Archivio del Tag ‘emozioni’
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Il silenzio dell’outsider, di fronte all’apocalisse in corso
A volte succede di essere stanchi. Dopo un po’, anche i megafoni si stancano. Anche i veggenti, o anche i solo i testimoni oculari. Va così: è in arrivo un cataclisma, e i pochi che lo sanno in anticipo – magari perché ne sono coinvolti, in modo diretto o indiretto – si guardano bene dal dirlo. Qualche outsider se ne accorge, o almeno sospetta che stia avvenendo qualcosa di strano, e così comincia ad annunciarlo ad alta voce. Gli allarmi dell’outsider non è detto che siano precisi e attendibili, è sempre possibile prendere cantonate. Subito, però, la platea si divide. I detentori ufficiali della verità tacciono la notizia. La maggioranza ignora l’outsider o lo considera un pazzo, un esibizionista, non immaginando che l’outsider è il primo a sperare in cuor suo di essersi sbagliato: se ha parlato, l’ha fatto d’istinto; il suo non era nemmeno altruismo, era solo un riflesso di conservazione della specie – la necessità fisiologica di condividere una certa preoccupazione per un possibile pericolo. A quel punto, quando ormai i ruoli sono definiti, i detentori della parola ufficiale cominciano a menzionarlo, l’outsider, con un atteggiamento di sufficienza irridente: a che punto siamo arrivati, se ci sono in giro squilibrati di questa fatta?
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Giornalisti come i debunker: cani da guardia, ma del potere
Ormai è da diversi anni che i media tradizionali hanno ingaggiato la loro battaglia contro le presunte “fake news”. Noi abbiamo già sottolineato diverse volte come molto spesso siano gli stessi media tradizionali a propagarle, ma non è questo lo scopo del presente articolo. Oggi vorrei provare a capire quello che succede nella testa del giornalista mainstream nel momento in cui scrive un articolo che denuncia le “fake news”. Prendiamo ad esempio questo articolo comparso su “Repubblica” due giorni fa, intitolato “Sul sito di Repubblica nasce TrUE per combattere le fake news”. Questo è l’incipit: «Ad aprile sui siti di propaganda legati al Cremlino inizia a circolare la “notizia” secondo la quale il coronavirus sarebbe stato creato da Bill Gates per dominare il mondo». Ora, io sfido chiunque a trovarmi un solo “sito di propaganda legato al Cremlino” che abbia detto che “Bill Gates ha creato il coronavirus per dominare il mondo”. Non esiste. Non lo troverete mai. Per il semplice motivo che a) “i siti di propaganda legati al Cremlino” esistono solo nella testa di chi ha scritto un articolo del genere. E b) nessuno ha mai semplificato in modo così rozzo il fatto che Bill Gates abbia creato un virus “per dominare il mondo”. Solo nei fumetti c’è il cattivo di turno che “vuole dominare il mondo”. Ma, appunto, è una semplificazione destinata al massimo ad impressionare la mente ancora ingenua di un ragazzino.Nel mondo reale le cose sono leggermente più complesse, è questo l’articolista lo sa benissimo. Ma egli distorce e semplifica il suo discorso al massimo, proprio perché si rivolge al lato più ingenuo ed infantile della mente del lettore. Se infatti si prende l’intera frase e la sintetizza ancora di più, a livello subconscio esce quanto segue: “I cattivi (i russi) dicono che il nostro eroe vuole dominare il mondo. Ma questo non è possibile, perchè noi siamo i buoni, e agiamo sempre nel nome del bene e della giustizia universale”. Esattamente come nei fumetti: i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Questo ricorso ai sintagmi più archetipici della nostra cultura rivela chiaramente due cose: uno, la palese malafede del giornalista, il quale sa benissimo che tramite la semplificazione si può aggirare la parte più ostica del discorso – quella del ragionamento logico – per arrivare direttamente agli strati del cervello che rispondono alle emozioni. La seconda cosa che rivela la strategia del giornalista, è quella di presumere di partire sempre e comunque dal punto di vista di chi ha ragione.Quando si scrive la frase «migliaia di persone manifestano a Berlino e in altre città tedesche contro il tentativo di imporre una dittatura globale da parte del fondatore di Microsoft o, in alternativa, per mano di malevoli élite internazionali intenzionate a stabilire un Nuovo ordine globale», si dà già per scontato, nel sottotesto, che le “malevoli élite internazionali” non esistano. Non si affronta quindi nemmeno minimamente l’ipotesi che queste elite esistano, ma si vuole indurre nel lettore un falso senso di sicurezza, nello scartare addirittura a priori questa possibilità. Il giornalista in questione quindi, svolge lo stesso identico ruolo del debunker, il cui ruolo ultimo è quello di fungere da “grande tranquillizzatore” della società. Nel tentativo di preservare il proprio potere – quello di “gestire” l’informazione in modo unilaterale, dall’alto verso il basso – il giornalista mainstream ricade nella stessa fallacia alla quale ricorrono regolarmente i debunker: quella di negare a priori qualunque ipotesi che possa risultare destabilizzante per la nostra società, e possa in qualunque modo mettere a rischio il potere vigente. Debunker e giornalista mainstream sono, ciascuno a modo loro, i cani da guardia del potere.(Massimo Mazzucco, “Giorganlisti e debunker sono la stessa cosa”, da “Luogo Comune” del 25 giugno 2020).Ormai è da diversi anni che i media tradizionali hanno ingaggiato la loro battaglia contro le presunte “fake news”. Noi abbiamo già sottolineato diverse volte come molto spesso siano gli stessi media tradizionali a propagarle, ma non è questo lo scopo del presente articolo. Oggi vorrei provare a capire quello che succede nella testa del giornalista mainstream nel momento in cui scrive un articolo che denuncia le “fake news”. Prendiamo ad esempio questo articolo comparso su “Repubblica” due giorni fa, intitolato “Sul sito di Repubblica nasce TrUE per combattere le fake news”. Questo è l’incipit: «Ad aprile sui siti di propaganda legati al Cremlino inizia a circolare la “notizia” secondo la quale il coronavirus sarebbe stato creato da Bill Gates per dominare il mondo». Ora, io sfido chiunque a trovarmi un solo “sito di propaganda legato al Cremlino” che abbia detto che “Bill Gates ha creato il coronavirus per dominare il mondo”. Non esiste. Non lo troverete mai. Per il semplice motivo che a) “i siti di propaganda legati al Cremlino” esistono solo nella testa di chi ha scritto un articolo del genere. E b) nessuno ha mai semplificato in modo così rozzo il fatto che Bill Gates abbia creato un virus “per dominare il mondo”. Solo nei fumetti c’è il cattivo di turno che “vuole dominare il mondo”. Ma, appunto, è una semplificazione destinata al massimo ad impressionare la mente ancora ingenua di un ragazzino.
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Dylan e Martarossa, musica ribelle da Kennedy al Covid-19
Per chi suona la campana? Domanda sbagliata, rispose Hemingway. “Ring them bells”, rilanciò tanti anni dopo un certo Bob Dylan: svegliatevi, tutti quanti. E suonatele, quelle campane, «per i ciechi e i sordi», visto che «il pastore si è addormentato, e le montagne sono piene di pecorelle smarrite». Era il fatidico 1989, quello del crollo del Muro di Berlino. Non sono mai casuali, le date, per il grande cantautore americano insignito nel 2016 con il Nobel per la Letteratura. Il 19 giugno, un attimo prima del solstizio d’estate, uscirà l’attesissimo “Rough and Rowdy Ways”, anticipato da tre singoli dirompenti – il primo dei quali, l’epico “Murder Most Foul”, evoca lo splendore democratico della stagione di Jfk, denunciando gli assassini del presidente della New Frontier e gettando su di loro un’ombra che si allunga fino all’oscura Era del Covid, nella quale siamo precipitati. L’ultimo brano anticipato sul web, “False Prophet”, è accompagnato dall’immagine della morte che impugna una siringa: riferimento esplicito alla “cupola” del coronavirus, che usa il terrore della pandemia per tentare di imporre una sottomissione mondiale psico-sanitaria.Attenti: quella di Dylan è una discesa in campo. Una sfida, al potere che coltiva sogni totalitari dietro l’alibi della sicurezza. E quel potere – suggerisce Dylan – è l’erede dello stesso establishment, tuttora impunito, che assassinò John Kennedy a Dallas mezzo secolo fa. Date: Kennedy era nato il 29 maggio, anche lui a ridosso dell’esplosione estiva (Dylan ha appena festeggiato i 79 anni, il 24 maggio). «Chissà, forse Jfk tornerà nell’aria sotto forma di musica, anche in Italia». Lo annuncia Gioele Magaldi, segnalando l’imminente uscita – a giugno, praticamente insieme all’album dylaniano – dell’ultimo singolo di Marta Charlotte Ferradini, figlia del caposcuola Marco Ferradini. Una splendida cantante, dotata di uno swing elegante e morbidissimo, premiata nel 2012 ad Aversa tra le migliori nuove voci italiane. Su Spotify, è appena uscita una versione inedita di “Martarossa”, piccolo capolavoro che mette in mostra le sorprendenti capacità autoriali della cantautrice milanese: «La fame agli occhi di aria selvatica, su spiagge notturne di terra umida». Pura confidenza con la poesia. «Qualche volta lacrima nelle tasche l’anima, ma si vuole libera di sentirsi unica». E dov’è il nesso con Kennedy?«Il richiamo a Jfk sta in un brano ancora inedito, ascoltato anni fa», rivela Magaldi, che ricorda: Marta Charlotte Ferradini è stata socia fondatrice del Movimento Roosevelt. «Quella canzone, non ancora pubblicata, intreccia passioni private ed ethos civile e politico. Valori altissimi, trattandosi di Kennedy: diritti, giustizia e dinamismo sociale, equilibrio armonioso di una democrazia pienamente sviluppata». Massone progressista, autore del saggio “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che denuncia il ruolo occulto delle superlogge neo-conservatrici nella regia di questa globalizzazione senza diritti, Magaldi tifa per i nuovi talenti italiani: oltre alla Ferradini segnala volentieri il giovanissimo rapper Anastasio, vincitore di X-Factor nel 2018, e l’Enrico Nigiotti di “Baciami adesso”, a Sanremo lo scorso febbraio. Il grande tema? Semplice: la potenza emozionale della musica, specie in un momento come questo. Sapienza: l’arte può dire tanto, anche senza entrare per forza nei dettagli della politica. “Sono solo canzonette”, recitava beffardo Edoardo Bennato, ben sapendo quali universi può smuovere una semplice melodia, magari ricamata attorno a un testo come quello di “Martarossa”. «Nei suoi occhi nevica», recita la poetessa Charlotte, invocando proprio lo spirito capace di infiammare: «Smuovimi dentro, come spazio nel tempo: raccontami il senso di quest’incendio».Quel brano è ormai un baby-classico: «Scivola via leggero, ma ha una profondità, uno spessore: rinvia alla capacità che abbiamo di accenderci quando ci indigniamo, quando vogliamo combattere, rigenerarci e lanciare il nostro messaggio, lasciare un segno: la nostra firma». Riascoltato oggi nella sua nuova veste, sembra l’ennesimo avvertimento, confezionato su misura per i giorni sconvolgenti che stiamo affrontando. «Ormai è chiaro che ognuno dev’essere pronto a fare la sua parte, con i mezzi di cui dispone – dice Magaldi, che del Movimento Roosevelt è il presidente – visto che questa lenta e graduale liberazione non è scontata: c’è senpre chi vuole mettere in circolo situazioni provocatore e vessatorie, come l’ultimissima trovata delle “ronde” per sorvegliare la movida». E se l’Italia di Conte richiama la “situazione grave, ma non seria” del grande Flaiano, tra le righe lascia però intravedere tutta l’intensa drammaticità del momento: l’Italia come specchio (fragilissimo) di una sorta di “guerra mondiale” particolarmente subdola, sferrata nei mesi scorsi col pretesto della pandemia.Il disastro-Covid è esploso al culmine di una serie di rovesci, subiti dall’élite mondialista oligarchica. L’ultimo, decisivo, è stato l’insediamento di Trump alla Casa Bianca: brutale lo stop imposto, con i dazi, all’espansione geopolitica cinese (protetta dai settori più reazionari della supermassoneria atlantica). Il loro sogno: “cinesizzare” l’Occidente, soffocando i diritti democratici. «Ci hanno provato in tanti modi», sottolinea Magaldi, «a partire dal golpe in Cile nel 1973 che ha insediato il neoliberismo al governo del paese». Per Bob Dylan, questa storia comincia addirittura dieci anni prima: uccidendo Kennedy, si è voluto spegnere sul nascere la lunga marcia della libertà e dell’uguaglianza. A seguire: il manifesto “La crisi della democrazia” promosso dalla Trilaterale di Kissinger (il primo a scommettere sulla Cina come modello per gli occidentali), e la nascita di questa Unione Europea post-democratica, retta da una Commissione non eletta da nessuno, e dove il Parlamento non conta nulla. Nel 2001, poi, la drammatica accelerazione del terrorismo stragistico inaugurato con l’11 Settembre e la fabbricazione di mostri nati in provetta, da Bin Laden all’Isis. «Tutti massoni “controiniziati”, complici di un gioco spregevole fondato sul terrore».Ora siamo alla madre di tutte le paure: «Il virus, sotto questo aspetto, funziona ancora meglio del terrorismo», sostiene Magaldi. E’ un’insidia perfetta, senza volto né bandiere, che non conosce confini. Solo un cieco può non vedere quello che sta accadendo: col pretesto dell’emergenza, avanzano piani per una “tracciatura” di stampo orwelliano, cui sottoporre l’umanità. In più, la crisi-Covid ha azzoppato anche l’economia Usa, che Trump aveva fatto volare tagliando le tasse e aumentando il deficit. Intanto si scopre che l’Oms (largamente finanziata da Bill Gates) aveva un ruolo nel fatidico laboratorio di Wuhan, cinese ma sorretto da programmi come quelli sostenuti da Anthony Fauci. Esplosive rivelazioni sono attese nel sequel di “Massoni”, in uscita a novembre. Sottitolo: “Globalizzazione, Esoterismo e Virus”. Lo stesso Magaldi, salutando il brano “Murder Most Foul”, a fine marzo ha fatto un clamoroso annuncio ufficiale: «Bob Dylan è un massone ultra-progressista, un grande inziato che ha saputo inserire nel suo lavoro artistico, con estrema raffinatezza, le suggestioni dell’esoterismo che studia e pratica da una vita». Aggiunge Magaldi: «Oggi, Bob Dylan si sente un soldato: è in campo per combattere al nostro fianco, per impedire che ci venga tolta la libertà».E non si tratta soltanto di Dylan, aggiunge Magaldi: il cambio di casacca da parte di Christine Lagarde e Mario Draghi, che hanno abbandonato l’oligarchia neoliberista per abbracciare la causa progressista, sono solo le vette di un iceberg mondiale. S’è messo in moto qualcosa di profondo, per smascherare l’impostura che ha retto il pianeta negli ultimi decenni: fake news ufficiali e disinformazione, terrorismo sanguinario e austerity europea. Tutte facce della stessa medaglia, che adesso ha le sembianze dell’emergenza sanitaria. “The times they are a-changing”, finalmente? Parrebbe proprio di sì: «Sarà dura e ci sarà da combattere, ma vinceremo», confida Magaldi. «Volevano piegare il mondo con il rigore finanziario, ma non ci sono riusciti. L’altra paura, il terrorismo, non è bastata a spegnere la democrazia. E falliranno anche stavolta, gli stregoni del terrore che ora cavalcano il virus». In questo panorama, si staglia il prestigio di un gigante come Dylan. Il messaggio: avere il coraggio di non farsi spaventare, impararando a trovare innanzitutto dentro di sé le risorse indispensabili per disegnare un nuovo universo, più comodo per tutti. Risorse emotive, che possono essere svegliate (anche “incendiate”, per citare Marta Charlotte Ferradini) dalla stessa musica. Succede, di fronte a canzoni capaci di regalare occhi nuovi per guardare il mondo, una volta imparato che non è importante sapere per chi suona la campana.Per chi suona la campana? Domanda sbagliata, rispose Hemingway. “Ring them bells”, rilanciò tanti anni dopo un certo Bob Dylan: svegliatevi, tutti quanti. E suonatele, quelle campane, «per i ciechi e i sordi», visto che «il pastore si è addormentato, e le montagne sono piene di pecorelle smarrite». Era il fatidico 1989, quello del crollo del Muro di Berlino. Non sono mai casuali, le date, per il grande cantautore americano insignito nel 2016 con il Nobel per la Letteratura. Il 19 giugno, un attimo prima del solstizio d’estate, uscirà l’attesissimo “Rough and Rowdy Ways”, anticipato da tre singoli dirompenti – il primo dei quali, l’epico “Murder Most Foul”, evoca lo splendore democratico della stagione di Jfk, denunciando gli assassini del presidente della New Frontier e gettando su di loro un’ombra che si allunga fino all’oscura Era del Covid, nella quale siamo precipitati. L’ultimo brano anticipato sul web, “False Prophet”, è accompagnato dall’immagine della morte che impugna una siringa: riferimento esplicito alla “cupola” del coronavirus, che usa il terrore della pandemia per tentare di imporre una sottomissione mondiale psico-sanitaria.
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Fani: paura e diffidenza, la mascherina è un rituale magico
«La maschera è sempre negativa: copre una falsità, un inganno, una finzione». Lo ricorda lo scrittore e formatore Maurizio Fani, che è anche psicologo e psicoterapeuta. Le “museruole” che gli ambigui gestori dell’emergenza Covid ci costringono a indossare? Puzzano di rituale collettivo: simboleggiano sottomissione e annullamento della personalità. D’accordo, c’è anche l’elemento medico, precauzionale. Ma in quale misura? L’Oms e lo stesso ministero italiano della sanità ne raccomandano l’uso, alle persone sane, «solo se stanno fornendo assistenza a persone certamente malate di Covid-19, o con sintomi che facciano sospettare la malattia». Molti autorevoli virologi le temono: «Non vanno usate, specialmente in luoghi all’aperto», dice il professor Giulio Tarro, allievo prediletto di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite. «Le mascherine non sono il massimo dell’igiene», avverte Tarro: «Io starei attento nel loro uso, riuso e abuso: e quando arriverà il caldo, sarà bene gettarle via». L’Ordine dei Medici Sportivi di Cagliari – racconta Fani – ha sollevato un problema: un pericolo, la mascherina, per chi pratica attività sportiva.
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Giovagnoli: natura e bellezza, l’antidoto al virus della paura
Se la televisione dice “panico”, è panico. Se la televisione e i tanti strumenti utilizzati nel web dicono “panico”, è panico. Se la televisione dice “niente panico”, allora niente panico. Stiamo assistendo a un autentico esperimento sociale, che ci fa capire quanto l’informazione possa controllare le persone, e quanto il terreno delle persone sia stato reso fertile, affinché questa sostanza possa entrare dentro di noi e trasformare la gente. Il vero virus non è il coronavirus, è l’informazione che va ad alterare lo stato psico-fisico delle persone. Mi chiamo Michele Giovagnoli. Sono un amante dei boschi, un appassionato di natura. Da vent’anni opero in questo settore, e lavoro su di me: pratico un’alchimia interiore, che passa attraverso il contatto con gli elementi selvatici. E voglio darvi tutti gli strumenti possibili, quelli che sono riuscito ad apprendere, su come la natura può aiutarci a vivere meglio.
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Della Luna: addio politica, video e web ci hanno disabilitati
In principio era la fiducia: la fiducia nel progresso, nella giustizia, nella democrazia, nella società liberale aperta, nel benessere garantito, nella crescita illimitata. «Col benessere venne la società huxleyana, del piacere, del divertimento, del consumismo, della droga popolare, dei diritti inflazionati, del rilassamento, in cui si assopirono la coscienza di classe, la vigilanza razionale, la partecipazione attiva, perché si evitava tutto ciò che non diverte e che responsabilizza, rendendo così superfluo il controllo dell’informazione». Avanti così, fino a quando le masse non persero la loro rilevanza economica, quindi il loro potere di contrattazione: Marco Della Luna lo spiega nel suo “Oligarchia per popoli superflui”, rieditato nel 2018 da Aurora Boreale. Le minoranze «leggenti e pensanti», secondo Della Luna, persero anche «la capacità psichica di essere un soggetto politico pro-attivo». Allora, il “sogno huxleyano” basato «sulle gratificazioni rimbecillenti che creano consenso sociale» ha iniziato a offuscarsi e trasformarsi in incubo orwelliano, «basato sulla paura e sulla rabbia che fanno accettare tutto». La trasformazione «è iniziata con le grandi angosce lanciate dai media su terrorismo globale, disastri finanziari, crolli economici, sovraindebitamenti e crisi climatiche, esaurimento delle risorse, precarietà irreversibile».Questa crisi, prosegue Della Luna sul suo blog, è passata per le grandi privatizzazioni, le cessioni di sovranità statale e l’imposizione del pensiero unico, fino ad arrivare alla società tecno-controllata e tecno-macellata (cominciando con la Grecia) da un’oligarchia globale che sta dietro a primedonne come Angela Merkel e Ursula von der Leyen, Christine Lagarde e Hillary Clinton, senza trascurare Emmanuel Macron. «Un’oligarchia che mostra esattamente i tratti psicologici e comportamentali dei signori della villa nel film “Salò, o le centoventi giornate di Sodoma”, ultima opera di Pier Paolo Pasolini». In quell’affresco spaventoso, l’autore «non descriveva le gesta trascorse di alcuni perversi gerarchi fascisti», ma di fatto «ci preavvertiva del tipo di sistema politico a cui eravamo portati e in cui adesso siamo arrivati». Studi sociologici e psicologici hanno messo a fuoco il progressivo scadimento delle facoltà psichiche prodotto dalla “fase huxleyana” anche sulla minoranza leggente-pensante, «ossia su quel 3 o 4% della società che si informa e riflette sul ‘mondo’ studiando e discutendo la saggistica, anziché recepire passivamente quel che passano i mass media», cioè su quell’aliquota del corpo sociale che genera i mutamenti culturali.Ben prima del dilagare dello smartphone, Marshall McLuhan osservava “il mezzo è il messaggio”: oggi, ormai, il mezzo riforma anche la psiche, sostiene Della Luna. Con l’avvento della televisione (e poi dei video su web, scapito della lettura) si punta sulle emozioni per catturare l’attenzione, «ricorrendo al sensazionalismo, alla rapida successione, all’estrema semplificazione, ai dibattiti superficiali e contumeliosi», Si evita come la peste qualsiasi possibilità di approfondimento: la complessità è nemica dell’audience. E i risultati sono catastrofici: «Rispetto all’era della lettura, il ricevere passivamente lasciando guidare la propria attenzione ha atrofizzato la capacità di attenzione selettiva, volontaria, autoimposta», scrive Della Luna. «E lo spettacolarismo emotigeno ha avvezzato a non usare e non sviluppare la riflessione, il ragionamento, il dubbio critico, la verificazione, la contestualizzazione, il confronto». La stimolazione neurofisiologica del monitor «porta nei fanciulli a un indebolimento delle facoltà cognitive e mnemoniche». E se la televisione commerciale ha massimizzato la superficialità, i media cartacei l’hanno rincorsa. Risultato: il video impigrisce il cervello e atrofizza la capacità di analisi.A un livello superiore, osserva Della Luna, si indebolisce la facoltà – esclusiva dell’uomo – di discorrere di se stesso, del proprio pensiero, del proprio dire e rappresentare. «Buona parte della minoranza leggente e pensante è finita sotto questi effetti della televisione, assimilando il modo distorto, impoverito e frammentato di percepire il mondo, a cui essa educa; e in tal modo ha perso buona parte del suo potenziale critico-creativo dei modelli socio-culturali. E’ stata politicamente neutralizzata attraverso i suoi canali emotivi». E’ stata una rivoluzione antropologica, in sostanza, che «ha cambiato il sistema, ha destrutturato l’opinione pubblica e i comportamenti politici». Dalla dissoluzione della sintassi del pensiero siamo arricati a dissolvere «la sintassi della socialità», dopo decenni di sovraesposizione totalizzante al dominio del video. Tutto questo, sempre secondo Della Luna, ormai «rende semplicemente impossibile l’esistenza di un’opinione pubblica informata e ragionante, quindi di una partecipazione o anche una consapevolezza dal basso rispetto alle “policies” del potere».Contrariamente alle ottimistiche previsioni di qualcuno, «Internet non ha affatto prevenuto la disinformazione e il degrado cognitivo di massa». E quindi «non ha avuto un effetto ‘democratizzante’». Tutt’altro: «Fornisce potentissimi strumenti di disinformazione, manipolazione e profilazione, oltre a compromettere ulteriormente le funzioni psichiche», tanto che si configura in sindrome patologica. Lo psichiatra Manfred Spitzer (Garzanti, 2013) la chiama “Demenza digitale”. In conclusione: per Della Luna non siamo solo di fronte alla fine della politica pubblica, ma proprio «alla fine della possibilità a priori della politica pubblica». Da un lato, il super-potere effettivo, che opera in condizioni di assoluto isolamento tecnocratico, «non lascia più uno spazio decisionale effettivo a una politica pubblica, a porte aperte». Dall’altro, purtroppo, è venuto meno un soggetto pubblico a cui rivolgersi, per cambiare la governance. L’opinione pubblica è stata sostituita da un’audience anonima, intrattenuta da quella che sembra «una compagnia di teatranti della politica, sostanzialmente uomini di spettacolo», personaggi «seguiti per le loro capacità comunicative, concentrati sui sondaggi e sull’immagine, privi di reale competenza». Di fatto, «soggetti a rapida obsolescenza».In principio era la fiducia: la fiducia nel progresso, nella giustizia, nella democrazia, nella società liberale aperta, nel benessere garantito, nella crescita illimitata. «Col benessere venne la società huxleyana, del piacere, del divertimento, del consumismo, della droga popolare, dei diritti inflazionati, del rilassamento, in cui si assopirono la coscienza di classe, la vigilanza razionale, la partecipazione attiva, perché si evitava tutto ciò che non diverte e che responsabilizza, rendendo così superfluo il controllo dell’informazione». Avanti così, fino a quando le masse non persero la loro rilevanza economica, quindi il loro potere di contrattazione: Marco Della Luna lo spiega nel suo “Oligarchia per popoli superflui”, rieditato nel 2018 da Aurora Boreale. Le minoranze «leggenti e pensanti», secondo Della Luna, persero anche «la capacità psichica di essere un soggetto politico pro-attivo». Allora, il “sogno huxleyano” basato «sulle gratificazioni rimbecillenti che creano consenso sociale» ha iniziato a offuscarsi e trasformarsi in incubo orwelliano, «basato sulla paura e sulla rabbia che fanno accettare tutto». La trasformazione «è iniziata con le grandi angosce lanciate dai media su terrorismo globale, disastri finanziari, crolli economici, sovraindebitamenti e crisi climatiche, esaurimento delle risorse, precarietà irreversibile».
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Fenomenologia di Conte: un ologramma a Palazzo Chigi
Giuseppe Conte non è. Non è un leader, non è un eletto, non è un politico, non è un tecnico, non è nulla. È il Nulla fatto premier. E lo conferma ogni giorno adattandosi come acqua corrente alle superfici che incontra. È la plastica rappresentazione che la Politica, dopo lo Scarso, lo Storto, il Pessimo, ha raggiunto lo Zero, la rappresentazione compiuta del Vuoto. Luogotenente del Niente, Conte è oggi il fenomeno più avanzato della politica dopo i partiti, i movimenti, le ideologie, la politica e l’antipolitica, i tecnici e i populisti, le élite e le plebi. È la svolta avvocatizia della politica che pure è da sempre popolata di avvocati: ma Conte non scende in politica, assume solo da avvocato l’incarico di difendere una causa per ragioni professionali; ma i clienti cambiano e così le cause. Andrebbe studiato nelle università del mondo perché segna un nuovo stadio, anonimo e postumo della politica. Non si può esprimere consenso né dissenso nei suoi confronti perché non c’è un argomento su cui dividersi; lui segna la fine del discorso politico, la fine della decisione, la fine di ogni idea, di ogni fatto. È la somma di tante parole usate nel gergo istituzionale, captate e assemblate in un costrutto artificiale. È lo stadio frattale del moroteismo, il suo dissolversi. Ogni suo discorso è un preambolo a ciò che non accadrà, il suo eloquio è uno starnuto mancato, di cui si avverte lo sforzo fonico e il birignao istituzionale ma non il significato reale. Altri semmai decideranno, lui si limita al preannuncio.Ogni volta che un Tg apre su di lui, non c’è la notizia, è solo una presenza che denota un’assenza; si spalanca una finestra nel vuoto. I fatti separati dalle opinioni, si diceva; lui è nello spazio intermedio dove non ci sono i fatti e non ci sono le opinioni. Dopo che Conte avrà parlato lascerà solo una scia di silenzi e di buchi nell’acqua. Non darà risposte, sceneggerà un ruolo e dirà lo Zero virgola zero. Nelle sue citazioni saccenti vanifica l’autore citato, lo rende vuoto e banale come lui. Conte non rientra in nessuna categoria conosciuta, eppure abbiamo avuto una variegata fauna di politici al potere. Lui non è di parte, eccetto la sua, è piovuto dal cielo in una sera senza pioggia. Conte è portatore sano di politica e di governo, perché lui ne è esente. È contenitore sterile di ogni contenuto. Non ha una sua idea; quel che dice è frutto del luogo, dell’ora e delle persone che ha di fronte. Parla la Circostanza al suo posto, la Circumstancia, per dirla con Ortega y Gasset; Conte è la somma dell’habitat in cui è immesso, traduce il fruscio ambientale in discorso. Figurante ma senza neanche figurare in un ruolo, è l’ologramma di una figura inesistente, disegnato in piattaforma come un gagà meridionale degli anni 50. Un po’ come Mark Caltagirone, il fidanzato irreale di Pamela Prati; è solo una supposizione.Trasformista, a questo punto, sarebbe già un elogio, comunque un passo avanti, perché indicherebbe un passaggio da uno stadio a un altro. Conte, invece, è solo la membrana liquida che di volta in volta riveste la situazione, producendo un molesto acufema in forma di eloquio. Conte cambia voltura a ogni utente e rispetto a ogni gestore (non fu un caso nascere a Volturara). Conte è fuoco fatuo, rappresentazione allegorica del niente assoluto in politica, ma a norma di legge. Quando apparve per la prima volta dissero che aveva alterato il curriculum e in alcune università da lui citate non era mai stato, non lo conoscevano; ma Conte è un personaggio virtuale, il curriculum può allungarsi, allargarsi, restringersi secondo i desiderata occasionali. Conte non ha una storia, non ha eredità e provenienze, non ha fatto nessuna scalata. È stato direttamente chiamato al Massimo Grado col Minimo Sforzo, anzi senza aver fatto assolutamente nulla. Una specie di gratta e vinci senza comprare nemmeno il biglietto, anzi senza aver nemmeno grattato. Da zero a Palazzo Chigi. Come Gregor Samsa una mattina si svegliò scarafaggio, lui una mattina si svegliò premier. Un postkafkiano. Conte è di momento in momento di centro, di destra, di sinistra, cattolico, laico, progressista, medieval-reazionario con Padre Pio, democratico-global con Bergoglio, fido del sovranista Trump e al servizio degli antisovranisti eurolocali; è genere neutro, trasparente, assume i colori di chi sta dietro. Un passe-partout.Il Conte Zelig, come lo battezzammo agli esordi, ha assunto di volta in volta le fattezze gradite a tutti i suoi interlocutori: merkeliano con la Merkel, junckeriano con Juncker, trumpiano con Trump, macroniano con Macron, chiunque incontra lui diventa quello; è lo specchio di chi incontra. In questa sua capacità s’insinua e manovra. Conte non dice niente ma con una faticosa tonalità che sembra nascere da uno sforzo titanico, la sua parlata cavernosa e adenoidea è una modalità atonica, priva di pensieri o emozioni, pura espressione vanesia di un dire senza dire, il gergo della premieralità. Il suo vaniloquio è simulazione di governo, promessa continua di intenti, rinvio sistematico di azioni; è un riporto asintomatico di pensieri, la somma di più uno e meno uno. Indica con fermezza che si adatta a tutto e non comunica niente. Dopo Conte non c’è più la politica; c’è la segreteria telefonica, il navigatore di bordo, la cellula fotoelettrica. Il drone. Conte però ha una funzione, e non è solo quella di cerniera lampo tra sinistra e M5S, punto di sutura tra establishment e grillini. È la spia che la politica non c’è più, nemmeno nella versione degradata più recente. Lui è oltre, è senza, è il sordo rumore del nulla versato nel niente.(Marcello Veneziani, “Fenomenologia di Giu’ Conte”, dal numero 41 di “Panorama” 2019).Giuseppe Conte non è. Non è un leader, non è un eletto, non è un politico, non è un tecnico, non è nulla. È il Nulla fatto premier. E lo conferma ogni giorno adattandosi come acqua corrente alle superfici che incontra. È la plastica rappresentazione che la Politica, dopo lo Scarso, lo Storto, il Pessimo, ha raggiunto lo Zero, la rappresentazione compiuta del Vuoto. Luogotenente del Niente, Conte è oggi il fenomeno più avanzato della politica dopo i partiti, i movimenti, le ideologie, la politica e l’antipolitica, i tecnici e i populisti, le élite e le plebi. È la svolta avvocatizia della politica che pure è da sempre popolata di avvocati: ma Conte non scende in politica, assume solo da avvocato l’incarico di difendere una causa per ragioni professionali; ma i clienti cambiano e così le cause. Andrebbe studiato nelle università del mondo perché segna un nuovo stadio, anonimo e postumo della politica. Non si può esprimere consenso né dissenso nei suoi confronti perché non c’è un argomento su cui dividersi; lui segna la fine del discorso politico, la fine della decisione, la fine di ogni idea, di ogni fatto. È la somma di tante parole usate nel gergo istituzionale, captate e assemblate in un costrutto artificiale. È lo stadio frattale del moroteismo, il suo dissolversi. Ogni suo discorso è un preambolo a ciò che non accadrà, il suo eloquio è uno starnuto mancato, di cui si avverte lo sforzo fonico e il birignao istituzionale ma non il significato reale. Altri semmai decideranno, lui si limita al preannuncio.
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Proclamato: sappiamo tutto da sempre. Ditelo, alla scienza
Giorni fa una mia amica mi faceva notare un articolo, proveniente dal mondo scientifico, “Navigare tra i pensieri come nello spazio”. Così esordiva, testualmente: «Proposto un modello del pensiero umano secondo cui la nostra mente organizza le caratteristiche delle esperienze in dimensioni simili a quelle spaziali. Questa nuova teoria è basata sulla scoperta che nei test di memoria viene attivata la corteccia entorinale, la stessa che permette di orientarci nell’ambiente». E ancora: «Sulla rivista “Science”, una review firmata da ricercatori del Max-Planck-Institut per le scienze cognitive e le neuroscienze umane di Leipzig, in Germania, e del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, definisce un modello del nostro sistema di navigazione che ha un ruolo importante in molte facoltà cognitive, e spiega perché la nostra conoscenza sembra essere organizzata secondo una modalità spaziale». In sintesi: «Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse» (cortesia Lucy Reading-Ikkanda, “Quanta Magazine”).Un tipo di scoperta che sinceramente non mi lascia indifferente, soprattutto oggi, in un momento in cui i miei studi, probabilmente, sono approdati a qualche tipo di risposta che presumo – lo ammetto: presumo – possa essere utile non solo a me, ma a tutti (e lasciatemelo dire, anche alla scienza). In pratica, sembra che l’ufficialità – molto timidamente – stia entrando in un campo, quello mentale, dove i pensieri (e vorrei dire non solo quelli animali, chiaramente) sembrano creare o aggirarsi in “mappe “ o “griglie” dove la geometria assume un certo tipo di valenza. Detto ciò, voi adesso mi dovrete scusare, oltre che armarvi di un minimo di pazienza, perché partendo da questo “suggerimento” vorrei mettere a vostra disposizione la sintesi del mio percorso conoscitivo, affinchè in molti possano rendersi conto del divario esistente fra ciò che il mio mondo conosce e ciò che la scienza arriverà a conoscere fra molti decenni, credo. Ma lo dico senza nessun tipo di alterigia, di sfida o senso di rivalsa verso nulla e nessuno. Scrivo semplicemente ciò che seguirà perché un profondo senso di responsabilità vorrebbe fosse a disposizione di tutti ciò che credo di sapere utile.Inoltre, e questo permettetemelo, quello che leggerete sarà trattato molto, ma molto più diffusamente nel mio prossimo libro, autoprodotto come quello in uscita su Salvador Dalì, che vedrà la luce questo autunno 2019, col titolo “Ottava e fisica emozionale”. Bene, fatta questa premessa, chi mi conosce si dovrà armare (come sopra) di un minimo di pazienza, che andrà riconosciuta anche a chi non mi conosce, affinché ciò che sto per descrivere possa avere un minimo di chiarezza e coerenza. Dovrò infatti incominciare… dall’inizio, quando “erano solo numeri”. Tredici anni fa, per primo, codificai un rosone nella mia città, l’Aquila, fra l’indifferenza di tutti e il mio stesso stupore. Si trattava del rosone centrale di Collemaggio. Allora, semplicemente, vidi al suo interno qualcosa di incredibile, un sistema numerico riassumibile attraverso le sue 36 braccia e 72 parti binarie, tutte nascenti da otto petali. Iniziava una vera e propria avventura verso quel sapere che mi avrebbe dato una nuova vita. Ricordo perfettamente una sensazione estremamente intima nel momento in cui capii come, utilizzando quelle informazioni, era possibile ottenere la Precessione degli Equinozi (36 x 72) e non solo.Quell’emozione sarebbe diventata fonte della mia continua ricerca. Non potevo sapere che quei numeri mi stavano risvegliando – in quel caso, attraverso il dolore. Dolore a me rinnovato da una persona che, a distanza di anni, anche oggi mi sta spingendo a scrivere, capire e condividere. Ma questa è la vita, e quando qualcuno ci fa morire, perché in vita si muore spesso, allora bisogna trovare il modo di rinascere (e questo è il mio). Tornando a noi, la ricerca di quei numeri – che non sapevo essere presenti ovunque in tutto il mondo, in mille modi a tutte le latitudini, da sempre e in qualsiasi testo sacro o misterico – era destinata a trovare rifugio in una serie illimitata di esempi o simboli. Non sapevo ancora di occuparmi dell’Ottava, e nulla sapevo del suo linguaggio simbolico. Io cercavo solo e assolutamente quei riferimenti, ovunque essi fossero. E viaggiavo, viaggiavo nel tempo. Trovavo nello Zodiaco di Dendera un magnifico rifugio.Nei avrei parlato per migliaia di volte nei miei libri, come nei miei seminari, che mai pensavo sarebbero stati seguiti. Ma era indubbio che, in questo caso, l’informazione aquilana fosse stata anticipata di migliaia di anni da quello zodiaco egizio, antropomorfizzandosi. Quei 12 esseri (con 24 braccia) abbracciano 72 corpi celesti, esattamente come nel mio rosone. Soprattutto – e qui vorrei la vostra attenzione – manifestano dinamiche comportamentali diverse: il Fuori e il Dentro dell’informazione. Tempo, spazio, movimento e materia sono appannaggio solo del Dentro e non del Fuori, dove quei 12 esseri mantengono un certo tipo di immobilità ottuplice. Ma a colpirmi non era tanto questo, quanto il fatto che all’esterno, fra gli esseri responsabili numericamente di quella visione celeste (che tanto dovrebbe insegnare a chi si ostina a occuparsi di astrologia in modo periferico e condominiale), si nascondesse un intervallo: un intervallo essenziale, per capire la mia legge (concedetemi il “mia”). Infatti, le direzioni sottolineano dei raggruppamenti sulle diagonali di 4 donne, sulla verticale di 4 Neter e sull’orizzontale di altri 4 Neter. Nasceva per me il famoso intervallo d’Ottava di “tre volte quattro” (o tre quarti), meglio conosciuto come Settenario, se sommato nella sua composizione numerica.Oggi, dopo anni, ho raggiunto la chiarezza di potervi dire che quell’intervallo è legge – in natura, come dentro di noi. Oggi posso dirvi con certezza che noi, esseri vibranti, parte integrante di un universo vibrante, siamo Settenario. Quello stesso Settenario che si avvale di sette note o sette colori per fare il famoso salto d’ottava, nello specifico il Do successivo e il bianco per lo spettro solare. Non sapevo che da millenni, in tutti i mondi spirituali come in quelli iniziatici, quello stesso salto veniva e viene provocato attraverso 7 virtù o 7 Chakra (ma questo è relativo). L’importante adesso è che voi capiate che dire “tre volte quattro” – o quattro stagioni di tre mesi – equivale a dire, numericamente, Rosone o Dendera o Settenario. E vi prego, risparmiatemi tutti gli shock addizionali del caso, esistenti all’interno di questa dinamica. E credetemi se vi dico che, anche in questo, il mondo cattolico sa immensamente più di quanto io abbia mai potuto leggere in merito. Mondo cattolico che stimo e studio con molta attenzione, cercando di distinguere il messaggio dai suoi portatori, non sempre consoni. Grandissimo stupore provavo poi nel rintracciare i miei numeri, sempre quelli, nella Lista Reale Sumerica. Stupore dettato dal fatto che questa volta apparivano in un contesto estremamente più antico dello zodiaco egizio.Otto Re in 5 città regnavano per 241200 anni. Di nuovo, i 12 esseri con le loro 24 braccia: e questa volta diventavano anni. Tanti anni: per gli esperti, decisamente troppi per essere presi sul serio. Perché tutte le civiltà della Terra sarebbero “nate” all’interno di pacchetti di tempo enormi? Eppure, quegli stessi anni mesopotamici erano e sono figli di una meccanica numerica che doveva far pensare, me per primo. Infatti, prima di ricomparire sotto il profilo decimale in Egitto millenni dopo, in Mesopotamia la stessa Lista veniva riassunta da 66 Sars e 6 Ners (Sar = 3600 anni; Ner = 600 anni); così almeno adesso sapete cos’è il 666. Soprattutto, quella civiltà aveva scelto un computo sessagesimale, per essere a sua volta evinto, sia a livello temporale che spaziale, dalla 216millesima parte di 12 milioni e 960.000 anni, pari appunto a 60 anni. Ma non è questo il punto, quanto il fatto che allora non sapevo cosa si celasse dietro quel “216” e tantomeno dietro… al Tempo.Poi, pochi anni fa, una telefonata amica mi informava che forse avrei fatto bene ad occuparmi delle Anatomie Sottili orientali, soprattutto di quella presente nell’Agopuntura. Lo feci. E improvvisamente il rosone divenne Agopuntura: 8 “meridiani curiosi” sono la matrice dei 12 organi principali come dei 12 meridiani secondari, a cui si aggiungono i 48 terminali. Su tutto si interagisce attraverso 360 agopunti. Io sommavo organi e meridiani e ottenevo 72 unità, che con i 360 agopunti andavano a costituire la matrice numerica di Collemaggio o Dendera o della stessa Lista sumera. Ma questa volta vi era una grandissima novità: scoprii che meridiani e organi rappresentano quell’anatomia sottile dalla quale sia il nostro corpo, come tutto il creato, prende forma. Soprattutto, nel mondo cinese si interagisce su di essi pensando che ospitino le nostre emozioni – che, se negative, possono sfociare in malattie. Cominciavo a rendermi conto che sulla Terra esisteva un medicina che presupponeva una realtà posta alla base di queata nostra realtà, simile a quella presente all’esterno del cerchio di Dendera. Oggi direi che di medicine multidimensionali sulla Terra ce ne sono moltissime, da millenni.Procedendo, mi occupavo dei simbolismi orientali. E scoprivo che tutto è collegato all’Ottagono, o all’Ottava – a questa legge che scoprivo ovunque, come nel Pak Ua. Oltre ad essere matrice del Feng Shui lo è dello Scintoismo come dell’I-Ching. E cosa scoprivo, dell’I-Ching, che avrebbe il compito di leggere il futuro? Si avvale di 8 trigrammi, quel “tre volte otto” presente nel labirinto di Collemaggio. Soprattutto, quei trigrammi sono composti da 12 linee unite e 24 spezzate, quindi 36 unità. Ma siccome l’I-Ching, se consultato, ha bisogno di 64 esagrammi, gli stessi vanno quindi raddoppiati, per cui da 36 passano a 72 unità consultabili. Così, mi accorsi che i numeri aquilani non solo erano utili a definire una dinamica spaziale come quella di Dendera, e non solo erano usati come anatomia umana e “creante”, ma esordivano nella visione del Futuro. Lo so, forse state pensando che io abbia fatto una partenza troppo lunga, ma vedrete che alle griglie mentali arriveremo.Andiamo avanti con la storia. Gli anni passavano e la mia ricerca mi portava ad occuparmi di sempre nuovi personaggi, che sapevo appartenere al mondo iniziatico proprio perché utilizzavano i “miei” numeri . Ormai non dubitavo più del fatto che tutto quel mondo, ovunque fosse rappresentato, utilizzasse immancabilmente quei parametri, da sempre. Arrivando a scrivere di architettura sacra, nello studio di Vitruvio (altro grande iniziato), attraverso il suo “De Architectura” ho intuito che i 3 stili principali di cui si occupa nell’opera – Corinzio, Dorico e Ionico – se suddivisi in parti o in componenti costruttivi, esprimono un ammontare di 216 unità. Non solo: se li si divide, avranno al loro attivo 72 parti (fra colonne, capitelli, fusto, trabeazione, e così via). E attenzione: per la prima volta ritrovavo quel riferimento come frazione del 216. Quello studio mi consentiva di capire come quegli stessi numeri fossero quindi essenziali, dal tempo delle Ziggurat fino ad arrivare al grattacelo di Renzo Piano a Londra, per ispirare qualsiasi tipo di costruzione civile o religiosa, in tutto il mondo.Vitruvio poi mi permetteva di fare un ulteriore passo avanti con un brano che vorrei riportare integralmente: «Del resto anche Pitagora e i suoi seguaci vollero esporre i loro precetti in volume secondo un sistema cubico e costruirono un cubo di 216 versi stabilendo che un trattato non dovesse essere composto da più di tre cubi. Il cubo è un solido composto da superfici piane uguali e quadrate; quando viene gettato rimane fermo, poggiando su una delle due facce, finché qualcuno non lo sposti, come avviene nel gioco dei dadi quando i giocatori li gettano sul tavolo. E pare appunto che i pitagorici si siano ispirati a questa similitudine, perché quel dato numero di versi rimanga impresso e fisso nella memoria, proprio come il cubo, qualunque sia la mente in cui è riversato. Anche i comici greci interruppero la lunghezza di un atto inframmezzandovi le parti corali. Quindi, dividendo l’azione secondo una proporzione cubica, alleggeriscono grazie alle interruzioni la recitazione degli attori». Già questo fa capire a che livello si trovasse il mondo iniziatico, millenni or sono, per quanto riguarda la modalità con cui questi pensatori supponevano che gli uomini facessero più “salda memoria”. Altro che griglie mentali! Da millenni, nel mio mondo si pensa che le griglie siano… cubiche.Tornando a noi, da quel momento – un momento non molto lontano dall’oggi – potei collegare i numeri aquilani ad una forma geometrica ben precisa (il Cubo) al numero 72, e 3 cubi al 216. E adesso posso fermarmi per riassumere alcuni passaggi e aggiungerne altri, in modo da avere una visione d’insieme più ampia:1) Il mondo mesopotamico riassumeva il suo sapere temporale e spaziale con il “3 volte 6” , che moltiplicato per se stesso è chiaramente pari al 216.2) Da ciò si può evincere che il 60 altro non è che un piccolo cubo nell’immensità temporale descritta.3) Dunque il Tempo, e quindi lo spazio descritto con questi numeri, è fatto di piccoli cubi (o anni) che si ripetono.4 ) La Precessione degli Equinozi, a livello numerico, è divisibile da “mesi cubici” pari a 2160 anni.5) Dendera altro non è che l’espressione spaziale, temporale e materiale proveniente da un evento numerico cubico.6) Le Anatomie Sottili orientali, come tutte le metodologie curanti, sono sempre impostate su una struttura cubica.7) La mente, o perlomeno la memoria umana, è cubica.Tutte le strutture architettoniche, almeno quelle costruite secondo i canoni numerici esaminati, hanno una matrice cubica.
9 Il futuro può essere letto seguendo una dinamica cubica.Così andavo avanti, e sarebbe stato Giordano Bruno a regalarmi una perla di saggezza attraverso i suoi sigilli, come “Venere o Amore”. Brevemente, “Venere o Amore” si può definire il sunto geometrico della Legge dell’Ottava: risulta essere figlia di un triplice inizio, che usa una legge settuplice per approdare in natura con 5 geometrie ben precise, quelle platoniche. Per ora vorrei solo che notaste come su quei 7 cerchi campeggino tutta una serie di triangoli, uniti a originare forme geometriche precisamente determinate. L’Ottavo cerchio comprenderà il tutto. Ora, solo nel caso di questo simbolo, o sigillo, Bruno aggiungerà che le lettere che vedete rappresentano le iniziali corrispondenti agli Dei, mentre le linee che uniscono gli Dei altro non sono che le loro… EMOZIONI! Adesso però vorrei che osservaste meglio l’immagine, così potrete notare la presenza di 3 rombi (a:O:N:S-a:O:P:Q-a:S:R:Q). Fatto ciò, sarà facile evincere un cubo che contiene altri cubi, costituiti da geometrie platoniche a loro volta nascenti da triangoli.Quindi da questo momento abbiamo il diritto di aggiungere alla lista il punto dieci:10) Le emozioni sono cubiche.Da millenni, dunque, tutto il mondo iniziatico sa perfettamente che il corpo umano, la sua memoria e le sue emozioni sono il frutto di una matrice cubica. Sa che la creazione è di tipo cubico, considerando Dendera. Sa che dire cubo vuol dire Tempo, e che quindi noi siamo fatti di… ?DIO E’ UN IPERCUBOChiaramente anche la scienza sa qualcosa dei miei numeri, e non solo l’astronomia. Un giovane matematico indiano dei primi del secolo scorso, Srinivasa Yengar Ramanuyan, ebbe modo di creare le basi equazionali della Teoria delle Stringhe (oggi Teoria delle Membrane) attraverso le sue equazioni, da lui definite “modulari”. Guarda caso, quelle equazioni nascevano tutte da una trina numerica ben precisa: l’8, il 12 e il 24. Quindi la scienza forse non sa che quelle equazioni sono cubiche: e siamo arrivati al punto 11.Sicuramente la scienza è più attenta quando si parla di dimensioni: infatti, già dalla fine dell’Ottocento, ha contezza persino di una quarta dimensione (chiaramente non ne ha un’idea fisica, ma solo teorica). E postula una figura geometrica – fatta da un cubo con dentro un cubo – come modalità geometrica con cui definire una quarta dimensione, all’interno della quale noi siamo compresi, anche se non se siamo consapevoli; è una dimensione in cui spazio e tempo non si comportano come in questa dimensione (anzi, “non si comportano” e basta). Di nuovo, ciò che importa è la struttura geometrico-numerica che costituisce il “Tesseratto” (o “Ipercubo”, come viene comunemente chiamato) E’ costituito da 24 facce bidimensionali e 8 facce tridimensionali, come a dire: è fatto da 24 quadrati e 8 cubi. Numericamente è quindi composto da 48 parti bidimensionali e 24 parti tridimensionali. Totale: 72 parti.Adesso aggiungiamo il punto 12, il quale dice che «i numeri del Rosone di Collemaggio, usati da tutti gli iniziati della Terra, da sempre, per fare qualsiasi cosa in qualsiasi campo dello scibile umano, i numeri dell’Ottava insomma, altro non sono che un modo con cui utilizzare una matrice almeno quadrimensionale (conosco i Polychora e potrei dire altro, ma ne parlerò nel libro) come matrice non solo della nostra realtà ma del nostro essere psicofisico». E dopo una dichiarazione del genere, credetemi, parlare ancora di in termini esclusivamente misterici di Alchimia, di Tarocchi, di I-Ching, di Anatomie Sottili e di Chakra, di presunti Graal, di Tetraedi Stella di Merkaba, è a dir poco riduttivo, veramente. Esiste infatti un unico pseudo-mistero, ed è la Legge dell’Ottava. E siccome qualcosa io credo di averla capita, mi sembra giusto dire che è ora di finirla con questo presunto Esoterismo, come è ora che la scienza la smetta di ostinarsi nel non collaborare con “noi” che di simboli ci occupiamo, perché è con i simboli che si creano le Griglie – e non quelle esagonali, come l’ufficialità presume, ma quelle ipercubiche, come l’uomo è destinato a fare quando intraprende percorsi come i mei.Proseguo perché adesso si arriva al bello, visto che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui. Vediamo un po’: io mi son chiesto (come molti, e da millenni) di cosa è fatto il Tempo. Un’idea credo di averla, ed è la seguente: intanto noi possiamo trasformare con molta semplicità un cubo in Tempo. Basta infatti trasformare i suoi dodici lati in 12 mesi di 30 giorni e il gioco è fatto – alla faccia di Nibiru. Così, i suoi 8 apici diventano 8 date ben precise. Allora è possibile trasformare “Venere o Amore” in Tempo, e quindi le emozioni in Tempo. Forse non ce n’eravamo mai accorti, ma il Tempo è vivo. E se è fatto di emozioni, è emozionabile. E allora emozioniamolo, con una bella preghiera – come fanno gli ebrei, attraverso le loro preghiere cubiche o il loro Dio fatto da 72 nomi di tre lettere, oppure come fanno gli arabi girando per 7 volte intorno alla Mecca. O noi cristiani quando entriamo in chiesa.La chiesa è una croce che – chiusa – diventa un Cubo; ma avendo sempre tra navata e transetto un Ottagono, si dimostrerà essere un luogo ipercubico, dove tempo e spazio… non si avvertono. Quindi perché stupirsi dell’Ottuplice Via buddista? Lo stesso Induismo, attraverso i 108 passi del Dio Shiva (36+72) vede creare il cielo e la Terra. E che dire dello Scintoismo, che vede l’essenza della sua spiritualità in 8 milioni di Kami o anime. E allora emozioniamolo, il Tempo. Forse non ci è chiaro, ma le tecniche per emozionarlo le conosciamo da millenni. E a volte funzionano, sapete – eccome, se funzionano.Però adesso aggiungiamo un punto alla nostra personale tabellina, il 13. E diciamolo chiaro: l’Umanità da sempre adora un Ipercubo – e non se n’è accorta, lei che è Tesseratto nel cuore (incredibile). Ma soprattutto, l’Ottava è Dio ed è Tempo… come noi. Non c’è nulla di male a dirlo. Infatti, tutti i mondi religiosi e iniziatici – attraverso 7 virtù ben precise, e vi prego di ricordare cosa vi ho detto sul Sette o Settenario – cercano di cambiare le “nostre” vibrazioni affinchè l’Ottava vibrazione (e cioè la santità) diventi tutt’uno con noi. Peccato però che né la scienza né tantomeno il mondo iniziatico abbiano mai preso carta e penna per dire che quelle Sette Virtù pregate e vissute in modo mantrico altro non sono che vibrazioni corrispondenti a dimensioni ben precise, da cui guardacaso arrivano capacità ben note, che il mondo cristiano poi chiama Doni o Carismi. Ma non fa nulla; io amo l’Ottava e, senza saperlo, ho amato Dio grazie a Collemaggio, per cui forse oggi ho abbastanza fede, speranza e carità per dire che tutti debbono “capire, per essere”.Ma a questo punto posso prendere e dare fiato per dirvi: visto che stiamo parlando di dimensioni e di corrispondenti vibrazioni, non stiamo forse parlando di griglie mentali la cui geometrizzazione spaziale è quadrimensionale? Quindi, cari scienziati, visto e considerato che già tantissimo avete fatto, ora fatevi aiutare come ai tempi della Protoscienza. Così riusciamo a creare una nuova tecnologia, compatibile e pienamente umana, visto che la vera macchina da scoprire siamo noi. Sì, perché nel momento in cui si capiscono certe cosette, l’autocoscienza ci permette di evolverci attraverso quelle nuove griglie. Così possiamo assolvere il mondo massonico da un compito davvero ingrato, quello di trasformare la pietra grezza in pietra d’angolo. Ecco, facciamocela da soli ’sta roba: è meglio.IL MONDO DEI DESIDERIEbbene, giustamente voi direte: e adesso, con tutto ciò che hai scritto che ci faccio? Allora cominciamo col dire che tutti coloro che vogliono il libretto delle istruzioni, il cacciavite, le pinze o la prodigiosa macchina guaritrice di turno non sono invitati. Qui o si diventa Ottava, o non si riesce a fare ciò che l’Ottava meglio sa fare. E cioè: creare nuovi mondi o nuove realtà. Io, nel mio piccolo, ci sono riuscito semplicemente perché ho fede in Dio. E sapete cos’è la fede? Semplicemente un’emozione, capace di eliminare spazio e tempo da questa tridimensionalità: si chiama onnipresenza. Insomma, come sopra: una dimensione al cui interno è presente l’onniscenza del mio rosone e l’immortalità del mio peregrinare, nel tempo come nello spazio. Signori, ma non lo avete capito? Noi siamo Tempo: nel momento in cui siamo coscienti di poterlo fare e scegliamo di farlo, noi siamo esseri capaci di muoverci nel Tempo, di modificarlo e plasmarlo, semplicemente perché il Tempo è l’essenza di ogni dimensione. Per cui non ho deciso (come qualcuno propone) di diventare immortale; no, mi darei una fregatura da solo. Ho deciso di percepire l’immortalità in vita. E quella sensazione è così potente da ridare vita, un domani, a un viaggiatore come me, che ha deciso di essere stato spesso qui. Perché l’Ottava questo può anche decidere di permettere.E così, da un po’, mi muovo nel tempo come ho fatto in questi anni. E quando ho deciso di creare qui il mio nuovo futuro mi sono accorto di non poterlo fare. E sapete perché?Semplicemente perché non ce l’avevo. Il presente, questo meraviglioso presente, pensavo fosse sufficiente, alla mia vita. Ma ho deciso che non è più così: dal futuro da cui vi sto scrivendo vi dico che tutto quello che amo io l’ho avuto. Perché la realtà che sto creando in questo preciso istante è già passato, prima di diventare futuro, e l’ho vissuto. Anche perché il Tempo non è solo trino, ma soprattutto… uno. E adesso immaginiamo qualcuno che sappia usare il tempo moooolto meglio di me: che cosa farebbe, secondo voi? Se avesse un desiderio, sapendo che il Desiderio è una struttura ipercubica da “riempire”, allora lo chiamerebbe 129600000 anni. E al suo interno ci metterebbe una civiltà, che nascerebbe estrapolando tutto il suo sapere cubico esattamente da questa Dimensione, che è fatta da un numero di anni ben preciso. Quindi il Tempo è una variabile dimensionale pensante e modificabile, che spazialmente è capace di rispecchiare, dentro di noi, le geometrie spaziali e dimensionali presenti in natura.Siamo ben oltre le griglie mentali. Siamo perciò emettitori di tempo, e ricettori dello stesso.Immaginate quante cose possiamo fare, quindi – altro che Costellazioni Familiari, Pnl, Reiki e mille altre cose, spesso russe o americane, tanto per non fare nomi… Possiamo per esempio (come ha fatto Gioacchino da Fiore) inventare un Terzo Tempo o Spirito Santo, utile a portare in questa realtà la Gerusalemme Celeste, che chiaramente era cubica, attraverso un protocollo mantrico fatto dalla ripetizione, per nove volte, del numero 7. Oppure possiamo fare un salto da Papà, che non c’è più (come ho fatto), e dirgli di stare tranquillo, perché da grande io ce la farò. Possiamo regalare tempo a una persona attraverso una dimensione come l’amore. Possiamo credere che Dio sia vivo e che ci ascolti, perché lui è Ottava, e possiamo parlargli attraverso le sue dimensioni – che in noi sono virtù.Possiamo darci e dare degli appuntamenti, nel Tempo, pur sapendo che non ci saremo fisicamente, come ho fatto con mio nipote. Possiamo utilizzare pensieri provenienti dal passato, come io ho fatto, e utilizzarne altri che provengono dal futuro, per sapere e capire. Possiamo pensare di essere sempre vissuti e rendere ciò vero, come ho fatto, e muoverci nel futuro come nel passato. Possiamo creare mondi come quelli cinematografici, dove attraverso un Cubo intere epopee di super-personaggi – dai Trasformers agli Avengers – fanno guadagnare alla Walt Disney miliardi di dollari. O creare un videogioco come Fortnite, con centinaia di milioni di giocatori che inseguono una struttura cubica. E qui mi fermo. Oppure, visto che a breve uscirà questo mio lavoro, possiamo immedesimarci con la morte in vita, e percepire attraverso un Ipercubo la sensazione meravigliosa di chi sa che la morte non esiste veramente. Possiamo rifare tutto e meglio, in questo mondo e di questo mondo. Con affetto, Michele Proclamato.(Michele Proclamato, “Le griglie mentali e la fine dell’esoterismo, ovverosia: quando cambiare tutto e cambiare tutti è possibile e necessario”, dal blog di Proclamato dell’8 giugno 2019).Giorni fa una mia amica mi faceva notare un articolo, proveniente dal mondo scientifico, “Navigare tra i pensieri come nello spazio”. Così esordiva, testualmente: «Proposto un modello del pensiero umano secondo cui la nostra mente organizza le caratteristiche delle esperienze in dimensioni simili a quelle spaziali. Questa nuova teoria è basata sulla scoperta che nei test di memoria viene attivata la corteccia entorinale, la stessa che permette di orientarci nell’ambiente». E ancora: «Sulla rivista “Science”, una review firmata da ricercatori del Max-Planck-Institut per le scienze cognitive e le neuroscienze umane di Leipzig, in Germania, e del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, definisce un modello del nostro sistema di navigazione che ha un ruolo importante in molte facoltà cognitive, e spiega perché la nostra conoscenza sembra essere organizzata secondo una modalità spaziale». In sintesi: «Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse» (cortesia Lucy Reading-Ikkanda, “Quanta Magazine”).
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Cosa ci manca per essere come Rosselli, Palme e Sankara
Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.Ha impegnato l’esercito in opere civili, e convertito parte dei fondi militari destinandoli a progetti di sviluppo. Ha liberato la donna dal giogo culturale maschile e proibito le mutilazioni genitali femminili, valorizzando quindi gli aspetti culturali costruttivi del suo paese e intervenendo su quelli deteriori. Ha chiesto di cancellare il debito estero di origine coloniale. Un presidente non ancora quarantenne ha realizzato tutto ciò in quattro anni. L’emozione che sentiamo di fronte alle azioni di Sankara è un pugno nello stomaco per la nostra coscienza, perché ci fa vedere quanto e quanto in fretta è possibile cambiare. Palme ha proposto un mondo senza dittature, che controlla le armi nucleari, cancella l’apartheid, distribuisce la ricchezza e rende i lavoratori piccoli azionisti delle aziende per le quali prestano la propria opera. Rosselli ha insegnato a coinvolgere tutti, nelle decisioni che riguardano tutti, al fine di raggiungere il benessere per tutti: liberalismo come metodo, socialismo come fine.Potremmo forse considerare questi tre leader degli idealisti o, peggio, degli ingenui. Ingenuo sarebbe colui che guarda solo i propri ideali, incapace di comprendere il mondo per quello che è. Si dice che in politica il contrario dell’ingenuità sia invece il realismo, cioè la capacità di guardare la dura realtà e governare le masse di conseguenza, senza illusioni, per raggiungere quello che si può. Eppure, Sankara per conoscere il suo paese girava le città e le campagne anche in bicicletta, pagava il mutuo e quando morì c’erano pochissimi soldi sul suo conto corrente; aveva ben presenti i suoi nemici e sapeva quale pericolo rappresentavano per lui; Palme si oppose alla guerra in Vietnam (che gli Usa persero, e tale sconfitta dimostrò quanto fossero falsi i motivi per i quali era stata combattuta); Rosselli previde che l’esito della parabola nazifascista sarebbe stato una guerra fratricida. Che cosa accomuna questi tre leader? Tutti hanno usato in modo costruttivo le risorse materiali e mentali a disposizione, per raggiungere obiettivi di valore. Usare la cooperazione al posto della competizione, che ha nella guerra la sua fine più stupida e ingloriosa, non è certo mancanza di realismo politico.Il vero realismo politico è conoscere la miseria della nostra razza e, con i propri principi spirituali, trovare soluzioni per modificarla (la miseria, non la razza). Se siamo dunque qui a parlare di Rosselli, Palme e Sankara come dei “nostri esempi” è perché abbiamo perso quegli stessi esempi per strada considerandoli inconsciamente “idealistici”, e abbiamo dormito il sonno della ragione e della coscienza: tutti noi, sia le masse dei governati sia le élite dei cosiddetti leader, progressisti compresi. Il problema è proprio che Palme, Rosselli e Sankara sono ancora i nostri fari (fuori di noi) e non parte del nostro Dna (dentro di noi). È questo il paradosso della leadership: dichiariamo di seguirla ma non l’abbiamo interiorizzata. Guardiamo i nostri capi attuali. Non soltanto i soliti Kim, Putin, Trump, Erdogan, Orban, Bolsonaro, Maduro, Macron, Merkel, May e così via. Mi riferisco anche alle alte cariche dello Stato in Italia, nazionali e locali, rappresentanti della Costituzione che loro dovrebbero difendere. Quando siamo chiamati a un referendum si dimenticano di ricordare che, proprio secondo la Costituzione, l’esercizio del voto è dovere civico (guadagnato per noi da milioni di soldati e civili morti nell’ultimo conflitto mondiale).E noi non pensiamo che, se anche i politici “tradiscono le decisioni referendarie”, in Parlamento noi possiamo votare ancora (e ancora, e ancora) per ribaltare quei tradimenti, informandoci e dedicando mezz’ora del nostro tempo per mettere una croce sulla scheda. Gli stessi politici naturalmente non ricordano ai giornalisti il loro dovere di informare i cittadini prima del voto perché possano conoscere per deliberare. Tutti tacciono e, quando i parlamentari alterano l’esito referendario, la volta dopo noi ce ne stiamo a casa “per protestare”, come bambini incapricciati. È normale che, appena prima del referendum sulla Brexit, il “Sun” titolasse dando ancora indicazioni su come votare? Una decisione così importante avrebbe dovuto essere stata presa dai lettori di quel tabloid settimane prima del voto: un voto che non può essere cambiato dopo cinque anni, come nelle elezioni generali, ma che avrà impatto per decenni sulla vita del Regno Unito. Come è possibile che gli elettori abbiano deciso sulla base di un titolo di giornale?I nostri politici non hanno più, o non hanno mai avuto, la spiritualità di Sankara, Rosselli e Palme. E noi non abbiamo quel livello di spiritualità che, se fosse presente, ci farebbe rendere conto che avere capi politici come i nostri non è normale. Diceva Oscar Wilde che il coraggio è sparito dalla nostra razza o forse non lo abbiamo mai avuto veramente… perché, aggiungeva, ci facciamo governare dal terrore della società (che è la base della morale) e dal terrore di Dio (che è la base della religione). In un mondo governato dai principi spirituali, un presidente come Sankara sarebbe considerato un buon amministratore della cosa pubblica, e non un rivoluzionario; un politico normale, che con il cuore e la ragione dei buoni padri di famiglia favorisce la felicità di quelli che dipendono da lui. I politici diversi sarebbero visti come anomalie geneticamente modificate, involucri privi della coscienza, cioè della capacità di distinguere ciò che crea sofferenza da ciò che produce benessere. Il modello di leadership delle nostre società è invece quello del capobranco con il suo gregge, modello che produce povertà e dolore e che nessun essere spirituale accetterebbe mai come “normale”.Molti nostri predecessori sono morti sperando che noi avremmo raccolto la loro eredità di cambiamento. Finora non lo abbiamo fatto a sufficienza. Ma le crisi della coscienza sono salutari perché la risvegliano. Che cosa possiamo fare noi oggi di diverso? Quando ci troviamo di fronte a un problema, una crisi, un conflitto, qualcosa che non ci piace, possiamo guardarci dentro e interpellare la nostra scala dei valori, e se riusciamo anche la nostra scintilla divina; poi possiamo ripensare alla scintilla divina che ha animato persone come Palme, Rosselli e Sankara, collegarci ad essa e chiederci: “Ma io, lasciando perdere tutte le distorsioni che mi hanno raccontato sul realismo politico, che cosa farei in questa situazione seguendo i miei principi?”. E poi, possiamo agire di conseguenza. Se lo facessimo, a quel punto ci accorgeremmo che, come non siamo rivoluzionari noi, non lo erano nemmeno Rosselli, Palme e Sankara. Erano uomini con la U maiuscola e la schiena dritta, che hanno fatto semplicemente ciò che andava, ragionevolmente, fatto.(Zvetan Lilov, “Rosselli, Palme, Sankara e noi: il paradosso della leadership”, intervento al convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” organizzato dal Movimento Roosevelt il 3 maggio 2019 a Milano).Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.
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Salvini è al top ma rischia: non ha una visione per il futuro
Avanti il prossimo. Giù nella scarpata ci sono le icone semoventi di Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, per dire solo dei più noti e dei più recenti. Ora il primo in alto, davanti al precipizio, nel cono di luce, è Matteo Salvini e tutti gli occhi sono puntati su di lui e sull’orologio che segna il suo tempo, per vedere quanto dura, se ci sono segni e scricchiolii sinistri, se comincia a scivolare pure lui nel burrone. È inesorabile la macchina dell’oblio e del rigetto che macina leader, li brucia, li consuma e poi li vomita, li spara in cielo e poi ricadono in terra, per una misteriosa forza di gravità che coincide con la precarietà, tramite overdose. La parabola dei leader è veloce, la loro esposizione mediatica è la causa del loro folgorante successo e pure del loro precipitoso declino. È una legge inesorabile della politica senza fondamenti, della leadership emozionale. La cosa più terribile è che non lasciano traccia, le scie dei rimpianti durano poco e poi restano a una minoranza scarsa, sempre più scarsa. È irripetibile il loro momento d’oro, le stesse cose che una volta conquistavano consensi e perfino entusiasmi, diventano a un certo punto insopportabili cliché; basta, non ne possiamo più di quel repertorio, quella faccia, quella voce. A volte fiducie immeritate si risolvono in sfiducie esagerate. Ma quando entri nel ciclo dei consumi mediatici di leader e di parole, tutto è liquido meno la legge che governa il ciclo, che invece è ferrea, inesorabile.Salvini rischia grosso a questo punto, e gli va detto anche – e vorrei dire soprattutto – da chi pensa che, al momento, sia il leader preferibile, migliore, o “meno peggio”. Ha raggiunto il tetto dei consensi virtuali e della condivisione, per la sua capacità di intrecciare messaggi a forte valenza simbolica, linee largamente condivise di una ideologia emozionale, capitalizzando l’odio che converge contro di lui. L’odio polarizza, genera spartiacque tra chi detesta e chi ama o finisce con l’amare il leader detestato, offeso, massacrato. Salvini usa bene l’effetto di ritorno dell’odio che raccoglie, in un’operazione martirio che in un paese di derivazione cattolica funziona sempre. Salvini parla chiaro e dice quel che la gente vuol sentirsi dire, offre obbiettivi simbolici, non potendo offrire grandi risultati pratici. E riesce a far giungere alla gente un messaggio: io vorrei realizzare quella rivoluzione che voi aspettate e che vi ho promesso, ma non ho i numeri per farlo, ho un alleato che non è d’accordo, anzi mi ostacola. Ergo, datemi più forza ed io sarò in grado di farlo. Dunque riesce a coltivare il malessere presente, l’onda d’indignazione verso la sua demonizzazione, ma anche l’orizzonte d’attesa della gente.Ma poi avviene un passaggio misterioso, repentino, dapprima implicito e poi clamoroso, e il sostegno inverte direzione. Accadde a Matteo Renzi e tutti lo citano come il Precedente da Manuale. Qui le interpretazioni divergono: ci sono quelli che catalogano gli errori compiuti da Renzi per spiegarne il cambiamento di fortuna, così radicale e così repentino; e ci sono quelli che invece sostengono l’ineluttabilità della legge che governa i media, il potere e le opinioni della gente; quella fatale, inarrestabile parabola da cui è impossibile sottrarsi. Tra le due versioni propendo per una soluzione-matrioska: la prima spiegazione, specifica e personale, è dentro l’altra, generale se non epocale. Nell’epoca dell’effimero tutto è effimero, nell’epoca dei consumi tutto è oggetto di consumo, nell’epoca del presente assoluto e tirannico, tutto passa in fretta e diventa passato. Ma questa considerazione di ordine generale non può consegnarci al puro fatalismo dell’abbandono. Allora provo a dire: ma non è che il problema è la stoffa di cui sono fatti questi leader, ovvero il materiale di cui sono composti i loro successi? Non si presentano, sin dall’inizio, con la loro forza-limite di cavalcare l’onda emotiva del momento come yogurt con la scadenza scritta sulla fronte?E allora implicito viene il suggerimento: e se qualcuno provasse la via diversa, se uno provasse a far seguire agli appelli estemporanei i disegni duraturi, se qualcuno provasse a lasciar traccia ad agire non solo sulla cresta dell’onda ma in profondità? So quanto sia difficile, in un’epoca del genere, e so quanto sia veramente ardito riuscire a usare l’appeal dell’istantaneo emotivo come una buccia che però protegge un midollo di sostanza. Ma è l’unica possibilità di non finire rapidamente e inopinatamente di proiettarsi nel futuro e di restare in piedi. Legarsi a idee, temi, prospettive che non passano. Temi grandi, decisivi, epocali e culturali, che riguardano le civiltà, i popoli, la storia, la forza delle idee e le cose che durano. Scommessa difficile ma è l’unica che si può opporre alla rapida obsolescenza della merce-leader. Pensaci Salvini, anche se sei stretto tra le elezioni europee, l’Iva, il marasma e l’assedio generale. Pensaci, anche se ti trovi tra un alleato presente che è il concorrente futuro e un alleato passato che vuol farsi futuro. Sei lì, in alto, il primo sulla vetta, e ricevi spinte da dietro e incitazioni dal basso. Difficile restare lì a lungo, bisogna cambiar gioco, cambiare posizione, muoversi a lato, guardare in alto. Pensaci, Matteo, se ne sei capace.(Marcello Veneziani, “Salvini è all’apice ma davanti al burrone”, da “La Verità” del 19 aprile 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Avanti il prossimo. Giù nella scarpata ci sono le icone semoventi di Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, per dire solo dei più noti e dei più recenti. Ora il primo in alto, davanti al precipizio, nel cono di luce, è Matteo Salvini e tutti gli occhi sono puntati su di lui e sull’orologio che segna il suo tempo, per vedere quanto dura, se ci sono segni e scricchiolii sinistri, se comincia a scivolare pure lui nel burrone. È inesorabile la macchina dell’oblio e del rigetto che macina leader, li brucia, li consuma e poi li vomita, li spara in cielo e poi ricadono in terra, per una misteriosa forza di gravità che coincide con la precarietà, tramite overdose. La parabola dei leader è veloce, la loro esposizione mediatica è la causa del loro folgorante successo e pure del loro precipitoso declino. È una legge inesorabile della politica senza fondamenti, della leadership emozionale. La cosa più terribile è che non lasciano traccia, le scie dei rimpianti durano poco e poi restano a una minoranza scarsa, sempre più scarsa. È irripetibile il loro momento d’oro, le stesse cose che una volta conquistavano consensi e perfino entusiasmi, diventano a un certo punto insopportabili cliché; basta, non ne possiamo più di quel repertorio, quella faccia, quella voce. A volte fiducie immeritate si risolvono in sfiducie esagerate. Ma quando entri nel ciclo dei consumi mediatici di leader e di parole, tutto è liquido meno la legge che governa il ciclo, che invece è ferrea, inesorabile.
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Si fa scudo dei bambini, la sinistra sconfitta dagli elettori
Ramy e Adam, Greta, Nora, la bambina di dieci anni usata come testimonial contro la legge Pillon, Marius, il bambino protagonista del film “C’è tempo” di Walter Veltroni (che aveva già realizzato un film infantile intitolato “I bambini sanno”); e “La paranza dei bambini”, il film-libro di Roberto Saviano, ma soprattutto i bambini esibiti nei congressi, nelle manifestazioni di piazza del Pd, usati nelle scuole o nei programmi alla Fazio per campagne anti-mafia, cortei anti-razzismo, anti-omofobia, anti-inquinamento, meglio se neri, rom, migranti o disabili. È finita in mano ai ragazzini l’utopia di un mondo migliore. Se vogliono far sbarcare immigrati o sostenere lo ius soli, mostrano le immagini di un bambino, raccontano una storia straziante, come quella del bambino annegato con la pagella cucita sul petto; cercano di far passare gli sbarchi e i flussi migratori tramite il caso pietoso, la storia struggente, la tenerezza a cui è da bestie dire di no. Si fanno scudo dei bambini, li usano come cavalli di Troia. La sinistra italiana sarà abortista, poco incline verso la famiglia naturale e la maternità, propenderà per le coppie omosessuali, strizzando l’occhio agli uteri in affitto, ma da qualche tempo si è data alla puericultura e all’uso dei bambini come testimonial delle sue battaglie o di quelle che vuole strumentalizzare.In quel modo vuol confermare la sua superiorità sul piano morale, civile e sentimentale e la sua sensibilità speciale nei confronti del futuro e delle generazioni che verranno. Vogliono ipotecare il futuro, monopolizzando il pensiero “puerilmente corretto” dei bambini, ritenuto naturaliter di sinistra. Una forma politica di pedofilia, in senso etimologico, s’intende. Certo, l’uso dei bambini fa parte non da oggi del repertorio della politica, per non risalire ai tempi remoti, basti pensare al Novecento: l’uso che ne hanno fatto i presidenti americani, i papi, i sovrani e i regimi totalitari rossi e neri, è stato massiccio e mai casuale. Esibire la carezza di un leader a un bambino, fotografare un quadretto di famiglia, farsi rubare con apparente casualità un’immagine puerile o una scena privata, fa parte da tempo del gergo politico e delle sue strategie di comunicazione. Anche Sandro Pertini, che pure non aveva avuto figli e nipoti, voleva apparire come un nonno che amava i bambini. Pure Sergio Mattarella, appena può, pertineggia. Associare la propria immagine ai bambini rende più affabili e affidabili.Ma ora con l’uso politico-emozionale che ne fa la sinistra, c’è stato un salto di qualità preoccupante: il bimbo non si limita più a rendere tenera e positiva la sfera privata e sentimentale dei leader politici, non serve più allo storytelling ma fa un passo ulteriore. Il bambino viene usato come veicolo, testimonial e portatore diretto di messaggi ideologici e politici, promessa di un mondo nuovo e slancio puro per realizzarlo; esprime la rivolta ideale contro il cinismo dei “grandi” che sono al suo cospetto reazionari, retrivi, cattivisti burberi e barbogi. L’uso politico dell’infanzia è sfacciato e demagogico come mai era accaduto prima. Il bambinismo ormai è una categoria politica. I bambini godono di una franchigia speciale, un sottinteso di genuinità se non di verità che li rende credibili e inconfutabili anche quando esprimono banalissime considerazioni stucchevoli e glassate, ed è evidente che sono ammaestrati.C’è un puer-populismo radical che innaffia con la propaganda piccole creature e le scaglia contro il regno arcigno dei grandi. E se tu adulto ti metti in competizione con loro, sei ridicolo, parti svantaggiato, impacciato, ti chiamano bimbominkia, non puoi criticarli e tantomeno contestarli mentre loro possono farlo con candore e immunità. Ecco dove si è rifugiata l’utopia di un mondo migliore, dove tutti sono fratelli e si danno la mano come all’asilo arcobaleno della propaganda Pace & Benetton, senza distinzione di sesso e di omosesso, di razze, di civiltà; migranti, esuli, residenti. È la parabola della sinistra, dal Palazzo d’Inverno al Giardino d’Infanzia. È la Bimbocrazia, ma per finta.Il bambino è inattaccabile, se provi a farlo squilla il telefono azzurro, ha lo statuto anagrafico d’innocenza, il suo piccolissimo, immaturo passato è privo di scheletrini nell’armadietto. Se provi a ironizzare sul puer come hanno fatto taluni con Greta o Ramy, vieni trattato come pedofobo, stupratore di bambini, senza-cuore.È una distorsione del “sinite parvulos venire ad me” di Gesù Cristo, una riedizione politica del fanciullino di Pascoli, ma anche una forma sottile di pedagogia totalitaria, inclusiva di plagio e sfruttamento di minori. Dietro lo schermo dei bambini è possibile negare il principio di realtà, vellicare i desideri, i sogni, le utopie e perfino i capricci eticamente corretti. Con l’illusione che una fiaccolata, un corteo di ragazzini, uno striscione siano un rimedio alla criminalità organizzata, alle uccisioni, le violenze e le guerre. Ma le preghiere, i sacrifici e i fioretti in uso nel mondo antico erano forse più irrazionali di queste credenze che una fiaccolata, uno slogan gridato in piazza, una marcia della pace possano realmente cambiare il corso delle cose? Entrate nel favoloso mondo della sinistra puerile, quest’universo di nani da giardino, di fatine ed eroine, il soviet dei Puffi come un nuovo comunismo d’infanzia, somministrato nella scuola dell’obbligo. Avanti il prossimo, piccolo eroe.(Marcello Veneziani, “Si fanno scudo dei bambini”, da “La Verità” del 26 marzo 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Ramy e Adam, Greta, Nora, la bambina di dieci anni usata come testimonial contro la legge Pillon, Marius, il bambino protagonista del film “C’è tempo” di Walter Veltroni (che aveva già realizzato un film infantile intitolato “I bambini sanno”); e “La paranza dei bambini”, il film-libro di Roberto Saviano, ma soprattutto i bambini esibiti nei congressi, nelle manifestazioni di piazza del Pd, usati nelle scuole o nei programmi alla Fazio per campagne anti-mafia, cortei anti-razzismo, anti-omofobia, anti-inquinamento, meglio se neri, rom, migranti o disabili. È finita in mano ai ragazzini l’utopia di un mondo migliore. Se vogliono far sbarcare immigrati o sostenere lo ius soli, mostrano le immagini di un bambino, raccontano una storia straziante, come quella del bambino annegato con la pagella cucita sul petto; cercano di far passare gli sbarchi e i flussi migratori tramite il caso pietoso, la storia struggente, la tenerezza a cui è da bestie dire di no. Si fanno scudo dei bambini, li usano come cavalli di Troia. La sinistra italiana sarà abortista, poco incline verso la famiglia naturale e la maternità, propenderà per le coppie omosessuali, strizzando l’occhio agli uteri in affitto, ma da qualche tempo si è data alla puericultura e all’uso dei bambini come testimonial delle sue battaglie o di quelle che vuole strumentalizzare.
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Greta, l’ultima invenzione di chi ci impone sacrifici sociali
«Fate presto, non c’è più tempo». Ieri a dirlo era Mario Monti, oggi la piccola Greta Thunberg. Curioso, no? Vuoi vedere che, alla fine, la battaglia-spettacolo inscenata sul “climate change” dalla ragazzina svedese, sapientemente pilotata da esperti di marketing, ha obiettivi identici a quelli dell’élite globalista che impone “sacrifici” sociali al 99% della popolazione, stavolta anche con l’alibi del surriscaldamento globale? A domandarselo è l’antropologo Marco Giannini, analista indipendente e già vicino ai 5 Stelle, di fronte allo strano sciopero che il 15 marzo ha mobilitato milioni di studenti in ogni angolo del mondo. Hanno chiesto diritti sociali per i lavoratori, la fine delle morti bianche, un reddito minimo garantito che dia dignità ad ogni essere umano? Macchè. Hanno invocato un salario ragionevole e un’istruzione di livello per tutelare il futuro dei giovani, sottraendoli alla feroce lotteria competitiva del neoliberismo? Nossignore: la manifestazione era “per l’ambiente”. «Presto manifesteremo per la bontà, oppure forse contro la cattiveria: anzi, contro i cattivi», scrive Giannini: «Sì, credo proprio che Greta molto presto ci guiderà contro i cattivi, finalmente».Non era veritiero quindi – scrive Giannini, sarcastico – che le lobby si celassero dietro queste manifestazioni per colpire l’economia reale Usa, cioè Trump, cercando di scalzarla mediante la loro finanza globale, «quella che ha creato a tavolino la recessione mondiale e che necessita di reazioni stereotipate, prevedibili», allo scopo di «ottundere le menti e banalizzare le questioni». Un sospetto più che evidente, quello espresso da Giannini su “Come Don Chisciotte”: lo slogan “dobbiamo fare in fretta” serve a «creare le condizioni che rendano accettabili nuovi sacrifici (già “in canna”) altrimenti considerati odiosi e improponibili dalle popolazioni». Come ampiamente dimostrato da tutti gli studi sul comportamento umano, il “dobbiamo fare in fretta” – al fine di evitare una imminente catastrofe – è l’unico concetto che sortisce puntualmente l’effetto voluto dai manipolatori, a prescindere dalla sua eventuale coerenza. Anzi, scherza Giannini, «ormai ci aspettiamo che da un momento all’altro il Fmi, il Wto, la World Bank, BlackRock e Open Society, la Bayer-Monsanto, la Apple, Deutsche Bank e la Bce devolveranno gratuitamente verso ogni cittadino (americano, israeliano, italiano, russo, cinese, inglese) un bonus che copra interamente le spese per la coibentazione della propria abitazione».Per inciso, infatti, se si vuole ridurre il riscaldamento globale «non è tanto sulla CO2 che si deve agire, ma sul metano, che è 25 volte più impattante». Strano, vero? La manifestazione lanciata dalla piccola Greta ha avuto il plauso di Mattarella, Merkel, Macron. Applaudono anche le multinazionali finanziarie, quelle che hanno creato la crisi del 2007 per poi socializzare le perdite a spese dei governi, dopo aver «distrutto vite e privatizzato i profitti speculativi». Ancora oggi, continua Giannini, è sicuramente “cattivo” chi rivela che non sono tanto i cittadini comuni a produrre CO2, quanto «i settori terziario-quaternario e industria», come lo è chi svela che «dietro queste manifestazioni ci sono coloro che costantemente si arricchiscono col meccanismo “Cap & Trade”, cioè proprio con il business della CO2 a spese dei cittadini». Aggiunge Giannini: «Paradossale leggere che si debbano ridurre i consumi quando costoro impongono l’ideologia del crescere ad ogni costo e dell’emarginazione sociale». A meno che, oltre al lavaggio del cervello ideologico (vero target della “missione”) tutto ciò non serva «per ridurre il margine di manovra di quelle regioni del mondo che, in modo stoico, stanno cercando ancora oggi di emergere dalla recessione, nonostante la stramaledetta e controproducente austerity, in cui ad esempio l’Italia è imbavagliata».A proposito di “crescita infinita”, Giannini invita i lettori a questa riflessione: e se domani i robot rendessero disponibili beni a sufficienza per il mondo intero? Se tutti (anche agli africani “regolari”, cui Giannini insegna matematica e scienze) disponessero di un “reddito minimo”? «I consumi globali arriverebbero a un livello approssimativamente standard, ponendo fine alla finanza e ridando all’economia reale la corretta dimensione. A quel punto a cosa servirebbe crescere? A niente, se non alla selezione naturale tra esseri umani». Da quel momento, il “crescere” servirebbe solo a «dividere la torta in modo insensato, favorendo pochi “rentier” e omologando l’intera popolazione umana nell’ignoranza e nell’imbecillità». Tenere le menti lontanissime da queste considerazioni, secondo Giannini, è “necessario”, «perché la teoria della “crescita infinita” prosperi anche quando non servirà più» (beninteso: «Al momento, all’Italia serve eccome, crescere»). Ma come non vedere la manipolazione che sta dietro al fenomeno Greta? «Rendere moda, marketing, mercato (banche) certe questioni – insiste Giannini – equivale a svalutare i significati e a manipolare il senso comune, al fine di abituare i cittadini ad agire per emozioni, per stereotipi», cosicché chi la determina, la moda, cioè chi detiene i media, possa «omologare e rendere dipendenti (cioè privi di libertà) i cittadini».Dietro questa manifestazione ingenua e giovane – “comunque bella”, per citare Lucio Battisti – ci sono «coloro che hanno impoverito l’Africa e sfruttato la tratta di esseri umani». Nel continente nero (e non solo) hanno privatizzato tutto, con la complicità di un pugno di oligarchi africani traditori, razziando risorse a costo zero. «Sono coloro che hanno alimentato guerre e colpi di Stato, venduto armi per nutrire i traffici, generato carestie», fino addirittura a “testare” virus mortali prodotti in laboratorio, come quello della Sars. «Sono coloro che proteggono l’opulenza dei politicanti europei, altrettanto traditori», che hanno accettato l’euro ben sapendo che sarebbe servito a «colpire operai e classi medie». Osserva Giannini: «Fa molto male, rendersi conto che – salvo eccezioni – non sia lo stato di necessità a smuovere le masse, bensì il marketing». Siamo uno zoo falcilmente manovrabile, in fondo: “Je suis Charlie”, recitavano i cartelli nelle piazze all’indomani della strage parigina nella redazione di “Charlie Hebdo”, come se davvero l’obiettivo del commando terrorista fosse la libertà di satira. Prepariamoci, avvertiva a fine 2018 un analista come Fausto Carotenuto, veterano dell’intelligence: l’élite è in difficoltà e, per imbrogliarci, nel 2019 fabbricherà altre finte rivoluzioni. Ed ecco, puntuale, la piccola Greta.Didendere l’ambiente è sacrosanto, riconosce Giannini, ma il tema – aggiunge – va affrontato in modo non emotivo, partendo dalle cause, con un serio approccio scientifico. In Italia, dopo l’omicidio Moro, le lobby occidentali «inquinarono il Pci dei diritti sociali trasformandolo nell’eurocomunismo “fru fru”, per usare una terminologia cara a Beppe Grillo». Da allora, il progressivo assedio culturale dai movimenti effimeri (Femen, antiproibizionismo, diritti civili ma non sociali) ha inaugurato «l’eone dei sacrifici, a partire dal vincolo esterno dello Sme fino ad oggi: e i risultati si vedono». Da quel momento «la sinistra, il socialismo, non significarono più “lavoratori” ma ben altro, tra cui la distruzione della società intesa come Stato sociale», il declino della tradizione e dei “luoghi antropologici”, la fine dell’identità patriottica «in favore del globalismo d’accatto». Con Greta, «siamo su questo solco, che distrae le energie». La sinistra? «Perde definitivamente i propri tratti». E quindi «non ha più senso ragionare in termini politicamente bipolari». Infine, Giannini ricorda che «l’ignara Greta» è affetta da Asperger, dunque «è a rischio egocentrismo e fissazione». Domanda: «E’ funzionale al suo sviluppo, questa sua esposizione? O la ragazzina è usata come una cavia, come carne da macello?».«Fate presto, non c’è più tempo». Ieri a dirlo era Mario Monti, oggi la piccola Greta Thunberg. Curioso, no? Vuoi vedere che, alla fine, la battaglia-spettacolo inscenata sul “climate change” dalla ragazzina svedese, sapientemente pilotata da esperti di marketing, ha obiettivi identici a quelli dell’élite globalista che impone “sacrifici” sociali al 99% della popolazione, stavolta anche con l’alibi del surriscaldamento globale? A domandarselo è l’antropologo Marco Giannini, analista indipendente e già vicino ai 5 Stelle, di fronte allo strano sciopero che il 15 marzo ha mobilitato milioni di studenti in ogni angolo del mondo. Hanno chiesto diritti sociali per i lavoratori, la fine delle morti bianche, un reddito minimo garantito che dia dignità ad ogni essere umano? Macchè. Hanno invocato un salario ragionevole e un’istruzione di livello per tutelare il futuro dei giovani, sottraendoli alla feroce lotteria competitiva del neoliberismo? Nossignore: la manifestazione era “per l’ambiente”. «Presto manifesteremo per la bontà, oppure forse contro la cattiveria: anzi, contro i cattivi», scrive Giannini: «Sì, credo proprio che Greta molto presto ci guiderà contro i cattivi, finalmente».