Archivio del Tag ‘Eni’
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Wells: attenti, sarà il Pd a finire il lavoro di Berlusconi
C’è una crescente opposizione popolare in Italia alle politiche di austerità in corso di attuazione da parte del primo ministro Silvio Berlusconi. La recente manovra da 54 miliardi di euro è parte di un programma pluriennale di tagli alla spesa sociale e aumento di tasse regressive. L’attacco contro la classe lavoratrice è stato implementato sia dall’attuale governo di centrodestra di Berlusconi, così come dal precedente governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi. Nemmeno approvato il provvedimento, che l’élite finanziaria ed industriale ha subito iniziato a fare progetti per il prossimo attacco. Il “Wall Street Journal” ha subito sottolineato che la misura era insufficiente. «Gli economisti temono che la proporzione del debito pubblico resterà elevata», ha scritto.
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Cabras: smascheriamo i falsi profeti della crescita impossibile
Diffidate di chiunque vi parli di ripresa: politici e industriali che promettono “patti per la crescita” non sanno, o fingono di non sapere, che l’Italia da almeno vent’anni non è più in grado di crescere come un tempo: tramontata la grande industria, negli due decenni il paese ha campato di economia virtuale e boom effimeri, speculazione e assalto ai territori e ai servizi, tagliando diritti e precarizzando il lavoro. Risultato: l’ex Belpaese declassato dalla finanza mondiale rischia di dover affrontare lo stesso suicidio sociale della Grecia, un tunnel senza via di scampo. Alternative? Una sola: non pagare il debito iniquo frutto della speculazione e rivalutare il welfare partendo dal bene comune, ma prima serve una rivoluzione culturale che mandi a casa l’intera classe dirigente.
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Italia in svendita sul panfilo inglese: sdoganato il Britannia
La prima volta che mi imbattei nella storia del panfilo reale inglese “Britannia”, molti anni fa, era su qualche sito di quelli parecchio deragliati. Si raccontava la vicenda di un misterioso e segretissimo incontro al vertice nel 1993, sul panfilo Britannia appunto, che ancorato al largo del porto di Civitavecchia aveva ospitato Mario Draghi, Azeglio Ciampi e qualche decina di affaristi italiani ed inglesi con lo scopo di spartirsi la torta delle nostre imminenti privatizzazioni e fare bieco commercio delle aziende pubbliche con lo straniero. Tale incredibile storia, affiancata da articoli sui Rettiliani e gli Illuminati, suonava ancora più assurda e quindi la riposi nel dimenticatoio.
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Rapinare l’Italia: la truffa del “risanamento” Bce-Draghi
Quando l’Italia si sbarazzò dell’Iri, che era stata la più grande azienda del mondo al di fuori degli Usa, ottenne solo una riduzione dell’8% del debito: se oggi la Bce impone la manovra “lacrime e sangue”, è perché spera di costringere l’Italia a privatizzare quel che le resta, a cominciare da Eni, Poste e Finmeccanica. Questi i veri obiettivi della drastica politica di “risanamento” imposta dalle lobby finanziarie al riparo della Commissione Europea: lo afferma Daniele Scalea, segretario scientifico dell’Isag, Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, nonché redattore della rivista “Eurasia”. Tesi: il debito è l’alibi di chi vuol mettere le mani sui beni pubblici. Le privatizzazioni? Non hanno mai risolto il problema. Al contrario, paesi come l’Argentina sono “risorti” battendo la strada opposta: rifiutando di pagare.
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Addio guerra, ora Parigi tratta sul petrolio con Gheddafi
«E’ stato ampiamente dimostrato che non c’è alcuna possibilità con il ricorso alla forza. Abbiamo sollecitato le due parti a parlarsi, secondo noi è giunto il momento di sedersi attorno a un tavolo». La notizia è che queste parole non le ha pronunciate il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon o un alto rappresentante di una di quelle potenze che la guerra in Libia l’hanno subita più che voluta, come Russia e Cina. Le ha dette Gérard Longuet, il ministro della Difesa francese, rappresentante di quel governo che i bombardamenti li volle a tutti i costi, dello stesso Paese che fu il primo a inviare i suoi bombardieri.
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Wikileaks e mazzette, quei retroscena del nucleare italiano
E’ un articolo dell’“Espresso” che risale a oltre due mesi fa. Mi era sfuggito, ed era sfuggito a quasi tutti: visto che siamo in zona Cesarini per il referendum, è buona cosa leggerlo. Anche perché possiamo così smetterla di alludere con prudenza per parlare invece con cognizione di causa. Dai cablo Wikileaks, esce finalmente la storia che riguarda il giro di mazzette, interessi ed intrallazzi intorno al nucleare italiano. Quello che appunto sospettavamo tutti. Alcune perle: «Quando invece si parla delle nuove centrali da costruire, allora i documenti trasmessi a Washington diventano espliciti, tratteggiando uno scenario in cui sono le mazzette a decidere il destino energetico del Paese. Uno scontro di Stati prima ancora che di aziende, per mettere le mani su opere che valgono almeno 24 miliardi di euro e segneranno il futuro di generazioni».
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Gheddafi e l’ipocrisia italiana, sinistra compresa
Lascia un po’ sgomenti lo sconcerto del Pd davanti al silenzio («preoccupato») del premier Berlusconi sulla crisi libica. Sabato scorso, il Cavaliere ha sterilizzato la rivolta di Bengasi con un laconico «non voglio disturbare» e Veltroni e Fassino hanno subito reagito stigmatizzando il rapporto speciale fra il Cavaliere e il Colonnello. Ma il trattato di amicizia fra Italia e Libia non è un’invenzione del centrodestra e la politica estera dell’Italia verso i paesi del Nordafrica è stata tradizionalmente orientata verso una piena legittimazione dei regimi illiberali che garantivano l’ordine in Egitto e Tunisia.
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Ben Alì: fuga del dittatore affarista inventato dall’Italia
E’ finita come una storia d’altri tempi, di quando i dittatori se ne scappavano furtivamente in aereo portando in valigetta i numeri dei conti correnti svizzeri. «E’ un’assenza temporanea», dicono, naturalmente, i suoi sodali, ma lui, il genenale Zine El-Abidine Ben Ali, difficilmente lo rivedremo a Tunisi. Molto difficilmente, perché la sua storia di 23 anni di potere assoluto finisce qui. Non amava la divisa, il generale, benché militare lo fosse fin dentro l’anima, con la costruzione d’una carriera passata attraverso le accademie d’armi di Francia e Usa. Ma i suoi interessi si erano concentrati da subito sui servizi di sicurezza, e tra spie e dossier è raro vedere uniformi militari.
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Cardini: guerra vicina, l’unica bomba dell’Iran è l’euro
Una dittatura che si regge su brogli elettorali, che minaccia Israele, che si sta fabbricando l’atomica e quindi sta per essere isolata dal resto del mondo? «Calunnie, falsità totali». L’insigne medievista Franco Cardini non ha dubbi: sull’Iran sta per concentrarsi la stessa tempesta che travolse l’Iraq. Innescata dal medesimo copione basato su identiche premesse: disinformazione e menzogne. Perché a far tremare gli Usa non è l’improbabile atomica degli ayatollah, ma il nuovo “cartello” petrolifero del Golfo, basato non più sul dollaro ma sull’euro: «E’ quella l’unica vera bomba nucleare iraniana».
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Berlusconi e il gas russo, passaporto anti-Usa per l’Europa
Caro Beppe Grillo, mi hai chiesto di mandarti da Mosca, dove mi trovo in questo momento, qualche appunto sulla strategia berlusconiana verso la Russia. Mi limito a esporti modestamente i miei pensieri in merito. Com’è noto Berlusconi pensa di essere eterno. E dunque pensa in termini lunghi, almeno per quanto concerne il suo ruolo nella storia d’Italia. E io credo che gli piaccia pensare a se stesso come colui che garantirà al nostro paese il riscaldamento per un tempo indefinito a venire.
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Biocarburanti dall’Eni in Congo, rischio-devastazione?
Quasi 2000 chilometri quadrati per lo sfruttamento di sabbie bituminose e 70.000 ettari di savane per ricavare olio di palma. E’ la colossale operazione da tre miliardi di euro con la quale l’Eni, accanto all’esportazione di idrocarburi, punta a sfruttare le risorse africane del Congo-Brazzaville per utilizzare fonti rinnovabili. Un rapporto della fondazione dei Verdi tedeschi avverte: attenti a non provocare un disastro ecologico. Il dossier, realizzato dalla Heinrich Böll Foundation, chiede alle autorità congolesi e italiane di evitare di trasformare il bacino del fiume Congo in un’area ad altissima densità di inquinamento.
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Gazprom Nation, il regime di Putin ha salvato la Russia
Il sistema Putin è quello che ha riportato Mosca protagonista sulla scena internazionale e dato una svolta decisa a un paese che sotto Eltsin era finito al collasso. È la reazione al sistema caotico, oligarchico e pseudo-democratico di Eltsin. La stragrande maggioranza dei russi lo condivide: perché ha portato ordine, stabilità e grandi miglioramenti. Nessuno dice che sia un sistema perfetto, ma Putin ha dato una nuova prospettiva al paese: ripristinando il ruolo dello Stato, il presidente-premier ha costretto i “robber barons”, gli oligarchi eltisiniani, ad occuparsi solo di affari e non di politica.