Archivio del Tag ‘economia’
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Pareggio di bilancio, l’illusorio rigore degli euro-tecnocrati
Il governo di Mario Monti ha presentato ieri la nota aggiornata del Documento di economia e finanza, Def, nel quale ha confermato l’obiettivo del pareggio di bilancio del 2013. L’equilibrio dei conti pubblici però è da considerarsi come strutturale, ovvero al netto del ciclo economico, la nuova modalità di valutazione introdotta dal Fiscal Compact. L’esecutivo dei tecnici vuole così rispettare il trattato dei bilanci europei, che però sul punto della correzione per il ciclo non è per nulla chiaro, come nota l’analisi di Dino Pesole su “Il Sole 24 Ore” di oggi. Ecco perché l’obiettivo confermato dal governo Monti rischia di essere più illusorio che realistico, sopratutto per l’aggravamento della recessione evidenziato ieri dal peggioramento degli indici economici nel settore manifatturiero e nei servizi in tutta l’eurozona, Germania a parte.
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Formenti: persino Nixon era più socialista di Obama
Il presidente degli Stati Uniti che ha varato più provvedimenti per estendere il welfare nell’ultimo mezzo secolo? Carter? Clinton? Obama? Assolutamente no, il primato spetta a Richard Nixon. Impossibile, vi direte, il campione dell’anti-comunismo, l’uomo che la sinistra americana denunciò come una seria minaccia per la democrazia e che alimentò il timore di un ritorno agli anni più bui del maccartismo!? Eppure è così. Lo argomenta con ampiezza di dati storici un articolo del “New York Times” che cita, in particolare, l’aumento dei benefit per la Sicurezza Sociale, l’introduzione di una tassazione minima per i ricchi e di un reddito minimo garantito per i poveri. Se Obama, già accusato di socialismo per i timidi tentativi di riforma del sistema sanitario, avesse fatto mosse del genere, i Repubblicani avrebbero gridato al colpo di stato sovietico.
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Addio Liberia, foresta vergine svenduta alle multinazionali
Un quarto del territorio nazionale e il 40% delle aree boschive: è ciò che la Liberia, polmone verde africano, ha ceduto a compagnie private. Il tutto solo negli ultimi due anni. A rivelare queste cifre da record è il rapporto “Signing their Lives away”. Che, inoltre, denuncia i pesanti effetti dello sfruttamento delle foreste vergini da parte delle multinazionali che se ne sono impossessate. Pronte, avverte lo studio, a sfruttarne il legname lasciando alle comunità locali «meno dell’1% del suo valore». Ma non è tutto: gran parte di queste terre sono state vendute con scappatoie legali che, permettendo di evadere le tasse, hanno creato enormi voragini nelle casse statali liberiane. Ora, però, la presidente della Repubblica e Premio Nobel per la pace Ellen Johnson Sirleaf, ha sospeso il capo dell’Autorità per lo sviluppo forestale ed avviato un’indagine indipendente.
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Draghi rianima l’euro? Certo: è per prolungarci l’agonia
Sarà che i draghi eruttano fiamme, ma la mossa del presidente della Bce di sostenere in maniera illimitata i titoli di Stato a breve dei paesi che sottopongano le proprie finanze pubbliche a un controllo europeo ricorda quel volontario della protezione civile che da un lato collabora allo spegnimento dell’incendio, mentre dall’altro attizza altri focolai. Invocato da molti come misura necessaria per calmare la situazione, l’intervento della Bce non è certo risolutivo, e per come è congeniato, al pari del volontario spegne un focolaio per attizzarne un altro. I problemi europei non derivano infatti dalla dissipatezza fiscale dei paesi periferici, ma sono conseguenza della perdita di competitività di questi paesi, del mercantilismo tedesco e dallo scoppio delle bolle immobiliari alimentate dai flussi di capitali dai paesi più forti verso alcuni periferici, tutti processi favoriti dall’euro.
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Decrescita o disastro, chi parla di crescita è un suicida
«Cercare di uscire dalla crisi stimolando la crescita è come cercare di rianimare un moribondo a bastonate, perché la crescita non è la soluzione ma la causa della crisi». Servono robusti anticorpi per difendersi dall’ideologia della crescita infinita del Pil. Un virus letale: «E’ l’illusione nefasta che il denaro sia la misura di tutte le cose». L’alternativa? «Non è fra crescita e decrescita, ma fra decrescita e disastro». Luca Salvi, esponente della finanza etica italiana, concorda con Maurizio Pallante, fondatore del Movimento per la Decrescita Felice: «Siamo immersi nella crisi fino al collo e le misure che ci vengono imposte per cercare di uscirne (tagli, tasse e sacrifici) non fanno che aggravarla. Infatti il sistema economico-finanziario fondato sulla crescita, schiacciato dai debiti pubblici, è entrato definitivamente in crisi e non si intravede via d’uscita».
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Moneta sovrana: così l’America crea posti di lavoro
Due milioni di posti di lavoro creati: è il frutto della politica monetaria americana, di cui l’Europa avrebbe bisogno. «Due milioni di assunzioni aggiuntive, dal 2009 ad oggi, fanno la differenza tra la situazione sociale dell’Eurozona e quella degli Usa», spiega Federico Rampini. «Nonostante questo, la Federal Reserve non considera di avere esaurito il suo compito». Ma come può una banca centrale “creare” lavoro, e per di più in misura così consistente? Quali sono i meccanismi con cui agisce, e perché lo fa? «L’ultima di queste tre domande racchiude una differenza costituzionale tra la Fed e la Bce», aggiunge Rampini. «La banca centrale americana ha l’obbligo di perseguire il pieno impiego, non solo di lottare contro l’inflazione». E si vede: anche dall’attenzione che il governatore Ben Bernanke dedica all’analisi della disoccupazione.
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Cremaschi: massacro sociale oscurato dal regime dei media
Che in Italia ci sia oramai un regime informativo di totalitarismo liberista è certo, anche se Grillo sbaglia a riferirsi agli anni di piombo. Il regime è prima di tutto attento ad organizzare un gigantesco depistaggio dei cittadini dalle questioni vere. In questi giorni Monti sta trattando con la Germania, le banche e la finanza le condizioni per avere gli aiuti dalla Bce. Esattamente come hanno sinora fatto tutti i governi greci che si sono succeduti in questi anni e che hanno dovuto firmare cambiali sempre più onerose, devastanti per l’economia e la società. Anche l’Italia e la Spagna, si legge tra le righe, dovranno alla fine firmare un memorandum come i greci. Ma sarà sicuramente meno duro.
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Spendere, non tagliare: pure i top-manager bocciano Monti
«Sia le multinazionali che i governi locali dovrebbero fornire fondi e consulenze per aiutare le piccole medie imprese», perché proprio le “Pmi” sono «fonte di impiego dinamico, che lungo una catena virtuosa finisce per beneficiare tutti i business». Multinazionali che aiutano le piccole imprese e Stati che – eresia – anziché tagliare spendono denaro pubblico, per sostenere il tessuto economico vitale rappresentato dai medio-piccoli? Sembra una piattaforma politica di ultra-sinistra e, per Paolo Barnard, lo è. Solo che i firmatari non sono i sindacati, ma proprio i top manager di alcune tra le massime imprese mondiali. «Forse non il top – dice Barnard – ma di sicuro la cosa di gran lunga più di sinistra sentita negli ultimi mesi, se si escludono le proposte della Modern Money Theory». Il memorandum è stato stilato nella riunione del “Business 20” di Los Cabos in Messico, estate 2012.
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Debito pubblico italiano: è la madre di tutte le menzogne
Nel 1981 la Banca d’Italia divorziò dal Tesoro e praticamente cessò di acquistare titoli di Stato. Da allora essi vennero dati in pasto, con interessi crescenti, prima al mercato interno, e poi alla speculazione finanziaria mondiale. Perché questo avvenne? Quali le conseguenze? In questi giorni la stampa tedesca ha attaccato con forza Draghi. Sulla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, Holger Steltzner lo ha accusato di voler trasferire alla Bce i metodi della Banca d’Italia. Questa sarebbe al servizio dello Stato, di cui alimenterebbe le casse. Se ora la Bce finanziasse i debiti statali acquistandone i titoli, scatenerebbe l’inflazione e aggraverebbe la crisi dell’Eurozona. Come ha fatto notare anche il “Sole 24 Ore”, le critiche di Steltzner alla Banca d’Italia sono infondate.
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Krugman: la crisi è solo una scusa per colpire i poveri
«Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione». Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, e aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione. Allora come mai la Gran Bretagna sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi?
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De Michelis e Pomicino: c’era la Cia dietro Mani Pulite
«La Cia coprì l’apertura del Conto Protezione per il finanziamento illecito al Psi. Sapeva tutto. Il giorno dopo il disfacimento dell’impero comunista, la Cia ha preso e se n’è andata lasciandoci con il cerino in mano. Se ne andò perché l’Italia non aveva più un ruolo geopolitico e non c’era più da garantire l’equilibrio di Yalta. Da noi prevalse l’Fbi, interessata ad evitare che la mafia prendesse troppa forza». L’ex ministro craxiano Gianni De Michelis non ha dubbi, e cita un’intervista al console americano Peter Semler: «Dice che Di Pietro lo avvertì nel ’91 che presto il Psi e la Dc sarebbero stati spazzati via». Dichiarazioni consonanti con quelle di un altro ex ministro socialista, Rino Formica: sotto il ciclone Tangentopoli, gli Usa puntarono tutto su leader “zoppi” e quindi condizionabili: D’Alema e Fini, con alle spalle legami con un passato totalitario, e Berlusconi, imprenditore dai trascorsi controversi.
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Formica: l’America ci azzoppò con Silvio, Fini e D’Alema
Siamo nel 1992 e sulla scongelata frontiera Est-Ovest si moltiplicavano i punti di fuoco, l’impero russo si stava decomponendo, il dopo-Tito era un’incognita e le mafie dell’Est rischiavano di saldarsi a quella siciliana. L’Italia traballa, mette a rischio equilibri strategici e a quel punto Clinton decide di mandare da noi, non il solito Paperone che ha finanziato la campagna elettorale del Presidente, ma un grande ambasciatore di carriera, uno che ha già trattato con colonnelli e terroristi, capace di salvaguardare gli interessi strategici americani. Bartholomew capisce che l’Italia è sull’orlo della guerra civile, che democristiani e socialisti sono inutilizzabili e punta su Berlusconi, D’Alema e Fini, leader dal passato “ingombrante”.