Archivio del Tag ‘economia’
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Lottare per il lavoro: il grido di Bergoglio nel Merkel-day
Sì, la notizia del giorno era la riconferma della cancelliera Angela Merkel. Ma mi son distratto. Ieri la mia città, Cagliari, ospitava Papa Francesco. C’erano quasi quattrocentomila persone a salutarlo in piazza, con un entusiasmo popolare palpabile (e papabile). Si è riversato in poche vie un quarto della popolazione sarda. Sono numeri che dovrebbero fare notizia, perché sono destinati a ripetersi in tante altre realtà che vivranno la Grande Crisi in questi anni. Quel che ho visto ieri a Cagliari – in una regione in cui metà dei giovani non hanno lavoro – lo vedranno in tanti anche altrove. Ho visto un’infinità di disoccupati commossi fino alle lacrime dalle parole del Papa. Mentre il mondo politico che un tempo parlava alle masse non ha più il polso né dei lavoratori né dei poveri, accade invece che il più originale prodotto del peronismo argentino, Jorge Bergoglio, stia entrando nei loro cuori.
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Ancora Merkel: Berlino continua la guerra contro di noi
«Un risultato super», che consentirà «altri quattro anni di successi». Sono le prime parole, agghiaccianti, della regina neoliberista Angela Merkel dopo il trionfo del referendum a cui ha sottoposto se stessa, chiedendo ai tedeschi il via libera per continuare a far precipitare nel baratro il resto dell’Europa. Con oltre il 40% dei voti e ora la prospettiva di prolungare fino a 12 anni la propria stagione di potere, la Merkel è il primo leader di un paese europeo a ottenere la conferma degli elettori dopo l’inizio della grande crisi, la tempesta economico-finanziaria innescata dall’Eurozona. “Alternativa per la Germania”, il partito anti-euro, non entra neppure in Parlamento, dove probabilmente anche la cancelliera dovrà rassegnarsi alle “larghe intese” con l’incolore Spd, mentre né i Verdi né la Linke hanno mai attaccato frontalmente – come necessario – il sistema egemonico dell’Unione Europea che mette in croce i popoli, cominciando dai più deboli. Con il plebiscito tributatole dai tedeschi, a cui ha mentito – raccontando loro di aver frenato il Sud Europa “spendaccione” – la Merkel rischia di far impallidire persino il ricordo della “strega” Margaret Thatcher.
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Amoroso: via dall’euro, o facciamo la fine della Jugoslavia
La ricreazione è finita, presto vi dovrete arrangiare anche per le pensioni. Questo, in sintesi, il discorso-choc che il sovrano olandese Guglielmo Alessandro ha rivolto alla nazione: la globalizzazione impone anche all’Olanda l’addio al glorioso sistema del welfare e delle protezioni sociali. E’ l’élite, direttamente, che parla: la stessa élite feudale che si è impadronita della moneta, imponendoci l’Eurozona, per poi dirci: scusate, non ci sono più soldi. Falso. I soldi li “fabbricano” loro, mentre a mancare sono i politici in grado di difenderci. Enrico Letta, che rincorre i diktat della Merkel, governa con Berlusconi, che nel suo videomessaggio del 18 settembre, di fronte alla catastrofe economica dell’Italia, proclama: «Occorre imboccare la strada maestra del liberalismo: meno Stato, meno spesa pubblica». Il liberismo: cioè il tunnel senza uscita del quale siamo già prigionieri, da vent’anni. Attenti, avverte il professor Bruno Amoroso: di questo passo, già a novembre sprofonderemo nel baratro della Grecia, saremo esposti a tempeste mai viste e rischiamo di fare la fine della Jugoslavia.
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Noi, fatti a pezzi dal rigore: ne avremo per decenni
Ovunque si parla di ripresa economica dell’Europa e di uscita dalla crisi. Pura propaganda. In realtà il paziente è sempre in coma. Basta dare un’occhiata ai parametri chiave: lavoro, cresdito, Pil, finanza pubblica. La disoccupazione – vera piaga sociale – è ancora a livello “mostruoso” in diversi paesi decisivi – Italia, Spagna, Francia – per non parlare ovviamente della Grecia. La disoccupazione nella zona euro – osserva Paolo Barnard – rimane ai suoi massimi storici dalla creazione della moneta unica: «Si consideri che la disoccupazione è il peggior male economico esistente, proprio in termini di miliardi di euro andati in fumo ogni giorno, e nulla l’ha ancora minimamente scalfita». Attenzione: «Quando si è talmente sciagurati da permettere alla disoccupazione giovanile di arrivare a uno sconvolgente 40%, il danno arrecato sarà per generazioni, non una cosa da qualche mese. Sarà un danno sistemico, incancellabile per decenni».
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Generazione decrescente, costretta a reinventarsi la vita
«Faccio parte di un generazione formata da moltissimi individui che vogliono più dei propri avi, pur essendo meno (o per nulla) in grado di accontentarsi di poco». Giovani che spesso «vogliono ottenere troppo senza sforzarsi molto», ma allo stesso tempo «hanno meno mezzi a livello caratteriale per ottenere ciò che vogliono». Più che “bamboccioni” troppo viziati durante l’infanzia e l’adolescenza, sono ragazzi che «hanno la sfortuna di vivere in un momento storico in cui le maggiorate esigenze non combaciano con un’economia che non può crescere all’infinito». Fine corsa: il sistema «non può dare le stesse possibilità di guadagno e di gratificazione dei decenni passati». Così Andrea Bertaglio tratteggia la sua “generazione decrescente”, quella che – per la prima volta – sa che non potrà avere a disposizione più risorse di quella che l’ha preceduta. Ormai è ufficiale: la Grande Crisi non fa sconti. Ma proprio la sua durezza suggerisce una soluzione: imparare a consumare meno (e meglio) per vivere un’altra vita, lontano dalla solitudine della pulsione consumistica.
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Germania disonesta, è il debitore più insolvente d’Europa
Angela Merkel è nota per saper interpretare come pochi altri politici le idee e gli umori del cittadino medio del suo paese, che si possono così riassumere: noi lavoriamo sodo, sappiamo fare il nostro mestiere e amministriamo con cura il denaro pubblico e privato, mentre quasi tutti gli altri, nella Ue, lavorano poco, sono degli incapaci e vivono al di sopra dei loro mezzi. In piena campagna elettorale, scrive Luciano Gallino, la Merkel difende calorosamente le politiche di austerità e delle riforme imposte agli altri paesi dell’Unione Europea affinché “risanino” i bilanci pubblici e riducano il debito pubblico: «I paesi Ue sono pieni di debiti e noi no, per cui ci tocca insegnargli come si fa ad uscirne». Ma se si guarda alla sua storia, replica Gallino, la Germania non ha nessun titolo per impartire lezioni in tema di debiti: come rivelato dallo stesso Albrecht Ritschl, storico dell’economia tedesca, la Germania è «il debitore più inadempiente del XX secolo».
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Addio lavoro, se anche la sinistra si è arresa alla flessibilità
Supponendo che anche l’Italia sia vicina alla ripresa, e vi sono ragioni per dubitarne, molti esperti ritengono che la riduzione dalla disoccupazione sarà ritardata e che, nell’attesa, aumenterà ancora. Nel passato, il ritardo era di un anno circa rispetto alla crescita, e poiché la crisi di oggi è più severa di quelle del passato, il ritardo, si pensa, sarà più lungo. Da qui nasce la preoccupazione che, nel frattempo, gli italiani non ne possano più e che si prospetti un periodo di ribellioni sociali. Il pericolo c’è, e abbiamo già sperimentato che si trova sempre qualcuno capace di provocarne l’esplosione con le opportune demagogie. L’Italia è ormai diventata un paese nel quale è massima la precarietà della forza lavoro; perfino il provvedimento per consentire la riproduzione dei contratti a tempo determinato – per evitare altri licenziamenti – dimostra che ci si è rassegnati alla precarietà come una struttura permanente e pervasiva. Non solo le imprese ma anche parti politiche e perfino sindacali ritengono che, se l’occupazione deve aumentare, allora la precarietà – che per pudore si chiama flessibilità – è necessario diventi regola e non più eccezione.
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Debito, nuovo colonialismo: ma oggi le colonie siamo noi
Dimentichiamo l’“austerità” e tutto il teatrino politico; per riuscire a capire veramente la zona euro, l’unico modo è cercare di comprendere come funziona il modello neocoloniale della finanziarizzazione, perché questo è il motore della zona euro. Nel vecchio modello del colonialismo, la potenza colonizzatrice conquistava o cooptava le élite di potere della regione conquistata e cominciava a sfruttare le risorse e la manodopera della nuova colonia, per arricchire il “centro” dell’impero. Nel neocolonialismo, le forze della finanziarizzazione (debito e leva finanziaria controllati dai cartelli bancari che appoggiano lo Stato) sono utilizzati per obbligare le élite locali e il popolo a stipulare contratti con le banche: le “colonie periferiche” prendono in prestito soldi per comprare i prodotti finiti, venduti dal “core/centro dell’impero”, arricchendo così il centro in due modi: guadagnado con gli interessi che maturano sul debito e facendo una “scrematura” dei beni patrimoniali di maggior valore finanziario, ad esempio quello immobiliare; guadagnando con la vendita dei beni comprati dai debitori.
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Zitto e taci, è la procedura: ma il dissenso non si fermerà
Non accade con frequenza che un conflitto radicato in un territorio circoscritto e incentrato su un oggetto ben determinato (un’opera infrastrutturale come la linea ad alta velocità Torino-Lione) si trasformi in una arena politica in cui emergono, mostrando tutte le tensioni e gli attriti che le attraversano, non poche “grandi questioni”. Prima Gianni Vattimo, poi Erri De Luca e Ascanio Celestini, infine Massimo Cacciari e Giovanni De Luna, una bella schiera di intellettuali si sentono chiamati a prendere posizione non solo su una delle lotte più lunghe, tenaci e partecipate degli ultimi vent’anni in Italia, ma sul suo significato generale quanto alle forme della politica, le prerogative di governanti e governati, le priorità economiche o ambientali e il rapporto tra la legalità vigente e queste priorità. Tutti sembrano comunque concordare sull’inutilità, o quantomeno la scarsa razionalità economica di questa grande opera, considerati i costi, gli effetti ambientali e l’ostilità popolare che la circonda. È già qualcosa.
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Susan George: è il golpe dei super-ricchi, ribellatevi all’Ue
L’establishment economico e finanziario non ha sensi di colpa per quello che è accaduto nel mondo negli ultimi sei-sette anni, nemmeno un dubbio. È uno dei paradossi di quest’epoca: i neoliberisti hanno capito il significato del concetto di egemonia culturale di Antonio Gramsci e l’hanno applicato benissimo. La loro ideologia è penetrata negli Stati Uniti, poi si è diffusa in tutte le organizzazioni internazionali e vanta un supporto intellettuale mai visto. Prendiamo l’Ue. Sono riusciti a ottenere consenso e supporto proponendo misure di austerità per uscire dalla crisi convincendo tutti che il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia sono la stessa cosa, per cui si può spendere solo in base alle entrate. Non è così: il debito pubblico storicamente finanzia la crescita, è altra cosa dagli sprechi. Per fare un esempio, due economisti della Bocconi di Milano, Alesina e Ardagna, a mio avviso hanno fornito una errata base teorica alla Banca centrale europea, ai governi e alle istituzioni europee, proponendo l’austerità per fronteggiare la depressione. E la gente è stata convinta dell’ineluttabilità delle scelte. La prova? In Grecia non hanno fatto la rivoluzione.
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Grillo e l’alternativa all’ultimo mangime per polli: Renzi
«Caro Giulietto, perché non ti unisci a Beppe Grillo? In fondo la pensate allo stesso modo, e l’unione fa la forza». Appunto, replica Giulietto Chiesa su “Megachip” a un lettore del suo spazio Facebook, Christian Bata Batildi: proprio perché non basterebbe neppure il 51%, come disse Berlinguer dopo il golpe in Cile, serve un’alleanza più vasta del 25% di Grillo: «Troppo forte è il nemico e lo sono i mezzi che ha a disposizione, nazionali e internazionali: guai a sottovalutare la forza dei Padroni Universali e dei loro maggiordomi locali». Tra essi primeggia il sindaco di Firenze: «Che qualcuno possa seguire addirittura con stima e attenzione le sorti del signor Renzi, conferma solo l’inveterata abitudine di una parte degli italiani a fare la parte dei polli», taglia corto sempre su “Megachip” Paolo Bartolini. «Se la nuova politica passa di qui siamo finiti». Eppure, è proprio su Renzi che sono puntati, ogni giorno, i riflettori dei media. Mentre l’Italia sta affrontando un disastro epocale, senza via d’uscita.
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Bagnai: chi svende l’Italia fa un regalo alle banche estere
Italia svendesi: Enel, Eni, Finmeccanica. Tra i “gioielli di famiglia” che potrebbero essere ceduti, il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, include anche l’Ansaldo. Svendere i pezzi pregiati della nostra industria strategica: operazione sensata? «Dal punto di vista economico, no», risponde Alberto Bagnai, economista dell’università di Pescara: «Il tentativo di abbattere il debito tramite la cessione di attività pubbliche si è sempre rivelato un fallimento: ogni volta che si è proceduto in questa maniera, lo stock di debito non è stato sensibilmente intaccato; in compenso, lo Stato si è privato di una importante fonte di entrate». È evidente, aggiunge Bagnai, che se un’azienda viene ceduta all’estero (il governo Letta infatti parla di “afflusso di capitali esteri”) i suoi profitti andranno fuori dall’Italia. Lo ha ammesso persino Romano Prodi, regista delle prime grandi svendite degli anni ’90.