Archivio del Tag ‘economia’
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Juncker, Barroso, Draghi, Selmayr: l’opaca superlobby Ue
Scarsa trasparenza dei processi decisionali, attività lobbistiche senza un vero controllo, porte girevoli, organi di garanzia e codici etici debolissimi e permeati da influenze politiche e del settore privato. Questi sono solo alcuni dei problemi di questa Europa denunciati dal Mediatore Europeo, quella figura che si occupa di monitorare che le istituzioni europee non inciampino nella cosiddetta “cattiva amministrazione”. E infatti, puntuale come un orologio, il report annuale dell’attività del Mediatore Europeo elenca le numerose gravi criticità che segnano il lavoro delle istituzioni europee e fotografa un’Europa che sembra allontanarsi sempre di più da ciò che doveva essere, la casa comune di tutti i cittadini europei. La Commissione Petizioni è l’unica commissione del Parlamento Europeo che ha il compito di analizzare il report del Mediatore e commentarlo. Quest’anno il compito è stato affidato al gruppo Efdd – Movimento 5 Stelle e, in quanto relatrice, ho cercato di dare ampio supporto all’importante e apprezzabile lavoro di indagine svolto nel 2017 dal Mediatore. Ecco il link al report. Abbiamo sottolineato alcune tra le problematiche più gravi che continuano a gravare sulle istituzioni europee: la scarsa trasparenza dei processi decisionali, le gravissime problematiche etiche che hanno coinvolto anche commissari europei in carica, l’ex presidente della Commissione Europea e l’attuale presidente della Bce.Poi, il quadro giuridico fortemente lacunoso nel prevenire e sanzionare la violazione del dovere di integrità, discrezione e piena indipendenza dall’influenza lobbistica posto in capo ai rappresentanti delle istituzioni Ue. Infine, il diniego di accesso ai documenti delle istituzioni Ue opposto ai cittadini, impedendo loro di esercitare appieno i propri diritti democratici. Su questi temi il Mediatore, al termine delle sue indagini, ha spesso avanzato rilievi critici e raccomandazioni costruttive alle istituzioni europee coinvolte, ma, purtroppo, le risposte sono state troppo spesso insoddisfacenti quando non deprecabili. Tutto questo proprio in un momento in cui l’Ue continua a precipitare in un abisso di discredito e sfiducia agli occhi dei propri cittadini, incapace di cambiare registro sul piano etico, economico e nel complesso politico. Il caso Selmayr è emblematico di come funziona male questa Europa. Questo super-burocrate tedesco è stato voluto da Jean-Claude Juncker col metodo che ormai conosciamo, tanto caro alla Commissione Europea: l’imposizione. Nessuna regola è stata rispettata e il Mediatore Europeo lo ammette, sconfessando di fatto la linea morbida del Parlamento Europeo.Noi eravamo stati gli unici con un emendamento a chiedere il tedesco Selmayr mettesse nero su bianco le sue dimissioni con effetto immediato. Questo per garantire alla successiva Commissione Europea la possibilità di sostituire il segretario generale secondo una procedura legale e più trasparente. Eloquente è il “caso Barroso”: al termine del suo mandato decennale di presidente della Commissione Europea, viene nominato presidente non-esecutivo e “advisor” della banca d’affari Goldman Sachs, tra le più implicate nello scoppio della crisi economica del 2008. La Mediatrice riscontrava all’epoca “cattiva amministrazione” da parte della Commissione Europea sulla gestione del caso. Il Comitato Etico, interno alla Commissione – evidentemente gravato da un deficit di indipendenza dal livello politico – concluse che non vi fossero elementi sufficienti per individuare una violazione di obblighi giuridici da parte di Barroso, tenendo semplicemente conto di una dichiarazione scritta di Barroso stesso nella quale affermava che non era stato ingaggiato da Goldman Sachs per svolgere attività di lobbying.Il 25 settembre 2017 si scopre, invece, che si è svolto un incontro tra Barroso e l’attuale vice-presidente della Commissione Europea, Katainen, registrato come incontro ufficiale con Goldman Sachs, la cui esatta natura, come indicato dalla stessa Mediatrice nella sua indagine, non è apparsa per nulla chiara, sottolineando le comprensibili preoccupazioni circa il fatto che l’ex presidente Barroso utilizzi il suo precedente status e i suoi contatti per esercitare la propria influenza ed ottenere informazioni, ovvero per svolgere attività di lobbying a vantaggio di Goldman Sachs. Altro caso emblematico del 2017 è quello del presidente della Banca Centrale Europea (Bce) e la sua adesione al cosiddetto “Gruppo dei 30”, un’organizzazione privata che annovera tra i membri i rappresentanti di banche sottoposte alla vigilanza diretta o indiretta della Bce. La Mediatrice in merito ha raccomandato al presidente della Bce di sospendere la propria adesione al Gruppo dei Trenta ma a tale richiesta le viene ancora oggi opposto un netto rifiuto a pregiudizio ulteriore dell’immagine di un’istituzione, quale la Bce, che dovrebbe non solo essere ma anche apparire integralmente indipendente da interessi finanziari privati.Sul fronte del processo decisionale a livello Ue, permane il grave deficit di trasparenza riscontrabile nei “triloghi”, ancora completamente inaccessibili al pubblico, nonché nelle procedure seguite in Consiglio, presso il quale continuano a non registrarsi le posizioni assunte dagli Stati membri sui file legislativi e si oppongono ripetuti rifiuti ai cittadini nell’accesso ai documenti. La Mediatrice nel 2017 non ha mancato di qualificare esplicitamente tali condotte da parte del Consiglio come espressione di “cattiva amministrazione”, cui ha fatto seguito nel 2018 la sua relazione speciale focalizzata sui complessivi problemi di trasparenza del processo legislativo del Consiglio. Lo status quo contrasta, peraltro, con l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia Ue giunta a ribadire, in ultimo nella sentenza De Capitani, che i principi di pubblicità e trasparenza sono inerenti alle procedure legislative dell’Unione. La Corte ha asserito, inoltre, che la mancanza di informazioni e di dibattito in merito al processo legislativo, oltre a rappresentare una chiara violazione dei diritti democratici dei cittadini, ne accresce la loro sfiducia.E’ inaccettabile che ancora oggi non venga adottato un Registro di Trasparenza obbligatorio e giuridicamente vincolante per il settore privato e per tutte le istituzioni ed agenzie dell’Ue per garantire piena trasparenza delle attività di lobbying effettuate. E’ inammissibile che non sussista ancora piena trasparenza sulle informazioni relative ai casi di “porte girevoli”, impedendo di conoscere tempestivamente i nomi di funzionari Ue che all’improvviso lasciano le istituzioni e vengono assunti in ruoli apicali in realtà influenti del settore privato. E’ censurabile che non sussista piena trasparenza e piena indipendenza dal settore privato nella raccolta e valutazione delle prove scientifiche che tanto sdegno hanno suscitato tra i cittadini europei quando si è giunti in sede Ue ad autorizzare e rinnovare l’uso di glifosato, Ogm e pesticidi. Su quest’ultimo aspetto, ho richiesto espressamente che la Mediatrice proceda all’avvio di una specifica indagine strategica.(Elonora Evi, “Raccomandazioni, favori ad amici e conflitti di interessi: ecco le prove di come Juncker amministra (male) l’Ue”, dal “Blog delle Stelle” del 7 settembre 2018. La Evi è un’europarlamentare del gruppo Efdd – Movimento 5 Stelle Europa. L’avvocato tedesco Martin Selmayr, capo di gabinetto della Commissione Europea di Juncker, è considerato il tecnocrate burocrate più potente di Bruxelles, addirittura il vero “presidente ombra”. Emilio De Capitani è invece il docente universitario che pretese dal Parlamento Europeo l’accesso ai documenti contenenti informazioni riguardo alle posizioni delle istituzioni sulle procedure co-legislative in corso, nello specifico sui “triloghi”, i negoziati tra Parlamento e Consiglio Ue con la mediazione della Commissione Europea. La richiesta del professor De Capitani è stata approvata dalla Corte di Giustizia Ue, secondo cui serve più trasparenza da parte delle istituzioni europee sui documenti riguardanti le procedure legislative, che devono essere accessibili a chi ne fa domanda).Scarsa trasparenza dei processi decisionali, attività lobbistiche senza un vero controllo, porte girevoli, organi di garanzia e codici etici debolissimi e permeati da influenze politiche e del settore privato. Questi sono solo alcuni dei problemi di questa Europa denunciati dal Mediatore Europeo, quella figura che si occupa di monitorare che le istituzioni europee non inciampino nella cosiddetta “cattiva amministrazione”. E infatti, puntuale come un orologio, il report annuale dell’attività del Mediatore Europeo elenca le numerose gravi criticità che segnano il lavoro delle istituzioni europee e fotografa un’Europa che sembra allontanarsi sempre di più da ciò che doveva essere, la casa comune di tutti i cittadini europei. La Commissione Petizioni è l’unica commissione del Parlamento Europeo che ha il compito di analizzare il report del Mediatore e commentarlo. Quest’anno il compito è stato affidato al gruppo Efdd – Movimento 5 Stelle e, in quanto relatrice, ho cercato di dare ampio supporto all’importante e apprezzabile lavoro di indagine svolto nel 2017 dal Mediatore. Ecco il link al report. Abbiamo sottolineato alcune tra le problematiche più gravi che continuano a gravare sulle istituzioni europee: la scarsa trasparenza dei processi decisionali, le gravissime problematiche etiche che hanno coinvolto anche commissari europei in carica, l’ex presidente della Commissione Europea e l’attuale presidente della Bce.
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Trump rischia: fu l’unico a denunciare il falso 11 Settembre
Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:Signor presidente, i crimini dell’11 settembre 2001 non sono mai stati giudicati nel suo paese. Le scrivo da cittadino francese, il primo a denunciare le incongruenze della versione ufficiale e ad aprire il mondo al dibattito e alla ricerca dei veri esecutori. In un tribunale penale, in quanto giuria, dobbiamo determinare se il sospetto portatoci sia colpevole o meno, e, alla fine, decidere quale punizione dovrebbe ricevere. Quando abbiamo assistito agli eventi dell’11 Settembre, l’amministrazione Bush Junior ci ha detto che il colpevole era Al-Qaïda, e la punizione che avrebbe dovuto ricevere era il rovesciamento di coloro che l’avevano aiutata: prima i Talebani afghani, poi il regime iracheno di Saddam Hussein. C’è tuttavia una serie di prove che attesta l’impossibilità di questa tesi. Se fossimo membri di una giuria, dovremmo oggettivamente dichiarare che i Talebani e il regime di Saddam non sono colpevoli di questo crimine. Questo da solo, naturalmente, non ci consentirebbe di indicare i veri colpevoli. Non potremmo però concepire di condannare parti innocenti sol perché non abbiamo saputo come trovare i colpevoli.Quando il segretario di Stato per la giustizia e il direttore dell’Fbi, Robert Mueller, rivelarono i nomi dei 19 presunti dirottatori, capimmo tutti che stavano mentendo. Avevamo già di fronte a noi, infatti, le liste divulgate dalle compagnie aeree di tutti i passeggeri imbarcati – liste su cui nessuno dei sospettati era presente. Da lì, siamo diventati sospettosi della “Continuità del Governo”, l’istanza incaricata di subentrare alle autorità elette dovessero queste venire uccise durante uno scontro nucleare. Abbiamo avanzato l’ipotesi che questi attacchi mascherassero un colpo di Stato, in conformità col metodo Luttwak: mantenere l’apparenza dell’esecutivo, ma imponendo una politica diversa. Nei giorni successivi all’11 Settembre, l’amministrazione Bush prese diverse decisioni: la creazione dell’Ufficio di Sicurezza Nazionale e il voto per un voluminoso codice antiterrorismo elaborato molto tempo prima, il Patriot Act. Per questioni che l’amministrazione stessa definisce “terroristiche”, questo testo sospende la Carta dei Diritti, che era il vanto del vostro paese. Sbilancia le vostre istituzioni. Due secoli più tardi, sancisce il trionfo dei grandi proprietari terrieri, che scrissero la Costituzione, e la sconfitta degli eroi della Guerra d’Indipendenza, che chiedevano che venisse aggiunta la Carta dei Diritti.Il segretario alla difesa, Donald Rumsfeld, creò l’Office of Force Transformation, sotto il comando dell’ammiraglio Arthur Cebrowski. Quest’ultimo presentò immediatamente un programma, anch’esso pronto da tempo, che prevedeva il controllo dell’accesso alle risorse naturali dei paesi del sud geopolitico. Chiedeva la distruzione dello Stato e delle strutture sociali nella metà del mondo che non era ancora globalizzata. Il direttore della Cia lanciò contemporaneamente la “Worldwide Attack Matrix”, un pacchetto di operazioni segrete in 85 paesi, dei quali Rumsfeld e Cebrowski intendevano distruggere le strutture statali. Considerando che solo i paesi le cui economie erano globalizzate sarebbero rimasti stabili e che gli altri sarebbero stati distrutti, gli uomini dell’11 Settembre hanno dispiegato le forze armate statunitensi al servizio degli interessi finanziari transnazionali. Hanno tradito il suo paese e l’hanno trasformato nell’ala armata di questi predatori. Negli ultimi 17 anni, abbiamo assistito alle bugie che vengono date ai suoi compatrioti dai successori di coloro che redassero la Costituzione e che al tempo si opposero – senza successo – alla Carta dei Diritti. Questi ricchi sono diventati super-ricchi, mentre la classe media è stata ridotta di un quinto e la povertà è aumentata. Abbiamo anche assistito all’attuazione della strategia Rumsfeld-Cebrowski: quasi tutto il Grande Medio Oriente è stato devastato da “guerre civili”. Intere città sono state cancellate dalla mappa, dall’Afghanistan alla Libia, tramite Arabia Saudita e Turchia, che non erano esse stesse in guerra.Nel 2001, solo due cittadini statunitensi hanno denunciato l’incoerenza della versione di Bush, due promotori immobiliari – il democratico Jimmy Walter, poi costretto all’esilio, e lei stesso, poi entrato in politica ed eletto presidente. Nel 2011, abbiamo visto il comandante di AfriCom sollevato dalla propria posizione e sostituito dalla Nato, per essersi rifiutato di sostenere Al-Qaïda nella liquidazione della Libia. Abbiamo poi visto il LandCom della Nato organizzare il sostegno occidentale ai jihadisti in generale, e ad al-Qaïda in particolare, nel loro tentativo di rovesciare la Siria. I jihadisti, considerati “combattenti della libertà” contro i sovietici, poi come “terroristi” dopo l’11 Settembre, ancora una volta sono quindi diventati alleati del Deep State (cosa che, in realtà, sono sempre stati). Con immensa speranza, abbiamo quindi osservato le sue azioni per sopprimere, uno ad uno, tutti i loro sostenitori. È con la stessa speranza che vediamo oggi che sta parlando con la sua controparte russa per riportare vita nel devastato Medio Oriente. È però anche con analoga ansia che vediamo Robert Mueller, ora procuratore speciale, inseguire la distruzione della sua patria attaccando la sua posizione. Signor presidente, non solo lei ed i suoi connazionali soffrite della diarchia che è salita al potere dal colpo di Stato dell’11/9, ma il mondo intero ne è vittima. Signor presidente, l’11 Settembre non è storia antica. È il trionfo di quegli interessi transnazionali che stanno schiacciando non solo il suo popolo, ma tutta l’umanità che aspira alla libertà.(Thierry Meyssan, “Lettera a aperta a Trump sulle conseguenze dell’11 Settembre”, pubblicata da “Voltaire Net” il 30 agosto 2018 e quindi tradotta da Hmg per “Come Come Chisciotte”).Sapevate che Donald Trump fu l’unico cittadino americano, insieme all’immobiliarista Jimmy Walter, a denunciare immediatamente come falsa la versione ufficiale sull’11 Settembre fornita da Bush? Walter fu costretto all’esilio, mentre Trump è oggi alla Casa Bianca: proprio a lui si rivolge il giornalista francese Thierry Meyssan, acuto analista geopolitico, in un appello nel quale si chiede al presidente Usa di fare il punto, finalmente, sui veri responsabili del devastante attacco terroristico al cuore di Manhattan, e sulle micidiali conseguenze che l’attentato ha avuto, in tutto il mondo. Da allora, ricorda Meyssan, il potere dei neocon ha sistematicamente colpito tutti i paesi non ancora globalizzati, a partire dall’Afghanistan e dall’Iraq, con il pretesto di Al-Qaeda e poi dell’Isis, fino alle laceranti devastazioni inflitte alla Libia e alla Siria. Da Meyssan anche un preciso avvertimento, a Trump: l’uomo che lavora al suo impeachment, Robert Mueller, oggi nei panni di procuratore generale, nel 2001 era il capo dell’Fbi, e in quella veste contribuì a mentire sull’11 Settembre, partecipando al grande insabbiamento sui veri mandanti della strage. Ecco il testo della lettera aperta che Meyssan indirizza all’attuale presidente degli Stati Uniti:
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Blair e Bannon: massoni reazionari da Salvini, ora indagato
Come leggere l’adesione di Salvini a “The Movement”, il movimento fondato da Steve Bannon? E’ conseguente all’incontro che Salvini ha avuto con Blair. Il capo di quella cosca massonica è Tony Blair – il referente europeo – e quindi Salvini ha aderito all’iniziativa di Bannon. Blair è il referente europeo di una delle più grosse Ur-Lodges. E’ interessato a Salvini perché questi sistemi sono sempre interessati a chi governa: Salvini in questo momento è al governo, e quindi Blair ha pensato di averlo come referente politico. Salvini è consapevole di cosa rappresenti, Blair? Be’, se ha letto un po’ di cose in giro, sì. Bannon viene associato al mondo della destra, mentre Blair ce lo ricordiamo sulla sponda opposta? Ma sono pessimi ricordi, perché Blair è colui che ha rovinato il socialismo europeo, scientemente. E’ un falso socialista, come ce ne sono tanti. L’iniziativa di Blair e Bannon è un modo per cooptare Salvini? “Cooptarlo” probabilmente no, ma averlo – finché è al governo – come referente politico, sì: è lo stesso motivo per cui gli americani hanno puntato su Di Maio. Michael Ledeen aveva puntato su Di Maio, mentre Steve Bannon e Tony Blair hanno puntato su Salvini. Non sono gruppi in competizione tra loro: sono aspetti, diversi, della massoneria reazionaria.Il problema è quello c’è dietro la massoneria reazionaria: è una falsa massoneria, che rappresenta interessi economici e politici rispetto a un certo tipo di disegno mondialista. Da qui il sospetto che gli intenti di cambiamento, di questo governo, di fatto non sarebbero attendibili? Non lo so, bisogna vedere se lo saranno ancora: se si accorgono di questo pericolo, se litigano – è difficile dirlo. Questo governo è partito con delle buone intenzioni. Poi, se queste buone intenzioni siano sincere o no, lo vedremo solo in futuro. Per intanto, un certo tipo di potere reazionario li sta corteggiando. Come reagiranno, i gialloverdi, a questo corteggiamento? Be’, sapete, le cose umane sono sempre in divenire, sono mobili. Salvini, sicuramente, non è un “cavallo” gestibile. Anche Trump pensavano di poterlo gestire, e poi non ci sono riusciti, o comunque non ci sono riusciti totalmente. Nel frattempo, certo, su Salvini incombono l’indagine sulla nave Diciotti e la conferma del sequestro dei fondi della Lega: tentativi di “accerchiare” il ministro dell’interno? Di solito, quando c’è un “accerchiamento” giudiziario, è perché – a monte – c’è una convergenza di interessi, di poteri, e quindi la magistratura diventa uno strumento di questo.Guardiamo le inchieste su Salvini: quella relativa alla Diciotti è una buffonata, dove i magistrati che l’hanno promossa fanno la figura dei buffoni. Mi riferisco soprattutto al magistrato di Agrigento, perché quello di Palermo, in realtà, ha fatto solo un atto formale: ha ricevuto le carte e ha mandato l’avviso di garanzia a Salvini, quindi ancora non possiamo giudicarlo. E’ comunque un’inchiesta per la quale a delle persone si impedisce di entrare nel nostro paese (ma non gli si impedisce di tornare nel loro). Se queste persone avessero detto “vogliamo tornare a casa”, la nave della Guardia Costiera le avrebbe riportate dov’erano partite. Quindi dov’è il sequestro di persona, tecnicamente? Altra cosa è il processo per i famosi 49 milioni, dove c’è ampia contestazione sulla cifra, perché i 49 milioni in realtà sarebbero la somma dei contributi che la Lega avrebbe incassato. Soldi di cui la magistratura ha ordinato la restituzione, dopo una sentenza di primo grado. Però non esiste la prova che quei milioni siano stati tutti utilizzati nella maniera che giustificherebbe la restituzione – prova anche difficile da fornire, ma che avrebbe dovuto essere inoppugnabile, prima di addivenire a un provvedimento cautelare come il sequestro esecutivo di primo grado.I leghisti in realtà dicono che i fondi male utilizzati sono 550.000 euro. Come vedete, la differenza fra 49 milioni e 550.000 euro è oceanica. Un sequestro così, fatto in questo modo, praticamente annulla qualunque possibilità di sopravvivenza politica della Lega, che è pur sempre un partito che ha preso dei voti e ha espresso dei rappresentati del popolo. Quindi, entrambe le inchieste hanno dei lati discutibili, quantomeno. L’inchiesta sulla Diciotti è un atto proditorio, ma bisognerà vedere cosa faranno la magistratura di Palermo e poi il Tribunale dei Ministri. Viene anche rimproverato a Salvini di aver reagito da ministro: ma lui è stato indagato proprio perché ministro. Gli atti per i quali è indagato li ha fatti da ministro, quindi ne risponde da ministro. Perché dovrebbe risponderne da persona fisica? Ovvero: Salvini risponde, sul versante della comunicazione, nella sua veste di ministro. Poi, se si accerterà che questi atti sono reato (cosa che mi sembra quasi impossibile), vedremo, perché la responsabilità penale è comunque personale. Ma, in questo momento, Salvini risponde per la sua responsabilità di ministro.Nel non far sbarcare migranti a bordo di una nave della Guardia Costiera (quindi italiana, e in un porto italiano) Salvini non ha fatto un’azione politicamente corretta. Non è un reato, ma non la approvo. Però considero questa reazione di Salvini non isolandola dal contesto, ma tenendo conto proprio del contesto, cioè di tutte le malefatte dei governi precedenti. Con la scusa dell’accoglienza, In Italia è sbarcato chiunque: navi che non si sapeva neanche che bandiera battessero. Salvini s’è impuntato nell’occasione sbagliata, diciamo, perché quella era una nave italiana, della Guardia Costiera. Ma in realtà è la pressione precedente, che è stata determinate per una reazione che possiamo definire politicamente sbagliata. Il problema è che, se porti le cose all’esasperazione, poi qualcuno fa a sua volta un gesto esasperato – e tutti a dire: che gesto esagerato! Già, ma cos’era avvenuto, prima? Io credo che sia sbagliata, la normativa europea che imporrebbe di accertare il diritto di asilo dei migranti una volta sbarcati. Io credo che il diritto d’asilo andrebbe accertato prima di far sbarcare le persone, non dopo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta” del 9 settembre 2018, su YouTube. Avvocato e massone, simbologo e scrittore, Carpeoro è autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che ricostruisce la matrice massonica degli attentati “false flag” targati Isis, condotti in Europa negli anni scorsi e riconducibili a servizi segreti atlantici. Lo stesso Carpeoro è esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi, che nel saggio “Massoni” presenta l’ex premier laburista britannico Tony Blair come affiliato alla potente Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, insieme ai Bush, al francese Sarkozy, al turco Erdogan. La “Hathor”, definita “loggia del sangue e della vendetta”, sarebbe all’origine del devastante attentato dell’11 Settembre alle Torri Gemelle, nonché della “fabbricazione” del sedicente Isis. Alla “Hathor”, sostiene Magaldi, sono stati affiliati sia Osama Bin Laden che Abu-Bakr Al-Baghdadi, presunto leader del cosiddetto Stato Islamico. Sempre alla superloggia “Hathor Pentalpha” è attribuita la decisione di imprimere una svolta violenta alla globalizzazione neoliberista e privatizzatrice, utilizzando nel modo più spregiudicato la guerra e l’auto-terrorismo, per innescare una sorta di strategia della tensione internazionale).Come leggere l’adesione di Salvini a “The Movement”, il movimento fondato da Steve Bannon? E’ conseguente all’incontro che Salvini ha avuto con Blair. Il capo di quella cosca massonica è Tony Blair – il referente europeo – e quindi Salvini ha aderito all’iniziativa di Bannon. Blair è il referente europeo di una delle più grosse Ur-Lodges. E’ interessato a Salvini perché questi sistemi sono sempre interessati a chi governa: Salvini in questo momento è al governo, e quindi Blair ha pensato di averlo come referente politico. Salvini è consapevole di cosa rappresenti, Blair? Be’, se ha letto un po’ di cose in giro, sì. Bannon viene associato al mondo della destra, mentre Blair ce lo ricordiamo sulla sponda opposta? Ma sono pessimi ricordi, perché Blair è colui che ha rovinato il socialismo europeo, scientemente. E’ un falso socialista, come ce ne sono tanti. L’iniziativa di Blair e Bannon è un modo per cooptare Salvini? “Cooptarlo” probabilmente no, ma averlo – finché è al governo – come referente politico, sì: è lo stesso motivo per cui gli americani hanno puntato su Di Maio. Michael Ledeen aveva puntato su Di Maio, mentre Steve Bannon e Tony Blair hanno puntato su Salvini. Non sono gruppi in competizione tra loro: sono aspetti, diversi, della massoneria reazionaria.
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Ci sfruttiamo l’un l’altro: questa civiltà è destinata a crollare
La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria.Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.Oggi chi nasce a Roma è italiano. Fino a qualche decennio fa era cittadino vaticano. Oggi chi nasce in Corsica è francese. Prima era piemontese. Prima ancora era fenicio… I confini sono un’invenzione. E noi uccidiamo per quell’invenzione. Uccidiamo per la Patria. Uccidiamo per la Religione. Uccidiamo per l’Ideologia. La nostra civiltà – intendo la civiltà a livello mondiale, la civiltà umana – è al collasso. Perché ci sono dei circuiti perversi che accettiamo passivamente, dandoli per scontati, senza rifletterci. Pensateci: gente che si vende, tradisce, si abbrutisce, uccide per delle entità irreali. I numeri della Borsa – i milioni di miliardi che si muovono nei “mercati” ogni giorno – non corrispondono a niente. Il denaro stesso – che un tempo era il corrispettivo delle riserve auree – non corrisponde più a niente. Ma già l’oro in sé non corrispondeva a niente di veramente prezioso. Cos’è l’oro? Si mangia? Si beve? Ci si ripara? Gli Aztechi e i Maya pensavano che gli spagnoli se ne nutrissero, non capivano tanta avidità per un metallo.Pensateci: per questa concezione perversa dell’economia ci ritroviamo con vaste aree del globo terrestre ricchissime di tutto ciò che è prezioso (acqua, terreno, colture, clima, minerali…) che sono in miseria. E ci sono invece posti in mezzo al deserto, dove non cresce nulla e si vive a stento, in cui costruiscono piste da sci tra la sabbia, in cui fontane d’acqua dolce zampillano in ogni angolo e in cui la gente muore per il colesterolo alto. Vi sembra normale, questo? Pensateci: intere classi sociali, anche in Italia, si fanno a guerra per i pochi beni a disposizione. «Non c’è lavoro per tutti», si dice. «Non ci sono risorse per tutti», si dice. «È una guerra tra poveri», si dice. Ogni giorno i bar, le pasticcerie, i supermercati, le pizzerie, i ristoranti buttano via tonnellate di cibo. Ogni giorno. Tonnellate di cibo ogni giorno. Non ci sono risorse per tutti? Ogni stagione vengono lasciati marcire o schiacciati con i trattori tonnellate di pomodori, arance, zucchine, mele… Ettolitri di latte versato nel terreno. Non ci sono risorse per tutti? È una guerra tra poveri? Ma siamo davvero così poveri? Pensateci: non c’è lavoro per tutti. No. Siamo nel 2016.Un tempo per coltivare un campo che rendeva 100 dci volevano 20 persone. Oggi bastano 3 persone e un trattore. E il campo rende 300, grazie alle biotecnologie. Ci sono 19 persone di troppo. Certo, alcuni di quei contadini di troppo andranno a costruire i trattori. Ma sono comunque troppi. Ma il punto non è questo. Il punto è che il salario per il lavoro è un’invenzione. Se fossimo davvero nel 2016 e se fossimo davvero avanzati come civiltà, non ci sarebbe una cosa come “il salario”. Le ore di lavoro non sarebbero per la sopravvivenza – quella dovrebbe essere garantita dal fatto che sei un essere umano e hai diritto di vivere. Le ore di lavoro sarebbero il tuo contributo alla comunità nella quale sei nato. Perché lavorare non è una condanna ma un’opportunità di senso, di crescita personale, di identità. È diventato una schiavitù perché l’attuale lavoro è un ricatto e le condizioni di lavoro sono spesso da schiavitù. Lavoreremmo tutti, 4-5 ore al giorno. E il resto del tempo? Lo vivremmo. Lo passeremmo a coltivare le amicizie, a occuparci degli affetti, all’arte, alla crescita personale, al progresso della civiltà.Lo scriveva già quasi un secolo fa Bertrand Russell. Ma questo presupporrebbe, oltre a un radicale cambiamento di prospettiva, un controllo delle nascite. Le società animali lo fanno in modo naturale: dove c’è abbondanza di risorse si moltiplicano, dove c’è scarsità di risorse diminuiscono. Anche gli esseri umani lo fanno in modo naturale: dove le risorse sono distribuite e c’è un buon livello di benessere le comunità umane hanno meno figli. O meglio, fanno il numero di bambini proporzionato alle risorse. Nei paesi in cui l’aspettativa di vita è scarsa si fanno molti più figli perché il “gene egoista” cerca di sopravvivere dandosi più chance. Come le tartarughine: sono tantissime ma solo poche testuggini raggiungono il mare e sopravvivono. Per questo fanno tante uova. Il controllo delle nascite (come il controllo della sessualità, dell’alimentazione, etc.) negli uomini è regolato non dall’istinto ma dalla cultura. Infatti tutte le religioni controllano sessualità, cibo e desideri. E tutte le “culture” hanno norme su cosa è giusto o sbagliato in campo di sessualità, cibo e desideri.Il collasso della civiltà quindi non è solo una questione di “corsi e ricorsi storici” ma una questione di cultura. Ma secondo voi la nostra cultura ha fatto molti progressi? Sì, non c’è più la schiavitù. E le baraccopoli di braccianti africani in Puglia che raccolgono le tue cicorie bio? Non c’è più la schiavitù. E i capannoni alla periferia di Prato e di Roma in cui donne incinte e bambini cinesi cuciono la maglietta che indossi? Non c’è più la schiavitù. E i contratti precari con cui i lavoratori di oggi vengono tenuti sotto ricatto? Non c’è più la schiavitù. E le migliaia di ragazze deportate sulle nostre strade costrette a farsi violentare ogni giorno per qualche decina di euro “di divertimento”? Guardando la civiltà ateniese del III secolo ac, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto così tanti progressi? Guardando le comunità di nativi americani, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto molti progressi?(Chistian Giordano, “Il collasso della civiltà”, dal blog di Giordano del 14 luglio 2016).La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria. Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.
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Cremaschi: ma che ci fa Salvini con quel criminale di Blair?
Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».L’ex premier britannico Tony Blair non è solo il principale esponente di quella “terza via”, seguendo la quale la sinistra occidentale e italiana «si è suicidata, sull’altare della sudditanza al mercato e al profitto». Oggi l’ex finto-laburista Blair «è un agente, “molto concreto” come ha scritto Salvini, lautamente retribuito da quel sistema finanziario multinazionale che si ostina a voler comandare il mondo, anche se per fortuna con crescenti difficoltà». Peggio ancora: nel saggio “Massoni”, uscito nel 2014, Gioele Magaldi scrive che Blair non è soltanto una pedina dell’élite neoliberale globalista, è anche un supermassone affiliato alla temibile “Hathor Pentalpha”, superloggia creata dai Bush per accelerare in modo violento la globalizzazione del pianeta, ricorrendo anche al terrorismo “false flag” come quello all’origine dell’11 Settembre, basato su manovalanza “islamista” (Al-Qaeda) ma direttamente controllato dal “fratello” Osama Bin Laden, affiliato alla “Hathor” come poi lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi, il brutale leader del sedicente Isis. Sono potentissimi, gli “amici” di Blair, che – proprio per questo – continua indisturbato ad aggirarsi, da padrone, nel mondo che ha contribuito a distruggere.Strano, che lo stesso Blair ora incontri quel “governo gialloverde” di cui i poteri forti europei sembrano avere così paura? Il potere pensa ancora che questo governo durerà poco, diceva qualche settimana fa Gianfranco Carpeoro, saggista ed esponente del Movimento Roosevelt: l’élite non ha ancora fatto nessun serio tentativo per “incorporarlo” nei suoi piani. In compenso, sono arrivate grandi bordate essenzialmente contro Salvini: la superloggia “Three Eyes” si è mossa con successo, sempre secondo Carpeoro, per bloccare la nomina di Marcello Foa a presidente della Rai: il candidato salviniano è stato bocciato da Berlusconi, costretto a rimangiarsi la parola data a Salvini, dopo le sollecitazioni di Antonio Tajani, a sua volta contattato – su consiglio di Giorgio Napolitano – da Jacques Attali, supermassone oligarchico che si considera il “padrino” di Macron, il presidente francese giunto a far definire “vomitevole” la politica di Salvini sui migranti. Come se non bastasse, ad appesantire la situazione ha provveduto la magistratura italiana: Salvini è indagato per sequestro di persona (30 anni di carcere) dopo la vicenda della nave Diciotti. E soprattutto: la Lega è stata condannata, anche senza una sentenza definitiva, a rifondere lo Stato di qualcosa come 49 milioni di euro, che i magistrati ritengono esser stati indebitamente sottratti durante la gestione Bossi.Nonostante ciò, Cremaschi diffida di Salvini: Blair, scrive, lo ha incontrato «prima di tutto in quanto lobbista delle multinazionali che sostengono il Tap, il gasdotto che devasterebbe la Puglia e altre parti del nostro paese». Quella grande opera, aggiunge Cremaschi su “Contropiano”, è stata voluta dal Pd è vero, però «ha il totale consenso della Lega». E i due partiti, Pd e Lega, «sulle questioni economico-sociali sono molto più vicini di quanto facciano credere», sostiene sempre Cremaschi, secondo cui Salvini non avrà avuto difficoltà a ribadire «nell’incontro con il suo nuovo amico britannico» che il famigerato Tap si farà, «alla faccia dei poveri Cinquestelle che in campagna elettorale si erano impegnati contro di esso». E naturalmente, secondo Cremaschi, «da quel consenso sugli affari ne saranno seguiti altri sulla politica e su tutto il resto», visto che «quel mondo funziona così», come dimostra la storia dello stesso Blair. Anni fa, l’ex premier inglese aveva incontrato e “benedetto” Matteo Renzi, ancor prima che arrivasse a Palazzo Chigi. All’epoca, continua Cremaschi, Blair operava soprattutto come consigliere politico della Jp Morgan, cioè «proprio quella banca che nel 2013 produsse quel documento contro le Costituzioni antifasciste europee, che i malevoli dicono abbia ispirato la controriforma costituzionale di Renzi».Da tempo, aggiunge Cremaschi, Tony Blair «lavora come cacciatore di teste politiche per conto dei poteri forti: e questo ruolo non solo gli dà potere e ricchezza, ma lo protegge anche dalla responsabilità di esser stato un criminale di guerra». Come capo del governo britannico, infatti, è stato complice di tutte le più sporche guerre che Usa e Nato hanno scatenato, all’alba del nuovo millennio, dopo il fatale 11 Settembre e la redazione del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano disegnato dai bellicosi “neocon”. «I milioni di profughi e disperati che soffrono e muoiono sulle coste del Mediterraneo – scrive Cremaschi – devono la loro sciagura anche a Tony Blair». Per le sue guerre e per le menzogne con cui le ha giustificate, l’ex premier britannico «oggi rischia di essere processato in patria e all’estero». Ragiona Cremaschi: «Un incontro tra un criminale lobbista delle multinazionali e un ministro non avviene mai per caso». Viene prima preparato con cura dai rispettivi “sherpa”, e viene realizzato «solo quando entrambi gli interlocutori sono sicuri che l’incontro possa servire a entrambi». E dunque: «Quali sono allora gli interessi comuni di Blair e Salvini?». Per capirlo, sostiene Cremaschi, basta dare uno sguardo alla grande stampa italiana.Da diverse settimane, sul “Corriere della Sera”, gli editoriali si rivolgono direttamente al ministro degli interni: «Nella sostanza, gli chiedono di mettere fine alle doppiezze del governo, in particolare su vincoli europei, grandi opere e privatizzazioni». L’incontro con Blair, conclude Cremaschi, può essere una risposta: «Quale migliore garanzia di continuare con grandi opere e privatizzazioni, che un incontro con il più importante rappresentante politico di esse in Europa? E sui vincoli dell’austerità Ue il leader della Lega, ex “no euro”, è stato diretto ed esplicito: li rispetteremo, ha detto, e lo spread ha subito applaudito». D’altra parte, aggiunge l’esponente di “Potere al Popolo”, in questi mesi il consenso del ministro degli interni non è cresciuto «per pronunciamenti contro banche, finanza, multinazionali», che semmai – con la Flat Tax – vederebbero incrementare il loro vantaggio fiscale. «Il consenso a Salvini è cresciuto non perché abbia aggredito i poteri forti dei ricchi – scrive Cremaschi – ma perché si è mostrato spietato con i più deboli dei poveri senza potere».Come nel passato, osserva il marxista Cremaschi, la grande borghesia liberale «prima disprezza la barbarie dei movimenti di estrema destra, ma poi si accorda con essi quando scopre che tutti i suoi interessi ne verranno garantiti». I conservatori, che insieme ai socialdemocratici hanno sinora guidato l’Ue, secondo Cremaschi «si stanno accordando con le destre xenofobe per conservare il potere». Salvini? «Non é più contro la Ue, perché la Ue non è più contro di lui». Per Cremaschi, «la conservazione delle politiche economiche liberiste può ben accordarsi con politiche autoritarie e violente contro i migranti e contro ogni dissenso sociale». Mai stato indulgente, Cremaschi, con la Lega: «Chi oggi pensa di contrapporre la Ue a Salvini è un illuso o un imbecille – scrive – e dovrebbe passare delle giornate a guardare la foto del leader leghista e di Blair sorridenti e soddisfatti». Conclusione: «Mentre la magistratura sequestra i fondi della vecchia Lega di Bossi, i poteri forti hanno scelto quella nuova di Salvini, che ha promesso loro che continuerà a fare ciò che ha sempre fatto: essere forte coi deboli e debole coi forti». Secondo Cremaschi «c’è solo da sperare che la benedizione di Blair, che poi ha portato Renzi alla rovina, alla fine abbia gli stessi effetti sul ministro degli interni». Nel frattempo, il Pd renziano si gode lo spettacolo dalla finestra: è stato infatti il centrosinistra (non Salvini) a terremotare il paese, al punto da spingerlo a votare in massa per la Lega e i 5 Stelle.Che ci fa Matteo Salvini a braccetto con Tony Blair, tristissimo esponente della post-sinistra di regime che ha terremotato il pianeta a colpi di privatizzazioni selvagge e guerre devastanti, innescate da “fake news” come le inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam? Se lo domanda Giorgio Cremaschi, già leader sindacale nella Fiom e ora esponente di “Potere al Popolo”. «Se il sistema mediatico non fosse quello che è – scrive Cremaschi su “Contropiano” – l’incontro tra Tony Blair e Matteo Salvini sarebbe stato la notizia di apertura su cui discutere e far discutere per giorni. Siccome invece il sistema mediatico deve rispondere agli interessi dei suoi padroni, allora la notizia è stata quasi censurata». Ma come, scrive Cremaschi: il leader della “destra populista”, che ha fatto le sue fortune urlando che la sinistra è contro il popolo e sta coi ricchi, incontra il più importante esponente della sinistra dei ricchi? Non solo: si fa la foto sorridente con lui e, in un post, esprime compiacimento e riconoscimento del comune pragmatismo? Tutto questo non meriterebbe titoli da prima pagina ben più che gli scontati incontri con Orban? «No, se chi guida i mass media ha da un lato interesse a che l’incontro si sia svolto, ma dall’altro che esso non offuschi l’immagine con la quale Salvini ha scalato il potere».
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Ecco i nomi dei massoni golpisti che hanno creato la crisi
Puoi chiamarli neoliberisti. Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che detestano la democrazia e confiscano il potere dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna, pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della nostra storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali.
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Occhio ai “custodi” della democrazia non eletti da nessuno
Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”. «E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».Salvini e Orbán, nondimeno, hanno dato ennesima sintesi alla loro polemica sull’Europa, incarnandola in un “barbaro” da combattere, anzi da espellere: si tratta del supermassone neo-aristocratico George Soros, finanziere di origine ungherese, noto fra l’altro per il devastante attacco speculativo alla lira italiana del 1992. E’ lui, scrive Berti, ad apparire un attendibile “cosmocrate” dei nostri tempi: un europeo trapiantato a Wall Street per lanciare dalla trincea americana la “guerra mondiale” della globalizzazione finanziaria, «quella che avrebbe brutalmente sostituito – principalmente in Europa – la politica con la tecnocrazia, finendo con l’assegnare all’oligopolio bancario apolide (travestito da “libero mercato”) le leve ultime sui destini degli ex Stati nazionali». Gestore di mega-hedge fund, nonché filosofo e mecenate di fondazioni politico-culturali mondialuste, rivestirebbe dunque con speciale verosimiglianza i panni del “dittatore” contemporaneo: il Grande Fratello di un capitalismo finanziario globalizzato «che non avrebbe più bisogno, come cent’anni fa, di un Hitler o di un Mussolini», dal momento che gli bastano un Obama truccato da progressista e l’ideologia politically correct «per preservare la propria egemonia dopo “l’incidente” del 2008 sui mercati finanziari».Chi è il vero barbaro? E chi può dare veramente del “barbaro” a chi? «Nell’Italia, nell’Europa, negli Usa del 2018 – scrive Berti – il solo porre la questione offre ormai il fianco ad accuse di connivenza con la “barbarie”». Ma la questione sostanziale, aggiunge l’analista, è questa: se il richiamo al primo dopoguerra mondiale è lecito, il rischio massimo risiede nel rifiuto di affrontare i nodi reali posti dalla storia. «Esattamente cent’anni fa l’Europa – dopo che tutti i contendenti continentali avevano più o meno perso la guerra – perse anche la pace, e in molti paesi la libertà, preparando un nuovo e più distruttivo conflitto. Questo – aggiunge Berti – avvenne perché governi ed establishment nazionali gestirono con categorie ottocentesche il dopoguerra, che segnava invece l’inizio del Novecento: sia all’interno dei sistemi-paese che nelle relazioni internazionali». Solo gli Stati Uniti, rileva l’analista, riuscirono ad attraversare il vero momento di passaggio, cioè la Grande Depressione del 1929, «senza stravolgere il loro sistema, e ridisegnando un archetipo di successo della democrazia mista di mercato».Il cambio di paradigma politico-economico del New Deal, sottolinea sempre Berti nella sua analisi, fu comunque drastico almeno quanto brutale fu la Grande Recessione: e sarebbe interessante rivedere chi, in quegli anni, dava del “barbaro” a chi, in America (al Congresso, sui media e nelle università). «Quarant’anni dopo, comunque, il paradigma fu di nuovo rovesciato su scala globale dal thatcherismo-reaganismo: e molti difensori odierni del “legittimismo democratico-liberista” erano fra i supporter del “sano sovversivismo” portato dalla nascente finanza di mercato (l’etichetta mediatica “barbarian at the gates” fu coniata in occasione dell’Opa Nabisco, il primo assalto riuscito da parte di hedge fund e junk bond all’industria tradizionale, alla fine degli anni Ottanta)». E’ in quella transizione “magnifica e progressiva”, continua Berti, che, fra l’altro, tre piccole agenzie private si affermano come decisori sovranazionali del rating, del merito finanziario di chiunque sul pianeta. «Dieci anni dopo il crack Lehman – il suo più clamoroso fallimento tecnico-politico – il rating detta ancora letteralmente legge: i voti delle tre agenzie di Wall Street, le stesse di allora, rimangono parte integrante della regolamentazione bancaria nell’Eurozona». Ma sono sempre più numerosi coloro che, per usare la terminologia di Cassese, denunciano come “mercato illiberale” quello creato dalla globalizzazione e oggi tenacemente difeso dai istituzioni finanziarie “too big” per essere controllabili dalle democrazie.«Roosevelt, il salvatore dell’Europa democratica – ricorda Berti – è stato l’unico presidente Usa ad essere stato eletto quattro volte: una “dittatura democratica” lunga 13 anni, successivamente vietata dalla legge». Gli succedette Eisenhower, che da militare aveva condotto la guerra di liberazione in Europa, e da presidente «governò con la guerra fredda e il terrore nucleare, tollerando inizialmente una “caccia alle streghe” nella politica interna». Kennedy? «Fu assassinato perché lottava per i diritti civili e l’integrazione razziale, ma aveva deciso anche la guerra in Vietnam». La “democrazia (sociale) di mercato” non è mai stata un “tipo ideale” neppure in quella che è considerata la sua patria, dice Berti. «E se deve guardarsi da scivolamenti e corruzioni non può neppure trasformarsi in ideologia né essere tutelata nella presunta ortodossia da custodi autonominati, né divenire arma di scontro politico». Ineccepibile, il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, nel ricordare – al meeting di Rimini – che l’Italia deve rispettare lo “Stato di diritto europeo”, partecipando al bilancio Ue. Gli fa eco il ministro dell’economia Giovanni Tria, sul rispetto dei parametri Ue per l’adesione all’Eurozona. Ma, aggiunge Berti, «non ha torto neppure chi sostiene che – proprio in democrazia – ogni norma è riformabile, anzi: è fatta per essere riformata. E non può essere imposto, dogmaticamente, un coefficiente numerico fissato un quarto di secolo prima». Il rapporto al 3% fra deficit e Pil? «Non è equivalente al 51% del principio democratico universale scolpito ad Atene 2.500 anni fa». Conmclude Berti: «La democrazia, fortunatamente, è antichissima. E, come sosteneva il “dittatore” britannico Winston Churchill, resta “il peggiore sistema politico, salvo tutti gli altri”».Dopo il summit Salvini-Orbán (e gli scontri etnici in Germania), Paolo Mieli ha ripetuto sul “Corriere della Sera” che i partiti populisti a caccia di leadership definitiva in Europa sono nulla più che sovversivi «barbari alle porte». Sulle stesse colonne, Sabino Cassese continua a vedere la coalizione di governo italiana come uno scivolo verso la «democrazia illiberale». L’immagine di fondo, cioè la sintesi storico-politica degli argomenti, rimanda puntualmente agli anni Venti e Trenta del secolo scorso in Italia, Germania, Ungheria e Austria, scrive Nicola Berti sul “Sussidiario”. La dittatura (“fascista” e prodromica alla guerra) è sempre in agguato, e si può fare strada senza difficoltà anche fra le urne: ogni suo simulacro più o meno presunto va quindi respinto e combattuto in via pregiudiziale, assoluta, dalla “democrazia legittima”. «E’ lo stesso atteggiamento dei politici, intellettuali e media Usa che da due anni osteggiano “a prescindere” la presidenza di Donald Trump», osserva Berti: l’establishment la dipinge infatti «come un incidente della storia, un pericolo mortale per la democrazia americana», un “mostro” «da annientare al più presto con ogni mezzo (a cominciare dalla via giudiziaria, rispolverando esplicitamente il modello italiano di Mani Pulite)».
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Bergoglio: preti pedofili, vergogna. Dopo le parole, i fatti?
Di fronte all’irrefrenabile scandalo dei comportamenti amorali di tanti preti e suore, Bergoglio in Irlanda dichiara: «La Chiesa ha fallito, provo vergogna». Bene, era ora che, invece di “coprire” i misfatti per salvare la “santità” dell’istituzione – come hanno incredibilmente fatto Papi precedenti, anche “santi subito” – un Papa ammettesse come stanno le cose. Ma ora vediamo se trarrà conseguenze logiche e pratiche da queste dichiarazioni… Infatti, così dicendo, Bergoglio ha in pratica ammesso che Santa Madre Chiesa non è né Santa né tanto meno Madre, visto come si è comportata con i bambini. E quindi rimane solo una “fallibile”, ricca e potente istituzione “mondana” come un’altra. Priva di infallibile “guida divina”. Perché se questa guida divina ci fosse stata, certamente non avrebbe coperto i preti pedofili, non avrebbe compiuto le mille nefandezze della sua storia, e avrebbe formato meglio preti, suore e curie dal punto di vista etico.Ma allora ragioniamo: se “ha fallito” – come dice il Papa – vuole dire che “non è infallibile”, e quindi dovrebbe rinunciare alla sua pretesa di essere una autorità morale superiore, e scendere dal gradino che pretende ormai abusivamente di occupare. E magari darsi da fare per aiutare la gente dal basso (come alcuni dei suoi membri privi di potere già fanno), e non “dall’alto”, visto che questo “Alto” chiaramente non guida la Chiesa, ma solamente le coscienze individuali che si aprono al vero amore per gli altri. E quindi rinunciare finalmente all’imperiale, verticale “principio di autorità”, che non ha un suo fondamento. E rifondare finalmente se stessa su un “principio di fratellanza” orizzontale (troppo spesso la Chiesa ha amato più se stessa del prossimo). Lo farà? Qui si vedrà se le sue parole sono genuine, o solo un tentativo di frenare l’enorme emorragia di fedeli e di regolare qualche conto interno alle gerarchie vaticane. La “protesta delle scarpe” lasciate sul selciato di Dublino da un gruppo di vittime di preti pedofili era accompagnata dallo striscione “no words” (basta parole). Ci auguriamo che gli atti non si riducano a fare fuori qualche pezzo di Curia inviso ai gesuiti…(Fausto Carotenuto, “Bergoglio rinuncerà finalmente al Principio di Autorità?”, dal nesmagazine “Coscienze in Rete” del 26 agosto 2018. Già analista geopolitico dell’intellicence Nato, nel libro “Il mistero della situazione internazionale”, edito da UnoEditori, Carotenuto fornisce una sua personalissima “mappa” del potere mondiale in chiave spiritualistica. Nella sua ricostruzione, il mondo sarebbe dominato sostanzialmente da due “piramidi oscure”, al cui vertice si troverebbero poteri massonici e poteri gesuitici, in concorrenza tra loro ma, nei momenti decisivi, alleati – di fatto – nel disegno di dominio che accomunerebbe entrambi, da secoli. Sempre secondo Carotenuto, le cosiddette “piramidi oscure” – anche se i loro membri non ne sarebbero sempre consapevoli, lavorano in realtà per conto della “fratellanza bianca”: sono semplici “forze dell’ostacolo”, la cui funzione consiste nel costringere la coscienza dell’umanità a risvegliarsi progressivamente. Carotenuto è ottimista: sostiene che almeno il 30% della popolazione mondiale ha ormai imparato a non fidarsi più del potere, oggi essenzialmente economico-finanziario, che dirige la politica. L’analista insiste sul carattere eminentemente spirituale delle “forze dell’ostacolo”: le crisi e le guerre, dice, vengono spesso scatenate per sete di denaro, di risorse e di petrolio, ma in realtà – sottolinea – la vera missione, da parte delle “piramidi oscure”, consiste nel generare la maggiore sofferenza possibile, drammaticamente “necessaria” all’umanità per prendere coscienza del fatto che solo la fratellanza universale potrà spezzare le catene dell’odio).Di fronte all’irrefrenabile scandalo dei comportamenti amorali di tanti preti e suore, Bergoglio in Irlanda dichiara: «La Chiesa ha fallito, provo vergogna». Bene, era ora che, invece di “coprire” i misfatti per salvare la “santità” dell’istituzione – come hanno incredibilmente fatto Papi precedenti, anche “santi subito” – un Papa ammettesse come stanno le cose. Ma ora vediamo se trarrà conseguenze logiche e pratiche da queste dichiarazioni… Infatti, così dicendo, Bergoglio ha in pratica ammesso che Santa Madre Chiesa non è né Santa né tanto meno Madre, visto come si è comportata con i bambini. E quindi rimane solo una “fallibile”, ricca e potente istituzione “mondana” come un’altra. Priva di infallibile “guida divina”. Perché se questa guida divina ci fosse stata, certamente non avrebbe coperto i preti pedofili, non avrebbe compiuto le mille nefandezze della sua storia, e avrebbe formato meglio preti, suore e curie dal punto di vista etico.
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Brexit e Trump: gli anglosassoni volano, anziché crollare
«La catastrofe oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente». Cita il mitico Giorgio Gaber, il blogger Massimo Bordin, per ricordare – su “Micidial” – che nella Gran Bretagna “scappata” dall’Unione Europea la disoccupazione è al 4%, cioè il minimo storico dal lontanissimo 1975. «Il numero degli occupati nel Regno Unito è salito di 42.000 unità nel trimestre terminato a giugno», a dispetto degli economisti anti-Brexit, i soliti veggenti, che «si aspettavano un calo di 3.800 unità nel solo mese di giugno». E per Bordin, gli squillanti traguardi del sovranismo inglese sono soltanto l’antipasto: il piatto forte è l’America. «Quando l’impresentabile Donald Trump fece l’azzardo di presentarsi alle elezioni, gli analisti si scatenarono», ricorda l’autore di “Micidial”: «C’è chi giurava sui propri figli che, in virtù di statistiche precise al millimetro, il biondo non poteva vincere; altri scommettevano nel crollo dell’economia planetaria. I più severi furono i neocon europei, per i quali, dopo qualche sventagliata populista, sotto Trump la “Pravda” rappresentata dalla finanza globale avrebbe decretato un verdetto di fallimento». I dazi – secondo questi soloni dell’economia – avrebbero «costretto i capitali a fuggirsene dall’America, con la conseguente fine del monopolio di Wall Street».Da quando Trump è stato eletto, a fine 2016, la Borsa americana – da sempre quella con i maggiori capitali al mondo – è aumentata in valore di altri 6.000 miliardi, annota Bordin. «Questa cifra – che ricorda molto i fantastiliardi di Paperopoli, di Uncle Scrooge e del suo mitico deposito – è in pratica il Pil di Italia, Francia e Regno Unito messi assieme: lo ripeto per i Boldrin, gli Scacciavillani, i “noisefromamerika” e tutti gli incompetenti ideologizzati ed i trader iperliberisti che infestano questo declinante paese». Fatti, non parole: da quand Trump è alla Casa Bianca, sul piatto ci sono 6.000 miliardi in più. Nessun mistero: di fronte a segnali di evidente ripresa, anziché tagliare la spesa pubblica come avrebbe fatto qualsiasi governo dell’Eurozona, gli Stati Uniti hanno rilanciato, moltiplicando il deficit per investire sul sistema paese. Risultato: crescita esponenziale del Pil. «Continuerà? Ecchennesò, magari sì, probabilmente no», scrive Bordin, «ma certamente i soloni economisti europei si sono sbagliati, e si sono sbagliati per due anni – che per un investitore è la rovina (eppoi insegnano all’università, eppoi commentano)».I dati più importanti sull’America «riguardano occupazione e salari, visto che la finanza potrebbe benissimo essere in bolla». Il tempo ce lo dirà, aggiunge Bordin, «ma al momento Trump non è stato affatto una catastrofe per la finanza. Fu disastro con il liberista Bush junior, invece, sotto il cui mandato ci fu la più grande ecatombe borsistica dopo il 1929» Tornando a The Donald: la performance a New York durante questi due anni scarsi è stata del 34%. Com’è stato possibile? «Le Borse, da che mondo è mondo, basano le loro performance sulla fiducia e sul ruolo dei regolatori, la Fed in questo caso. Se ci concentriamo sul primo aspetto – scrive Bordin – a pompare fiducia è stata la politica fiscale. Con la riforma fiscale, le imprese in Usa si sono viste tagliare le tasse dal 35 al 20%. Se questa iniziativa viene sommata alla protezione sui prodotti americani, ecco che il mistero si svela». Non solo: grazie all’abbattimento delle tasse, «le aziende quotate hanno potuto comprarsi le proprie azioni, che in termini tecnici si chiama BuyBack: è superfluo aggiungere che questo sistema fa esplodere i titoli all’insù». Durerà? «E’ impossibile saperlo, ma ci sono almeno due elementi che potrebbero indicare una drastica inversione: una guerra monetaria con l’euro e l’impeachement al presidente», dopo le elezioni di medio termine. «Due ipotesi affatto improbabili».«La catastrofe oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente». Cita il mitico Giorgio Gaber, il blogger Massimo Bordin, per ricordare – su “Micidial” – che nella Gran Bretagna “scappata” dall’Unione Europea la disoccupazione è al 4%, cioè il minimo storico dal lontanissimo 1975. «Il numero degli occupati nel Regno Unito è salito di 42.000 unità nel trimestre terminato a giugno», a dispetto degli economisti anti-Brexit, i soliti veggenti, che «si aspettavano un calo di 3.800 unità nel solo mese di giugno». E per Bordin, gli squillanti traguardi del sovranismo inglese sono soltanto l’antipasto: il piatto forte è l’America. «Quando l’impresentabile Donald Trump fece l’azzardo di presentarsi alle elezioni, gli analisti si scatenarono», ricorda l’autore di “Micidial”: «C’è chi giurava sui propri figli che, in virtù di statistiche precise al millimetro, il biondo non poteva vincere; altri scommettevano nel crollo dell’economia planetaria. I più severi furono i neocon europei, per i quali, dopo qualche sventagliata populista, sotto Trump la “Pravda” rappresentata dalla finanza globale avrebbe decretato un verdetto di fallimento». I dazi – secondo questi soloni dell’economia – avrebbero «costretto i capitali a fuggirsene dall’America, con la conseguente fine del monopolio di Wall Street».
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Migranti? Salvini ci distrae dal Mostro: il pareggio di bilancio
Se c’è qualcosa di “vomitevole”, nella politica italiana – per usare un’espressione cara al soave Macron – è l’ipocrita cinismo con cui la sinistra (politica, stampa, establishment) azzanna Salvini in materia di migranti. L’altro problema? Enorme: facendo tutto quel rumore solo sul problema degli sbarchi, non così importante nei numeri, il leader della Lega – messi da parte gli economisti sovranisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai – sta letteralmente oscurando il vero dramma nel quale si dibatte il paese. Ovvero: il rigore finanziario imposto da Bruxelles fino al pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione dal governo Monti con la complicità di Berlusconi e Bersani. Lo afferma Paolo Barnard, giornalista scomodo e acuminato polemista, il primo a denunciare “l’economicidio” del paese pianificato dalle élite europee neo-aristocratiche. Oligarchi, padroni della finanza e delle multinazionali: sono stati loro a progettare la catastrofe di questa Eurozona, allo scopo di amputare la spesa pubblica per privatizzare tutto e far crollare il sistema economico delle piccole e medie imprese, soffocate dalle tasse. Sempre meno, per tutti noi: “pareggio di bilancio” significa che lo Stato recupera, sotto forma di imposte, tutto quello che ha speso per i cittadini. Peggio ancora, il “surplus di bilancio”: lo Stato anticipa 100, ma poi riscuote 120 (non solo non lascia nulla, ma addirittura impoverisce attivamente il paese). Riuscirà a parlarne, Salvini, quando avrà finito di sbraitare a reti unificare contro “l’invasione” degli africani?Senza una drastica inversione di tendenza, scrive Barnard nel suo blog, l’Italia farà la fine della Svezia: pur essendo dotato di moneta sovrana, il paese scandinavo (patria storica del welfare avanzato) per reggere l’accoglienza dei migranti – tantissimi, 600.000 negli ultimi 5 anni, in un paese di 10 milioni di abitanti, «che in proporzione è come se l’Italia ne avesse avuti 3.600.000» – il governo di Stoccolma, socialdemocratico ma plagiato dal dogma neoliberista dell’Ue, ha letteralmente massacrando la popolazione svedese a suon di tasse. Risultato: le imminenti elezioni rischiano di vincerle a mani basse i populisti Democratici Svedesi, feroci sui migranti ma letteralmente muti sul vero dramma, il pareggio di bilancio. Proprio come Salvini, accusa Barnard, che di fronte all’esodo africano sembra «il vigile tonto che con la paletta pensa di fermare lo tsunami in spiaggia». La sinistra? «Fa venir da vomitare, usa i neri con un cinismo da impiccagione sul posto: non sanno proporre una soluzione sistemica al motivo per cui migrano, e predicano invece la loro accoglienza (a casa e a spese degli italiani sfigati, non certo a casa loro). Questo insulto alla geopolitica gli lava l’anima, ma poi lascia 389 milioni di africani nella disperazione e non risolve un cazzo da 26 anni». Sono almeno 500 milioni, scrive Barnard, gli esseri umani a rischio di migrazione: per ogni sorta di motivo, dal neo-colonialismo europeo all’emergenza climatica, «e non li fermerai mai coi divieti di Salvini». La soluzione? «Deve essere un accordo economico sistemico internazionale».In ogni caso, sottolinea Barnard, i migranti sono il problema numero 300 del nostro “portafoglio”: prima vengono sanità, pensioni, scuola e lavoro. Ben prima dei migranti ci cadono addosso le “chemiotasse” imposte dall’euro, il credito che le banche non concedono, l’Italia che non cresce più da vent’anni. Il problema numero uno è lui: il pareggio di bilancio, «cioè la dittatura Ue che dice che lo Stato deve darti 100 e poi tassarteli tutti e 100, cioè lasciarti nulla nel portafoglio – sanità, pensione, scuola, crescita». Eppure, fateci caso: «La lotta della Lega al nero che sbarca è diventata una tempesta solare», mentre l’opposizione leghista al vero nemico – il pareggio di bilancio – ormai «assomiglia sempre più a un petardo». Salvini? «Sta facendo sbiadire la mostruosità del pareggio di bilancio, che è la prima causa delle pene degli italiani, e li incoraggia a cercare da un’altra parte un capro espiatorio per la loro rabbia da crescente povertà e insicurezza: nell’immigrazione». Per Barnard «è un bypass velenoso, che Salvini alimenta ogni minuto». Il meccanismo «ha una presa micidiale sulla gente» ma è anche «distruttivo», come sta accadendo in Svezia, cioè il paese in crisi verso cui ci starebbe spingendo la Lega, con la sua miopia. Il paradosso, aggiunge Barnard, è che la Lega sulla carta doveva fare l’esatto contrario: mantenerci tutti concentrati sul pericolo numero 1, il pareggio appunto, non distrarci da esso con l’ossessione del pericolo numero 300, cioè gli sbarchi dei migranti.In Svezia ne hanno accolti una quota enorme, sopra il 5% della popolazione nazionale. Tutti assorbiti nel sistema produttivo: industria, sanità, servizi sociali. Economia in crescita, quindi: il Pil è salito del 3,3%, contro la media europea del 2%. Ottimo? No, niente affatto, spiega Barnard: perché poi, dati alla mano, nelle zone meno popolate (il 90% del paese) stanno chiudendo ospedali e consultori. «Ne soffrono le donne, a cui ora le autorità stanno insegnando come partorire in auto perché spesso la maternità più vicina è a oltre 100 km di distanza. Non solo: a volte le partorienti svedesi vengono respinte dai consultori perché sono stipati di pazienti, fra cui anche migranti». Le liste d’attesa in sanità sono letteralmente esplose: non per colpa dei migranti, però, ma per via dei tagli decisi – a monte – dal governo, preoccupato in modo demenziale di raggiungere ogni anno il pareggio di bilancio imposto dall’Ue. Ormai, «quello che viene vantato nel mondo come un sistema di welfare che assiste “dalla culla alla tomba” e che mantiene chi perde il lavoro in relativo agio, oggi fa acqua da tutte le parti». Idem il lavoro: «La disoccupazione svedese, che dovrebbe essere inesistente, è al 7%, e questo nonostante la già citata crescita». Un dato che «fa vergognare la nazione scandinava a confronto con la spietata America, dove i disoccupati sono al 3,9%».Crisi da rigore di bilancio, in salsa nordica: «Gli svedesi non trovano abbastanza case, e se le trovano costano una fortuna. In parte il problema è dovuto al fatto che i 600.000 migranti hanno assorbito alloggi, ma molto di più è dovuto a un mercato immobiliare selvaggio causato da politiche di governo e banca centrale che hanno permesso liquidità a costo quasi zero, quindi incentivato acquisti sempre più frenetici che hanno alzato i prezzi alle stelle, che a loro volta hanno costretto gli svedesi a indebitarsi con le banche da pazzi per avere una casa. Nel frattempo lo Stato non è affatto intervenuto con edilizia popolare per aiutare gli esclusi». Ecco allora il vero motivo del disastro che sta esasperando gli svedesi: e cioè «l’ossessione da parte del governo, persino in una nazione sovrana nella moneta, di pareggiare i bilanci, e addirittura di fare il surplus di bilancio». Per cosa, poi? «Solo poter vantare nelle casse dello Stato un assurdo bottino che contabilmente non ha senso, ma soddisfa i “numerini degli economisti europei”. Ecco come agiscono i pareggi e surplus di bilanci, cioè la macchina d’impoverimento peggiore della storia, in Svezia». E questa, aggiunge Barnard, è «la vera fucina dell’esasperazione dei cittadini, che poi sbagliano clamorosamente target e se la prendono coi migranti (come da noi)».Follia: il governo svedese «non solo pareggia i bilanci da anni, ma ora addirittura fa surplus di bilancio da 4 anni, e intende insistere in questa strage delle tasche dei cittadini fino al 2021 almeno». Questo, sottolinea Barnard, «è il motivo dei drastici tagli governativi a sanità, alloggi pubblici per gli ultra-indebitati, sicurezza e persino welfare. I fondi ai migranti, qui, sono irrilevanti». Altra follia: «Mentre il governo spende 100 per gli svedesi e li tassa 120, ha avuto la buona idea di aumentare le tasse, con l’aliquota massima oltre il 70%, e di tagliare a raffica una serie di sconti fiscali». Chi sta quindi sta assassinando i redditi svedesi? «Risposta: svedesi con pelle bianchissima seduti a Stoccolma, non stranieri di pelle scura (per noi italiani invece è il contrario: gli assassini economici sono in effetti stranieri, ma sempre di pelle bianca, e stanno a Bruxelles)». Terza follia: «Questa idrovora di tassazione e tagli di spesa pubblica nel portafoglio di aziende e famiglie svedesi accade mentre, secondo i dati del ministero delle finanze, il costo per ogni nativo svedese per l’accoglienza dei migranti è di 6.800 euro all’anno in ulteriori tasse. E questo grida vendetta, perché la Svezia è paese a moneta sovrana, e per definizione non necessita di tasse per spendere per qualsiasi cosa, inclusi i migranti. Quindi, se i migranti pesano in parte sui portafogli degli svedesi, la colpa è tutta e solo della scelta di governo di ubbidire ai diktat imperanti in Europa».Ed ecco che scatta il micidiale bypass delle colpe, conclude Barnard: un numero sempre maggiore di svedesi «mica se la prendono col loro demenziale governo e con le sue devastanti politiche fiscali». Al contrario, «se la prendono coi migranti». In pole position, nei sondaggi per le vicinissime elezioni, c’è il partito «di estrema desta e rabbiosamente anti-immigrazione», i Democratici Svedesi, dato addirittura vincente. E qui sta il dramma: se si osserva la piattaforma politica dei Democratici Svedesi, si scopre che il nazionalismo, la patria, l’identità e la xenofobia sono il 98%, mentre il resto «è un’accozzaglia di belle intenzioni su lavoro, anziani, sanità, commercio, ma nulla di specifico sulla vitale necessità di demolire ciò che davvero sta devastando famiglie e aziende svedesi, che è il pareggio (o surplus) di bilancio». Nel loro programma non esiste la voce “abolizione pareggi e surplus di bilancio”. «Strombazzano solo contro le politiche troppo generose sui migranti». Risultato? «Il dramma nordico rimarrà inalterato, esattamente come rimarrà inalterato il dramma italiano se Matteo Salvini, come i Democratici Svedesi, continua a gonfiare l’ipertrofica bolla delle navi nei porti, mentre pacatamente sta costruendo un nulla di fatto su “no euro”, “no pareggio di bilancio”, e su Italexit». E siatene certi, chiosa Barnard: «Dopo le roboanti boutade “macho” dell’uomo forte italiano, nel vostro portafoglio, nella sanità, nelle pensioni, nelle scuole, nel lavoro tuo e dei figli, nelle ‘chemiotasse’, nei crediti che non ti danno, e nell’Italia che non cresce da 20 anni non ci sarà un nero. Ci sarà Salvini».Se c’è qualcosa di “vomitevole”, nella politica italiana – per usare un’espressione cara al soave Macron – è l’ipocrita cinismo con cui la sinistra (politica, stampa, establishment) azzanna Salvini in materia di migranti. L’altro problema? Enorme: facendo tutto quel rumore solo sul problema degli sbarchi, non così importante nei numeri, il leader della Lega – messi da parte gli economisti sovranisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai – sta letteralmente oscurando il vero dramma nel quale si dibatte il paese. Ovvero: il rigore finanziario imposto da Bruxelles fino al pareggio di bilancio, inserito nella Costituzione dal governo Monti con la complicità di Berlusconi e Bersani. Lo afferma Paolo Barnard, giornalista scomodo e acuminato polemista, il primo a denunciare “l’economicidio” del paese pianificato dalle élite europee neo-aristocratiche. Oligarchi, padroni della finanza e delle multinazionali: sono stati loro a progettare la catastrofe di questa Eurozona, allo scopo di amputare la spesa pubblica per privatizzare tutto e far crollare il sistema economico delle piccole e medie imprese, soffocate dalle tasse. Sempre meno, per tutti noi: “pareggio di bilancio” significa che lo Stato recupera, sotto forma di imposte, tutto quello che ha speso per i cittadini. Peggio ancora, il “surplus di bilancio”: lo Stato anticipa 100, ma poi riscuote 120 (non solo non lascia nulla, ma addirittura impoverisce attivamente il paese). Riuscirà a parlarne, Salvini, quando avrà finito di sbraitare a reti unificare contro “l’invasione” degli africani?
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Ricordati che devi morire, dice all’Italia il massone Cottarelli
C’era una volta l’Italia. Era un paese pieno di problemi, come tutti gli altri paesi europei. Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due qualità fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie. D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica. Il boom, il miracolo economico. Costruito come? Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico. Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori. Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.Neoliberismo, morte dello Stato sovrano. Cartellino rosso: ora basta, dovete soffrire. Chi lo dice? Loro, l’élite finanziaria, la Banca Mondiale, il Fondo Moneriario. Un nome? Carlo Cottarelli. E perché mai dovremmo soffrire? Perché sì, è la risposta. Ed è vero: lo conferma il “Corriere della Sera”. Queste sono cose che succedono, oggi, e che irritano moltissimo alcuni italiani. Come Gioele Magaldi, per esempio. Magaldi è un italiano trasparente. E’ anche un massone, è stato il “maestro venerabile” della prestigiosa loggia Monte Sion del Goi, il Grande Oriente d’Italia. Ricorda, a ogni pie’ sospinto, che questo paese è stato “fabbricato” da massoni, nell’Ottocento. Si chiamavano Garibaldi, per dire. E poi altri massoni, nel Novecento, alla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno rimesso insieme i cocci di quel che restava del paese dopo il fascismo. Meuccio Ruini, repubblicano, presidente della commissione per la futura Costituzione. E Pietro Calamandrei, comunista, presidente della Costituente. Massoni, che all’epoca significava: fine dei privilegi di casta, suffragio universale, laicità e sovranità elettorale per ogni cittadino, uomini e donne, ricchi e poveri.S’infuria, Magaldi, tutte le volte che qualcuno disconosce il ruolo storico della massoneria nella genesi della Repubblica italiana. Si irrita, quando Di Maio e Salvini firmano il loro “contratto di governo” dove sta scritto che nessun massone potrà mai far parte del governo gialloverde. Minaccia, Magaldi, di fare i nomi degli interessati: è pieno, il governo gialloverde, di massoni importanti. Si spazientisce, Gioele Magadi, se qualcuno – magari della Lega – gli chiede di intercedere, presso la massoneria sovranazionale, per proteggere il governo Conte, così ferocemente avversato dalla supermassoneria reazionaria. Va bene, dice: vedremo. Ma perché, intanto, non dichiaratar apertamente l’appartenenza massonica di ministri e sottosegretari? Parla, Magaldi, di cose che purtroppo sa. Per esempio: Luigi Di Maio, l’attuale capo dei 5 Stelle, prima delle elezioni bussò – inutilmente – alla porte degli stessi circuiti “neo-aristocratici” che avevano messo alla porta Matteo Renzi, un leader teoricamente progressista. Oggi, dice Magaldi, Di Maio è maturato parecchio. Tante cose sono cambiate, in Italia, in pochissimi mesi.Come fa, Magaldi, a esprimersi in questi termini? Semplice: fa parte, lui stesso, del circuito massonico sovranazionale. E’ stato “iniziato” alla superloggia “Thomas Paine”, pietra miliare della massoneria internazionale progressista. Cos’è una superloggia? Una Ur-Lodge, ha spiegato nel suo libro “Massoni” (edito da “Chiarelettere”, venduto in decine di migliaia di copie ma passato sotto silenzio dalla stampa mainstream) è un circolo esclusivo di persone importanti, che concorrono a decidere i destini del mondo senza che i media ne parlino mai. Ne ha parlato lui, infatti: ha messo a disposizione un archivio di 6.000 pagine, ma nessuno si è sognato di chiedergliene conto, e meno che meno di contestarlo o smentirlo. Silenzio assoluto. Ci sono tutti, in quel libro: Licio Gelli e Pinochet, Allende e i Kennedy, Martin Luther King, Kissinger e Bush, Gorbaciov, Draghi e Napolitano. E il mitico Cottarelli?Fa parte del penultimo capitolo della nostra infelicissima storia recente, dice Magaldi a David Gramiccioli, conduttore del seguitissimo programma “Massoneria On Air” su “Colors Radio”. Che dice, l’ex commissario alla spending review del paramassone Enrico Letta? Semplice: che dobbiamo soffrire. Che le promesse del governo gialloverde sono irrealizzabili. Flat Tax, riforma della legge Fornero sulle pensioni, reddito di cittadinanza? Pura follia, dichiara il Cottarelli al “Corriere della Sera”, che lo presenta – si stupisce Magaldi – come un paladino della crescita. Lui, Cottarelli? Tanto per cominciare, sottolinea Magaldi, Cottarelli è un massone. Un massone occulto, non dichiarato. Poi è un massone che appartiene ai circuiti sovranazionali, quelli delle Ur-Lodges. E soprattutto: milita nella destra politico-economica, la Chiesa neoliberista che prescrive al popolo di tirare la cinghia. E’ lo stesso Cottarelli che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oppose all’ipotesi di governo gialloverde, nel bocciare Paolo Savona al ministero dell’economia. Ma attenzione, ricorda Magaldi: poco prima, era stato lo stesso Di Maio a sventolare il nome di Cottarelli come campione di virtù politica, in campo economico.Oggi, sul “Corriere della Sera”, Cottarelli ripete stancamente la sua luttuosa canzone: non ce la possiamo fare. Sembra non conoscere la storia dell’Italia democratica: è come se parlasse del Burundi, non di un paese del G8. Ricorda il frate medievale che, nel film “Non ci resta che piangere”, ripete a Massimo Troisi il suo illuminante monito: “Ricordati che devi morire”. No, Cottarelli, gli risponde Magaldi: certo, avete cercato di farla morire, l’Italia, ma non ci siete riusciti. Ce l’avete messa tutta: voi, la Merkel, Draghi, Monti, Napolitano, Juncker e tutta la banda. Massoni, dal primo all’ultimo. Massoni opachi, non dichiarati, e in più “neo-aristocratici”, allergici alla democrazia. Ma, per vostra sfortuna, l’Italia non è il Burundi (e detto tra noi, non è ancora morta). Era, e resta, una delle prime dieci economie del pianeta. Come lo è diventata? Non certo tagliando la spesa pubblica, non certo amputando il deficit. Non sa, Carlo Cottarelli, come fu che l’Italia divenne la quinta economia del mondo? Col debito pubblico, ovviamente. Non lo sa, il Cottarelli? No, non è possibile, come è impossibile che non lo sappia il “Corriere della Sera”, che presenta il Cottarelli come una specie di guru venuto da altri mondi, da qualche cartoon della Disney.Se ne rammarica, Gioele Magaldi. Se ne sorprende. Ma avverte: verrà il giorno, molto presto, in cui nessuno potrà più permettersi di dire all’Italia “ricordati che devi morire”. Nonostante le molte manchevolezze, aggiunge, è bene sostenere – oggi – il provvisorio governo gialloverde: almeno pensa alla vita degli italiani, non alla loro morte. A quella ci hanno pensato in tanti, da Berlusconi a Prodi, passando per D’Alema e Amato, Padoa Schioppa, Dini, Ciampi e compagnia piangente. Un coro greco: povera Italia. Ma era solo teatro. Ci siamo cascati? Eccome. La cosa sconcertante, rileva Magaldi, è che ci siano ancora in giro i Cottarelli, riveriti – a reti unificate – come arcangeli dell’apocalisse, anziché spazzati via come mosconi fastidiosi e deprimenti. Questo, infatti, dice l’economista del Fondo Moneriario: dobbiamo soffrire, dobbiamo morire. Non possiamo proprio immaginarcelo, un futuro migliore. Siamo dunque il Ruanda? No, siamo l’Italia. Qualcuno, prima o poi, lo spiegherà a Cottarelli (e al “Corriere della Sera”, se mai ancora esisterà).…..Italia, Europa, felicità, mondo, Rinascimento, Risorgimento, ingegno, lavoro, storia, dopoguerra, macerie, Usa, Piano Marshall, Eni, Enrico Mattei, Prima Repubblica, boom, economia, miracolo economico, sacro, debito pubblico, deficit, deficit positivo, John Maynard Keynes, genio, Gran Bretagna, America, Seconda Guerra Mondiale, democrazia, Europa, Urss, crescita, figli, genitori, crisi, benessere, neoliberismo, morte, Stato, sovranità, sofferenze, élite, oligarchia, finanza, Banca Mondiale, Fmi, Carlo Cottarelli, Corriere della Sera, Gioele Magaldi, massoneria, Monte Sion, Goi, Grande Oriente d’Italia, Ottocento, Giuseppe Garibaldi, Novecento, Seconda Guerra Mondiale, fascismo, Meuccio Ruini, repubblicani, Costituzione, Pietro Calamandrei, comunisti, Costituente, privilegi, casta, suffragio universale, laicità, sovranità, elezioni, cittadini, donne, ricchi, poveri, Luigi Di Maio, M5S, Movimento 5 Stelle, Matteo Salvini, governo gialloverde, Lega, Giuseppe Conte, supermassoneria, reazionari, Luigi Di Maio, elezioni bussò, aristocrazia, neo-feudalesimo, Matteo Renzi, leader, progressisti, superlogge, Thomas Paine, Ur-Lodges, Massoni, bestseller, Chiarelettere, silenzio, stampa, media, mainstream, disinformazione, destino, mondo, globalizzazione, Licio Gelli, Cile, P2, Loggia P2, Augusto Pinochet, golpe, Salvador Allende, Jfk, John Fitzgerald Kennedy, Bob Kennedy, Robert Kennedy, Martin Luther King, Henry Kissinger, George W. 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Ma aveva una sua peculiare caratteristica: era un paese relativamente felice – più di altri paesi europei – al punto da stupire il mondo (un’altra volta, come nel Rinascimento, e poi nel Risorgimento) per una sua qualità assolutamente inimitabile: la capacità di “esplodere” e di espandersi in tempi rapidissimi, utilizzando due doti fondamentali, l’ingegno italico e la capacità di lavoro. Era il dopoguerra, intorno c’erano solo macerie. D’accordo, era intervenuto qualcosa di inatteso: il Piano Marshall. La spinta, per decollare. Ma poi, si sa, c’era – appunto – l’Italia. L’Eni, Enrico Mattei, la Prima Repubblica. Il boom, il miracolo economico. Costruito come? Nel solo modo possibile: con il sacro, strategico, formidabile debito pubblico. Tecnicamente: deficit positivo, per citare il sommo Keynes, il genio inglese che – a suon di debito – tirò fuori l’America dal pantano, permettendole di vincere la Seconda Guerra Mondiale e poi addirittura di stravincere, al punto da rimettere in piedi la democrazia in Europa, sia pure in funzione antisovietica. Tutto bene, o quasi, fino ai primi anni ‘90. Crescita continua: i figli che hanno più opportunità di quante ne abbiano avute i genitori. Poi, l’infarto: la crisi, la fine del benessere.
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“Progressisti” alle europee: Laura Boldrini, una garanzia
«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).Per un progressista italiano – un sincero democratico – avere di fronte Laura Boldrini alle prossime elezioni europee sarebbe magnifico: un perfetto replay del funesto referendum costato la vita, politicamente, a Matteo Renzi, altro campione (scorrettissimo) del “politicamente corretto”. Che ghiotta occasione, per milioni di elettori: se molti di loro non saranno ancora pienamente convinti dall’ibrida alleanza gialloverde, a chiarir loro le idee provvederebbe all’istante Laura Boldrini, icona perfetta di tutto quello che in Italia ha smesso di funzionare – ma nel modo più subdolo, cioè evitando di farlo sapere agli italiani. L’erosione dei diritti del lavoro, la flessibilità del precariato, i tagli sanguinosi al welfare e alle pensioni, i ticket della sanità privatizzata. E in generale, tutto il paese regalato – a fette, a trance, a tonnellate – a imprenditori affamati di profitto, a capitali franco-tedeschi, a consorterie paramassoniche di origine atlantica che poi magari evitano di spendere soldi nella manutenzione dei beni ottenuti in omaggio, fino al punto da lasciar crollare – con morti e feriti – anche i viadotti autostradali. Chi c’era, a Palazzo Chigi, mentre tutto questo accadeva? Romano Prodi, Massimo D’Alema, Giuliano Amato. Un’ombra di autocritica, dal centrosinistra? Non pervenuta. In compenso, riecco Laura Boldrini.Resuscita, la Boldrini – e con lei Martina e i gregari del Pd e dintorni, comparse di cui si stenta a ricordare i nomi – solo grazie al furore mediatico che si abbatte su Salvini, il quale insiste nel bloccare gli sbarchi dei migranti per mettere in difficoltà gli strozzini europei dell’Italia, per niente sicuro che il suo governo gialloverde riesca, in autunno, a disobbedire all’eterno diktat di Bruxelles riuscendo a finanziare almeno in parte la riduzione delle tasse, la riforma della legge Fornero, l’istituzione dello sbandierato reddito di cittadinanza. Tutte cose che suonano estremamente democratiche, persino “di sinistra” per usare l’obsoleto lessico boldriniano, visto che si tratterebbe che lasciare più soldi in tasca agli italiani. Ma appunto, non se ne parla: deve morire (sotto l’accusa di xenofobia) il primo governo che lavora per gli italiani, non a caso temuto e detestato dai poteri che tifano per Laura Boldrini e contro il popolo italiano. Che dire, ad esempio, del campione dei diritti umani Emmanuel Macron, devoto amico di Papa Bergoglio? E che dire del venerabile Günther Oettinger, secondo cui saranno “i mercati” a insegnare agli italiani come votare? A proposito: è stato proprio Oettinger a proporre a Strasburgo il disegno di legge che avrebbe imbavagliato il web, pochi mesi dopo la martellante campagna finanziata dalla stessa Boldrini contro le “fake news” della Rete. Che ticket formidabile, Boldrini-Oettinger: un invito a nozze, per gli elettori progressisti impegnati a scegliere, nella primavera 2019, tra “due visioni del mondo”.Così come oggi Laura Boldrini non esisterebbe neppure più, senza Matteo Salvini, è una vera fortuna che l’ex presidente della Camera sia ancora in campo, in vista delle prossime europee: la sua candidatura avrà il potere, prodigioso, di motivare gli incerti. Tutto diventerà lampante: gli elettori avranno un’occasione d’oro per bocciare sonoramente, una volta per tutte, partiti e politicanti sedicenti progressisti, che hanno letteralmente assassinato ogni residua istanza progressista in Italia, ogni barlume di residuale democrazia. Sono gli infidi maggiordomi del rigore, i sacerdoti dell’austerity, i cavalieri del Fiscal Compact. Sono i farisaici notai del pareggio di bilancio inflitto all’Italia come una micidiale piaga biblica, da cui il paese non si è ancora ripreso – né potrà farlo, come noto, senza una robusta, radicale, rivoluzionaria sterzata. Una mareggiata, a livello europeo, con centinaia di milioni di elettori disposti a inviare a Bruxelles l’ultimo avvertimento: o si straccia il Trattato di Maastricht, che affida ai banchieri della Bce il governo del continente, o l’Europa salta per aria. Servirà un plebiscito, come quello che mandò a casa Renzi. E quindi servirà – più che mai – Laura Boldrini, a ricordare agli italiani come votare, per mandare finalmente a casa tutti gli Oettinger, i ladri, i bari e i professori del “politically correct” che ancora fanno la morale all’Italia, dopo averla razziata e affondata per conto dei soliti, potenti padroni stranieri.«Le prossime elezioni europee saranno una sfida tra due visioni del mondo. Che ne dite, se per sfidare la destra, i partiti progressisti rinunciassero ai propri simboli per dare vita a una lista unitaria nel segno dell’apertura e dell’innovazione?». Lei, Laura Boldrini, ha già pronto l’hashtag: #ListaUnitariaEuropea. A vederla così, l’ex presidente della Camera – politicamente defunta da tempo, e ora miracolosamente riportata in vita solo grazie al provvidenziale attivismo dell’Uomo Nero, cioè Matteo Salvini – fa venire in mente, ai progressisti (quelli veri, lontani anni luce dal Pd e dai suoi cespugli già appassiti) che in fondo è proprio vero, le prossime elezioni europee saranno realmente “una sfida tra due visioni del mondo”. E se sarà in campo anche lei, Laura Boldrini, per i progressisti sarà facilissimo scegliere: non certo tra “la destra” e “la sinistra”, categorie tragicamente archiviate dal pensiero unico della Seconda Repubblica, ma – appunto – tra oligarchia e democrazia, privatizzazioni e welfare, autoritarismo economico e diritti sociali, Disunione Europea e sovranità nazionale (non solo italiana, anche degli altri paesi europei che dovevano essere partner, e invece sono diventati spietati concorrenti grazie al feroce mercantilismo dell’establishment, che si rifugia sempre – per coprire i propri misfatti – nel cosmetico “politically correct” di cui è campionessa la signora Boldrini).