Archivio del Tag ‘élite’
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La sinistra europeista che teme il popolo e la democrazia
Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.In entrambi casi ciò è infatti esattamente quanto è successo. In Grecia con il ricatto che ha indotto Tsipras a calare le brache e tradire ignominiosamente il verdetto popolare. In Inghilterra con il tentativo di far pagare così cara la Brexit a coloro che l’hanno votata da dissuadere altri a imboccare la stessa strada (non a caso il risultato deludente di Podemos e la marcia indietro di 5 Stelle sull’Europa sono state accolte con soddisfazione: la lezione è servita a qualcosa…). In entrambi i casi le élite hanno dispiegato tutto il loro disprezzo nei confronti dei proletari “sporchi, brutti e cattivi“ che si sono ribellati ai loro diktat. Imitati dalle sinistre: tutte, anche quelle che si proclamano radicali e antagoniste: non si può stare dalla parte degli operai inglesi perché sono egemonizzati dalla destra razzista e xenofoba (qualche idea sul perché ciò sia avvenuto?). I peggiori sono quegli intellettuali post operaisti che ormai sono parte integrante del polo liberal chic che definisce l’essere di sinistra o di destra non in base all’appartenenza e agli interessi di classe, bensì in base all’impegno per i diritti individuali, e affida l’emancipazione sociale a un immaginario “comunismo del capitale”.Ho quindi accolto con piacere un intervento di Bifo che ha rotto il fronte “europeista”, riconoscendo che l‘aspetto dirimente del voto inglese non è il colore ideologico, ma da quali interessi di classe è stato dettato. Credo però che occorra fare altri due passi: 1) chiedersi perché i giovani “creativi” hanno votato in massa Remain; 2) ragionare concretamente sulla forma politica che oggi assume la resistenza proletaria al finanzcapitalismo e alle sue istituzioni oligarchiche. Affrontare il primo punto significa fare i conti con il mito del cognitariato, prendere atto che questo gruppo sociale non ha mai espresso, non esprime, né mai esprimerà una cultura anticapitalista, che il suo strato superiore è parte integrante delle élite e, in quanto tale, è un nemico di classe, mentre lo strato inferiore – che continua a nutrire la speranza in una illusoria mobilità sociale, benché falcidiato da precariato, redditi miserabili, condizioni di vita oscene – potrà prendere coscienza dei propri interessi solo se egemonizzato dalla spinta antagonista che viene da fuori e dal basso.Quanto al secondo punto: se è vero – come è innegabile non appena si guardi a quanto avviene negli Stati Uniti e in tutti i paesi europei – che oggi la lotta di classe assume la forma dell’opposizione alto/basso, dell’odio per le élite politiche ed economiche (que se vayan todos), del rifiuto di ogni forma di delega, che assume cioè una forma populista, occorre decidersi a prenderne atto – perché la teoria e la prassi politica rivoluzionarie sono una cosa sola, sono cioè analisi concreta della situazione concreta – e agire di conseguenza. Il populismo di destra si combatte con il populismo di sinistra, non con le ammoine radical chic. Il che vuol dire lotta per l’egemonia (cioè cambiare il senso di parole come popolo, comunità, sovranità, ecc. trasformandole in armi nella battaglia fra i flussi globali del capitale e i luoghi da cui i flussi estraggono valore), costruire blocco sociale a partire dal basso e non dall’alto delle nuove aristocrazie del lavoro, costruire organismi di democrazia diretta e riaprire la vecchia sfida, tenendo conto che l’unica cosa che oggi produce contro terrore rispetto al terrorismo psicologico delle élite è la democrazia e che, dopo la morte della democrazia rappresentativa, l’unica forma esistente di democrazia è appunto il populismo.(Carlo Formenti, “Brexit, uno spettro si aggira per l’Europa: la democrazia”, da “Micromega” del 28 giugno 2016).Uno spettro si aggira per l’Europa: è la democrazia. Dopo il referendum greco, con il quale più del 60% della popolazione di quel paese ha detto no all’austerità imposta dalla Ue e dalla Troika, è arrivata la Brexit, che ha visto una maggioranza meno netta, ma per molti versi più significativa, di cittadini inglesi chiedere il divorzio dalle istituzioni oligarchiche di quell’Europa che impone gli interessi del finanzcapitalismo globale ai propri sudditi. In entrambi i casi non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando. In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista.
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Lo spettro dei Balcani e la rivoluzione da fare contro l’Ue
“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati”. Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione Europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finanzista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo. La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca). Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione Europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.Gran parte di quelle motivazioni sono comprensibili, tant’è vero che la maggior parte dei “leave” proviene dalle aree operaie mentre le forze del finanzismo davano per certa la vittoria alla faccia di chi in nome dei “valori europei” si fa derubare il salario. Ma il problema non sta nelle motivazioni, il problema sta nelle conseguenze. L’Unione Europea non esiste più da tempo, almeno dal luglio del 2015, quando Syriza è stata umiliata e il popolo greco definitivamente sottomesso. Ci occorre forse un’Europa più politica come dicono ritualmente le sinistre al servizio delle banche? Sono anni che crediamo nella favoletta dell’Europa che deve diventare più politica e più democratica. Ci siamo caduti anche noi, mi spiace dirlo, ma non è mai stato vero. L’Unione europea è una trappola finanzista da Maastricht in poi.Un articolo di Paolo Rumiz (“Come i Balcani”) uscito il 23 su “La Repubblica” dice una cosa che a me pareva chiara da tempo: il futuro d’Europa è la Yugoslavia del 1992. Rumiz lo dice bene, solo che dimentica il ruolo che la Deutsche Bank svolse nello spingere gli yugoslavi verso la guerra civile (e Wojtyla fece la sua parte). Ora credo che dobbiamo dirlo senza tanti giri di parole: il futuro d’Europa è la guerra. Il suo presente è già la guerra contro i migranti che già è costata decine di migliaia di morti e innumerevoli violenze. Forse suona un po’ antico, ma per me resta vero che il capitalismo porta la guerra come la nube porta la tempesta. Cosa si fa in questi casi? Si ferma la guerra, si impongono gli interessi della società contro quelli della finanza? Naturalmente sì, quando questo è possibile. Ma oggi fermare la guerra non è più possibile perché la guerra è già in corso, anche se per il momento a morire sono centinaia di migliaia di migranti in un Mediterraneo in cui l’acqua salata ha sostituito lo Zyklon-B.I movimenti sono stati distrutti uno dopo l’altro. E allora?, allora si passa all’altra parte dell’adagio leniniano (segnalo per chi avesse qualche dubbio che non sono mai stato leninista e non intendo diventarlo). Si trasforma la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Cosa vuol dire? Non lo so, e nessuno può saperlo, oggi. Ma nei prossimi anni credo che dovremo ragionare solo su questo. Non su come salvare l’Unione Europea, che il diavolo se la porti. Non su come salvare la democrazia che non è mai esistita. Ma su come trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Pacifica e senz’armi, se possibile. Guerra dei saperi autonomi contro il comando e la privatizzazione. Ma insomma, non porto il lutto perché gli inglesi se ne vanno. Ho portato il lutto quando i greci sono stati costretti a rimanere a quelle condizioni (e adesso che ne sarà di loro?). Cent’anni dopo l’Ottobre, mi sembra che il nostro compito sia chiederci: cosa vuol dire Ottobre nell’epoca di Internet, del lavoro cognitivo e precario? Il precipizio che ci attende è il luogo in cui dobbiamo ragionare su questo.(Franco “Bifo” Berardi, “L’inglese se n’è gghiuto”, da “Alfabeta 2” del 28 giugno 2016).“L’inglese se n’è gghiuto e soli n’ha lasciati”. Non credevo nella Brexit, pensavo che solo un popolo di ubriachi poteva decidere una simile autolesionistica catastrofe. Dimenticavo che gli inglesi sono per l’appunto un popolo di ubriachi. Scherzo, naturalmente, dato che non credo nell’esistenza dei popoli. Ma credo nella lotta di classe, e la decisione degli operai inglesi di affondare definitivamente l’Unione Europea è un atto di disperazione che consegue alla violenza dell’attacco finanzista che da anni impoverisce i lavoratori di tutto il continente e anche di quell’isola del cazzo. La City si preparava a festeggiare l’ennesima vittoria della finanza, e invece l’hanno spuntata i proletari resi nazionalisti dalla disperazione (e dalla patetica arroganza imperialista bianca). Ma non possiamo liquidare come fasciste le motivazioni di coloro che vogliono uscire dalla trappola europea, visto che è ormai dimostratissimo che l’Unione Europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario.
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Carpeoro: via Renzi arriva Di Maio, il Piano-B dello Zio Sam
«Tranquilli, non c’ è pericolo che in Italia cambi qualcosa: se cade Renzi, c’è già pronto Di Maio, il grillino». Con la consueta chiarezza, l’avvocato Gianfranco Carpeoro – scrittore, studioso di linguaggio simbolico e già gran maestro della massoneria di rito scozzese, ospite dell’ultima puntata della trasmissione web-radio “Border Nights”, sostiene che in Italia non vi sarà nessuna immediata conseguenza politica della Brexit. Premessa: secondo Carpeoro, l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea “per modo di dire”, perché di fatto «in Europa la Gran Bretagna non c’è mai stata davvero». Terremoti geopolitici in vista? Nemmeno: «Al di là delle apparenze – terrorismo europeo, crisi, Isis e chi più ne ha più ne metta – il quadro non cambierà, perché gli Usa sono interessati a congelare la situazione: il loro debito è in mano alla Cina e non vedono l’ora di chiudere questo problema, perché non tollerano l’idea di dipendere da qualcun altro. Hanno bisogno tempo, dunque di stabilità. Fingono di osteggiare l’intervento russo in Siria, ma in realtà fa comodo anche a loro. Idem l’Italia: nulla di sostanziale deve cambiare, e quindi non cambierà».Di ispirazione socialista, Carpeoro esprime un punto di vista sempre fuori dal coro, L’esoterismo? «Il potere non esita a metterlo in burletta, promuovendo i Maghi Otelma di turno, perché teme il potenziale di verità dell’esoterismo serio». L’analisi sullo scenario coincide con quella di Gioele Magaldi: «La massoneria reazionaria internazionale è al lavoro per il massimo profitto dell’élite, revocando diritti e sicurezze». Forse qualcuno si sta sfilando, da quel super-vertice occulto, mettendo in allarme i grandi manovratori, che infatti – attraverso i servizi segreti e manovalanza anche islamica – ricorrono in modo ormai sistematico alla strategia della tensione targata Isis. L’Unione Europea azzoppata dalla Brexit? Ma no: l’Ue non è mai stata altro che una colossale trappola congegnata per drenare ricchezza dal basso verso l’alto, impedendo all’Europa di conquistare una vera sovranità, in autonomia dagli Usa. «E poi: come potrebbe mai funzionare una Unione con al suo interno democrazie parlamentari e monarchie?».Insomma, tutto sotto controllo (si fa per dire). Nel senso: nessun rivolgimento in vista. Anche perché non ci sono segni che possa essere insidiato, nel suo meccanismo fondamentale, «un sistema come questo, fondato su un’economia che prevede che, perché qualcuno stia meglio, c’è bisogno che altri stiano peggio». Inutile illudersi che cambi qualcosa di sostanziale, in Europa come in Italia. Da noi c’è in panchina il movimento fondato da Beppe Grillo? Appunto: «I 5 Stelle sono sempre stati la carta di riserva degli americani, nel caso cedesse il Pd». Che i militanti se ne rendano conto o meno, il movimento è stato “coltivato” dallo Zio Sam. Non a caso, oggi non si accoda agli inglesi che hanno scelto il “leave”. Uscire dall’Ue? Nemmeno per idea, hanno subito chiarito i vari portavoce pentastellati. Su cui svetta il possibile futuro premier Luigi Di Maio: «Le sue visite al consolato americano a Roma sono aumentate, forse è un segno che il tempo di Renzi sta davvero per finire. Beninteso: per gli italiani non cambierà assolutamente niente».«Tranquilli, non c’è pericolo che in Italia cambi qualcosa: se cade Renzi, c’è già pronto Di Maio, il grillino». Con la consueta chiarezza, l’avvocato Gianfranco Carpeoro – scrittore, studioso di linguaggio simbolico e già gran maestro della massoneria di rito scozzese, ospite dell’ultima puntata della trasmissione web-radio “Border Nights”, sostiene che in Italia non vi sarà nessuna immediata conseguenza politica della Brexit. Premessa: secondo Carpeoro, l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea “per modo di dire”, perché di fatto «in Europa la Gran Bretagna non c’è mai stata davvero». Terremoti geopolitici in vista? Nemmeno: «Al di là delle apparenze – terrorismo europeo, crisi, Isis e chi più ne ha più ne metta – il quadro non cambierà, perché gli Usa sono interessati a congelare la situazione: il loro debito è in mano alla Cina e non vedono l’ora di chiudere questo problema, dato che non tollerano l’idea di dipendere da qualcun altro. Hanno bisogno tempo, dunque di stabilità. Fingono di osteggiare l’intervento russo in Siria, ma in realtà fa comodo anche a loro. Idem l’Italia: nulla di sostanziale deve cambiare, e quindi non cambierà».
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Rischio rivoluzioni colorate, Soros al lavoro contro la Brexit
La popolazione della Gran Bretagna sta per diventare la prossima vittima della tattica delle “rivoluzioni colorate” usata da Washington e Bruxelles contro i governi democraticamente eletti dalla Serbia alla Siria, dall’Ucraina al Brasile. Pochi giorni dopo la totalmente imprevista (anche da quest’autore) decisione popolare di resistere al bullismo dell’establishment e alle ondate della propaganda dei mass media per votare la Brexit, la contromossa dei globalismi sta già diventando chiara. Innanzitutto, un duro attacco alla sterlina e ai maggiori titoli azionari per mettere pressione finanziaria e giustificare le autogratificanti profezie apocalittiche che provengono dal campo degli sconfitti che volevano rimanere. Secondo, una pressione psicologica di massa organizzata da organizzazioni della “società civile”, come Avaaz, camuffata da protesta dal basso, ma de facto fondata da Fondazioni foraggiate da George Soros. La testa d’ariete di questa propaganda è la petizione per un secondo referendum, che ha già superato i tre milioni di firme, nonostante decine di migliaia di firme false siano state scoperte e rimosse.Terzo, l’uso di altri gruppi della “società civile”, tra cui “SumOfUs” e “38 Degrees”, per promuovere banchetti di opinione pubblica “progressista” per spiegare quali temi ed attacchi contro il Brexit saranno maggiormente efficaci. È una tecnica-chiave insegnata nel corso di formazione delle “rivoluzioni colorate”, formata sulle teorie di Gene Sharp e perfezionata da John Carlane, un liberale globalista ex ufficiale dell’esercito britannico, ora a capo del “Peace Education and Training Repository”. Quarto, la mobilitazione di crocchi di manifestanti arrabbiati e inclini alla violenza, a Londra ed in altre città chiave. Nonostante molti rappresentanti dell’estrema sinistra fossero a favore del Brexit, gang con bandiere comuniste ed anarchiche infestano le strade. Dovrebbero difendere le minoranze etniche (molte di queste in effetti hanno votato per il Brexit insieme ai connazionali della classe operaia) ma sono già state coinvolte in attacchi contro riconosciuti o sospetti sostenitori del Brexit.Quinto, le truppe della propaganda di proprietà delle élite liberali e vicine alla Cia stanno mentendo e pontificando per sfruttare su quanto sopra scritto. L’obiettivo è spaventare i votanti pro-Brexit “morbidi”, per fargli cambiare parere e creare le condizioni per trasformare le elezioni generali in autunno in un secondo referendum. Il proposito di questa guerra politica ibrida sulla maggioranza della popolazione è di far deragliare l’intero processo del Brexit e mantenere la nazione all’interno dell’Ue (o perlomeno trasformare l’uscita in un casino tale dal disincentivare qualsiasi altra nazione a fare qualcosa di simile). Ciò spiega il perché il primo ministro Cameron ha già infranto la promessa fatta prima del referendum, secondo la quale, se avesse vinto l’uscita, si sarebbe immediatamente appellato all’Articolo 50 del Trattato di Lisbona per iniziare la procedura del Brexit. Ora è lapalissiano che le élite eurofile non hanno alcuna intenzione di permettere che un piccolo intoppo, come la volontà espressa democraticamente dalla popolazione, distrugga il processo di “un’unione ancora più stretta” o della “necessità” geopolitica di avere un’Ue unita per il confronto con la Russia.Prima del voto dello scorso giovedì, a Bruxelles si erano tentate tutte le carte disponibili, incluso l’inganno e lo sfruttamento senza pietà dell’omicidio di Jo Cox, per assicurarsi un voto per restare. Nonostante il fallimento della campagna, una sparuta minoranza di irriducibili eurofili, attualmente guidata dal potente “tory” Lord Heseltine e da membri del Parlamento “moderati” laburisti e liberaldemocratici come David Lammy e Tim Farron, non accetterà il verdetto del referendum. Al contrario, sta tentando disperatamente di dare alle élite liberali la sicurezza in loro per sfoggiare un atto di estrema arroganza – negare al popolo britannico il diritto di vedere il loro voto concretizzarsi. Se la caveranno? O la reazione della gente comune quando realizzerà cosa sta succedendo sarà di sdegno tale da convincere gli eurofili che, già sul fondo del baratro, forse dovrebbero smettere di scavare? Non lo so. Ma non c’è dubbio che questa sarà la loro strategia. Non aspettiamoci stabilità nel prossimo futuro.(Nick Griffin, “Il Regno Unito affronta rivoluzioni colorate, visto che Soros si sta muovendo per fermare il Brexit”, da “The Saker” del 27 giugno 2016, tradotto da Franco per “Come Don Chisciotte”).La popolazione della Gran Bretagna sta per diventare la prossima vittima della tattica delle “rivoluzioni colorate” usata da Washington e Bruxelles contro i governi democraticamente eletti dalla Serbia alla Siria, dall’Ucraina al Brasile. Pochi giorni dopo la totalmente imprevista (anche da quest’autore) decisione popolare di resistere al bullismo dell’establishment e alle ondate della propaganda dei mass media per votare la Brexit, la contromossa dei globalismi sta già diventando chiara. Innanzitutto, un duro attacco alla sterlina e ai maggiori titoli azionari per mettere pressione finanziaria e giustificare le autogratificanti profezie apocalittiche che provengono dal campo degli sconfitti che volevano rimanere. Secondo, una pressione psicologica di massa organizzata da organizzazioni della “società civile”, come Avaaz, camuffata da protesta dal basso, ma de facto fondata da Fondazioni foraggiate da George Soros. La testa d’ariete di questa propaganda è la petizione per un secondo referendum, che ha già superato i tre milioni di firme, nonostante decine di migliaia di firme false siano state scoperte e rimosse.
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Saviano e Napolitano, la sinistra No-Brexit che piace all’élite
Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati. Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista). Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue. Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.Poi è giunto il verbo dell’eccelso storico e politologo Roberto Saviano che, dall’alto dei suoi studi, ha decretato che quelli che hanno votato Brexit sono tutti fascisti e nazisti! E Saviano è una delle teste più lucide dell’intellettualità di sinistra, anche se dovrebbe perdere ancora un po’ di capelli per giungere alla lucidità integrale. Poi la Melandri ha ritwittato con simpatia la massima di un tale: «Ma perché anziché negare il voto nei primi 18 anni non lo togliamo negli ultimi 18 di vita?». Giusto, solo che c’è un problema: fissare il termine a quo calcolare i 18 ultimi, visto che la gente si ostina a morire a casaccio nelle età più disparate. Certo, si potrebbe fissare per legge il “fine vita” (e l’evoluzione ideologica del Pd va in questa direzione “giovanilistica”), però non credo converrebbe tanto all’on Giovanna Melandri che, insomma, proprio una ragazzina non è più ma solo una ex bella donna. Potremmo proseguire con gli esempi.Sta venendo fuori tutta l’anima ferocemente classista, elitaria, antipopolare di questa sinistra dei salotti. Io appartengo ad un’altra sinistra, che sa perfettamente di dover affrontare le sfide del mondo della globalizzazione, ma che non dimentica il Psi che organizzava le scuole di alfabetizzazione per insegnare agli operai a leggere e scrivere per conquistare quel diritto di voto che questi oggi vorrebbero togliere; che non dimentica il “cafone” Peppino Di Vittorio, che un titolo di studio non lo prese mai ma che insegnò ai braccianti a non togliersi il cappello davanti ai “signori” e che a questi intellettuali di “sinistra” avrebbe potuto insegnare molte cose; che non dimentica le scuole delle repubbliche partigiane come quella organizzata nell’Ossola da Gisella Floreanini; non dimentica intellettuali dome Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Concetto Marchesi, Vittorio Foa, che erano veri grandi intellettuali (non come questi cialtroni della gauche caviar) che non nutrivano nessuna spocchia intellettuale e la vita l’hanno spesa per emancipare culturalmente, economicamente e politicamente le classi popolari.La mia sinistra non ignora i problemi dell’oggi, ma non si piega all’idea che la migliore sinistra è … la destra elitaria e classista. Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane, ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente, perché la “sinistra” neoliberista ed elitaria non esiste: è solo una ignobile truffa. Il Pd? E’ più spregevole della Lega e dell’Ukip, credetemi.(Aldo Giannuli, “Contro la sinistra elitaria”, dal blog di Giannuli del 24 giugno 2016).Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati. Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista). Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue. Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.
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Ciao Usa, meglio la Cina: ecco il Brexit. L’Ue? E’ già finita
«Nessuno sembra capire le conseguenze della decisione britannica di lasciare l’Unione Europea: la separazione dei britannici dalla Ue non si farà affatto lentamente, perché l’Unione crollerà più velocemente rispetto al tempo necessario alle trattative burocratiche per l’uscita della Gran Bretagna». Così la vede il giornalista Thierry Meyssan, analista internazionale. Tesi: al netto del chiasso dei “populismi” alla Farage, il voto inglese è stato voluto da chi comanda a Londra, che ha ormai capito che il tempo del dominio Usa – di cui Bruxelles è una succursale – è ormai al tramonto. Meglio allora sbaraccare, tenendosi le mani libere per essere i primi, in Europa, a chiudere un accordo strategico col nuovo vincitore, la Cina. La posta in gioco non ha nulla a che fare con le polemiche sull’immigrazione: «Il divario tra la realtà e il discorso politico-mediatico illustra la malattia di cui soffrono le élites occidentali: la loro incompetenza». Ancora nel 1989, il Pcus non “vedeva” il crollo del Muro di Berlino. Poi vennero la fine del Comecon e del Patto di Varsavia, il collasso dell’Urss. «In un futuro assai prossimo assisteremo in modo identico alla dissoluzione dell’Unione Europea e della Nato e – se non staranno abbastanza attenti – allo smantellamento degli Stati Uniti».A differenza delle spacconate di Nigel Farage, l’Ukip non è all’origine del referendum che ha appena vinto, scrive Meyssan su “Megachip”. «Questa decisione è stata imposta a David Cameron da membri del partito conservatore: per loro, la politica di Londra deve essere un adattamento pragmatico al mondo che cambia. Questa “nazione di bottegai”, come la definiva Napoleone, osserva che gli Stati Uniti non sono più né la più grande economia del mondo, né la prima potenza militare. Non hanno dunque più motivo di essere i loro partner privilegiati». Proprio come Margaret Thatcher non ha esitato a distruggere l’industria britannica per trasformare il suo paese in un centro finanziario globale, continua Meyssan, allo stesso modo «questi conservatori non hanno esitato ad aprire la via all’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda del Nord, e quindi alla perdita del petrolio del Mare del Nord, per fare della City il primo centro finanziario “off shore” dello yuan».La campagna per il Brexit è stata ampiamente sostenuta dalla Gentry e da Buckingham Palace, che hanno mobilitato la stampa popolare per fare appello a ritornare all’indipendenza. E, contrariamente a quanto spiega la stampa europea, la separazione dei britannici da Bruxelles avverrà alla velocità della luce, cioè prima che possa crollare la stessa Unione Europea. Meyssan insiste con il paragone con l’Urss, che si afflosciò in un amen, una volta iniziato il movimento centrifugo. «Gli Stati membri della Ue che si aggrappano ai rami e continuano a salvare quel che resta dell’Unione non riusciranno ad adattarsi alla nuova situazione, con il rischio di sperimentare le convulsioni dolorose dei primi anni della nuova Russia: caduta vertiginosa del livello di vita e della speranza di vita». E ancora: «Tutti credono, a torto, che il Brexit apra una breccia in cui gli euroscettici andranno a introdursi». Ma il Brexit è solo «una risposta al declino degli Stati Uniti».Il Pentagono, che prepara il vertice Nato a Varsavia, «non ha capito che non era più in grado di imporre ai suoi alleati di sviluppare il loro bilancio della difesa e di sostenere le sue avventure militari». Il dominio di Washington nel mondo è terminato? «Quel che abbiamo è un cambiamento d’epoca».La caduta del blocco sovietico, continua Meyssan, è stata dapprima la morte di una visione del mondo: i sovietici e i loro alleati volevano costruire una società solidale in cui si mettessero quante più cose possibili in comune. Ma hanno avuto «una burocrazia titanica e dei dirigenti necrotizzati». Il Muro di Berlino? «Non è stato abbattuto da anti-comunisti, ma da una coalizione di giovani comunisti e di Chiese luterane. Intendevano rifondare l’ideale comunista liberato dalla tutela sovietica, dalla polizia politica e dalla burocrazia. Sono stati traditi dalle loro élites che, dopo aver servito gli interessi dei sovietici si sono precipitate con tanto ardore a servire quelli degli statunitensi». Oggi, gli elettori del Brexit più impegnati cercano in primo luogo di riguadagnare la loro sovranità nazionale e di far pagare ai leader dell’Europa occidentale l’arroganza di cui hanno dato ampia prova con l’imposizione del Trattato di Lisbona dopo il rifiuto popolare della Costituzione europea (2004- 07). Potrebbero anche essere delusi da ciò che seguirà, sostiene Meyssan. «Il Brexit segna la fine della dominazione ideologica degli Stati Uniti, quella della democrazia al ribasso delle “quattro libertà”», indicate da Roosevelt nel 1941: libertà di parola e di espressione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura di un’aggressione straniera. «Se gli inglesi risaliranno alle loro tradizioni, gli europei continentali ritroveranno gli interrogativi delle rivoluzioni francese e russa sulla legittimità del potere, e rovesceranno le loro istituzioni a rischio di veder risorgere il conflitto franco-tedesco».Qualcosa di tellurico sta già avvenendo in Francia, dove i sindacati rifiutano il disegno di legge sul lavoro redatto dal governo Valls sulla base di un rapporto dell’Unione Europea, a sua volta ispirato dalle istruzioni del Dipartimento di Stato Usa. «Se la mobilitazione della Cgt ha permesso ai francesi di scoprire il ruolo dell’Ue in questo caso, non hanno ancora colto in cosa consista l’articolazione Ue-Usa. Hanno capito che invertendo le norme e mettendo i contratti aziendali al di sopra dei contratti di settore, il governo rimetteva in realtà in questione la preminenza della legge sul contratto, ma ignorano la strategia di Joseph Korbel e dei suoi due figli, la sua figlia naturale democratica Madeleine Albright e la sua figlia adottiva repubblicana Condoleezza Rice. Il professor Korbel affermava che, per dominare il mondo, era sufficiente che Washington imponesse una riscrittura delle relazioni internazionali secondo termini giuridici anglosassoni. In effetti, nel porre il contratto al di sopra della legge, il diritto anglosassone privilegia nel lungo periodo i ricchi e i potenti in rapporto ai poveri e ai miserabili».È probabile che i francesi, gli olandesi, i danesi e altri ancora cercheranno di rompere con l’Unione europea, continua Meyssan. «Dovranno per tutto ciò affrontare la loro classe dirigente. Se la durata di questa lotta è imprevedibile, il risultato non lascia più dubbi». Quanto alla Gran Bretagna, potrebbe essere Boris Johnson a gestire la transizione, che sarà rapidissima: «Il Regno Unito non aspetterà la sua uscita definitiva dalla Ue per gestire la propria politica. A cominciare dal dissociarsi dalle sanzioni prese contro la Russia e la Siria». A differenza di quel che scrive la stampa europea, la City di Londra non è direttamente influenzata dal Brexit: «Dato il suo status speciale di Stato indipendente sotto l’autorità della Corona, non ha mai fatto parte dell’Unione Europea». E così «potrà utilizzare la sovranità di Londra per sviluppare il mercato dello yuan». Già ad aprile, annota Meyssan, la City ha ottenuto i privilegi necessari firmando un accordo con la Banca centrale della Cina. «Inoltre, dovrebbe sviluppare le sue attività di paradiso fiscale per gli europei».Se il Brexit disorganizzerà temporaneamente l’economia britannica in attesa di nuove regole, è probabile che il Regno Unito – o almeno l’Inghilterra – si riorganizzerà rapidamente ottenendo il massimo profitto. «La domanda è se chi ha concepito questo terremoto avrà la saggezza di far arrivare dei benefici al proprio popolo: il Brexit è un ritorno alla sovranità nazionale, non garantisce la sovranità popolare», conclude Meyssan. «Il panorama internazionale può evolvere in modi molto diversi a seconda delle reazioni che seguiranno. Anche se questo dovesse andare male per alcune persone, è sempre meglio attenersi alla realtà come fanno i britannici, anziché persistere a stare in un sogno fino a quando questo non va in pezzi».«Nessuno sembra capire le conseguenze della decisione britannica di lasciare l’Unione Europea: la separazione dei britannici dalla Ue non si farà affatto lentamente, perché l’Unione crollerà più velocemente rispetto al tempo necessario alle trattative burocratiche per l’uscita della Gran Bretagna». Così la vede il giornalista Thierry Meyssan, analista internazionale. Tesi: al netto del chiasso dei “populismi” alla Farage, il voto inglese è stato voluto da chi comanda a Londra, che ha ormai capito che il tempo del dominio Usa – di cui Bruxelles è una succursale – è ormai al tramonto. Meglio allora sbaraccare, tenendosi le mani libere per essere i primi, in Europa, a chiudere un accordo strategico col nuovo vincitore, la Cina. La posta in gioco non ha nulla a che fare con le polemiche sull’immigrazione: «Il divario tra la realtà e il discorso politico-mediatico illustra la malattia di cui soffrono le élites occidentali: la loro incompetenza». Ancora nel 1989, il Pcus non “vedeva” il crollo del Muro di Berlino. Poi vennero la fine del Comecon e del Patto di Varsavia, il collasso dell’Urss. «In un futuro assai prossimo assisteremo in modo identico alla dissoluzione dell’Unione Europea e della Nato e – se non staranno abbastanza attenti – allo smantellamento degli Stati Uniti».
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La Brexit travolge Renzi, adesso volano i No al referendum
Basta giri di parole e commissariamenti, meglio libertà e democrazia. Da Londra a Roma, l’onda del Brexit rischia di travolgere Matteo Renzi: contro la “rottamazione” della Costituzione voterebbe il 54% degli italiani, incluso il 22% degli elettori del Pd. L’“Huffington Post” ha pubblicato il primo sondaggio sul referendum di ottobre dopo il voto che ha sancito l’addio del Regno Unito all’Unione Europea. E le percentuali non lasciano spazio di vittoria per il premier, che ha investito tutto sul buon esito della consultazione sulla riforma costituzionale, scrive il “Giornale”. Secondo il sondaggio di “ScenariPolitici” realizzato in esclusiva per l’“Huffington Post”, la maggioranza degli italiani oggi sarebbe orientata a votare contro la manomissione della Costituzione e lo smantellamento del Senato elettivo. «Il 54% degli intervistati voterebbe contro la riforma, il 46% a favore», si legge sul sito diretto da Lucia Annunziata, pur consapevole che si tratti di dati ancora «suscettibili di sostanziali modifiche, visto che meno di un italiano su due oggi è certo di andare a votare».Come racconta Adalberto Signore sul “Giornale”, Renzi sarebbe rimasto molto colpito dalle immagini di David Cameron che davanti all’ingresso del numero 10 di Downing Street annuncia le dimissioni da primo ministro. «Il premier – scrive Sergio Rame – inizia a sospettare che aver indetto un referendum sul ddl Boschi possa essere stato un azzardo. Anche perché ha promesso di lasciare la politica nel caso in cui dovesse passare il “no”. Uscire da questo angolo è pressoché impossibile». Secondo “ScenariPolitici”, il 23% degli italiani non ha ancora deciso cosa votare. Il 29%, invece, non andrà a votare. Non solo. Appena il 28% degli intervistati considera la riforma renziana “una priorità per l’Italia”, mentre per il 49% è molto meglio “focalizzarsi su altre tematiche più urgenti”.Nel frattempo, il fronte del “no” si sta muovendo compatto. Le opposizioni hanno già iniziato la campagna per non far passare il ddl Boschi dalle forche referendarie e, quindi, mandare a casa Renzi. Il “no” starebbe addirittura conquistando l’elettorato del Pd: sempre secondo “ScenariPolitici”, il 22% degli elettori “Dem” sarebbe infatti pronto a votare “no”. «Per Renzi, insomma, sembra non esserci scampo». Lo si può capire: tutta la sua politica, finora, è stata orientata in un’unica direzione – assecondare i diktat dell’élite che usa la Germania come kapò europeo, fingendo però di introdurre brillanti (e indolori) innovazioni. Dopo la porta in faccia sbattuta dagli inglesi, sul muso della Merkel innanzitutto, cresce la voglia di emulazione. Perché dare ancora retta ai pigolii di Renzi, quando è possibile dire dei “no” nettissimi? Ed ecco, per il premier, il grande rischio del referendum di ottobre, annunciato anche dal crollo del Pd alle amministrative.Basta giri di parole e commissariamenti, meglio libertà e democrazia. Da Londra a Roma, l’onda del Brexit rischia di travolgere Matteo Renzi: contro la “rottamazione” della Costituzione voterebbe il 54% degli italiani, incluso il 22% degli elettori del Pd. L’“Huffington Post” ha pubblicato il primo sondaggio sul referendum di ottobre dopo il voto che ha sancito l’addio del Regno Unito all’Unione Europea. E le percentuali non lasciano spazio di vittoria per il premier, che ha investito tutto sul buon esito della consultazione sulla riforma costituzionale, scrive il “Giornale”. Secondo il sondaggio di “ScenariPolitici” realizzato in esclusiva per l’“Huffington Post”, la maggioranza degli italiani oggi sarebbe orientata a votare contro la manomissione della Costituzione e lo smantellamento del Senato elettivo. «Il 54% degli intervistati voterebbe contro la riforma, il 46% a favore», si legge sul sito diretto da Lucia Annunziata, pur consapevole che si tratti di dati ancora «suscettibili di sostanziali modifiche, visto che meno di un italiano su due oggi è certo di andare a votare».
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L’inizio della fine per l’Ue delle banche, dell’euro e del Ttip
Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime di chi come noi era per la Brexit, il popolo britannico ha detto basta alla Ue. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika. Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che il potere dei mercati e la democrazia sono incompatibili e dobbiamo stare con chi sceglie la democrazia. Con questo voto muore subito il Ttip, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della Ue dell’Euro, delle multinazionali, delle banche e soprattutto dell’austerità. Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della Ue perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche, furiose e inconcludenti dei suoi leader.Anche in questi giorni c’è stato chi ha detto che si sta nella Ue per cambiarla, peccato che la Ue sia indisponibile a qualsiasi cambiamento vero e come tutte le tirannie può solo crollare, non cambiare. Nel no alla Ue è stato decisivo il popolo laburista, che non ha seguito le indicazioni del suo establishment politico e sindacale, ma ha premiato l’impegno di minoranze coraggiose, come il glorioso sindacato dei ferrovieri che abbiamo conosciuto come Eurostop. Minoranze oscurate dai mass media, ma che sono state determinanti. Il popolo della sinistra britannica ha chiarito che sinistra ed europeismo oggi sono incompatibili e che la battaglia contro la Ue delle banche è stata egemonizzata finora da forze di destra perché la sinistra ufficiale ha abbandonato il suo popolo. Ora questo popolo ha bisogno di altri rappresentanti, che in nome della eguaglianza sociale e della democrazia e non dei mercati, ricaccino le destre dal terreno abusivamente occupato.Ora si apre l’epoca del coraggio e tutto si rimette in moto, sarà dura ma questo voto mostra che l’epoca della globalizzazione senza diritti sociali è finita, sono gli stessi mercati a crollare sul potere di argilla che hanno costruito. Tornano i popoli, gli stati, le politiche economiche, i diritti sociali e del lavoro. Sarà dura e non sarà breve, ma c’è tutta una classe dirigente europea da rottamare. Cominciamo qui votando No al referendum di ottobre e mandiamo a casa Renzi e la sua controriforma costituzionale, voluta dalla Ue delle banche. E dopo la Renxit avanti con la Italexit. Grazie al popolo britannico che come nel 1940 dà il via al percorso di liberazione dell’Europa, gli Spitfire sono spuntati dalle urne.(Giorgio Cremaschi, “Brexit, l’inizio della fine per l’Europa delle banche”, da “Micromega” del 24 giugno 2016).Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime di chi come noi era per la Brexit, il popolo britannico ha detto basta alla Ue. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika. Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che il potere dei mercati e la democrazia sono incompatibili e dobbiamo stare con chi sceglie la democrazia. Con questo voto muore subito il Ttip, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della Ue dell’Euro, delle multinazionali, delle banche e soprattutto dell’austerità. Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della Ue perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche, furiose e inconcludenti dei suoi leader.
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Foa: battuta l’élite, ora sappiamo che dall’Ue si può evadere
E ora cambia, davvero, tutto. La decisione degli elettori britannici di lasciare l’Unione Europea è storica innanzitutto per il contesto elettorale in cui è maturata. Tutto, ma proprio tutto, lasciava presagire una vittoria del fronte europeista, soprattutto dopo l’uccisione della deputata Jo Cox, che aveva cambiato la dinamica e il clima della campagna elettorale a sette giorni dal voto. L’ondata del cordoglio è stata enorme. E infatti i sondaggi, i mercati, gli scommettitori davano il sì praticamente scontato. Ci voleva un miracolo per ricambiare il corso della campagna elettorale. E miracolo c’è stato. Forse quel miracolo ha un nome e un volto. Quello della Regina Elisabetta. O meglio del quotidiano popolare più influente del mondo, il “Sun”, che mercoledì ha fatto lo scoop, lasciando intendere che Sua Maestà era favorevole all’uscita dalla Ue, rivitalizzando così le corde di un patriottismo che si pensava fosse diventato marginale e che invece vibra ancora nel cuore del popolo.La tempra di un paese ha prevalso sull’emozione e sul cordoglio. La Gran Bretagna fiera della propria autonomia, convinta della propria unicità, capace di scegliere da sola nei momenti topici della propria storia è risorta, dando ragione a Nigel Farage – un ex uomo d’affari che dal nulla ha creato un partito e trascinato un paese a una svolta storica – e a Boris Johnson, il sindaco di Londra uscente, che non ha esitato a schierarsi contro l’establishment del proprio Paese, dando forza e autorevolezza al movimento anti-Ue. Molti diranno che nei britannici ha prevalso la paura di un’immigrazione ed è innegabile che questo sia stato uno dei temi forti della campagna, ma non è stato un voto razzista; semmai la prova che l’immigrazione è salutare e bene accetta se regolata, ma provoca comprensibili reazioni di rigetto quando diventa impetuosa e di massa.C’era di più, però, in questo referendum: c’era la volontà di difendere l’autenticità delle proprie istituzioni, della sovranità del voto popolare e dunque della propria democrazia. Di dire basta a un’Unione Europea i cui meccanismi decisionali sono opachi, in cui il processo di integrazione viene portato avanti da un’élite transnazionale, vero potere dominante dell’Europa e non solo, tramite un processo caratterizzato da un persistente “deficit democratico”, che li ha portati ad ignorare o ad aggirare la volontà dei popoli, ogni volta che si è opposta ai loro disegni. Talvolta persino a calpestare, come accadde un anno fa, quando la Troika costrinse Atene a rinnegare l’esito schiacciante di un referendum. Lo stesso potrebbe avvenire oggi a Londra, considerato che il referendum era consultivo, ma sarebbe una scelta gravissima, al momento improbabile.Ora si apre una fase di incertezza: i mercati la faranno pagare alla Gran Bretagna, e quell’establishment non si arrenderà facilmente. Vedremo. Quella di ieri è stata, però, una giornata davvero storica. E’ la rivincita della sovranità nazionale. Per la prima volta un paese ha dimostrato che il processo di unificazione europea non è ineluttabile, che dalla Ue si può uscire, rendendo concreta la possibilità che altri paesi seguano l’esempio britannico. Un voto che costringerà l’Unione Europea a gettare la maschera di fronte a un’Europa diversa, autentica, che molti pensavano defunta e che invece è forte e vitale, quella dei popoli. Alla faccia delle élite.(Marcello Foa, “Incredibili britannici, rinasce l’Europa dei popoli”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 24 giugno 2016).E ora cambia, davvero, tutto. La decisione degli elettori britannici di lasciare l’Unione Europea è storica innanzitutto per il contesto elettorale in cui è maturata. Tutto, ma proprio tutto, lasciava presagire una vittoria del fronte europeista, soprattutto dopo l’uccisione della deputata Jo Cox, che aveva cambiato la dinamica e il clima della campagna elettorale a sette giorni dal voto. L’ondata del cordoglio è stata enorme. E infatti i sondaggi, i mercati, gli scommettitori davano il sì praticamente scontato. Ci voleva un miracolo per ricambiare il corso della campagna elettorale. E miracolo c’è stato. Forse quel miracolo ha un nome e un volto. Quello della Regina Elisabetta. O meglio del quotidiano popolare più influente del mondo, il “Sun”, che mercoledì ha fatto lo scoop, lasciando intendere che Sua Maestà era favorevole all’uscita dalla Ue, rivitalizzando così le corde di un patriottismo che si pensava fosse diventato marginale e che invece vibra ancora nel cuore del popolo.
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Brexit, il sogno si avvera: torna il fantasma della democrazia
Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.Brexit suona davvero come fine del mondo, di quel mondo: dal “there is no alternative” di Margaret Thatcher negli anni ‘80 al “padroni a casa nostra” del fatidico 2016. Non c’è alternativa all’iper-liberismo totalitario, neo-aristocratico e privatizzatore del regime fiscale del 3%, dell’Eurozona e del Ttip? A quanto pare, gli inglesi non concordano: una alternativa deve per forza esistere, altrimenti finisce anche il popolo – inteso come comunità votante, sociale ed economica. Da Londra sembra levarsi un boato, destinato ad assordare l’Occidente, fino a coprire di ridicolo anche i più recenti belati italiani: «Noi non siamo mai stati contrari all’Unione Europea, vorremmo solo che fosse un po’ più democratica», ha ripetuto di recente in televisione il grillino Di Battista, nel solco del Casaleggio che, alla vigilia delle europee, dichiarò a Marco Travaglio: «Noi non siamo contrari all’euro». Come se lo scenario fosse dominato dalla paura di dover sfidare apertamente un regime tenebroso, capace di tutto.Aspettiamoci qualsiasi cosa, scrive Federico Dezzani sul suo blog: dal voto inglese fino alle elezioni americane, c’è da temere colpi di coda inimmaginabili. Chi ha cercato in ogni modo di evitare la Brexit adesso farà l’impossibile per sbarrare la strada a Donald Trump, l’imprevedibile tycoon si cui il super-potere non si fida, anche perché – in mezzo a tante chiacchiere confuse e violente – accusa Obama e la Clinton per l’affermazione dell’Isis in Siria e blatera di accordi strategici con la Russia per porre termine alla sporchissima “guerra infinita” che sta ininterrottamente insanguinando il mondo a partire dall’11 Settembre. In questa chiave, hanno ripetuto svariati analisti, va letta anche la strategia della tensione in atto dal Medio Oriente agli Usa, fino agli attentati europei di Parigi e Bruxelles. Segnali che indicano che l’élite del “there is no alternative” è spaccata e inquieta, una parte del vertice planetario si sta defilando di fronte al conto spaventoso dei costi umani della privatizzazione globale, a partire dal massacro della Grecia, con guerre ovunque e l’esodo biblico dei profughi. Ma il voto inglese supera le manovre di vertice, e rimette in campo il fantasma di gran lunga più temuto dagli architetti del medioevo Ue: quello della democrazia.Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.
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Altro che Isis: chi pilota il terrore teme la Brexit e Trump
Ci stanno massacrando, utilizzando la solita manovalanza per le stragi “false flag”. Excalation del terrorismo, ci attendono sei mesi d’inferno: quelli che separano le due paure capitali dell’élite, la Brexit e la vittoria di Trump. «Il sistema euro-atlantico, d’ora in avanti, lotta per la sua sopravvivenza», annuncia Federico Dezzani, che allinea l’inquietudine della super-casta mondiale con l’esplodere degli attentati. «La carneficina di Orlando è l’inizio della strategia della tensione che accompagnerà i prossimi, convulsi, mesi», scrive Dezzani sul suo blog. «A distanza di nemmeno 48 ore è la volta dell’ennesimo attentato dell’Isis in Francia, peso massimo europeo in piena crisi, attraversata da proteste e disordini sempre più accesi. L’escalation di violenza è sintomo che le oligarchie hanno perso il controllo della situazione». L’angoscia che attanaglia le élite atlantiche, aggiunge Dezzani, ricorda quella vissuta dalla classe dirigente europea tra la prima e la seconda guerra mondiale: «Si avverte chiaramente come un’epoca stia finendo ed un mondo, ancora funzionante dal punto di vista formale, sia in realtà in rapida decomposizione».Capita così che il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, uno dei massimi alfieri dell’atlantismo, evochi con riferimento alla Brexit la fine della civiltà occidentale. Puro delirio: «Il collasso dell’Unione Europea e dell’Alleanza Nord Atlantica implicherebbe la fine solo delle oligarchie cui appartiene l’ex-premier polacco, non certo dei popoli europei che, al contrario, potrebbero finalmente rifiatare e riacquistare spazi di manovra». La crucialità del momento, continua Dezzani, nasce dall’accavallarsi di una molteplicità di consultazioni elettorali e dal concomitante deteriorarsi dell’economia, negli Usa come nell’Eurozona: si comincia con il referendum inglese sulla permanenza nella Ue e si termina con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, mentre il rialzo del tassi da parte della Fed è procrastinato sine die e l’Eurozona si dibatte ancora nella deflazione, a distanza di 15 mesi dall’avvio dell’allentamento quantitativo della Bce. «Una vittoria degli anti-europeisti al referendum inglese, un successo di Donald Trump alle presidenziali, il ritorno dell’Eurozona in recessione, rischiano di infliggere il colpo di grazia alla già traballante impalcatura atlantica».Per Dezzani, le contromisure adottate dall’establishment sono riconducibili ad un unico comun denominatore: incutere paura. «Si minaccia l’opinione pubblica inglese di recessione e pesanti sacrifici economici nel caso cui il Regno Unito uscisse dalla Ue, si assaltano i mercati finanziari europei per scongiurare l’eventualità che altri paesi indicano referendum analoghi, si dipingono scenari a tinte fosche qualora si affermassero i candidati “populisti”». Ma attenzione: «Gli effetti sull’elettorato sarebbero modesti senza l’apporto dell’ingrediente più esplosivo: il terrorismo. Bombardando l’opinione pubblica con notizie, immagini e video di stragi compiute nei luoghi della quotidianità (aeroporti, stazioni ferroviarie, discoteche, stadi, quartieri della movida) si ottiene un duplice risultato: si distoglie l’attenzione dalle criticità economiche e si genera domanda di normalità e sicurezza, a discapito delle formazioni anti-establishment e a vantaggio dei partiti tradizionali, difensori dell’ordine vigente».Non è quindi un caso se l’inizio di questa fase delicatissima sia stato scandito da due attentati compiuti a distanza di nemmeno 48 ore l’uno dall’altro, il primo negli Stati Uniti ed il secondo in Francia, entrambi perpetrati ufficialmente allo Stato Islamico. «Dire “Isis” equivale a dire “servizi israeliani ed angloamericani” e sul perché Tel Aviv, Washington e Londra svolgano un ruolo così attivo nella strategia della tensione che sta insanguinando l’Europa, già ci soffermammo in occasione degli attentati di Bruxelles: l’Unione Europea rappresenta il “contenitore geopolitico” dentro cui è racchiuso il Vecchio Continente e la sua sopravvivenza è di vitale importanza per piegare i 28 membri ad unica volontà (quella atlantica), come hanno dimostrato in questi anni i casi delle sanzioni economiche all’Iran e alla Russia». E così, l’attentato dell’11 giugno («firma inequivocabile») al locale omosessuale di Orlando, Florida, «è la sanguinosa ouverture della strategia della tensione che accompagnerà l’Occidente per i prossimi mesi». Omar Mateen, americano di origine afghane, già inserito dall’Fbi in una lista di possibili simpatizzanti dell’Isis, si arma fino ai denti e fa irruzione in una discoteca, dove replica il copione del Bataclan.Per inquadrare l’attentato in una cornice più ampia e ricondurlo all’angoscia delle oligarchie atlantiche, Dezzani consiglia la lettura dell’editoriale “Orlando and Trump’s America” apparso sul “New York Times” il 13 giugno e firmato da Roger Cohen. Il giornalista si fa interprete delle paure che attanagliano le élite, allarmate per la valanga degli eventi (il Brexit, la vittoria alle presidenziali di Trump, l’ingresso all’Eliseo di Marine Le Pen) che rischia di sommergerle. Secondo Cohen, la strage di Orlando e i crescenti consensi raccolti da Trump e dalla Le Pen germogliano nello stesso humus: il malessere economico, la rivolta contro le élite e la frustrazione sociale. «Sono le cause che spingono l’elettorato verso pericolosi salti nel vuoto e i lupi solitari ad imbracciare i fucili». L’esplicito richiamo alla Francia è profetico: nemmeno due giorni dopo, «la strategia della tensione sorvola l’Atlantico e torna a materializzarsi in Francia, la più grande minaccia al sistema atlantico sul versante europeo, seconda solo ad una vittoria degli anti-europeisti all’imminente referendum inglese».Della Francia si è scritto moltissimo: le opache trame degli 007 della Dgse dietro all’attentato di Charlie Hebdo, la censura imposta ai magistrati col segreto militare, le firme “templari” della strage del 13 novembre 2015. Francia in ebollizione, contro il Jobs Act che l’Eliseo vorrebbe infliggere ai cittadini, in ossequio ai diktat neoliberisti della Troika, le famigerate riforme strutturali. Puntuale, la sedicente Isis, cioè «la stessa organizzazione che russi, iraniani e siriani hanno quasi smantellato in Medio Oriente», è tornata a colpire – a cronometro – nella notte tra il 13 ed il 14 giugno, a Magnanville, periferia nord-occidentale di Parigi. Autore dell’ennesima prodezza-kamizake, il solito jihadista già noto ai servizi, Larossi Abballa, che uccide un poliziotto e sua moglie. Finale invariabile: crivellato dal fuoco delle teste di cuoio. Per Dezzani, il duplice omicidio di Magnanville targato Isis è «una vera e propria ciambella di salvataggio lanciata a François Hollande», che ha appena stabilito un nuovo record in termini di impopolarità (è detestato dall’83% dei francesi).«L’attenzione dei media e dell’opinione pubblica è così dirottata sull’attacco del “Califfato”, proprio quando a Parigi, nelle stesse ore, è in programma la nuova mobilitazione dei sindacati contro la riforma del lavoro, una prova di forza con cui la Confédération générale du travail e le altre sigle sindacali di sinistra vogliono spingere l’esecutivo socialista alla capitolazione, costringendolo a ritirare la riforma». La protesta sta crescendo per estensione e profondità, continua Dezzani: «Dopo le raffinerie, i treni, le metropolitane, i porti e il personale di Air France, agli scioperi hanno aderito anche gli addetti alla raccolta dei rifiuti a Parigi». E così, «nonostante lo stato d’emergenza, nonostante il freno inibitorio della minaccia terroristica», con i media concentrati solo sull’attentato, la mobilitazione di Parigi il 14 giugno ha coinvolto un milione e 300.000 cittadini, rafforzando la volontà dei sindacati a continuare gli scioperi ad oltranza.«L’efferatezza della strage di Orlando, il susseguirsi a distanza di meno di 48 ore dell’attacco a Magnanville, l’organizzazione approssimativa degli attentati ed il concomitante crollo delle piazze finanziarie, sono segnali dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico, conscio di quanto l’intera impalcatura su cui è costruito il suo potere sia vicina al collasso», conclude Dezzani. «La prossima, decisiva, tappa è il referendum inglese sulla permanenza nella Ue. L’esplosione del terrorismo internazionale a distanza di pochi giorni dalla consultazione corrobora l’ipotesi che le forze anti-europeiste siano in testa, proprio come il “venerdi nero dell’Isis”, la serie di attentati che insanguinò Tunisia, Francia, Kuwait e Somalia il 26 giugno 2015, preannunciò la vittoria dell’Oxi al referendum greco del 5 luglio». Tutto lascia pensare che lo scenario cambierà di ora in ora, peggiorando ulteriormente, secondo questo invariabile copione di morte e terrore.Ci stanno massacrando, utilizzando la solita manovalanza per le stragi “false flag”. Excalation del terrorismo, ci attendono sei mesi d’inferno: quelli che separano le due paure capitali dell’élite, la Brexit e la vittoria di Trump. «Il sistema euro-atlantico, d’ora in avanti, lotta per la sua sopravvivenza», annuncia Federico Dezzani, che allinea l’inquietudine della super-casta mondiale con l’esplodere degli attentati. «La carneficina di Orlando è l’inizio della strategia della tensione che accompagnerà i prossimi, convulsi, mesi», scrive Dezzani sul suo blog. «A distanza di nemmeno 48 ore è la volta dell’ennesimo attentato dell’Isis in Francia, peso massimo europeo in piena crisi, attraversata da proteste e disordini sempre più accesi. L’escalation di violenza è sintomo che le oligarchie hanno perso il controllo della situazione». L’angoscia che attanaglia le élite atlantiche, aggiunge Dezzani, ricorda quella vissuta dalla classe dirigente europea tra la prima e la seconda guerra mondiale: «Si avverte chiaramente come un’epoca stia finendo ed un mondo, ancora funzionante dal punto di vista formale, sia in realtà in rapida decomposizione».
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Dalla Francia, campane a morto per la dittatura dell’Ue
Sono settimane che in un crescendo straordinario di mobilitazione, lavoratori, studenti, sindacati e nuovi movimenti tengono in scacco il governo francese. Pierre Moscovici, commissario Ue e compagno di partito di Hollande, ha speso la sua autorità europea per sostenere, contro la rivolta di popolo, la “Loi Travail”, la legge che copia il Jobs Act di Renzi e la precedente legge Fornero, liberalizzando i licenziamenti economici. E che soprattutto cancella il contratto nazionale rendendo più forti i contratti aziendali, cosa già possibile da noi con l’articolo 8 della legge Sacconi, fatto proprio da diversi accordi sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil, che rende valide le “deroghe”, cioè il peggioramento, delle regole dei contratti nazionali in sede aziendale. Tutto il lavoro che ha fatto funzionare Expo a Milano è stato regolato secondo queste deroghe. Queste due misure, libertà di licenziamento e superamento dei contratti nazionali, erano già tra i punti programmatici fondamentali indicati al governo italiano il 5 agosto del 2011 dalla lettera di Draghi e Trichet, a nome della Banca Centrale Europea.Sono oggi nelle raccomandazioni e nei diktat che la Ue e la Troika rivolgono verso i paesi che devono aggiustare i conti. Quando Moscovici sostiene che la regolazione liberista del lavoro che Hollande vuole imporre in Francia è quella che esige l’Unione Europea, dice la verità. In Italia la passività e la complicità dei gruppi dirigenti di Cgil, Cisl, Uil, unite al logoramento dei movimenti di massa, alla autodistruzione della sinistra radicale e a un più generale clima di dissolvimento dello spirito democratico, di cui il “renzismo” è solo l’ultimo prodotto, hanno permesso che simili misure passassero sostanzialmente senza ostacoli. In Francia, invece, per la seconda volta dopo la Grecia, assistiamo a una ribellione generalizzata contro le regole economiche e sociali che governano l’Europa. Dopo il No popolare per ora sconfitto in Grecia dopo la resa di Tsipras, la rivolta francese parla di nuovo a tutta l’Europa. E lo fa con la voce di un popolo che nella storia del nostro continente ha spesso suonato quella campana che poi hanno sentito tutti.Il maggio 2016 in Francia ricorda come progressione della mobilitazione quello del 1968 ed è un segnale di sovvertimento generale degli equilibri di potere del continente. Segnale tanto più significativo in quanto la rivolta è contro un governo socialista. Socialisti, democristiani, conservatori, sono oggi le forze politiche che, spesso assieme e sempre con le stesse politiche liberiste, gestiscono il potere della Unione Europea. Merkel, Hollande, Cameron, Renzi sono oramai parte dello sistema di potere, per questo la rivolta francese, quale che sia il suo risultato finale, segna un punto di svolta e rottura. Rottura che si è realizzata nella piccola Austria, dove da destra e da sinistra gli elettori hanno mandato a picco democristiani e socialisti al governo da sempre. La stessa rottura, e anche qui il risultato non sarà la sola cosa a contare, ci sarà a giugno con il referendum sulla Brexit e, seppure in un contesto diverso, da noi in ottobre con quello sulla controriforma costituzionale. È tutto il sistema europeo che scricchiola e lo fa sotto l’estendersi del rifiuto e della contestazione popolare. È una crisi da accogliere con gioia.Sono convinto che, in un futuro speriamo più vicino possibile, ci si chiederà con compassione e incredulità come sia stato possibile che le decisioni fondamentali di paesi formalmente democratici siano state sottoposte al vaglio e al giudizio meticoloso di controllori esterni. Come sia stato possibile che i parlamenti abbiano accettato di rinunciare alla propria sovranità per delegarla ad autorità esterne non elette da nessuno. E soprattutto ci si chiederà come sia stato possibile che le decisioni sul lavoro, sulle pensioni, sulla sanità, sulla scuola, sul sistema produttivo, sulle stesse regole democratiche, siano state prese in funzione del giudizio su di esse da parte di sconosciuti burocrati installati a Bruxelles dai partiti in condivisione con le banche e il potere economico multinazionale. Ci si chiederà come sia stato possibile rinunciare a decidere sugli aspetti fondamentali della propria vita sociale, economica e politica, accettando il potere quasi assoluto di una entità astratta chiamata Europa. Entità astratta dietro la quale si sono nascosti gli interessi concreti delle élite economiche, delle classi più ricche e delle caste politiche e burocratiche di tutti paesi del continente.Tutte queste élite non avrebbero mai avuto la forza di imporre paese per paese, ognuna direttamente contro il proprio popolo, quella drammatica distruzione delle conquiste sociali e democratiche che oggi stiamo vivendo. Da sole non ce l’avrebbero fatta a smantellare la più importante conquista dei popoli del continente, il patrimonio storico politico che l’Europa avrebbe dovuto accrescere e contribuire a estendere in tutto il mondo: lo Stato sociale. Lo Stato sociale era stato sancito dalle costituzioni antifasciste del dopoguerra. Quelle costituzioni che, come la nostra, si erano date l’obiettivo non della semplice eguaglianza giuridica contenuto nei vecchi statuti liberali, ma quello della eguaglianza sociale. Questo sistema costituzionale non poteva piacere alla finanza internazionale. Nel 2013 la Banca Morgan aveva affermato in un suo documento ufficiale che le costituzioni antifasciste, con la loro marcata impronta sociale, erano un ostacolo verso il pieno dispiegarsi della controriforma liberista. Bisognava abbatterle e a questo è servito il nuovo mantra della politica senza alternative: lo vuole l’Europa!Non c’è sciocchezza ideologica più fuorviante dell’affermazione secondo la quale il limite del progetto europeo è che esso sia solo economico e non politico. È vero sostanzialmente il contrario. Il sistema europeo è un sistema politico, costruito per agevolare il dominio dei mercati sulle nostre vite e per affermare il liberismo estremo nelle relazioni economiche e sociali. La costituzione della Unione Europea, i trattati e i patti che la istituiscono e governano, da quello di Maastricht al Fiscal Compact, disegnano l’architettura rigorosa di un sistema di potere con scopi chiarissimi. L’articolo uno reale della costituzione della Unione Europea, se paragonato a quello equivalente di quella italiana, suona così: “L’Unione Europea è una oligarchia fondata sul mercato, la sovranità appartiene al potere economico e finanziario che la esercita secondo le regole della competitività e del massimo profitto”.La rivolta dei lavoratori e dei giovani francesi sconvolge la costituzione reale dell’Europa e segna l’avvio della sua crisi. I popoli hanno cominciato a capire la verità di fondo di questo sistema europeo e cioè che esso non è riformabile, può solo essere rovesciato. La Ue può solo produrre Jobs act in Italia, Loi Travail in Francia ,Memorandum in Grecia. Altro non sa e non può fare. La campana francese suona a morto per l’Unione Europea delle banche e dell’austerità e tutti popoli europei non possono che festeggiare. E prepararsi a seguire l’esempio degli scioperanti francesi.(Giorgio Cremaschi, “La campana della Francia suona per tutti i popoli europei”, dal blog di Cremaschi sull’“Huffington Post” del 28 maggio 2016).Sono settimane che in un crescendo straordinario di mobilitazione, lavoratori, studenti, sindacati e nuovi movimenti tengono in scacco il governo francese. Pierre Moscovici, commissario Ue e compagno di partito di Hollande, ha speso la sua autorità europea per sostenere, contro la rivolta di popolo, la “Loi Travail”, la legge che copia il Jobs Act di Renzi e la precedente legge Fornero, liberalizzando i licenziamenti economici. E che soprattutto cancella il contratto nazionale rendendo più forti i contratti aziendali, cosa già possibile da noi con l’articolo 8 della legge Sacconi, fatto proprio da diversi accordi sottoscritti da Cgil, Cisl, Uil, che rende valide le “deroghe”, cioè il peggioramento, delle regole dei contratti nazionali in sede aziendale. Tutto il lavoro che ha fatto funzionare Expo a Milano è stato regolato secondo queste deroghe. Queste due misure, libertà di licenziamento e superamento dei contratti nazionali, erano già tra i punti programmatici fondamentali indicati al governo italiano il 5 agosto del 2011 dalla lettera di Draghi e Trichet, a nome della Banca Centrale Europea.