Archivio del Tag ‘economia’
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Tagli, l’eredità di Monti: massacro sociale da qui all’eternità
L’Italia è praticamente spacciata: inseguendo il pareggio di bilancio prescritto dal Fiscal Compact voluto da Bruxelles, non uscirà dal tunnel recessione. Anche se cresce il prelievo fiscale, che opprime aziende e famiglie, il gettito diminuisce perché le manovre da “economia di guerra” per tagliare il debito pubblico non fanno che deprimere i consumi, senza creare nessuno spiraglio per risalire la china. Note di allarme anche dagli analisi della Cgil: con l’ultima operazione, Monti consegna ai successori un pacchetto di misure laceranti, considerato che soltanto per la spending review andranno trovati altri 18 miliardi da tagliare. E non è che un antipasto, scrive Francesco Piccioni sul “Manifesto”. L’effetto totale delle sei “svolte” imposte dai tecnocrati supera ormai i 120 miliardi, circa l’8% del Pil, con tanti saluti all’agognata “crescita”: se oggi il prodotto interno lordo è a quota -2,4%, per l’Fmi nel 2013 l’Italia supererà la soglia del -3%.
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Boff: capitalismo terrorista, e la Chiesa ne è complice
Ci sono due gruppi di minacce davanti a noi. Una viene dalla macchina di morte che è la nostra cultura militarista che ha creato un tale numero di armi nucleari, chimiche e biologiche, che possono distruggere ogni forma di vita sul pianeta. Queste armi sono molto deleterie: sono in sicurezza, ma non in assoluta sicurezza. Lo abbiamo visto a Chernobyl e Fukushima. Inoltre abbiamo le nanotecnologie. La guerra cibernetica può essere ad elevata distruzione. Si tratta di una guerra non dichiarata, di violenza estrema e che punisce gli innocenti. Il secondo gruppo di minacce deriva da quello che il nostro sviluppo industriale ha fatto negli ultimi 300, 400 anni, con la sistematica aggressione alla Terra, ai suoi beni, le sue risorse. Siamo arrivati al punto di avere destabilizzato totalmente il sistema Terra, e l’evidenza di questo è il riscaldamento globale. Per ricostruire quello che prendiamo alla Terra in un anno, essa abbisogna di un anno e mezzo. Quindi la Terra è già sterminata.
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L’Italia sta per fallire: ogni giorno chiudono 35 imprese
Le piccole e medie imprese sono vicine al collasso. E’ una questione di mesi. Il tessuto produttivo del Paese si sta sfaldando. Le banche, impegnate a comprare titoli di Stato sul mercato internazionale e di nuova emissione, non concedono più crediti alle aziende. I prestiti sono in continua contrazione. Il governo non paga i debiti della pubblica amministrazione di 80 miliardi che Rigor Montis ha rinviato al prossimo esecutivo, dopo le elezioni del 2013. Nel frattempo le imprese sono strangolate dalle tasse più alte dell’area Ue e dagli interessi di Equitalia quando non riescono a far fronte ai pagamenti. Ogni giorno falliscono 35 imprese. Nel 2011 sono state 11.600, il peggiore dato dall’inizio della crisi. La previsione per il 2012 è di 13.000 nuovi fallimenti, più di mille al mese. Questa è la vera emergenza nazionale. Tutto il resto, anche il paradiso, può attendere.
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Tringali: a chi conviene l’euro, la nostra grande rovina
Debito pubblico, Berlusconi e la casta, la corruzione, la mafia? Aggravanti, ma non certo la causa della crisi, nonostante le chiacchiere di chi ripete che non saremmo “capaci di stare al pari con gli altri paesi dell’Europa migliori di noi”. Ormai, sostiene Fabrizio Tringali, anche l’opinione pubblica l’ha capito: l’origine della crisi, italiana ed europea, sta tutta nell’adozione della moneta unica, l’euro, che «ha unito economie molto diverse tra di loro». Così quelle più forti, Germania in primis, hanno finito per schiacciare quelle più deboli. Verità palese, ancorché negata, anche se «le criticità dell’unione monetaria europea erano assolutamente note già trent’anni fa». Nessun mistero: se la crisi finanziaria americana esplosa nel 2007-2008 era stata ben poco prevista, quella dell’euro era invece chiaramente segnalata sui radar degli economisti. In Italia, già durante il regno di Giulio Andreotti.
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Monti affonda l’Italia ma vuole lo scalpo dei lavoratori
Il confronto sulla produttività tra governo e parti sociali, che entra nel vivo in questi giorni, è un imbroglio a partire dal suo nome. Non molto tempo fa il Cnel ha annunciato una ricerca che proprio per i suoi risultati sorprendenti è stata subito rimossa. Sulla base di essa, il decennio più produttivo degli ultimi quarant’anni è stato quello tra il 1970 e il 79. Sì, proprio il decennio delle conquiste sindacali, sociali, civili, della scala mobile, del posto fisso, degli orari e dei contratti rigidi, dello stato sociale e della grande industria pubblica. Proprio quel decennio ha visto il nostro paese raggiungere il tasso di produttività più alto di tutto l’Occidente industriale. Da allora quel tasso è progressivamente diminuito, con un andamento parallelo alla regressione delle condizioni del mondo del lavoro. Fino agli anni Duemila, che con l’euro e le privatizzazioni hanno visto un vero e proprio tracollo sia del salario sia della produttività.
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Il Cnel: Italia in declino a partire dall’avvento dell’euro
Negli anni Settanta, l’Italia era al primo posto per crescita della produttività nell’industria rispetto ai principali Paesi nostri concorrenti nel mondo, mentre negli anni Duemila siamo in coda alla classifica. Lo afferma l’ultimo rapporto sul mercato del lavoro curato dal giuslavorista Carlo Dell’Aringa per il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro presieduto da Antonio Marzano. Nel decennio 1970-1979, in Italia il valore aggiunto nel settore manifatturiero era cresciuto in media del 6,5% l’anno. Meglio del Giappone e dell’Olanda, appena sopra il 5%, e molto meglio di Francia e Germania, ferme al 4%. Per non parlare degli Usa, attestati al 2,7% prima di riconquistare la leaderiship mondiale negli anni Novanta, grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche e informatiche. Ma è nel primo decennio del Duemila, cioè dopo l’introduzione dell’euro, che la produttività nel nostro Paese precipita a un misero 0,4% in media d’anno, contro l’1,8% della Germania, il 2,5% della Francia, il 2,8% dell’Olanda, il 3% del Regno Unito. E meglio di noi ha fatto anche la Spagna (1,5%).
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Banche a rischio: così Draghi può ridurre l’Italia in schiavitù
A esclusivo vantaggio delle élite dei maxi-speculatori finanziari, la Bce di Draghi può obbligare Monti a sottoporre l’Italia alle nuove schiavitù create con i “salvataggi” dei fondi salva-Stati, «semplicemente chiudendo i rubinetti alle banche italiane a piacimento da un giorno all’altro». Questo, sostiene Paolo Barnard, «causerebbe il collasso del sistema economico privato italiano, la bancarotta del Paese e la nostra fine all’inferno. E la Bce lo farà, l’ha già fatto». Un meccanismo micidiale, avverte il giornalista-attivista, promotore italiano della Modern Money Theory contro la “dittatura” dell’euro, moneta “privata” che impoverisce gli Stati dell’Eurozona aggravando la crisi e garantendo profitti favolosi ai dominus della finanza franco-tedesca, protagonisti di un disegno egemonico neo-feudale che punta a svuotare gli Stati della loro sovranità democratica, tagliando diritti che si pensavano acquisiti per sempre.
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Armi di distruzione di massa, l’oscuro business italiano
Mezzo milione di morti all’anno, una vittima al minuto. E’ il record delle armi “civili”, pistole e fucili, di cui l’Italia è leader. Sono queste le vere “armi di distruzione di massa”, secondo Kofi Annan: produttrice leader, l’industria italiana ne è il secondo esportatore mondiale. Nel 2011 abbiamo esportato armamenti per tre miliardi di euro, spiega Francesco Vignarca, coordinatore di “Rete Disarmo” e redattore di “Altra Economia”: «Ogni anno è un business che non cala, che coinvolge centinaia di aziende e che poi va a ricadere anche sulle banche, che finanziano e incassano i soldi per questi armamenti, senza controllo, con soldi di finanziamenti pubblici che arrivano addirittura dal ministero per lo Sviluppo economico». Il bombardamento sulla Libia? «E’ stato il più pesante che la nostra aeronautica abbia fatto dalla Seconda Guerra Mondiale». E il giorno in cui scattò l’offensiva contro Gheddafi, l’allora ministro Ignazio La Russa era in Medio Oriente, a una fiera internazionale di armamenti.
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Pd: le primarie del nulla, al guinzaglio dei diktat europei
Risulta praticamente impossibile prendere sul serio commentatori, alcuni con curriculum prestigioso e buona produzione scientifica, che affermano che «il Pd ha un programma innovativo», oppure che «Bersani ha superato lo scoglio delle regole sulle primarie». Si possono comprendere le dinamiche di posizionamento, sottintese a queste affermazioni, ma si deve evidenziare anche che in certi commentatori è ormai conclamata l’incapacità di capire che è finito un mondo. Quello in cui in cui, assieme al posizionamento entro il più importante partito dello schieramento progressista, si potevano negoziare spazi di autonomia politica e personale. Ricordando che, effetto dei tagli sull’onda dell’antipolitica e del potere reale sull’Italia che passa tra Bruxelles e Berlino, si stanno esaurendo anche i margini concreti per i posizionamenti di carriera tramite la politica istituzionale.
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Europei profughi per fame: la Svizzera sigilla i confini
Profughi della fame e della disperazione, in fuga dall’Unione Europea appena premiata col Nobel per la Pace: il giornale elvetico “Schweizer Zeitung” informa che la Svizzera ha mobilitato esercito e polizia alle frontiere, temendo – con l’aggravarsi della crisi economica e sociale europea – un vero e proprio esodo di greci, spagnoli, portoghesi e anche italiani verso la Confederazione. Preoccupazioni che la stampa svizzera ricava da un’intervista con il capo di stato maggiore elvetico, Andrè Blattman, e il ministro della difesa di Berna, Ueli Maurer. Il giornale lascia capire che la Svizzera teme una migrazione di disoccupati in caccia di lavoro e di famiglie in cerca di un rifugio sicuro dove mettere al riparo i risparmi messi in pericolo dalla scure del “rigore”.
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Post-crescita, risorse ormai esaurite: c’è vita dopo il Pil?
Se non conoscete Richard Heinberg, vi consiglio di seguire il suo ormai annoso blog “Museletter”. Richard è uno dei migliori divulgatori nel campo ambiente, risorse ed economia. Il suo ultimo post racconta della presa di coscienza del governo australiano per quanto riguarda la situazione delle materie prime. Il ministro delle Risorse ha appena dichiarato alla Tv americana “Abc” che «il boom delle risorse è finito». L’Australia è un Paese minerario, e conta molto sulle esportazioni di materie prime per la propria economia, tanto da aver molto investito in infrastrutture e porti per rifornire il mondo. La crisi globale però si fa sentire: Europa e Usa sono in flessione, di conseguenza la Cina cala la produzione industriale, e ciò si ripercuote sul commercio australiano che esporta meno metalli e carbone.
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Meno spesa, tasse, credito zero: il rigore uccide le imprese
Il rigore non piace neppure agli industriali: lo stesso presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha ripetutamente chiarito che i tagli alla spesa pubblica non aiutano certo la ripresa degli investimenti nel settore privato. Per rilanciarli occorre ridurre il “cuneo fiscale” (meno tasse sul lavoro dipendente, e quindi più occupazione) e ampliare i mercati di sbocco interni, in due modi: più spesa pubblica e meno tasse. E soprattutto: rendere più agevole l’accesso al credito bancario da parte delle imprese. Al contrario, le politiche di austerity contraggono i redditi, quindi anche i risparmi, spingendo le banche a chiudere i cordoni della borsa. «Il calo dei risparmi – osserva Guglielmo Forges Davanzati, economista dell’università del Salento – si traduce nella riduzione dei depositi bancari, che a sua volta spinge le banche a essere meno accomodanti nell’erogazione di finanziamenti alle imprese», peraltro già a corto di profitti dallo scoppio della crisi.