compito dell’opposizione, che spara a zero sul Mes. Ma se domani il centrodestra salviniano e meloniano fosse al governo? Troverebbe «gli stessi poteri e i veti, gli ostacoli, le minacce, le tante forme ricattatorie di pressione e di ritorsione». Inevitabili compromessi? Salvini ce l’avrà, «la forza per dire un secco “no, non se ne parla”, e sarà convincente nel far capire che se per noi è un guaio mettersi di traverso ai dettami degli eurocrati, pure per la Ue e il suo sistema finanziario è un guaio dichiarare guerra a un socio fondatore come l’Italia?». E quindi, «riuscirà almeno a rinegoziare radicalmente il Mes e cambiargli prospettiva?». Nel caso, «troverà partner europei nella scelta sovranista e indipendentista?». Oppure: «Troverà sponde fuori dall’Unione Europea per bilanciare eventuali strappi e ultimatum? E quanti ostacoli troverà in Italia, tra magistratura, stampa e poteri istituzionali pronti a remare contro, gufare anti, colpire il sovranismo magari accusandolo pure di fare interessi stranieri?».Osserva Veneziani: è dura, «dover governare e dover fare i conti con le aspettative della gente che ti ha votato e le ingiunzioni del potere che ti vorrebbe far cadere appena possibile». Sulla scena dominano «forti giocatori politici e internazionali». E noi, allora, «saremo in grado poi di fronteggiare i potenti con armi e leadership adeguate?». Sono domande preliminari che vanno affrontate, conclude Veneziani, se si vuole andare oltre l’incasso immediato e vincente della giusta protesta. «Stavolta non basterà ripetere “noi twitteremo diritto”, remake social del “noi tireremo diritto”». Un consiglio e Salvini e Meloni: «Siate più prudenti nel dire e più conseguenti nel fare. La vostra forza principale è essere dalla parte della realtà, con i piedi per terra, convinti che la vita reale dei popoli vale più degli assetti contabili». E dunque, «siate realisti anche in questa partita difficile, pensateci già da ora. Prima o poi arriveremo alla fine del Mes».«Sapevamo che questo governo era nato con un solo scopo: sopravvivenza di gruppo e personale, al governo e in Parlamento, impedendo il voto e la vittoria di Salvini coi suoi alleati». Se questo è il mastice interno che tiene incollato alle poltrone il Conte-bis, scrive Marcello Veneziani su “La Verità“, in questi giorni abbiamo conosciuto anche «lo scopo esterno» assegnato alla congrega, ovvero: «Eseguire i comandi dell’Eurocrazia, non solo in tema di migranti ma soprattutto in tema di conti, secondo le direttive europee, come testimonia il Mes». La vera ragione politica del governo in carica, «oltre quella pietosa di natura personale», era e resta quella. «Non c’è un progetto, una grande riforma, un obbiettivo primario davanti». C’è solo quel core business: «Eseguire il mandato degli eurocrati, di cui il Pd è la guarda bianca, la filiale interna», continua Veneziani. «Il partito al servizio dell’establishment è il Pd, è il concessionario di zona dei poteri europei, è il rivenditore autorizzato della pappa europea ma è anche il rappresentante, il messo solerte delle sue direttive». Da solo, però, il Pd non basta più: per questo serve il paravento dei 5 Stelle, con l’aiuto delle provvidenziali Sardine e il profilo finto-istituzionale del premier.