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Se Trump spegnesse, con un tweet, anche il Sacro Tav
Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.La mitologia del Tav occidentale resiste da decenni, inattaccabile come un dogma, anche se la sua surreale teologia è stata ripetutamente capovolta, relativizzata, rettificata, sminuita. Doveva essere una linea superveloce per passeggeri, con l’avvento dei voli low-cost è diventata una linea medio-veloce per merci, infine solo un tunnel (ma di 50 chilometri) per merci ormai estinte, che non esisteranno più, sulla dimenticata rotta transalpina tra Italia e Francia, nel ventre del Massiccio dell’Ambin gravido d’acque sommerse, rocce di amianto e vene di uranio. Anche i cinesi devastano intere province, ma almeno hanno uno scopo: costruire dighe idroelettriche. Lo scopo del Tav Torino-Lione va invece rintracciato nella metafisica, evidentemente, nella mistica del potere europeo, il potere reale ma impalpabile, fatto di moneta elettronica gestita da terminali alieni, da imperatori alieni come Mario Draghi, a sua volta agli ordini di invisibili Elohim biblici. La religione, appunto: è l’unica categoria che può spiegare, davvero, la natura più intima dell’oscuro potere europeo, da cui promana – anche – l’ostinata superstizione che protegge, ad ogni costo, la grande opera più screditata della storia italiana, bocciata senza appello (devastante, costosa, completamente inutile) da tutti gli esperti indipendenti della penisola, i tecnici, gli specialisti universitari d’ogni ordine e grado.Lo ripete, inutilmente, anche l’autorità elvetica delegata dalla Commissione Europea a monitorare i trasporti transalpini: la valle di Susa dispone già di una ferrovia internazionale Italia-Francia, quella del Fréjus, che è semi-deserta da anni per mancanza di utenza; sulla linea attuale, il traffico merci potrebbe tranquillamente essere incrementato del 900%. Inutile, dunque – per non dire folle, coi tempi che corrono – insistere nell’aprire un secondo traforo, che costerebbe decine di miliardi, a carico di contribuenti stremati dalla crisi. Le autorità svizzere però ragionano, ingenuamente, come Galileo e Copernico, ignorando cioè che l’astrofisica di Roma e Parigi, Bruxelles e Francoforte è ancora e sempre quella di Tolomeo. A motivare così tenacemente i grandi decisori non è scienza, è verità di fede: gli egemoni non si chinano sul volgare cannocchiale per scoprire com’è davvero il cielo, a loro basta e avanza la certezza incrollabile del dogma, che sorregge la visione magica su cui si fonda il presente feudalesimo illuminato, affidato a una schiera di eletti, secondo cui, semplicemente, quella ferrovia della malora si deve fare, punto. Dio lo vuole. E se la plebe protesta, tanto meglio: imparerà, a sue spese, che la voce del padrone non ammette repliche. Gli ordini non si discutono. La legge è una sola, quella dell’obbediente sottomissione.Ingenui come gli svizzeri, anche i valsusini hanno obiettato, appellandosi alla ragione, ancora confidando in Galileo. Promossero studi, scovarono prove, sfilarono in cortei. Brandendo Copernico, nel lontano 2005 si accamparono in massa sui prati destinati al primo cantiere. Intervenne il governo, che li disperse con la forza (spedendoli all’ospedale). Poi cambiò il governo, ma non la teologia: anche per Prodi, come per Berlusconi, la Terra era sempre piatta e assolutamente immobile. Seguirono ancora Berlusconi, poi Monti, poi Letta, poi Renzi. Tutti devoti alla religione di Tolomeo. Nel frattempo, la situazione non fece che peggiorare: fu introdotto stabilmente il germe dell’ostilità, per coltivare con profitto il carburante della rabbia, foriero di nefaste conseguenze – per la plebe, non certo per gli arconti, i re-sacerdoti, i custodi del Sacro Tav. Ogni tanto alla plebe viene concesso qualche effimero sollievo (il voto, persino il referendum), ma l’impianto teologale resta là, granitico, immutabile. E’ sempre lui, il Signore della Banca, a stabilire il prezzo dei sudditi, inclusi i servitori intermedi e le loro precarie carriere.Così, la Talpa tolemaica ancora scava la sua buia galleria – tunnel geognostico, lo chiamano. Fin dove arriverà, nel suo slancio metafisico? Un tempo, l’antica cosmogonia del Tav ne attestava l’origine divina: sarebbe stato il segmento alpino di un Sommo Disegno, chiaramente provvidenziale, destinato a unire l’Atlantico al Mar della Cina: non più semplici sudditi, gli abitanti dell’area interessata dai futuri cantieri, ma entusiasti neo-cittadini, viaggianti, di una nuova repubblica onirica, la Tratta Kiev-Lisbona. Forse c’è stato qualche contrattempo (provvidenziale, anche quello) se oggi il mezzo di trasporto più in voga è diventato il barcone, la scialuppa. Ma guai a sottovalutare il Disegno: la Talpa è inarrestabile, può raggiungere qualsiasi latitudine sotterranea, dal Celeste Impero al Cremlino. Può scavare anche il fondale oceanico e raggiungere le lontane Americhe. Purché non sbuchi, per errore, alla Casa Bianca – a quel punto, forse, con un tweet, persino il Sacro Tav potrebbe fare la fine dell’F-35. Ma l’America è lontana, cantava qualcuno. E, da questa parte dell’Atlantico, nessuno – nemmeno a Roma, tra i più accesi outsider del Parlamento – ha ancora osato sfidare, per davvero, la teologia di Tolomeo e il feudalesimo dei nuovi Elohim, che s’illuminano d’immenso davanti al terminale elettronico che decreta vita e morte, il destino di interi bilanci, la fortuna e la rovina di interi popoli, a lungo illusi da un sogno chiamato democrazia.Più inafferrabile del Sacro Graal, più misterioso della Pietra Filosofale, più oscuro dei misteri di Rennes-le-Château su cui Dan Brown ha costruito il “Codice da Vinci”. Il progetto Tav Torino-Lione continua imperterrito la sua corsa ottusa e cieca, lunare, in un’Europa sempre più assurda e sempre più povera, emblema di un Occidente autistico, bellicoso e alle prese con rivolte ormai diffuse, elettorali, dalla Francia di Marine Le Pen alla Brexit, fino all’America di Trump, il presidente che con un tweet, in dieci secondi, ha messo fine persino al supremo tabù, l’intoccabile F-35, l’aereo più pazzo del mondo. Tutto cambia, velocissimamente, tranne una cosa: l’aristotelico Tav della valle di Susa, meno celebre dello stealth della Lockeed-Martin ma altrettanto ridicolo. Il Tav valsusino: “motore immobile”, dimostrazione tolemaica del fatto che, in fondo, la Terra è sempre stata piatta. Non gira attorno al sole, è il contrario. O meglio: può girare quanto vuole, la Terra, ma niente fermerà il sacro mostro ammazza-bilanci e sventra-montagne. Lo sanno tutti, da sempre: quel treno non servirà mai a nessuno, tranne ai Re Mida del denaro pubblico che forse, un giorno, costruiranno la linea ferroviaria più costosa e più inutile della storia dell’umanità.
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McGovern: l’America fa paura, come la Germania nel 1933
Donald Trump dovrebbe “perdonare” gli americani per la loro ignoranza e condurre «un assalto frontale contro il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, che ai cittadini hanno raccontato il contrario della verità». Se farà davvero un accordo strategico con Putin, il neopresidente «dimostrerà la sua serietà». Parola di Ray McGovern, ex dirigente della Cia. «Non sappiamo se Trump riuscirà a governare in modo indipendente dall’establishment: Jimmy Carter ci provò, ma non ci riuscì». L’unica buona notizia è che Hillary ha perso: «Si allontana così il rischio di una guerra nucleare», che McGovern – curatore del briefing quotidiano alla Casa Bianca dal 1963 fino al 1990 – giudicava concreto, con la Clinton al comando. Ma non c’è da stare allegri: «La situazione ricorda quella della Germania all’indomani dell’incendio del Reichstag nel 1933, che lanciò Hitler». Il problema? «Gli americani vivono sotto minaccia, dall’11 Settembre». Prima Bush, poi Obama, hanno calpestato la Costituzione in nome della sicurezza. E tutto, sulla base di rischi inventati di sana pianta, come le inesistenti armi di Saddam. Pessimo affare: l’America è nei guai, quindi anche il mondo. C’è solo da sperare che Trump sia sincero, e che non venga mangiato vivo dal super-potere.«Credo che a breve vedremo di che pasta è fatto, Donald Trump», dice McGovern a Giulietto Chiesa, in una video-intervista concessa a “Pandora Tv”. «A parire dall’11 settembre 2001 – dice – gli americani si sentono spaventati, in pericolo: ed è stato l’establishment ad alimentare queste paure». Ora tocca a Trump: riuscirà a non farsi spolpare subito da Wall Street e dal Pentagono? A quanto sembra, le aperture verso la Russia lo confermerebbero. Poi c’è il fronte interno: «Le elezioni si vincono e si perdono sulle questioni economiche». Ufficialmente, «il tasso di disoccupazione è tornato ai livelli di oltre dieci anni fa, ma le persone sono ancora senza lavoro, o costrette a fare due lavori». Trump ha intercettato il malumore della gente comune, che «si sente abbabndonata, non gli piace quello che ha fatto il governo e ha sentito di non contare nulla». Ma la propaganda di Trump – sessismo, razzismo – è stata violenta: «Quello che mi fa paura è che ci troviamo in una situazione non molto diversa da quella che si manifestò dopo l’incendio del Reichstag», dice McGovern. E le premesse per l’esasperazione popolare, aggiunge, portano la firma di Bush e Obama.A partire dall’11 Settembre, insiste Ray McGovern, negli Usa sta prendendo piede una reazione simile a quella della Germania alla vigilia sdel nazismo: «La gente normale è spaventata e crede che la Costituzione debba fare un passo indietro per lasciare spazio a “nuove leggi”: i tedeschi le chiamarono “leggi d’emergenza”, noi Patriot Act. Leggi che infrangono la Costituzione». Ci vogliono anni prima che la Carta stabilisca che sono incostituzionali, ma «nel frattempo, molta viene viene arrestata e incarcerata, illegalmente». Per esempio, il presidente Obama può ancora arrestare qualcuno senza neppure un processo e sbatterlo a Guantanamo, fintanto che è in corso la “guerra al terrorismo”. «Sarebbe legale? No. E’ stata varata, questa legge? No, ma è stata scritta. Quindi, potrebbe essere considerata legale». Nessuno è più libero di criticare il governo, insiste l’ex alto funzionario Cia. «E’ una cosa maledettamente seria. E’ sui libri, è scritta, e ha già un effetto deterrente su ciò che le persone fanno o dicono». Lo stesso Obama ha sorvolato ripetutamente la Costituzione: «Come la mettiamo coi i “presunti terroristi” che il presidente ha ordinato di uccidere in Afghanistan e in Pakistan? Alcuni di loro erano cittadini americani, sono stati privati della loro vita senza un regolare processo. Ma il ministro della giustizia di Obama, Eric Holder, diceva: no, noi non lo facciamo, il giusto processo, lo facciamo già qui alla Casa Bianca, senza bisogno di nessun tribunale».«La cosa più triste», aggiunge McGovern, è che negli Usa «la professione legale si comporta in modo vergognoso: approva la tortura». Tutto merito di «un pugno di avvocati», che hanno dato il loro ok nel silenzio generale dei colleghi, «tutti molto riluttanti, troppo impegnati col loro prossimo ricco contratto». Persino gli psicologi, «utilizzati per avallare le tesi di Bush, dissero che non c’erano state torture: avevano corrotto anche loro». Ma, in compenso, «l’ordine degli psicologi li radiò dall’albo». Lo fecero «perché vincolati alla stessa regola dei medici: non fare del male». McGovern rivendica la “pulizia” di interi settori dell’intelligence: «Sapevamo, anche prima della guerra in Iraq, che le prove delle armi di distruzione di massa di Al-Qaeda e Saddam Hussein erano solo vecchi stracci, cioè che non esistevano. Lo abbiamo fatto presente, ma il presidente voleva la sua guerra, e così è stato». E la stampa? Non pervenuta: si è allienata al potere. Da allora è diventata il megafono della Casa Bianca, prima sotto Bush e poi con Obama. «I media hanno raccontato agli americani che la Russia ha “invaso” la Crimea il 23 febbraio 2014, anziché dire la verità: e cioè che noi, gli Stati Uniti, il giorno prima avevamo fatto un colpo di Stato in Ucraina contro la Russia».Riuscirà Trump a imporre una narrazione veritiera degli eventi? Sarebbe bello, sospira McGovern, dopo che la Clinton ha definito “killer” un leader come Putin, sostenuto da oltre l’80% dei russi. «Credo che Trump ce la possa fare», dice l’ex dirigente Cia, ma dovrà dire ai grandi media: «Ci avete mentito, non ci avete riportato i fatti reali e i problemi dell’Europa». Trump ha l’opportunità di smentire il mainstream, facendo un accordo con Putin. Gli europei? Ne saranno disorientati: «La cattiva notizia, per loro, sarà che dovranno spendere di più per la loro difesa. Ma la buona notizia è che la gente si chiederà: perché?». Già: se la Russia non è più una minaccia, perché investire ancora nella Nato? Allora, dice McGovern, sulla stampa americana cominceremmo a leggere cose del tipo “ok, avevamo esagerato: è vero, non abbiamo più bisogno di incrementare la difesa”. «Se hai a che fare con un popolo che non è stato nutrito di informazioni corrette, devi cominciare a farlo. E Trump lo può fare». Funzionerebbe: «La stampa lo seguirà e dirà: ah è vero, la Russia non è poi così male. Putin? Sta parlando col nostro presidente, quindi non dev’essere così cattivo». Ma lo stesso McGovern è il primo a sapere che, prima, bisogna fare i conti con l’oste: «La stampa è controllata dalle mega-corporations che fanno soldi con l’industria delle armi».Donald Trump dovrebbe “perdonare” gli americani per la loro ignoranza e condurre «un assalto frontale contro il “New York Times” e il “Wall Street Journal”, che ai cittadini hanno raccontato il contrario della verità». Se farà davvero un accordo strategico con Putin, il neopresidente «dimostrerà la sua serietà». Parola di Ray McGovern, ex dirigente della Cia. «Non sappiamo se Trump riuscirà a governare in modo indipendente dall’establishment: Jimmy Carter ci provò, ma non ci riuscì». L’unica buona notizia è che Hillary ha perso: «Si allontana così il rischio di una guerra nucleare», che McGovern – curatore del briefing quotidiano alla Casa Bianca dal 1963 fino al 1990 – giudicava concreto, con la Clinton al comando. Ma non c’è da stare allegri: «La situazione ricorda quella della Germania all’indomani dell’incendio del Reichstag nel 1933, che lanciò Hitler». Il problema? «Gli americani vivono sotto minaccia, dall’11 Settembre». Prima Bush, poi Obama, hanno calpestato la Costituzione in nome della sicurezza. E tutto, sulla base di rischi inventati di sana pianta, come le inesistenti armi di Saddam. Pessimo affare: l’America è nei guai, quindi anche il mondo. C’è solo da sperare che Trump sia sincero, e che non venga mangiato vivo dal super-potere.
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Draghi: ora vi taglio i viveri, così imparate a votare No
«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, prounciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».Si tratta di «un vero proprio disegno politico», contenuto nei dettagli operativi illustrati da Draghi nell’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce. Un evento solo in apparenza tecnico, avverte “Micromega”, in un’analisi firmata “Raro”. Draghi ha annunciato che l’autorità monetaria proseguirà il programma di acquisto di titoli pubblici, come tutti si aspettavano, oltre la scadenza inizialmente prevista per il marzo prossimo, «ma ha aggiunto un elemento di novità in cui pochi credevano: il flusso di liquidità con cui la banca centrale sta tenendo a bada gli spread inizierà a ridimensionarsi, già a partire da aprile». Ciò significa che «la Bce prefigura, per la prima volta, un progressivo alleggerimento dello stimolo monetario garantito da ormai due anni all’Eurozona». Ed è così che, «mentre politici e governanti europei vengono impietosamente travolti dall’onda anomala del populismo antisistema, l’autorità monetaria si profila come l’unica soggettività politica capace di elaborare una qualche forma di reazione della classe dirigente d’Europa».Dopo due anni relativamente tranquilli, scrive “Micromega”, la progressiva riduzione del sostegno ai titoli di Stato «determinerà, nei prossimi mesi, una minore liquidità del debito pubblico europeo e non potrà che portare con sé un rialzo nei tassi di interesse pagati dai governi della periferia, a discapito della stabilità finanziaria». La Bce ha poi esteso il programma sia sul fronte delle scadenze, includendo titoli a più breve termine (fino ad un anno), che sul fronte dei tassi, rendendosi disponibile all’acquisto di titoli caratterizzati da un rendimento inferiore al già negativo tasso sui depositi presso la banca centrale. «Il significato di queste rifiniture del quantitative easing appare chiaro», osserva “Micromega”: «Dal momento che la stragrande maggioranza dei titoli pubblici con rendimenti negativi è ascrivibile alla Germania, e in particolare alle sue scadenze a breve termine, le modifiche apportate al programma di acquisti perseguono l’obiettivo di assicurare a Berlino una quota consistente della liquidità residua che arriverà nei prossimi mesi. Dunque, proprio mentre procede a ridurre la portata del suo supporto alla generalità dei debiti pubblici europei, l’autorità monetaria mette in chiaro che non sarà la Germania a soffrire di questa minore copertura».Al contrario, come i movimenti di Borsa stanno segnalando in queste ore, si assiste già ad una contrazione del rendimento dei titoli tedeschi a fronte di un leggero rialzo di quelli italiani: «Si riaffaccia, in Europa, il fantasma dello spread, ovverosia l’ampliamento del divario tra il costo del debito pubblico dei paesi centrali e quello dei paesi periferici». Per “Micromega”, dunque, «inizia così ad emergere, dal complesso intreccio delle specifiche tecniche della manovra di politica monetaria appena varata, un dato politico». Corsi e ricorsi: fu proprio sulla scia di un repentino ampliamento degli spread che, ad Atene nel lontano 2009, «si è aperta per l’Europa la stagione dell’austerità». Una fase storica «caratterizzata dall’applicazione simultanea, nei principali paesi europei, del medesimo indirizzo politico: abbattimento dello stato sociale, contrazione dei diritti dei lavoratori e redistribuzione del reddito dai salari ai profitti». Un indirizzo politico che, «a dispetto del suo marcato carattere antipopolare», di fatto «non ha incontrato alcuna resistenza significativa per quasi cinque anni, grazie soprattutto al clima emergenziale imposto dai mercati attraverso la frusta dello spread».Tuttavia, «gli esiti socialmente disastrosi di questa violenta accelerazione della globalizzazione hanno fatto maturare un rifiuto dell’austerità e delle sue istituzioni», che ha trovato espressione prima in Grecia, nell’estate 2015, dove l’ennesimo programma “lacrime e sangue” è stato rispedito (invano) al mittente con un referendum, poi in Gran Bretagna un anno dopo con la Brexit, e infine in Italia, con la recente bocciatura della riforma costituzionale promossa dal governo. «Dopo cinque lunghi anni di austerità – continua l’analista di “Micromega” – una borghesia impoverita e un esercito di venti milioni di disoccupati hanno iniziato ad alzare la voce: approfittando dei tre grandi referendum popolari, queste vittime del neoliberismo europeo hanno inferto tre durissimi colpi al progetto di integrazione europea». E attenzione: «È esattamente a questo punto della storia che interviene la mossa decisa da Draghi giovedì scorso: la stretta monetaria programmata per i prossimi mesi si configura come la prima, violenta risposta delle élite europee alla marea antisistema che le sta minacciando».Si tratta di una reazione che «rischia di compromettere la stabilità finanziaria dell’Europa», e proprio su questo punto «si misurerà l’intraprendenza della Bce». La stretta monetaria, infatti, «è pensata per aumentare il grado di esposizione dei governi alla disciplina dei mercati: tolta la protezione del quantitative easing, il debito pubblico dei paesi periferici tornerà ad essere pienamente vulnerabile ai venti della speculazione». Nei progetti dell’autorità monetaria, «la pressione esercitata dai mercati attraverso gli spread può riuscire laddove le regole, da Maastricht al Fiscal Compact, hanno fallito: costringere la periferia d’Europa sulla strada delle riforme e dell’austerità senza ulteriori esitazioni, e dunque senza quella prudenza che l’avanzata dei populismi sembra suggerire alla classe politica europeista». Nel promuovere l’austerità attraverso la disciplina degli spread, Draghi «si pone alla testa di quella classe politica e la trascina sul rischioso crinale dello scontro frontale con gli sconfitti della globalizzazione e le loro rivendicazioni». L’impatto, per “Micromega”, «potrebbe trascinare ancora più a fondo l’Europa».«Una stretta monetaria concepita per soffocare, in un inasprimento della crisi, quel moto di rifiuto della globalizzazione espresso dalle classi popolari impoverite». Mario Draghi esce allo scoperto: dopo la Brexit e il referendum italiano, avverte che “la ricreazione è finita”. La Bce chiuderà i rubinetti del quantitative easing, esponendo gli Stati al ricatto dello spread, senza più protezioni. Fallita la “carota” (Renzi), si torna al “bastone”: meno soldi per tutti, tranne che per la Germania. Una sfida, frontale, a chi ha votato No – a Renzi, all’Ue. Dal presidente della Bce, scrive “Micromega”, arriva la prima, vera risposta dell’élite sconfitta nelle urne italiane e inglesi. In arrivo lacrime e sangue, se gli Stati non vorranno piegarsi alle “riforme strutturali” volute dal super-potere. Tornano alla mente le parole di Guido Carli, storico governatore della Banca d’Italia, pronunciate mentre infuriavano gli anni di piombo: «La politica monetaria è uno strumento rozzo e chi lo brandisce non deve farsi prendere dal batticuore per lo sbraitare di chi ne subisce le ferite. Se non ha questa forza, è meglio che lo deponga». E Draghi «non sembra affatto intenzionato a deporre le sue armi», scrive “Micromega”. Al contrario: «Le affila, per fronteggiare la minaccia del populismo».
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Il Censis: i giovani non hanno nulla. L’Italia sta crollando
Lo scenario “follow the money” è un’altra volta imminente, avverte Pepe Escobar: le banche dell’Unione Europea sono preoccupate della vittoria del No, e questo renderà molto più difficile salvare il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo e attualmente la terza più grande dell’Italia, che ha urgente bisogno di raccogliere 5 miliardi di euro in equity e di svendere 28 miliardi di crediti deteriorati. «L’intero sistema bancario italiano è alle corde, ha bisogno di un pacchetto di salvataggio da almeno 40 miliardi di euro», scrive Escobar su “Rt”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «L’Italia si è affidata alla Jp Morgan per trovare una soluzione». Un uomo come Ewald Nowotny, membro del board della Bce nonché capo della banca centrale austriaca, «insiste che l’Italia potrebbe dover spendere tanti soldi pubblici per il salvataggio», e questo «sarà considerato deleterio dalla maggioranza degli italiani», alle prese con una crisi devastante: la produzione industriale ha perso il 10%. E la disoccupazione, ad un pesante 13%, è «il doppio di quanto non lo fosse durante la crisi economica del 2008». Una fotografia impietosa, aggiunge Paolo Barnard, è quella scattata dal Censis. Che scrive: «Gli anziani si tengono stretto ciò che hanno accumulato dagli anni ’70, i giovani non hanno nulla».La verità, sottolinea Barnard sul suo blog, è che il No «viene da milioni di cittadini furiosi fino all’odio con quel fesso fiorentino che prometteva ma ha solo leccato culi negli executive offices d’Europa, per lasciare a chi già aveva, ma togliere a chi già aveva troppo poco. Guardatevi la mappa del No». Le Austerità, «mai veramente sfidate da Matteo Renzi», secondo il Censis «hanno lasciato 11 milioni di italiani a rimandare esami diagnostici o a cancellarli del tutto». Per l’istituto di statistica, «i poveri assoluti in Italia sono oggi 4,5 milioni». I risparmiatori? «Accumulano, ma non spendono», perché «terrorizzati dal dover pagare di tasca propria i servizi essenziali», cosa che funzionava all’incontrario prima dell’Eurozona, ricorda Barnard, quando cioè era lo Stato a sostenere il welfare, attraverso la lira. Ma a pesare sono soprattutto i giovani, che – infatti – hanno votato No in massa. «Non hanno niente», afferma il Censis. I giovani sono «intrappolati in mini-lavori a bassissimo reddito e zero produttività a causa del Job Act di Renzi». Una riforma che – lo denunciò a “La Gabbia” lo stesso Barnard – è stata scritta «quasi del tutto dalla lobby Business Europe a Bruxelles».E così, conclude il Censis, «la classe media italiana sta scomparendo sotto la ritirata degli investimenti». In più, aggiunge Barnard, «Renzi ha lasciato il 50% delle pensioni sotto i 1.000 euro al mese, ha regalato solo mance di Nano-Economia spostando eurini da un salvadanaio all’altro, la produzione industriale italiana è collassata al 22% nel 2016, il dato peggiore dal 2007, e il Pmi Index delle aziende è al punto più basso da 2 anni». La verità è che a Renzi non glien’è mai importato nulla dell’interesse nazionale, continua Barnard: «Infatti la sua eminenza grigia in economia, Yoram Gutgeld, era un ex executive della McKinsey con l’ossessione della spending review di Bruxelles piantata in testa». Alla fine, «gli italiani più dimenticati hanno impiccato Renzi in piazza». E Goldman Sachs scrive, in un “paper” destinato agli investitori: «Il rapporto fra la disoccupazione giovanile in ogni data regione di voto e il voto No è incredibilmente diretto». E state attenti, avverte Barnard: «Questi sono gli stessi italiani che nelle europee del 2014 avevano dato a Renzi un trionfo. Cosa cazzo ha combinato in soli 2 anni e un po’? Semplice: non ha mantenuto nulla, perché l’uomo di Bruxelles gli diceva sempre No».Dunque che cosa c’è in vista, ora? Una crisi politica «contenibile», secondo Escobar, visto che lo scenario dell’offerta politica italiana «non è esattamente edificante»: c’è un Renzi azzoppato col Pd in rivolta, poi Silvio “bunga bunga” Berlusconi, Grillo, Salvini. In altre parole: nessun Piano-B in campo. «Mentre l’Unione Europea osserva», scrive Escobar, «la linea di fondo è che l’Italia non è vicina ad alcun referendum per lasciare l’Eurozona, per non parlare dell’Unione Europea, in quanto la maggior parte degli italiani sono europeisti (eccetto quando si parla della dominazione tedesca nella Banca Centrale Europea)». La prossima battaglia elettorale vedrà opporsi «l’anti-casta Movimento 5 Stelle» che non sfida apertamente l’Ue né ripudia l’euro, il Pd renziano «ora allo sfascio» e comunque “fedele alla linea” di Bruxelles, e Forza Italia di “nonno Silvio”, probabilmente alleato con la Lega. A tutto penserà, l’Italia, fuorché liberarsi dell’euro, scrive Escobar. «Ma questo implica un intreccio secondario: Angela Merkel, proprio lei, dovrà farsi avanti per dare una mano a “salvare” l’Unione Europea, salvando il Partito Democratico di Renzi».Lo scenario “follow the money” è un’altra volta imminente, avverte Pepe Escobar: le banche dell’Unione Europea sono preoccupate della vittoria del No, e questo renderà molto più difficile salvare il Monte dei Paschi di Siena, la banca più antica del mondo e attualmente la terza più grande dell’Italia, che ha urgente bisogno di raccogliere 5 miliardi di euro in equity e di svendere 28 miliardi di crediti deteriorati. «L’intero sistema bancario italiano è alle corde, ha bisogno di un pacchetto di salvataggio da almeno 40 miliardi di euro», scrive Escobar su “Rt”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. «L’Italia si è affidata alla Jp Morgan per trovare una soluzione». Un uomo come Ewald Nowotny, membro del board della Bce nonché capo della banca centrale austriaca, «insiste che l’Italia potrebbe dover spendere tanti soldi pubblici per il salvataggio», e questo «sarà considerato deleterio dalla maggioranza degli italiani», alle prese con una crisi devastante: la produzione industriale ha perso il 10%. E la disoccupazione, ad un pesante 13%, è «il doppio di quanto non lo fosse durante la crisi economica del 2008». Una fotografia impietosa, aggiunge Paolo Barnard, è quella scattata dal Censis. Che scrive: «Gli anziani si tengono stretto ciò che hanno accumulato dagli anni ’70, i giovani non hanno nulla».
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Galloni: referendum inutile, se il padrone resta Bruxelles
Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.La inaspettata partecipazione e l’atteso No, interpretato come un’espressione di forte protesta, «testimoniano di un popolo assai consapevole e che non ha votato solo di pancia contro il governo renziano o di cuore a difesa della Costituzione, ma anche di testa per impedire una deriva che avrebbe peggiorato le condizioni sociali, economiche, politiche del paese», scrive Galloni su “Scenari Economici”. La controprova? «Sta nelle tre regioni dove il Sì ha prevalso: Toscana, Emilia Romagna, Trentino; le regioni dove si vive meglio e dove ha prevalso, quindi, quell’opportunismo pessimistico che ha consentito di accettare 35 anni di peggioramenti nel timore di perdere quello che si aveva». Finalmente il Centro-Sud «ha invece rialzato la testa», mentre le altre regioni del Nord – cioè «quelle che hanno vissuto, in questi decenni, la perdita del primato industriale» – hanno «segnato la vera sconfitta della controriforma boschiana». Contraccolpi devastanti? «Lo spread non si alzerà se la Bce continuerà a fare il suo normale lavoro; viceversa se tradisse, allora dovremo scendere in piazza qualora non ci fosse sufficiente consapevolezza in questo Parlamento, per ottenere soluzioni di difesa delle nostre istituzioni, ben diversamente da quanto accadde in Grecia (a causa della impreparazione a fronteggiare la situazione)».Ma, se al dunque, i cosiddetti “mercati” e la Bce attenueranno (come pare) le conseguenze del voto, nonostante l’evidente conflitto con questa Europa e la grande finanza, per Galloni rimane aperto un interrogativo di più largo respiro. Da una parte, «l’attuale assetto europeo ha sospeso il giudizio sull’Italia dando a intendere che, in caso di vittoria del Sì, ci sarebbe stata una mano leggera»; dall’altra, Renzi «aveva inaugurato una stagione almeno apparentemente nuova, per le scelte più importanti: flessibilità per le spese di accoglimento dei migranti, sforamento dei parametri per terremoti e altre emergenze, resistenza al “bail in” in nome del prevalere del problema titoli tossici sull’andamento delle cosiddette sofferenze bancarie». L’ultimo Renzi, dunque, «aveva cominciato a muoversi controcorrente e a dire cose interessanti, ma l’appoggio alla controriforma lo ha travolto». Ora, il punto è: impedire che, ancora una volta, si soffochi una corretta lettura dello scenario: l’Italia non può riallinearsi ai diktat Ue, deve invece imporre un cambio radicale di politica, rivendicando spazi vitali di sovranità. Viceversa, dalla crisi non si uscirà. E il referendum non sarà servito a niente.Il lato oscuro di una grande vittoria? Questo: «Molti di quelli che hanno fatto votare No e cadere Renzi sono responsabili del disastro nel quale si trovano le istituzioni e la società italiane. Quindi: usciremo dagli inganni e dagli errori di un trentacinquennio da incubo o dovremo comunque continuare a sottostare ai diktat esterni?». Se lo domanda l’economista keynesiano Nino Galloni, presidente del movimento “Ali” (Alternativa per l’Italia), che all’indomani del voto referendario rivolge un appello «a Beppe Grillo, al Movimento 5 Stelle ed a quanti vogliono ripristinare sovranità popolare in un clima di collaborazione tra tutti i paesi». L’idea: «Elaboriamo un programma di difesa nazionale e di sviluppo responsabile che sappia indicare a tutti un percorso alternativo e di fuoriuscita da una situazione socialmente, economicamente, finanziariamente ed eticamente sempre più insostenibile», prima che i grandi manovratori del fronte del No – pari, per responsabilità – a quelli del fronte del Sì – possano riproporre le stesse formule (sudditanza all’Ue) che hanno condotto il paese al disastro socio-economico.
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Sfatiamo un mito: i Rothschild e Big Pharma ci temono
Attenti all’Uomo Nero: se lo fate diventare un’ossessione, potreste arrivare a crederlo invincibile, proprio come vuole lui. Ma la realtà è un’altra: persino i super-campioni del massimo potere sono vulnerabili. E’ per questo che si affannano tanto a controllarci: i loro immensi privilegi non sono affatto al sicuro. Ci temono, gli Uomini Neri, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Lo sostiene Paolo Barnard, autore di devastanti denunce proprio contro l’oligarchia planetaria: libri, reportage, inchieste, saggi taglienti e profetici come “Il più grande crimine”, che mette a fuoco – con largo anticipo sulla cronaca – la genesi europea della “dittatura” tecnocratica dell’euro, progettata dalla destra economica in combutta con la sinistra “rinnegata”, reclutata segretamente dall’élite per demolire la democrazia sociale in Occidente. Lo stesso Barnard, oggi, avverte: «Nell’immaginario di tanto pubblico c’è un errore tragico, che peraltro devasta le reali possibilità delle opinioni pubbliche di migliorare la propria vita. Si pensa, infatti, che gli agglomerati della ricchezza privata siano padroni del mondo. I Rothschild! Le multinazionali! I big media! Balle. Non lo sono».Naturalmente i grandi poteri «ci provano a esserlo», padroni incontrastati del pianeta. Ci provano eccome, «e con ogni sorta di lobby, ricatto, corruzione». Ma, per il giornalista, la verità fondamentale rimane un’altra. Questa: «I governi glielo permettono». Ma attenzione: «Se vogliono, i governi sono ancora i padroni del mondo. E questo può ancora salvare noi persone». Non ci credete? «Chiedetelo alla GlaxoSmithKline, quel tirannosauro da 24 miliardi di dollari all’anno, tutti in farmaci». Domanda: «Perché questa nozione è di fondamentale importanza da tenere a mente? Perché i governi sono sempre dipendenti dalle opinioni pubbliche, anche se queste troppo spesso se lo dimenticano, per viltà». Se ne deduce, «senza ombra di dubbio», che – visto che i governi sono ancora «i padroni del mondo» – di fatto «risponderebbero alle opinioni pubbliche, se queste si facessero sentire». E allora «è vero che l’uomo e la donna della strada», teoricamente e tecnicamente, «hanno il potere ultimo, in realtà». Solo che «non lo vogliono esercitare», convinti come sono che «il padrone del globo è Rothschild, cioè il potere privato».Il barone Jacob Rotschild? «Potentissimo», certo, «ma neppure lui è riuscito a bloccare la mano dei politici, quando nel trattato sovranazionale che creò la Bce, cioè il Tefu, scrissero quel codicillo maledetto che mette nelle mani della Bce il potere di bloccare qualsiasi mega-banca in Europa». Quel codicillo si chiama “risk control framework”. Risultato: in Europa, oggi, le grandi banche «hanno una mina in pancia che le può far saltare da un momento all’altro per volere politico» (in Europa «ma poi anche in Usa, per leggi diverse»). Il mitico Rotschild «di certo può influenzare Mario Draghi, ma il bottone rosso non ce l’ha». E chi potrebbe riscriverlo, quel codicillo? «I governi». Che, fino a prova contraria, sono ancora organismi elettivi. Lo dimostra il caso della Glaxo, dice Barnard: la “onnipotente” multinazionale del farmaco è stata letteralmente strapazzata dai governi, a cominciare da quello cinese. Se vogliono, sono ancora loro a comandare. E non c’è nessun Uomo Nero che possa impedirlo.«Tutto parte da un Tweet di Bernie Sanders, l’ex candidato alla Casa Bianca, che in ’sti giorni si è messo a bersagliare i giganti del farmaco», racconta Barnard, ricostruendo il caso. «Bernie si sveglia la mattina e scrive un Tweet dove critica ad esempio la multinazionale Eli Lilly, e le azioni di questa crollano. Qualche giorno fa ha sparato contro la GlaxoSmithKline e di nuovo crash in Borsa di questa». Ma su Glaxo pesano spettacolari retroscena. «La Glaxo è un colosso, abituata a fare il bullo nel mondo da sempre. Si presenta ai governi, agli amministratori sanitari, ai singoli medici, e corrompe, impone terapie, ma fa anche di peggio, come tutte le sue colleghe multinazionali». Un giorno la Glaxo arriva in Cina e, come al solito, distribuisce mazzette. «Ma a Londra il N.1 della Glaxo, Andrew Witty, fa l’errore della sua vita, cioè non studia geopolitica, e non si accorge che la Cina sta cambiando immensamente». Ovvero: «Xi Jinping, il presidente, non scherza per un cazzo. E allora ecco che iniziano i guai. Tutto parte dal “whistleblower” di turno, un anonimo hacker che spedisce sia al governo di Pechino che a Witty a Londra delle mail con una storia di corruzione da parte della Glaxo in Cina che fa vomitare». E cioè: «I top manager del colosso inglese in Cina pagavano mazzette ad amministratori, a medici, attraverso prestanome in agenzie di viaggio, se la spassavano con prostitute, e tutto a spese degli ammalati come al solito».E qui la forbice si divarica, continua Barnard: «Mentre gli uomini di Xi Jinping quatti quatti si leggono le mail, quel fesso di Witty e il consiglio d’amministrazione a Londra se ne fottono, anzi». La Glaxo «prova di tutto per insabbiare la cosa, assolda un investigatore privato per depistare le prove, e non smette affatto di corrompere, anzi, corrompe per comprare il silenzio dei cinesi». Errore madornale. «Sono le 5 del mattino di un giorno d’agosto del 2013, le porte dei lussuosi appartamenti dei top manager della Glaxo a Shanghai o Pechino vengono sfondate, gli inglesi gettati a terra e scaraventati in pochi minuti in fetide celle, fra cui il notorio palazzo 803 dove vengono interrogati i dissidenti. La notizia arriva a bomba a Witty a Londra, panico totale». I cinesi di Xi Jinping fanno sul serio, «le prove ci sono ancor prima di interrogare sia i manager britannici che l’investigatore privato, poi le confessioni degli arrestati vengono trasmesse in Tv, live». Una catastrofe: «Le prove sono così schiaccianti che Witty piega immediatamente la testa con una conferenza stampa dove, letteralmente, ’sto ultra-potente amministratore di un gigante mondiale, bela pietà e scuse».Conseguenze: 500 milioni di dollari di multa alla Glaxo; espulsione di alcuni manager fra sputacchi pubblici, e altri a marcire in galera. «La Glaxo corre, sudando ghiaccio, a riscrivere tutti i suoi codici di condotta in Cina, e abbassa i prezzi dei suoi farmaci per Pechino». A cascata: «Gli altri colossi mondiali come Pfizer o Novartis immediatamente ripuliscono i loro affari con la Cina». Ma non finisce qui: «Microsoft drizza le orecchie perché messa sotto inchiesta dai cinesi; Disney trema; la Apple corre ad autodenunciarsi per evasione fiscale in Cina». Ma peggio: «Sull’onda del pugno duro del governo cinese, anche quello americano ha trovato la forza di prendere a calci in culo i super-colossi del farmaco, come Pfizer, Eli Lilly e di nuovo la Glaxo, che si è vista arrivare un verbale da Washington della bellezza di 3 miliardi di dollari per condotte improprie». Aggiunge Barnard: «Penso che Andrew Witty sia passato nell’arco di pochi mesi da tronfio ‘Rothschild del farmaco’ a una pecora zoppa che suda freddo la notte e, come lui, altri amministratori delegati delle più potenti multinazionali del mondo».Ora, si potrebbe argomentare che «la Cina è ormai un tale mostro di potere che, assieme agli Usa, il suo governo si può permettere di sottomettere anche l’imperatore dell’universo». Errore: «Anche la Svezia poteva fare esattamente ciò che ha fatto Pechino, e per due motivi chiari». Primo: oggi, «se gli scandali vengono resi pubblici», succede che «vanno a impattare mostruosamente sugli investitori, che non ci pensano un attimo a fottere le mega-aziende o le mega-banche in Borsa». Basta vedere i “rimbalzi” dopo il Tweet di Bernie Sanders. Secondo motivo: «Con sovranità monetaria il governo della Svezia, come la Cina, non teme il ricatto economico tipico della multinazionale – che è “se mi tocchi ritiro gli investimenti” – semplicemente perché non esiste al mondo un potere economico di alcun tipo che possa avere il potere di fuoco di una banca centrale in coordinamento col ministero del Tesoro». In altre parole: in condizioni di sovranità monetaria, la banca centrale di un paese benestante «può, schiacciando un bottone, distruggere in un pomeriggio la rivalità di Apple, Microsoft, Volkswagen, Jp Morgan, Goldman Sachs e Toyota messi assieme». Quindi, un governo che lo volesse «potrebbe schiacciare qualsiasi Rotschild di qualsiasi potere privato, punto». Perché non lo fanno più spesso? «Troppa poca pressione dalle opinioni pubbliche». E allora, conclude Barnard, «possiamo forse prendercela col quarto barone Jacob Rothschild? Macché, siamo noi, fessi vili orde di ebeti che sediamo su una miniera d’oro e pensiamo che sia un bidè».Attenti all’Uomo Nero: se lo fate diventare un’ossessione, potreste arrivare a crederlo invincibile, proprio come vuole lui. Ma la realtà è un’altra: persino i super-campioni del massimo potere sono vulnerabili. E’ per questo che si affannano tanto a controllarci: i loro immensi privilegi non sono affatto al sicuro. Ci temono, gli Uomini Neri, anche se noi non ce ne rendiamo conto. Lo sostiene Paolo Barnard, autore di devastanti denunce proprio contro l’oligarchia planetaria: libri, reportage, inchieste, saggi taglienti e profetici come “Il più grande crimine”, che mette a fuoco – con largo anticipo sulla cronaca – la genesi europea della “dittatura” tecnocratica dell’euro, progettata dalla destra economica in combutta con la sinistra “rinnegata”, reclutata segretamente dall’élite per demolire la democrazia sociale in Occidente. Lo stesso Barnard, oggi, avverte: «Nell’immaginario di tanto pubblico c’è un errore tragico, che peraltro devasta le reali possibilità delle opinioni pubbliche di migliorare la propria vita. Si pensa, infatti, che gli agglomerati della ricchezza privata siano padroni del mondo. I Rothschild! Le multinazionali! I big media! Balle. Non lo sono».
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Hayek, il profeta dell’élite che ha rottamato la democrazia
Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».La sua pubblicazione nel 1960 segnò la transizione da una filosofia rispettabile, anche se estrema, ad un caos totale, scrive Monbiot, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Quella filosofia era chiamata neoliberalismo. «Considerava la competizione come la caratteristica distintiva delle relazioni umane. Il mercato avrebbe trovato la sua naturale gerarchia di vincitori e perdenti, e ne sarebbe risultato un sistema più efficiente di quanto sarebbe stato possibile attraverso la programmazione o la progettazione». Attenzione: «Qualsiasi cosa impedisse tale processo, come tasse sostanziose, regole, attività sindacali o incentivi statali, era controproducente. L’imprenditorialità senza restrizioni avrebbe prodotto una ricchezza con effetti positivi a cascata su tutti». Quando Hayek iniziò a scrivere “The Constitution of Liberty”, «la rete di lobbisti e pensatori che aveva creato stava ricevendo generosi finanziamenti da parte di multi-milionari che vedevano questa dottrina come un modo per difendere se stessi dalla democrazia». Hayek inizia il libro suggerendo la concezione più semplice possibile di libertà: l’assenza di coercizione. Rifiuta nozioni come libertà politica, diritti universali, uguaglianza degli esseri umani e distribuzione equa della ricchezza.Tutti concetti che, limitando il campo d’azione di ricchi e potenti, si interpongono tra loro e l’assoluta libertà dai vincoli a cui ambiscono. La democrazia, al contrario, «non è un valore supremo o gradito a tutti». Infatti, la libertà consiste nell’impedire che la maggioranza abbia potere decisionale sulla direzione che la politica e la società decidono di prendere. Hayek «giustifica questa visione delineando una narrativa epica di estrema prosperità», e identifica l’élite economica «con un gruppo di pionieri della filosofia e della scienza che spenderanno il loro denaro in modi nuovi». Così come il filosofo politico dovrebbe essere libero di “pensare l’impensabile”, allo stesso modo «chi è molto ricco dovrebbe essere libero di tentare l’infattibile, senza vincoli posti dall’interesse collettivo o dall’opinione pubblica». E allora i super-ricchi diventano «esploratori» che «sperimentano nuovi stili di vita», tracciando la strada che il resto della società seguirà. Il progresso della società «dipende dalla libertà di questi “indipendenti” di guadagnare tutto il denaro che vogliono e di spenderlo come meglio credono. Tutto ciò che è buono e utile, quindi, deriva dall’ineguaglianza». Non ci dovrebbe essere connessione tra merito e ricompensa, nessuna distinzione tra guadagni giusti e immeritati e alcun limite agli affitti che possono far pagare.Inoltre, la ricchezza ereditata è socialmente più utile di quella guadagnata: «Il ricco indolente», che non deve lavorare per denaro, può dedicarsi a influenzare «aree di pensiero e opinione, gusti e idee». Anche quando sembra che spenda soldi solo per uno «sfoggio senza senso», sta in realtà agendo da avanguardia della società. Tutto ciò che il ricco fa è, per definizione, positivo. Hayek ammorbidì l’opposizione ai monopoli e irrigidì quella verso i sindacati. Criticò la tassazione progressiva e ogni tentativo da parte dello Stato di elevare il benessere generale dei cittadini. Insistette che ci fossero «argomentazioni schiaccianti contro la sanità pubblica gratuita per tutti» e respinse l’idea della salvaguardia delle risorse naturali (non stupisce che abbiano dato il Nobel per l’economia). Sicché, «quando la signora Thatcher sbatté il suo libro sul tavolo, si era già formata su entrambe le rive dell’Atlantico una vivace rete di think tank, lobbisti e accademici che promuovevano la dottrina di Hayek, abbondantemente finanziata da alcune delle persone e compagnie più ricche del pianeta, compresi DuPont, General Electric, la società di birrificazione Coors, Charles Koch, Richard Mellon Scaife, Lawrence Fertig, il William Volcker Fund e la Earhart Foundation».Usando in modo geniale la psicologia e la linguistica, continua Monbiot, i pensatori sponsorizzati da queste persone trovarono le parole e le argomentazioni necessarie per trasformare l’inno all’élite di Hayek in un programma politico plausibile. Il Thatcherismo e il Reaganismo? Due facce del medesimo neoliberismo: «L’imponente taglio alle tasse per i ricchi, l’attacco ai sindacati, la riduzione degli alloggi popolari, la liberalizzazione, privatizzazione, delocalizzazione e la concorrenza nei servizi pubblici erano già stati teorizzati da Hayek e dai suoi discepoli». Ma il vero trionfo di questo network, sottolinea Monbiot, non fu la sua “innovativa” concezione del diritto, bensì «la conquista di partiti che un tempo erano schierati a favore di tutto ciò che Hayek detestava», cioè le formazioni politiche “di sinistra”, che furono completamente “colonizzate”. Bill Clinton e Tony Blair «estrapolarono alcuni elementi di ciò che un tempo i loro partiti avevano creduto, lo combinarono con idee prese in prestito dai loro oppositori, e da questa improbabile combinazione diedero vita alla “terza via”. Era inevitabile che lo sfavillante e rivoluzionario entusiasmo del neoliberalismo avrebbe esercitato una forza di attrazione più potente della stella morente della democrazia sociale».Dovunque, allora, si poteva assistere al trionfo di Hayek: dall’ampliamento della Private Finance Initiative di Blair alla revoca da parte di Clinton del Glass-Steagal Act, che regolava il settore finanziario. «Nonostante le sue lodevoli intenzioni, nemmeno Barack Obama aveva una narrativa politica ben definita (eccetto la “speranza”), e lentamente è stato cooptato da coloro che detenevano migliori mezzi di persuasione». Il risultato di tutto ciò è stato «prima l’indebolimento del potere e poi la privazione dei diritti civili». Se l’ideologia dominante consiglia ai governi di non garantire più la giustizia sociale, «essi non possono più rispondere ai bisogni dell’elettorato», e così «la politica diventa irrilevante per le vite dei cittadini». Al che, il cittadino defraudato dei propri diritti «si rivolge verso un’astiosa anti-politica, dove fatti e ragionamenti vengono sostituiti da slogan». Il risultato di oggi è paradossale, dice Monbiot: proprio la sollevazione popolare contro la “dittatura” del neoliberismo «ha portato al successo proprio quel tipo di uomo che Hayek mitizzava», cioè Donald Trump, ovvero un uomo «che non ha una visione politica coerente, non è un neoliberale classico, ma è la perfetta rappresentazione dell’“indipendente” di Hayek: è il beneficiario di una fortuna ereditata, non assoggettato ai comuni limiti della moralità, le cui rozze inclinazioni aprono nuove strade che altri potrebbero seguire».I pensatori neoliberali adesso «brulicano intorno a questo uomo vacuo, a questo vaso vuoto che aspetta di essere riempito da coloro che sanno bene cosa vogliono». Il probabile risultato «sarà la demolizione di tutto ciò che ancora ci fa onore, a cominciare dall’accordo sulla limitazione del riscaldamento globale». Conclude Monbiot: «Coloro che raccontano storie governano il mondo. La politica è fallita a causa della mancanza di narrative valide. La sfida principale adesso è raccontare una storia nuova, quella di cosa significhi “umanità” nel ventunesimo secolo». Un nuovo “racconto”, dunque, che «deve essere tanto seducente per coloro che hanno votato Trump e lo Ukip, quanto per i sostenitori di Hillary Clinton, Bernie Sanders o Jeremy Corbyn». La psicologia e le neuroscienze riconoscono che gli esseri umani, rispetto ad altri animali, sono al tempo stesso fortemente sociali e fortemente egoisti? Certo, e «l’atomizzazione e il comportamento cinico che il neoliberalismo promuove va contro quasi tutto ciò che caratterizza la natura umana. Hayek ci ha detto chi siamo, e si sbagliava. Il primo passo da compiere è riappropriarci della nostra umanità».Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».
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Cacciari: arriva la catastrofe, solo il Pd non lo capisce
«Oggi trionfano quelli che chiamate populisti, ma domani sarà molto peggio: vincerà la destra-destra, quella vera, con conseguenze spaventose per l’Europa». Il filosofo Massimo Cacciari, in prima serata, dipinge così il day-after referendario, parlando ai (pochi) renziani moderati, ancora tramortiti dallo tsunami del 4 dicembre. «Sono anni – dice Cacciari, ospite di Lilli Gruber su La7 – che chiedo inutilmente al Pd di fare qualcosa contro la crisi che sta devastando il tessuto sociale italiano, a cominciare dalla stessa base sociale di quel partito». E invece sono arrivati il beffardo Jobs Act e provocazioni continue contro i sindacati, fino all’harakiri finale: una riforma costituzionale assurda, incomprensibile, respinta a furor di popolo da chi si è sentito essenzialmente preso in giro. E la musica non cambia nemmeno dopo la débacle di Renzi: «Ci risiamo con le polemiche di palazzo, i calcoli, le tattiche. Non una sola parola di vera autocritica, da un partito ormai al governo da quattro anni. Cosa intende fare, il Pd, per rispondere alle drammatiche urgenze degli italiani?». Perdurando l’assenza di risposte, Cacciari vede una strada a senso unico: il legittimo voto di protesta aprirà la strada al livido trionfo di una destra intollerante e reazionaria, di cui avere paura.Cacciari sa benissimo che il Pd è un fallimento, «e infatti Renzi ha potuto impadronirsene proprio perché in crisi: fosse stato in buona salute, non avrebbe avuto quello spazio». E il Pd «si è rotto fin dall’inizio, una settimana dopo la sua fondazione», a cui il filosofo (già sindaco di Venezia) collaborò, per poi distaccarsene rapidamente. Cacciari si rifiuta di aderire alla lettura dei critici più intransigenti, secondo cui il centrosinistra in Europa (quindi il Pd in Italia) non è stato “un fallimento, frutto di errori”, ma un complice organico, cooptato dalla destra economica per distruggere i diritti sociali, patrimonio storico della sinistra. Demolire il welfare sarebbe stato impossibile, per governi di centrodestra: occorrevano “collaborazionisti” in grado di mobilitare l’elettorato di sinistra per appoggiare tutte le controriforme degli ultimi anni, dai decreti sul lavoro all’agenda Monti, nel quadro di un “format” europeista modellato dalla finanza e dalle multinazionali con l’obiettivo di sterilizzare le pulsioni sociali dei governi, l’istinto democratico di protezione delle comunità nazionali, verso il tramonto storico dei diritti. «Siamo sull’orlo della catastrofe», dice Cacciari, ben sapendo che il voto del 4 dicembre è l’ultimo avvertimento prima del “diluvio” che minaccia di travolgere tutto.Anziché liquidare il Pd come “gatekeeper”, abbaglio collettivo e specchietto per allodode “di sinistra”, in realtà completamente asservito all’élite, Cacciari insiste sul partito fondato da Veltroni, poi ereditato da Franceschini e Bersani, quindi “occupato militarmente” da Renzi. Nel mirino del filosofo veneziano restano le imbarazzanti nomenklature alla testa di un disegno fallito (o di un grande inganno, a seconda dei punti di vista), ma la prima preoccupazione è per l’elettorato, che rappresenta ancora un patrimonio sociale e culturale che il Pd ha prima congelato, poi illuso, e oggi deluso e tradito. “Smontato” anche quello, secondo Cacciari, cadrà un argine: e i dirigenti del Pd non stanno facendo nulla perché quella diga non crolli. La situazione dell’Italia, sotto il regime Ue, è ormai insostenibile: e dal partito di Renzi, D’Alema e Bersani, non un fiato. I giovani, in massa, hanno votato No al referedum. Ma l’ex Ulivo non ha nulla da dire, di serio, sull’Europa – nulla da proporre, in concreto, per riscrivere (davvero) le regole, costruendo un orizzonte sostenibile, diverso dai salari irrisori, dai lavori precari e neo-schiavistici. Il boato del No ha frastornato tutti, dimissionando Renzi, ma a quanto pare non ha sortito alcun effetto capace di trrasformare il Pd in uno strumento socialmente utile.«Oggi trionfano quelli che chiamate populisti, ma domani sarà molto peggio: vincerà la destra-destra, quella vera, con conseguenze spaventose per l’Europa». Il filosofo Massimo Cacciari, in prima serata, dipinge così il day-after referendario, parlando ai (pochi) renziani moderati, ancora tramortiti dallo tsunami del 4 dicembre. «Sono anni – dice Cacciari, ospite di Lilli Gruber su La7 – che chiedo inutilmente al Pd di fare qualcosa contro la crisi che sta devastando il tessuto sociale italiano, a cominciare dalla stessa base sociale di quel partito». E invece sono arrivati il beffardo Jobs Act e provocazioni continue contro i sindacati, fino all’harakiri finale: una riforma costituzionale assurda, incomprensibile, respinta a furor di popolo da chi si è sentito essenzialmente preso in giro. E la musica non cambia nemmeno dopo la débacle di Renzi: «Ci risiamo con le polemiche di palazzo, i calcoli, le tattiche. Non una sola parola di vera autocritica, da un partito ormai al governo da quattro anni. Cosa intende fare, il Pd, per rispondere alle drammatiche urgenze degli italiani?». Perdurando l’assenza di risposte, Cacciari vede una strada a senso unico: il legittimo voto di protesta aprirà la via al livido trionfo di una destra intollerante e reazionaria, di cui avere paura.
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Il paese scoppia? Ora se ne ‘accorgono’ anche Tv e giornali
Con un’affluenza massiccia e una percentuale schiacciante di “No”, «l’elettorato ha svelato l’esistenza nel nostro paese di un popolo della rivolta», quello che i media mainstream hanno accuratamente evitato di rappresentare. Un “popolo” che «ha bocciato la riforma della Costituzione, il presidente del Consiglio e l’establishment di governo». A votare contro Renzi, scrive Maurizio Molinari sulla “Stampa”, «sono state le famiglie del ceto medio disagiato, impoverito dalla crisi economica, senza speranze di prosperità e benessere per figli e nipoti», ma anche «i giovani senza lavoro, gli operai che si sentono minacciati dai migranti e gli stipendiati a cui le entrate non bastano più». È un “popolo della rivolta”, espressione dello stesso disagio che in Gran Bretagna ha prodotto la Brexit e negli Usa ha incoronato Trump. Caduta l’illusione-Renzi, ora bisogna «dare in fretta risposte chiare alle crisi all’origine della protesta del ceto medio», massacrato dal rigore imposto da Bruxelles e inasprito a partire dal governo Monti, che i giornali – compreso la “Stampa” – solo pochi anni fa accolsero come il salvatore del paese.Contrordine, a quanto pare: anziché i tagli senza anestesia della riforma Fornero «serve un nuovo welfare per le famiglie in difficoltà», scrive oggi il direttore del quotidiano torinese, di fronte alla catastrofe dell’evidenza. Lo stesso Molinari utilizza ancora il lessico renziano, dice che bisogna «far ripartire» l’Italia. Già, ma come? «Non basta un nuovo governo», concede il direttore della “Stampa”: «Bisogna rispettare il popolo della rivolta e rispondere alle sue istanze». Sulle stesse pagine, un osservatore come Mattia Feltri ammette che «ha vinto la gente, il mare di gente che non si fida più». Si tratta di gente «molto ben disposta verso l’inverosimile e diffidente verso il verosimile», secondo Feltri, «per intima ed esasperante convinzione che là fuori c’è qualcuno che lavora alla sua infelicità, perché manca il lavoro, perché si indeboliscono le garanzie, per invidia sociale, perché l’investimento in banca è andato storto, perché ci sono i poteri forti, perché c’è l’Europa, perché c’è una classe dirigente che in quanto tale campa sulla pelle delle periferie, fisiche o esistenziali». Comune denominatore, il «rifiuto feroce dell’establishment farabutto, una condizione che non riguarda soltanto l’Italia, come raccontano di recente la Brexit e Donald Trump».Eppure non è piovuto dal nulla, lo tsunami, anche se i giornalisti oggi se ne meravigliano. Non una recensione, sui media mainstream, dell’esemplare saggio “Il più grande crimine”, in cui Paolo Barnard – giornalista maiuscolo – ricostruisce la genesi dell’inevitabile disastro euro-Ue. Silenzio anche su voci “eretiche” ma terribilmente profetiche come quelle dell’economista Nino Galloni, secondo cui, semplicemente, il sistema-euro equivale in modo matematico al declino italiano. Non un articolo, sui grandi giornali, neppure sul libro “Massoni” di Gioele Magaldi, dove alcune eminenze grigie della super-massoneria internazionale definiscono gli italiani «bambinoni deficienti», capace di accogliere col tappeto rosso «i tre commissari che gli abbiamo inviato, nell’ordine: Monti, Letta, Renzi». Fuori dal coro dei “chi l’avrebbe mai detto?”, si segnala “Il Giornale”, che indica in Giorgio Napolitano l’altro grande sconfitto del 4 dicembre: l’ex capo dello Stato, scrive Gian Maria De Francesco, «s’era abituato a trattare Palazzo Chigi come una propria dépendance, insediandovi l’uomo che ha messo in ginocchio il paese a suon di tasse, condannandolo a una recessione dalla quale ancor oggi fatica a tirarsi fuori nonostante la spesa in deficit di Renzi sotto forma di mance e mancette varie».Per denigrare i 5 Stelle, alla vigilia del voto Napolitano s’era spinto oltre le colonne d’Ercole: «Non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite», aveva detto. «Alla faccia della democrazia e della Costituzione», chiosa De Francesco. Ci si era messo anche l’anziano Eugenio Scalfari: prima della democrazia c’è l’oligarchia, perché il popolo non sa governarsi da solo. Parole nelle quali risuona l’eco della “sinarchia”, la forma di governo evocata a fine ‘800 dall’influente esoterista francese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, come ricorda Gianfranco Carpeoro nel suo saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. Il potere quasi religioso dell’oligarchia “illuminata”: ieri, contro la marea montante del socialismo e dell’anarchismo. Oggi invece la rivolta (solo elettorale) corre via smartphone. Il “popolo” è esasperato? Se ne sono accorti persino loro, i giornalisti. Ben attenti, comunque – ancora – a non dare la parola a chi questa crisi l’aveva annunciata, con anni di anticipo, spiegandone le ragioni nei minimi dettagli. Uno su tutti: senza più sovranità, un paese crolla. Senza la disponibilità di una moneta pubblica crollano il bilancio, l’economia, l’occupazione. A crescere sono solo le tasse e il debito. Ma non è una notizia, è una legge (dell’economia). A proposito di leggi, l’Italia invece ha inserito nella propria Costituzione – così enfaticamente difesa il 4 dicembre – il pareggio di bilancio, cioè la morte clinica dello Stato come soggetto garante del benessere della comunità nazionale.Con un’affluenza massiccia e una percentuale schiacciante di “No”, «l’elettorato ha svelato l’esistenza nel nostro paese di un popolo della rivolta», quello che i media mainstream hanno accuratamente evitato di rappresentare. Un “popolo” che «ha bocciato la riforma della Costituzione, il presidente del Consiglio e l’establishment di governo». A votare contro Renzi, scrive Maurizio Molinari sulla “Stampa”, «sono state le famiglie del ceto medio disagiato, impoverito dalla crisi economica, senza speranze di prosperità e benessere per figli e nipoti», ma anche «i giovani senza lavoro, gli operai che si sentono minacciati dai migranti e gli stipendiati a cui le entrate non bastano più». È un “popolo della rivolta”, espressione dello stesso disagio che in Gran Bretagna ha prodotto la Brexit e negli Usa ha incoronato Trump. Caduta l’illusione-Renzi, ora bisogna «dare in fretta risposte chiare alle crisi all’origine della protesta del ceto medio», massacrato dal rigore imposto da Bruxelles e inasprito a partire dal governo Monti, che i giornali – compreso la “Stampa” – solo pochi anni fa accolsero come il salvatore del paese.
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Smascherato il Bomba, l’Italia crederà al prossimo Renzi?
Ha perso Renzi, questo è certo. E’ importante? Forse: Renzi è stato smascherato, si era venduto come salvatore della patria. Uno strano salvatore: sbrigativo, facilone, e pure attaccabrighe. Come se i nemici dell’Italia fossero ragazzotti, anche loro, da sfidare al bar. Ma gli elettori hanno scoperto il gioco: non c’erano altri ragazzotti in circolazione, a parte quello auto-insediatosi a Palazzo Chigi. In giro c’erano, e ci sono, solo squali. E che squali: Juncker, la Merkel, Draghi, la Bundesbank, BlackRock e compagnia privatizzante. Hanno fiutato l’imbroglio, gli elettori: il fiorentino dalla parola svelta (e mai mantenuta) serviva, sottobanco, proprio loro, i grandi poteri che da sempre “coltivano” l’Italia, in modo che il Belpaese non potesse rappresentare un pericolo per i supremi interessi in gioco. Era peggiore di altri, Renzi? Sicuramente più sfrontato. Ma lo schema è sempre uguale: allevare una classe dirigente docile, corrotta e quindi ricattabile, oppure finto-ribelle (che è lo stesso, se non peggio). Poi nel frattempo le cose vanno male? C’è crisi, si capisce: bisogna soffrire. E magari fustigare gli antichi vizi italici, la pigrizia, l’opportunismo. O, ancora: additare nemici immaginari, evitando di inquadrare quelli veri, che non abitano nemmeno lontano da casa. Sono regole di guerra: senza collaborazionisti, l’esercito invasore è nei guai. Ma chi li vota, i collaborazionisti?Sono bravi, i tribuni della plebe, a fare in modo che il popolo invaso prenda lucciole per lanterne: madornale, il 40% rimediato dal Pd renziano alle europee 2014, appena un anno e mezzo fa. Un mandato troppo grande, evidentemente, per il piccolo fiorentino, l’uomo del bar specializzato nel gioco su più tavoli. Ti può andar bene una volta, ma non sempre: alla lunga, diventi antipatico. Bel problema: per te, ma soprattutto per i tuoi capi, già al lavoro per trovare una soluzione di ripiego che risulti indolore, per i loro sovrani interessi. A caldo, dovranno sicuramente punire la plebe insubordinata: colpirne uno per educarne cento, come scrive Paolo Barnard sul “Daily Express” di Londra, perché guai se gli italiani la passano completamente liscia dopo aver detronizzato l’amico di Angela e Hillary, di Obama e del Ttip – guai, perché gli inglesi post-Brexit potrebbero pensare di uscire indenni anche loro dalla morsa dei neo-feudatari, e a maggior ragione i francesi si sentirebbero incoraggiati, nel 2017, a licenziare i collaborazionisti di casa, eleggendo all’Eliseo una outsider come la signora Le Pen a cui nessuno, a Bruxelles e Berlino, ha finora potuto dare ordini.Si mette male? I signori dello spread picchieranno sodo? Fino a che punto, è da vedersi: vista la situazione – con i media mainstream che non controllano più l’opinione pubblica – quanto conviene, ai dominus, trasformare l’Italia in una specie di Grecia? La storia insegna che i sommi manovratori prediligono di gran lunga l’illusionismo, un po’ come fu per lo stesso Renzi, il super-rinnovatore che ha semplicemente tagliato i diritti del lavoro, come richiesto dalla cupola di Bruxelles, in ossequio al piano di svalutazione interna (salari, pensioni, welfare) imposto dalla moneta unica. Per introdurlo, l’euro, in Italia è stato necessario lo tsunami di Mani Pulite, che ha tolto di mezzo personaggi come Craxi e Andreotti, che mai avrebbero calato le brache a Maastricht. Gli italiani, allora, gridarono alla liberazione, alla rivoluzione. Oggi, la crisi ha colpito in modo devastante: i giovani del 2016 non sono quelli degli anni ‘90, che un futuro a casa ce l’avevano. Il bisogno di riscostruzione è percepito in modo lancinante, come conferma lo stesso consenso accordato fino a ieri persino a Renzi, che infatti ha perso solo quando ha voluto spaccare il paese in due. Comunque vada, dicono molti osservatori, sarà dura. Molte favole sono state archiviate come frottole. Ma una narrazione veritiera per ora si fa strada solo in negativo, a suon di No.Ha perso Renzi, il Bomba, questo è certo. E’ importante? Forse: Renzi è stato smascherato, si era venduto come salvatore della patria. Uno strano salvatore: sbrigativo, facilone, e pure attaccabrighe. Come se i nemici dell’Italia fossero ragazzotti, anche loro, da sfidare al bar. Ma gli elettori hanno scoperto il gioco: non c’erano altri ragazzotti in circolazione, a parte quello auto-insediatosi a Palazzo Chigi. In giro c’erano, e ci sono, solo squali. E che squali: Juncker, la Merkel, Draghi, la Bundesbank, BlackRock e compagnia privatizzante. Hanno fiutato l’imbroglio, gli elettori: il fiorentino dalla parola svelta (e mai mantenuta) serviva, sottobanco, proprio loro, i grandi poteri che da sempre “coltivano” l’Italia, in modo che il Belpaese non possa mai rappresentare un pericolo per i supremi interessi in gioco. Era peggiore di altri, Renzi? Sicuramente più sfrontato. Ma lo schema è sempre uguale: allevare una classe dirigente docile, corrotta e quindi ricattabile, oppure finto-ribelle (che è lo stesso, se non peggio). Poi nel frattempo le cose vanno male? C’è crisi, si capisce: bisogna soffrire. E magari fustigare gli antichi vizi italici, la pigrizia, l’opportunismo. O, ancora: additare nemici immaginari, evitando di inquadrare quelli veri, che non abitano nemmeno lontano da casa. Sono regole di guerra: senza collaborazionisti, l’esercito invasore è nei guai. Ma chi li vota, i collaborazionisti?
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Renzi travolto, media ancora umiliati dopo Brexit e Trump
«E fanno tre. Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, anche il referendum italiano si può tranquillamente interpretare come un calcio in faccia al pensiero mainstream, per quanto fortemente sostenuto e veicolato dai media di regime», osserva Massimo Mazzucco, mentre i dati scodellano il bruciante 6-4 che costringe Renzi a lasciare Palazzo Chigi, sommerso dal voto contrario della maggioranza degli italiani, il 70% alle urne (solo uno su tre è rimasto fermo all’astensionismo). Ma, insieme al finto “rottamatore” al servizio dei super-poteri europei e finanziari, tra gli sconfitti Mazzucco iscrive soprattutto i media: «Non ha funzionato il terrorismo mediatico contro la Brexit (“crollerà l’economia britannica”, avevano detto), non ha funzionato il terrorismo mediatico contro Trump (“finiremo nelle mani di un incapace”, avevano detto), e non ha funzionato il terrorismo mediatico a favore del Sì (“se vince il No sarà un salto nel buio”, ci hanno detto)». Cosa accadrà ora in Italia nessuno lo sa con certezza, «ma nel frattempo l’unico che può fare il suo bel salto nel buio sarà proprio Matteo Renzi». La vera notizia? «Per tre volte in un anno i media mainstream hanno tentato di condizionare il voto degli elettori su tre eventi di grande importanza internazionale, e per tre volte gli stessi elettori – grazie alla rete e all’utilizzo dei social – si sono rifiutati di farsi infinocchiare».Questo ormai è un punto di non-ritorno, sottolinea Mazzucco su “Luogo Comune”, e «sembra che i grandi conglomerati informatici se ne stiano accorgendo con dolore», se è vero che la stessa Cnn ha promosso un dibattito sul fatto che la televisione abbia “perso il controllo delle masse”, con la sua clamorosa “incapacità di prevedere i risultati”, ovvero di «condizionare il pensiero della popolazione». Nessuna illusione: «La reazione a questo punto sarà durissima», avverte Mazzucco: «Sicuramente assisteremo alla comparsa, da qualche parte nel mondo, di tentativi più o meno goffi di imbavagliare la rete». Per Marcello Foa, è estremamente significativo che la partecipazione alle urne sia stata molto alta: «E’ stato autenticamente un voto popolare, che non lascia spazio ad interpretazioni e ad ambiguità». Anche Foa sottolinea la débacle di giornali e televisioni, editorialisti e analisti mainstream da prima serata: «Ancora una volta le intimidazioni e lo spin attraverso i media tradizionali è risultato inefficiente: le vecchie regole della propaganda e della manipolazione per influenzare e intimidire i popoli, non sono più efficienti come un tempo». Di fatto, gli italiani «si associano al messaggio già formulato con forza dai britannici scegliendo la Brexit e dagli americani eleggendo Donald Trump».Bocciando Renzi, capo del terzo governo consecutivo non-eletto dopo quelli di Monti e Letta, gli elettori sono convinti di aver «detto no all’establishment e alle élite transnazionali ed europee che hanno governato la globalizzazione, l’Europa e di fatto anche l’Italia, limitandone la sovranità e la possibilità di cambiare», scrive Foa sul “Giornale”. «Gli italiani, come gli americani e come i britannici, vogliono un vero cambiamento, vogliono tornare padroni del proprio destino». Ottimista anche Tomaso Montanari aull’”Huffington Post”: «Renzi non ha detto di aver sbagliato. Ha detto di aver perso (difficile dire il contrario). Ma non hanno vinto la Lega, il Movimento 5 Stelle o la Sinistra. Hanno vinto tutti i cittadini». C’è una rivolta in atto: sarà una rivoluzione? Il politologo Aldo Giannuli ringrazia l’elettorato giovanile, quello da 18 a 34 anni: «E’ quello che ha trainato il risultato con quasi un 70% di No». Viceversa, «le generazioni dei sessanta-ottantenni sono state quelle che hanno fatto un ultimo regalo con un 51% del Sì (a quanto pare): decisamente passano alla storia come le peggiori del secolo, le più spregevoli».Se il progetto di Renzi «fallisce e viene ripudiato dalla Repubblica Italiana», in quanto essenzialmente sleale, fondato sull’abuso di potere, come scrive Pino Cabras su “Megachip”, ora «si addensano molte nubi all’orizzonte, perché Renzi in questi suoi mille giorni non ha governato, ha rinviato, ha congelato i problemi, e ci sono sempre i poteri che vogliono spolpare l’Italia». Concorda Giannuli: «Il risultato va molto oltre la questione in sé, come sempre accade quando scattano certi numeri». E’ uno «tsunami», quello che «sta travolgendo il sistema politico». Larghe intese e altre minestre riscaldate? «Sono tutte formule esaurite, mentre sta venendo giù tutto». Ragione di più, scrive Giannuli, perché il M5S pensi davvero al da farsi, evitando passi falsi: «Gestire il successo è molto più difficile che gestire le sconfitte». Per bene che vada, prima di maggio non si voterà, e non certo con questa legge elettorale. «I partiti ne farebbero una peggiore? Possibilissimo». E’ un fatto: «Il sistema politico entra naturalmente in una fase di ristrutturazione interna che lo cambierà profondamente anche con la nascita di nuovi soggetti politici come accadde nel 1992-93 e con questa realtà occorrerà misurarsi».Com’è noto, oggi in Italia non esiste un vero piano-B, paragonabile a quello che Marine Le Pen disegna per la Francia, con il ritorno alla sovranità nazionale. Alle manfrine di Renzi contro la Ue (la minaccia del veto al bilancio comunitario) gli italiani non hanno creduto. E nella cocente bocciatura del fiorentino si possono leggere istanze precise, come scrive lo stesso Cabras: «Renzi voleva riorganizzare efficacemente il blocco sociale conservatore dopo che era crollata l’analoga funzione di Berlusconi, e voleva farlo salvaguardando una fetta ancora molto elevata del suo elettorato tradizionale proveniente da sinistra». Ma ha sbagliato: «Ha sopravvalutato la presa degli incantatori di serpenti volgari e ignoranti che aveva mobilitato, assieme alle clientele, per imbrogliare un paese affezionato alla propria Costituzione». Ricordate il referendum di aprile sulle trivelle? «Non raggiunse il quorum e i corifei renziani perculavano gli avversari con tweet irridenti. Ciaone, dicevano. Gravissimo errore di sottovalutazione». Ma anche allora gli italiani-contro erano tanti, oltre 13 milioni, «nonostante un quorum impraticabile, una propaganda assillante del governo e del Pd per spingere gli elettori a non votare, organi di stampa bugiardi e zitti».Con un’affluenza alle urne del 70% al No, per vincere, «sarebbe bastato prendersi appena un elettore su quattro di quelli che ad aprile non votarono (o votarono per tenere le trivellazioni) e vincere così con il 51%. Invece siamo ben oltre». Perché Renzi, «nella sua hybris costituzionale», ha di fatto «interpretato la propria carica fino a svilirla in una sequela di abusi: ha ridotto la Costituzione al rango di una chiacchiera da Barbara D’Urso, ha buttato a mare equilibri nati dallo studio e dal sangue per triturarli in slogan falsi (“ecco la scheda con cui voterete il Senato”, vergogna Matteo!), ha fatto di tutto per abbagliare, intimidire, costringere a schierarsi per ottenere finanziamenti che spettavano comunque agli enti locali». Senza contare le «squallide passerelle» come quella del presidente campano De Luca, per «giocare intorno al referendum fondi pubblici e risorse». Renzi «ha usato enti pubblici, televisioni, manovrine e mance», in più «ha abusato anche delle ambasciate per condizionare in modo non neutrale il voto degli italiani all’estero».Ma attenzione, conclude Cabras: «Nessuna delle forze di opposizione – alle Agende Monti, Agende Letta e Agende Renzi che ci governano da anni – può bastare a se stessa. Dovremo pensarci». E’ stata solo una micidiale “punizione” inflitta a Renzi, divenuto insopportabile ai più, o c’è anche un po’ di futuro nel voto del 4 dicembre? I 5 Stelle finora sono stati ultra-prudenti, anche su Bruxelles. Un recente sondaggio rivela che 2 italiani su 3 vogliono tenersi stretti sia l’Ue che l’euro, non collegando né l’Unione Europea dei tecnocrati né la moneta della Bce alla crisi che ha piegato l’economia nazionale. Governano, come prima, tecnocrati e banchieri: quanto impiegheranno a sostituire il loro uomo, caduto nell’imboscata democratica del 4 dicembre? O, al contrario: è credibile ipotizzare uno sviluppo non più oligarchico, sull’onda dello “tsunami” che si è abbattuto sul capo del Pd? «Renzi finirà asfaltato dai No», profetizzò tempo fa l’ex ministro socialista Rino Formica. «E il suo successore lo designerà il Vaticano».«E fanno tre. Dopo la Brexit e l’elezione di Trump, anche il referendum italiano si può tranquillamente interpretare come un calcio in faccia al pensiero mainstream, per quanto fortemente sostenuto e veicolato dai media di regime», osserva Massimo Mazzucco, mentre i dati scodellano il bruciante 6-4 che costringe Renzi a lasciare Palazzo Chigi, sommerso dal voto contrario della maggioranza degli italiani, il 70% alle urne (solo uno su tre è rimasto fermo all’astensionismo). Ma, insieme al finto “rottamatore” al servizio dei super-poteri europei e finanziari, tra gli sconfitti Mazzucco iscrive soprattutto i media: «Non ha funzionato il terrorismo mediatico contro la Brexit (“crollerà l’economia britannica”, avevano detto), non ha funzionato il terrorismo mediatico contro Trump (“finiremo nelle mani di un incapace”, avevano detto), e non ha funzionato il terrorismo mediatico a favore del Sì (“se vince il No sarà un salto nel buio”, ci hanno detto)». Cosa accadrà ora in Italia nessuno lo sa con certezza, «ma nel frattempo l’unico che può fare il suo bel salto nel buio sarà proprio Matteo Renzi». La vera notizia? «Per tre volte in un anno i media mainstream hanno tentato di condizionare il voto degli elettori su tre eventi di grande importanza internazionale, e per tre volte gli stessi elettori – grazie alla rete e all’utilizzo dei social – si sono rifiutati di farsi infinocchiare».
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Massoni terroristi, quella dell’élite è una religione segreta
C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato che cerca la divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il grande terrorismo non sono che due facce, entrambi atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, democratico, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?Può sembrare incredibile, ma Gianfranco Carpeoro – l’autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia la matrice massonica della “sovragestione” del terrorismo, attraverso élite che controllano servizi segreti – sostiene che, in fondo, la colpa è nostra. O meglio: la nostra ignoranza consente al super-potere di manipolarci indisturbato, costruendo mostri. Capeoro cita il suo antico maestro, Francesco Saba Sardi, grande intellettuale inserito dal Quirinale tra le più eminenti personalità culturali della storia italiana: nel mini-saggio “Istituzione dell’ostilità”, riportato testualmente nel libro di Carpeoro, Saba Sardi (traduttore di Borges, Simenon, Pessoa, Joyce e Garcia Marquez, nonché biografo di Picasso) sostiene che solo la nostra disponibilità all’odio ci rende inconsapevoli “soldati” della causa altrui, nient’altro che docili strumenti. Siamo pigri, non ci accorgiamo di vivere in un Truman Show. Prendiamo per buono perfino l’Isis, il cui capo – il “califfo”Abu-Bakr Al Baghdadi – fu stranamente liberato nel 2009 dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, dopo esser stato affiliato alla Ur-Lodge “Hathor Pentalpa”, nella quale (secondo Gioele Magaldi, autore del libro “Massoni”) hanno militato George W. Bush e Condoleezza Rice, il politologo Michael Ledeen, Nicolas Sarkozy, Tony Blair, il leader turco Erdogan.Impressionante, nella ricostruzione di Carpeoro, l’affollamento dei messaggi simbolici che “firmano” i recenti attentati in Francia, affidati a manovalanza islamista: se la strage del Batalclan (13 novembre) è il “calco” della data-simbolo della persecuzione dei Templari, mentre quella di Nizza (14 luglio) colpisce al cuore i valori della Rivoluzione Francese, “sacri” per la massoneria democratica, devastando peraltro la città natale del massone progressista Garibaldi, anche gli attacchi di Bruxelles (aeroporto e metropolitana, “come in cielo, così in terra”) richiamano universi simbolici tutt’altro che islamici, «secondo un preciso schema operativo – scrive Carpeoro – che sceglie di utilizzare un linguaggio estraneo o addirittura “avverso” agli esecutori», giusto per inquinare le acque. Bruxelles, 22 marzo: stessa data del decreto di soppressione dei Templari, nel 1312. Giorno fatale, il 22 marzo: nel 1457, Gutenberg stampò la prima Bibbia. Nel 1831 venne fondata la Legione Straniera, in funzione anti-araba. Ancora: sempre il 22 marzo (del ‘45) nasceva la Lega Araba, «che l’Isis vede come il fumo negli occhi». E nel 2004 venne ucciso a Gaza lo sceicco Ahmed Yassin, leader spirituale di Hamas. Ma il fatidico 22 marzo “parla” anche ai cattolici osservanti: le letture liturgiche per la messa di quel giorno propongono la restaurazione del regno di Israele (Isaia), che abbreviato è “Is”, come “Islamic State”.Non è un gioco: per Carpeoro, la matrice massonica della “sovragestione” ricalca in modo quasi maniacale – ribaltandoli – gli insegnamenti di Vitruvio, «personaggio storico che ha avuto grande rilievo nella massoneria», perché nel “De Architectura” il grande architetto romano enuclea i principi-cardine, anche etici e spirituali, che devono orientare la scienza della costruzione, riflesso terreno della bellezza universale. Ebbene, i contro-iniziati che incarnano la “sovragestione” li ribaltano in modo puntuale e speculare, secondo lo stereotipo del satanismo: «Hanno utilizzato tutti gli strumenti descritti da Vitruvio: le lettere, per organizzare la disinformazione; il saper disegnare, per delineare il simbolismo dei loro atti; la geometria, per concatenare le distruzioni; l’ottica, per stabilire i punti di osservazione; l’aritmetica, per i tempi degli attentati; la storia, per il linguaggio simbolico delle date». I fantasmi della “sovragestione” «sono colti, sanno disegnare», padroneggiano matematica e filosofia, medicina e giurisprudenza, astronomia e astrologia». Chi sono, in realtà?Massoni, tutti. O forse no: si tratta di paramassoni, ma in fondo ormai «è solo questione di termini», ammette Carpeoro, che – massone lui stesso, già gran maestro dell’“obbedienza” di Palazzo Vitelleschi, poi dimissionario dopo aver disciolto la sua stessa loggia – accusa la massoneria di aver “perso l’anima”, riducendosi a mera struttura di potere. Nel suo libro accenna alle origini mistiche della libera muratoria (bibliche, egizie) come cemento culturale delle primissime corporazioni, quelle dei costruttori di cattedrali, gelosi custodi dei loro “segreti professionali”, basati sulla sacralizzazione del lavoro al servizio della bellezza. Poi, con la fine dei grandi edifici sacri, la nascita della massoneria “speculativa”, tra ortodossia metodologica e devianze, sbandamenti, infiltrazioni. Pietra miliare, il 1717: brucia Londra, ma l’architetto Chistopher Wren, leader della massoneria inglese, incaricato di riedificare la città, rifiuta di ricostruire il Tempio. «Il 1717 è considerato l’anno di nascita della massoneria moderna, ma in realtà segna l’inizio della fine della vera massoneria», network necessariamente cosmopolita che, come tale, faceva gola al potere: gli ex costruttori di cattedrali erano un’élite della conoscenza ben radicata in tutta Europa.Più che gli Illuminati di Baviera, il gruppo visionario creato sempre nel ‘700 da Jean Adam Weischaupt (nuovo ordine mondiale da costruire radendo al suolo il sistema, cominciando dall’abolizione della proprietà privata), secondo l’indagine di Carpeoro la malapianta della “sovragestione” che sta minacciando il pianeta va ricercata nel pensiero oligarchico di personalità più recenti e magari sconosciute ai più, come Joseph Alexandre Saint-Yves, marchese d’Alveydre, un medico francese di fine ‘800 che compare tra le figure di maggior rilievo dell’esoterismo del XIX secolo. Al sorgere del socialismo (e dell’anarchia), Saint-Yves contrappose la “sinarchia”: un modello di governo pre-ordinato, basato su schemi universali, con «ruoli e funzioni sociali secondo un ordine di strati e condizioni rigide, in una concezione piramidale della società». Il tutto, «legittimato da una mistica teocratica tipica delle società più antiche», Egitto e Persia, India. «Significa che alcuni sono naturalmente destinati a comandare». In altre parole, l’esoterista Saint-Yves (fervente cattolico, in strettissimi rapporti col Vaticano) «auspicava il governo di un’élite predestinata e piuttosto aristocratica».Pochissimi sanno “quel che si deve fare”, tutti gli altri devono sottostare alle indicazioni dell’élite. E’ qualcosa di davvero diverso dal pensiero che sembra promanare da Christine Lagarde del Fmi, che Magaldi dichiara affiliata alle Ur-Lodges “Three Eyes” e “Pan-Europa”? E’ tempo di sacrifici? Bisogna (“dovete”) soffrire? A parlare è il marchese Saint-Yves o Mario Monti (Gran Loggia di Londra e Ur-Lodge “Babel Tower”), o magari il “venerabile” Mario Draghi della Bce (“Edmund Burke”, “Pan-Europa”, “Compass Star-Rose”, “Three Eyes” e “Der Ring”)? La nascita delle superlogge internazionali era assolutamente ineluttabile, osserva Carpeoro: la stessa tensione civile e sociale che durante l’Illuminismo aveva condotto i massoni a battersi per «i valori democratici e libertari, propri della dottrina muratoria» condusse le logge di fine ‘800 a coordinarsi, «anche al di fuori dell’organizzazione rituale», affiliando – nelle Ur-Lodges – anche «presidenti, banchieri, industriali», non necessariamente passati per la tradizionale procedura iniziatica.Per quello spiraglio, sottolinea Carpeoro anche nell’articolata trattazione del capitolo italiano su Gelli e la P2 (dove emerge un’Italia di fatto tuttora “sovragestita” da una fantomatica P1, protetta da silenzi e omissioni), il potere avrebbe definitivamente svuotato il network massonico di ogni autentica valenza esoterica e libertaria. Tutto sarebbe ridotto a una piramide che parla una sola lingua, quella del denaro, imposta con la globalizzazione forzata del pianeta a beneficio di una casta di “eletti” che, della massoneria, mantengono solo il linguaggio cifrato, magari per “firmare” crisi, guerre e persino attentati terroristici, sanguinose tappe di una strategia della tensione progettata per imporre agli “inferiori” il dominio della paura. Cosa c’è nella testa dei fantasmi della “sovragestione”? Probabilmente, il verbo di Saint-Yves, la “sinarchia”, una filosofia addirittura mistica, secondo cui «l’élite è in armonia con le leggi universali è in pratica una classe sacerdotale». La “sinarchia”, conclude Carpeoro, è dunque «una forma di teocrazia, un governo di sacerdoti o di re-sacerdoti». Il dogma del rigore, imposto all’Europa, impossibile da discutere: «La “sinarchia” arriva a suggerire che quest’élite illuminata sia in diretto contatto con le intelligenze spirituali che governano l’universo e da cui riceve istruzioni». Per i comuni mortali, nessuna speranza. A meno che non si “risveglino”, nell’unico modo possibile: disertando, rifiutando la guerra che viene quotidianamente allestita.(Il libro: Giovanni Francesco Carpeoro, “Dalla massoneria al terrorismo”, sottotitolo “Come alcune logge massoniche sono divenute deviate e come con i servizi segreti vogliono controllare il mondo”, Revoluzione edizioni, 192 pagine, euro 13,90).C’era una volta il massone. Un giorno indossò il cappuccio ma dimenticò squadra e compasso, fino a diventare qualcos’altro. Un paramassone: non più un iniziato alla ricerca della divinità, ma un contro-iniziato che si crede Dio. Sembra una fiaba nera, ma sta dando spettacolo: la grande crisi e il terrorismo permanente non sono che due facce, entrambe atroci, dello stesso show. Ed è così potente, l’incantesimo, da incrinare la storia, compromettendo la pace sin dal dopoguerra, già da Yalta, quando i massoni Roosevelt e Churchill – insieme a Stalin – non accordano ai palestinesi la nascita di un loro Stato, in equilibrio col futuro Stato ebraico, innescando così il provvidenziale focolaio da cui nascerà il primo terrorismo dell’Olp. Quando il miracolo economico travolge anche l’Italia, spalancando orizzonti impensabili, viene fermato e “sacrificato” l’uomo che meglio incarnava un possibile futuro democratico anche per gli arabi, Enrico Mattei. Se ancora l’Europa crede in un modello diverso, socialista, in Svezia viene prontamente ucciso l’apostolo del welfare, Olof Palme. E in Israele finisce assassinato Rabin, colpevole di aver costruito una vera pace geopolitica, che coincide con «una autentica pax massonica». Morte a Rabin, dunque, perché l’odio deve continuare a vincere. Fino a quando?