Archivio del Tag ‘economia’
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Fuga da Bruxelles, grazie ai velleitari pasticcioni gialloverdi
Vuoi vedere che Salvini e Di Maio alla fine riusciranno a liberare l’Italia dall’euro-schiavitù? In che modo, lo spiega Marco Della Luna: la fuga da Bruxelles potrebbe rivelarsi obbligatoria, per evitare la super-stangata in arrivo. Lega e 5 Stelle? Prima hanno fatto promesse “impossibili”, poi si sono rassegnati a una parodia del “cambiamento”. Eppure, anche solo le briciole portate a casa – deficit al 2%, mini-reddito di cittadinanza, quota 100 – ci costeranno così care, restando nell’Eurosistema, da far capire a tutti, a quel punto, che per mettersi in salvo (evitando la catastrofe di una patrimoniale) non resterà che sfilarsi dal club dell’euro-rigore. «Salvini e Di Maio hanno impiccato se stessi, e insieme a sé tutta l’Italia, a promesse elettorali demagogiche, incompatibili con la condizione del paese», premette Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi” e “Cimiteuro”. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100 e Flat Tax sono «misure fattibili solo in uno Stato poco indebitato e in crescita economica, oppure padrone della propria moneta, come Usa e Giappone». Da quelle promesse «i due non possono smarcarsi prima delle elezioni europee, nonostante che emerga sempre più la loro insostenibilità». E dato che l’Italia è fortemente indebitata ed economicamente bolsa, e in più «deve farsi finanziare da investitori esterni in una moneta che non controlla», il governo gialloverde «ha dovuto rinviare o ridurre di molto le promesse iniziali».Peggio: le poche misure attuate hanno già prodotto «effetti sfavorevoli sul piano finanziario», ovvero «aumento di spread e di rendimenti sul debito pubblico, contrazione del credito, uscita di capitali, sfavore di ampi settori produttivi». E pare avranno effetti negativi pure su quello economico, «per giunta in una fase recessiva che li amplificherà, soprattutto se si andrà a sbattere contro il muro delle clausole di salvaguardia, col rialzo dell’Iva che il governo smentisce ma lo ha già iscritto nel Def». Dopo tanti anni di crisi e di contrazione del reddito, i provvedimenti redistributivi «sono in sé moralmente giusti e riscuotono consenso», ma purtroppo – osserva Della Luna – producono «reazioni di sistema in senso opposto, che pareggiano o superano i loro effetti benefici e riequilibranti, perché ricadono proprio sui ceti deboli che quei provvedimenti volevano aiutare». E così calano il credito, i servizi, gli investimenti. «La lezione della storia, mai imparata dai politici volenterosi ma con attitudini culturali inadeguate al loro ruolo, è che lo sforzarsi di ‘correggere’ pettinando contropelo un sistema dinamico, complesso, che tu non controlli e che reagisce, e che è molto più grosso di te, risulta nei fatti sempre controproducente, e ti fa fare perdere il carisma».Il controllo di un sistema economico è cosa complicata, aggiunge Della Luna, ma certo comincia con quello della moneta e con la liberazione dai meccanismi indebitanti. «E l’Italia è in una condizione oggettiva che le impedisce persino di incominciare a farlo: una condizione che la destina a un costante declino». La geopolitica globale, dagli anni ’80, si è finanziarizzata: «Ha definanziato l’economia produttiva e coltiva l’indebitamento irreversibile dei governi e dei privati, la riduzione dei servizi, dei salari, dei diritti dei lavoratori; quindi non vi sarà un rilancio economico generale». L’Italia poi non è affatto indipendente: è sottoposta a interessi stranieri, «e le sue politiche economiche sono asservite ad essi». Siamo «oggetto di una programmatica sottrazione di risorse attraverso l’Ue». In particolare, «l’Eurosistema bancario-monetario, bloccando gli aggiustamenti fisiologici dei cambi tra le monete nazionali senza mettere in comune i rispettivi debiti pubblici», all’Italia «fa perdere capitali, industrie e cervelli in favore dei paesi più efficienti, aggravando il suo debito pubblico», e al tempo stesso «fa in modo che essa disponga della metà della liquidità pro capite che hanno Francia e Germania: così in Italia manca il denaro per la domanda interna e per pagare i debiti anche tributari», mentre gli stranieri hanno i soldi per rilevare i nostri asset, «che dobbiamo svendere per procurarci quella liquidità che ci viene artatamente negata».Il nostro sistema-paese, inoltre, «è storicamente zavorrato da prassi di ruberie e inefficienze, sprechi, parassitismo». Tutto fattori che abbassano la nostra efficienza, costringendo lo Stato a notevoli esborsi per aree improduttive. «E tutto ciò si traduce in un sovraccarico tributario tale, a carico delle aree produttive, che mina la loro efficienza e spinge capitali, imprenditori e tecnici ad emigrare, portando con sé la clientela e le tecnologie, per fare concorrenza dall’estero». Queste “zavorre”, aggiunge Della Luna, non possono essere eliminate «perché coincidono con gli interessi immediati di buona parte dell’elettorato e della classe politico-burocratica, che prospera grazie ad esse, e che si è formata attraverso una selezione centrata sullo sfruttamento di tali anomalie e non sullo sviluppo di competenze e capacità utili per il sistema-paese». Una classe che ormai «risponde più a banche e interessi stranieri, che alla nazione». Pertanto, «qualsiasi leader politico italiano sa che può fare ben poco per il paese, essendo stretto tra i vincoli suddetti». Però sa anche che il popolo non ne è consapevole, e quindi non rinuncia a sperare: per questo, il politico «sa che può promettere soluzioni impossibili e essere creduto e votato per qualche tempo, fino a che non sbatterà contro i medesimi vincoli: così hanno fatto Prodi, Berlusconi, Renzi».Ma i nostri Dioscuri, Salvini e Di Maio, che fanno? Uscire o farsi estromettere dall’euro «sarebbe in linea di principio opportuno e indispensabile, per rilanciare l’economia e l’occupazione, evitando il declino totale e la svendita del paese». Però Lega e 5 Stelle, che in passato propugnavano l’Eurexit, «hanno poi smesso di parlarne, visto che non vi sono le condizioni politiche: la gente comune (che non pensa oltre al domani e niente sa di macroeconomia) non capisce la situazione, teme le conseguenze dell’uscita». Al tempo stesso, «gli interessi stranieri, coi loro fiduciari interni al paese, sono forti e controllano i media, con cui fanno propaganda pro-euro e pro-Ue». E così il governo Conte l’anno scorso ha lanciato all’Ue una iniziale sfida («o pseudo-sfida, perché non metteva in discussione l’euro né i vincoli di bilancio»), quella del 2,4% di deficit sul Pil, ma presto ha dovuto mettere la coda tra le gambe e ripiegare al 2,04 (che poi salirà al 2,7 per effetto della mancata crescita rispetto alle previsioni ufficiali). «Questa ingloriosa operazione – avverte Della Luna – è costata ai contribuenti diversi miliardi di interessi aggiuntivi sul debito pubblico, e dovrebbe aver insegnato anche ai poveri di spirito che è meglio non lanciare sfide a chi è molto più forte di te: se non hai la volontà e la forza per liberarti dal padrone, ti conviene obbedire e risparmiarti le legnate».Forse, l’unica strategia realistica e per liberarci dal rigore imposto dall’euro, secondo Della Luna è proprio quella avviata (inconsapevolmente?) dal nostro governo: «Senza dirlo, attraverso misure indebitanti e destabilizzanti come il codiddetto reddito di cittadinanza e la quota cento, si porta nei fatti l’Italia a una situazione di squilibrio finanziario tanto grave che, quando arriverà il momento di fare la legge finanziaria, per evitare una stangata tributaria anche patrimoniale (di nuovo la casa) congiunta a tagli dei servizi, non resterà che uscire dall’euro, magari “temporaneamente”». Secondo Della Luna, la situazione porterebvbe finalmente l’opinione pubblica a «percepire il costo del restare nell’euro», facendo scattare la voglia di fuga. L’elettorato potrebbe manifestarla «in modo tanto energico che Mattarella non ripeta ciò che il suo predecessore fece nel 2011». In altre parole, «si tratta di far sì che il popolo tema molto più la permanenza nell’euro, che l’uscita da esso». Psicologia: «E’ provato che il timore di una perdita di 100 ha una forza motivazionale molto più potente della prospettiva di un guadagno di 100. Oggi la maggioranza del popolo, pur non valutando positivamente l’euro e la stessa Unione Europea, non vuole uscirne per il timore di una perdita economica: sceglie il male minore». La politica economica del governo “legastellato”, «con la sua apparente goffaggine», può invertire i rapporti e «far sì che l’uscita diventi o appaia al popolo come il male minore, creando così le condizioni di consenso popolare per l’uscita».Vuoi vedere che Salvini e Di Maio alla fine riusciranno a liberare l’Italia dall’euro-schiavitù? In che modo, lo spiega Marco Della Luna: la fuga da Bruxelles potrebbe rivelarsi obbligatoria, per evitare la super-stangata in arrivo. Lega e 5 Stelle? Prima hanno fatto promesse “impossibili”, poi si sono rassegnati a una parodia del “cambiamento”. Eppure, anche solo le briciole portate a casa – deficit al 2%, mini-reddito di cittadinanza, quota 100 – ci costeranno così care, restando nell’Eurosistema, da far capire a tutti, a quel punto, che per mettersi in salvo (evitando la catastrofe di una patrimoniale) non resterà che sfilarsi dal club dell’euro-rigore. «Salvini e Di Maio hanno impiccato se stessi, e insieme a sé tutta l’Italia, a promesse elettorali demagogiche, incompatibili con la condizione del paese», premette Della Luna, autore di saggi come “Euroschiavi” e “Cimiteuro”. Reddito di cittadinanza, decreto dignità, quota 100 e Flat Tax sono «misure fattibili solo in uno Stato poco indebitato e in crescita economica, oppure padrone della propria moneta, come Usa e Giappone». Da quelle promesse «i due non possono smarcarsi prima delle elezioni europee, nonostante che emerga sempre più la loro insostenibilità». E dato che l’Italia è fortemente indebitata ed economicamente bolsa, e in più «deve farsi finanziare da investitori esterni in una moneta che non controlla», il governo gialloverde «ha dovuto rinviare o ridurre di molto le promesse iniziali».
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Di cosa ha il terrore la sinistra che ci ha tradito in Europa
Queste cose vanno delle col mento girato a sinistra. Ho avuto uno scambio col il professor Farrow Kabub, un astro nascente della Mmt in America, alla Denison University. E gli ho detto questo: è vero che i populisti sono impauriti, destabilizzati; quindi hanno rabbia, se la prendono con i capri espiatori – i migranti, i musulmani, i cosiddetti complotti dei media – invece di capire che è l’economia, che li ha traditi. Ma è proprio qui il punto: l’economia di chi, li ha traditi? Non quella delle destre, che sono rimaste identiche a se stesse. E’ la sinistra. Dal 1980, con protagonista il Pci di Napolitano e Segre, proprio lui, le sinistre europee hanno organizzato il più osceno tradimento della classe media della storia occidentale. Hanno letteralmente stracciato le destre, in ferocia economica, su tutto. Quarant’anni che ci hanno devastati: dall’Italia dell’operaio, che risparmiava il 25% in media e comprava la seconda casa, a quella di oggi, dove il 12% dei ragazzi di classe media è classificato come “sulla strada della povertà” (scritto dalla stessa Commissione Europea).Da qui è nata la rabbia. La sinistra la chiama “populista”, e la cauterizza a morte. Perché? Perché se la si lascia libera, alla fine, la gente lo scopre, chi li ha traditi: la sinistra. Il politically correct è inquisizione mentale. Perché, se si lasciano i populisti liberi di esistere, alla fine lo scoprono, chi li ha traditi: la sinistra. Lo zingaro ha il diritto di non essere offeso, devi chiamarlo Rom. Tu invece non hai il diritto di chiedere più deficit (e molta meno Europa) per poter sperare in una pensione fra quarant’anni. Se lo chiedi, sei un attentatore alle casse dello Stato e foraggi il “nuovo Terzo Reich” nel cuore dell’Europa, mica di meno. Se non smascheriamo il politically correct per quello che è, e cioè un putrido piano per impedirci di pensare a chi davvero ci ha traditi, siamo condannati a un mondo di vendette politiche fuori controllo. Buone elezioni europee.(Paolo Barnard, “Di cosa ha il terrore chi ci ha traditi in Europa” video-editoriale su Twitter e Facebook, ripreso il 6 maggio 2019 dal blog del giornalista. Impegnato per anni sulle maggiori testate italiane, Barnard ha poi fondato “Report”, alla Rai, con Milena Gabanelli. Da anni, conduce ricerche approfondite sulla politica economica, alternando studi e clamorose denunce come quella sul “golpe bianco” promosso da Napolitano nel 2011 per insediare Mario Monti a Palazzo Chigi, in ossequio all’ordoliberismo di Bruxelles, per imporre drammatici tagli al sistema-Italia. Risale a quel periodo il saggio “Il più grande crimine”, nel quale Barnard interpreta in chiave criminologica la genesi dell’Ue e dell’Eurozona, nell’ambito del neoliberismo mondiale. Una spietata restaurazione di potere, da parte delle élite feudali pre-democratiche, che per due secoli erano state incalzate dal progressismo e dall’avvento delle democrazie sociali. Ora, semplicemente – secondo Barnard – l’antica oligarchia si è ripresa tutto, attraverso la finanza, utilizzando il potere tecnocratico Ue con la fondamentale complicità delle sinistre, che hanno tradito il loro elettorato storico per mettersi al servizio dei vecchi-nuovi padroni universali).Queste cose vanno delle col mento girato a sinistra. Ho avuto uno scambio col il professor Farrow Kabub, un astro nascente della Mmt in America, alla Denison University. E gli ho detto questo: è vero che i populisti sono impauriti, destabilizzati; quindi hanno rabbia, se la prendono con i capri espiatori – i migranti, i musulmani, i cosiddetti complotti dei media – invece di capire che è l’economia, che li ha traditi. Ma è proprio qui il punto: l’economia di chi, li ha traditi? Non quella delle destre, che sono rimaste identiche a se stesse. E’ la sinistra. Dal 1980, con protagonista il Pci di Napolitano e Segre, proprio lui, le sinistre europee hanno organizzato il più osceno tradimento della classe media della storia occidentale. Hanno letteralmente stracciato le destre, in ferocia economica, su tutto. Quarant’anni che ci hanno devastati: dall’Italia dell’operaio, che risparmiava il 25% in media e comprava la seconda casa, a quella di oggi, dove il 12% dei ragazzi di classe media è classificato come “sulla strada della povertà” (scritto dalla stessa Commissione Europea).
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Magaldi: il coraggio di una vera rivoluzione per il XXI secolo
Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.Coraggio che manca ai nostri politicanti di oggi, tutti preoccupati di abbaiare e di litigare per avere qualche percentuale irrisoria in più alle elezioni europee. Ma poi – una volta al potere – si limitano a vegetare, facendo i propri affari, dimenticandosi di quello che avevano promesso per raccogliere il consenso elettorale. Palme e Sankara sono stati assassinati quando il neoliberismo non voleva ostacoli davanti a sé, nemmeno ideologici, e men che meno da parte di statisti influenti e capaci di bloccare quello che doveva accadere all’inizio degli anni ‘90. Oggi, soffiare sul fuoco della violenza per fermare una rivoluzione anti-neoliberista non appare più una soluzione percorribile, per tante ragioni. C’è ormai una platea di cittadini, in Italia e nel mondo, che vedono ormai con chiarezza quello che non funziona. Tutti i politici che parlano di cambiamento, e poi si dimostrano essere dei bluff, ci mettono poco a essere sbugiardati dal corpo elettorale.Paolo Becchi, già ideologo dei 5 Stelle, oggi – con il libro “Italia sovrana” – si presenta come ideologo di un nuovo sovranismo, interessante nella sua declinazione intellettuale: la contrapposizione tra globalismo e sovranismo. Ma una volta scelto il sistema, globale o nazionale, poi tutto cambia se viene gestito con presupposti neoliberisti o keynesiani, post-democratici o democratici, liberal-conservatori o social-liberali. Di quale ideologia e cultura politica vogliamo nutrire il nostro futuro, nel XXI secolo? Quella dell’inganno neoliberista, secondo cui socialismo e liberalismo sono antitetici, e quella dell’inganno neoaristocratico, secondo cui basta servire su un piatto ai cittadini la ritualità della democrazia, dimenticando la sostanza? Oppure vogliamo richiedere un’idea equilibrata di gestione delle nostre società, nella quale il libero mercato e lo stesso capitalismo non siano demonizzati, ma trovino una complementarità nelle istanze sociali, cioè in un socialismo che è fatto di integrazioni, contrappesi e di una ritrovata autorevolezza di ciò che è pubblico?Pubblico e privato non sono antitetici. La narrazione neoliberista è stata all’insegna della svalutazione di ciò che è pubblico e statuale, della lentezza dei processi democratici rispetto all’esigenza di trattare la cosa pubblica come un’azienda che produce efficienza e profitti. Il mondo della libera impresa, che è storicamente collegato all’affermarsi delle democrazie, è un mondo diverso da quello della sfera pubblica, dove il core business non è la produttività in senso economicistico, bensì quella rete di servizi sociali, civili e materiali, infrastrutturali, che consente lo sviluppo di una vita felice, equilibrata. Le istituzioni pubbliche sono adatte a offrire un’uguaglianza delle opportunità, distinguendosi così dalle (giuste) leggi competitive del libero mercato. Le istituzioni pubbliche parlano di cooperazione, non di competitività.Il Movimento Roosevelt intende offrire un orizzonte ideologico nuovo, da abitare, per i cittadini del XXI secolo. Serve una rivoluzione culturale, perché non basta una semplice riforma dell’esistente. C’è bisogno di affrontare, pacificamente ma in modo deciso e forte, tutta una serie di poteri che non gradiscono questa conversione verso la democrazia sostanziale. La globalizzazione in atto è un processo che offre, piano piano, una disabitudine alla democrazia. E le contrapposizioni violente – su scala locale e internazionale – servono proprio a impedire un approccio di pace e armonia sociale. Quelli come noi vogliono costruire un orizzonte di eliminazione del conflitto sociale, attraverso una compesazione per le diseguaglianze prodotte dal mercato: va bene la disparità generata dal merito individuale, ma in cambio bisogna offrire a tutti i cittadini del globo gli elementi di base che consentono di avere un progetto di vita dignitoso. E’ una cosa che sembra semplice, ma in realtà oggi è rivoluzionaria. Esiste una nuova ideologia, il socialismo liberale, declinabile anche da angolazioni politiche diverse. E l’Italia può fare con orgoglio quello che ha già fatto nei secoli passati: offrire per prima una pietanza politico-culturale e ideologica agli altri popoli, agli altri paesi.Dall’Italia sono sempre partite le primizie – buone e cattive – che poi hanno influenzato il resto del mondo: la civiltà giuridica promana da Roma, l’universalismo giuridico viene dall’Italia romanizzata. E non dimentichiamo la lezione del Rinascimento, una sorta di manifesto ideologico-culturale che diventò poi storia concreta, trasformando le istituzioni e il modo stesso di concepire la realtà. Quel grande italiano che fu Giovanni Pico della Mirandola, con la “Oratio de hominis dignitate” costruì una nuova antropologia: l’antropologia dell’uomo artista, mago e scienziato, che non si limita a chinare il capo come creatura peccaminosa, bisognosa di redenzione, che quindi non ardisce conoscere e mettersi in rapporto dialettico con la natura. Da lì nasce l’idea dell’uomo che può trasformare le cose – la società, la natura stessa. Poi c’è il Risorgimento: i nostri eroi risorgimentali erano presi a modello in tutto il mondo, da popoli che anelavano all’autodeterminazione.C’è stato anche il fascismo, naturalmente: altra primizia italiana. Una dottrina post-democratica e di fatto neoaristocratica, tuttavia affascinante per i tanti che si lasciarono influenzare da quella che – per me, che sono fieramente democratico – non è che una perversione. Siamo orogliosi di essere italiani, senza che questo ci spinga a pensare che abbia davvero un futuro la contrapposizione tra sovranismo e globalismo. Sto molto apprezzando il libro di Paolo Becchi, “Italia sovrana”, e il senso in cui lui parla di sovranismo. Però credo che la sfida vera sia quella di “glocalizzare” la democrazia, uscendo da questo film che contrappone i nazionalismi alle oligarchie globali, come se globalizzare i rapporti fosse per ciò stesso sinonimo di diminuzione della democrazia. Io credo piuttosto che si possano globalizzare anche i diritti universali. Ma come fare, se non si ha una visione globale di questi diritti, e se ciascuno si preoccupa soltanto di recuperare la sovranità del proprio Stato e del proprio popolo?Alla fine, questo è un nazionalismo non aggressivo, teso a sottrarre alle oligarchie apolidi il controllo della moneta, dell’economia, della società e delle istituzioni. Ma come possiamo però immaginare un XXI secolo in cui non ci curiamo di tanti territori, dove le popolazioni non sono mai nemmeno passate per processi democratici?In fondo, anche il processo risorgimentale italiano metteva insieme più Stati e staterelli coi propri usi, tradizioni, dialetti e lingue. Eppure c’era un sentimento di italianità che univa tutti. Ma la lingua italiana era quasi artificiale, creata per unire popoli che parlavano lingue diverse, e si è affermata definitivamente solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla Rai. Il Movimento Roosevelt è convinto che l’Italia possa insegnare molto a molti, e che l’orgoglio patriottico (non nazionalistico) del nostro paese possa essere un fattore coesivo, per una proposta politico-culturale convincente.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella video-chat su YouTube del 6 maggio 2019. Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi ripercorre le tappe di quella che chiama “rivoluzione rooseveltiana”: dopo il convegno a Londra il 30 marzo sul New Deal keynesiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, è seguita l’assise milanese del 3 maggio sul socialismo liberale, in omaggio a Rosselli, Palme e Sankara. Il 14 luglio, a Roma, lo stesso Magaldi sarà tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, cantiere politico per offrire un’alternativa agli elettori, superando le timidezze del governo gialloverde, incapace di opporsi al paradigma neoliberista del rigore Ue).Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.
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Cosa ci manca per essere come Rosselli, Palme e Sankara
Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.Ha impegnato l’esercito in opere civili, e convertito parte dei fondi militari destinandoli a progetti di sviluppo. Ha liberato la donna dal giogo culturale maschile e proibito le mutilazioni genitali femminili, valorizzando quindi gli aspetti culturali costruttivi del suo paese e intervenendo su quelli deteriori. Ha chiesto di cancellare il debito estero di origine coloniale. Un presidente non ancora quarantenne ha realizzato tutto ciò in quattro anni. L’emozione che sentiamo di fronte alle azioni di Sankara è un pugno nello stomaco per la nostra coscienza, perché ci fa vedere quanto e quanto in fretta è possibile cambiare. Palme ha proposto un mondo senza dittature, che controlla le armi nucleari, cancella l’apartheid, distribuisce la ricchezza e rende i lavoratori piccoli azionisti delle aziende per le quali prestano la propria opera. Rosselli ha insegnato a coinvolgere tutti, nelle decisioni che riguardano tutti, al fine di raggiungere il benessere per tutti: liberalismo come metodo, socialismo come fine.Potremmo forse considerare questi tre leader degli idealisti o, peggio, degli ingenui. Ingenuo sarebbe colui che guarda solo i propri ideali, incapace di comprendere il mondo per quello che è. Si dice che in politica il contrario dell’ingenuità sia invece il realismo, cioè la capacità di guardare la dura realtà e governare le masse di conseguenza, senza illusioni, per raggiungere quello che si può. Eppure, Sankara per conoscere il suo paese girava le città e le campagne anche in bicicletta, pagava il mutuo e quando morì c’erano pochissimi soldi sul suo conto corrente; aveva ben presenti i suoi nemici e sapeva quale pericolo rappresentavano per lui; Palme si oppose alla guerra in Vietnam (che gli Usa persero, e tale sconfitta dimostrò quanto fossero falsi i motivi per i quali era stata combattuta); Rosselli previde che l’esito della parabola nazifascista sarebbe stato una guerra fratricida. Che cosa accomuna questi tre leader? Tutti hanno usato in modo costruttivo le risorse materiali e mentali a disposizione, per raggiungere obiettivi di valore. Usare la cooperazione al posto della competizione, che ha nella guerra la sua fine più stupida e ingloriosa, non è certo mancanza di realismo politico.Il vero realismo politico è conoscere la miseria della nostra razza e, con i propri principi spirituali, trovare soluzioni per modificarla (la miseria, non la razza). Se siamo dunque qui a parlare di Rosselli, Palme e Sankara come dei “nostri esempi” è perché abbiamo perso quegli stessi esempi per strada considerandoli inconsciamente “idealistici”, e abbiamo dormito il sonno della ragione e della coscienza: tutti noi, sia le masse dei governati sia le élite dei cosiddetti leader, progressisti compresi. Il problema è proprio che Palme, Rosselli e Sankara sono ancora i nostri fari (fuori di noi) e non parte del nostro Dna (dentro di noi). È questo il paradosso della leadership: dichiariamo di seguirla ma non l’abbiamo interiorizzata. Guardiamo i nostri capi attuali. Non soltanto i soliti Kim, Putin, Trump, Erdogan, Orban, Bolsonaro, Maduro, Macron, Merkel, May e così via. Mi riferisco anche alle alte cariche dello Stato in Italia, nazionali e locali, rappresentanti della Costituzione che loro dovrebbero difendere. Quando siamo chiamati a un referendum si dimenticano di ricordare che, proprio secondo la Costituzione, l’esercizio del voto è dovere civico (guadagnato per noi da milioni di soldati e civili morti nell’ultimo conflitto mondiale).E noi non pensiamo che, se anche i politici “tradiscono le decisioni referendarie”, in Parlamento noi possiamo votare ancora (e ancora, e ancora) per ribaltare quei tradimenti, informandoci e dedicando mezz’ora del nostro tempo per mettere una croce sulla scheda. Gli stessi politici naturalmente non ricordano ai giornalisti il loro dovere di informare i cittadini prima del voto perché possano conoscere per deliberare. Tutti tacciono e, quando i parlamentari alterano l’esito referendario, la volta dopo noi ce ne stiamo a casa “per protestare”, come bambini incapricciati. È normale che, appena prima del referendum sulla Brexit, il “Sun” titolasse dando ancora indicazioni su come votare? Una decisione così importante avrebbe dovuto essere stata presa dai lettori di quel tabloid settimane prima del voto: un voto che non può essere cambiato dopo cinque anni, come nelle elezioni generali, ma che avrà impatto per decenni sulla vita del Regno Unito. Come è possibile che gli elettori abbiano deciso sulla base di un titolo di giornale?I nostri politici non hanno più, o non hanno mai avuto, la spiritualità di Sankara, Rosselli e Palme. E noi non abbiamo quel livello di spiritualità che, se fosse presente, ci farebbe rendere conto che avere capi politici come i nostri non è normale. Diceva Oscar Wilde che il coraggio è sparito dalla nostra razza o forse non lo abbiamo mai avuto veramente… perché, aggiungeva, ci facciamo governare dal terrore della società (che è la base della morale) e dal terrore di Dio (che è la base della religione). In un mondo governato dai principi spirituali, un presidente come Sankara sarebbe considerato un buon amministratore della cosa pubblica, e non un rivoluzionario; un politico normale, che con il cuore e la ragione dei buoni padri di famiglia favorisce la felicità di quelli che dipendono da lui. I politici diversi sarebbero visti come anomalie geneticamente modificate, involucri privi della coscienza, cioè della capacità di distinguere ciò che crea sofferenza da ciò che produce benessere. Il modello di leadership delle nostre società è invece quello del capobranco con il suo gregge, modello che produce povertà e dolore e che nessun essere spirituale accetterebbe mai come “normale”.Molti nostri predecessori sono morti sperando che noi avremmo raccolto la loro eredità di cambiamento. Finora non lo abbiamo fatto a sufficienza. Ma le crisi della coscienza sono salutari perché la risvegliano. Che cosa possiamo fare noi oggi di diverso? Quando ci troviamo di fronte a un problema, una crisi, un conflitto, qualcosa che non ci piace, possiamo guardarci dentro e interpellare la nostra scala dei valori, e se riusciamo anche la nostra scintilla divina; poi possiamo ripensare alla scintilla divina che ha animato persone come Palme, Rosselli e Sankara, collegarci ad essa e chiederci: “Ma io, lasciando perdere tutte le distorsioni che mi hanno raccontato sul realismo politico, che cosa farei in questa situazione seguendo i miei principi?”. E poi, possiamo agire di conseguenza. Se lo facessimo, a quel punto ci accorgeremmo che, come non siamo rivoluzionari noi, non lo erano nemmeno Rosselli, Palme e Sankara. Erano uomini con la U maiuscola e la schiena dritta, che hanno fatto semplicemente ciò che andava, ragionevolmente, fatto.(Zvetan Lilov, “Rosselli, Palme, Sankara e noi: il paradosso della leadership”, intervento al convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” organizzato dal Movimento Roosevelt il 3 maggio 2019 a Milano).Quando parliamo di costruire il futuro, spesso facciamo uso di sogni e visioni. Oggi, qui, invece, possiamo partire dalla realtà, che non di rado è meno piacevole. La realtà ci dice che Thomas Sankara è morto giovane e non è diventato il padre nobile di un’Africa democratica, più consapevole ed economicamente evoluta, che infatti ancora non c’è. La realtà ci dice che Carlo Rosselli non è sopravvissuto al fascismo e non ha potuto contribuire direttamente a rendere l’Italia e l’Europa postbelliche più libere e felici. E la realtà dice anche che Olof Palme non è diventato segretario generale delle Nazioni Unite. Sono stati assassinati e, soprattutto, nessuno ha potuto, o saputo, prendere il loro posto. Eppure sono stati degli esempi, per noi. Prendiamo Sankara: ha realizzato un piano tutto interno al Burkina Faso, coinvolgendo per quattro anni sette milioni di africani abbandonati a sé stessi e alla propria povertà. Ha fatto costruire scuole, ospedali, pozzi, dighe, strade, campi sportivi. Ha promosso la piantumazione del Sahel, e lo sviluppo agricolo e dell’allevamento. Ha esteso le cure sanitarie a tutti, consentito un aumento della vita media e favorito la prevenzione dell’Aids. Ha reso possibile l’istruzione diffusa e ha consentito a tutti di dire il proprio pensiero alla radio nazionale, senza filtri e senza mediazioni.
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Soldi facili, senza debito: arriva la Mmt, lo dice Ray Dalio
Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.Nessuno, tranne il vostro blogger preferito (cioè io) e “Bloomberg”, un giornaletto che pare essere apprezzato oltreoceano da qualche attento lettore di cose economiche. Ecco cosa scrivono: il sistema bancario centrale, come sappiamo, è in via di estinzione, ed è “inevitabile” che qualcosa come la teoria monetaria moderna lo sostituirà, ha detto l’investitore miliardario Ray Dalio. La dottrina, nota come Mmt, afferma che i governi dovrebbero gestire le loro economie attraverso la spesa e le tasse – invece di affidarsi a banche centrali indipendenti per farlo attraverso i tassi di interesse. La Mmt cerca anche di placare i timori sui deficit di bilancio e sui debiti nazionali, sostenendo che paesi come gli Stati Uniti, che hanno una propria valuta, non possono andare in rovina e avere più spazio da spendere di quanto si supponga normalmente – purché l’inflazione sia contenuta, poiché è questo il momento. Il dibattito sulla Mmt, che languiva nell’oscurità da decenni, è esploso negli ultimi mesi. L’idea è stata criticata da una serie di pesi massimi finanziari, da Warren Buffett al presidente della Federal Reserve Jerome Powell. Ma Dalio, il fondatore di Bridgewater Associates, il più grande hedge fund del mondo, ha detto che i politici non avranno altra scelta che abbracciarlo.La loro sfida sarà «produrre un benessere economico per la maggior parte delle persone quando la politica monetaria non funziona», ha scritto Dalio nel suo ultimo articolo su LinkedIn. Negli ultimi quarant’anni, l’era della dominanza della banca centrale, della disuguaglianza di reddito e di ricchezza è cresciuta nella maggior parte delle nazioni sviluppate. Tagliando i tassi di interesse, o acquistando titoli nel processo noto come allentamento quantitativo (Qe), le banche centrali hanno quasi esaurito la loro capacità di stimolare le economie. Probabilmente saranno rimpiazzati da una politica monetaria di terza generazione, etichettata da Dalio come “Mp3”. Comporterà «il coordinamento della politica fiscale e monetaria» secondo le linee generali suggerite dagli economisti Mmt, ha detto Dalio, anche se non necessariamente seguendo le loro prescrizioni alla lettera. Il cambio verso la Mmt è a buon punto, ha detto Dalio. Con tassi di interesse bloccati vicino allo zero in Europa e in Giappone, e con la probabillità che tornino negli Stati Uniti quando l’economia vacilla, l’acquisizione della politica fiscale è «in linea di massima ciò che sta già accadendo».Gli Stati Uniti hanno aumentato i deficit di bilancio dopo la crisi del 2008, e lo hanno fatto di nuovo sotto il presidente Donald Trump. La risposta al mercato obbligazionario ha sostenuto gli argomenti della Mmt: i rendimenti sul debito pubblico non sono aumentati molto, anche se ce n’è molto di più in giro. Il Giappone lo sta facendo da molto più tempo – eppure dopo due decenni di grandi deficit, può ancora prendere in prestito denaro virtualmente gratis. Dalio ha fornito esempi di come tali politiche potrebbero evolversi. Le banche centrali potrebbero stampare denaro direttamente per finanziare programmi governativi, evitando la necessità di vendere obbligazioni. Potrebbero comprare immobili «che sarebbero idealmente utilizzati per fini socialmente vantaggiosi». Potrebbero anche cancellare i debiti incombenti sull’economia, in una sorta di “giubileo”. Nelle fasi discendenti, potrebbero consegnare denaro direttamente al pubblico, un’idea ampiamente conosciuta come “il denaro dall’elicottero”. Ci sono dei rischi, ha riconosciuto Dalio. Tali politiche metterebbero «il potere di creare e stanziare denaro, credito e spesa» nelle mani dei politici. «È difficile immaginare come verrà costruito il sistema per raggiungere questo obiettivo», ha affermato. «Allo stesso tempo è inevitabile che siamo diretti in questa direzione» (fonte: “Bloomberg”).(Massimo Bordin, “Ray Dalio dice che la Mmt sta arrivando, che ci piaccia o no”, dal blog “Micidial” del 2 maggio 2018).Sono passati anni! Non mesi, ma anni, da quando ai lettori di questo sito ho presentato Ray Dalio: le sue tesi per ottimizzare il lavoro, i suoi video (all’epoca ancora rigorosamente disponibili solo in lingua inglese), la sua conoscenza profonda dei meccanismi che regolano la maccchina economica oggi. Sono stati i miei articoli meno cliccati. Fino a che… Fino a che non è arrivato il giornalista di controinformazione più quotato d’Italia, Paolo Barnard, che ha cominciato a parlarne. Male. Io, nel mio piccolo, ed il grande trader modenese Giovanni Zibordi a proporre qualche articolo, ci sforzavamo di difenderne la profondità di pensiero. Poi, ultimo ma non ultimo, è arrivato Marco Montemagno, l’influencer senza dubbio più importante d’Italia, che ha cominciato a fare delle recensioni sul suo libro, “Principles”. Ora tutti si comportano come se lo conoscessero da sempre, tutti avrebbero letto il suo libro (ahahahaha), e avanti così. Nessuno, però, si è accorto che Dalio sta analizzando la Mmt di Mosler, la teoria economica neokeynesiana portata in Italia proprio da Barnard.
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Grecia, il Corriere: abbiamo nascosto la strage dei bambini
Scriveva Seneca che la verità, anche se sommersa, viene presto o tardi a galla. E così è stato anche in questo caso. Federico Fubini, vicedirettore del rotocalco turbomondialista “Corriere della Sera”, ha fatto candidamente questa incredibile confessione nel corso di un’intervista televisiva ai microfoni di “Tv2000” [minuto 17]: «In Grecia morti 700 neonati in più per la crisi. Ma ho nascosto la notizia». Fubini ha ammesso di aver censurato tale notizia per non incoraggiare gli euroscettici e i partiti sovranisti. Insomma, per garantire la tenuta dell’ordine eurocratico della Ue, innalzato panglossianamente dai padroni del discorso (sempre a completamento del rapporto di forza dominante) a meilleur des mondes possibles. «Faccio una confessione – ha placidamente asserito Fubini a “Tv2000”, riferendosi alla notizia – c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul Corriere della Sera». Se questo è giornalismo, verrebbe da dire chiosando Primo Levi. Ben 700 bambini morti grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progetto chiamato Unione Europea, con le “crisi” che essa fisiologicamente produce: e che, in realtà, sono il necessario portato delle politiche liberiste fondative della Ue, pensate ad hoc dai dominanti per massacrare le classi deboli.Le chiamano crisi: sono aggressioni con morti condotte dalla classe dominante capitalistica contro i dannati della cosmopolitizzazione europeista. L’ho detto e lo ridico: gli euroinomani di Bruxelles la chiamano gloriosamente Unione Europea, in verità è l’unione delle classi dominanti europee contro i popoli e le classi lavoratrici d’Europa. Questa è realmente la Ue, un immenso campo di concentramento finanziario. Fanno di tutto per nasconderlo e per glorificarlo. Ma la storia, che è storia della libertà, si ricorderà di loro. Si ricorderà di chi è stato connivente con questo genocidio finanziario, di chi ha taciuto e di chi l’ha nobilitato con parole roboanti (“integrazione”, “unione”, ecc.). L’Unione Europea è l’apice di un capitalismo che si è liberato dalla presa della sovranità nazionale e, dunque, della politica e, di conseguenza, da ogni possibile controllo democratico del popolo. La democrazia è sovranità popolare “nello” Stato. Ma perché vi sia sovranità “nello” Stato, occorre che vi sia anche sovranità “dello” Stato: ossia che lo Stato sia sovrano nelle sue scelte di politica economica e monetaria. La Ue ha rimosso la sovranità “dello” Stato e, per questa via, anche quella “nello” Stato, ossia la sovranità democratica popolare.In apparenza, l’obiettivo era evitare guerre tra Stati nazionali. In realtà, era distruggere le democrazie. Tant’è che la democrazia oggi è assente (il Parlamento della Ue ha un ruolo coreografico): e in compenso prosperano le guerre economiche tra Stati debitori (Grecia) e Stati creditori (Germania). Con tanto di cadaveri, prodotti senza nemmeno usare i cannoni e le bombe: solo con le subdole leve del debito e del credito, dello spread e dell’austerità depressiva decisa nei caveau delle banche da tecnocrati in doppiopetto e sorriso burocratizzato. Conseguenza di tutto ciò? Sovrano è oggi il mercato senza politica, con dominio assoluto dei tecnici e dei finanzieri cinici e apolidi. Che decidono spietatamente della vita dei popoli, ad essa anteponendo il “pareggio di bilancio” e i “conti in ordine”. Anche se ciò comporta la nuova strage erodiana dei 700 bambini ellenici! Prodigio della ragion liberista! I padroni del discorso, si sa, usano la condanna dei totalitarismi passati come risorsa ideologica per far sì che i sudditi amino il nuovo totalitarismo glamour del libero mercato. Oggi più che mai valgono le parole scritte da Adorno in “Prismi”: «Il mondo nuovo è un unico campo di concentramento che si crede un paradiso non essendoci nulla da contrapporgli».(Diego Fusaro, “Fubini confessa di aver nascosto la notizia dei bimbi morti in Grecia. La verità viene a galla!”, dal “Fatto Quotidiano” del 3 maggio 2019).Scriveva Seneca che la verità, anche se sommersa, viene presto o tardi a galla. E così è stato anche in questo caso. Federico Fubini, vicedirettore del rotocalco turbomondialista “Corriere della Sera”, ha fatto candidamente questa incredibile confessione nel corso di un’intervista televisiva ai microfoni di “Tv2000” [minuto 17]: «In Grecia morti 700 neonati in più per la crisi. Ma ho nascosto la notizia». Fubini ha ammesso di aver censurato tale notizia per non incoraggiare gli euroscettici e i partiti sovranisti. Insomma, per garantire la tenuta dell’ordine eurocratico della Ue, innalzato panglossianamente dai padroni del discorso (sempre a completamento del rapporto di forza dominante) a meilleur des mondes possibles. «Faccio una confessione – ha placidamente asserito Fubini a “Tv2000”, riferendosi alla notizia – c’è un articolo che non ho voluto scrivere sul “Corriere della Sera”». Se questo è giornalismo, verrebbe da dire chiosando Primo Levi. Ben 700 bambini morti grazie alle “magnifiche sorti e progressive” del progetto chiamato Unione Europea, con le “crisi” che essa fisiologicamente produce: e che, in realtà, sono il necessario portato delle politiche liberiste fondative della Ue, pensate ad hoc dai dominanti per massacrare le classi deboli.
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Carpeoro: Palme fu ucciso perché voleva abolire la povertà
Il 28 febbraio del 1986 io ero in piazza Duomo 19 a Milano, nell’ufficio di Bettino Craxi, quando arrivò la notizia dell’uccisione di Palme. Non ero da solo. C’era la deliziosa Alma Cappiello, avvocato e parlamentare socialista. C’era Luciano Belipaci, che era il presidente del Circolo Rosselli (da cui quel giorno nacque il Circolo Olof Palme). C’era Enzo Saponara, che era il segretario dei giovani socialisti. C’erano tante persone. Noi lo sapevamo bene, chi era Olof Palme, ma in Italia non è che lo sapessero benissimo. Era il leader dei socialisti europei, e non perché qualcuno l’avesse eletto. Ci sono due modi di essere leader: per autorità e per autorevolezza. Tanti preferiscono il primo, pochi arrivano al secondo. Tutti i socialisti d’Europa pendevano dalle labbra di Olof Palme, perché aveva realizzato la rivoluzione copernicana del socialismo. Aveva scritto, detto e insegnato – in tutte le salse – che il socialismo doveva superare Marx e il classismo. Il socialismo si era sclerotizzato nella cosiddetta lotta di classe. Anzi: aveva figliato il comunismo, sulla base della lotta di classe. Immaginava le classi come le placche dell’arteriosclerosi nel sangue di una persona invecchiata precocemente. Una situazione sclerotica, schematica, intoccabile, con classi sociali ciascuna con le sue colpe e le sue caratteristiche, mentre una sola aveva dei meriti.Si immaginava una nobiltà anti-rivoluzionaria e una borghesia rivoluzionaria solo nel Settecento, mentre l’unico vero corpo rivoluzionario era il proletariato. Questa è una teoria esoterica: si sfiorava la religione. Olof Palme non accettò questa teoria. Rifiutò il concetto di classe. Disse: se proprio vogliamo enfatizzare la parola classe, possiamo dire che una classe (che cambia, di tempo in tempo) è la categoria di persone che ha gli stessi bisogni, le stesse necessità – non gli stessi interessi. Perché, secondo lui, un socialista non doveva occuparsi degli interessi, ma delle necessità. Questa era la sua visione, condivisibile o meno. Ma è una visione veramente rivoluzionaria, perché scardinava la base del marxismo – una base esoterica, ideologica, mistica. La scardinava: la toglieva dai cardini e lasciava la porta aperta. Quando Claudio Martelli iniziò a utilizzare il termine “area laica e socialista”, lo fece perché quel termine l’aveva inventato Olof Palme. E lo aveva anticipato in un pranzo, in occasione di un convegno in Germania, nel quale aveva detto: noi dobbiamo creare l’area laica e socialista. Significava allargare il concetto di socialismo: non nei confronti di tutte le speculazioni classiste e pseudo-rivoluzionarie che lo avevano quasi completamente ammorbato, nonostante il distacco dal comunismo. Significava che la vera mediazione doveva avvenire nei confronti della cultura illuministica. Cioè: il socialismo si doveva riconciliare con l’umanesimo illuminista.In Italia, umanesimo illuminista voleva dire per esempio repubblicani, liberali, radicali, reduci del Partito d’Azione: tutti eredi, come i socialisti, della Rivoluzione Francese. Pochi anni dopo la Rivoluzione, infatti, a Parigi c’erano i socialisti: c’era Saint-Simon, c’era Proudhon, c’era Blanqui, c’era Blanc (il cosiddetto socialismo utopistico). Sapete, quando uno ti vuole delegittimare – senza offrire argomentazioni – ti dice che sei un utopista. Ma è una cosa bellissima, l’utopia: è un non-luogo (“ou-topos”). Significa che tutto quello che avviene in un non-luogo è utopistico; ma non significa che non esista, e non significa neanche che non possa essere degno di attenzione. Il problema è che Palme l’aveva fatta, questa rivoluzione – era colpevole di farla fatta – e in un contesto che non era molto favorevole (quello di adesso lo è ancora meno, perlatro), dove comunque gli altri leader socialisti europei erano in difficoltà. Craxi cominciava a perdere la salute, e il diabete galoppante gli provocava anche scatti caratteriali imprevedibili; Mitterrand era in pieno bonapartismo, per cui non è che fosse proprio affidabile; e Schmidt è la persona più piatta che si sia conosciuta nella storia del socialismo europeo. Capirete che non erano proprio passeggiate di salute. Eppure, Palme era stato capace di gettare le basi del socialismo europeo.Tanto era stato fondamentale, Palme, per il socialismo europeo, che poco prima di venir ucciso era candidato – dato per vincente – a diventare segretario generale dell’Onu. Poteva essere un modo comodo per toglierlo dalla guida del governo svedese, e per allontanarlo dalla gestazione di questa Europa che abbiamo visto nascere? Per come uno conosce Olof Palme, in realtà, l’elezione alle Nazioni Unite poteva essere un’arma a doppio taglio. Rimane il fatto che questo personaggio, che nel 1968 era a Praga a manifestare contro i carri armati sovietici, che nei primi anni ‘70 promosse una mozione dell’Onu contro la guerra in Vietnam, e che nel 1974 andò in Sudafrica a manifestare per la scarcerazione di Nelson Mandela, non si era fatto molti amici: era stato capace di contestare chiunque. Ma aveva un solo riferimento: la vera guida di Olof Palme era la libertà, intesa nell’accezione iniziatica del termine. Libertà non è fare ciò che che vuoi, è sapere quello che si vuole. La libertà è, prima di tutto, una consapevolezza della nostra mente: è uno stato mentale, la libertà, prima di essere uno stato fisico. Io ho fatto l’avvocato: in galera ho conosciuto persone libere, e ho conosciuto persone che erano “in galera” da libere. Perché prima di essere una condizione sociale, politica, giudiziaria – la libertà è uno stato mentale. Io ho conosciuto menti sempre libere, dovunque fossero, qualunque cosa facessero, così come ho conosciuto menti prigioniere (dovunque fossero, e qualunque cosa facessero).Olof Palme era una mente libera, e questa sua mente libera gli ha fatto superare il socialismo adottando un economista – Rudolf Meidner – che è l’uomo che ha inventato il cosiddetto “progetto economico svedese”. Un progetto rivoluzionario: realizzato con la creazione di fondi di comproprietà delle aziende a favore dei sindacati (in quota, certo: non si mise a nazionalizzare); con la previsione di un tipo di contribuzione assistenziale, previdenziale e sanitaria rivoluzionaria. E’ vero, all’epoca usò una leva fiscale piuttosto consistente, ma non so se oggi farebbe la stessa cosa, perché già nel suo secondo mandato attenuò il prelievo fiscale. Evidentemente, si regolò sul contesto economico contingente. Ma la sua regola ispirativa era questa: la politica e lo Stato devono rispondere alle necessità dei cittadini, e il compito di una forza politica è quello di stabilire quali sono le priorità, rispetto a queste necessità. Due elementi fondamentali, dei quali nessun altro politico, all’epoca sua, tenne conto. Dopo Palme ci ritrovammo Blair, Hollande. Pensate che, attualmente, nel direttivo del Partito Socialista Europeo il nostro rappresentante è la Mogherini. Lei fa l’anestesista: nel senso che tu non senti nulla (né dolore, ma neanche piacere).La chiamo “eutanasia del socialismo”: il socialismo si è ucciso da solo, dopo la morte di Palme, perché è mancato un tipo di guida a dei personaggi che non erano in grado di fare, da soli, la “nuova era” socialista. Nemmeno Craxi lo era: grande politico e grande statista, ma non era Palme. Così il socialismo si è suicidato. In che modo? Ha svenduto il suo marchio, senza chiedere garanzie sui contenuti – così come si svende tutto, nel sistema di potere contemporaneo. Il potere oggi si impossessa di marchi, cancella quello che c’è sotto (e quello che c’è stato prima) e poi lo utilizza. E’ successo parzialmente anche con la massoneria, con le religioni. Sapete, una cosa illuminante su cui farsi domande è questa: perché non c’è nessuna religione che dichiari che la povertà è illegittima? Tutte le religioni chiedono di aiutare i poveri. La povertà la danno come inevitabile, inesorabile. Era anche uno degli argomenti di Palme, impegnato in quel suo assistenzialismo così avanzato. Queste cosiddette dottrine spirituali ci vengono a dire: aiutate i poveri. Non ci dicono: facciamo in modo che non esistano più, i poveri. Vi siete mai chiesti perché?(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate al convegno “Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi della democrazia”, promosso il 3 maggio 2019 a Milano dal Movimento Roosevelt. A margine dei lavori, Carpeoro – avvocato e saggista, a lungo collaboratore di Craxi – ha aggiunto che Palme fu ucciso da agenti di un servizio segreto, probabilmente bulgaro, su ordine della P2 di Gelli, per conto della massoneria reazionaria internazionale. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016 per Revoluzione, Carporo ricorda che – alla vigilia del premier socialdemocratico scandinavo – Licio Gelli telegrafò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente messaggio: “La palma svedese sta per cadere”. Carpeoro spiega che Guarino era il braccio destro di Michael Ledeen, influente storico e politologo statunitense di origine ebraica, membro del B’nai B’rith – esclusiva massoneria del Mossad – nonché del Jewish Institute. Sempre secondo Carpeoro, dopo aver danneggiato lo stesso Craxi (provocando la crisi di Sigonella, traducendo in modo fuorviante le parole di Reagan durante una conversazione telefonica tra il presidente Usa e il premier italiano), Ledeen avrebbe “sovragestito” Antonio Di Pietro, quindi Matteo Renzi e contemporanamente Luigi Di Maio).Il 28 febbraio del 1986 io ero in piazza Duomo 19 a Milano, nell’ufficio di Bettino Craxi, quando arrivò la notizia dell’uccisione di Palme. Non ero da solo. C’era la deliziosa Alma Cappiello, avvocato e parlamentare socialista. C’era Luciano Belipaci, che era il presidente del Circolo Rosselli (da cui quel giorno nacque il Circolo Olof Palme). C’era Enzo Saponara, che era il segretario dei giovani socialisti. C’erano tante persone. Noi lo sapevamo bene, chi era Olof Palme, ma in Italia non è che lo sapessero benissimo. Era il leader dei socialisti europei, e non perché qualcuno l’avesse eletto. Ci sono due modi di essere leader: per autorità e per autorevolezza. Tanti preferiscono il primo, pochi arrivano al secondo. Tutti i socialisti d’Europa pendevano dalle labbra di Olof Palme, perché aveva realizzato la rivoluzione copernicana del socialismo. Aveva scritto, detto e insegnato – in tutte le salse – che il socialismo doveva superare Marx e il classismo. Il socialismo si era sclerotizzato nella cosiddetta lotta di classe. Anzi: aveva figliato il comunismo, sulla base della lotta di classe. Immaginava le classi come le placche dell’arteriosclerosi nel sangue di una persona invecchiata precocemente. Una situazione sclerotica, schematica, intoccabile, con classi sociali ciascuna con le sue colpe e le sue caratteristiche, mentre una sola aveva dei meriti.
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Ogni volta che la verità fa notizia, ma solo su Border Nights
Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio nella futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non tra le pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.La fonte si chiama “Border Nights”, trasmissione web-radio in onda il martedì sera, con appendici in streaming su YouTube attorno al weekend. Una comunità di almeno 30.000 persone, in continua crescita e sempre in ascolto. Motivo: quello è il canale che spiega, in modo tempestivo, cosa ci sta succedendo. L’anima di “Border Nights” è il giovane conduttore Fabio Frabetti, giornalista di “Cronaca Vera”, grande appassionato di radiofonia. Accanto ai temi che esplorano tendenze, ricerche e curiosità culturali, scienze di confine e conoscenze non ufficiali – testimonianze affidate a medici coraggiosi e giornalisti indipendenti, saggisti, sociologi, esperti delle materie più disparate che ormai aggregano migliaia di persone, sul web e non solo – sta acquisendo grande rilevanza l’appuntamento web-radiofonico settimanale con ospiti fissi, a partire dalla trasmissione notturna: le segnalazioni di Tom Bosco sulla geopolitica e la storia “proibita”, le analisi politologiche in versione spiritualistica di Fausto Carotenuto e l’imperdibile “a ruota libera” con lo stesso Franceschetti. Un fenomeno in ascesa, quello delle voci settimanalmente chiamate a esprimersi sull’attualità, che esplode letteralmente nelle video-chat su YouTube: Massimo Mazzucco il sabato, Gianfranco Carpeoro la domenica e Gioele Magaldi il lunedì.Polifonia di accenti e vasto assortimento di sensibilità diversissime: vaccini, politica, giustizia, misteri italiani e crisi internazionali. Cosa offre, “Border Nights”? La possibilità di leggere quel che si muove dietro le quinte. E a innescare le rivelazioni più interessanti è proprio l’interazione col pubblico: domande a bruciapelo, a cui gli ospiti non si sottraggono. Così fa notizia, la piattaforma di Frabetti. Memorabile, l’estate scorsa, la “bomba” sparata dal saggista e simbologo Carpeoro sulla crisi in Rai, con l’improvviso veto di Berlusconi sulla presidenza Foa. Lo scoop: da Parigi, Jacques Attali (padrino di Macron) avrebbe telefonato addirittura a Napolitano, quindi a Tajani e a Berlusconi, per cercare di stoppare il candidato di Salvini, giornalista scomodo e autore del saggio “Gli stregoni della notizia”, che denuncia l’omertà dei media mainstream. Se poi Marcello Foa ce l’ha fatta, a diventare presidente della Rai, probabilmente lo si deve anche alla clamorosa esternazione di “Border Nights”, che ha messo allo scoperto il complotto e i suoi presunti autori. Sempre Carpeoro ha “sparato” contro la Francia anche di recente, accusando Parigi di aver protetto l’esilio brasiliano di Cesare Battisti, dopo averlo infiltrato in Italia – negli anni di piombo – per contribuire a manipolare il terrorismo italiano, indebolendo il nostro paese.Notizie esplosive, che avrebbero dovuto scatenare i media – rimasti invece silenziosi, come sempre. Rarissimi i casi in cui “Border Nights” riesce a perforare il muro di gomma: è successo di recente, quando Magaldi ha svelato l’identità massonica di Gianroberto Casaleggio. Immediata la replica del figlio, Davide: «Mio padre non era massone». A strettissimo giro la contro-replica di Magaldi: «Accetti un pubblico confronto con me, e gli spiegherò perché suo padre non voleva si sapesse che fosse massone». E’ importante, il dettaglio? Eccome: è lo stesso Luigi Di Maio (che poi in segreto bussa alla porta della massoneria internazionale, secondo Magaldi) a pretendere che gli aderenti alle logge non possano accostarsi ai 5 Stelle: bell’ipocrisia, visto che il divieto colpisce solo i massoni manifesti (non gli iniziati occulti). Ma il “rumor” su Casaleggio – da “Border Nights” ai grandi media – è davvero un’eccezione. Silenzio di tomba, per esempio, quando Mazzucco ha chiesto alla Procura di Genova di rendere pubblico il video del crollo del viadotto Morandi, visionato a quanto pare soltanto dai giornalisti del “New York Times” e non dai colleghi italiani, poco propensi a maltrattare la famiglia Benetton: nessuno di loro ha fiatato, neppure dopo la denuncia di Mazzucco.Siamo ammorbati da un mainstream di regime, reticente, distratto, pronto all’autocensura. Un caso clamoroso? Lo racconta il giornalista Gigi Moncalvo, autore dei saggi “Agnelli segreti” e “I lupi e gli Agnelli”, misteriosamente spariti dalle librerie. Quando uscì il film-capolavoro “The silence of the lambs”, solo in Italia alla traduzione letterale – il silenzio degli agnelli – si preferì il meno rischioso “Il silenzio degli innocenti”, giusto per non correre il pericolo di turbare la corte torinese dell’Avvocato. Nella trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, quasi gemella di “Border Nights” (condotta da Rudy Seery e Stefania Nicoletti) lo stesso Moncalvo si sfoga: Margherita Agnelli, figlia dello storico patron della Fiat, ha sottratto due bambini a una delle sue figlie, ridotta in miseria, e la stampa italiana preferisce tacere. Non solo: la figlia dell’Avvocato ha appena riaperto la devastante guerra per l’eredità, facendo emergere – dalle carte giudiziarie – un autentico giacimento di denaro trafugato dall’Italia e nascosto all’estero. Un tesoro che era rimasto nascosto, alla morte dell’Avvocato: cinque miliardi di euro in Svizzera più altri cinque a Panama, saltati fuori dallo scandalo “Panama Papers”, senza contare i 9 miliardi di euro – in lingotti d’oro – stipati dalla famiglia Agnelli al Freeport, il bunker super-sorvegliato allo scalo aeroportuale di Ginevra, che custodisce il denaro sporco dei narcotrafficanti colombiani e degli oligarchi russi.Tuona Moncalvo: sono tutti soldi sottratti al fisco italiano, nonostante il fiume di denaro statale elargito alla Fiat. Ma i media – giornali e televisioni – non se ne occupano minimanente: scelgono invece di rintronare il pubblico con il gossip più frivolo, come quello sulle finte nozze della starlette Pamela Prati. Perché “Chi l’ha visto” non parla della stranissima sparizione (e morte) di Edoardo Agnelli, il figlio “eretico” dell’Avvocato che si era permesso di contestare la designazione di John Elkann? Viviamo in una bolla mediatica, dice Magaldi a “Border Nights”: persino una fonte brillante come “Dagospia”, in fondo, non va oltre il chiacchiericcio e lo scandalismo innocuo. Mai che si sbilanci, il newsmagazine di Roberto D’Agostino, nel denunciare i micidiali complotti dell’unica, vera massoneria di potere. Un caso esemplare? Quello di Pino Cabras, deputato 5 Stelle: in un convegno promosso a Londra dal Movimento Roosevelt, ha detto chiaro e tondo che leghisti e grillini sono divisi su tutto, ma tengono duro per resistere al Deep State che condiziona il governo gialloverde fin dall’inizio, quando Sergio Mattarella si oppose alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’economia. Cabras è un parlamentare autorevole, vicino a Di Maio. Vista la fonte, la notizia era più che solida. Ma nessuno l’ha raccolta.Vietato scandalizzarsi, naturalmente, anche se ce ne sarebbe motivo. Altro capitolo, l’obbligo vaccinale (i media: latitanti). Primo atto: a fine 2017, la commissione parlamentare difesa parla di 5.000 militari italiani, di cui 1.000 già morti, colpiti da gravissime malattie (al 50% causate, secondo i medici, da vaccinazioni somministrate in modo incauto). Poi: la Regione Puglia – l’unica a istituire la farmacovigilanza attiva – rivela che, su 10 bambini pugliesi vaccinati, ben 4 hanno sofferto reazioni avverse. Terza notizia: l’ordine dei biologi scopre vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti tossici nelle dosi, nonché vaccini privi degli agenti immunizzanti. Qualche eco di queste notizie affiora, in sordina, sul “Fatto”, su “Libero” e su “La Verità”, mentre è solo “Il Tempo” di Franco Bechis a sparare con decisione sullo scandalo dei vaccini inquinati. Silenzio assoluto, dalle grandi testate cartacee e radiotelevisive. Per questo ormai conquista audience la super-nicchia del web informativo: un video di “ByoBlu” può far registrare anche 200.000 visualizzazioni, mentre molte testate considerate autorevoli – i cui direttori bivaccano nei talkshow – spesso non superano le decina di migliaia di copie vendute. Non è un caso che l’Ue abbia imposto un bavaglio di sapore medievale, al web, con la scusa del copyright. Né è casuale il successo crescente di “Border Nights”, dove a innescare le rivelazioni più clamorose, molto spesso, sono proprio le domande del pubblico, direttamente in chat. Voglia di esserci, di partecipare, di sapere: c’è un’Italia in movimento, che non ne può più di omissioni e bugie.Mentre ancora bruciava Notre-Dame, ci ha pensato l’avvocato Paolo Franceschetti a spiegare cosa significhi, davvero, dare alle fiamme la cattedrale francese: una chiesa-simbolo, cara ai Templari e consacrata segretamente al “divino femminile”, da parte dei monaci-guerrieri che per primi, nel medioevo, sognavano di unire l’Europa abbattendo frontiere e monarchie dispotiche, complici dell’oscurantismo vaticano, all’indomani del feroce sterminio dei Catari. Proprio a Parigi, nel 1314, fu arso vivo Jacques de Molay, ultimo gran maestro dei Cavalieri del Tempio. Alcuni superstiti ripararono in Scozia, da cui – si racconta – avrebbero impresso il loro marchio sulla futura massoneria moderna. Ha provveduto il massone progressista Gioele Magaldi a confermare la chiave “anti-templarista” del rogo nella capitale francese: non un incidente, ma un attentato incendiario per colpire un simbolo della concordia europea per la quale lavorò (e lavora tuttora) il circuito massonico internazionale di segno democratico, oggi ostile ai massoni “contro-iniziati” come Angela Merkel, Mario Draghi ed Emmanuel Macron. Analizi, notizie, suggestioni e spiegazioni. Dove riceverle? Non dalle pagine del “Corriere della Sera” o del “Fatto Quotidiano”, e men che meno dai telegiornali.
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In manette la libertà: chi ha brindato all’arresto di Assange
È stato interessante nei giorni scorsi osservare la composita compagnia che ha esultato per l’arresto a Londra di Julian Assange: alcuni dei suoi corifei erano prevedibili ma altri onestamente meno. Tra i primi, diversi capi di Stato e di governo, qualche potente delle varie forze armate e dei servizi di intelligence, taluni rauchi esponenti di destra che non hanno mai nutrito una smisurata idea di libertà. Tra i secondi – quelli che hanno fatto la ola più a sorpresa – si sono distinti diversi esponenti della sinistra “progressista”, che fino a pochi anni fa simpatizzavano per WikiLeaks, ma adesso l’hanno in uggia, vedremo poi il perché. Accanto a questi, fra gli esultatori imprevisti, si sono esibiti anche non pochi giornalisti di discreta fama, per i quali invece la ragione dell’astio è più psicoanalitica: invidia del collega che ha realizzato scoop storici e mondiali, gioia per la restaurazione di antiche gerarchie professionali che il boom di WikiLeaks aveva ribaltato (Assange a marcire in galera è un bel Congresso di Vienna), soddisfazione intestinale nel vedere al gabbio chi ha fatto del giornalismo uno strumento di rivelazione di segreti dei potenti – mettendo in gioco la propria vita – anziché di accomodamento delle proprie chiappe accanto ai potenti medesimi.Di questi ultimi – le grandi firme che oggi si fregano le mani – si dovrebbero occupare appunto i rispettivi strizzacervelli: se arrivati oltre i sessant’anni non riescono a far pace con il loro ego e i loro compromessi di vita, è solo un problema loro. Più interessante invece la svolta della sinistra “progressista” (o presunta tale). Che aveva coccolato Assange per anni (in particolare quando WikiLeaks aveva rivelato le stragi di civili in Afghanistan compiute al tempo di George W. Bush) ma lo ha drasticamente mollato dopo il Russiagate. E, per quanto riguarda l’Italia, dopo che lo sventurato ha ricevuto nella sua tana-prigione dentro l’ambasciata ecuadoregna una delegazione di parlamentari grillini (Di Battista compreso, stiamo parlando di qualche anno fa) manifestando la sua simpatia e il suo appoggio per il Movimento 5 Stelle. A seguito di questi due eventi, adesso Assange è diventato “l’amico di Trump”, il “complice dei sovranisti” o (ad andar bene) “il controverso hacker”.Ora, a questa ipocrita svolta anti Assange di buona parte dei “progressisti” italiani va risposto con la forza dei fatti e dell’onestà intellettuale: 1. L’appoggio al Movimento 5 Stelle non è un’argomentazione contro Assange e ancor meno contro WikiLeaks. Probabilmente Assange (peraltro poco interessato alla politica italiana) al tempo ha visto nel M5S un partito vicino alla sua idea di trasparenza e di uso della Rete a questo scopo. In ogni caso, non è in base a uno statement su un partito italiano che possiamo giudicare quanto sta avvenendo attorno a lui. Sarebbe ridicolo, oltre che sommamente provinciale. 2. Julian Assange non è in alcun modo indagato nell’inchiesta Russiagate. Non c’è alcun capo di imputazione nei suoi confronti. E la stessa inchiesta sul Russiagate nel suo complesso ha dimostrato che i “progressisti” su questa vicenda si devono mettere un po’ l’anima in pace: se Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti è per un complesso di macrocause economiche, politiche, sociali e culturali (tra cui gli stessi errori storici della sinistra fattasi establishment), non per un complotto degli hacker russi spalleggiati da Assange.3. Solo un cieco felice di esserlo – quindi molto affezionato ai suoi pregiudizi – oggi non vede il motivo sostanziale per cui da anni è perseguitato Assange, con le accuse formali più diverse: per aver dato fastidio (e che fastidio!) ai potentati dell’economia (non dimentichiamo che centinaia dei primi leaks erano su banche e industriali), della diplomazia, dei servizi, dei militari e della politica. Su tutti costoro Assange e il suo sito avevano rivelato solo e sempre verità. Ma verità che non dovevano essere dette. Assange aveva realizzato nei fatti il famoso motto di Horacio Verbitsky, spesso citato ma raramente implementato: «Giornalismo è pubblicare qualcosa che qualcuno non vorrebbe venisse pubblicato; tutto il resto è propaganda». Questo non è stato perdonato ad Assange, per questo ora Assange è in carcere, dopo aver passato sette anni chiuso in venti metri quadri dentro un’ambasciata.Ma, detto tutto questo, non c’è alcun bisogno di apprezzare Assange per difenderlo. Non c’è alcun bisogno di considerarlo un “eroe” (categoria a cui è sempre meglio non appartenere), né un “paladino della libertà” e neppure un “giornalista senza paura”. Anzi, oggi si può e si deve difendere Assange anche se ci sta antipatico, anche se ne siamo distanti politicamente, perfino se lo consideriamo (pur senza prove) un “hacker al servizio di Putin”. Lo dobbiamo difendere perché non è in gioco lui, ma il principio del giornalismo che ha il diritto (se non il dovere) di pubblicare notizie vere e verificate proteggendo la propria fonte e indipendentemente dalla propria fonte. È, questo, un principio base della libertà di stampa, della sua forza storica, della sua funzione di controllo in una società aperta. È questo principio ad essere stato messo in manette l’altro giorno in una strada del centro di Londra, non l’uomo stanco con la barba bianca che in quel momento lo impersonava. Voi state con questo principio o con quelle manette?(Alessandro Gilioli, Assange e le manette alla libertà di stampa”, da “Micromega” del 15 aprile 2019).È stato interessante nei giorni scorsi osservare la composita compagnia che ha esultato per l’arresto a Londra di Julian Assange: alcuni dei suoi corifei erano prevedibili ma altri onestamente meno. Tra i primi, diversi capi di Stato e di governo, qualche potente delle varie forze armate e dei servizi di intelligence, taluni rauchi esponenti di destra che non hanno mai nutrito una smisurata idea di libertà. Tra i secondi – quelli che hanno fatto la ola più a sorpresa – si sono distinti diversi esponenti della sinistra “progressista”, che fino a pochi anni fa simpatizzavano per WikiLeaks, ma adesso l’hanno in uggia, vedremo poi il perché. Accanto a questi, fra gli esultatori imprevisti, si sono esibiti anche non pochi giornalisti di discreta fama, per i quali invece la ragione dell’astio è più psicoanalitica: invidia del collega che ha realizzato scoop storici e mondiali, gioia per la restaurazione di antiche gerarchie professionali che il boom di WikiLeaks aveva ribaltato (Assange a marcire in galera è un bel Congresso di Vienna), soddisfazione intestinale nel vedere al gabbio chi ha fatto del giornalismo uno strumento di rivelazione di segreti dei potenti – mettendo in gioco la propria vita – anziché di accomodamento delle proprie chiappe accanto ai potenti medesimi.
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Magaldi: Lunga Marcia, per la rivoluzione che serve all’Italia
«C’è ormai una sorta di teatro stucchevole: si celebrano elezioni che non decidono nulla. Le prossime europee? Doppiamente inutili: in un Europarlamento notoriamente senza potere, saranno i soliti noti a spartirsi le stesse poltrone». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, non crede alla “carica” dei sovranisti: a Strasburgo, dice, non cambierà proprio niente. Fine dell’equivoco gialloverde: il governo Conte doveva opporsi all’austerity infinita, e invece si limita a tirare a campare. Che fare? «Una rivoluzione», sostiene Magaldi. Meglio: «Una lunga marcia, come quella di Mao». Non comunista, certo: una rivoluzione democratica. «Ma ci vuole una lunga marcia, in mezzo a questo grande caos di gente vecchia. Vecchi partiti, che cantano canzoni stonate senza aver più nulla da dire. E nuovi partiti, che riescono solo a litigare tra di loro e si rassegnano a usare pannicelli caldi, anziché aggredire la grave malattia socio-politica ed economica dell’Italia». Per Magaldi, il convegno del 3 maggio a Milano su Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara è «la seconda tappa della rivoluzione rooseveltiana avviata a Londra il 30 marzo». Tema: un New Deal per l’Italia e l’Europa, contro la crisi della democrazia. Relatori: economisti come Nino Galloni, Danilo Broggi, Ilaria Bifarini, Guido Grossi. La tesi: dalla post-democrazia Ue, che impone la folle disciplina ideologica del rigore, si esce solo rispolverando Keynes e rilanciando l’economia con poderosi investimenti pubblici.Esponente del network massonico progressista internazionale, Magaldi ha dato alle stampe nel 2014 il saggio “Massoni”, in cui si svela il ruolo decisivo di 36 superlogge occulte, sovranazionali, nel back-office del potere mondiale. Nel 2015 ha creato il Movimento Roosevelt, entità meta-partitica con una missione precisa: indurre la politica a recuperare la sovranità democratica, costringendo l’oligarchia massonica che domina l’Ue a rivedere le regole dell’austerity. Ora, l’agenda del gruppo si infittisce di impegni pubblici. Dopo Londra, Milano: ci sarà anche Paolo Becchi tra i relatori dell’assise che – omaggiando la memoria civile e politica del socialismo liberale attraverso le figure di Rosselli, Palme e Sankara – sfiorerà anche un altro grande, l’economista italiano Federico Caffè, misteriosamente scomparso a Roma nel 1987. «La sua sparizione – spiega Magaldi – è direttamente connessa con gli omicidi di Palme e di Sankara». Caffè era il cervello dell’economia keynesiana europea, poi travolta dal neoliberismo: un uomo scomodo, da togliere di mezzo. Per Magaldi, il tempo dell’attesa è finito: il 14 luglio, a Roma, verrà costituito il “Partito che serve all’Italia”, cantiere di lavoro ormai in dirittura d’arrivo. Obiettivo: creare finalmente un’alternativa, che metta gli italiani in condizione di scegliere il proprio futuro, senza più soggiacere ai diktat devastanti dei poteri forti europei.«La politica è deludente anche perché i cittadini non si sono impegnati abbastanza, e hanno votato per i personaggi sbagliati, compiendo atti di fede etnico-tribali verso i gruppi dirigenti sbagliati», dice Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Se non sai fotografare bene il mondo, e analizzare in modo onesto e coraggioso le forze in campo, difficilmente potrai offrire una cura». Magaldi scommette sull’analisi proposta dal Movimento Roosevelt, e anche dal nascente “Partito che serve all’Italia”: «Credo che le persone coinvolte in questi progetti siano difficili da assimilare al deludentissimo ceto politico attuale». E insiste: «Ci prepariamo a fare – democraticamente, però – quello che ha fatto Mao Tse-Tung». Lunga marcia, per scuotere gli elettori. Il paesaggio da attraversare ovviamente non è la Cina, ma la palude italiana: da una parte i rottami dell’establishment della Seconda Repubblica, veri e propri “terminali” del vero potere europeo, e dall’altra il velleitarismo parolaio e inconcludente dei gialloverdi. «Il “governo del cambiamento” non sta cambiando granché, c’è troppa timidezza: è sterile nei risultati, al di là dei proclami».Cambiare il sistema dall’interno, come dice Salvini? E’ l’unica strada, conferma Magaldi: a gridare “no all’euro” e “no all’Ue” sono «gruppi marginalissimi, quindi ininfluenti». Contro Bruxelles e l’Eurozona, ieri, tuonavano anche la Lega e i 5 Stelle. «Una volta al governo, però, questi partiti non si sono preoccupati di radicalizzaere lo scontro, hanno invece attutito le proprie posizioni». Un programma serio? «Spiegare agli elettori che qualunque riforma o rivoluzione si fa “step by step”», attraverso passi concreti e progressivi. «I gialloverdi avrebbero dovuto cambiare il sistema dall’interno, iniziando – come sistema Italia – a proporsi come i riformatori della Disunione Europea attuale, contrastando i vincoli dell’Eurozona. Ma non l’hanno fatto». Trasformare l’Ue dall’interno, continua Magaldi, «lo si può fare se si è forti, se si è decisi ad affrontare quella che è una guerra politica». Gli avversari li conosciamo: «Si allineano ai tecnocrati e alle cancellerie più arcigne, nel difendere l’austerità infinita, e magari finanziano in modo occulto le posizioni più estremiste anti-euro, perché questo consente di non introdurre un dibattito serio».Lega e 5 Stelle dovrebbero passare dalle chiacchiere ai fatti, insiste Magaldi. «Non c’è partito oggi in Italia che non dica che Ue ed Eurozona andrebbero cambiate. Ma la domanda è: cosa state facendo, per cambiare le regole? Nulla». Osserva il presidente del Movimento Roosevelt: «Quello della Disunione Europea è un sistema post-democratico, ma l’Italia è ancora formalmente una democrazia, come gli altri partner Ue. Ed è proprio assumendo in pieno la sovranità democratica che si può mettere in crisi la post-democrazia Ue». Benissimo se la Lega vuol ripristinare l’elezione diretta degli amministratori delle Province, riavvicinando i cittadini alla partecipazione democratica. «Ma siamo sempre nell’ambito dei pannicelli caldi, che non curano la grande malattia del sistema-Italia». Scandaloso, poi, il polverone sulla vicenda Siri: il sacrificio del sottosegretario (solo indagato, per ora) servirebbe a riavvicinare Lega e 5 Stelle? Tutti si agitano: da Mattarella a Di Pietro, che insorge «salutando il risveglio dei 5 Stelle, che avrebbero ritrovato un rigurigito di moralità». Protesta Magaldi: «Di Pietro dovrebbe vergognarsi e andarsi a nascondere, perché è stato insieme ad altri lo strumento inconsapevole di un vero e proprio golpe, che ha spazzato via un’intera classe politica».«Se siamo nell’attuale situazione di disfacimento totale della politica – ribadisce Magaldi – è grazie a quella perversa operazione che ha inaugurato la Seconda Repubblica». Ora ci stanno di fronte verità ineludibili: l’Ue ha impedito all’Italia di aumentare il deficit oltre il 2%, e il governo Conte è tornato a Roma con le pive nel sacco. Palazzo Chigi sa benissimo che quei soldi non basteranno a finanziare le misure di cui il paese ha bisogno. «Ma la risposta alla post-democrazia delle istituzioni europee, per quanto riguarda sia la Disunione Europea che la tragicomica Eurozona – dice Magaldi – non è il sovranismo, non è il nazionalismo e non è la risposta dei finti europeisti, che hanno sempre detto di sognare gli Stati Uniti d’Europa, e poi in realtà si sono appecoronati alla peggiore conservazione». Ppe e Pse, popolari e socialisti europei, sono «conservatori mediocri, senza idee e senza vera vocazione democratica». Di fatto, «hanno traghettato stancamente il vecchio continente a essere quello che è, cioè un soggetto che non ha un’unità politica, dove gli Stati si fanno concorrenza tra loro. Non c’è una politica estera comune, non c’è una politica fiscale comune, non c’è nessuna salvaguardia dell’interesse comune. Non c’è un’unione, appunto».Ma la risposta a tutto questo – aggiunge Magaldi – non sta in quello che viene raccontato. La Lega? Crescerà, ma inutilmente: «Nel governo non ha inciso, se non nella speranza ancora viva dei suoi elettori: la votano perché sperano, non perché abbiano visto dei risultati». Secondo Magaldi «la Lega ha sbagliato tragicamente, sul piano europeo, a inseguire un’alleanza coi paesi cosidetti sovranisti». Anzi, «è un errore madornale parlare di sovranismo come ricetta contro la post-democrazia, che invece si combatte solo con la rigenerazione della democrazia». Sta qui il sale della “rivoluzione rooseveltiana”: «Serve, questa rivoluzione, perché tutti gli altri stanno facendo cose che non servono – se non a conservare poltrone e narcisismi, in mezzo al chiacchiericcio italiano».«C’è ormai una sorta di teatro stucchevole: si celebrano elezioni che non decidono nulla. Le prossime europee? Doppiamente inutili: in un Europarlamento notoriamente senza potere, saranno i soliti noti a spartirsi le stesse poltrone». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, non crede alla “carica” dei sovranisti: a Strasburgo, dice, non cambierà proprio niente. Fine dell’equivoco gialloverde: il governo Conte doveva opporsi all’austerity infinita, e invece si limita a tirare a campare. Che fare? «Una rivoluzione», sostiene Magaldi. Meglio: «Una lunga marcia, come quella di Mao». Non comunista, certo: una rivoluzione democratica. «Ma ci vuole una lunga marcia, in mezzo a questo grande caos di gente vecchia. Vecchi partiti, che cantano canzoni stonate senza aver più nulla da dire. E nuovi partiti, che riescono solo a litigare tra di loro e si rassegnano a usare pannicelli caldi, anziché aggredire la grave malattia socio-politica ed economica dell’Italia». Per Magaldi, il convegno del 3 maggio a Milano su Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara è «la seconda tappa della rivoluzione rooseveltiana avviata a Londra il 30 marzo». Tema: un New Deal per l’Italia e l’Europa, contro la crisi della democrazia. Relatori: economisti come Nino Galloni, Danilo Broggi, Ilaria Bifarini, Guido Grossi. La tesi: dalla post-democrazia Ue, che impone la folle disciplina ideologica del rigore, si esce solo rispolverando Keynes e rilanciando l’economia con poderosi investimenti pubblici.
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Rosselli, Palme e Sankara: rivoluzione, se oggi fossero qui
Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986, diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma certo: un elegante signore del Nord Europa, barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star della politica: è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere di “aiutare” l’Africa.Per far uscire Thomas Sankara dalle catacombe della memoria collettiva c’è stato bisogno dell’11 Settembre, lo choc che ha costretto gradualmente milioni di persone a interrogarsi sulla natura del cosiddetto Deep State. Strana nebulosa, a geometria variabile: domina il pianeta manipolando i governi o scavalcandoli, al limite azzerandone i leader più scomodi – già rarissimi ieri, e oggi pressoché introvabili. Tuttora, comunque, vastissimi strati dell’opinione pubblica continuano a restare scettici di fronte alla denuncia della manipolazione della storia e dell’attualità: tendono ad allinearsi al mainstream che reputa fantasiosa la teoria del complotto, boccia le verità alternative sull’11 Settembre, si rassegna alle campagne sanitarie di massa come il Tso infantile dei vaccini imposti senza spiegazioni. E ovviamente deride chi “crede alle scie chimiche”, preferendo non domandarsi per quale ragione il cielo non sia più blu, ma vistosamente rigato, ogni giorno, dalle tracce persistenti rilasciate dagli aerei. Ci si rifugia dietro comodi neologismi (complottismo, cospirazionismo) per liquidare domande fastidiose, anche col provvidenziale contributo degli stessi “complottisti”, spesso prontissimi a sfornare risposte grottesche, surreali e sensazionalistiche.A monte, però, le domande restano sempre inevase: e questo spiega il fiorire delle narrazioni recenti, anche le più improbabili. Cosa sta succedendo, davvero? Nessuno può garantire di saperlo con precisione. Molti si rendono conto, onestamente, di esserne all’oscuro. Per questo smettono di seguire i telegiornali – tempestivi nel dar conto degli eventi, ma senza mai spiegarli. Se oggi riapparisse in televisione Thomas Sankara, quale anchorman sarebbe in grado di intervistarlo? Vespa e Floris, Formigli e Gruber: da che parte comincerebbero, dovendo fare domande all’avatar di Olof Palme? La nostra attuale comunicazione – smart, ultra-semplificata, a risposta immediata – non prevede più il modulo dell’analisi: ce ne manca il tempo. Nel mainstream risulterebbe semplicemente favolistico il racconto sul Memorandum di Lewis Powell, a cui l’élite occidentale chiese – nel remoto 1971 – un vademecum per “riprendersi tutto”, sbaraccando la democrazia dei diritti sociali. Facile: dall’altra parte del mondo c’era ancora il gigantesco freezer dell’Unione Sovietica, e di lì a poco i neoliberisti avrebbero potuto agevolmente indossare la maschera reaganiana dei liberatori, dei vincitori definitivi, ritagliandosi persino il ruolo di tronfi celebranti della “fine dalla storia”.Da dove ricomincia, la storia? Dall’alfabetizzazione politica di massa, probabilmente. In parte sta avvenendo, nella macro-nicchia del web (che infatti l’Unione Europea si è affrettata ad arginare, con la legge-bavaglio sul copyright a cui nessun governo si è finora opposto). La buona notizia, forse, è che l’invisibile Deep State in fondo ha paura dei sudditi, visto che si affanna a mantenerli nella quiete apparente della false certezze, nonostante i colpi mortali di una crisi che sta letteralmente cancellando la classe media in Europa, al punto da riempire le strade francesi di gilet gialli. Economia, moneta, guerre, energia, clima, crisi regionali. Scampoli di verità? Su qualche libro, nei risvolti del web, in mezzo alle smancerie dei social. Per gli ottimisti, l’umanità si starebbe risvegliando da una sorta di letargo. Non che manchino segnali di consapevolezza, ma sono sovrastati dal fragore del mainstream. Oggi finalmente si ascoltano relazioni acutissime da economisti onesti, che però non saranno mai ospitati in prima serata, con piena facoltà di parola. Si saranno divertiti, gli arconti impalpabili, nel vedere che l’Italia della gloriosa rivoluzione gialloverde non si è nemmeno ribellata al diktat medievale di Bruxelles sul piccolo deficit invocato per il 2019. Il potere imperiale, neo-feudale, ha incassato una vittoria piena. E si è persino goduto le passeggiate di Macron e Juncker sui teleschermi della Rai, tra gli inchini dello sconcertante anti-italiano Fabio Fazio.Ha davvero paura della maggioranza, il famoso 1% contro cui naufragò la pletorica protesta di Occupy Wall Street? Di certo, scrive Franco Fracassi nel saggio “G8 Gate”, aveva una paura matta dei NoGlobal, il cui sanguinoso funerale fu organizzato a Genova nel 2001, due mesi prima della mattanza di Manhattan (3.000 morti nelle Torri Gemelle e altri 12.000 americani uccisi dal cancro, poco dopo, a causa dell’immensa nube d’amianto). A dire che le maggiori multinazionali planetarie temessero così tanto i NoGlobal è Wayne Madsen, all’epoca dirigente dell’intelligence Usa: racconta di 1500 agenti della Nsa, più 700 dell’Fbi, al lavoro per essere certi che nel capoluogo ligure tutto andasse secondo i piani, cioè malissimo. Deep State, appunto. All’occorrenza, la legge del terrore: Al-Qaeda e poi l’Isis, dalla Siria all’Europa. Di fronte a questo cos’hanno da dire, i novelli sovranisti? Come se la caverebbero, Salvini e Di Maio, al cospetto di personaggi come Rosselli, Palme e Sankara? Cosa inventerebbero, il leader della Lega e quello dei 5 Stelle, per tentare di spiegare come riesumare il socialismo liberale nell’Europa di oggi? Che figura farebbe, Di Maio, nel presentare il suo reddito di cittadinanza al gigante Olof Palme, inventore del miglior welfare europeo? E cosa racconterebbe, il mini-sceriffo Salvini, al sorriso luminoso dello stratega che sapeva di giocarsi la pelle nell’eroico tentativo di metter fine alla razzia bianca a spese del continente nero, da cui l’esodo tanto spettacolarizzato dalle opposte tifoserie odierne?Davvero è inquieto, il mitico 1%, nel dubbio che i popoli si sveglino? Ammesso che sia vero, sembra che gli ultimi a saperlo siano proprio gli abitanti dell’umanità sottostante, il 99%. Al massimo, votiamo per l’ultima protesta offerta dal supermarket della politica, una specie di discount ingombro di sottomarche low cost. Per ora ha stravinto l’impeccabile Lewis Powell: il suo Memorandum è stato applicato alla lettera. I pochi dominano sui molti, che infatti non sanno nemmeno chi fosse, quell’avvocato di Wall Street. Il pericolo, semmai, siamo abituati a riconoscerlo nel sorriso sornione di personaggi come l’anziano Kissinger, l’architetto del golpe cileno, l’uomo che minacciò di morte Aldo Moro. Che sospiro di sollievo, quando il fenomenale Obama prese il posto di Bush. Ennesima illusione, durata lo spazio di un mattino: quasi solo teatro, ancora e sempre Deep State. Da dove ricominciare? Da ciascuno di noi, verrebbe da dire, nel dubbio che l’ipotetico “mostro” tema, sul serio, il risveglio dei dormienti. Primo passo, scovare idee che possano camminare. E poi raccontarle, in modo semplice: il Memorandum Powell, che ha cambiato la faccia della Terra, era lungo appena 11 paginette. Parlava chiaro anche Rosselli, così come Palme e Sankara: nessuno deve restare indietro, mai. L’italiano, lo svedese, il burkinabè: veri e propri monumenti, postumi, all’umanità che non si volle far nascere. Li si potrà riascoltare a Milano il 3 maggio, a patto però di non dimenticarli più. Morirono, tutti e tre, perché il 99% non era al loro fianco. E non è un testamento, quello che ci hanno lasciato: è un programma politico, e sembra scritto oggi.(Giorgio Cattaneo, “Una rivoluzione della verità: nel nome di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 aprile 2019. Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli e Thomas Sankara, contro la crisi globale della democrazia”, in programma il 3 maggio 2019 a Milano, Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23, dalle ore 10 alle 17.30, sarà trasmesso in diretta da Radio Radicale).Puoi avere tutte le ragioni del mondo; ma a che serve, se nessuno ti ascolta? Quanti sapevano chi fosse, Carlo Rosselli, quando fu assassinato? Mezzo secolo dopo, al grande pubblico italiano del 1986, diceva qualcosa di particolare il nome del leader svedese Olof Palme? Ma certo: un elegante signore del Nord Europa, barbaramente ucciso da qualche folle terrorista, più o meno come quelli che avevano appena finito di mettere a ferro e fuoco l’Italia. E alzi la mano chi ricorda come la nostra stampa nazionale diede la notizia dell’omicidio dell’allora più che oscuro Thomas Sankara. Era il giovane leader di un paese africano che, per moltissimi europei, poteva ancora chiamarsi Alto Volta: all’epoca, Nelson Mandela stava ancora a spaccare pietre a Robben Island, e l’espressione “Burkina Faso” non era ancora entrata nell’ordinario lessico geografico dell’uomo bianco. Ci vollero anni – Internet, YouTube – per trasformare Sankara in una specie di star della politica: è l’ex ragazzo in camicia verde che, al vertice panafricano di Addis Abeba, svela la schiavitù del debito e propone all’Occidente di smettere di “aiutare” l’Africa.
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A Milano tutta la verità sulla scomparsa di Federico Caffè
Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.Cosa c’era in ballo? Il nuovo assetto del mondo: l’imminente crollo dell’Urss e l’avvento della “dittatura” tecnocratica di Bruxelles, fondata sull’austerity. Fino al dilagare del neoliberismo globalizzato, dominato dalla finanza predatoria. Nel saggio “Il più grande crimine”, Paolo Barnard indica una data precisa per l’inizio della grande restaurazione, da parte dell’élite antidemocratica: il 1971, anno in cui a Wall Street l’avvocato d’affari Lewis Powell fu incaricato dalla Camera di Commercio Usa di redigere il famigerato Memorandum per la riconquista del potere da parte dell’oligarchia, costretta sulla difensiva per decenni in tutto l’Occidente grazie alla storica avanzata del progressismo liberale, socialista e sindacale. Era il segnale della “fine della ricreazione”: da allora, sempre meno diritti – per tutti. Ci vollero anni, naturalmente, per passare ai fatti. E’ del 1975 il manifesto “La crisi della democrazia”, commissionato dalla Trilaterale a Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki. La tesi: troppa democrazia fa male. Parola d’ordine: togliere agli Stati il potere di spesa, necessario per alimentare il welfare e quindi il benessere diffuso.Cinque anni dopo esplosero Ronald Reagan negli Stati Uniti e Margaret Thatcher nel Regno Unito. Cattivi maestri: l’austriaco Friedrich von Hayek e l’americano Milton Friedman, economista della Scuola di Chicago. Stesso dogma: tagliare il debito pubblico, rinunciare al deficit. Pareggio di bilancio: meno soldi al popolo, all’economia reale. Un incubo, culminato con i recentissimi orrori del rigore europeo, capace di martirizzare la Grecia lasciando gli ospedali senza medicine per i bambini. Come si è potuti arrivare a tanto? In molti modi, e attraverso infiniti passaggi. Il primo dei quali è tristemente noto: la demolizione di John Maynard Keynes, il più eminente economista del ‘900. Se il lascito di Marx aveva forgiato la coscienza sociale degli operai, sfruttati dal capitalismo selvaggio, l’inglese Keynes escogitò un sistema perfetto per rimettere in equilibrio capitale e lavoro, attraverso la leva finanziaria strategica dello Stato. Ereditando un’America messa in ginocchio dalla Grande Depressione del 1929, Roosevelt con il New Deal fece esattamente il contrario di quanto gli aveva consigliato la destra economica: anziché tagliare la spesa per “risanare” i conti pubblici, mise mano a un deficit illimitato per creare lavoro.L’altra mossa, decisiva, fu il Glass-Steagall Act: netta separazione tra banche d’affari e credito ordinario, per evitare che i risparmi di famiglie e imprese finissero ancora una volta nella roulette della Borsa. Un atto eroico, la guerra contro la finanza speculativa, rinnegato – a distanza di mezzo secolo – dal “progressista” Bill Clinton, subito dopo il famoso sexgate che l’aveva travolto, l’affare Monica Lewinsky. Nel frattempo, in Europa, era stato Tony Blair a rottamare il socialismo liberaldemocratico dei laburisti, inaugurando – con Clinton – la sciagurata “terza via” che avrebbe condotto l’ex sinistra a smarrire se stessa. Desolante il caso italiano: passando per Romano Prodi, lo smantellatore dell’Iri, si va dal Massimo D’Alema che nel 1999 si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni, per arrivare all’infimo Bersani, capace nel 2011 si sottomettere il Pd al governo Monti, sottoscrivendo i tagli senza anestesia, il Fiscal Compact, la legge Fornero sulle pensioni e il pareggio di bilancio in Costituzione.Una pesca miracolosa, quella condotta dall’élite tra le fila dell’ex sinistra: a partire dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia con la regia di Ciampi, la vera “notte della Repubblica” (attacco ai diritti del lavoro, flessibilità e precarizzazione) è stata condotta con la complicità di personaggi come Visco, Bassanini, Padoa Schioppa, Amato, lo stesso Ciampi e altri baroni della nuova tecnocrazia “incoronata” da Mani Pulite, al servizio delle potenze straniere intenzionate a saccheggiare il Belpaese grazie alla “cura” finto-europeista. Lo spiegò lo stesso Galloni in una memorabile intervista a “ByoBlu”: la deindustrializzazione dell’Italia fu pretesa della Germania come compensazione, in cambio della rinuncia al marco. Era stata la Francia di Mitterrand a imporre l’euro ai tedeschi, pena il veto francese alla riunificazione delle due Germanie. Cominciava una festa, per molta parte d’Europa, caduta la Cortina di Ferro grazie a Gorbaciov. Per l’Italia, invece, il sogno si sarebbe trasformato in un incubo. Supremo regista della grande illusione, Mario Draghi: a bordo del Britannia di mise a disposizione dei poteri che progettavano la svendita del paese, venendo poi premiato prima come governatore di Bankitalia e poi come presidente della Bce.Oggi, grazie a tutto questo, è diventato “normale” che un governo italiano non riesca a ottenere un deficit del 2,4% (irrisorio), ed è “fisiologico” che il fantasma dell’ex sinistra – il Pd – trovi giusto che siano i commissari Ue, non eletti da nessuno, a poter calpestare un esecutivo regolarmente eletto. Peggio: è stato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a spiegare – bocciando la nomina di Paolo Savona come ministro dell’economia – che sono i mercati, e non gli elettori, ad avere l’ultima parola. Contro questa palude si muove il laboratorio politico rappresentato dal Movimento Roosevelt. Obiettivo: ribaltare il tavolo delle convenzioni dogmatiche degli ultimi trent’anni, risvegliando la politica dormiente fino a portarla a riscrivere le regole. La prima: Europa o meno, il popolo deve tornare sovrano. Tradotto: le elezioni devono poter decidere chi governerà davvero, e come. E a dire di no a un governo eletto potrà essere solo, domani, un governo federale europeo a sua volta emanato democraticamente dall’Europarlamento, sulla base di una Costituzione democratica che oggi l’Ue non sa neppure cosa sia. Chi l’ha detto che il deficit non può superare il 3% del Pil? Il Trattato di Maastricht va gettato nella spazzatura, ecco il punto. Bel problema: da dove cominciare?La prima cosa da fare è dire finalmente la verità: lo sostiene Magaldi, che il Movimento Roosevelt l’ha creato. Rivelazioni e denunce continue, da parte sua. Mattarella? Un paramassone che obbedisce al massone Visco di Bankitalia, a sua volta un burattino del massone Draghi. Di Maio che omaggia la Merkel, dopo aver ceduto sul deficit gialloverde? Brutto segno: tenta di accreditarsi presso le superlogge come la Golden Eurasia, quella della Cancelliera, sperando così di sopravvivere al prevedibile declino dei 5 Stelle. Grande occasione perduta, il governo del non-cambiamento, di fatto prono ai diktat della Disunione Europea che sta mandando in malora l’economia del continente. Fenomeno vistoso: si sta impoverendo la classe media alla velocità della luce, come dimostrano i Gilet Gialli in Francia, dove qualcuno – dice sempre Magaldi – ha pensato bene di dare alle fiamme persino un simbolo nazionale come Notre-Dame. Sono sempre loro, i registi occulti della strategia della tensione europea: hanno seminato il terrore nelle piazze per spianare la strada all’austerity dei governi.Rosselli, Palme e Sankara: ecco, da dove ripartire. Socialismo liberale: il grande premier svedese voleva “tagliare le unghie al capitalismo”. Stava per essere eletto segretario generale dell’Onu: poltrona da cui avrebbe vegliato anche sull’Europa, impedendo che si arrivasse a questo aborto di Unione Europea. Certo, c’è dell’altro: qualcuno nel frattempo avrebbe fatto entrare la Cina nel Wto senza pretendere nessuna garanzia, da Pechino, sui diritti dei lavoratori. Risultato: concorrenza sleale sui prezzi delle merci e grande crisi della manifattura occidentale. E qualcun altro, l’11 settembre del 2001, avrebbe fatto saltare in aria le Torri Gemelle a New York. Obiettivo: poter invadere l’Iraq e l’Afghanistan, fabbricando il fantasma del terrorismo jihadista (Al-Qaeda, Isis) con cui ricattare il mondo. Bagni di sangue (Libia, Siria) o rivoluzioni colorate (Georgia, Ucraina), o magari primavere arabe (Tunisia, Egitto): il risultato non cambia, si punta sempre sul caos. Così l’Italia si scanna sui migranti e il Pd attacca Salvini anziché Macron. E nessuno guarda al di là del mare.Lo fa Ilaria Bifarini, anche lei attesa al convegno di Milano con il suo saggio “I coloni dell’austerity”, ovvero “Africa, neoliberismo e migrazioni di massa”. Negli anni ‘80, quando Olof Palme faceva della Svezia il paradiso europeo del welfare, l’africano Thomas Sankara trasformava l’Alto Volta coloniale nel coraggiosissimo Burkina Faso, il “paese degli uomini liberi”, con una promessa: nessuno, qui, morirà più di fame. Lo disse ad alta voce, nel 1987, davanti ai leader africani: chiediamo all’Occidente di cancellare il debito dell’Africa. Tre mesi dopo fu ucciso, su mandato francese. In Africa, il giovane Sankara godeva di un prestigio immenso, pari a quello di Palme in Europa. Con loro ancora al potere, non avremmo visto né questa Ue né i barconi dei migranti. Il premier svedese era stato freddato un anno prima, da un killer rimasto sconosciuto. Non così i mandanti: “La palma svedese sta per cadere”, telegrafò alla vigilia dell’omicidio Licio Gelli, il capo della P2, avvertendo il parlamentare statunitense Philip Guarino. Lo scrive, nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, lo stesso Gianfranco Carpeoro, altro esponente “rooseveltiano” impegnato nell’assise milanese, da cui ora si attendono precise rivelazioni sulle connessioni tra i delitti Palme e Sankara e la scomparsa di Caffè. Erano uomini da eliminare: troppo ingombranti, per chi voleva instaurare – in Europa e nel mondo – il regno del caos e dei profitti stellari, al prezzo dell’impoverimento generale.Tutto questo, purtroppo, è molto massonico. Lo sostiene Gioele Magaldi, che nel suo saggio spiega che nel 1980 tutte le superlogge – anche quelle progressiste – aderirono al patto “United Freemasons for Globalization”. Una tregua armata, dopo che negli anni Sessanta erano stati uccisi Bob Kennedy e Martin Luther King: un ticket fantastico, che le Ur-Lodges democratiche avrebbero voluto alla Casa Bianca, come presidente e vice. E’ come se la stessa mano provvedesse a uccidere gli avversari che non si possono corrompere né intimidire. Per inciso, aggiunge Magaldi, erano massoni anche Palme e Sankara, così come Gandhi, Mandela e lo stesso Yitzhak Rabin, assassinato da manovalanza estremista. Quanto al convegno di Milano, chiosa Magaldi, non si tratta di limitarsi a celebrare la memoria di giganti come Rosselli e Palme, Sankara e Caffè: l’intenzione è quella di creare una nuova agenda politica, in base alla quale nessuno possa più fingere di essere progressista mentre soggiace alla post-democrazia Ue. Una sfida a viso aperto: c’è da fare una rivoluzione culturale. Il pareggio di bilancio? E’ un crimine politico contro il popolo. Sarebbe ben lieto di spiegarlo autorevolmente lo stesso Caffè, se fosse ancora qui, in questa Italia le cui televisioni spacciano per verità le frottole quotidiane di personaggi come Elsa Fornero e Carlo Cottarelli, mestieranti nostrani del peggior neoliberismo.(Il convegno “Nel segno di Olof Palme, Carlo Rosselli, Thomas Sankara e contro la crisi globale della democrazia” è promosso dal Movimento Roosevelt venerdì 3 maggio 2019 a Milano, col patrocinio del Comune, presso la sala conferenze del Museo del Risorgimento a Palazzo Moriggia, via Borgonuovo 23 (zona Brera), dalle ore 10 alle 17.30. Interverranno Angelo Turco, Gioele Magaldi e l’ambasciatore italiano in Svezia Marco Cospito, insieme a Felice Besostri, Nino Galloni, Paolo Becchi, Gianfranco Carpeoro, Otto Bitjoka, Marco Moiso, Sergio Magaldi, Egidio Rangone, Danilo Broggi, Pierluigi Winkler, Giovanni Smaldone, Michele Petrocelli, Aldo Storti, Marco Perduca e Lorenzo Pernetti. Nel corso dell’evento, introdotto da brevi rappresentazioni teatrali su Sankara e Rosselli offerte da Ricky Dujany e Diego Coscia, verrà presentato il bestseller di Ilaria Bifarini “I coloni dell’austerity”, mentre Carlo Toto e Paolo Mosca anticiperanno il trailer del docu-film “M: il Back-Office del Potere”. Tra i dirigenti del Movimento Roosevelt interverranno anche Daniele Cavaleiro, Roberto Alice, Fiorella Rustici, Zvetan Lilov, Alberto Allas, Roberto Luongo, Roberto Hechich, Massimo Della Siega e Roberto Peron. Per informazioni: segreteria generale e presidenza del MR. Coordinamento ufficio stampa e relazioni esterne: Monica Soldano, 348.2879901).Nella notte fra il 14 e il 15 aprile del 1987 lasciò la sua casa di Roma, dove viveva con il fratello. Non fu mai ritrovato: la scomparsa di Federico Caffè rimane tuttora un mistero irrisolto. Non per tutti, però: «La sua sparizione è strettamente connessa con due omicidi eccellenti, quello di Olof Palme e quello di Thomas Sankara». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” che illumina insospettabili retroscena sulla massoneria di potere che ha imposto l’attuale globalizzazione. Clamorose rivelazioni in vista, a quanto pare, nell’ambito del convegno promosso a Milano il 3 maggio dal Movimento Roosevelt. Del professor Caffè – vero e proprio cervello dell’economia keynesiana nel dopoguerra – parlerà anche un suo illustre allievo, l’economista Nino Galloni, svelando ulteriori dettagli inediti sul giallo della sua scomparsa. Tema dell’assise: presentare pubblicamente il Movimento Roosevelt come laboratorio politico nato per uscire dal tunnel del neoliberismo e riconquistare la perduta sovranità democratica. La ricetta? Il socialismo liberale di Carlo Rosselli, marginalizzato già durante il fascismo dagli stessi socialisti. Due eredi di questa dottrina – lo svedese Palme e l’africano Sankara – furono assassinati nel giro di pochi mesi, a cavallo della sparizione di Caffè.