Archivio del Tag ‘economia’
-
Giovani senza lavoro, mai così tanti. Merito dell’Eurozona
Disoccupazione giovanile oltre il 44%, tasso generale al 12,7% e 40.000 occupati in meno in un anno. E’ l’impietosa fotografia dell’occupazione scattata dall’Istat sul mese di giugno, quando la percentuale dei senza lavoro è salita rispetto al mese precedente di 0,2 punti e quella dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni ha toccato la quota record del 44,2%. «A quattro mesi dall’entrata in vigore del Jobs Act e a dispetto dei toni trionfalistici del premier Matteo Renzi, che a maggio festeggiava perché “la macchina è finalmente ripartita”, la situazione del mercato del lavoro in Italia resta preoccupante», scrive il “Fatto Quotidiano”. «Il dato che più colpisce è quello relativo ai giovani: la disoccupazione giovanile fa segnare un nuovo record, salendo al 44,2% e toccando il livello più alto dall’inizio delle serie storiche mensile e trimestrali, nel primo trimestre 1977». E’ uno dei sintomi più visibili del disastro chiamato euro: «Gli odierni dati statistici mostrano che, dall’introduzione dell’euro, i paesi dell’Eurozona sono quelli cresciuti meno tra i paesi Ocse. Non solo: i paesi mediterranei sono quelli cresciuti meno tra i paesi dell’Eurozona, e l’Italia è il paese cresciuto meno tra quelli mediterranei».«Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi, occupati e disoccupati, è pari al 44,2%, in aumento di 1,9 punti percentuali rispetto al mese precedente», scrive l’Istat. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. Secondo i dati di giugno, il numero di disoccupati aumenta infatti dell’1,7% (+55.000) su base mensile, mentre nei 12 mesi il numero di disoccupati è aumentato del 2,7% (+85.000). In termini assoluti, a giugno l’istituto ha registrato 22.000 occupati in meno rispetto a maggio (-0,1%) e 40.000 in meno rispetto allo stesso mese del 2014 (-0,2%). Si tratta del secondo calo congiunturale degli occupati dopo quello di maggio (-0,3%). Ad aprile, invece, c’era stata una crescita dello 0,6%.Altro capitolo drammatico, ricevuto in dote dall’euro, gli investimenti: in Italia sono crollati del 20%, e nel Meridione del 38%. «Non si vedono reazioni correttive a quanto sopra, ma tutto continua nella suddetta direzione», scrive Della Luna. E gli aiuti dalle aree più efficienti a quelle meno efficienti «consentono a queste ultime di mantenere le loro inefficienze». Come s’è visto dall’analisi degli ultimi 15 anni, di fatto, l’euro funziona all’inverso di come era stato promesso: la moneta unica (ovvero: il blocco dei cambi) aumenta le divergenze tra i paesi che le adottano e «soffoca le economie più deboli, causando in esse disinvestimenti, disoccupazione, insolvenze, emigrazione di massa». L’euro in pratica «non aumenta l’efficienza, non corregge le pratiche sbagliate, non suscita reazioni di adattamento, ma peggiora le pratiche scorrette spingendo le classi dominanti a difendere le loro posizioni». L’euro è dunque una vera e propria catastrofe per l’economia europea: la moneta unica sta letteralmente disintegrando i paesi in cui è stata adottata. «I danni economici e sociali causati dall’euro sono immensi – conclude Della Luna – ma coloro che ne traggono vantaggio sono tanto forti, che riescono a imporre la continuazione del piano-euro senza notevoli difficoltà».Disoccupazione giovanile oltre il 44%, tasso generale al 12,7% e 40.000 occupati in meno in un anno. E’ l’impietosa fotografia dell’occupazione scattata dall’Istat sul mese di giugno, quando la percentuale dei senza lavoro è salita rispetto al mese precedente di 0,2 punti e quella dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni ha toccato la quota record del 44,2%. «A quattro mesi dall’entrata in vigore del Jobs Act e a dispetto dei toni trionfalistici del premier Matteo Renzi, che a maggio festeggiava perché “la macchina è finalmente ripartita”, la situazione del mercato del lavoro in Italia resta preoccupante», scrive il “Fatto Quotidiano”. «Il dato che più colpisce è quello relativo ai giovani: la disoccupazione giovanile fa segnare un nuovo record, salendo al 44,2% e toccando il livello più alto dall’inizio delle serie storiche mensile e trimestrali, nel primo trimestre 1977». E’ uno dei sintomi più visibili del disastro chiamato euro, scrive Marco Della Luna: «Gli odierni dati statistici mostrano che, dall’introduzione dell’euro, i paesi dell’Eurozona sono quelli cresciuti meno tra i paesi Ocse. Non solo: i paesi mediterranei sono quelli cresciuti meno tra i paesi dell’Eurozona, e l’Italia è il paese cresciuto meno tra quelli mediterranei».
-
Berardi: ma crescita di cosa? Di lavoro non c’è più bisogno
Alla fine degli anni ‘70, dopo dieci anni di scioperi selvaggi, la direzione della Fiat convocò gli ingegneri perché introducessero modifiche tecniche utili a ridurre il lavoro necessario, e licenziare gli estremisti che avevano bloccato le catene di montaggio. Sarà per questo sarà per quello, fatto sta che la produttività aumentò di cinque volte nel periodo che sta fra il 1970 e il 2000. Detto altrimenti, nel 2000 un operaio poteva produrre quello per cui nel 1970 ne occorrevano cinque. Morale della favola: le lotte operaie servono fra l’altro a far venire gli ingegneri per aumentare la produttività e a ridurre il lavoro necessario. Vi pare una cosa buona o cattiva? A me pare una cosa buonissima se gli operai hanno la forza (e a quel tempo ce l’avevano, perbacco) di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una cosa pessima se i sindacati si oppongono all’innovazione e difendono il posto di lavoro senza capire che la tecnologia cambia tutto e di lavoro non ce n’è più bisogno.Quella volta purtroppo i sindacati credettero che la tecnologia fosse un nemico dal quale occorreva difendersi. Occuparono la fabbrica per difendere il posto di lavoro e il risultato prevedibilmente fu che gli operai persero tutto. Ma si poteva fare altrimenti?, chiederete voi. Certo che si poteva. Una piccola minoranza disse allora: “Lavorare meno per lavorare tutti”, e qualcuno più furbo disse addirittura: “Lavorare tutti per lavorare meno”. Furono attaccati come estremisti, e alcuni li arrestarono per associazione sovversiva. Nel 1983 nel paese più brutto del mondo c’era un governo infernale guidato da una signora cui piaceva la frusta. Aveva detto che la società non esiste (“there is no such thing as society”) per dire che ognuno è solo e deve combattere contro tutti gli altri col risultato che uno su mille può far la bella vita e scorrazzare in Rolls Royce, uno su cento può vivere decentemente e tutti gli altri debbono fare la vita di merda che più di merda non si può immaginare.Ma ritorniamo a noi, mica sono pagato per parlar male dell’Inghilterra. Un bel giorno la signora decise che di miniere non ce n’era più bisogno e neanche di minatori. Cosa fareste se la vita vi fosse andata così male da ritrovarvi a fare il minatore in un paese di merda dove in superficie piove sempre e c’è la Thatcher, e sottoterra è anche peggio? Non so voi, ma nel caso io facessi il minatore e qualcuno mi dicesse che non c’è più bisogno di miniere ringrazierei il cielo e chiederei un salario di cittadinanza. Non così Arthur Scargill, che era il capo di un sindacato che si chiamava “Union Miners”. Un sindacato glorioso che organizzò una lotta eroica contro i licenziamenti, come direbbe Ken Loach. So bene che c’è poco da fare gli spiritosi perché fu una tragedia per decine di migliaia di lavoratori e per le loro famiglie: naturalmente i minatori persero la lotta, il lavoro e il salario, ed era solo l’inizio. La disoccupazione è oggi in crescita in ogni paese d’Europa. Metà della popolazione giovanile non ha un salario, o ha un salario miserabile e precario, mentre i riformatori europei hanno imposto un rinvio dell’età pensionabile da 60 a 62, a 64, a 65, a 67. E poi?C’è qualcuno che possa spiegarmi secondo le regole della logica aristotelica il mistero secondo cui per curare la disoccupazione dilagante occorre perseguitare crudelmente i vecchi che lavorano costringendoli a boccheggiare sul bagnasciuga di una pensione che non arriva mai? Nessuno che sia sano di mente mi risponde, perché la risposta non si trova nelle regole della logica aristotelica, ma solo nelle regole della logica finanziaria che con la logica non c’entra niente ma c’entra moltissimo con la crudeltà. Se la logica finanziaria contraddice la logica punto e basta, cosa farebbe una persona dotata di senso comune? Riformerebbe la logica finanziaria per piegarla alla logica, no? Invece Giavazzi dice che la logica vada a farsi fottere perché noi siamo moderni (mica greci).“Animal Kingdom” è il nome di un’azienda di Saint Denis che vende ranocchie e cibi per cani. “Candelia” vende mobili per ufficio. Sembrano aziende normali ma non lo sono affatto, perché l’intero business di queste aziende è finto: finti i clienti che telefonano, finti i prodotti che nessuno produce, finta perfino la banca cui le “fake companies” chiedono falsi crediti. Come racconta un articolo del “New York Times” del 29 maggio, da cui si deduce che il capitalismo è affetto da demenza senile, in Francia ci sono un centinaio di aziende finte, e pare che in Europa se ne contino migliaia. Milioni di persone non hanno un salario e milioni perderanno il lavoro nei prossimi anni per una ragione molto semplice: di lavoro non ce n’è più bisogno. Informatica, intelligenza artificiale, robotica rendono possibile la produzione di quel che ci serve con l’impiego di una quantità sempre più piccola di lavoro umano. Questo fatto è evidente a chiunque ragioni e legga le statistiche, ma nessuno può dirlo: è il tabù più tabù che ci sia, perché l’intero edificio della società in cui viviamo si fonda sulla premessa che chi non lavora non mangia.Una premessa imbecille, una superstizione, un’abitudine culturale dalla quale occorrerebbe liberarsi. Eppure economisti e governanti, invece di trovare una via d’uscita dal paradosso in cui ci porta la superstizione del lavoro salariato, insistono nel promettere la ripresa dell’occupazione e della crescita. E siccome la ripresa è finta, qualcuno ha avuto questa idea demente di creare aziende in cui si finge di lavorare per non perdere l’abitudine e la fiducia nel futuro, poiché i disoccupati di lungo corso (il 52,6% dei disoccupati dell’Eurozona sono senza lavoro da più di un anno) rischiano di perdere la fede oltre al salario. Ma torniamo al punto. Dice il giovane presidente del Consiglio che il reddito di cittadinanza è una cosa per furbi perché in questo paese chi lavora duro ce la può fare. Forse qualcuno sì, non me la sento di escluderlo, ma qui stiamo parlando di ventotto milioni di disoccupati europei. E a me risulta che la disoccupazione non è destinata a diminuire ma ad aumentare, e ti dico perché. Perché di tutto quel lavoro (duro o morbido non importa) non ce n’è più bisogno.Lo dice qualcuno che è più moderno di Renzi e di Giavazzi messi insieme, credete a me. Lo dice un giovanotto dotato intellettualmente che si chiama Larry Page. In un’intervista pubblicata da “Computer World” nell’ottobre del 2014 questo tizio, che dirige la più grande azienda di tutti i tempi, dice che Google investe massicciamente in direzione della robotica. E sai che fa la robotica? Rende il lavoro inutile, questo fa. Larry Page aggiunge che secondo lui solamente dei pazzi possono pensare di continuare a lavorare quaranta ore alla settimana. Si stringe nelle spalle e dice: Renzi, lavorare duro d’accordo, ma per fare che? Il Foreign Office nel suo Report dell’anno scorso diceva che il 45% dei lavori con cui oggi la gente si guadagna da vivere potrebbe scomparire domattina perché non ce n’è più bisogno. Caro Renzi, qui si tratta di cose serie, lascia fare ai grandi e torna a giocare con i videogame: occorre immediatamente un reddito di cittadinanza che liberi la gente dall’ossessione idiota del lavoro.La situazione infatti è tanto grave e tanto imprevista, che occorre un’invenzione scientifica che non è alla portata degli economisti. Ti sei mai chiesto cosa sia una scienza? Diciamo, per non farla troppo lunga, che è una forma di conoscenza libera da ogni dogma, capace di estrapolare leggi generali dall’osservazione di fenomeni empirici, capace di prevedere quello che accadrà sulla base dell’esperienza del passato, e per finire capace di comprendere fenomeni così radicalmente innovativi da mutare gli stessi paradigmi su cui la stessa scienza si fonda. Direi allora che l’economia non ha niente a che fare con la scienza. Gli economisti sono ossessionati da nozioni dogmatiche come crescita, competizione e prodotto nazionale lordo. Dicono che la realtà è in crisi ogni qualvolta non corrisponde ai loro dogmi, e sono incapaci di prevedere quel che accadrà domani, come ha dimostrato l’esperienza delle crisi degli ultimi cento anni.Gli economisti per giunta sono incapaci di ricavare leggi dall’osservazione della realtà, in quanto preferiscono che la realtà sia in armonia con i loro dogmi, e incapaci di riconoscere quando mutamenti della realtà richiedono un cambiamento di paradigma. Lungi dall’essere una scienza, l’economia è una tecnica la cui funzione è piegare la realtà multiforme agli interessi di chi paga lo stipendio degli economisti. Dunque sta ad ascoltarmi: non c’è più bisogno di Giavazzi, di tutti quei tristi personaggi che vogliono convincerti che l’occupazione presto riprenderà e la crescita anche. Lavoriamo meno per un reddito di cittadinanza, curiamoci la salute andiamo al cinema, insegniamo matematica e facciamo quel milione di cose utili che non sono lavoro e non hanno bisogno di scambiarsi con salario. Perché, sai che ti dico: di lavoro non ce n’è più bisogno.(Franco Berardi, “Di lavoro non ce n’è più bisogno”, dal numero di luglio della nuova edizione di “Linus”, ripreso da “Megachip” il 27 luglio 2015).Alla fine degli anni ‘70, dopo dieci anni di scioperi selvaggi, la direzione della Fiat convocò gli ingegneri perché introducessero modifiche tecniche utili a ridurre il lavoro necessario, e licenziare gli estremisti che avevano bloccato le catene di montaggio. Sarà per questo sarà per quello, fatto sta che la produttività aumentò di cinque volte nel periodo che sta fra il 1970 e il 2000. Detto altrimenti, nel 2000 un operaio poteva produrre quello per cui nel 1970 ne occorrevano cinque. Morale della favola: le lotte operaie servono fra l’altro a far venire gli ingegneri per aumentare la produttività e a ridurre il lavoro necessario. Vi pare una cosa buona o cattiva? A me pare una cosa buonissima se gli operai hanno la forza (e a quel tempo ce l’avevano, perbacco) di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una cosa pessima se i sindacati si oppongono all’innovazione e difendono il posto di lavoro senza capire che la tecnologia cambia tutto e di lavoro non ce n’è più bisogno.
-
Giannuli: sinistra, non vali niente. Facci un favore, sparisci
Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui. E, in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd. E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.In questi giorni, si affannano a difendere l’indecente Tsipras. “Non c’era altro da fare”, in Grecia? «Ma allora perché sbrodolarsela per 5 mesi e non chiudere subito, prima di svuotare le banche?». Tsipras “ci ha insegnato cosa significa lottare”? «Veramente ci ha insegnato come prenderle di santa ragione, dopo una manfrina di cinque mesi». Giannuli distingue tra dirigenti e militanti. «Per quanto riguarda i secondi il discorso è presto fatto: l’eredità del comunismo da caserma, per cui il gruppo dirigente va sempre difeso, con fede e senza riguardo per la ragione. La critica per loro è un’oziosa perdita di tempo, loro “credono”, non ragionano e sfidano impavidi il ridicolo. E poi ci sono le ragioni sentimentali: a questi militanti della sinistra, romanticamente, piace perdere, li fa sentire migliori, sfortunati ma migliori. Loro vogliono perdere ed è giusto accontentarli. E’ bene che questa sinistra perda sempre e chiudiamola qui». Dei dirigenti, invece, emerge un «assoluto cinismo»: a loro, «di Tsipras e del popolo greco non potrebbe interessare di meno». E’ solo una questione di marketing: appena 14 mesi fa avevano lanciato la lista “L’Altra Europa con Tsipras”, ora non possono rimangiarsi tutto. E’ troppo presto.Con quel “brand”, continua Giannuli, erano riusciti a superare per il rotto della cuffia lo sbarramento del 4%. «Poi la cosa, come era prevedibile e previsto, si è sfasciata due giorni dopo, fra accordi non rispettati, seggi contesi e slealtà varie», ma questo non toglie che, per ragioni di immagine, non si possa demolire «quello che è stato il marchio di impresa». Anche perché, solo pochi giorni fa, in occasione del referendum greco, «l’icona di santo Alexis era stata innalzata più luminosa che mai, senza far caso alle ambiguità e giravolte dei giorni precedenti, che facevano presagire che uso si sarebbe fatto della vittoria del “no”». Altrettanto cinico il risvolto elettorale italiano: «Il soggetto “nuovo” che sta per nascere sotto l’egida di Sel, al di là dei roboanti proclami anti-renziani, già pensa di entrare nella lista del Pd, come imposto dall’Italicum (o di coalizzarsi con il Pd se dovesse tornare il premio di coalizione)», sicché i suoi promotori «non possono presentarsi con trascorsi da estremisti che non danno affidamento». E’ tutto già scritto, insomma: questa sinistra italiana che ancora di dipinge come radicale è pronta, in realtà, ad accodarsi al Pd, proprio come un tempo si accodò a Prodi.«Questo è il cuore della questione», insiste Giannuli: «Loro farebbero ancora una volta come hanno fatto con il governo Prodi, piegandosi a votare le cose più indecenti come le missioni militari all’estero sotto comando militare americano, espellendo chi non era d’accordo. Fu così che raggiunsero l’obiettivo di perdere 3 elettori su 4 e restare fuori del Parlamento. Una sconfitta presto rimossa, a cui non ha fatto seguito alcuna riflessione critica. Per cui è evidente che oggi farebbero la stessa cosa di Tsipras, perché non hanno gli strumenti culturali per immaginare nulla di diverso». In altre parole: non hanno un’alternativa al dirigismo neoliberista autoritario dell’Ue. «Questo ci porta ad un altro aspetto drammatico della questione: i gruppi dirigenti della Brigata Kalimera non capiscono assolutamente nulla di economia monetaria e, più in generale, di economia. Secondo un suo autorevole esponente – racconta Giannuli – il cambio 1 a 1 fra marco orientale e marco occidentale fu un atto di generosità di Kohl. Peccato che, con l’arrivo dell’euro, poi quell’atto di generosità si sia spalmato su tutti gli altri paesi, per cui la Germania si è pagata la riunificazione – evitando l’equivalente di una “questione meridionale” – con il contributo del resto d’Europa. Khol è stato generoso, ma con i soldi degli altri».Secondo un altro illustre esponente di quella che Giannuli chiama “Brigata Kalimera”, «bisogna emettere liquidità evitando l’inflazione». Emettere liquidità attraverso la Bce di Draghi al guinzaglio della Merkel e di Schaeuble? «Si può provare con una novena alla Madonna di Lourdes», scrive Giannuli. Per un dirigente, ancora più autorevole, la Bce dovrebbe essere “prestatore di ultima istanza”, esattamente come lo era lo Stato nei confronti delle banche e dei soggetti di diritto privato in difficoltà. «Peccato che questa volta siano gli Stati ad aver bisogno di quel prestatore, che è un soggetto di diritto privato», replica Giannuli. «L’autorevole personaggio, che mette nelle mani di Francoforte le speranze di una Europa federale, evidentemente ignora come è fatto il board della Bce e come sono fatti i board delle banche nazionali che lo compongono». E’ come sperare che sia il lupo a far la guardia alle pecore. Nessuno si è accorto che neppure la Francia ha osato alzare la testa, tanto è grave ormai l’infiltrazione capillare dell’affarismo neoliberista privatizzatore, determinato a radere al suolo quel che resta degli Stati?Siamo nel 2015: com’è possibile dire ancora, seriamente, tante idiozie? Semplice: «Questi signori non leggono un accidenti, non sanno niente e non gli importa nulla di sapere qualcosa», scrive Giannuli. «Il loro “pensiero” politico si forma fra un articolo di “Repubblica”, una chiacchierata nella terrazza romana della signora Fulvia, un incontro alla bouvette di Montecitorio con un giornalista “bene informato” e, quando va bene, qualche veloce consultazione di Wikipedia. Mai la lettura di un libro, un seminario di studio, un convegno». Da tempo immemorabile, continua Giannuli, non compare una rivista teorica, non si fa una iniziativa di formazione, non si discute un documento politico di respiro, non si verifica un dibattito di qualche dignità. «Il risultato è un certo politico di cialtroncelli, che non sanno nulla e non pensano nulla, ma hanno solo il problema di vivere della rendita di qualche incarico istituzionale. E non sarebbe meglio che una cosa del genere sparisse definitivamente?».La sparizione storica della sinistra radicale – quella vera – era uno dei capisaldi del famigerato Memorandum di Lewis Powell, avvocato di Wall Street, ingaggiati già all’inizio degli anni ‘70 per liquidare i sindacati e la sinistra dei diritti, anche attraverso “istituzioni” come la Trilaterale e il Wto. Ora siamo al Ttip, e l’Europa fino a ieri ricchissima è letteralmente devastata dall’euro, ma né Tsipras né i suoi emuli italiani vedono il problema, nonostante il martirio della Grecia e la crisi che devasta l’Italia, la Spagna, il Portogallo, la Francia. Né si può sperare in una vera alternativa da parte dei pur volenterosi 5 Stelle: nonostante gli appelli ad approfondire le ragioni della crisi economica, verso una necessaria svolta sovranista, agli italiani non pervengono piani alternativi al rigore cieco. «Sono convinto – scrive Giannuli – che il M5S stia procedendo troppo lentamente nel processo di maturazione e stia facendo sciocchezze come la proposta del reddito di cittadinanza (solenne fesseria, peraltro condivisa da Sel, da Landini e, suppongo, anche da Rifondazione). Anche questo è il frutto di questo modo impressionistico e facilone di far politica e sono convinto che se il M5S non si dà una mossa, iniziando a fare più sul serio, non ha un grande futuro davanti a sé. Non si può vivere sempre di rendita delle brutture che fanno i governi in carica».Cara sinistra, facci una cortesia: sparisci. C’è bisogno di politici utili, che capiscano la crisi, e quindi che leggano e studino. Vendola e compagni? Possono accomodarsi all’uscita, nessuno ne sentirà la mancanza. Non uno, a sinistra del Pd, che abbia la capacità di fare un’analisi seria: cos’è davvero l’Unione Europea, cos’è la prigione dell’euro. Ecco perché non si vedono soluzioni all’orizzonte, neppure da parte dei grillini. Ed ecco spiegato il perché di tanta passione nel difendere Tispras: evidentemente, farebbero esattamente come lui (in Italia, si accontenterebbero di qualche poltrona elemosinata dal Pd). E’ impietoso, Aldo Giannuli, nei confronti dell’ex “sinistra radicale”, che ora si agita attorno a Sel per tentare di creare un nuovo polo, «senza idee su nulla e con un errore capitale, la fedeltà all’Ue». Durissimo, il politologo dell’ateneo milanese, già dirigente del Prc: non solo questa sinistra è compleamente inutile, ma è anche dannosa, perché confonde gli elettori e non aiuta l’Italia a vedere la luce oltre il tunnel della crisi. Prima spariscono, tutti quanti, e meglio è.
-
Strage di bambini: in Europa ne sparisce uno ogni 2 minuti
E’ la strage degli innocenti: sono centinaia, ogni anno, i bambini che scompaiono. Solo in Italia, secondo il ministero dell’interno, non meno di 15.000 minori negli ultimi quarant’anni. Che fine fanno? Finiscono in pasto agli orchi, denuncia l’avvocato Paolo Franceschetti, protagonista di clamorosi libri-inchiesta sugli “omicidi rituali”, da quelli del “Mostro di Firenze” agli ultimi recenti casi di cronaca che invadono i media. «I minori rapiti – sostiene Franceschetti – finiscono nella rete dei pedofili e dei trafficati di organi, nel peggiore dei casi diventano “attori” in atroci “snuff movie”, in cui vengono violentati, seviziati e infine uccisi davanti alla telecamera, nell’ambito di filmati destinati a pervertiti in grado di pagare milioni di euro, per quelle pellicole». Ma non è tutto: «Secondo la polizia di Stato – aggiunge Franceschetti – il conto delle piccole vittime potrebbe essere sottostimato, perché è difficile calcolare il numero dei bambini Rom che spariscono e, in genere, i figli degli immigrati clandestini, che non sono in grado di sporgere denuncia». Infine, a completare l’olocausto provvede la crisi economica: «Ci sono neonati “prenotati” e “comprati” subito dopo la nascita: è la tragedia della miseria».Sono spariti nel nulla e di loro si sono perse le tracce: scomparsi, per sempre. «Sono migliaia, in Italia, i bambini di cui non si hanno più notizie», conferma “Repubblica”. «Un piccolo esercito che in quarant’anni, dal 1974 al 2014, conta 15.117 minori. Di questi, la maggior parte (13.489) è rappresentata da bambini stranieri». Le cifre, allarmanti e drammatiche, sono state rese note da Vittorio Piscitelli, del ministero dell’interno, commissario straordinario per le persone scomparse. «I bambini e i ragazzini sono una componente preponderante delle persone che ogni anno scompaiono nel nostro paese: tra tutte le persone di cui si è registrata la sparizione, il 51,7% ha meno di 18 anni», annota il giornale. Tanti gli stranieri: «Facile pensare che la schiacciante maggioranza dei minori stranieri mai più rintracciati rispetto agli italiani, 13.489 contro 1.628, sia dovuta al fatto che questi ragazzini, che quando arrivano in Italia magari sui barconi vengono poi spediti nelle case di accoglienza, da queste strutture, come è noto, fuggono molto presto».Lo stesso Piscitelli spiega che «i minori stranieri non accompagnati sono il problema dei problemi. Si tende a non considerarli come persone scomparse, perché una volta giunti nel nostro paese non vogliono farsi identificare per non rischiare di dover rimanere in Italia. Ma i loro diritti vanno tutelati e non ci si può lavare le mani». Povertà e guerra le cause più frequenti, continua “Repubblica”: in generale, la causa della scomparsa «è sempre il disagio, la povertà o la guerra», e nel “64-65% dei casi il ritrovamento avviene nelle prime ore dopo la scomparsa, soprattutto nel caso dei minori, i quali non hanno risorse e quindi sono spinti a chiedere aiuto. «Di fronte a queste cifre la mobilitazione dovrebbe essere massima, e invece la crisi economica colpisce anche qui: il 116.000, numero telefonico europeo per i bambini scomparsi, rischia di chiudere a causa dei tagli della Commissione Europea». Ernesto Caffo, presidente del Telefono Azzuro, denuncia: «Ogni anno, nel mondo spariscono 8 milioni di bambini; in Europa 270.000, cioè uno ogni due minuti».In Italia, continua Caffo, dal maggio 2009 all’aprile 2015 il numero 116.000 ha gestito 610 casi di bambini spariti. Nel 38% dei casi si trattava di fughe da casa, nel 31% di fughe da istituti, nel 10% di sottrazioni internazionali, nel 6% di minori stranieri non accompagnati. Nel 2014 in Europa la linea 116.000 ha gestito 6.119 casi di bambini scomparsi. «Per cercare di arginare il fenomeno, bisogna essere più tempestivi nelle ricerche», avverte Mariacarla Bocchino, dirigente dello Sco, il Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato. «Una ricerca fatta nell’immediato – sottolinea – ha una percentuale di successo di almeno l’85%, mentre una ricerca ritardata di qualche ora potrebbe non avere mai percentuale di successo». Solo la Caritas ha accolto nell’ultimo anno oltre 400 minori non accompagnati. «Dal 2011 è aumentato in maniera esponenziale il numero dei minori non accompagnati accolti», racconta Maria Francesca Posa, responsabile dell’area minori della Caritas di Roma. «Nell’ultimo anno abbiamo accolto oltre 400 ragazzi, sfuggiti dai paesi devastati dalla guerre o dalla crisi economica. Arrivano qui in Italia con una speranza di futuro: si tratta perlopiù di ragazzi maschi, con un età media di 16 anni e con un livello di scolarità di 9».Durissimo monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, responsabile vaticano delle scienze sociali: «Con la globalizzazione dell’indifferenza, mossa dal solo profitto, i bambini vengono vittimizzati». Un campionario dell’orrore: «Vendita di organi, avviamento alla prostituzione e alla pornografia, narcotraffico, elemosina forzata, adozioni transfrontaliere irregolari, matrimoni forzati, reclutamento di bambini-soldato, schiavitù da parte di gruppi terroristici e lavoro forzato». Per far fronte a questo dramma, sostiene Sorondo, occorre «una buona politica economica e ambientale e un’istruzione di qualità e universale». Non manca chi vede nel fenomeno un sintomo desolante della fine della nostra civilità: i bambini rappresentano il futuro, martirizzarli significa puntare sul suicidio collettivo. Franceschetti va oltre l’immaginabile, svelando l’esistenza di network esoterici «al vertice della società, dell’economia e della finanza», composti di individui convinti – come scriveva il mago inglese Aleister Crowley – che l’omicidio rituale di un bambino, cioè di un essere puro e carico di energia positiva, conferisca «straordinaria potenza» al mostro che lo uccide. E intanto, la strage silenziosa continua.E’ la strage degli innocenti: sono centinaia, ogni anno, i bambini che scompaiono. Solo in Italia, secondo il ministero dell’interno, non meno di 15.000 minori negli ultimi quarant’anni. Che fine fanno? Finiscono in pasto agli orchi, denuncia l’avvocato Paolo Franceschetti, protagonista di clamorosi libri-inchiesta sugli “omicidi rituali”, da quelli del “Mostro di Firenze” agli ultimi recenti casi di cronaca che invadono i media. «I minori rapiti – sostiene Franceschetti – finiscono nella rete dei pedofili e dei trafficati di organi, nel peggiore dei casi diventano “attori” in atroci “snuff movie”, in cui vengono violentati, seviziati e infine uccisi davanti alla telecamera, nell’ambito di filmati destinati a pervertiti in grado di pagare milioni di euro, per quelle pellicole». Ma non è tutto: «Secondo la polizia di Stato – aggiunge Franceschetti – il conto delle piccole vittime potrebbe essere sottostimato, perché è difficile calcolare il numero dei bambini Rom che spariscono e, in genere, i figli degli immigrati clandestini, che non sono in grado di sporgere denuncia». Infine, a completare l’olocausto provvede la crisi economica: «Ci sono neonati “prenotati” e “comprati” subito dopo la nascita: è la tragedia della miseria».
-
Germania, il boia che fa la vittima (e mente ai tedeschi)
Uno dei più frequenti e stupefacenti fenomeni della storia umana è la prevaricazione esercitata sentendosi vittime: «Vittime si sentono gli israeliani che rinchiudono i palestinesi in una prigione a cielo aperto, vittime del terrorismo palestinese, vittime dell’insicurezza, vittime dell’ostilità araba. Vittime si sentono i razzisti italiani che rinchiudono i richiedenti asilo in lager inumani: vittime dell’invasione di immigrati clandestini, di rifugiati che minaccerebbero la loro sicurezza, le loro vite, il loro benessere». Vittime, scrive Marco d’Eramo, si sentono i tedeschi delle “sanguisughe greche” che stanno succhiando il benessere così duramente conquistato. «Perché non c’è dubbio che a leggere gli economisti tedeschi, la crisi greca sembra una truffa fraudolenta attuata da fannulloni, incapaci, disonesti meridionali che vanificano l’alacre, parca, industriosa morigeratezza dei paesi dell’Europa del nord».E’ quasi surreale la rabbia che traspira dai media tedeschi nei confronti di Atene, scrive d’Eramo su “Micromega”: «In un paese che è costretto a vendersi tutto, persino le isole, leggere che sono i greci che stanno derubando i tedeschi sembra di sognare a occhi aperti». Il vittimismo tedesco? «E’ forse l’aspetto più preoccupante nell’attuale vicenda europea». Dopo 70 anni si ripropone in Europa una questione che sembrava essere stata risolta per sempre: «Forse gli storici ricorderanno il luglio 2015 non solo come il mese in cui fu affossato il progetto europeo, ma soprattutto come il momento in cui riemerse con forza la questione tedesca, dove l’aggettivo “tedesco” non riguarda i singoli cittadini della Germania, ma designa lo Stato e il governo politico ed economico tedesco, la classe dominante tedesca». Grazie alle loro dimensioni schiaccianti, gli Stati Uniti «avevano costretto sia le élites francesi, sia quelle tedesche a rendersi conto di “non fare il peso”, di essere gattini in un mondo di elefanti, e avevano così liberato noi europei dall’insopportabile prospettiva di altri tre secoli di guerre franco-tedesche».D’Eramo ricorda che la Germania unita è una costruzione statale recentissima nel panorama europeo, persino più giovane della stessa Italia unita. E fin dalla sua riunificazione, nel 1866, la Germania ha posto all’Europa un “problema tedesco”: in 79 anni, prima di essere ridivisa di nuovo, aveva scatenato due guerre europee (con l’Austria nel 1866 e con la Francia nel 1870) e due guerre mondiali (nel 1914 e nel 1939): una media di una guerra ogni 19 anni; solo lo Stato d’Israele (anch’esso una creazione recentissima) si sta dando da fare per battere questo record, con cinque guerre e varie guerricciole in 66 anni: a confronto, gli Usa stanno a 11-12 guerre in 241 anni, un conflitto ogni ventennio. Che la Germania rappresentasse ben altro problema, lo riassume la battuta attribuita allo scrittore francese François Mauriac: «Amo talmente tanto la Germania che sono felice che ce ne siano due».Quasi a confermare le parole di Mauriac, aggiunge d’Eramo, appena dopo la riunificazione nel 1989, alcuni segnali avevano suscitato inquietudine: il ruolo della nuova Germania unita nel favorire la dissoluzione della Jugoslavia e quindi nel suscitare il susseguente conflitto e la fretta nell’annettere all’Unione Europea i paesi dell’Est. «Una fretta che ha provocato non pochi scompensi e problemi di dissonanza politica», nonché «una certa megalomania imperiale nei piani di ricostruzione di Berlino capitale», segnali spesso scambiati per «prodotti da un’euforia che si sperava transitoria». Inutile sperare nella memoria collettiva, continua d’Eramo: nonostante Hiroshima e Nagasaki, più della metà dei giovani nipponici ignora che vi sia mai stato un conflitto tra Giappone e Stati Uniti. E il modo in cui gli stessi italiani trattano gli immigrati «è totalmente immemore delle umiliazioni, discriminazioni, persino dei linciaggi subiti dagli immigrati italiani nell’ultimo secolo e mezzo (e sono stati complessivamente decine di milioni)». Per non parlare del modo in cui «gli israeliani abusano del proprio potere militare», un fatto letteralmente «incompatibile con la memoria delle angherie subite per millenni dal popolo ebraico».Perciò quando si parla di questione tedesca, «non è in gioco un ipotetico, improbabile carattere etnico collettivo di supposta “teutonica” arroganza autoritaria, bensì di un atteggiamento proprio della classe dominante che sembra discendere in linea diretta dagli Junker prussiani perché, come loro, accompagna con una violenta svolta conservatrice ogni sua spinta espansionistica». Tralasciando il paragone con il Terzo Reich, «perché proprio l’enormità delle devastazioni prodotte dal nazismo, e dunque proprio l’improponibilità del confronto, in un certo senso “assolve” la Germania attuale da ogni responsabilità», è più utile ricordare la Germania bismarkiana e guglielmina, «innanzitutto perché proprio quell’esperienza ha plasmato la nascita dell’euro». Una moneta unica europea (prima lo Sme, poi l’Ecu, infine l’euro) «fu la condizione che il presidente francese François Mitterrand impose per acconsentire alla riunificazione tedesca, come strumento per imbrigliare lo strapotere prevedibile di una Germania unita».L’euro, continua d’Eramo, fu quindi vissuto dalla classe dominante tedesca come l’ultimo diktat esercitato dalle potenze vincitrici mezzo secolo dopo la disfatta della Seconda Guerra Mondiale. Ancora tre anni fa, l’ex socialdemocratico ed ex membro del direttorio della Deutsche Bundesbank, Thilo Sarrazin, scriveva un libro dal titolo significativo: “L’Europa non ha bisogno dell’euro: come i nostri pii desideri politici ci hanno condotto alla crisi”. Sarrazin scriveva esplicitamente che la Germania si è lasciata trascinare «nell’euro e nell’unità europea a causa del senso di colpa per la seconda guerra mondiale» (in tedesco, “colpa” e “debito” sono espressi dallo stesso vocabolo: “die Schuld”). «I fautori (dell’euro e degli eurobonds) sono spinti dal riflesso squisitamente tedesco per cui la penitenza per l’Olocausto e la guerra mondiale è davvero conclusa solo quando noi affidiamo tutti i nostri averi e il nostro denaro in mani europee», scriveva Sarrazin. Quindi, osserva d’Eramo, «viene descritto come strumento dell’oppressione e umiliazione subite dai tedeschi quell’euro che in realtà si è rivelato per la Germania il suo più importante strumento di dominio, controllo e sopraffazione».È l’euro, infatti, che ha permesso la metamorfosi del progetto europeo «dal perseguimento di una Germania europea all’instaurazione (destinata al fallimento) di un’Europa tedesca». Intanto, perché «nel XX secolo il progetto di unificazione europea ha preso a ricalcare in modo sempre più pedissequo il processo di unificazione tedesca nel XIX secolo: primo passo un’unione doganale col mercato comune europeo, sulle orme dello Zollverein del 1834 tra 38 stati della Confederazione tedesca, ognuno con diritto di veto». Poi, una nuova unione doganale come quella stabilita nel 1866 (dopo la guerra austro-prussiana), ma in cui i singoli Stati membri non avevano più diritto di veto, e con un nucleo forte costituito dai 22 paesi della Confederazione tedesca del nord che si erano dotati di un Parlamento comune con però poteri limitatissimi rispetto al Consiglio federale che rappresentava gli Stati. «Per continuare il paragone, il Consiglio federale era l’equivalente della Commissione Europea, mentre il Reichstag corrispondeva all’Europarlamento e la distinzione tra Confederazione tedesca del nord e area-Zollverein corrispondeva all’Europa a due velocità, con l’Eurozona dei 17 rispetto all’Unione europea dei 27 membri».La similitudine finisce qui perché, dopo soli cinque anni, nel 1871 la Confederazione tedesca fu assorbita dalla Prussia e inglobata nell’impero tedesco. «Ma in realtà non finisce qui – sottolinea d’Eramo – perché in Europa la Germania vede se stessa sempre più nella funzione e nello status che aveva avuto la Prussia nell’unificazione della Germania». Naturalmente la deriva antidemocratica e autoritaria del progetto euro non può essere ascritta alla sola Germania: «La sua data d’inizio va cercata nel referendum sulla Costituzione europea bocciato nel 2005 dai francesi e dagli olandesi. Fu a partire da allora che si allontanò la prospettiva di un’unione politica e quindi di un possibile controllo democratico sulle scelte di Bruxelles». Ovvio, poi, che ciascuno cerchi di sfruttare a proprio vantaggio le circostanze: così, la crisi economica è stata vista «come un’opportunità (e usata come tale) per perseguire i propri scopi politici e finanziari». I poteri finanziari di tutto il pianeta «hanno sfruttato (con successo) la crisi per sottrarre ai lavoratori conquiste che avevano richiesto secoli di lotta per essere ottenute».La stessa Cina ha sfruttato la recessione atlantica per affermare definitivamente il proprio status di officina del mondo. E la Germania «ha usato la crisi per sottrarre alla Francia una bella fetta di sovranità nazionale, con l’ironico risultato che l’euro pensato per imbrigliare Berlino ha finito per imprigionare Parigi», al punto che «in questo scontro, la Grecia è solo un birillo sul tavolo da biliardo». Dalla riunificazione in poi, «la classe dominante tedesca ha pensato sempre meno in termini di Europa e sempre più in termini di Germania». Tanto che, a tutt’oggi, come scrive sul “Financial Times” Wolfgang Münchau, l’euro ha funzionato bene praticamente per la sola Germania (in misura minore per l’Austria e l’Olanda, anche se adesso l’Olanda è in crisi). Ma l’euro è stato disastroso per l’Italia e sta rivelandosi letale per la stessa Francia; intanto la Finlandia è in piena recessione, Spagna e Portogallo sono più poveri di sette anni fa, mentre della Grecia non è nemmeno il caso di parlare. Eppure, «ancora una volta la narrazione prevalente in Germania è il contrario della realtà: l’euro viene visto come un regime di cui Berlino deve sopportare tutti i costi, da buona formica nordica che paga per tutte le cicale meridionali».La verità è opposta: è proprio l’euro ad aver garantito «la possibilità di esportate i prodotti tedeschi nell’Eurozona: un ritorno al marco, e la sua conseguente rivalutazione, farebbero immediatamente crollare le esportazioni tedesche nel mondo». Ed è questa, insiste d’Eramo, la maggiore responsabilità storica delle élites tedesche: «Quella di aver consentito, incoraggiato e infine imposto alla stragrande maggioranza della popolazione tedesca una visione della storia che niente ha a che vedere con la realtà e che favorisce tutti gli stereotipi più nazionalisti, xenofobi e persino razzisti». Per cui «assistiamo a una commedia del potere, al gioco delle parti di una classe dominante che si dice costretta a esigere dalla Grecia insane misure di austerità, perché altrimenti perderebbe i favori di un’opinione pubblica che questa stessa classe dominante ha plasmato nello stampo più reazionario; che è costretta a esercitare una dittatura del capitalismo per ragioni democratiche, perché altrimenti perderebbe il consenso popolare». Il risultato è «l’evoluzione della Spd tedesca che, dopo aver cacciato Sarrazin, adotta oggi con il socialdemocratico vicepremier Sigmar Gabriel tutta la visione del mondo di Sarrazin, con tutte le sue conseguenze politiche».Quanto sia distante la narrazione che la Germania racconta a se stessa della crisi greca e della gestione da parte della Troika, secondo d’Eramo risulta lampante dalla folle vicenda dei panettieri greci, costretti a cambiare il sistema di vendita del pane. «A prima vista può sembrare ridicolo che in un disastro economico come quello greco, i paesi creditori si ostinino a esigere misure urgenti come la liberalizzazione della vendita del pane non solo presso i fornai ma perché no anche nei saloni di bellezza, e che considerino l’equiparazione dell’Iva sul pane nelle panetterie e nei supermercati (che finora pagavano di più per salvaguardare il piccolo commercio). Ma il ridicolo si trasforma in grottesco quando la Troika impone in modo ultimativo il diktat sul peso delle pagnotte: finora nei negozi greci si vendevano forme o da un chilo o da mezzo. Ora sarà obbligatorio venderne in pezzature diverse e graduali». Ma che gliene può fregare ai creditori del peso della pagnotta greca? Quattro anni fa, d’Eramo aveva iniziato un editoriale del “Manifesto” con una frase che gli provocò indignate reazioni da parte dei suoi amici tedeschi: “Dove non era giunta la Wehrmacht, è arrivata la Bundesbank” (si riferiva per esempio a Lisbona e a Madrid). «Rispetto ad allora, c’è da aggiungere che neanche i generali prussiani si sarebbero mai sognati di legiferare sulla pezzatura delle pagnotte in terra d’occupazione».Uno dei più frequenti e stupefacenti fenomeni della storia umana è la prevaricazione esercitata sentendosi vittime: «Vittime si sentono gli israeliani che rinchiudono i palestinesi in una prigione a cielo aperto, vittime del terrorismo palestinese, vittime dell’insicurezza, vittime dell’ostilità araba. Vittime si sentono i razzisti italiani che rinchiudono i richiedenti asilo in lager inumani: vittime dell’invasione di immigrati clandestini, di rifugiati che minaccerebbero la loro sicurezza, le loro vite, il loro benessere». Vittime, scrive Marco d’Eramo, si sentono i tedeschi delle “sanguisughe greche” che stanno succhiando il benessere così duramente conquistato. «Perché non c’è dubbio che a leggere gli economisti tedeschi, la crisi greca sembra una truffa fraudolenta attuata da fannulloni, incapaci, disonesti meridionali che vanificano l’alacre, parca, industriosa morigeratezza dei paesi dell’Europa del nord».
-
Il Guardian: l’ignobile Schäuble già rovinò la Germania Est
Per capire le richieste di Wolfgang Schäuble nei colloqui di salvataggio, dovete guardare a ciò che ha inflitto al suo paese quando si è riunificato. Ogni dramma ha bisogno di un grande cattivo, e nell’ultimo atto della crisi greca Wolfgang Schäuble, il 72-enne ministro delle finanze tedesco, è emerso come straordinario villain: i critici lo vedono come un tecnocrate spietato che ha usato modi pesanti su un intero paese e ora ha intenzione di spogliarlo del suo patrimonio. Una parte dell’accordo di salvataggio, in particolare, ha scandalizzato molti europei: la proposta di creazione di un fondo progettato per selezionare accuratamente beni pubblici greci del valore di 50 miliardi di euro e privatizzarli per pagare i debiti del paese. Ma la chiave per comprendere la strategia della Germania è che per Schäuble non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Venticinque anni fa, durante l’estate del 1990, Schäuble guidava la delegazione della Germania Ovest che stava negoziando i termini dell’unificazione con la Germania Est ex-comunista.Dottore in legge, era ministro degli interni della Germania Ovest e uno dei più stretti consiglieri del Cancelliere Helmut Kohl, il ragazzo a cui rivolgersi ogni volta che le cose diventavano difficili. La situazione nella ex Rdt non era troppo dissimile da quella della Grecia quando Syriza è salita al potere: i tedeschi dell’est avevano appena tenuto le prime elezioni libere nella loro storia, solo pochi mesi dopo la caduta del Muro di Berlino, e alcuni dei delegati di Berlino Est sognavano un nuovo sistema politico, una “terza via” tra l’economia di mercato dell’ovest e il sistema socialista dell’est – nel frattempo non avevano più alcuna idea di come pagare le bollette. I tedeschi occidentali, dall’altra parte del tavolo, avevano slancio, denaro e un piano: tutto quanto di proprietà dello stato della Germania Est doveva essere assorbito dal sistema tedesco-occidentale e poi rapidamente venduto ad investitori privati per recuperare una parte dei soldi di cui la Germania orientale avrebbe avuto bisogno negli anni a venire. In altre parole: Schäuble e la sua squadra volevano garanzie.A quel tempo quasi tutte le società, i negozi o le stazioni di benzina ex-comuniste erano di proprietà della Treuhand, un’agenzia di fiducia – un’istituzione originariamente pensata da un gruppo di dissidenti della Germania Est per fermare la vendita delle imprese statali alle banche e alle società della Germania Ovest da parte di quadri comunisti corrotti. La missione della Treuhand: trasformare tutti i grandi conglomerati, le aziende e i piccoli negozi in aziende private, in modo che potessero essere parte di un’economia di mercato. A Schäuble e alla sua squadra non interessava che i dissidenti avessero pianificato di distribuire azioni di queste società, emesse dalla Treuhand, ai tedeschi dell’Est – un concetto che per inciso ha portato alla nascita degli oligarchi in Russia. Ma piaceva loro l’idea di un fondo di garanzia, perché operava al di fuori del governo: sebbene tecnicamente supervisionato dal ministero delle finanze, la Treuhand era percepita dall’opinione pubblica come un organismo indipendente. Anche prima che la Germania si fondesse in un unico Stato nell’ottobre 1990, la Treuhand era saldamente nelle mani della Germania Ovest.Lo scopo dei negoziatori della Germania Ovest era privatizzare quante più aziende possibili, il più presto possibile – e se oggi si chiedesse della Treuhand alla maggior parte dei tedeschi, direbbero che ha raggiunto tale obiettivo. Non lo ha fatto in un modo che è piaciuto al popolo della Germania orientale, dove la Treuhand venne rapidamente conosciuta come la faccia violenta del capitalismo. Nello spiegare la trasformazione dell’economia ai traumatizzati tedeschi orientali, che si sentivano sopraffatti da questa strana nuova agenzia, fece un lavoro tremendo. A peggiorare le cose, la Treuhand divenne un ricettacolo di corruzione. L’agenzia si è presa tutta la colpa per la situazione desolante nella Germania dell’Est. Kohl e il partito di Schäuble, il conservatore Cdu, sono stati rieletti per gli anni a venire, mentre altri hanno pagato il prezzo: uno dei presidenti della Treuhand, Detlev Karsten Rohwedder, fu assassinato da terroristi di sinistra. (Anche Schäuble è stato vittima di un attentato che lo ha lasciato permanentemente su una sedia a rotelle, dopo solo pochi giorni dalla riunificazione tedesca – ma le motivazioni del suo aggressore paranoico erano estranee agli eventi politici). Ma la realtà di ciò che ha fatto la Treuhand è diversa dalla percezione popolare – e questo dovrebbe essere un monito sia per Schäuble che per il resto d’Europa.La vendita del patrimonio della Germania Est per il massimo profitto si è rivelata più difficile di quanto immaginato. Quasi tutti i beni di valore reale – le banche, il settore energetico – erano già state accaparrate dalle società tedesco-occidentale. Pochi giorni dopo l’introduzione del marco tedesco-occidentale, l’economia dell’est collassò. Come la Grecia, essa richiese un massiccio programma di salvataggio organizzato dal governo di Schäuble, ma in segreto: si misero da parte 100 miliardi di marchi per mantenere l’economia della vecchia Germania orientale a galla, una cifra che è diventato pubblica solo anni dopo. Con il costo del lavoro e delle forniture che sfondarono il soffitto [a causa della parità decisa a tavolino tra marco-orientale e marco-occidentale per l’unione monetaria tra le due Germanie, entrata in vigore il 1 luglio 1990, NdT], la già stressata economia della Germania Est andò in caduta libera e la Treuhand non ebbe alcuna possibilità di vendere molte delle sue imprese. Dopo un paio di mesi cominciò a chiudere intere aziende, licenziando migliaia di lavoratori. Alla fine la Treuhand non generò affatto alcun provento per il governo tedesco: raggranellò a malapena 34 miliardi di euro per tutte le società dell’est messe insieme, perdendo 105 miliardi di euro.In realtà, la Treuhand non è diventata soltanto uno strumento per la privatizzazione, ma una holding quasi-socialista. Perse miliardi di marchi, perché continuò a pagare i salari di molti lavoratori dell’est e tenne in vita alcune fabbriche non redditizie – un aspetto positivo di solito annegato nella denigrazione dell’agenzia [la denigrazione della Treuhand nasce anche dal fatto che, in aggiunta ai molteplici episodi di corruzione e alla brutale liquidazione dell’economia tedesco-orientale, l’agenzia chiuse, liquidò o svendette ad aziende tedesco-occidentali anche aziende tedesco-orientali che erano più competitive o di dimensioni ben maggiori rispetto alle controparti occidentali, nell’intento di uccidere sul nascere la potenziale concorrenza delle aziende tedesco-orientali per assicurare al capitale tedesco-occidentale lo sbocco sui mercati dei paesi ex-comunisti legati alla Germania Est – si veda il già citato “Anschluss, l’annessione” di Vladimiro Giacchè, NdT]. Poiché Kohl e, durante l’estate del 1990, Schäuble, non erano economisti di Chicago appassionati di esperimenti radicali, ma politici che volevano essere rieletti, hanno pompato milioni in un’economia in fallimento. Questo è il punto dove finisce il parallelo con la Grecia: c’erano dei limiti politici all’austerità che un governo poteva imporre al suo stesso popolo.La lezione appresa da Schäuble – che adesso è in grado di influenzare le sue decisioni – è che se si recita la parte del neoliberista puro di cuore si può ancora avere una via di fuga con decisioni che dal punto di vista economico non hanno del tutto senso. Se Schäuble sta agendo duramente con la Grecia in questo momento, è perché il suo elettorato vuole che agisca a quel modo; non è tanto che non si preoccupa per il popolo greco, è che lui vuole far credere alla gente che non gli importa, perché ne vede il vantaggio politico. Ma Schäuble dovrebbe aver imparato dalla storia che il gioco d’azzardo della Treuhand ha avuto conseguenze psicologiche catastrofiche. Anche se l’agenzia è stata gestita da tedeschi, che parlavano tedesco, è stata tuttavia vista da molti nell’est come una forza di occupazione. L’idea di Schäuble di paesi stranieri che controllano il patrimonio greco e lo trasferiscono all’estero è un concetto ancora più umiliante per qualsiasi paese. Schäuble si presenta come un ragioniere duro e sobrio. In realtà è soltanto un politico ordinario che ripete vecchi errori.(Dirk Laabs, “Per capire la durezza della Germania verso la Grecia, bisogna guardare a 25 anni fa”, dal “Guardian” del 17 luglio 2015, tradotto da “Voci dall’Estero”).Per capire le richieste di Wolfgang Schäuble nei colloqui di salvataggio, dovete guardare a ciò che ha inflitto al suo paese quando si è riunificato. Ogni dramma ha bisogno di un grande cattivo, e nell’ultimo atto della crisi greca Wolfgang Schäuble, il 72-enne ministro delle finanze tedesco, è emerso come straordinario villain: i critici lo vedono come un tecnocrate spietato che ha usato modi pesanti su un intero paese e ora ha intenzione di spogliarlo del suo patrimonio. Una parte dell’accordo di salvataggio, in particolare, ha scandalizzato molti europei: la proposta di creazione di un fondo progettato per selezionare accuratamente beni pubblici greci del valore di 50 miliardi di euro e privatizzarli per pagare i debiti del paese. Ma la chiave per comprendere la strategia della Germania è che per Schäuble non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Venticinque anni fa, durante l’estate del 1990, Schäuble guidava la delegazione della Germania Ovest che stava negoziando i termini dell’unificazione con la Germania Est ex-comunista.
-
La svolta di Grillo: basta euro, moneta sovrana o morte
«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.Solo dopo lo schianto clamoroso della Grecia di Tispras, Beppe Grillo alza la testa, avendo a lungo ignorato ogni appello a costruire un’alternativa politica basata necessariamente su un’alternativa economica, partendo quindi dalla denuncia dell’euro come abominio monetario, puro strumento di dominazione congegnato da un’élite oligarchica che tutto privatizza, cominciando dalla moneta, per togliere allo Stato (e alla comunità pubblica dei cittadini) ogni residua ragion d’essere. In un post sul suo blog, il leader del M5S rompe gli indugi con un’analisi senza precedenti: dall’euro bisogna uscire di corsa, perché dentro la moneta unica europea non esiste possibilità di salvezza. Lo pensa anche Nigel Farage, il leader dell’Ukip, pronto a guidare la campagna referendaria del 2017 per spingere la Gran Bretagna fuori dall’Ue. Un altro referendum sarà indetto in Austria, sempre per chiedere l’uscita del paese dall’Unione Europea. Per non parlare della Francia, dove il Front National di Marine Le Pen minaccia l’uscita dall’Ue se a Parigi non sarà accordata l’uscita “morbida” dall’euro.Non da oggi, un economista di sinistra come Emiliano Brancaccio accusa l’Italia: non è stata mai neppure ventilata la minaccia di uscire dal mercato comune europeo, argomento che sarebbe fortissimo per costringere Germania e Ue ad accettare una revisione radicale dei terrificanti trattati europei. Se “Syriza” in Grecia e “Podemos” in Spagna continuano a fantasticare sulla possibilità di vivere nel benessere pur restando nell’Eurozona, in tutti questi anni il Movimento 5 Stelle è rimasto in silenzio, limitandosi a proporre il “reddito di cittadinanza” contro il rigore sociale imposto da Bruxelles e poi un referendum consultivo sulla moneta unica. Ora, di colpo, Grillo cambia marcia. Il premier greco? «Rifiutare a priori l’Euroexit è stata la sua condanna a morte: convinto, come il Pd, che si potesse spezzare il connubio “euro & austerità”, Tsipras ha finito per consegnare il suo paese, vassallo, nelle mani della Germania. Pensare di opporsi all’euro solo dall’interno presentandosi senza un esplicito piano-B di uscita ha infatti finito per privare la Grecia di ogni potere negoziale al tavolo dell’euro-debito».Aggiunge Grillo: solo Vendola, il Pd e i media ispirati da Scalfari e «dai nostalgici del manifesto di Ventotene», cioè il miraggio degli Stati Uniti d’Europa, «potevano credere ad un euro senza austerità». E oggi «sono costretti a continuare a far finta di crederci, pur di non dover ammettere l’opportunità di una uscita dopo sette anni di disastri economici». Lo stesso Grillo non brilla per tempismo: oggi, nel 2015, abbraccia le tesi sovraniste enunciate da Paolo Barnard a partire dal 2010. E lo fa dopo aver rifiutato – durante la nera stagione di Monti e Fornero – la consulenza di Warren Mosler e del team di ecomomisti della Modern Money Theory, gli stessi che permisero all’Argentina di liberarsi del cambio fisso col dollaro, che (esattamente come l’euro) condannava l’economia del paese. Ora, Grillo riconosce che «la conseguenza di questa catastrofe politica è davanti agli occhi di tutti». Ovvero: «Nazismo esplicito da parte di chi ha ridotto la periferia d’Europa a suo protettorato attraverso il debito, con ricorsi storici allarmanti». E poi: «Mutismo o esplicito supporto alla Germania da parte degli altri paesi europei vuoi per opportunismo (nord) o per subalternità (periferia)». E ancora: «Mercati finanziari che celebrano con nuovi massimi la fine della democrazia».La Grecia è tristemente eloquente: «Esproprio del patrimonio nazionale attraverso l’ipoteca di 50 miliardi di euro sui beni greci finiti nel fondo voluto da “Adolf” Schaeuble per passare all’incasso dei suoi crediti di guerra». Nessuna sorpresa: era tutto «studiato, previsto, pianificato nei minimi dettagli», perché «la Germania è sistematica nella sua strategia: prima crea un nuovo precedente e poi lo utilizza nella battaglia successiva imponendo decisioni via via più invasive della democrazia grazie al ‘chi tace acconsente’». Irlanda, Spagna e Portogallo «dovevano dimostrare che il rigore paga, sia in termini di riforme (tassazione per pagare gli interessi sul debito e svalutazione interna attraverso la compressione dei diritti dei lavoratori) che in termini di interessi sul debito riportati a casa e pagati col sangue dei paesi debitori». Per non parlare di Cipro, che «ha dimostrato che i depositi bancari, se serve, si possono attaccare, attingendo così non solo alle tasse sul reddito in nome dell’austerità, ma direttamente al patrimonio privato dei cittadini per ripagare il debito contratto».Con la Grecia, aggiunge il blog di Grillo, l’asticella è stata posta ancora più in alto, al punto di confiscare direttamente il patrimonio pubblico in un fondo la cui sede giuridica Schaeuble voleva inizialmente trasferire addirittura fuori dalla Grecia. «E’ l’Italia il destinatario finale di questi precedenti seminati lungo il percorso dell’euro-debito in nome della presunta irreversibilità dell’euro». E’ inutile far finta di non vederlo, aggiunge Grillo: «La Grecia offre dunque una nuova lezione per l’Italia, da cui faremmo bene ad imparare se vogliamo farci trovare pronti quando arriverà il nostro turno di debitori». Renzi? In questa fase storica è «una minaccia nazionale», perché è «un premier che argomenta bene contro l’austerity, ma che resta negazionista nei fatti sulla Euroexit, a digiuno di economia monetaria e con una strategia politica improvvisata». In altre parole: quello che è valso oggi per Tsipras «varrà domani per Renzi». Attenzione: «Un piano-B di uscita è essenziale per l’Italia, chiunque sia al governo», conclude Grillo. «Con un enorme debito pubblico e una economia manufatturiera orientata all’export è da irresponsabili non farsi trovare pronti ad una eventuale uscita, non necessariamente forzata da noi, ma eventualmente subita da decisioni altrui, visto che nessuno può prevedere il corso degli eventi».Ed è bene «non contare sugli altri», perché «quando arriverà il momento saremo soli». Proprio com’è successo a Tsipras, «che ha sbagliato i suoi conti sperando di trovare sostegno strada facendo dai cugini periferici, che invece si nascondevano nell’ombra del ‘questa volta non tocca a noi’». Secondo Grillo, il referendum proposto dal M5S tramite una legge di iniziativa popolare è «uno strumento essenziale», dal momento che «potrà servire a spiazzare l’avversario e a dare legittimità democratica all’Euroexit». Il leader dei 5 Stelle propone di «usare il nostro enorme debito come minaccia». Lo considera «un vantaggio che ci consente di attaccare al tavolo di ogni negoziazione futura», e non «uno spauracchio da subire per abbozzare alle richieste dei creditori». Questo, aggiunge Grillo, vuol dire «non consentire alcuna ingerenza tedesca nel nostro legittimo diritto di ridenominare il nostro debito in un’altra valuta, se e quando arriverà il momento». Grillo pensa sia anche necessario rafforzare, sa subito, gli istituti di credito italiani, perché «la minaccia di fallimento delle banche e la chiusura dei rubinetti della liquidità è ciò che alla fine ha fatto capitolare Tsipras».Grillo raccomanda addirittura di «prepararsi alla nazionalizzazione delle banche», oltre che «al passaggio ad un’altra moneta». Lo ritiene «il modo per non perdere la prima battaglia che dovremo affrontare quando arriverà il momento di staccarci dal bocchettone della Bce». Ogni piano-B, aggiunge, dovrà quindi prevedere l’introduzione di una moneta parallela, che all’evenienza potrà essere adottata per avviare il processo di uscita in maniera soft. Ancora più insolita l’analisi geopolitica di Grillo, che chiede di «tenere un occhio a Francoforte e l’altro a Washington», accusando direttamente l’élite statunitense di voler tenere in vita l’euro fino all’approvazione europea del Ttip, il trattato con gli Usa ridurranno in schiavitù l’Europa, così come ha finora fatto la Germania con l’arma della moneta unica creata su misura per Berlino. «L’euro e’ ormai una guerra esplicita tra creditori e debitori», chiosa Grillo, ormai allineato – meglio tardi che mai – alla lucida e solitaria denuncia di Barnard, rimasto inascoltato per molti anni.«E’ inutile che il nostro governo si sforzi di apparire schierato dalla parte virtuosa dei vincitori euristi e riformisti: l’euro – insiste il leader del Movimento 5 Stelle – non si può riformare dal suo interno e va invece combattuto dall’esterno, abbandonando questa camicia di forza anti-democratica». Il nostro debito è stato gonfiato dal ricorso alla finanza privata dopo il divorzio fra Tesoro e Bankitalia e poi è definitivamente esploso, restando fuori controllo, con l’adozione rovinosa della moneta “straniera”. La nostra assenza di crescita unita alla deflazione ci collocano a pieno titolo nella categoria degli sconfitti del debito? «Faremmo dunque bene a prepararci, con un governo esplicitamente anti-euro, all’assalto finale del patrimonio degli italiani», conclude Grillo. Patrimonio di famiglie e aziende ormai «sempre più a rischio, se non ci riprendiamo la nostra sovranità monetaria».«Il teatrino dell’euro proseguirà fino a quando lo vorranno gli americani, e cioè fino alla definitiva approvazione del Ttip con cui gli Usa assoggetteranno l’Europa in modo non dissimile da come l’euro ha assoggettato la periferia alla Germania». Otto anni dopo il crack di Wall Street, e a quattro anni di distanza dal funesto avvento di Monti, Beppe Grillo oltrepassa il Rubicone individuando finalmente il “nemico”, quello vero, cioè non la “casta dei ladri, della mafia e degli evasori” con cui il Movimento 5 Stelle ha finora intrattenuto il pubblico italiano. Il nemico è l’euro, l’Unione Europea che lo impone. Ma Bruxelles da sola non conta nulla. E nemmeno la Germania, che è solo il kapò del nuovo ordine europeo fondato sulla crisi, sulla paura e sulla rassegnazione punitiva. Il cervello della piovra è oltre oceano, dietro la maschera di quell’Obama che tanto preme, in ossequio ai suoi padroni, per imporre al vecchio continente la catastrofe del Trattato Transatlantico, grazie al quale gli Stati non saranno più liberi neppure di tutelare la salute dei loro cittadini: se la vedranno con tribunali di parte e avvocati d’affari, col potere di imporre micidiali sanzioni, nel caso avessero la malaugurata idea di proibire business velenosi e ostacolare industrie pericolose.
-
Magia, esoterismo, religione. E tutte quelle coincidenze
Una delle domande che mi sono posto in questi anni è come facessero certi poteri a creare degli eventi simbolici con una perfezione quasi assoluta. Nei riti di sangue che ho analizzato, da solo o tramite i lettori del blog, ho notato che dal punto di vista simbolico coincide sempre tutto alla perfezione per disegnare metaforicamente un evento che ha un certo significato esoterico. Una delle “coincidenze” che mi hanno da sempre più colpito è che nella lista passeggeri del disastro di Ustica, ai numeri 13 e 19, compaiono rispettivamente Maria Grazia Croce e Rosa De Dominicis, mentre al numero 22, che è il numero della perfezione e di Dio, compare un certo Diodato; così come mi ha sempre colpito il fatto che a Viterbo, città rosacrociana per eccellenza in Italia, i nomi dei sindaci abbiano quasi sempre richiamato simboli rosacrociani, o in maniera evidente (Rosato Rosati, Gigli, Fioroni, Ascenzi) o in maniera meno evidente e più sottile ma comunque sempre collegabile.
-
L’euro, creato da gangster nazisti per devastare l’Europa
Il referendum greco ha dato adito ad accesi dibattiti che però dimostrano la generale ignoranza sulle regole del gioco: «I partecipanti si sono lacerati per sapere se i greci fossero o no responsabili del loro debito, stando sempre attenti nel contempo a non accusare mai di usura i loro creditori», scrive Thierry Meyssan. «Ma lo hanno fatto ignorando la storia dell’euro e le ragioni della sua creazione». La moneta unica? «Un progetto anglosassone della guerra fredda», per indebolire l’Europa e staccarla dalla Russia. Dal Trattato di Roma, 64 anni fa, le istanze amministrative successive del “progetto europeo” (Ceca, Cee, Ue) hanno speso somme enormi e senza equivalenti per finanziare la loro propaganda nei media. «Ogni giorno centinaia di articoli, di trasmissioni radio e televisive, sono pagati da Bruxelles per raccontare una falsa versione della storia e farci credere che l’attuale “progetto europeo” sia quello degli europei risalente al periodo fra le due guerre mondiali». Ma gli archivi mostrano che già nel 1946 Winston Churchill e Harry Truman decisero di dividere il continente europeo in due: da una parte i loro vassalli, dall’altra l’Urss con i suoi.«Per assicurarsi che nessuno Stato si emancipasse dalla loro sovranità dominante, decisero di manipolare gli ideali dell’epoca», scrive Meyssan su “Megachip”. «Quel che allora veniva definito il “progetto europeo” non consisteva nel difendere presunti valori comuni, ma nel fondere lo sfruttamento delle materie prime e delle industrie della difesa di Francia e Germania per essere certi che questi paesi non potessero più farsi la guerra (teoria di Louis Loucheur e del conte Richard Coudenhove-Kalergi)». Il britannico Mi6 e la statunitense Cia, continua il giornalista, furono poi incaricati di organizzare il primo “Congresso dell’Europa” all’Aia nel maggio 1948, al quale parteciparono 750 personalità (tra cui François Mitterrand) provenienti da 16 paesi. «Si trattava, né più né meno, di rilanciare il “progetto di Europa federale” (redatto da Walter Hallstein – il futuro presidente della Commissione Europea – per il cancelliere Adolf Hitler) in base alla retorica di Coudenhove-Kalergi». L’Urss aveva reagito all’inizio della guerra fredda sostenendo i comunisti che avevano preso il potere, legalmente, a Praga? «Washington e Londra organizzarono allora il Trattato di Bruxelles, che prefigurava la creazione della Nato».Lo stesso spirito antisovietico accomunava gli “unionisti”, «per i quali si trattava unicamente di mettere in comune i mezzi per resistere all’espansione del comunismo», e i “federalisti”, «che auspicavano che si realizzasse il progetto nazista di Stato federale sottoposto all’autorità di un’amministrazione non eletta». Da lì nacque il percorso europeista a noi noto: prima la Ceca, poi la Cee e quindi l’Ue. Inoltre, quello stesso congresso «adottò il principio di una moneta comune». Tra i “padri” dell’euro, Meyssan segnala Joseph Rettinger, «ex fascista polacco divenuto un agente britannico». Su richiesta dell’Mi6, l’intelligence britannica, Rettinger «fondò la European League for Economic Cooperation e ne divenne il segretario generale. In questa veste, è il padre dell’euro. In seguito, ha animato il movimento europeo e ha creato il Club Bilderberg». Obiettivo dell’Elec, una volta create le istituzioni europee, era quello di «passare dalla moneta comune (la futura European Currency Unit – Ecu) a una moneta unica (l’euro), in modo che i paesi che aderivano all’Unione non potessero più lasciarla».È questo il progetto che François Mitterrand ha realizzato nel 1992, continua Meyssan. «Alla luce della storia e della partecipazione di Mitterrand al Congresso dell’Aja nel 1948, è assurdo affermare oggi che l’euro avesse avuto un altro scopo. Questo è il motivo per cui, logicamente, i trattati attuali non prevedono l’uscita dall’euro, costringendo la Grecia, se lo desidera, a uscire prima dall’Unione per poter uscire dall’euro. Dopo la dissoluzione dell’Urss, gli Stati Uniti rimasero i soli padroni del gioco, il Regno Unito li assistette, e gli altri Stati obbedirono loro. «Di conseguenza, l’Unione non ha mai deliberato il proprio allargamento a Est, ma ha solamente convalidato una decisione assunta da Washington e annunciata dal suo segretario di Stato, James Baker. Allo stesso modo, ha adottato sia la strategia militare degli Stati Uniti, sia il loro modello economico e sociale caratterizzato da enormi disuguaglianze». La stampa dominante ha affermato che votando “no”, l’economia greca avrebbe fatto un salto nel buio. «Eppure, il fatto di appartenere alla zona euro non è una garanzia di performance economica». Secondo i dati del Fmi, nel rapporto tra Pil e potere d’acquisto dei salari, un solo Stato membro dell’Unione Europea è tra i primi 10 al mondo: il paradiso fiscale del Lussemburgo. La Francia è solo al 25° posto su 193.La crescita, nell’Unione Europea, è stata dell’1,2% nel 2014, il che va a classificarla al 173° posto nel mondo: uno dei peggiori risultati del pianeta (la media mondiale è del 2,2%). «È inevitabile constatare che appartenere all’Unione e utilizzare l’euro non sono garanzie di successo», osserva Meyssan con lugubre sarcasmo, di fronte alla catastrofe economica che sta travolgendo l’Eurozona. Ma attenzione, non si tratta di un fallimento per tutti: «Se le élite europee sostengono questo “progetto”, accade perché risulta loro profittevole. In effetti, nel creare un mercato unico e una moneta unica, gli “unionisti” hanno imbrogliato le carte. Ormai, le differenze non sono tra gli Stati membri, ma tra classi sociali che si sono rese uniformi su scala europea. Ecco perché i più ricchi difendono l’Unione, mentre i più poveri aspirano al ritorno degli Stati membri». L’Ue, aggiunge Meyssan, «non è stata creata per unire il continente europeo, ma per dividerlo, scartando definitivamente la Russia. Questo è ciò che Charles De Gaulle aveva denunciato mentre perorava un’Europa “da Brest a Vladivostok”».Gli “unionisti” assicurano che il “progetto europeo” ha consentito la pace in Europa per 65 anni? «Ma parlano dell’appartenenza all’Unione o del loro vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti? In realtà è questo che ha garantito la pace tra gli Stati dell’Europa Occidentale, pur mantenendo la loro rivalità al di fuori dell’area Nato». Il sistema-euro, che impone diktat a Stati non più sovrani, ricorda in modo sinistro i meccanismi decisionali del piano di dominio hitleriano. Meyssan cita ancora Walter Hallstein, alto funzionario tedesco, l’uomo che curò la redazione del progetto nazista di Europa federale. «Si trattava di distruggere gli Stati europei e di federare le popolazioni per etnie attorno al Reich ariano. L’insieme sarebbe stato sottoposto alla dittatura di una burocrazia non eletta, controllata da Berlino. Dopo la Liberazione, mise in opera il suo progetto con l’aiuto degli anglosassoni». Altro personaggio chiave nel martirio ellenico, Mario Draghi, presidente della Bce nonché ex numero due in Europa della banca Goldman Sachs.Proprio Draghi «ha celato al Parlamento Europeo il ruolo da lui avuto rispetto alle malversazioni perpetrate dalla banca per conto del governo greco, sebbene risulti a chiare lettere dai documenti della banca». Atene, ora, «potrebbe facilmente cavarsela rifiutandosi di pagare la parte odiosa del debito, lasciando l’Unione, e facendo alleanza con la Russia, che per lei è un partner storico e culturale di gran lunga più serio della burocrazia di Bruxelles». Certo, la volontà di Mosca e di Pechino di investire in Grecia e di crearvi nuove istituzioni internazionali è un segreto di Pulcinella. «Tuttavia, la situazione in Grecia è più complessa», visto che Atene è anche un membro della Nato: proprio per impedire alla Grecia di avvicinarsi all’Urss, l’Alleanza Atlantica aveva già organizzato nel 1967 un colpo di Stato militare, il “golpe dei colonnelli”.Il referendum greco ha dato adito ad accesi dibattiti che però dimostrano la generale ignoranza sulle regole del gioco: «I partecipanti si sono lacerati per sapere se i greci fossero o no responsabili del loro debito, stando sempre attenti nel contempo a non accusare mai di usura i loro creditori», scrive Thierry Meyssan. «Ma lo hanno fatto ignorando la storia dell’euro e le ragioni della sua creazione». La moneta unica? «Un progetto anglosassone della guerra fredda», per indebolire l’Europa e staccarla dalla Russia. Dal Trattato di Roma, 64 anni fa, le istanze amministrative successive del “progetto europeo” (Ceca, Cee, Ue) hanno speso somme enormi e senza equivalenti per finanziare la loro propaganda nei media. «Ogni giorno centinaia di articoli, di trasmissioni radio e televisive, sono pagati da Bruxelles per raccontare una falsa versione della storia e farci credere che l’attuale “progetto europeo” sia quello degli europei risalente al periodo fra le due guerre mondiali». Ma gli archivi mostrano che già nel 1946 Winston Churchill e Harry Truman decisero di dividere il continente europeo in due: da una parte i loro vassalli, dall’altra l’Urss con i suoi.
-
Della Luna: Germania criminale, utile idiota dello Zio Sam
“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.Tsipras, il doppiogiochista bifronte, ha tradito sia il mandato elettorale che quello referendario del suo popolo, finendo per imporgli condizioni addirittura più schiaccianti di quelle inizialmente richieste dalla Germania, per fare lo sporco gioco di questa, condannando la Grecia a misure incompatibili col risanamento, perché aumentare le tasse sui redditi e l’Iva a un’industria già agonizzante significa voler ammazzare l’economia e peggiorare quindi il rapporto deficit/Pil. E licenziamenti massicci con una disoccupazione al 25% sono un suicidio sociale. L’insostenibilità del debito pubblico greco si ripresenterà entro l’anno, aggravata dal calo della produzione e dell’occupazione. Qual è dunque l’obiettivo di Berlino (e quindi del governo fantoccio di Bruxelles)? Disastrare la Grecia per impadronirsi, o far sì che i capitalisti finanziari franco-tedeschi si impadroniscano dei beni pubblici che il traditore Tsipras col suo Parlamento di nominati (come quello italiano) metterà nel fondo di garanzia da 50 miliardi. E far man bassa nelle privatizzazioni che Atene sarà forzata ad eseguire col peggiorare programmato della sua crisi debitoria.La Grecia ha avuto diversi traditori prima di Alexis Tsipras, a cominciare dal famoso Efialte, che insegnò ai persiani di Serse un sentiero segreto attraverso i monti per prendere alle spalle i difensori delle Termopili. I difensori delle Termopili sono sempre giustamente commemorati e celebrati, mentre Efialte è passato come lo sterco dei muli di Serse. Il governo Merkel, venendo alla luce come il padrone incontrastato e il vero manovratore delle istituzioni europee, ha distrutto l’Europa, o meglio l’illusione del processo di unificazione europea. Ormai il re è nudo, cioè tutti vedono che l’apparato detto “Unione Europea” è una macchina di sottomissione in mano al governo e alla finanza germanici, che non ci sono né democrazia né eguaglianza né solidarietà né giustizia né sane ricette economiche né un progetto costruttivo, ma solo il progetto tedesco di indebitare, indebolire e spadroneggiare in una Lebensraum in via di conquista. Razziare gli assets pregiati e far lavorare la gente in condizione di servitù, senza garanzie e senza progetti di vita, solo per pagare interessi su pretesi debiti contratti in cambio di denaro contabile, generato a costo zero da bancari-usurai.L’opinione pubblica tedesca se ne frega, se la mortalità infantile in Grecia sale del 45%. L’imperialismo genocida tipicamente tedesco riemerge periodicamente per guidare alla vittoria i cancellieri “forti”. I quali sinora hanno poi sempre perso, perché si sono messi contro il mondo. Il problema è però chi sta dietro Berlino e la sua campagna di conquiste: quale potenza consente alla Germania di imporre tutto ciò che vuole senza nemmeno negoziare, ma piegando e umiliando chi osa opporsi? Necessariamente una potenza che dispone di superiori forze non solo economiche, ma anche militari: gli Usa, o meglio la power élite che governa Washington, ai cui disegni globali la Germania, con le sue caratteristiche di efficienza e amoralità, è strumentale. Fu grazie alla I Guerra Mondiale scatenata dalla Germania, alle distruzioni e ai debiti che essa produsse, che gli Usa soppiantarono l’Impero britannico e le potenze europee. Fu grazie ai finanziamenti delle banche e della grande industria americana, che Hitler ricostruì e riarmò la Germania. E fu grazie alla II Guerra Mondiale, che Wall Street impose al mondo il suo ordine monetario, anche col Piano Marshall e la ricostruzione.Storicamente, la Germania è uno strumento con cui lo zio Sam sottomette l’Europa. Anche in questi giorni, dietro il bailamme della crisi greca, sta ottenendo il voto favorevole del Parlamento Europeo al Ttip. Già l’Italia, come la Grecia, ha avuto ed ha governi imposti da Berlino, ma guidati da personaggi della banca americana Goldman Sachs, per fare gli interessi stranieri. Governi che hanno massacrato questo paese, i cui conti reggono oggi solo perché il Qe di Draghi li sostiene, abbassando lo spread; ma quando il Qe finirà, il debito italiano rischia seriamente una crisi di sostenibilità come quello greco. Oggi Brunetta dice «io e Forza Italia non cederemo mai la sovranità a Schaeuble», ma fino a due anni fa hanno votato tutto quello che serviva per cederla!(Marco Della Luna, estratti da “Merkel e Serse, conquistare la Grecia”, dal blog di Della Luna del 14 luglio 2015).“Erneut zerstört eine deutsche Regierung Europa”, ossia “Nuovamente un governo tedesco distrugge l’Europa”, titolava ieri in prima pagina “Handelsblatt”, omologo tedesco de “Il Sole 24 Ore”, nella sua edizione online (il primo fu il governo Bethmann-Hollweg nel 1914-18, il secondo il governo Hitler nel 1938-45, il terzo il governo Merkel, oggi); e mette in bella mostra gli elmi chiodati del II Reich che distrusse l’Europa (e consentì l’egemonia degli Usa) scatenando la I Guerra Mondiale, e scatenandola nel modo più sporco: l’invasione del Belgio neutrale, le stragi di civili innocenti, la distruzione gratuita di centri urbani, l’uso massiccio dei gas mortali. Un altro articolo definisce il ministro delle finanze Schäuble “Il seppellitore (Totengräber) dell’Europa”. A intendere: nella vicenda greca, la Germania ha dimostrato che l’Unione Europea non ha una politica propria, è solo una facciata e uno strumento per i suoi interessi egoistici, nazionalistici e imperialistici rispetto agli altri paesi europei. Adesso che tutti lo vedono, l’illusione idealistica e sentimentale dell’unificazione europea, la retorica dei “padri fondatori” e tutte le altre corbellerie appaiono per quel che sono sempre state: camuffamenti.
-
Barnard: infame bugiardo, Varoufakis ha tradito la Grecia
E’ stato osceno per me assistere alla sceneggiata dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che di fronte ai media internazionali salta in sella alla sua moto e, da eroe spartano dissidente combattente del Popolo greco, lascia il suo governo in un tripudio di “eroe!”, “coraggioso!”, “grande vero politico!” da parte di tutta la stampa internazionale, bloggers e fessi assortiti, i quali tutto dicono e scrivono ma nulla sanno di cosa veramente successe. Yanis è un falsario, di proporzioni disgustose. Lui e Tsipras hanno giocato le parti da film poliziesco di Hollywood con una maestria eccezionale: il ‘bad cop’ & il ‘good cop’, cioè il poliziotto cattivo (Tsipras che si vende alla Troika) e quello buono (Varoufakis che brandendo la dignità greca sbatte la porta in faccia alla Troika). Ma entrambi sono in realtà nello stesso team, e il team si chiama: Grecia nell’Eurozona a tutti i costi. Sangue nelle strade? Olocausto di un popolo? Non importa. Lasciare l’Inferno dell’euro non si considera neppure. In metafora: si rimane ad Auschwitz, con Tsipras che accetta i forni crematori con un piccolo sconto, mentre Varoufakis li rifiuta categorico e opta per la fucilazione di massa. Ma sempre dentro Auschwitz si sta.Ecco, queste sono le proporzioni esatte della vergogna storica dei due falsari. I rari squittii di Yanis sull’uscita dall’euro erano tutti falsi, e più sotto leggerete perché. Per capire dove inizia l’infamia di Varoufakis e dove finisce, bastano due affermazioni: Sì a Lazard – No a Warren Mosler. E ora la storia. Il 25 gennaio 2015 Syriza vince le elezioni greche, imponendosi come primo partito e ottenendo il 36,3% dei voti. Immediatamente dopo, il neo ministro delle finanze Yanis Varoufakis annuncia che Atene di nuovo assume l’agenzia globale di consulenze finanziarie Lazard per assistere il suo governo nei negoziati coi creditori della Grecia già ridotta a una Dresda sociale. Eccovi Lazard. Il braccio armato di Lazard, quello che fa milioni di dollari con consulenze ai governi indebitati, si trova a Parigi, ed è guidato da un certo Matthieu Pigasse. Pigasse è un devoto socialista francese della scuola ultra-neoliberista e pro mercato di François Mitterrand, che fu amico personale di un altro falco di destra finanziaria, l’ex presidente Sarkozy, mentre oggi va a braccetto strettissimo con l’attuale presidente Hollande, uno dei maggiori CREDITORI creditori della Grecia. Conflitto d’interessi?Certo, infatti dovete sapere che prima di Varoufakis un altro governo greco aveva assunto Lazard, nel 2012, in occasione del mega ‘salvataggio’ (traduzione=ghigliottina) della Grecia da parte della Troika. Fu in quella occasione che accadde una cosa che già avrebbe dovuto dissuadere Varoufakis dall’ingaggiarsi di nuovo con Lazard: l’International Financing Review rivelò allora che quando Lazard propose alla Troika qualcosa che suonava vagamente pro popolo greco, l’allora presidente francese Sarkozy chiamò il Chairman di Lazard e gli abbaiò: «Ricordati che la Francia è un tuo cliente 50 volte più grosso della Grecia! Calma i toni, bimbo!». Lazard chinò la testa all’istante e ritirò la proposta. Eh? Varoufakis? Ti giunge nuova? No, falsario. Lazard nel 2011 aveva fatto una bella frittata in Spagna, naturalmente pagata dagli spagnoli della strada, quando fu consigliere della strafallita banca Bankia, col risultato che appena dopo un anno Madrid dovette salvare Bankia con 22.5 miliardi di euro di soldi pubblici. Lazard tocca la Gran Bretagna e fa un altro disastro per la gente comune: viene ingaggiata dal premier David Cameron per la privatizzazione delle poste inglesi, che avvenne con un prezzo per azione talmente stracciato che i contribuenti persero miliardi di sterline. Eh? Varoufakis? Ti giunge nuova? No, falsario.Ma Lazard è anche quella dove lavorava Gerd Häusler, un direttore Senior del Institute of International Finance di Washington (Iif), il Re della speculazione sui derivati, ma soprattutto, e parlo del Iif, il difensore supremo di tutti i creditori privati della Grecia. Ma capite di cosa è composto il Dna di Lazard? E non facciamoci mancare nulla: in Lazard c’è passato anche Mark Walker, un bel campione della banca Rothschild che poi ha fatto i suoi danni sia in Grecia che a Cipro… e Varoufakis se li prende a consulenti. E Varoufakis crede che Lazard combatterà ‘a la Lord Byron’ per la Grecia e… che Lazard si farà nemici i tedeschi? la Merkel? la Deutsche Bank cresciuta dal Conte Dracula della speculazione Josef Ackermann, anche lui dentro fino al collo nel Iif? Cioè: TUTTI POTENZIALI FUTURI CLIENTI DI LAZARD tutti potenziali futuri clienti di Lazard ma con un valore di acquisto (cioè parcelle) che per Lazard è mille volte superiore alla Grecia? Credevi che Lazard si dimenticasse di questo nei negoziati, Yanis, falsario? E tu tutte queste cose le sai.Ma Cristo!, se sei devastato dalla Peste Nera non chiami i Monatti a farti da consulenti. Cioè: se chi ti sta annientando è 1) un mondo della finanza impazzito, spietato (che deve essere distrutto per il bene del pianeta) e 2) mega governi nazistoidi e totalmente pro-finanza, NON CHIAMI non chiami ad aiutarti un frullato di Wall Street che vive a braccetto e A BUSTA PAGA a busta paga di quei mega governi. Ma il gioco è ancora più perverso. Lazard, come già detto, aveva lavorato con Atene alla mega ristrutturazione del suo debito nel 2011-12, con un risultato che fu da tutti gli ‘esperti’ considerato storico. Lazard convinse infatti i creditori PRIVATI privati della Grecia a perdonargli il 75% del debito privato, che allora era di 206 miliardi. Un record mondiale. Per questo servizio Lazard intascò una parcella di 25 milioni di euro.Ma attenzione: come sempre il ‘salvataggio’ della Grecia venne con condizioni di Austerità economiche atroci, che dal 2012 a oggi ha cacciato un quarto della popolazione dal lavoro, devastato ogni parametro economico del Paese (crescita, Pil, tassi sui titoli ecc.), aumentato la mortalità infantile del 40% e altri orrori noti. Bene. Risultato? Che oggi la Grecia non solo è stata schiacciata come uno scarafaggio dalla Troika, ma quei privati che allora accettarono le perdite chieste da Lazard, oggi se le riprendono con mega interessi comprandosi una Grecia super svalutata a pezzetti ultra scontati, esattamente come si svuota un negozio in chiusura fallimentare, pagando una camicia da 60 euro solo 5. Ecco il trucco. Lazard sa queste cose a memoria e Varoufakis anche! E tu Yanis te li riprendi? Delinquente è dirti pochissimo.Poi… parte seconda. Yanis lungo tutta questa tragedia si accompagna a Lazard sull’assunto sacro e intoccabile, vera unica Bibbia di tutta la storia, che di uscire dall’Eurozona, stracciare i Trattati economicidi della Ue, e riprendersi la sovranità monetaria, è assolutamente escluso. Mentre era e rimane l’unica salvezza di quel paese. Oggi Varoufakis in interviste cosiddette esclusive ci confessa che a un certo punto dei negoziati la sua sensazione fu “che era tutta una trappola già pronta”. Ma dai Yanis? Ehhh!!! Io il 25 febbraio 2015 scrissi questo articolo: “Mesi prima del gennaio 2015, era deciso che la Grecia era fottuta. Tsipras dormiva”. Leggetelo su paolobarnard.info. Draghi della Bce aveva già deciso nel 2014 che la Grecia era a priori tagliata fuori da qualsiasi aiuto da parte della portaerei nucleare dell’euro, la Banca Centrale Europea appunto, che ha un potere infinito di emissione e salvataggio su diversi piani e che poteva salvare la Grecia in un quarto d’ora. Era tutto già deciso un anno fa quasi, ma Yanis poverino se ne accorge nella primavera di quest’anno, lui, un ministro delle finanze. Buffone bugiardo.Ma qui arriviamo al fondo del pozzo nero delle menzogne e omissioni di Yanis Varoufakis.Lui stesso, in un’intervista al “New Statesman”, rivela che per un attimo appena dopo le elezioni “avevamo pensato all’uscita dalla moneta unica”, con un piccolo team di consiglieri greci. Ma prosegue Yanis: “Però non ero sicuro di farcela. Perché gestire il collasso della moneta unica richiede un grado di competenza immane, e non sono sicuro che noi qui in Grecia l’abbiamo… SENZA L’AIUTO DI ESPERTI STRANIERI senza l’aiuto di esperti stranieri”. Era l’alba del 9 febbraio scorso, le 02,01 del mattino. Io scrivo a Varoufakis esattamente queste righe: “Yanis, chiama Mosler adesso! Paolo Barnard”. L’economista americano Warren Mosler è il maggior esperto al mondo di sovranità monetaria, di banche centrali, di gestione di crisi, e soprattutto è il massimo genio della ricostruzione economica per l’Interesse Pubblico. Era pronto a partire per Atene il giorno dopo col suo team di collaboratori come Pavlina Tcherneva, Stephanie Kelton, Mathew Forstater e altri accademici. Potevano letteralmente salvare la Grecia con la totale uscita dall’inferno dell’Eurozona.Passano 14 minuti e ricevo da Varoufakis: “Hai un suo numero?”. Chiamo Mosler, che cade dalle nuvole, controllo il numero e lo mando a Yanis Varoufakis. Dopo 21 minuti Warren Mosler mi chiama dagli States. Si sono parlati al telefono, alle 2,30 del mattino europee, Warren ha 2 ore per mandare a Yanis un piano salva Grecia. Lo fa, e me lo manda in copia. E’ fantastico. Io scendo nel bagno del pub e urlo, urlo e sbatto la testa contro le porte, e urlo ancora… Non ci posso credere, siamo a un millimetro dalla salvezza della Grecia e dalla fine del crimine contro l’umanità chiamato Eurozona. Se Varoufakis e Tsipras ingaggiano Warren Mosler & Team, vi garantisco, l’Europa di Junker, Lagarde, Merkel, e degli altri porci sarà asfaltata al muro, letteralmente da scrostare con una squadra di muratori. Passano 48 ore. Alle prime ore dei due giorni successivi la stampa mondiale annuncia: Tsipras e Varoufakis hanno incaricato l’economista americano Jamie Galbraith come consulente nei negoziati con la Troika. Non una parola di Molser, che Yanis Varoufakis conosce benissimo e da cui è stato praticamente a lezione parecchi anni fa. Scrivo a Warren. Ho un senso di disperazione che mi sta squartando, voi non capite, e glielo scrivo. Warren Mosler mi risponde: “Io pure”.Jamie Galbraith era senza dubbio un noto economista, ma non sapeva praticamente nulla di ciò che occorreva alla Grecia per fuggire dall’Olocausto cui ora è sottoposta. Per chi non è ferrato dell’economia di Warren Mosler, vi dico appena una cosa: l’applicazione anche solo di una piccola dose delle sue ricette economiche, ripeto solo una piccola dose e per poco tempo, in Argentina, portarono quel Paese dal default del 2001 a una crescita del 7% (!!) in soli 3 anni, nonostante il totale isolamento internazionale e la guerra feroce delle banche Usa. Scrissi poi una mail oltre la disperazione a Yanis: “Associa Warren a Galbraith, è l’ultima speranza per i greci”. No risposta. Il 15 di questo mese scrivo a Warren Mosler chiedendogli se almeno Varoufakis gli avesse poi scritto o detto due parole: “No, mai più sentito”, lapidario Mosler.Ora a te signor Yanis Varoufakis, il bugiardo, falsario amico di Lazard Wall St. & soci, e colui che ha gettato al vento la salvezza di un intero popolo che solo un grande Team come quello di Warren Mosler poteva salvare. E’ ignobile che tu oggi persino sorrida, per la tua coscienza putrefatta, non per altro. Non certo per i creduloni (in Italia guidati dal fesso austero prof. Rinaldi) che in giro per il mondo ti hanno applaudito come il neo Lord Byron ellenico. Falsario ignobile, troppo vile per veramente ricacciare i padroni stranieri dal tuo paese. La Grecia è morta ed è ora insalvabile. Le lacrime e gli strepiti non servono a nulla.(Paolo Barnard, “Yanis Varoufakis: la vergogna, il falsario”, dal blog di Barnard del 20 luglio 2015).E’ stato osceno per me assistere alla sceneggiata dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis che di fronte ai media internazionali salta in sella alla sua moto e, da eroe spartano dissidente combattente del Popolo greco, lascia il suo governo in un tripudio di “eroe!”, “coraggioso!”, “grande vero politico!” da parte di tutta la stampa internazionale, bloggers e fessi assortiti, i quali tutto dicono e scrivono ma nulla sanno di cosa veramente successe. Yanis è un falsario, di proporzioni disgustose. Lui e Tsipras hanno giocato le parti da film poliziesco di Hollywood con una maestria eccezionale: il ‘bad cop’ & il ‘good cop’, cioè il poliziotto cattivo (Tsipras che si vende alla Troika) e quello buono (Varoufakis che brandendo la dignità greca sbatte la porta in faccia alla Troika). Ma entrambi sono in realtà nello stesso team, e il team si chiama: Grecia nell’Eurozona a tutti i costi. Sangue nelle strade? Olocausto di un popolo? Non importa. Lasciare l’Inferno dell’euro non si considera neppure. In metafora: si rimane ad Auschwitz, con Tsipras che accetta i forni crematori con un piccolo sconto, mentre Varoufakis li rifiuta categorico e opta per la fucilazione di massa. Ma sempre dentro Auschwitz si sta.
-
Questa sinistra che obbedisce agli atroci macellai tedeschi
«Abbiamo guardato increduli a come un partito socialista dopo l’altro si sia immolato sull’altare dell’unione monetaria, per difendere un progetto che favorisce quelle élites economiche che la sinistra storica chiamava “un branco di banchieri”». Ambrose Evans-Pritchard, notista economico del “Telegraph”, spiega che ormai il velo è caduto, perché la Grecia ha rotto l’incantesimo: «La sinistra è diventata il gendarme delle politiche reazionarie e della disoccupazione di massa generate dall’euro». Se l’Europa non è nient’altro che la “versione cattiva” del Fmi, «che cosa resta del progetto d’integrazione europea? I tedeschi, peraltro, volevano solo la “sottomissione rituale” della Grecia». Punizione a cui, peraltro, la sinistra non si è sottratta: ancora una volta, i leader socialdemocratici sono stati sorpresi a «difendere un regime pro-ciclico di tagli di bilancio, imposto all’Eurozona da un manipolo di reazionari “ordoliberisti”, come ad esempio il ministro delle finanze tedesco».Se la Germania è «una guida disastrosa per l’Europa», come afferma l’economista Philippe Legrain, già redattore di “Foreign Policy”, «per uno strano scherzo del destino, la sinistra ha lasciato che essa stessa diventasse il gendarme di una struttura economica che ha portato a livelli di disoccupazione una volta impensabili per un governo social-democratico, dotato di una propria moneta e di tutti gli strumenti sovrani». La sinistra europea, continua Evans-Pritchard, «ha trovato il modo per giustificare un tasso di disoccupazione giovanile che, nonostante l’emigrazione di massa, è ancora al 42% in Italia, al 49% in Spagna e al 50% in Grecia, e ha accettato la “Lunga Depressione” degli ultimi sei anni, più profonda di quella del 1929-1935. Ha infine docilmente approvato il “Fiscal Compact” dell’Ue, sapendo che esso obbliga i paesi dell’Eurozona a ridurre drasticamente il loro debito pubblico, ogni anno, del 1,5% del Pil in Francia, del 2% in Spagna e del 3,5% in Italia ed in Portogallo, per i prossimi due decenni. Una formula per la depressione permanente, che vieta qualsiasi politica economica di tipo keynesiano», violando anche «i principi dell’economia classica».Questo, continua Evans-Pritchard, «è ciò che la sinistra prima ha concordato e poi difeso, seppur a malincuore, perché non ha osato mettere in discussione, almeno fino ad ora, la sacralità dell’unione monetaria». E così, quello che una volta era il potente “Partito Laburista Olandese”, è ormai ridotto ad una specie di pietosa reliquia del passato. Anche il Pasok è stato letteralmente cancellato, in Grecia, mentre il “Partito Socialista Spagnolo” ha perso la sua ala sinistra in favore del movimento ribelle “Podemos”, da poco vittorioso a Barcellona. Il leader socialista francese François Hollande, infine, raggiunge a stento, nei sondaggi, il 24%, dopo che la classe operaia francese si è spostata in direzione del “Front National”. Owen Jones, sul “Guardian”, scrive giustamente che «i progressisti dovrebbero essere sconvolti dalla rovina della Grecia per mano dell’Unione Europea. E’ giunto il momento di appoggiare la causa degli euroscettici».Gli esponenti della sinistra sono a disagio, continua Jones: «Il loro istinto è quello di contrastare tutto ciò che l’Ukip rappresenta», ma ora «la crudeltà mostrata sia da Bruxelles che da Berlino ha surclassato tutto il resto». Per George Monbiot, «il “tutto va bene” (con l’Ue) è in ritirata, mentre il “tutto va male” avanza come una furia». E un’altra giornalista britannica, Suzanne Moore, si domanda: «Come può la sinistra aver dato il proprio supporto a tutto quello che è stato fatto?». Conclude amaramente il collega Nick Cohen: «L’Unione Europea viene dipinta, non senza fondamento, come un’istituzione crudele, fanatica e stupida». Dibattiti di questo tenore stanno prendendo piede in tutta Europa, conferma Evans-Pritchard, citando l’economista Luigi Zingales, consigliere di Renzi, convertitosi all’euroscetticismo. Il giorno in cui la Grecia ha capitolato ha scritto: «Questo progetto europeo è morto per sempre. Se l’Europa è nient’altro che la versione cattiva del Fmi, che cosa resta del progetto d’integrazione europea?».In Grecia, “Syriza” è stata «semplicemente costretta ad abbandonare le sue promesse elettorali, per mezzo della coercizione finanziaria», scrive Evans-Pritchard. La colpa? «Una responsabilità collettiva dei creditori, delle élites dell’Unione Monetaria, dell’oligarchia greca e infine di un immaturo Alexis Tsipras». Il bail-out (salvataggio esterno) effettuato dalla Troika nel 2010 «aveva lo scopo di salvare l’euro e le banche europee (visto che non c’erano difese contro il contagio), non quello di salvare la Grecia che, al contrario, è stata deliberatamente sacrificata». In più, i paesi creditori (Germania in primis) «non hanno mai riconosciuto la propria colpevolezza», inoltre «non hanno mai tentato di negoziare onestamente con Syriza». Si sono limitati a chidere che i termini del memorandum 2010 fossero applicati alla lettera, «indipendentemente dal fatto che avessero o meno un senso economico», e lo hanno fatto in modo feroce e ipocrita, «nascondendosi dietro a farisaici discorsi sulle regole». Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle finanze, ha ripetuto che i creditori volevano una vera e propria “sottomissione rituale”, «ed è così che gli eventi sono decisamente sembrati ad un gran numero di persone in tutt’Europa».I paesi creditori hanno quindi forzato la situazione «attraverso l’infame trattativa» cui è stato sottoposto Tsipras, «senza peraltro offrire alcuna chiara riduzione del debito, anche se già sapevano che il Fmi riteneva che la Grecia avesse bisogno sia di una moratoria di 30 anni sulle scadenze del debito». La durezza dell’Ue a gida tedesca allarma Simon Tilford, del “Centre for European Reform”: «Quello che trovo preoccupante è che sono così pochi i politici tedeschi che sembrano turbati dallo spettacolo di una Grecia umiliata fino a questo punto. I tedeschi hanno sviluppato un racconto di fantasia riguardo la crisi. Hanno trasformato il paesaggio intorno a loro e pensano che siano essi ad essere le vittime». Secondo Tilford, è devastante l’assenza politica della sinistra: in Italia, Spagna e Francia, la sinistra è da anni aggrappata all’illusione che la Germania avrebbe infine accettato di alleviare l’austerità e di cambiare l’unione monetaria. «Questo pensiero è stato totalmente screditato dagli eventi dello scorso fine settimana. Tutti possono vedere, in effetti, a quali brutali livelli si trovi la disoccupazione. Se le regole dell’Eurozona non possono essere rispettate, prima si va in quarantena e poi si viene buttati fuori».Non dimentichiamo, aggiunge Evans-Pritchard, che la Bce di Mario Draghi «ha portato la Grecia fin quasi al crollo finale, conseguenza del congelamento della liquidità d’emergenza (Ela) per le banche greche, costringendo Syriza a chiudere le porte ai creditori, ad imporre controlli sui capitali e infine a fermare le importazioni». Tutto questo, aggiunge Pritchard, «viola i principi dell’”Unione Bancaria Europea”, che dovrebbero separare i destini delle banche private dai travagli degli Stati sovrani. E’ stata una decisione politica, probabilmente illegale, condita da una forte aggressività tecnica. E’ in ogni caso molto difficile da conciliare con il dovere della Bce, che è quello di sostenere la stabilità finanziaria». In realtà, «sappiamo tutti cosa c’era in gioco». Ovvero: «La Germania e i suoi alleati erano determinati a fare di Syriza un esempio, per scoraggiare gli elettori di qualsiasi altro paese a voler invertire il sistema». Evans-Pritchard pensa che, alla fine, gli oligarchi perderanno il braccio di ferro: i paesi europei riusciranno a ribellarsi. In Spagna, “Podemos” ha accusato le istituzioni dell’Ue e il governo spagnolo di aver commesso un “atto di terrorismo”, in violazione del codice penale spagnolo.Per Costas Lapavitsas, deputato di Syriza, il messaggio saliente degli ultimi cinque mesi è che nessun governo radicale può perseguire delle politiche sovrane, fintanto che è in balia di una banca centrale in grado di tagliare in qualsiasi momento la liquidità: «Adesso è perfettamente chiaro che l’unica via d’uscita è quella di liberarsi dell’unione monetaria». Kevin O’Rourke, economista di Oxford, prevede che il prossimo partito di sinistra che andrà a sfidare l’unione monetaria «non sarà irresponsabile come Syriza, e non contratterà più da una posizione di tale abietta debolezza». La lezione che può essere tratta da questa débacle? Semplice: «Negoziare con la Germania è una perdita di tempo. Ma, se si vuol farlo, si deve essere disposti ad agire con decisione e unilateralmente; si deve disporre di un piano per il raggiungimento di un avanzo primario (se non è già stato raggiunto); si devono avere in tasca le opzioni sia per un duro default unilaterale che per la fuoriuscita dall’euro, ed essere disposti ad usarle al primo segno di fastidio da parte della Bce».Quanto alla trucida Germania, che altro dire? «E’ davvero di così cattivo gusto ricordare che le “Potenze Alleate” decisero di spazzar via la metà delle passività esterne della Germania, nell’ambito dell’accordo sul debito raggiunto a Londra nel febbraio del 1953?». Quell’atto di saggezza politica arrivò a meno di otto anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dell’occupazione nazista della Grecia, quando le immagini degli orrori erano ancora fresche nella mente di tutti. «La riduzione del debito ha avuto un certo costo per la Gran Bretagna, che era il più grande creditore nel periodo precedente la guerra», spiega Evans-Pritchard. «La riduzione fu convenuta nel rispetto dell’interesse collettivo e della scienza economica, e fu volutamente inquadrata nell’ambito di una “trattativa tra eguali”, per sgomberare la nebbia costituita dai giudizi morali. Il risultato fu il Wirtschaftswunder (miracolo economico) tedesco e gli anni di gloria della ricostruzione post-guerra». Quindi, «qualunque cosa si possa pensare del comportamento della Grecia – che non ha fatto del male a nessuno – non possiamo usare giusto un minimo di buon senso?».«Abbiamo guardato increduli a come un partito socialista dopo l’altro si sia immolato sull’altare dell’unione monetaria, per difendere un progetto che favorisce quelle élites economiche che la sinistra storica chiamava “un branco di banchieri”». Ambrose Evans-Pritchard, notista economico del “Telegraph”, spiega che ormai il velo è caduto, perché la Grecia ha rotto l’incantesimo: «La sinistra è diventata il gendarme delle politiche reazionarie e della disoccupazione di massa generate dall’euro». Se l’Europa non è nient’altro che la “versione cattiva” del Fmi, «che cosa resta del progetto d’integrazione europea? I tedeschi, peraltro, volevano solo la “sottomissione rituale” della Grecia». Punizione a cui, peraltro, la sinistra non si è sottratta: ancora una volta, i leader socialdemocratici sono stati sorpresi a «difendere un regime pro-ciclico di tagli di bilancio, imposto all’Eurozona da un manipolo di reazionari “ordoliberisti”, come ad esempio il ministro delle finanze tedesco».