Archivio del Tag ‘economia’
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Il contagio: dalla crisi una rivolta che cambierà il mondo
Dagli indignados di Madrid e Barcellona alle “primavere” di piazza Tahrir al Cairo e della kasbah di Tunisi fino al movimento che in Italia ha portato alla vittoria dei Sì ai referendum di giugno. C’è un filo rosso che collega l’ondata di proteste che ha coinvolto le giovani generazioni delle due sponde del Mediterraneo: un rinnovato impegno civile e la critica radicale alle leadership, democratiche e non, al potere in quei paesi. Ne è convinta Loretta Napoleoni, saggista, docente ed esperta di economia, che in questi giorni torna in libreria con “Il Contagio. Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre economie”. Secondo la scrittrice, la miccia che ha acceso le recenti sollevazioni popolari è proprio la crisi.
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Guerra civile europea: dalla cura Bce aspettiamoci il peggio
«L’operaio tedesco non vuol pagare il conto del pescatore greco», dicono i pasdaran dell’integralismo economicista. Mettendo lavoratori contro lavoratori, la classe dirigente finanziaria ha portato l’Europa sull’orlo della guerra civile. Le dimissioni di Stark segnano un punto di svolta: un alto funzionario dello Stato tedesco alimenta l’idea (falsa) che i laboriosi nordici stiano sostenendo i pigri mediterranei, mentre la verità è che le banche hanno favorito l’indebitamento per sostenere le esportazioni tedesche. Per spostare risorse e reddito dalla società verso le casse del grande capitale, gli ideologi neoliberisti hanno ripetuto un milione di volte una serie di panzane, che grazie al bombardamento mediatico e alla subalternità culturale della sinistra sono diventati luoghi comuni, ovvietà indiscutibili, anche se sono pure e semplici contraffazioni.
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Barnard: prima dell’Euro, il debito era la nostra ricchezza
La cosa migliore che uno Stato a moneta sovrana può fare per i propri cittadini è di spendere a deficit, cioè creare debito pubblico. Abbiamo già visto, e qui ne riparliamo, come la spesa a deficit produca ricchezza fra i cittadini, e come non sia affatto vero che il debito dello Stato a moneta sovrana sia anche il debito dei cittadini: questa è una menzogna. Nel capitolo “Il più grande crimine” dimostrerò che la sopraccitata menzogna fu creata ad arte dalle élites finanziarie per distruggere gli Stati, con essi noi persone e le democrazie partecipative. Ma ora parliamo di questo debito. Innanzi tutto cosa significa. Uno Stato può avere diversi debiti, a seconda del settore economico che si prende in analisi. Ma i principali sono il Debito Pubblico, il Deficit di bilancio e il Debito Estero.
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Unica via d’uscita: bancarotta controllata e addio Euro
Pagheremo perché dobbiamo pagare, però che questo pagamento non sia un pagamento che finisce nel tasche delle banche internazionali: che sia invece un pagamento che finisce nelle tasche degli italiani, che dà la possibilità all’economia italiana di riprendersi. Perché così, altrimenti, noi nel giro di 6 mesi, 9 mesi, un anno, sicuramente andremo in bancarotta. E da allora sarà ancora più difficile riprenderci. La manovra di Tremonti in realtà serve a ben poco. Prima di tutto perché è troppo piccola, 45 miliardi di euro non bastano sicuramente a rassicurare i mercati nei confronti di un debito complessivo italiano di 1.800 miliardi di euro. Il che vuole dire che il debito pubblico dell’Italia è maggiore della somma del debito di tutti gli altri paesi Pigs, quindi parliamo del Portogallo, Grecia, Irlanda e Spagna.
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La Bce finge di aiutarci: rifiutiamoci di pagare il debito
Diritto alla bancarotta, perché la moneta è un bene comune: solo il diritto all’insolvenza degli Stati potrebbe smontare il potere finanziario, che non è affatto neutrale ma è costituito da un super-cartello di 10 istituti di credito che da soli detengono l’87% del debito italiano e, con la complicità della Bce, sono interessati a protrarre all’infinito l’attuale situazione di difficoltà, purché innaffiata con miliardi di euro estorti alle famiglie attraverso manovre come quella di Tremonti. Vie d’uscita? Un’altra Europa, politicamente unita e democratica, dotata di una politica fiscale unitaria. Solo così si potrebbe contrastare lo strapotere della finanza mondiale, che vive di speculazione ed è grande otto volte l’economia reale, ormai paralizzata dai signori della crisi.
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Noi, sudditi del debito: i “sacrifici” salvano solo la finanza
Una nauseabonda cacofonia condotta al massimo livello di decibel sta investendo da oltre due mesi il paese. Tutti accettano in pieno che è tempo di «duri sacrifici» per pagare i detentori del debito pubblico nazionale, prevalentemente banche ed affini. Lo “scontro” é solo sulla ripartizione dei sacrifici. Non si ragiona sul fatto che le economie europee hanno ampie capacità produttive eccedentarie. I redditi della stragrande maggioranza dei cittadini europei non sono però a un livello sufficiente ad attivare l’utilizzo normale delle industrie e dei servizi al consumo. Queste imprese investono poco e, se lo fanno, l’investimento é abbinato a piani di ristrutturazione e delocalizzazione. A loro volta le industrie di beni strumentali non ricevono – dalle aziende di beni di consumo – nuovi impulsi a produrre per via dell’eccesso di capacità.
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Airaudo: assediamo le piazze, vogliono rubarci il futuro
«Indignarsi non basta ma cominciamo a farlo». Parola di Giorgio Airaudo, che annuncia l’avvio della “campagna d’autunno” firmata Fiom per valorizzare il protagonismo degli “indignados” italiani: l’attivismo del “popolo dei referendum” sui beni comuni, cresciuto abche durante l’estate tra mille dibattiti, «può e deve farsi pratica sociale e soggettività politica, supplire alla fragilità dell’opposizione, ridare linfa all’esausta nostra democrazia». Obiettivo, fermare la manovra “lacrime e sangue”: che è «inutile, ingiusta e vendicativa» perché non contempla investimenti per rilanciare l’economia, fa pagare il conto della crisi soltanto ai soliti noti e inoltre prende di mira i giovani, negando loro una speranza di futuro.
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Via da quest’Europa di banchieri falliti che ci hanno rovinato
I banchieri, insieme ai loro più fedeli complici, i politici e i giornalisti, non vogliono piegarsi davanti alla realtà. La realtà grida ormai da molto tempo che la globalizzazione della vita economica, dei mercati, delle finanze, delle scelte politiche (per non parlare della globalizzazione dei popoli e delle culture) è sbagliata. Tanto sbagliata che, laddove è stata assunta nella forma più assoluta, come in Europa, ha già portato a gravissime crisi. Quando l’idea (o l’ideologia) resiste di fronte ai fatti che la smentiscono e alla ragione che ne dimostra gli errori, questa resistenza si chiama nei termini tecnici psichiatrici “delirio”.
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Sartori: ma quale crescita, il nostro sistema sta crollando
Tutti gli economisti, o quasi tutti, sostengono che la salvezza sta nella “crescita”. Perché il mondo occidentale non cresce più (in nessun senso della parola). La sola crescita globale è stata, da un secolo a questa parte, quella della popolazione. Oggi siamo 7 miliardi, forse arriveremo a 9 o anche a 10. E di tanto cresce la popolazione, di altrettanto (se non più) crescono i problemi che la crescita economica dovrebbe risolvere. Problemi che oramai sono di “grande depressione”. E problemi che le ricette degli economisti non sembrano in grado di risolvere. Forse perché sono ricette che ci hanno fatto sbagliare previsioni e terapie da almeno mezzo secolo a questa parte. Perché da mezzo secolo a questa parte gli economisti ci hanno incoraggiato a spendere più di quanto guadagniamo, creando così un progresso economico fondato sul debito.
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E se a riscrivere la Finanziaria fosse la valle di Susa?
Ho appena letto il messaggio di Claudio Giorno a proposito della battaglia che in India sta mobilitando decine di migliaia di persone contro la corruzione diffusa in tutte le pubbliche istituzioni e nei partiti politici di quel paese. Anche io tendo ad osservare attentamente gli eventi internazionali degli ultimi mesi e a considerarli come sintomi di un malcontento ormai mondiale contro questo modello economico (finanz-capitalista e ultramonopolista) globalizzato che sta distruggendo le basi stesse della convivenza civile, della democrazia e addirittura del capitalismo e che i partiti politici (tutti, per lo meno in Italia) si sono rivelati incapaci di governare e regolamentare.
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Privatizzare la Libia, ecco il piano Usa affidato a Jibril
A governare la Libia del post-Gheddafi sarà Mahmoud Jibril, il distinto signore nuovamente ricevuto a Parigi da Sarkozy, dopo una tappa in Italia per incontrare Berlusconi. Questo anonimo tecnocrate sessantenne, finora sconosciuto alle cronache, è stato per anni l’uomo-chiave di Washington e Londra all’interno del regime del Colonnello, scrive “PeaceReporter” mentre le forze Nato e i “ribelli” espugnano l’ultimo bunker del “raiss” nella capitale. In qualità di direttore del Nedb, l’Ufficio nazionale per lo sviluppo economico di Tripoli, Jibril lavorava per facilitare la penetrazione economica e politica angloamericana in Libia promuovendo un radicale processo di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia nazionale.
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Macché debito: usciamo dall’euro e dal dogma tedesco
«Rimuoviamo l’euro, e l’Italia avrà meno bisogno dei mercati, mentre i mercati continueranno ad avere bisogno dei 60 milioni di consumatori italiani». Lo afferma l’economista Alberto Bagnai, secondo il quale l’uscita dalla moneta unica europea è l’unica soluzione per superare la crisi del debito addossata allo Stato, che non può più utilizzare la leva della svalutazione. A guadagnarci è solo Berlino: «La domanda dei paesi europei, drogata dal cambio fisso, sostiene la crescita tedesca: e la Germania non rinuncerà a un’asimmetria sulla quale si sta ingrassando». Se il cambio è fisso, il peso dell’aggiustamento si scarica sui prezzi, che possono diminuire solo tagliando i salari e spremendo i lavoratori: «Precarietà e riduzioni dei salari sono dietro l’angolo, la sinistra che vuole l’euro ma non vuole Marchionne mi fa un po’ pena», dice Bagnai.