Archivio del Tag ‘economia’
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Hanno ucciso la Grecia, non esiste più. Poi toccherà a noi?
Ma cosa ha a che fare il cosiddetto accordo per la Grecia con l’Europa dei popoli? Cosa ha a che fare il massacro della Grecia e del suo popolo con l’integrazione e l’unità politica europee? Cosa ha a che fare questa Ue con quella prospettiva di crescita, solidarietà, democrazia che milioni di europei hanno creduto e auspicato in questi decenni? Il presunto accordo è soltanto la garanzia perché i creditori e le banche siano soddisfatti. La Grecia è già al default e quelle condizioni servono soltanto a costringere il Parlamento greco a rendere legittime le scorrerie predatorie sui beni pubblici. Un intero paese privatizzato. Beni culturali, paesaggistici, risorse naturali, costituiranno il fondo di garanzia di 52 miliardi di euro per i creditori. Non hanno mai voluto davvero un esito ‘Grexit’: né i tedeschi per i loro maledettissimi interessi né gli americani preoccupati di non regalare la Grecia, che resta strategica nello scacchiere mediterraneo, alla Russia di Putin.È invece quello dell’appropriazione dei beni comuni il tema principale, e senza entrare nel merito delle altre micidiali condizioni come la riforma delle pensioni e del codice civile. Ogni Paese ha delle risorse che non vengono calcolate in termine di ricchezza e Pil: musei, opere d’arte, storiche, monumentali, collezioni, patrimonio librario, isole, coste. Su queste pregiatissime risorse pubbliche stanno orientando i loro artigli le potentissime lobby economico-finanziarie internazionali. E credo che questo sia un rischio assai concreto anche per l’Italia la cui ricchezza in materia è davvero inestimabile. Se il Peloponneso o il Partenone rischiano così in un futuro prossimo di diventare patrimonio privato, lo stesso potrebbe accadere all’Italia. Qualcuno direbbe “ma la Costituzione tutela questi beni”; vero, però i signori della finanza hanno costretto alla costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio: un vero e proprio monstrum giuridico.Vedremo, se una volta chiuso il capitolo ellenico, si riaprirà quello italiano con i licenziamenti nelle Pa e un’ulteriore riforma delle pensioni, preludio all’aggressione ai nostri beni comuni rispetto ai quali, purtroppo dimentichiamo sempre troppo in fretta, un referendum stravinto è rimasto inapplicato! Se davvero dopo la Grecia toccherà all’Italia, i mastini che condurranno l’Eurosummit non dovranno neppure reggere la fatica di sottoporre il premier di turno al massiccio ‘waterboarding mentale’ riservato a Tsipras: temo che cederà subito…(Orazio Licandro, “Grecia, come si privatizza un paese”, dal “Fatto Quotidiano” del 14 luglio 2015).Ma cosa ha a che fare il cosiddetto accordo per la Grecia con l’Europa dei popoli? Cosa ha a che fare il massacro della Grecia e del suo popolo con l’integrazione e l’unità politica europee? Cosa ha a che fare questa Ue con quella prospettiva di crescita, solidarietà, democrazia che milioni di europei hanno creduto e auspicato in questi decenni? Il presunto accordo è soltanto la garanzia perché i creditori e le banche siano soddisfatti. La Grecia è già al default e quelle condizioni servono soltanto a costringere il Parlamento greco a rendere legittime le scorrerie predatorie sui beni pubblici. Un intero paese privatizzato. Beni culturali, paesaggistici, risorse naturali, costituiranno il fondo di garanzia di 52 miliardi di euro per i creditori. Non hanno mai voluto davvero un esito ‘Grexit’: né i tedeschi per i loro maledettissimi interessi né gli americani preoccupati di non regalare la Grecia, che resta strategica nello scacchiere mediterraneo, alla Russia di Putin.
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Grazzini: euro e Ue sono nostri nemici, ditelo alla sinistra
Il destino della Grecia, dell’Europa e dell’euro si sta svelando in questi giorni. L’Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l’aggressione della Ue e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell’euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia. Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il No al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell’austerità folle e suicida, a tutti i costi.Difficilmente la Grecia si risolleverà dalla crisi. Il debito non è stato rimesso alla Grecia, nonostante le illusioni e le sciocche speranze della sinistra nostrana. La Ue ha imposto la sua dittatura usuraia in Europa, e la prossima vittima sacrificale a questa politica di crisi potremmo essere noi. La sinistra ha quindi nuove ed enormi responsabilità nel contrastare la politica Ue e dell’euro. Ma finora è rimasta praticamente impotente e silenziosa di fronte all’attacco europeo alle economie e alle democrazie nazionali. Solo il Movimento 5 Stelle ha denunciato ad alta voce la Unione Europea anti-democratica e la feroce gabbia dell’euro. La sinistra ha finora permesso e tollerato la meschina politica usuraia europea e l’attacco economico alla nostra sovranità nazionale in nome della prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, e dei nobili ma sciocchi e illusori ideali sulla Pace Universale. Mentre la destra ha raccolto con crescente successo l’insofferenza, la protesta e la rabbia popolare verso questa Ue che immiserisce i popoli.La sinistra, in nome dell’Europa unita, non ha difeso la sovranità nazionale, ovvero l’unico ambito in cui è ancora possibile la democrazia (in greco: il potere del popolo). La sinistra ha accettato e difeso acriticamente la moneta unica europea, che è di gran lunga la principale espressione della dittatura monetarista e liberista sull’Europa. La sinistra proclama che gli Stati nazionali hanno esaurito il loro compito storico; e che occorre andare a tutti i costi verso l’Europa unita. Invece la democrazia alberga solo negli stati nazionali e certamente non in questa Europa. Solo grazie alla riscossa e all’autonomia nazionale, anche sul piano monetario, potremo uscire dalla crisi economica e rivitalizzare la democrazia. Perché l’Europa rischia di cadere in mano alla destra peggiore e di frantumarsi in mille nazionalismi xenofobi? Perché la destra cresce in Italia con Matteo Salvini, e in Francia con Marine Le Pen, e, in nome della difesa degli interessi nazionali, guadagna il consenso di ampi strati popolari e di lavoratori? Perché invece in Italia la sinistra sul piano politico quasi non esiste più, nonostante le antiche radici e il glorioso passato?La risposta più appropriata è: perché, in nome dell’Europa unita, la sinistra ha di fatto tollerato che si sacrificassero fondamentali interessi popolari. La dura lezione greca dovrebbe aprire finalmente gli occhi alla sinistra italiana ed europea. Per cambiare l’Europa occorre soprattutto rivendicare la sovranità nazionale, cioè il rispetto della democrazia. Le rivendicazioni democratiche e i conflitti sociali nascono innanzitutto dentro i confini nazionali per modificare le leggi e le istituzioni. Le nazioni contano ancora, e sono, e devono continuare ad essere, il luogo dei conflitti sociali, che sono il sale della democrazia. Senza il rispetto delle volontà nazionali e degli Stati nazionali non si costruirà mai l’Europa dei popoli. Nessuno ha voluto sottolineare che Tsipras ha indetto un referendum in Grecia e non un referendum europeo. Tsipras ha tentato legittimamente una via innanzitutto nazionale di uscita dalla crisi europea. Il referendum greco, e speriamo anche quello italiano, se si farà, non sono altro che tentativi di recuperare sovranità nazionale. Invece la nostra sinistra è Europeista, con la E maiuscola. Alimenta l’illusione della democrazia in tutta Europa quando le democrazie nazionali sono calpestate.Chi denuncia solo ed unicamente il pericolo di un ritorno al nazionalismo – come i grandi guru della sinistra europea, come Jurgen Habermas, Christian Marazzi e Etienne Balibar – e suggerisce di proseguire nell’integrazione europea, sperando in un inesistente e impossibile processo di democratizzazione delle istituzioni europee, e affidandosi a inesistenti grandi lotte sociali e politiche di livello continentale (?), si vota all’impotenza e si arrende di fatto all’internazionalismo senza regole del capitale. Infatti non c’è alcuna speranza di modificare istituzioni non elette e non democratiche, intergovernative, come quelle della Ue, dominate dai paesi più forti (Germania in primis) senza passare innanzitutto per le battaglie in favore dell’autonomia nazionale. Senza denunciare apertamente i vincoli della moneta unica si sacrificano la sovranità popolare e la democrazia. La Grecia dimostra che dentro questa Ue e questo euro le sovranità nazionali, la democrazia e la volontà popolare vengono sistematicamente schiacciate. Il nazionalismo tedesco prevale sulla inesistente democrazia europea.La socialdemocrazia è diventata sciovinista. Oggi i maggiori esponenti della potentissima (una volta) socialdemocrazia tedesca, Sigmar Gabriel, vicepremier del governo tedesco, e Martin Schulz, capo del Parlamento Europeo, sparano veleno contro il governo socialista greco assediato dallo strozzinaggio europeo. Il ricco socialismo tedesco attacca con maramaldesca protervia i poveri cugini socialisti greci, e si mostra apertamente sciovinista. Altro che Europa unita! Il socialismo europeo al governo è rappresentato da François Hollande e da Matteo Renzi. Il secondo lo conosciamo, ha seguito tutti i diktat europei sulle riforme strutturali; ma dovrà cercare di svincolarsi dalla mortale stretta tedesca. Renzi è troppo astuto per non sapere che, proseguendo la crisi europea e dell’euro, perderà le elezioni anche lui come tutti gli altri socialisti in Europa. Hollande invece sembra con qualche flebile distinguo il ventriloquo della Merkel.Ma anche la sinistra critica, quella (che fu) radicale e alternativa, quella che si proclama addirittura anti-capitalista, si è condannata all’impotenza perché non ha voluto denunciare e contrastare apertamente questa Unione Europea e la moneta unica. Per vetuste e astratte illusioni europeiste – e forse in parte anche per (insinuano volgarmente i maliziosi) inseguire qualche secondario posticino istituzionale – la sinistra ex radicale persegue con aristocratica nobiltà un’altra Europa, ma si dimentica di denunciare e contrastare questa Europa, l’Europa reale. Ha lasciato alla destra di Matteo Salvini e di Silvio Berlusconi il compito di attaccare l’Unione Europea in difesa degli interessi nazionali. Non a caso Salvini si spaccia come il vero difensore di Tsipras e della Grecia. Ma è un errore mortale cedere la denuncia di questa Ue e di questo euro al populismo sciovinista e xenofobo!Perché in Italia in pochi anni il Movimento 5 Stelle si è legittimamente guadagnato il 25% dell’elettorato, è diventato il secondo partito italiano, mentre la sinistra italiana teme di non superare neppure le soglie di sbarramento? La risposta è: perché questa sinistra corre verso una chimera: gli Stati Uniti d’Europa. Gran parte della nostra morbida intellighenzia di sinistra si limita a chiedere in maniera petulante un’Europa più democratica e cooperativa per riformare l’euro. Senza ottenere ovviamente alcun risultato. La nostra sinistra europeista e aristocratica propone politiche industriali comuni (?), gli eurobond (?), fondi di solidarietà (?), maggiore integrazione verso gli Stati Uniti d’Europa (?). Propone di riformare l’euro e di completare la moneta incompiuta con politiche fiscali comuni. Mentre migliaia di profughi, donne, bambini, uomini innocenti, vengono lasciati affogare nel Mediterraneo e mentre l’Europa a guida tedesca sceglie la politica del confronto/scontro con la Russia dettata dai falchi bellicisti d’oltreoceano, la sinistra chiede di “riformare” la Ue e la Bce.Perfino la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, che viene considerata “estremista”, per quanto riguarda l’Europa si limita a chiedere la … riforma della Bce. E’ come chiedere a Berlusconi di approvare una legge severa sulla corruzione e l’evasione fiscale! Lo statuto della Bce è stato fissato a Maastricht. Per statuto la Bce deve preoccuparsi solo dell’inflazione, e non della disoccupazione e dello sviluppo economico; il suo principale azionista è la Germania della Merkel. E noi chiediamo di riformarla? Ma con quale forza? Con quale credibilità? Bisognerebbe rivoluzionare tutti i trattati, Maastricht per primo! Il governo tedesco dominato di Angela Merkel e Sigmar Gabriel non accetterà mai. Perché? Perché non gli conviene!!! Alla Germania, che persegue una politica chiaramente nazionalistica, è utile l’Europa in crisi. Luigi Zingales ha chiarito perfettamente che se scoppia la crisi dell’euro, la Germania pagherà costi assai meno elevati degli altri paesi e nell’immediato ci guadagnerà, perché tutti i capitali correranno verso la nazione più sicura e affidabile, cioè la Germania.Purtroppo la maggior parte della sinistra italiana – a parte le belle e sacrosante parole di solidarietà con il popolo greco, con Siryza e Alexis Tsipras – non ha capito quasi nulla dell’Unione Europea e dell’euro. Non ha compreso che l’Unione Europea intergovernativa, il suo braccio, la Banca Centrale Europea, e la moneta unica, sono diventate il principale strumento di lotta delle nazioni forti contro quelle più deboli, e di lotta di classe della grande finanza speculativa contro i lavoratori e lo stato sociale, grazie all’arma micidiale del debito. Altro che unione dei popoli europei! L’economia tedesca è forte ma la Grecia è stata gettata in miseria. In soli cinque anni l’Italia ha perso il 12% del Pil, il 30% degli investimenti, i redditi sono precipitati ai primi anni ‘90, c’è il 13% di disoccupazione e metà dei giovani non trova lavoro. Un disastro totale. Con la lira è certo che l’economia nazionale non sarebbe mai precipitata così in basso. I lavoratori soffrono e i ricchi diventano sempre più ricchi. Ma la destra avanza e la sinistra arretra. E forse non se ne accorge neppure.La sinistra vive su un altro pianeta. Fa come Totò che, picchiato a sangue da uno sconosciuto, ride contento perché questi si è sbagliato, non voleva colpire lui ma un’altra persona. La sinistra è contenta perché la Ue vuole la democrazia, anche se nei fatti la calpesta. Così difende le istituzioni (mai elette) della Ue invece di combatterle. La moneta unica é il problema dell’Europa malata. La sinistra (anche e soprattutto quella marxista) non ha capito una questione fondamentale. La moneta non è neutra, è centrale sia nel campo finanziario che in quello politico. La sinistra italiana non ha capito quanto per Keynes la moneta fosse l’elemento centrale dell’economia, soprattutto in tempi di crisi. Per la sinistra italiana invece il problema dell’euro è secondario. La sinistra più boriosa indica con sussiego che i problemi dell’Italia sono “ben più profondi”, sono strutturali, la moneta è un epifenomeno, in fondo l’euro può essere lasciato così, la lotta di classe riguarda l’economia reale, il resto è sovrastruttura.Invece la moneta unica è il problema centrale dell’Europa. La moneta unica non solo non permette svalutazioni – ovvero i normali riallineamenti competitivi – ed esalta gli squilibri commerciali, e quindi alimenta i debiti delle nazioni meno competitive. Soprattutto l’euro non consente di attuare manovre espansive, cioè di “riparare le crisi” come proponeva Keynes. L’euro è il bazooka usato dal governo tedesco Merkel-Gabriel e dalla Ue per abbattere le resistenze delle nazioni che, come la Grecia, cercano di opporsi all’austerità senza fine. Avere ceduto la propria moneta nazionale a istituzioni tecnocratiche non elette e non democratiche è stato un errore madornale. Senza autonomia monetaria non esiste possibilità di fare politiche autonome di bilancio e quindi i parlamenti eletti dal popolo contano poco o nulla. La democrazia è in pericolo.La moneta unica provoca l’immiserimento forzato dei paesi periferici strangolati dai debiti. Purtroppo l’euro è una trappola nella quale è facile entrare ma dalla quale è difficile uscire. Nonostante quello che predicano Salvini, Grillo e Borghi, uscire dall’euro è quasi impossibile per molti motivi tecnici, economici, politici e geopolitici, e perché metà della popolazione non vuole l’uscita. L’euro è la seconda valuta mondiale di riserva e l’uscita unilaterale scatenerebbe tutti contro di noi, Usa, Russia, Cina e paesi emergenti. Uscire dall’euro non è facile e immediato come è stato uscire dal Sistema Monetario Europeo e ritornare alla lira. Occorre trovare altre forme di “moneta democratica” per sfuggire alla depressione dell’euro.La tecnocrazia Ue può funzionare solo in quanto strumento (con poca autonomia) degli Stati egemoni e delle élite politiche e finanziarie dominanti. L’euro è una moneta concepita a Maastricht secondo i criteri del marco tedesco ed è diventato il principale strumento dell’egemonia tedesca sull’Europa e della sua politica nazionalistica. Gli stati nazionali sono ancora l’unico luogo in cui si può ancora esprimere la democrazia. Gli stati nazionali non sono ferrivecchi da buttare in nome dell’internazionalismo (del capitale!). Anzi: è necessario difendere e sviluppare l’autonomia e la democrazia nazionale. Le istituzioni europee non sono elette e non sono sottoposte a nessun controllo dei cittadini. Quelle nazionali, bene o male, sì. Occorre promuovere un nazionalismo democratico di sinistra, ovvero la difesa degli interessi nazionali sia a livello economico, industriale, che monetario e politicoDi fronte al precipitare della crisi occorre una svolta di politica economica, decisa e concreta. Occorre sganciarsi per quanto possibile dalla dittatura dell’euro, senza tuttavia uscire dall’euro. Questo è il senso della proposta di Moneta Fiscale proposta da Luciano Gallino e da altri economisti. Vogliamo che lo Stato italiano decida di emettere e distribuire gratuitamente ai lavoratori e alle aziende un titolo fiscale utilizzabile come credito sulle tasse dopo due anni dall’emissione, ma subito convertibile in euro, come qualsiasi altro titolo di Stato. Grazie alla diffusione gratuita di titoli/moneta per decine di miliardi aumenterebbe il potere d’acquisto delle famiglie, crescerebbero i consumi e gli investimenti delle aziende. Usciremmo dalla trappola della liquidità che blocca l’economia. Si tratta della possibilità di rilanciare l’economia italiana con una manovra monetaria e fiscale espansiva e democratica, decisa autonomamente dal Parlamento e dal governo italiano, senza tuttavia contravvenire e contrastare direttamente i trattati e i regolamenti vigenti nell’Eurozona. Senza uscire dall’euro, perché un’uscita unilaterale sarebbe, almeno attualmente, disastrosa e dividerebbe il popolo italiano.(Enrico Grazzini, estratti da “Le illusioni europeiste della sinistra e la dittatura della Ue”, da “Micromega” del 13 luglio 2015).Il destino della Grecia, dell’Europa e dell’euro si sta svelando in questi giorni. L’Unione Europea usuraia ha imposto la sua brutale autorità umiliando il governo di Alexis Tsipras contro la volontà del popolo greco. Occorre denunciare l’aggressione della Ue e di Berlino alla democrazia in Europa e difendere anche in Italia la sovranità nazionale contro la dittatura economica di un governo europeo che nessuno ha mai eletto. Diventa sempre più indispensabile sganciarsi dai vincoli dell’euro recuperando forme di autonomia monetaria – come suggerisce la proposta di “moneta fiscale” – per superare i limiti della moneta unica che deprimono la nostra economia. Il governo di sinistra di Alexis Tsipras, nonostante il No al referendum, é stato costretto ad accettare un compromesso sul debito secondo molti economisti assai peggiore di quello rifiutato coraggiosamente dal popolo greco con il referendum. Il governo di Berlino, guidato da Angela Merkel e dal duro ministro ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, ha confermato la linea dura dell’austerità folle e suicida, a tutti i costi.
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Cretini, vogliono isolare la Russia e invece isolano gli Usa
Le menzogne relative alla Russia e al suo presidente si sono fatte tanto grossolane da minacciare un possibile devastante conflitto nel mondo, cosa che ha spinto un gruppo di distinti cittadini nordamericani a formare il Comitato Americano per l’Accordo Oriente-Occidente. I membri del Comitato sono l’ex senatore Bill Bradley, Jack Matlock che fu ambasciatore Usa nell’Urss durante l’Amministrazione di Ronald Reagan e di George H.W. Bush; William J. Vanden Heuvel, che fu ambasciatore all’Onu durante l’amministrazione Carter; John Pepper, ex presidente e dirigente esecutivo dell’impresa Procter & Gamble; Gilbert Doctorow, uomo d’affari da un quarto di secolo con esperienza commerciale con la Russia e i professori Ellen Mickiewicz dell’ Università di Duke e Stephen Cohen dell’ Università di Princeton e di quella di New York. Risulta un fatto straordinario che la cooperazione tra Russia e gli Stati Uniti, svilupatasi attraverso decenni per mezzo di successivi governi, iniziando da quello di John F. Kennedy e culminando con la fine della guerra fredda con gli accordi di Reagan-Gorbaciov, sia stata distrutta da un pugno i nordamericani neo-conservatori trafficanti di armamenti nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
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La mafia Ue uccide Atene per impaurire noi, infami codardi
Non è la Grecia, ma l’Unione Europea, ad aver firmato la sua condanna a morte: oggi sono i greci a scendere all’inferno, ma domani anche i più disattenti avranno capito che razza di regime ci sta votando alla sofferenza eterna, alla spirale senza speranza della crisi innescata dall’Eurozona e dal potere brutale che la governa. Lo sostiene Giorgio Cremaschi, che pure non si nasconde le colpe di Tsipras, peraltro lasciato solo: «La Grecia è stata costretta alla resa dall’isolamento che la Troika è riuscita a costruirle attorno. Sinistre, sindacati, popolo democratico, tutti siamo stati alla finestra, quindi la loro sconfitta è nostra per conseguenze e responsabilità». Il testo varato dall’Eurogruppo? «Non è solo inaccettabile per il popolo greco, ma è una minaccia e una sfida per tutti noi. Siamo tutti greci». Perché tanta ferocia contro i greci? Per rapinarli di tutto. E, intanto, per punirli, visto l’esito del referendum: «Avete alzato la testa? Ora, cittadini greci, vedrete cosa vi costa». La minaccia alla Grecia è in realtà rivolta a tutti noi: non provateci, o vi faremo fare la stessa fine.«Il “no” massiccio al referendum – scrive Cremaschi su “Micromega” – andava sanzionato in quanto tale, per insegnare ai popoli tentati di ripeterlo quanto alto potrebbe esserne il prezzo. Il taglio delle pensioni minime sotto i 400 euro al mese, quello dei salari dello stesso livello, l’aumento del prezzo dei farmaci là ove la sanità pubblica è scomparsa, l’obbligo a rivedere le minime misure di sostegno ai poveri, agli sfrattati, la cancellazione delle poche riassunzioni, tutte queste non sono misure di grande valore economico, sono rappresaglie sociali. Anche per questo, dopo la firma della capitolazione, la Bce ha deciso di continuare a negare i fondi Ela di emergenza. Le file ai bancomat devono continuare fino a che restino ben stampate nella memoria», di ogni greco e di ogni altro europeo. «Le rappresaglie terrorizzano e puniscono, ma il loro scopo è il dominio. La Grecia è il primo Stato europeo che dal 1945 diventa formalmente una colonia. In questo c’è anche la punizione politica che viene somministrata al governo Tsipras». Massima perfidia, costringere lo stesso Tsipras a firmare condizioni-capestro, peggiori di quelle inizialmente respinte, demolendo così la credibilità del premier “ribelle”.«Il Parlamento greco avrà solo il compito di votare il proprio suicidio accettando la resa», continua Cremaschi. «Poi ogni decisione sarà presa dai tecnici, espressione delle potenze occupanti, che supervisioneranno l’operare del governo coloniale. Tutto questo è meticolosamente definito nel protocollo dell’Eurogruppo». Colpo di Stato, come quello dei colonnelli nel 1967: «Allora fu la Nato ad organizzarlo, ora è la Troika». La differenza? «Allora non erano in discussione le proprietà pubbliche, mentre ora sono in svendita». La Grecia continua ad essere «cavia di trattamenti che vengono somministrati in dosi estreme ad essa e più caute agli altri, ma la medicina è la stessa: il Fiscal Compact e il Semestre Europeo si son aggiunti ai già precedenti trattati che hanno legato indissolubilmente euro e austerità». Ora, poi, ci sono poteri formali per far applicare le peggiori decisioni prese dall’Ue: «Se un Parlamento fa un bilancio dello Stato che le autorità di Bruxelles considerano troppo poco rigoroso, queste stesse autorità possono intervenire per modificarlo. I parlamenti nazionali non hanno più la disponibilità del bilancio dello Stato, ragione per cui 200 e più anni fa sono nati».Sopra di loro sta un’autorità tecnocratica e finanziaria che esercita il potere vero: «La Ue è quindi oggi un colpo di Stato permanente, che sulla Grecia ha esercitato una sperimentazione, per ora, estrema». Ma la riduzione allo stato coloniale della Grecia, oltre che la funzione di esempio, che scopo economico ha? Qui le poche cifre chiare disponibili non lasciano dubbi. «Il paese verrà saccheggiato dai “creditori”. Degli 84 miliardi promessi, solo 10 potrebbero finire in investimenti, cioè produrre interventi nell’economia reale. Tutti gli altri son una partita di giro, soldi che tornano alle banche e al Fmi», e il meccanismo si ripete con gli interessi. «Infatti a garanzia del prestito la Grecia deve impegnarsi in tagli di bilancio e tasse per un cifra vicina ai 15 miliardi e privatizzare beni per 52 miliardi». E’ un paese alla fame, con un Pil 8 volte inferiore a quello dell’Italia. «Da noi, la manovra imposta alla Grecia varrebbe 120 miliardi di tagli e oltre 400 miliardi di privatizzazioni. Riusciremmo a farle noi senza vendere Venezia, Firenze e il Colosseo?».Il via libera ad altri licenziamenti di massa e la fine dei contratti collettivi, imposti dall’Eurogruppo, secondo Cremaschi ridurranno alla schiavitù ciò che resta del lavoro: ci saranno più profitti, ma non ci sarà certo una ripresa in grado di pagare i debiti. «Come ogni usuraio, i creditori potranno allora dire che la Grecia non fa fronte a tutti gli impegni e quindi non può avere tutti i prestiti. Così continueranno a fare affari saccheggiando il paese e terranno in ostaggio tutti gli altri popoli: se non volete finire come loro dovete continuare ad accettare le politiche di austerità. La Troika sarà aiutata in questo ricatto permanente dal controllo totale esercitato sui mass media, che con la loro menzogna sistematica in questi giorni ci han già fornito un’anteprima di fascismo 2.0». Conclusione: «La vicenda greca dimostra una sola verità inconfutabile: questa Unione Europea non è riformabile; se si vuole una politica diversa da quella del massacro sociale e dell’austerità bisogna essere disposti alla rottura completa con essa. Il governo greco non era disposto a questo, e quindi ha capitolato».Il popolo greco, invece, aveva risposto “no” al 62%. «E’ stato un segnale che lor signori han ben colto, e per questo han reagito con tanta brutalità. Ma le rappresaglie, i massacri, possono impaurire una, due, tre volte, poi alla fine ottengono l’effetto opposto, alimentano la rivolta. Per questo la Ue, mostrando la sua vera faccia con la Grecia, ha decretato la sua fine». La rottura «va costruita in mezzo ai popoli, che per vivere liberamente debbono saper reggere il ricatto dell’euro e di tutto quanto è ad esso collegato». Nel 1938, la Cecoslovacchia si arrese alla Germania di Hitler, sostenuta da tutta l’Europa, che pensava così di essersi salvata. Scrisse Churchill: «Scegliemmo il disonore per non avere la guerra, e ottenemmo entrambi». Aggiunge Cremaschi: «Il 13 luglio 2015 è la giornata del disonore europeo, tutti i governi che hanno imposto la resa alla Grecia sono colpevoli d’infamia, ma la condanna morale deve diventare rovescio politico. Starà ai greci decidere come organizzare resistenza e sabotaggio verso il Memorandum, con o senza Tsipras, dipende da lui. Ma resistere alla tirannia Ue è il compito da assumere in ogni paese e in tutto il continente».Non è la Grecia, ma l’Unione Europea, ad aver firmato la sua condanna a morte: oggi sono i greci a scendere all’inferno, ma domani anche i più disattenti avranno capito che razza di regime ci sta votando alla sofferenza eterna, alla spirale senza speranza della crisi innescata dall’Eurozona e dal potere brutale che la governa. Lo sostiene Giorgio Cremaschi, che pure non si nasconde le colpe di Tsipras, peraltro lasciato solo: «La Grecia è stata costretta alla resa dall’isolamento che la Troika è riuscita a costruirle attorno. Sinistre, sindacati, popolo democratico, tutti siamo stati alla finestra, quindi la loro sconfitta è nostra per conseguenze e responsabilità». Il testo varato dall’Eurogruppo? «Non è solo inaccettabile per il popolo greco, ma è una minaccia e una sfida per tutti noi. Siamo tutti greci». Perché tanta ferocia contro i greci? Per rapinarli di tutto. E, intanto, per punirli, visto l’esito del referendum: «Avete alzato la testa? Ora, cittadini greci, vedrete cosa vi costa». La minaccia alla Grecia è in realtà rivolta a tutti noi: non provateci, o vi faremo fare la stessa fine.
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Ostellino: l’Ue è una truffa, ma l’Italia non osa denunciarla
Quando i capi di Stato di Germania e di Francia avevano reagito alle argomentazioni europee di Berlusconi, allora capo del governo, con sorrisetti ironici, qualcuno aveva attribuito l’episodio all’inadeguatezza personale del Cavaliere. «Ma Berlusconi era stato solo il pretesto che Germania e Francia avevano colto per dimostrare che l’Italia contava come il due di picche e che senza di loro non c’era trippa per i gatti», sostiene Piero Ostellino. «Ora, con Renzi, in occasione delle consultazioni con i greci, la situazione si è ripetuta. Niente sorrisini, ma il nostro capo del governo è stato semplicemente escluso dalle consultazioni di Germania, Francia e Commissione europea con la Grecia». Come era stato con Berlusconi, liquidato alla svelta, Renzi non ha partecipato alle consultazioni con i greci «perché l’Italia, per dirla con un’antica e cruda definizione, continua a essere solo una trascurabile entità geografica». Berlino e Parigi? «Mal sopportavano la pretesa di Berlusconi di recitare un ruolo pari al loro e la stessa cosa si ripete oggi con Renzi». La verità: «L’Italia è un concorrente scomodo, soprattutto può esserlo se le si dà corda sul piano industriale e commerciale».Germania e Francia si guardano bene dal “dare corda” all’Italia, scrive Ostellino sul “Giornale”. E quando Berlusconi tentò di alzare la testa, «fu fatto fuori con una congiura a metà finanziaria e a metà interna con la complicità dell’opposizione di sinistra – lo spread fatto salire a livelli vertiginosi, la minaccia di fallimento dell’Italia e la crisi di governo manovrata dal presidente della Repubblica Napolitano». Renzi, «più furbo del Cavaliere», evita di sfidare i “partner” dominanti, Germania e dalla Francia, «mettendosi al loro seguito». Servirebbero riforme per migliorare davvero il sistema, non certo quelle “suggerite” da Bruxelles: «Per avere crescita economica e forza politica, l’Italia non avrebbe dovuto, non dovrebbe, seguire le direttive europee, che sono fatte apposta per favorire la Germania e la Francia, ma provvedere alle riforme autonomamente, come cercano di fare ora i greci. Ciò che il linguaggio giornalistico chiama austerità, in realtà, è una politica europea che, deprimendo gli eventuali concorrenti, faccia gli interessi della Germania (soprattutto) e della Francia (in misura minore, ma ugualmente rilevante)».L’Unione Europea, ammette Ostellino, non è certo un organismo paritario: «Gli Stati membri non contano tutti allo stesso modo; c’è qualcuno, per dirla con Orwell, più uguale degli altri», vale a dire Germania e Francia. «L’Ue è una forma di associazione che serve gli interessi tedeschi e francesi, le sole due grandi potenze europee in grado di imporli grazie alle proprie condizioni economiche interne e, di conseguenza, a tutti gli altri paesi, Italia compresa». Finora, la politica di austerità ha fatto gli interessi soprattutto della Germania, e della Francia in misura minore. «Il merito del governo greco è stato di avere reagito a tale imposizione indicendo il referendum proprio sulle richieste dell’Ue e che si è risolto con un voto che rifiuta di adottare tali misure». Ma se l’Unione Europea «è una truffa», l’altro problema è che «gli italiani, si tratti di Berlusconi o di Renzi, non sono stati in grado di denunciarla», preferendo accodarsi, «un po’ per incultura e conformismo, molto per convenienza». La grande crisi? Poteva e doveva essere «l’occasione per chiedere una revisione dei trattati». Ma nulla di tutto ciò, ovviamente, è mai stato in agenda.Quando i capi di Stato di Germania e di Francia avevano reagito alle argomentazioni europee di Berlusconi, allora capo del governo, con sorrisetti ironici, qualcuno aveva attribuito l’episodio all’inadeguatezza personale del Cavaliere. «Ma Berlusconi era stato solo il pretesto che Germania e Francia avevano colto per dimostrare che l’Italia contava come il due di picche e che senza di loro non c’era trippa per i gatti», sostiene Piero Ostellino. «Ora, con Renzi, in occasione delle consultazioni con i greci, la situazione si è ripetuta. Niente sorrisini, ma il nostro capo del governo è stato semplicemente escluso dalle consultazioni di Germania, Francia e Commissione europea con la Grecia». Come era stato con Berlusconi, liquidato alla svelta, Renzi non ha partecipato alle consultazioni con i greci «perché l’Italia, per dirla con un’antica e cruda definizione, continua a essere solo una trascurabile entità geografica». Berlino e Parigi? «Mal sopportavano la pretesa di Berlusconi di recitare un ruolo pari al loro e la stessa cosa si ripete oggi con Renzi». La verità: «L’Italia è un concorrente scomodo, soprattutto può esserlo se le si dà corda sul piano industriale e commerciale».
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Giulietto Chiesa: via dall’Unione Europea, è un branco di lupi
Di fronte allo spettacolo di barbarie offerto dalla Germania nell’accanirsi contro Atene, nell’ambito della più grave crisi nella storia dell’Ue, anche Giulietto Chiesa – diffidente verso i No-Euro e a lungo incline a concepire una prospettiva politica di revisione democratica dell’Unione Europea – si arrende all’evidenza: Bruxelles non è solo una gang di tecnocrati prezzolati e “maggiordomi” dei poteri forti, messi lì per spremere paesi e popoli in nome del dominio del business finanziario. E’ anche una cosca spietata e sanguinaria, apertamente anti-europea, pronta a calpestare la stessa possibilità di sopravvivenza dei greci. «L’Unione Europea è un’associazione a delinquere», disse senza mezzi termini Marshall Auerback, economista del Levi Institute di New York, di fronte al “golpe dello spread” che a fine 2011 portò all’insediamento di Mario Monti in Italia, l’uomo scelto dalla finanza per imporre il celebre diktat della Bce (Draghi e Trichet) con brutali “riforme” come quella della Fornero sulle pensioni. Nemmeno quattro anni dopo, l’aggravarsi della crisi europea – complicata dalle inaudite tensioni belliche con la Russia in Ucraina – sta determinando contraccolpi politici, psicologici, culturali: questa «non è più Europa», si sente ripetere da più parti.In realtà, questa “non è mai stata Europa”, replicano i critici dell’europeismo franco-tedesco. Secondo Paolo Barnard, autore de “Il più grande crimine” (saggio che illumina, con anni di anticipo rispetto alla catastrofe odierna, la genesi dell’euro come strumento di dominio dell’élite finanziaria a spese degli Stati e dei popoli) l’Unione Europea non è mai stata altro che questo: pura confisca di democrazia, senza contropartite di alcun genere. Confisca istituzionalizzata mediante organismi non elettivi, espressione diretta del “vero potere” neoliberista nemico del welfare e persino dello Stato di diritto. Un regime ideologico che in Europa si è alimentato anche con teorie risalenti all’800, l’economia neoclassica (pagare i lavoratori il meno possibile) e il tragico mercantilismo tedesco (la vocazione all’export, che comprime i salari e deprime la domanda interna). La fobia teutonica dell’inflazione, di hitleriana memoria, si è saldata con la demonizzazione del debito pubblico, motore naturale dell’economia espansiva (se il debito è denominato in moneta nazionale). E’ semplicemente sconcertante, sostiene il politologo Aldo Giannuli, che la sinistra europea non si sia mai accorta del “mostro” cresciuto a Bruxelles; ovvio, quindi, che oggi non abbia proposte, perché qualsiasi vera alternativa democratica comporterebbe innanzitutto la denuncia dell’Ue e del suo braccio secolare, l’euro, come strumenti di pura dominazione antipopolare.Peggio ancora: proprio la sinistra ufficiale – da Mitterrand in poi – ha conferito il massimo supporto al progetto europeista, ben sapendo che la “disciplina di bilancio” indotta fisiologicamente da una non-moneta come l’euro avrebbe causato tagli devastanti alla spesa sociale e abrogazione di diritti e storiche conquiste. Quello che accade oggi in Grecia, dunque, non è che una logica conseguenza, il modus operandi “naturale” di un impianto oligarchico di potere, che non guarda in faccia a nessuno. Proprio la ferocia dimostrata contro Atene, per giunta “colpevole” di aver osato sfidare il regime di Bruxelles con un referendum, finisce per scuotere anche chi aveva sperato in una residua quota di ragionevolezza, se non altro per evitare di consegnare il continente a una pericolosa deriva incarnata da populismi ultra-nazionalisti, spesso xenofobi e neofascisti. «Sono in molti a dire apertamente che ciò che si è consumato a Bruxelles il 13 luglio 2015 è stato un “colpo di Stato”», scrive Chiesa su “Sputnik News”. Un golpe, «realizzato con strumenti finanziari, con un ricatto dei forti contro i deboli, che implica e si regge su un atto di forza, su un’imposizione illegittima».Per il giornalista, autore del profetico libro-denuncia “La guerra infinita” che illustrò con anni di anticipo il piano egemonico dei neocon statunitensi e le “guerre americane” puntualmente condotte negli ultimi anni, la crisi fra Berlino e Atene «è l’inizio della fine dell’Europa come entità che si proponeva di essere unitaria e si rivela ora un’accozzaglia di egoismi, che non è nemmeno possibile definire “nazionali”, poiché sono stati dettati dalla frenesia del guadagno delle élites bancarie internazionali». Questa è ormai «un’Europa senza solidarietà e divisa, spaccata. Con la Germania (ma che dico?, con una parte della Germania; ma che dico?, con un partito tedesco – la Cdu-Csu – guidato da un ministro delle finanze, Wolfgang Schäuble, che combatte contro la premier del suo partito Angela Merkel) che si trascina dietro sei Stati dell’est, tutti antieuropei in sostanza, e che pretende di fare la lezione a tutta la restante Europa, per costringerla ad accettare il modello tedesco». Giulietto Chiesa cita l’ex ministro greco Yanis Varoufakis: la vera posta in gioco non è Atene ma Parigi, perché il piano degli oligarchi tedeschi consiste nel «mettere il timore di Dio nei francesi, costringendo la Grecia a uscire dall’euro».Dunque, conclude Chiesa, «la Grecia è stata usata, anche (non solo come la vittima sacrificale da esibire sulle piazze d’Europa, come l’avvertimento, come la gogna che attende tutti coloro che osassero ribellarsi in futuro), come una mazza ferrata per imporre la volontà dei banchieri tedeschi a tutti gli altri paesi». Quella di Bruxelles, allora, è «un’Europa che si comporta come un branco di lupi». Sicché, «questa Europa finisce, insieme alla Grecia indipendente e sovrana». Una constatazione che «dovrebbe aprire una riflessione a tutte le forze europee, democratiche e che vogliono conservare le loro sovranità nazionali, sulla “questione tedesca”». Attenzione: «Per la terza volta, nella sua storia moderna, la Germania mette e repentaglio la pace nel continente. Un’Europa senza Germania è sempre stata impensabile. Ma una Germania che non è in grado di moderare la sua pulsione al dominio diventa il nemico di ogni idea europea comune».Per quanto concerne la Grecia, la soluzione imposta a Tsipras, «mostruosa sotto ogni profilo», non è che «una tappa verso un disastro, non solo economico: è l’esistenza stessa della democrazia che è stata annientata», costringendo i greci ad accettare un piano economico peggiore di quello che, col referendum, avevano rifiutato. «Perfino la proprietà privata, dei singoli e dello Stato, è stata cancellata. Con totale impudenza, quella del vae victis – continua Giulietto Chiesa – la Germania ha preteso il controllo diretto di 50 miliardi di euro di proprietà greche attraverso il Kfw (Kreditanstalt Fur Wiederanfbau, Istituto di Credito per la Ricostruzione), che altro non è che una banca tedesca (80% dello Stato e 20% dei laender) e il cui presidente è Wolfgang Schäuble».Peraltro, proprio la Kfw (la “Cdp” tedesca) è lo strumento col quale la Germania ha regolarmente aggirato le restrizioni sull’euro, acquisendo moneta praticamente a costo zero per finanziare il governo – la Kwf è giudiricamente privata, ma di fatto chi comanda è lo Stato. Nessuno, però, si è mai permesso di far osservare ai tedeschi che stavano barando: hanno imposto il costo dell’euro a tutta l’Eurozona (moneta che ogni paese può ottenere solo con l’emissione di titoli di Stato, attraverso il sistema bancario privato), mentre Berlino, sottobanco, ha trovato il modo di finanziarsi impunemente in modo assai più economico. Inutile, quindi, aspettarsi che simili oligarchi potessero fare la benché minima concessione sulla indispensabile ristrutturazione del debito greco, «che è un debito illegale e estorto con l’inganno e con la complicità dell’Europa e della Germania», ricorda Giulietto Chiesa. «Non c’è più nemmeno l’ombra dell’economia di mercato: questa è rapina e violenza allo stato brado».Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia, ha spesso tuonato contro i “maghi” dell’austeriy europea, che impongono solo e sempre ricette disastrose. Sbagliano? No, lo fanno apposta: retrocedere i popoli, ex consumatori ormai inutili, fa parte del piano. Diverranno lavoratori-schiavi, senza più diritti sindacali e con salari da Bangladesh, alla periferia meridionale del Quarto Reich. Giulietto Chiesa cita ancora il greco Varoufakis, che bene esprime il panico di Syriza di fronte all’ipotesi Grexit: l’ex ministro, che oggi accusa Tsipras di non aver osato tener duro di fronte al “waterboarding” cui è stato sottoposto a Bruxelles, sostenendo che si poteva reggere molto meglio il braccio di ferro e spuntare condizioni migliori per restare nell’Eurozona, cita l’Iraq (paese bombardato, invaso, raso al suolo) come esempio per spiegare le enormi difficoltà nel rimettere in piedi una moneta partendo da zero (missione impossibile, in quel caso, senza l’aiuto Usa). In più, lo stesso Varoufakis evita di citare – come invece fa Krugman – il caso eclatante dell’Argentina, la cui prodigiosa rinascita è iniziata proprio con l’abbandono del legame col dollaro (cambi bloccati, come nel caso dell’euro) tornando pienamente sovrana, “da zero”, dei propri pesos.Se è quindi chiaro che nessun Varoufakis avrebbe mai potuto – con quelle argomentazioni – impensierire neppure lontamente la Bce e la Commissione Europea (oltre a non aver messo a punto un vero piano-B, il governo di Syriza non ha nemmeno pensato a reclutare un adeguato team di economisti, per esempio quelli, americani e democratici, di cui si servì Nestor Kirchner per la rianimazione-record della sua Argentina), resta di fronte agli occhi di tutti lo spettacolo dell’orrore che Berlino e Bruxelles hanno esibito, a prescindere dall’impresentabilità di Syriza – spettacolo che non mancherà di suscitare ripercussioni drastiche, a partire dalla Francia di Marine Le Pen, l’unico leader europeo a chiedere a gran voce, e non da oggi, l’uscita di Parigi dall’Unione Europea, prospettiva che ormai sfiora l’Austria e nel 2017 chiamerà al voto anche la Gran Bretagna. L’incubo Grexit – espulsione disordinata, non preparata come invece nel caso argentino – comporterebbe «conseguenze sociali e politiche sconvolgenti: sicuramente provocazioni, disperazione, disordini, sangue», scrive Giulietto Chiesa. «Questa è l’Europa, oggi. Bisogna prepararsi a uscirne, per tempo».Di fronte allo spettacolo di barbarie offerto dalla Germania nell’accanirsi contro Atene, nell’ambito della più grave crisi nella storia dell’Ue, anche Giulietto Chiesa – diffidente verso i No-Euro e a lungo incline a concepire una prospettiva politica di revisione democratica dell’Unione Europea – si arrende all’evidenza: Bruxelles non è solo una gang di tecnocrati prezzolati e “maggiordomi” dei poteri forti, messi lì per spremere paesi e popoli in nome del dominio del business finanziario. E’ anche una cosca spietata e sanguinaria, apertamente anti-europea, pronta a calpestare la stessa possibilità di sopravvivenza dei greci. «L’Unione Europea è un’associazione a delinquere», disse senza mezzi termini Marshall Auerback, economista del Levi Institute di New York, di fronte al “golpe dello spread” che a fine 2011 portò all’insediamento di Mario Monti in Italia, l’uomo scelto dalla finanza, con la collaborazione di Napolitano, per imporre il celebre diktat della Bce (Draghi e Trichet) con brutali “riforme” come quella della Fornero sulle pensioni. Nemmeno quattro anni dopo, l’aggravarsi della crisi europea – complicata dalle inaudite tensioni belliche con la Russia in Ucraina – sta determinando contraccolpi politici, psicologici, culturali: questa «non è più Europa», si sente ripetere da più parti.
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Della Luna: con politici servi, non basterà uscire dall’euro
E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.Probabilmente la parte in buona fede, cioè la meno intelligente, di quelle persone, pur consapevole che la scarsità monetaria è un’illusione, ha collaborato ad affermarla come principio, ad introdurre i vincoli dell’austerità, la frusta dei mercati, il pungolo del rating e la minaccia dello spread, credendo che attraverso questi vincoli quantitativi sia possibile indurre i sistemi politici scadenti a usare bene la moneta, cioè a spendere in modo efficiente, produttivo, a fare riforme, ad ammodernarsi, a sopprimere gli sprechi e la corruzione. La prova dei fatti ha dimostrato che questa credenza era erronea, e che anzi i limiti quantitativi dell’austerità in diversi casi hanno prodotto un peggioramento qualitativo della spesa pubblica, oltre che a un peggioramento quantitativo del deficit, del debito, del Pil, del rating, dell’occupazione (i governi italiani del rigore, per esempio, hanno mantenuto e ampliato la spesa improduttiva destinata ai privilegi della casta, tagliando quella utile alla collettività, perché la casta, per conservare i suoi consensi e i suoi redditi mentre fa tagli della spesa sociale e aumenti di tasse, deve fare più clientelismo e più ruberie).Dire, con Tsipras e altri sedicenti di sinistra, che di fronte a questo fallimento dell’austerità, la soluzione sarebbe semplicemente più solidarietà, fare più spesa a deficit e comunitarizzare i debiti, significa voler restare entro il paradigma della scarsità monetaria. Specularmente, l’altro fronte del pensiero monetario sostiene che la soluzione del problema del rilancio economico sia l’approccio opposto, ossia smetterla coi mendaci dogmi della scarsità monetaria e con le relative, fallimentari ricette, e fare invece investimenti statali diretti mediante spesa pubblica a debito (che tanto lo Stato riesce sempre a sostenere, come dice la Modern Money Theory di Warren Mosler, stante che la moneta è un mero simbolo) oppure, meglio ancora, mediante una spesa sganciata dall’indebitamento (come raccomanda Antonino Galloni) attraverso l’emissione diretta di moneta da parte dello Stato. Ciò darebbe più benessere alla gente e slancio allo sviluppo, ma non migliorerebbe, anzi probabilmente peggiorerebbe, la qualità e l’efficienza della spesa, della produttività e della stessa società, incentivando atteggiamenti improduttivi, assistenzialisti e ristagnanti. Soprattutto nei paesi come l’Italia in cui la classe dominante è parassitaria e retriva, e la mentalità popolare è molto ideologica, e ampia parte della popolazione vive di redditi presi ad altra parte della popolazione. La storia insegna.La lezione da imparare e che la qualità e l’efficienza della spesa, cioè delle decisioni di spesa pubblica e privata, dipendono da fattori sociologici e politici inerenti ai differenti popoli, o ai differenti insiemi di popoli, e derivano dalle loro diverse storie. Lo dimostra il fatto che alcune nazioni vanno bene e altre male pur applicando o subendo tutte i medesimi erronei principi di economia monetaria. Cioè l’efficienza dipende dai fattori storici, sociologici, culturali; dai mores, dai meccanismi di produzione del consenso e della coesione di questo o quel popolo. I vincoli quantitativi esogeni non “correggono” questi fattori – semmai li accentuano. La Germania, il Veneto, la Lombardia hanno una spesa pubblica abbastanza efficiente; la Grecia, l’Italia, Roma, la Sicilia e la Campania no, perché hanno prassi, mores, mentalità diversi, che non correggi imponendo vincoli esterni di bilancio. I popoli efficienti non dovrebbero avere una moneta comune con i popoli inefficienti, né pagare per sostenerli. L’esperienza dell’euro mostra che imporre una moneta comune (anzi, un cambio fisso) a popoli con diverse efficienze non alza quella dei meno efficienti, ma li impoverisce; e l’esperienza dell’Italia unitaria, della Jugoslavia e di altri paesi simili mostra che non la alza nemmeno l’imporre l’unione di bilancio e la solidarietà.Tutti questi fattori, però, vengono oggi superati, sconvolti e travolti dal fatto che il grosso della spesa, dei movimenti monetari, cioè del business, avviene in mercati finanziari, apolidi, e secondo logiche aliene dalla produzione di beni e servizi e dal soddisfacimento dei bisogni reali. Se il 90% delle transazioni monetarie avviene in mercati speculativi liberalizzati, perlopiù opachi e non controllabili, il ruolo delle società, della politica e delle istituzioni nelle scelte di spesa, quindi lo stesso grado di efficienza specifica dei vari organismi nazionali, viene drasticamente ridotto. Le dinamiche e le richieste dei mercati speculativi cambiano continuamente le carte sui tavoli politici e schiacciano le decisioni degli attori del residuo 10% delle transazioni economiche, cioè dei popoli e dell’economia reale, pubblica e privata. Tendono a imporre loro i propri bisogni e le proprie decisioni, a fare di essi una loro colonia, una sorte di appendice, che serve essenzialmente ad assicurare al business speculativo riferimenti contabili stabili e un quadro legislativo-giudiziario di supporto. I bisogni della gente non devono interferire. Perciò lo Stato è divenuto rappresentante di interessi esterni e in conflitto con quelli del popolo, quindi ha perso la legittimazione rispetto a questo.(Marco Della Luna, “Dopo la scarsità monetaria”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2015).E’ fallita nei fatti l’idea che si possa indurre il miglioramento qualitativo della spesa pubblica dei paesi inefficienti imponendo a questa spesa vincoli quantitativi nonché il falso dogma della scarsità monetaria. Coloro che prendono le decisioni finanziarie generali sanno che, in un mondo che usa simboli come moneta, la scarsità monetaria è irreale, è un’illusione (cioè sanno che non ha senso logico dire che manchi e non si possa produrre la moneta necessaria per investimenti utili, che essa prima vada risparmiata e accumulata e solo dopo si possa investire, che sia utile o necessario rispettare il pareggio di bilancio, che vi siano limiti oggettivi e logici alla quantità di debito pubblico sostenibile: non ha senso dire tali cose, perché la moneta che si usa è appunto un mero simbolo senza costo di produzione, senza valore intrinseco, e la moneta legale non costituisce nemmeno un titolo di debito). Quindi, nella misura in cui serve, la moneta può essere prodotta sempre e nella quantità richiesta. Il difficile non è produrne quanta ne serve, ma usarla bene, decidere bene come spenderla: un problema politico, ossia di fare scelte tecnicamente valide nell’interesse generale di medio-lungo termine, e che tali siano percepite, anziché scelte di spesa di interesse personale, clientelare, mafioso, tecnicamente inefficienti, miopi, clientelari, demagogiche.
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Lottare contro questa Ue? Archiviamo Tsipras e i suoi fans
C’è una sinistra che non vincerà mai, anzi che merita di perdere, ed è quella che non accetta di chiamare le cose con il loro nome e di riconoscere le sconfitte. I sostenitori di Tsipras? Passati, in meno di una settimana, «dalla più spensierata euforia alla più cupa depressione». Già, perché «vincere in modo travolgente un referendum, per poi proporre un accordo che coincide per il 95% con le condizioni di quello rifiutato, è già cosa difficile da digerire». Ma se poi si va ad una intesa «incomparabilmente peggiore, punitiva, tracotante», allora «non c’è scampo e ci si arrocca nel delirio». Aldo Giannuli osserva la battaglia sul web fra i delusi di Tsipras e i fanatici a oltranza della “Brigata Kalimera”, che non si rassegnano e invocano la “vittoria morale”. Fra i primi c’è chi accusa Tsipras di tradimento, di aver giocato sporco sin dall’inizio, di essere un agente della Bce che ha raggirato il popolo con un falso referendum: «E questa è l’ala più genuinamente di sinistra, quelli che ci hanno creduto e si sentono traditi». Quella che Giannili chiama “la Brigata Kalimera”, cioè «i neo socialdemocratici di Sel, Rifondazione, Altra Europa e moderati vari e travestiti, che giocano a fare i radicali» difende Tsipras a oltranza, arrampicandosi sugli specchi.C’è chi dipinge il leader di Syriza come un diabolico Machiavelli, che alla fine otterrà la riduzione del debito, chi esalta le sostanziose migliorie strappate (quali?), e chi, «con doppio salto mortale carpiato, tenta di dimostrare che il referendum voleva la permanenza nell’euro e questo è stato ottenuto». C’è anche chi, «contro ogni evidenza», continua a sperare in un “piano B” che porterà alla vittoria: «Mi ricorda quelli che, sino al maggio del 1945, continuarono a sperare nelle armi segrete della Germania che avrebbero rovesciato le sorti del conflitto. Con una differenza, però: che gli invasati nazifascisti, almeno, combatterono sino all’ultimo (spesso lasciandoci la pelle)», mentre questi «si limitano a fare il tifo: non sono stati capaci di promuovere una conferenza delle opposizioni europee per una campagna di difesa della Grecia, ma che dico? Non sono stati capaci di organizzare neanche una manifestazione di appoggio, ma adesso mostrano tutto il loro vigore militante. Almeno avessero il pudore di stare zitti».Già prima del gran rifiunto della Commissione Europea, continua Giannuli, lo stesso Tsipras aveva ha dichiarato che le proposte di accordo avanzate erano “lontane dalle promesse della campagna elettorale”. Poi, la riduzione del debito non è stata concessa: e i tedeschi dichiarano che “non esiste” questa possibilità, eppure «alcuni tsiprioti a oltranza ne parlano come se fosse cosa fatta». Anche la rottura in Siryza, che coinvolge anche il ministro “dimissionato” Varoufakis, non li fa recedere di un millimetro «anche se, sino a pochi giorni fa, era il vice-idolo della Brigata Kalimera». E non solo: «Neppure le condizioni catastrofiche dell’accordo raggiunto (di fatto la confisca dei beni di Stato, il commissariamento della Troika, i licenziamenti collettivi) valgono a scalfire la fede nel grande leader Alexis». Giannuli non crede che Tsipras sia «un traditore venduto», ma è convinto che si sia dimostrato un disastroso incapace: che senso ha «chiedere un incontro per riaprire i negoziati e presentarsi senza l’ombra di una proposta, che poi viene fatta all’indomani e per dire che andavano bene le condizioni di dieci giorni prima?».Che logica ha tutto questo? Il voltafaccia «presupporrebbe la complicità di Varoufakis», ma allora «non si spiegherebbe il suo dissenso attuale, a meno di non pensare che il solo Tsipras abbia ordito tutto da solo, ingannando anche quell’altro genio del suo ministro». Improbabile: «Queste sono le cose di cui può essere capace un Talleyrand, un Valentino Borgia, un Richelieu, un Metternich, e non mi pare che siamo a questi livelli. E’ una cosa troppo intelligente per uno come lui che è solo un simpatico giovanotto, che tiene sfitto l’ultimo piano». Il complotto? Una “leggenda”: «I nostri personaggi sono troppo piccoli per vestire i panni dei grandi congiurati, e mi pare evidente che non si possa sostenere decentemente che, dietro questa calata di braghe con accompagnamento musicale, ci sia chissà quale mefistofelica astuzia per ottenere chissà cosa chissà quando». Il taglio del debito? «Anche se fosse ottenuto, resterebbero da trovare le risorse per rilanciare gli investimenti e riassorbire l’occupazione, per di più in una situazione in cui l’appartenenza all’area euro sarebbe un ostacolo formidabile alle esportazioni». Per cui, anche se il taglio fosse mai concesso (e non lo sarà) saremmo ancora “sotto la tenda di ossigeno”.Secondo Giannuli, la triste verità è che Tsipras «non ha alcun piano coperto: non c’è un pensiero recondito perché l’uomo, proprio, non pensa. E non considera che con i suoi accordi, entro uno o due anni (sempre che lui ci sia ancora) starà di nuovo affrontando una nuova emergenza perché il debito si riprodurrà fatalmente per via degli interessi». La dura realtà è che «i suoi sostenitori non riescono ad accettare l’idea che Tsipras è un incapace. E si infuriano se glielo fai notare, perché questa è anche la loro misura: i neo socialdemocratici che non sanno immaginare nulla di diverso dall’esistente». Ribaltare l’assetto oligarchico dell’Ue basato sull’euro richiede «coraggio, capacità progettuale, rigore analitico, onestà intellettuale, determinazione, chiarezza strategica e abilità tattica. Tutte qualità che mancano a questi quattro pellegrini della Brigata Kalimera che sono i primi da togliere davanti se vogliamo costruire una sinistra all’altezza dei tempi».C’è una sinistra che non vincerà mai, anzi che merita di perdere, ed è quella che non accetta di chiamare le cose con il loro nome e di riconoscere le sconfitte. I sostenitori di Tsipras? Passati, in meno di una settimana, «dalla più spensierata euforia alla più cupa depressione». Già, perché «vincere in modo travolgente un referendum, per poi proporre un accordo che coincide per il 95% con le condizioni di quello rifiutato, è già cosa difficile da digerire». Ma se poi si va ad una intesa «incomparabilmente peggiore, punitiva, tracotante», allora «non c’è scampo e ci si arrocca nel delirio». Aldo Giannuli osserva la battaglia sul web fra i delusi di Tsipras e i fanatici a oltranza della “Brigata Kalimera”, che non si rassegnano e invocano la “vittoria morale”. Fra i primi c’è chi accusa Tsipras di tradimento, di aver giocato sporco sin dall’inizio, di essere un agente della Bce che ha raggirato il popolo con un falso referendum: «E questa è l’ala più genuinamente di sinistra, quelli che ci hanno creduto e si sentono traditi». Quella che Giannili chiama “la Brigata Kalimera”, cioè «i neo socialdemocratici di Sel, Rifondazione, Altra Europa e moderati vari e travestiti, che giocano a fare i radicali» difende Tsipras a oltranza, arrampicandosi sugli specchi.
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La mafia tedesca uccide la Grecia, ma l’Ue subirà rivolte
Per una volta consentitemelo: la previsione formulata la sera del referendum (“ora vedrete cos’è davvero l’Europa“) ha trovato drammatica conferma. L’establishment europeo – e soprattutto quello tedesco – ha voluto umiliare il popolo greco per aver osato, legittimamente, opporsi alle regole dell’austerità in Europa che si traducono in un dominio ingiusto della stessa Germania. Sono logiche imperiali, del colonizzatore sul colonizzato, che perlomeno spazzano via la retorica della fratellanza europea, della solidarietà fra i popoli, dell’Unione costruita nell’interesse delle giovani generazioni. I risultati del referendum rivelano che sono stati proprio i giovani greci ad esprimere a stragrande maggioranza (85% di no!) il rifiuto delle ricette europee. Tsipras ha sbagliato la gestione del successo, violando una delle regole fondamentali: non inizi una guerra se non sei sicuro di vincerla. E se non hai esaminato tutti gli scenari alternativi. Tsipras non aveva un piano B. Non ha capito che l’Europa non si fa riformare e che l’unica alternativa sarebbe stata l’uscita volontaria dall’euro.Alla fine non ha avuto la tempra per resistere ed è stato costretto a firmare una resa che è devastante sotto ogni punto di vista ed è di gran lunga peggiore degli accordi rifiutati solo poco più di una settimana fa. Ma sono funzionali al disegno della Germania e delle élite europee: servono da monito a tutti gli altri popoli, che, poveri ingenui democratici, devono sapere che esiste una sola salvezza, quella dell’euro e delle regole imposte dall’alto. E chi osa chiedere di cambiarle, le regole (in fondo era questo che voleva Tsipras) deve sapere che subirà le pene dell’inferno. Sono regole mafiose o, se preferite, da moderno Reich. Con un corollario di speranza. L’intimidazione non basta per mascherare la realtà. E la realtà è racchiusa in un grafico pubblicato qualche giorno fa dal “New York Times”. Oggi la disoccupazione in Grecia è più alta rispetto a quella degli Stati Uniti durante la Grande Crisi del ’29.Solo che gli Usa uscirono da quella crisi spaventosa con uno straordinario programma di rilancio dell’economia, mentre le misure imposte dalla Ue ai greci avranno quale prevedibilissimo effetto quello di far sprofondare ancor di più l’economia reale, dunque di far salire ulteriormente la disoccupazione e con essa la disperazione sociale. La Grecia con i miliardi che riceverà tirerà avanti ancora qualche mese o qualche anno. Poi la realtà prenderà il sopravvento e la gente non ascolterà più le illusioni di uno Tsipras, che peraltro è già politicamente morto. La rivolta sarà estrema, forse anche violenta, e con un epilogo già scritto: l’uscita dall’euro, la spaccatura dell’Europa, la ribellione (e i greci non saranno soli) contro quella che un pensatore straordinario come Zinoviev, con straordinaria preveggenza aveva definito 15 anni fa la dittatura invisibile.(Marcello Foa, “Possono schiacciare la Grecia, non possono manipolare la realtà”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 13 luglio 2015).Per una volta consentitemelo: la previsione formulata la sera del referendum (“ora vedrete cos’è davvero l’Europa“) ha trovato drammatica conferma. L’establishment europeo – e soprattutto quello tedesco – ha voluto umiliare il popolo greco per aver osato, legittimamente, opporsi alle regole dell’austerità in Europa che si traducono in un dominio ingiusto della stessa Germania. Sono logiche imperiali, del colonizzatore sul colonizzato, che perlomeno spazzano via la retorica della fratellanza europea, della solidarietà fra i popoli, dell’Unione costruita nell’interesse delle giovani generazioni. I risultati del referendum rivelano che sono stati proprio i giovani greci ad esprimere a stragrande maggioranza (85% di no!) il rifiuto delle ricette europee. Tsipras ha sbagliato la gestione del successo, violando una delle regole fondamentali: non inizi una guerra se non sei sicuro di vincerla. E se non hai esaminato tutti gli scenari alternativi. Tsipras non aveva un piano B. Non ha capito che l’Europa non si fa riformare e che l’unica alternativa sarebbe stata l’uscita volontaria dall’euro.
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Meglio il Grexit, malgrado la Merkel e la catastrofe-Tsipras
Meglio il Grexit, a questo punto – benché in una situazione catastrofica – piuttosto che restare sotto le forche caudine dell’Eurozona e della Troika, interessate solo ad annientare l’economia greca. Lo sostiene Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia, di fronte alle drammatiche notizie provenienti da Bruxelles. «Ovviamente le notizie che arrivano dall’Europa sono terribili, e c’è molta confusione su quanto sta accadendo». Primo capitolo della disfatta, la devastante inadeguatezza di Tsipras: «A quanto pare si è lasciato convincere, qualche tempo fa, che l’uscita dall’euro era del tutto impossibile». Peggio: «Sembra che Syriza non abbia nemmeno fatto alcun piano di emergenza per una moneta parallela (spero di scoprire che non sia così). Questo – aggiunge Karugman – l’ha lasciata in una posizione negoziale senza speranza». Inutile sorprendersi troppo, però: «So anche da persone che dovrebbero essere informate dei fatti che Ambrose Evans-Pritchard ha ragione quando dice che Tsipras sperava di perdere il referendum, per avere una scusa per la capitolazione».Ma attenzione: «Una resa sostanziale non è sufficiente per la Germania, che vuole un cambiamento di regime e l’umiliazione totale – e c’è una fazione importante che vuole proprio buttar fuori la Grecia, e praticamente apprezzerebbe il fallimento di uno Stato come avvertimento per gli altri». Infine, conclude Krugman in un post ripreso da “Voci dall’Estero”, «non so se qualche tipo di accordo potrebbe ancora essere approvato; ma anche se lo fosse, quanto tempo potrebbe durare?». Si viaggia a fari spenti, verso schianti teoricamente anche fatali: «Il fatto è che tutti i sapientoni che dicono che un Grexit è impossibile, che porterebbe ad una implosione completa, non sanno di cosa stanno parlando», aggiunge il Premio Nobel statunitense, di scuola neo-keynesiana. «Quando dico questo, non voglio dire che sono necessariamente in errore – credo che lo siano, ma chiunque sia convinto di qualcosa, qui, si sta illudendo. Quello che voglio dire, invece, è che nessuno ha esperienza di quanto sta accadendo davanti a noi».Per Krugman, è «impressionante» come la “saggezza convenzionale” in questo caso «fraintenda completamente il parallelo più vicino, l’Argentina 2002», cioè il collasso dell’economia del paese sudamericano – vincolato al dollaro – cui seguì la “resurrezione”, grazie al recupero di sovranità della moneta. «La solita narrativa è completamente sbagliata: la de-dollarizzazione non ha causato il collasso economico, ma lo ha seguito, e la ripresa è iniziata molto presto», insiste Krugman, ben sapendo che l’euro – cioè un sistema di cambi bloccati – ripropone lo stesso handicap dei pesos argentini vincolati al dollaro: la soluzione quindi è una sola, cioè lontano dall’euro. Certo, c’è un problema in più e si chiama Tsipras: «A questo punto ci sono solo delle alternative terribili, grazie alla inettitudine del governo greco e, cosa molto più importante, alla campagna del tutto irresponsabile di intimidazione finanziaria condotta dalla Germania e dai suoi alleati». Morale: «A meno che la Merkel non trovi miracolosamente un modo per offrire un piano molto meno distruttivo», secondo Krugman «il Grexit, per quanto possa essere terrificante, sarebbe meglio».Meglio il Grexit, a questo punto – benché in una situazione catastrofica – piuttosto che restare sotto le forche caudine dell’Eurozona e della Troika, interessate solo ad annientare l’economia greca. Lo sostiene Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia, di fronte alle drammatiche notizie provenienti da Bruxelles. «Ovviamente le notizie che arrivano dall’Europa sono terribili, e c’è molta confusione su quanto sta accadendo». Primo capitolo della disfatta, la devastante inadeguatezza di Tsipras: «A quanto pare si è lasciato convincere, qualche tempo fa, che l’uscita dall’euro era del tutto impossibile». Peggio: «Sembra che Syriza non abbia nemmeno fatto alcun piano di emergenza per una moneta parallela (spero di scoprire che non sia così). Questo – aggiunge Karugman – l’ha lasciata in una posizione negoziale senza speranza». Inutile sorprendersi troppo, però: «So anche da persone che dovrebbero essere informate dei fatti che Ambrose Evans-Pritchard ha ragione quando dice che Tsipras sperava di perdere il referendum, per avere una scusa per la capitolazione».
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Macché Grecia, Deutsche Bank esposta per 70.000 miliardi
Il problema non sono i soldi, sono gli “schiavi”: i greci, e con loro tutti noi “prigionieri” dell’Eurozona. La crisi ellenica assume i caratteri di una tragica farsa, con Tsipras che indice il referendum e il giorno dopo annulla il “no” proponendo lui stesso le misure-capestro della Troika? «La cosa che mi fa ridere è che tutta ’sta mucchia di cefali con l’insegnante di sostegno che sono praticamente tutti quelli che parlano della Grecia, vi fanno credere che il problema sono i debiti della Grecia verso creditori come Germania, Italia, Bce», scrive Paolo Barnard, proponendo di dare un’occhiata ai numeri: «La Grecia deve alla Germania 56 miliardi di euro, che sono 1/62esimo del Pil tedesco. E il ministro delle finanze tedesco Schaeuble fa un putiferio, come se perdere quegli spiccioli rovinasse la Germania. Però sta zitto, muto, bocca cucita, sul fatto che la sola Deutsche Bank ha il culo esposto a scommesse sui derivati per… SETTANTAMILA miliardi di euro. Basta che ne perda una frazione e la sberla che si beccano i tedeschi sarebbe 200 volte il debito Grecia-Germania». E allora non è questione di soldi, insiste Barnard: la posta in gioco è «non permettere alla Grecia di rompere il Tritaumani che Parigi e Berlino inventarono per rederci schiavi: la moneta unica».Cifre che sfuggono, regolarmente, alle analisi sui media mainstream. «L’eroe di cartone Yanis Varoufakis – continua Barnard – fu dimesso da ministro delle finanze greche (fonte “Financial Times”) quasi due mesi fa a una riunione dell’Ecofin a Riga, il 24 aprile. Fu un incontro simpatico, dove gli fu detto che era “un principiante, un cretino, un povero scemo, e che avrebbe vissuto poco”». Barnard, autore de “Il più grande crimine” (saggio-profezia sulla catastrofe dell’Eurozona) ricorda che lo stesso Varoufakis non ascoltò il suo consiglio (“chiama Warren Mosler della Me-Mmt a dirigere la Greekexit”), preferendo ricorrere all’economista Jamie Galbraith, troppo “vicino” alle grandi agenzie finanziarie mondiali per poter scommettere davvero sul ripristino della sovranità monetaria, traguardo verso il quale, invece, Mosler ha approntato tappe precise (un paracadute sociale, per uscire senza troppi scossoni dall’euro e rimettere in moto l’economia proprio grazie alla moneta nazionale). Varoufakis? E’ inutile che oggi faccia l’eroe, dice Barnard: è stato “licenziato” a Riga da Peter Kazimir, ministro delle finanze slovacco presente all’incontro, perché «non aveva una cazzo di idea su come salvare la sua gente. Io gliel’avevo data». Il mediatico Yanis? «Ignorante, economista da Topolino».«Come ho già scritto duemila volte, la storia della Grecia è una farsa», sostiene Barnard. La “notizia dell’anno” è un’altra: «Il dinosauro cinese è impazzito, è fuori controllo», e soprattutto «è vivo e mostriosamente pericoloso». Motivo: «Pechino ha voluto negli ultimi 10 anni seguire i consigli dei Chicago Boys, cioè vai con la tua atomica a tutta potenza sull’export (lo stesso che vorrebbero i “cago boys” italiani per l’Italia, cioè Borghi, Bagnai, Rinaldi), ma ora il gioco dell’export cinese, come sempre fu previsto dalla Mosler Economics, si è rotto. Con bassa crescita, crollo dei salari reali e della domanda interna (tutti tipici dell’export), la Cina sta soffrendo il più colossale, cataclismatico e micidiale assets-run della storia umana». Ovvero: «Gli investitori stanno svendendo tutto ciò che hanno comprato di cinese alla velocità del lampo, dai Corporate Bonds alle azioni, soprattutto azioni, titoli di Stato, riso cantonese, bastoncini, grappa alla rosa, ciabattine». Le perdite complessive per la Cina «sono arrivate in meno di due mesi a tremila miliardi di dollari solo in azioni! Immaginate il resto». Cina, dunque, non Grecia: «Quando il dinosauro cinese impazzisce e non mangia più come e quanto prima, noi non gli vendiamo più come prima, il petrolio crolla in prezzo, i minerali pure». Tuto questo, mentre la Grecia di Tsipras sembra consegnarsi definitivamente al suicidio a rate progettato dalla Troika.Il problema non sono i soldi, sono gli “schiavi”: i greci, e con loro tutti noi “prigionieri” dell’Eurozona. La crisi ellenica assume i caratteri di una tragica farsa, con Tsipras che indice il referendum e il giorno dopo annulla il “no” proponendo lui stesso le misure-capestro della Troika? «La cosa che mi fa ridere è che tutta ’sta mucchia di cefali con l’insegnante di sostegno che sono praticamente tutti quelli che parlano della Grecia, vi fanno credere che il problema sono i debiti della Grecia verso creditori come Germania, Italia, Bce», scrive Paolo Barnard, proponendo di dare un’occhiata ai numeri: «La Grecia deve alla Germania 56 miliardi di euro, che sono 1/62esimo del Pil tedesco. E il ministro delle finanze tedesco Schaeuble fa un putiferio, come se perdere quegli spiccioli rovinassero la Germania. Però sta zitto, muto, bocca cucita, sul fatto che la sola Deutsche Bank ha il culo esposto a scommesse sui derivati per… settantamila miliardi di euro. Basta che ne perda una frazione e la sberla che si beccano i tedeschi sarebbe 200 volte il debito Grecia-Germania». E allora non è questione di soldi, insiste Barnard: la posta in gioco è «non permettere alla Grecia di rompere il Tritaumani che Parigi e Berlino inventarono per rederci schiavi: la moneta unica».
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Segnatevi i nomi di chi oggi difende quel cretino di Tsipras
Il senso dell’operato della Commissione, che ha respinto la proposta di accordo dei greci (coincidente per il 95% con quella avanzata dalla stessa commissione tre settimane fa) è molto chiaro: farla pagare a Tsipras per il referendum. Le richieste di addolcimento avanzate da Atene erano ridicolaggini già al di sotto della decenza: rinviare l’aumento dell’Iva per le isole ad ottobre, in modo da salvare la stagione in atto, chiedere una dilazione delle prossime rate di pagamento, riservarsi di dettagliare i beni da privatizzare ad un secondo momento. E la speranza di ottenere un taglio del debito. La risposta è stata: non se ne parla nemmeno. E’ evidente il carattere tutto politico del No della Commissione e la sua valenza punitiva. Il referendum è stato uno sgarbo inaccettabile: Tsipras ha fatto passare il precedente di una consultazione popolare su un terreno che deve restare di stretta pertinenza delle tecnocrazie finanziarie dell’Unione. Dunque, possiamo dire che Tsipras “cade in piedi” uscendone da “vincitore morale”? Neanche per sogno: la sua è stata una mossa tardiva e mal congegnata: non si lancia una sfida di quel peso se poi non si è sicuri di difendere il risultato.Se fai un referendum, e di quel tipo, dopo devi difenderne l’esito sino all’ultima goccia di sangue. Mentre, già con la sua proposta di accordo, Tsipras ha perso la faccia: se dopo che il No vince con quelle percentuali, offri una intesa al 95% coincidente con la proposta bocciata, sei un pagliaccio ed è lecito chiedersi cosa avresti proposto se avessero vinto i Sì. Dunque, Tsipras aveva già perso, ma questo No della commissione, fa tracollare definitivamente Syriza. Questa non è una proposta di accordo, è un diktat: “niente promesse, le riforme le devi fare e in sette giorni, seguiranno altre richieste e non sappiamo nemmeno se così va bene perché di te non ci fidiamo”. Questo è quello che Tsipras si è sentito dire ed ora gli scenari che si aprono sono questi due: o si piega totalmente ai voleri berlinesi ed offre obbedienza pronta, rispettosa e leale anche per il futuro, o niente aiuti se non quelli umanitari e finisce fuori dell’euro in men che non si dica.Se sceglie la prima cosa Siryza si spacca, la piazza insorge, si va a nuove elezioni e lui non prende nemmeno il 15% dei voti. Se sceglie la seconda le banche non possono dare neppure 10 euro, lo Stato non può più pagare stipendi e pensioni e il paese è alla fame. E, a questo punto, non è nemmeno sicuro di trovare ancora la disponibilità di russi e cinesi a soccorrerlo, perché di uno così non si fida più nessuno. Ormai è diventato “a Dio spiacente e a li nimici sui”. Ha solo una mossa possibile da fare: dimettersi, passare la mano ad un presidente del consiglio più benaccetto nel salotto della Commissione (che, naturalmente farà tutto quel che gli si ordina). Si può solo sperare che, se l’interlocutore non è più il vituperato Alexis, non si senta dire “Di te non ci fidiamo” e, magari, ottenga qualche piccolo sconto. Ovviamente, anche in questo caso Siryza è finita.C’è chi dice che Alexis sia stato un ingenuo perché non si aspettava la mossa di bloccare i rifornimenti alle banche, paralizzando la vita quotidiana del greci. Uno che non si aspetta una mossa del genere non è un ingenuo, è un cretino. La verità è molto più semplice: Tsipras è un piccolo opportunista con niente in testa, che prova mossa per mossa ad ottenere qualcosa. Lui non ha nessun progetto per il suo paese, non sa dove mettere le mani, “campa” alla giornata e ha condotto le trattative senza nessun disegno. L’errore iniziale, da cui è disceso tutto il resto, è stato il non avere un piano di rilancio dell’economia del suo paese, un piano che non poteva non comportare l’uscita dall’euro, che è un lusso che un paese come la Grecia non si può permettere. Lui ha illuso l’elettorato promettendo di restare nell’euro e finirla con l’austerità e che questo sarebbe bastato a far rifiorire l’economia greca.Dimenticando (o non sapendo) che: a- lui poteva decidere di uscire dall’euro ma non di restarci, perché questo dipendeva dalla volontà degli altri di tenercelo; b- che l’euro non è separabile dalle politiche di austerity per i paesi indebitati; c- che anche ottenendo, per qualche miracolo speciale, permanenza nell’euro e fine delle politiche di austerity, resterebbe comunque il problema di reimpiantare un tessuto di imprese che risollevi l’economia nazionale esportando, e questo non lo fai con una moneta come l’euro. Pertanto, avere come caposaldo indiscutibile la permanenza nella moneta unica, la partita era già compromessa dall’inizio e la politica di tracheggiamento di questi mesi ha solo peggiorato la condizione di Atene. Per cui, se da un punto di vista tattico Tsipras non vale niente, in compenso, strategicamente è uno zero assoluto. Ed è anche un disonesto: una persona onesta non promette quel che non è certo di poter mantenere. Può dire al massimo “ci proverò”, ma non può promettere per certo.Uno che dice una cosa del genere o è un incompetente assoluto o è un truffatore, e truffare l’elettorato è l’azione più spregevole che un uomo politico possa fare, peggiore anche del prender tangenti. E mi pare che della stessa pasta siano tutti i neo-socialdemocratici (compresa la nuova stella del firmamento: Podemos) che promettono l’euro e la fine dell’austerità. Come dire: la botte piena, la moglie ubriaca e l’amante della moglie che paga il conto. Ragazzi: ogni tanto studiate qualcosa. Un’ultima considerazione: chi oggi difende Tsipras, sostenendo che si è comportato al meglio, ci sta dicendo che, al suo posto, avrebbe fatto lo stesso e, nel caso si trovasse al governo in Italia, farà lo stesso. Matita e taccuino, segnare i nomi e ricordarsene il giorno delle elezioni politiche. Io me ne ricorderò e, a suo tempo, ripubblicherò quei nomi.(Aldo Giannuli. “Tsipras: tutto è perduto, anche l’onore”, dal blog di Giannuli dell’11 luglio 2015).Il senso dell’operato della Commissione, che ha respinto la proposta di accordo dei greci (coincidente per il 95% con quella avanzata dalla stessa commissione tre settimane fa) è molto chiaro: farla pagare a Tsipras per il referendum. Le richieste di addolcimento avanzate da Atene erano ridicolaggini già al di sotto della decenza: rinviare l’aumento dell’Iva per le isole ad ottobre, in modo da salvare la stagione in atto, chiedere una dilazione delle prossime rate di pagamento, riservarsi di dettagliare i beni da privatizzare ad un secondo momento. E la speranza di ottenere un taglio del debito. La risposta è stata: non se ne parla nemmeno. E’ evidente il carattere tutto politico del No della Commissione e la sua valenza punitiva. Il referendum è stato uno sgarbo inaccettabile: Tsipras ha fatto passare il precedente di una consultazione popolare su un terreno che deve restare di stretta pertinenza delle tecnocrazie finanziarie dell’Unione. Dunque, possiamo dire che Tsipras “cade in piedi” uscendone da “vincitore morale”? Neanche per sogno: la sua è stata una mossa tardiva e mal congegnata: non si lancia una sfida di quel peso se poi non si è sicuri di difendere il risultato.