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Sono senza Speranza. Magaldi: nasce la Grande Opera
Qualcuno spieghi a quella nullità di Roberto Speranza che non è più il ministro della salute del governo Conte. Avanti così, e potrebbe non esserlo più nemmeno del governo Draghi: al premier non ha dato manco il tempo di presentare il suo programma alle Camere e incassare la fiducia. Tra i piedi gli ha subito gettato una mina, la non-apertura dello sci (a tradimento, senza preavviso), facendo imbestialire tutti, aziende e lavoratori, inclusi i politici: dai leghisti al presidente della conferenza delle Regioni, l’emiliano Stefano Bonaccini, Pd. «E’ talmente piccino, Speranza, da non aver capito la ratio del suggerimento che ha ricevuto: mettere in difficoltà Mario Draghi, i cui nemici (tanti) non vedono l’ora di vederlo annaspare, avendo compreso le sue vere intenzioni». Che sono formidabili: salvare l’Italia, facendo fare a tutti (tecnici e politici) «il contrario di quello che avevano fatto fino a ieri, quando servivano interessi stranieri o cedevano ai dikat di Bruxelles». E attenti: insieme a Speranza rischiano il posto lo stesso Walter Ricciardi, il commissario Domenico Arcuri e i grigi burocrati del Cts, tutti profeti del lockdown e delle zone rosse.L’avviso è circolare, ribadisce Gioele Magaldi: la parola d’ordine è cambiata. Non più chiudere, ma riaprire. Smettere di gridare, incarcerando gli italiani e colando a picco l’economia, e cominciare a contrastare davvero il maledetto virus (che Conte ha utilizzato per un anno, in modo cinico, per restare in sella a tutti i costi). Poi cos’è successo? Quel birbante incorreggibile di Renzi non ha resistito alla tentazione di sgambettare “Giuseppi” per antipatia personale, e magari per allungare le grinfie sul bottino del Recovery? Questa è la versione per bambini, a cui persino i media hanno finto di credere. Poi c’è l’altra spiegazione, quella credibile: si sono attivate le alte sfere. Obiettivo: mettere fine al peggio, una volta per tutte, e non solo archiviando il piccolo regno del terrore e della depressione orchestrato dai manovratori di Conte, al servizio di poteri imperiali anti-italiani, anche cinesi, mercantili e neo-feudali.La caduta dell’ex “avvocato del popolo” era solo il primo passo, innescato dalla ribellione tattica renziana, d’intesa con gli ispiratori massonico-progressisti. La strategia ha a che fare con l’orizzonte storico: la fine dell’austeriy come religione, il tramonto del neoliberismo come dogma. E dunque: l’Italia come piattaforma, mondiale, del cambio di paradigma. Se non si afferra questo, ribadisce il leader “rooseveltiano” del Grande Oriente Democratico, non si capisce il senso di quanto sta avvenendo: l’ex principe europeo del rigore, Mario Draghi, si appresta a guidare un esperimento rivoluzionario, post-keynesiano, fondato sul ritorno alla sovranità democratica, lontano dai ricatti della finanza-canaglia (di cui proprio l’ex capo della Bce è stato uno dei massimi esponenti, dopo aver brutalmente privatizzato l’Italia). Sfoderando il lessico dell’alchimia, Magaldi definisce “grande opera” la raffinata impresa massonica in corso: trasmutare il piombo (di ieri e di oggi) nell’oro di domani, dando modo a chiunque di trasfomare se stesso.Il primo a farlo è stato proprio Mario Draghi, passato dalle superlogge reazionarie a quelle progressiste, per emendarsi da trent’anni di abusi ed entrare nella storia come salvatore, intanto dell’Italia ma poi anche della stessa prospettiva europea, cui imporre una governance finalmente democratica e ispirata alla giustizia sociale. Non se ne parla, ufficialmente? Ovvio: il sistema mainstream non ha “visto” nemmeno la sovragestione autoritaria della pandemia, mentre il complottismo non sa discernere tra il Draghi del Britannia e quello di Palazzo Chigi. Nessuno ha notato le svolte epocali già compiute: nel 2019 l’evocazione della ultra-progressista Mmt (teoria economica che predica il deficit illimitato, a costo zero) per demolire il ricatto dello spread, e nel 2020 – in piena pandemia – l’appello sul “Financial Times” per uscire dalla crisi come si fa in tempo di guerra, cioè inondando l’economia di aiuti strategici a fondo perduto, non destinati a trasformarsi in debito. Sta succedendo qualcosa, lassù: il vertice del mondo (che è massonico) sta vivendo l’inizio di una “guerra intestina” destinata a cambiare volto al futuro del pianeta.Entrambe le fazioni della grande piramide sono decise a sfruttare il Covid, come occasione epocale: da una parte gli oligarchi, gli strateghi del terrore sanitario utilizzato per ridurre la libertà, e dall’altra i democratici, determinati a riformare in senso liberal-socialista il capitalismo finanziario globalizzato, ripristinando democrazia e diritti. L’Italia è il “forno alchemico” in cui la trasformazione dovrebbe avvenire: lo è persino lo stranissimo governo Draghi, coi suoi tecnici (fino a ieri neoliberisti) e i suoi politici non esattamente impeccabili, con tutti gli inevitabili compromessi del caso. Gli esempi non mancano. Di Maio agli esteri? Resterà irrilevante, dice Magaldi: la politica estera (oggi affidata a Eni, Enel e Leonardo) se la intesterà Draghi. Ma la conferma di Di Maio, «ansioso di entrare nel nuovo governo, e tra i più pronti a silurare Conte», era il solo modo per ottenere il supporto dei grillini, oggi lacerati e quasi disperati («a cominciare dai peones, che si sono preclusi il ritorno in Parlamento votando il demenziale taglio dei parlamentari»).Magaldi non è ingeneroso, coi 5 Stelle: è vero, sono crollati per colpa della loro stessa inconsistenza disastrosa, «ma almeno hanno riaperto i giochi infrangendo l’ipocrisia della finta contrapposizione “tribale” tra centrodestra e centrosinistra, incarnata da governi in realtà sempre allineati alla logica del rigore». Inevitabile poi che Draghi prendesse a bordo il Pd, storico custode del potere eurocratico. Ma, di nuovo: «Franceschini resterà alla cultura, cedendo però il turismo – oggi più che mai strategico – al leghista Garavaglia. E alla difesa resterà l’altrettanto ininfluente Guerini: era trumpiano con Trump, ora è bideniano con Biden». Forza Italia? «Berlusconi avrebbe voluto altri ministri. Invece nella squadra sono entrati quelli che per primi si erano mossi nella direzione di un governo Draghi, come Mara Carfagna. La Gelmini? Agli affari regionali farà meno danni di Boccia. Quanto a Brunetta, che a molti è indigesto anche per via di certe sue uscite discutibili, va detto che si tratta di una persona capace: e un mastino come lui sarà utile, per frenare appetiti indebiti in tempi di vacche grasse, davanti ai miliardi del Recovery».Le parole del presidente del Movimento Roosevelt sembrano provenire direttamente dalla cabina di regia, massonico-progressista, dell’esperimento guidato da Super-Mario. «Un esecutivo squisitamente tecnico, benché fatto di eccellenze e orientato in modo opposto rispetto al governo Monti, non sarebbe servito alla causa: che è anche la rigenerazione democratica della politica. Per questo è stata evitata una “maggioranza Ursula”, che avrebbe escluso la Lega e mancato il vero obiettivo: l’unità nazionale, con l’impegno – di ciascuna forza politica – a rivedere radicalmente il proprio orizzonte, archiviando slogan inutili e contrapposizioni di cartapesta fondate sull’ipocrisia, dai tempi in cui destra e sinistra obbedivano agli stessi ispiratori, operando le medesime scelte anti-popolari». Tutti a scuola da Draghi? In un certo senso, è così. «Vale anche per i tecnici ultra-liberisti fino a ieri, come Colao: prepariamoci a vederli all’opera in una direzione radicalmente diversa, rispetto a quella finora seguita».Logico che le leve di comando siano saldamente nelle mani del premier e dei Draghi-boys come i fedelissimi Roberto Garofoli e Daniele Franco, pronti a seguire il loro “capitano” in questa nuova avventura post-keynesiana. «Tra parentesi: con Franco, per la prima volta dopo tanti anni, avremo all’economia un super-ministro che non rema contro l’Italia, come invece avevano regolarmente fatto tutti i titolari di quel dicastero strategico, incluso il Padoan che frenava puntualmente ogni tentativo, da parte di Renzi, di ritagliarsi qualche spazio autonomo di spesa». Questa è la posta in gioco: in prima battuta tamponare il disastro-Covid amplificato dal catastrofico Conte, e introdurre una vera risposta sanitaria (magari curando i pazienti a casa, in modo tempestivo, come finora non è stato fatto: ancora non esiste un protocollo terapeutico nazionale adeguato, e così si finisce all’ospedale ormai in gravi condizioni).Nel frattempo, c’è da redigere finalmente un Recovery Plan che sappia rilanciare il sistema-paese. «Si parla di 209 miliardi: cifra che sarebbe servita già prima del Covid, per rimediare ai guasti. Figurarsi adesso, con la devastazione provocata dai lockdown». Numeri spietati: il Pil in picchiata, 160 miliardi perduti nel 2020, quasi un milione di disoccupati e oltre 400.000 aziende chiuse. Questo sì, è un Grande Reset: in pericolo è la sopravvivenza dell’Italia come sistema sociale. E come si è arrivati così in basso? Semplice: rinunciando alla politica. Fallito il tentativo gialloverde nato nel 2018, l’anno seguente si è abborracciato il Conte-bis solo per fermare Salvini. Il governo sarebbe caduto quasi subito, essendo diviso su tutto (non ultimo il tema-giustizia, ora affidato a Marta Cartabia «che certamente starà ben lontana dalle pulsioni “manettare” incarnate dal grillino Bonafede»). Chi ha salvato Conte? Ovvio: il Covid. Senza l’emergenza, “Giuseppi” sarebbe politicamente defunto almeno un anno fa.Magaldi gli imputa colpe gravissime: pur di restare a Palazzo Chigi, a colpi di Dpcm ha calpestato la Costituzione e rovinato la vita agli italiani, senza nemmeno riuscire a migliorare la situazione sanitaria. Punta di lancia di questa non-politica, appaltata ai burocrati del Cts, il prode Roberto Speranza (l’omino che non ha ancora capito che non è più Conte, il primo ministro). A proposito: era proprio necessario, tenersi il tragicomico Speranza? Gioele Magaldi ne parla come di un caso umano: «La sua conferma è stata un fatto di carità, cristiana e massonica». Risvolto politico: «Si è data a tutti i partiti l’opportunità di partecipare alle larghe intese, e Leu ha riproposto Speranza: si presumeva che avesse capito di dover cambiare completamente rotta, invece di insistere in modo ottuso e pericoloso con l’inutile strage economica dei lockdown».Inferisce Magaldi: «Era considerata innocua, la riconferma di Speranza, visto il suo carattere politicamente servile: è uno che lega l’asino dove vuole il padrone». Ora è avvisato: «Gli si metta la museruola, proibendogli di dire altre stupidaggini, o sarà accompagnato alla porta insieme a Walter Ricciardi (che fa solo terrorismo psicologico) e allo stesso Arcuri, che ci deve qualche spiegazione su come ha speso tutti quei soldi per le forniture, come quelle delle mascherine». Insomma, cartellino giallo: ultimo avviso. «Fuor di metafora: nessuno era contento di Speranza: né Draghi, né gli uomini di Draghi, né i principali fautori politici del governo Draghi. E quindi stia in campana, Speranza: è stato lasciato al suo posto solo per non umiliare Leu. Ma che succede se il suo partitino (destinato all’estinzione) ora si permette anche il lusso di spaccarsi, sulla fiducia a Draghi?».Per Magaldi, «hanno fatto il loro tempo anche i tecnici del Cts, confusionari e spesso incoerenti». In sintesi: «Dategli qualche settimana di tempo, e sarà Mario Draghi a prendere le misure a tutti questi cialtroni, che non hanno finora combinato nulla di buono, limitandosi a terrorizzare gli italiani». Magaldi cita Paolo Becchi e Giovanni Zibordi: dati alla mano, rilevano che il computo dei decessi a gennaio 2021 è inferiore alla media degli anni precedenti: «Ma non dovevamo avere più morti, a causa del Covid?». Non solo: «Lo stesso Matteo Bassetti, noto infettivologo, ha riconosciuto che tra i morti per Covid sono stati conteggiati anche pazienti morti d’infarto o per altre patologie». Accusa esplicita: «Qui abbiamo dato i numeri al lotto, continuiamo a farlo anche oggi, e questi si permettono di continuare a terrorizzare un paese in ginocchio, che invece deve rialzarsi, reiterando minacce di nuovi lockdown? Ma stiamo scherzando?».Tanto per ribadire il concetto, mercoledì 17 febbraio il Movimento Roosevelt schiererà la sua Milizia Rooseveltiana a Roma in pieno centro, violando il coprifuoco: un sit-in che promette di far parlare di sé, simbolicamente convocato in piazza Campo dei Fiori sotto la statua di Giordano Bruno, eroe ribelle, martire della libertà di pensiero e di azione. E l’adunata notturna (ore 22.45, l’inizio) sarà il culmine di un’intera giornata di disobbedienza civile: «Prima ci sarà un’assemblea del Movimento Roosevelt, che di per sé costituirà un primo assembramento, e poi proseguiremo con una bella cena, in un ristorante che dovrebbe restare chiuso, in virtù delle misure illegittime del governo Conte. Norme che al muovo esecutivo chiediamo di eliminare di corsa, in quanto incostituzionali, inutili sul piano sanitario e disastrose per l’economia».Gioele Magaldi non ha dubbi: archiviata la tragica pantomima del Covid, per un anno affidata alle maschere televisive di Conte, Ricciardi e Speranza, ora c’è da rimettere in piedi l’Italia. Come? Ripartendo dalla politica, quella vera: letteralmente svuotata dagli anni ‘90, con l’avvento del neoliberismo post-democratico che ha prodotto le finte alternanze, per mascherare la legge unica del “pilota automatico”, al di sopra delle elezioni. Che a guidare l’operazione-verità sia lo stesso inventore di quel famigerato dirigismo finanziario, rende il senso della missione: capovolgere tutto, allineando Salvini e Zingaretti, Grillo e Renzi. Tema: smettere di dividersi sulle stupidaggini, e ripensare il futuro del post-Covid, che poi è il presente. Un’altra Italia, una vera Europa. Un orizzonte finalmente aperto sul terzo millennio, seppellito il capitolo infame della paura (dello spread, del terrorismo, dei virus). Non c’è alternativa, disse la Thatcher. Ebbene, Mario Draghi è qui a provare che non è vero: tutti hanno sempre una seconda possibilità. E il tempo di dimostrarlo è adesso.Qualcuno spieghi a quella nullità di Roberto Speranza che non è più il ministro della salute del governo Conte. Avanti così, e potrebbe non esserlo più nemmeno del governo Draghi: al premier non ha dato manco il tempo di presentare il suo programma alle Camere e incassare la fiducia. Tra i piedi gli ha subito gettato una mina, la non-apertura dello sci (a tradimento, senza preavviso), facendo imbestialire tutti, aziende e lavoratori, inclusi i politici: dai leghisti al presidente della conferenza delle Regioni, l’emiliano Stefano Bonaccini, Pd. «E’ talmente piccino, Speranza, da non aver capito la ratio del suggerimento che ha ricevuto: mettere in difficoltà Mario Draghi, i cui nemici (tanti) non vedono l’ora di vederlo annaspare, avendo compreso le sue vere intenzioni». Che sono formidabili: salvare l’Italia, facendo fare a tutti (tecnici e politici) «il contrario di quello che avevano fatto fino a ieri, quando servivano interessi stranieri o cedevano ai dikat di Bruxelles». E attenti: insieme a Speranza rischiano il posto lo stesso Walter Ricciardi, il commissario Domenico Arcuri e i grigi burocrati del Cts, tutti profeti del lockdown e delle zone rosse.
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Eversione incompleta: niente impeachment a Trump
Battuto col favore delle tenebre dall’oceano di voti postali riconteggiati dai computer Dominion: schede arrivate anche fuori tempo massimo e grazie a regole elettorali cambiate all’ultimo minuto, in barba alla Costituzione di alcuni Stati-chiave. Ora lo ammettono, su “Time”, i manovratori a lungo rimasti nell’ombra come Mike Podhorzer, dirigente sindacale Afl-Cio. Potenti “illusionisti”, finanziati con mezzi larghissimi: rivendicano di aver congegnato una vasta “operazione” per escludere Donald Trump e insediare alla Casa Bianca l’esile Joe Biden, eletto in anticipo dagli stessi media che avevano tolto il diritto di parola al presidente degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia. Il partito repubblicano, complice della manovra, sa che Trump – poi massacrato per lo sgangherato assalto a Capitol Hill, largamente infiltrato – potrebbe scalare il Gop o addirittura svuotarlo, cambiando per sempre il tradizionale bipolarismo americano, avendo con sé almeno 75 milioni di elettori che si sentono defraudati da un voto percepito come non trasparente.I repubblicani però non hanno osato tradire Trump al punto da sostenere l’impeachment promosso dai baroni finto-progressisti come Nancy Pelosi. Così il Senato ha respinto l’ultima congiura contro l’uomo che, intanto, in Florida ha aperto l’Ufficio dell’Ex Presidente, non avendo mai ammesso la regolarità del risultato attribuito a Biden. Così ora The Donald festeggia: «La mia avventura politica è appena iniziata», avverte. Se fosse passato l’impeachment, il secondo che ha dovuto subire (caso unico, nella storia), non avrebbe potuto ricandidarsi nel 2024. Secondo tutti i sondaggi, la maggioranza degli americani è convinta che il risultato delle presidenziali sia stato tutt’altro che nitido: lo ammette anche una percentuale di elettori “dem”, ostili a Trump e insofferenti di fronte alla sua retorica. Nessuno infatti dimentica le immagini della campagna elettorale: folle straripanti ai comizi di Trump. Deserti invece i raduni del fantasmatico Biden, che peraltro – stando ai conteggi, stranamente sospesi nella notte – avrebbe poi colto un quasi-plebiscito, surclassando addirittura la popstar Obama.Al netto dei molti errori che Trump ha commesso nell’ultimo anno, resta in bocca il sapore amaro di una frode concepita da un Deep State eversivo, deciso a cancellare la libertà democratica sequestrando le elezioni. Trump ha sicuramente sottovalutato l’emergenza-Covid, lasciando che la sua gestione securitaria e psico-terroristica restasse nelle mani di personaggi come Anthony Fauci, sommo sacerdote di Big Pharma, alleato dei più acerrimi nemici di Trump, dall’iper-vaccinista Bill Gates a George Soros, grande vecchio della manipolazione politically correct. Prima ancora, Trump si era mostrato troppo timido di fronte agli abusi razzisti della polizia (che hanno armato la speculazione neofascista di Antifa, poi trasformatasi in violentissima strategia della tensione, con morti e feriti nelle strade). Accanto a sé, Trump ha tollerato la presenza dei gruppuscoli del suprematismo bianco, che hanno allarmato i moderati, così come gli appelli dell’ultra-tradizionalista monsignor Viganò (accorati, ma “medievali” nel loro millenarismo manicheo e reazionario) gli hanno alienato il voto dei cattolici progressisti.C’è chi valuta Donald Trump come uno dei migliori presidenti della storia statunitense, se si guarda al bilancio del suo quadriennio: ha azzerato la disoccupazione ricorrendo al deficit e tagliando le tasse, ha fatto letteralmente volare l’economia, ha risollevato lavoratori e classe media con misure quasi “socialiste”, di stampo keynesiano. Altro dato statistico, clamoroso: non ha avviato nessuna nuova guerra (vero record, per un presidente americano). Nonostante cio – o forse, proprio per questo – è stato letteralmente fatto a pezzi dal sistema mediatico, dominato dalla finanza che controlla Big Tech. Un ostracismo indegno di una democrazia, culminato con la censura spudoratamente imposta da televisioni e social media. Il grande merito di Trump, al di là della sua ruvida oratoria nazional-populista, sta nell’aver reso manifesto – e dalla Casa Bianca, addirittura – il male oscuro che minaccia il pianeta, ora anche manipolando l’epidemia di Wuhan nel modo indicato dagli oligarchi che a Davos hanno disegnato il loro ideale Great Reset, basato sulla retrocessione del cittadino al rango di suddito, senza più libertà.Si sottolinea, tra i meriti storici di Trump, quello di aver imposto l’alt alla dilagante egemonia dell’impero mercantile cinese, sdoganato dal gruppo di Kissinger già negli anni Settanta come possibile modello alternativo all’Occidente: massima efficienza economica, ma senza diritti democratici. Oggi, la sovragestione dell’amministrazione Biden conferma in modo bipartisan la politica strategica di Trump: non è più pensabile lasciare libertà di azione al regime di Pechino, l’unico che ha tratto enormi vantaggi (anche economici) dalla crisi pandemica, orchestrata da un’Oms filo-cinese. Per contro, il team che utilizza Biden come “presidente eletto” sta già esasperando le tensioni con la Russia, anche manovrando l’ex quasi-neonazista Navalny, secondo il collaudato modello-Ucraina, quello della “rivoluzione colorata” che ha arricchito la famiglia Biden con operazioni di estremo squallore, a cominciare dall’impero petrolifero Burisma affidato all’inquietante Hunter Biden.In un mondo letteralmente sfigurato dall’opaca gestione di un virus dall’origine misteriosa, al quale si pretende di rispondere solo con campagne vaccinali a tappeto (basate non su veri vaccini, ma su vettori genetici sperimentali e poco rassicuranti), ci si domanda quale ruolo potrà assumere, il grande perseguitato Donald Trump, a cui – si scopre – guardano con grandi aspettative ingenti masse di popolazione, non solo statunitensi. Con modalità forse anche ingenue, ci si attende una sorta di rigenerazione generale del pianeta, su base democratica, mettendo fine allo strapotere della menzogna mediatica che ha pervertito la realtà in stile orwelliano. Lascerà il segno, il fatto che a “picconare” il sistema sia stato il presidente degli Stati Uniti, trattato come un criminale dalle facce di bronzo che, quand’erano al governo, fingevano di non vedere le imprese mediorientali dell’Isis. Già, perché – come sa bene chi osserva le cronache – con l’avvento di Trump, il terrorismo “islamico” si era praticamente estinto, anche in Europa.L’apoteosi è stata raggiunta con la monumentale frode elettorale delle presidenziali 2020: centinaia di migliaia di schede-fantasma avrebbero costruito il “successo” di Biden, tale da certificare la fine della giustizia e della democrazia elettorale negli Stati Uniti. Scandalosi anche i dinieghi della Corte Suprema, che non ha mai accettato di pronunciarsi nel merito delle contestazioni: i ricorsi sono stati tutti respinti solo sulla base di rilievi procedurali. Per seppellire lo scandalo “occorreva” un contro-choc, come appunto l’assalto al Parlamento, utilizzato per tentare di cancellare Trump dall’anagrafe politica americana. L’operazione però è fallita, nonostante il tentativo – vagamente totalitario – di negare a Trump e ai suoi supporter anche il diritto alla rabbia, per la frode subita. Tutto il resto, naturalmente, rimane sul tappeto: se il gruppo che utilizza Biden come “presidente eletto” continuerà a cancellare i caposaldi dell’azione di Trump, a cominciare dalla politica fiscale, l’America dei dimenticati (maggioritaria, a quanto pare) tornerà prestissimo a far sentire la sua voce.Battuto col favore delle tenebre dall’oceano di voti postali riconteggiati dai computer Dominion: schede arrivate anche fuori tempo massimo e grazie a regole elettorali cambiate all’ultimo minuto, in barba alla Costituzione di alcuni Stati-chiave. Ora lo ammettono, su “Time”, i manovratori a lungo rimasti nell’ombra come Mike Podhorzer, dirigente sindacale Afl-Cio. Potenti “illusionisti”, finanziati con mezzi larghissimi: rivendicano di aver congegnato una vasta “operazione” per escludere Donald Trump e insediare alla Casa Bianca l’esile Joe Biden, “eletto” in anticipo dagli stessi media che avevano tolto il diritto di parola al presidente degli Stati Uniti, per la prima volta nella storia. Il partito repubblicano, complice della manovra, sa che Trump – poi massacrato per lo sgangherato assalto a Capitol Hill, largamente infiltrato – potrebbe scalare il Gop o addirittura svuotarlo, cambiando per sempre il tradizionale bipolarismo americano, avendo con sé almeno 75 milioni di elettori che si sentono defraudati da un voto percepito come non trasparente.
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Il Grande Reset avanza: digitale, green e post-umano
L’Agenda del Grande Reset è composta da diversi punti cruciali: globalizzazione, decarbonizzazione, digitalizzazione, Intelligenza Artificiale e automazione, moneta digitale, Internet delle cose, identità digitale e biometrica per tutti, robotica avanzata, sharing economy, capitalismo della sorveglianza e, in definitiva, il transumanesimo con il potenziamento umano e l’ibridazione uomo-macchina. Dietro la maschera dell’utopia e dell’ecologismo, ci troviamo dinanzi all’ennesima distopia elitaria portata avanti dai rappresentanti della tecnocrazia: questa teoria prevede una sostanziale erosione dei redditi della classe media per consentire sia la riduzione di consumi ed emissioni, sia un’uguaglianza di reddito che si traduce in un livellamento verso il basso, con conseguente trasferimento del reddito sottratto alla classe media verso il vertice della piramide.La divaricazione nella ridistribuzione dei redditi è talmente evidente che il piano prevede anche un reddito di sussistenza erogato dallo Stato a quei lavoratori che saranno lasciati indietro dalla rivoluzione tecnologica. Non è esagerato affermare che, complice la pandemia, si sta realizzando il sogno delle élite mondialiste: dividere la società in due livelli, da una parte il potere economico detenuto da una ristretta cerchia tecno-finanziaria di super ricchi, dall’altra la “massa” indistinta di individui sempre più poveri, soli, senza legami, diritti e senza radici, facili quindi da sfruttare e controllare per il governo globale sempre più post-umano che si sta costruendo. L’ultimo libro di Ilaria Bifarini, “Il Grande Reset”, sta meritatamente scalando le classifiche e si divora con grande interesse! Consigliatissimo, da leggere con attenzione e da meditare.(”Il grande reset”, dalla pagina Facebook di Enrica Perucchietti, 12 gennaio 2021. Il libro: Ilaria Bifarini, “Il Grande Reset. Dalla Pandemia alla nuova normalità”, Phasar Edizioni, 18 euro. Giornalista, saggista e redattrice editoriale, Enrica Perucchietti ha pubblicato volumi come “L’altra faccia di Obama”, “Governo globale”, “La fabbrica della manipolazione” e “UniSex”, ovvero “La creazione dell’uomo senza identità”. Interessanti le ricerche in territori di confine, da “Le origini occulte della musica” a “Il sangue di Caino”, “I figli di Lucifero” e “Il dio cornuto”, scritti con Paolo Battistel. Di stringente attualità lavori come “False flag, sotto falsa bandiera”, con prefazione di Pino Cabras, “Utero in affitto, la fabbricazione dei bambini”, “Fake news”, “CyberUomo” e “Coronavirus, il nemico invisibile”).L’Agenda del Grande Reset è composta da diversi punti cruciali: globalizzazione, decarbonizzazione, digitalizzazione, Intelligenza Artificiale e automazione, moneta digitale, Internet delle cose, identità digitale e biometrica per tutti, robotica avanzata, sharing economy, capitalismo della sorveglianza e, in definitiva, il transumanesimo con il potenziamento umano e l’ibridazione uomo-macchina. Dietro la maschera dell’utopia e dell’ecologismo, ci troviamo dinanzi all’ennesima distopia elitaria portata avanti dai rappresentanti della tecnocrazia: questa teoria prevede una sostanziale erosione dei redditi della classe media per consentire sia la riduzione di consumi ed emissioni, sia un’uguaglianza di reddito che si traduce in un livellamento verso il basso, con conseguente trasferimento del reddito sottratto alla classe media verso il vertice della piramide.
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Draghi sulle macerie della bancarotta politica italiana
La riapparizione dello spettrale Roberto Speranza, confermato ministro del Covid, getta nello sconforto chiunque avesse sperato in un taglio netto e anche estetico, da parte del commissario Draghi, all’intera narrazione funereo-farlocca del grande terrore, alla quale l’inconsistente “Giuseppi” aveva appeso la sua stessa sopravvivenza politica, sequestrando l’Italia per un anno intero grazie a un’interpretazione molto “smart” della stessa Carta costituzionale. Sarà il governo del presidente della Repubblica, si affrettarono a precisare gli aedi ufficiali della verità, quelli che ormai truccano da notizie le opinioni e le trasformano in dogmi di fede. Sono loro, i declamatori cartacei e televisivi, ad aver finto di vedere uno statista, nel 2020 a Palazzo Chigi. E sono gli stessi che, nel giro di 48 ore, hanno licenziato senza rimpianti il grande statista per prostrarsi ai piedi del nuovo principe, un realtà antico, percependolo come il vero uomo del destino, cioè del grande potere finanziario che manovra l’Ue, appositamente creata come strumento di dominio tecnocratico, post-democratico, ispirato da una divinità ineffabile come quella per cui lavorano i pochissimi che si giocano il mondo a dadi, tollerando quel che resta della politica elettiva.Fa impressione, lo spietato falò delle vanità messo in scena dal nuovo esecutivo che allinea Zingaretti e Salvini, Bersani e Berlusconi, con la regia di Matteo Renzi e gli applausi di Beppe Grillo. Vent’anni di politica italiana ridotta a zero, o meglio: disvelata per quello che era veramente, al netto di qualche isolato soprassalto di dignità, velocemente naufragato tra i marosi del massimalismo, fino al grottesco. In virtù della catastrofe sanitaria e quindi socio-economica, sfilano in silenzio gli eroi di ieri, che ormai sembrano fatti di cartone, anche se in teoria hanno ancora un ruolo: come ministri o referenti di ministri, parlamentari e titolari di botteghe partitiche, e probabilmente già impegnati come grandi elettori del prossimo capo dello Stato, incidentalmente e transitoriamente chiamato a tenere in piedi quello che, fino a poco fa, era ancora il paese del Papeete e delle Sardine, del tragicomico “uno vale uno”, del Cavalier Banana e degli odiati “comunisti”, notoriamente vivi solo nelle fiction prodotte ad Arcore. Il paese dei sovranismi senza sovranità, della sinistra senza sinistra: il reame che ha accettato (senza eccezioni) di essere recluso per un anno, viaggiando a fari spenti, dopo aver barattato la perdita della libertà in cambio della promessa, non mantenuta, della sicurezza sanitaria.Il “governo di alto profilo” evocato da Mattarella mette in mostra, per intero, da quali macerie sia evidentemente inevitabile ripartire, se si vuole mettere mano – per la prima volta, dopo decenni – a un doppio sfacelo: da una parte l’imposizione imperiale del grande potere finanziario globalizzato, e dall’altra la piena collaborazione dell’establishment nazionale, che ha appaltato le storiche inefficienze italiche agli ultimi eredi di parrocchie scolorite, un tempo popolate da veri politici. Bandiere che da tempo non rappresentavano più niente, ma che hanno preferito sventolare a lungo, le une contro le altre, piuttosto che ammettere la dura realtà di una condizione umiliante, subordinata a poteri sovrastanti, non più temperata in alcun modo dalla politica pura, quella che coltiva idee che poi diventano ideologie, quindi progetti per il futuro. Veniamo da trent’anni di diktat emanati dall’alto, declinati però – a piano terra – solo attraverso gossip, sondaggi, salotti televisivi e pletorici proclami strillati sui social. Tempo sospeso, dunque. Cambierà verso, ora, la cima del grattacielo? Nel caso, non occorre nessuna particolare chiaroveggenza per intuire che, almeno in prima battuta, nemmeno stavolta toccheranno palla, gli imbarazzanti agitatori delle vecchie bandiere (ora anche vistosamente imbarazzati, se non altro, visto il grigio spettacolo della loro completa bancarotta).(Giorgio Cattaneo, “Draghi e le macerie della bancarotta politica italiana”, dal blog del Movimento Roosevelt del 13 febbraio 2021).La riapparizione dello spettrale Roberto Speranza, confermato ministro del Covid, getta nello sconforto chiunque avesse confidato in un taglio netto e anche estetico, da parte del commissario Draghi, all’intera narrazione funereo-farlocca del grande terrore, alla quale l’inconsistente “Giuseppi” aveva appeso la sua stessa sopravvivenza politica, sequestrando l’Italia per un anno intero grazie a un’interpretazione molto “smart” della stessa Carta costituzionale. Sarà il governo del presidente della Repubblica, si affrettarono a precisare gli aedi ufficiali della verità, quelli che ormai truccano da notizie le opinioni e le trasformano in dogmi di fede. Sono loro, i declamatori cartacei e televisivi, ad aver finto di vedere uno statista, nel 2020 a Palazzo Chigi. E sono gli stessi che, nel giro di 48 ore, hanno licenziato senza rimpianti il grande statista per prostrarsi ai piedi del nuovo principe, un realtà antico, percependolo come il vero uomo del destino, cioè del grande potere finanziario che manovra l’Ue, appositamente creata come strumento di dominio tecnocratico, post-democratico, ispirato da una divinità ineffabile come quella per cui lavorano i pochissimi che si giocano il mondo a dadi, tollerando quel che resta della politica elettiva.
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La sfida: resettare i partiti-farsa e rifondare la politica
«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, di cui a qualcuno poteva sfuggire la logica: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?Velo pietoso, sul “Fatto”: viaggiando ormai a fari spenti, Marco Travaglio (sfidando il ridicolo, come fan numero uno di “Giuseppi”) si era spinto a consigliare al primo ministro di procedere con la pesca miracolosa dei senatori voltagabbana, pur di salvare la poltrona. E’ lo stesso Travaglio che giurava di credere alla religione moralistica di Grillo & Casaleggio, quella del “Vaffa” e del celebre “uno vale uno”. E pazienza se poi la realtà ha raccontato esattamente il contrario della fiction elettorale: un movimento-farsa zeppo di incapaci disastrosi, pronti a tradire gli elettori e a sostenere per oltre un anno il governo più catastrofico della storica repubblicana, nato solo per stoppare Salvini ma poi capace di una specie di miracolo, regalando all’Italia il record della peggior prestazione europea sul Covid: elevatissimo numero di vittime e spaventoso collasso economico. Ma niente paura: mentre “Giuseppi” finalmente crollava, i mezzibusti televisivi del “Fatto” stavano ancora a domandarsi come fosse possibile che un simile esecutivo da Premio Nobel venisse affossato da un minuscolo insetto molesto e insignificante, tale Matteo Renzi.Perfettamente inutile sperare che i giornali – non solo il “Fatto” – spieghino il retroterra profondo della crisi italiana, che ha infine spinto il Quirinale a commissariare la politica nazionale imponendo Draghi, di fronte alla bancarotta del sistema. La recita andata in scena per decenni (centrosinistra contro centrodestra, con varianti colorite ma sempre irrilevanti) è servita solo a far marciare l’agenda neoliberista: azzerare lo Stato, trasformandolo in arcigno esattore, e lasciando piena licenza di razzia ai grandi gruppi privati. Ultimo grande diversivo, le spettacolari ciance di Grillo: prima di rimangiarsi la parola su ogni proposito enunuciato, il baby-movimento neo-monarchico agli ordini dell’Elevato era riuscito a dire no a tutto, tranne all’unico nemico (quello vero), dominante da decenni, cioè il potere apolide del “pilota automatico”, imposto dai burattini di Bruxelles. Meglio l’innocuo populismo: alzare i toni contro il nulla, la “casta”, il “partito di Bibbiano” (con cui poi sedere al governo). Ragli sonori, come quelli contro i costi (trascurabili) della politica, senza preoccuparsi di una politica che sia innanzitutto efficiente, capace e coraggiosa.Un filone fortunatissimo, in Italia: a inaugurare il populismo elettoralistico fu Berlusconi, poi imitato da Renzi (in salsa politically correct) e infine da Grillo, in versione gridata, fino all’ultimo grande urlatore, Salvini. Fa eccezione il Pd, limitatosi al ruolo notarile di freddo esecutore dei peggiori diktat europei, sepolta per sempre l’antica ispirazione socialista dei fondatori. A tutto questo, ora – complice la sciagura-Covid – qualcuno ha staccato la spina, inducendo Mattarella a lanciare in pista Mario Draghi: non solo per tamponare le voragini (sanitarie, economiche e sociali) create da “Giuseppi”, ma anche e soprattutto per resettare un sistema politico da tempo in coma farmacologico. Primo passo: costringere i finti avversari a cooperare tra loro, sostenendo il medesimo esecutivo, e lasciando agli ultimissimi urlatori (Meloni, Di Battista, Paragone) il premio di consolazione degli applausi gratuiti, destinati a chi non intende candidarsi davvero a governare niente.A valle della strategia, resta la tattica: di questa si occupa, in modo brillante, “Dagospia”, che legge – nell’ultima giravolta renziana – la «fusione a freddo» in arrivo, tra Forza Italia e Italia Viva, «con un pizzico di Bonino e una spruzzata di Calenda». Renzusconi, certo: servirebbe anche «per racimolare un dignitoso 12-15%, sempre comodo per salvaguardare gli interessi mediatici del Banana, Media For Europe, con sede legale in Olanda, preda dell’ex amico d’oltralpe Bollorè e momentaneamente “al riparo” nei box dell’Agcom». A Draghi, infatti – scrive “Dago” – non risulterà difficile «convincere il portacipria di Brigitte, cioè Macron, che alla Francia è già andata in dote la Fiat e va bene così: non è il caso di tirare troppo la corda delle Telco, perché anche la fibra a volte si spezza e si finisce nella Rete (unica, magari)». Ma il passaggio di testimone da Berlusconi – privo com’è di eredi dotati di leadership – a Renzi, «ben felice di occupare l’area del centro», è stato improvvisamente «messo a soqquadro dall’improvvisa conversione a Ue dell’ex sovranista Salvini», il quale punta allo stesso obiettivo di Renzi: prendersi Forza Italia, anche grazie a Denis Verdini, Mara Carfagna e Giovanni Toti.Archiviato il Papeete, il capo leghista «ha capito al volo che l’appello di Mattarella “a tutte le forze politiche presenti in Parlamento, perché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo”, poteva essere il momento giusto per abiurare l’antieuropeismo legaiolo senza perdere la faccia». Secondo il newsmagazine di Roberto D’Agostino, la visione dell’ex Truce, supportato dal “partito del Pil” (il quartetto Giorgetti-Fedriga-Zaia-Fontana, da sempre a favore della svolta) è di portare la Lega nel Partito Popolare Europeo. «E una volta che la Cdu di Angela Merkel potrà accettarlo, lascerà al loro destino i due rospi del sovranismo, Marine Le Pen e la tedesca Afd». Sarà «un percorso di riverginazione, che prenderà almeno un anno», scrive “Dago”, immaginando – in modo molto avventuroso – che la Merkel (in realtà in uscita) sarà ancora l’imperatrice europea, e che la stessa Ue sia destinata a restare uguale a se stessa, a prescindere dagli scossoni in arrivo proprio dall’Italia, dove l’ex profeta del “pilota automatico”, Draghi, ha già chiarito – da almeno due anni – che il futuro passa per il ritorno a Keynes, smentendo decenni di eurocrazia post-democratica.Cambiare l’Europa: è questo il tema di fondo, che “Dagospia” sembra non cogliere, limitandosi a monitorare il piccolo cabotaggio dei mini-leader italiani, Renzi e Salvini, intenti a prenotare per sé le spoglie politiche del Cavaliere. Movimenti che evidenziano l’imminenza di rivolgimenti significativi: l’estinzione di Conte e dei grotteschi 5 Stelle (con la loro piattaforma tecno-demiurgica) potrebbe essere sintomatica di una rigenerazione profonda dello stesso impianto eurocentrico, con le correzioni che si attendono da Mario Draghi (non ripristinare il rigore, neppure dopo la fine della stagione Covid). Questo porrebbe in una luce completamente diversa ogni singolo attore politico: il Pd che del rigore è stato il massimo cantore italiano, il Renzi che (come Grillo e Berlusconi) ha solo finto una rottamazione di facciata, e il Salvini – capo dell’attuale primo partito italiano – che potrebbe approfittare dell’evento-Draghi (una stagione virtualmente lunga, se si prolungasse al Quirinale) per contribuire a riscrivere lessico e grammatica delle istanze che oggi impongono l’abbandono delle finte guerre per passare finalmente alla sfida – vera – contro il neoliberismo che in questi decenni ha ridotto la politica a una farsa.«Disinnescato Conte, una volta insediato il governo di Dragon Ball, Renzi passerà alla fase 2 affinché non fallisca la congiura fiorentina», architettata «per tirare fuori il paese dalle secche, a un passo dall’insolvenza», e soprattutto rilanciare – dopo anni di panchina – «l’ex Bullo di Rignano, perfetto genio guastatore, che ha rinunciato a un Conte-Ter oggi per una gallina domani», ovvero «quella dalle uova d’oro del suo vero pigmalione: il cavaliere Silvio Berlusconi». Con il consueto stile scanzonato, “Dagospia” ricostruisce così un importante retroscena della crisi di palazzo che ha portato alla defenestrazione di Conte a opera del sabotatore Renzi, la cui logica poteva sfuggire ai più distratti: solo in Italia potrebbero accadere cose simili, fingeva di meravigliarsi l’influencer Andrea Scanzi, insieme ai colleghi del “Fatto”, giornale trasformato in house organ grillino dell’ex “avvocato del popolo”. Ma come, si cola a picco un governo-meraviglia proprio in piena crisi pandemica, e davanti all’urgenza del Recovery Plan? E a sfasciare tutto, inorridiva Scanzi, è un partitino che mette insieme appena il 2% dei voti?
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Giù le mani dall’Iveco: catastrofe, se ora finisce alla Cina
Giù le mani dall’Iveco: guai se finisce alla Cina anche l’azienda leader del trasporto pesante. L’Iveco è tutt’altro che decotta: è strategica anche per l’esercito italiano e i bus elettrici del futuro. «E quindi: è necessario che lo Stato italiano intervenga, per evitare che sia ceduta», dice Marco Ludovico, dirigente del Movimento Roosevelt, che si appresta a presentare il caso-Iveco al nuovo governo che sarà guidato da Mario Draghi. I “rooseveltiani” hanno appena lanciato una raccolta di firme su “Change.org”, per ribadire l’urgenza di un intervento pubblico, in un’Italia che sembra in via di smantellamento, con quasi un milione di nuovi disoccupati. «Gli stabilimenti Iveco – ricorda Ludovico – danno lavoro a migliaia di persone nei territori di Brescia, Bolzano, Suzzara e Piacenza, oltre ad alimentare l’economia dell’indotto automobilistico in tutta Italia». La proposta? Far entrare Cassa Depositi e Prestisti nel capitale di Iveco e poi anche nella holding Stellantis, cui l’ex Fiat ha ceduto il comando, dopo aver incassato dal governo Conte ben 6,5 miliardi di euro, concessi per la crisi innescata dalla pandemia-Covid.Dell’ex gruppo Fca si continua a parlare pochissimo, sui giornali, nonostante abbia sostanzialmente passato ai francesi di Psa il settore auto. Ha anche venduto la storica Magneti Marelli, e ora intende cedere Iveco al colosso statale cinese Faw, col rischio di veder delocalizzati gli stabilimenti. «L’Italia è in saldo al miglior offerente, da anni, e l’elenco è infinito: Pirelli, Parmalat, Merloni, Lamborghini, Gucci. Dopo le decine di acquisizioni dei marchi più importanti nel settore dell’alimentare, della moda e degli elettrodomestici nel totale disinteresse della politica, oggi sulla lista della spesa ci sono i settori strategici dell’auto, della chimica, dell’energia e della meccanica», denuncia il Movimento Roosevelt, presieduto da Gioele Magaldi. «Le aziende italiane sono state colpite per prime dalla pandemia e dalla recessione, e quindi sono facile preda dei voraci capitali esteri, che non vedono l’ora di banchettare sul Made in Italy». Parla da solo il caso dell’Ilva di Taranto, spolpata dalla concorrente indiana Arcelor-Mittal secondo uno schema classico: una volta acquisiti i contratti, si porta il lavoro fuori dall’Italia, dove costa meno.«Imbarazzante ora la vicenda caso dell’ex Fiat, finanziata per decenni dallo Stato: per aumentare il valore delle azioni e controllare meglio la società, il gruppo Fca ha spostato la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra. Sarebbe una catastrofe, se l’Iveco venisse trasferita in Cina». Osserva Ludovico: «Da decenni, l’Italia ha abbandonato ogni strategia di politica industriale, intervenendo con capitali pubblici solo in aziende in forte perdita, e dopo che gruppi privati hanno goduto dei profitti. Francesi e cinesi, invece, continuano a perseguire i propri interessi nazionali: perché siamo gli unici, noi italiani, ad averli abbandonati?», si domanda Ludovico. Il disastro, ovviamente, è dietro l’angolo: «Come possiamo lasciare ai nostri figli un deserto industriale, consegnando il paese all’arretratezza e all’irrilevanza?». Un allarme che il Movimento Roosevelt si appresta a recapitare al nascituro governo Draghi. «Iveco potrebbe essere il motore dei trasporti puliti e del lavoro qualificato che vogliamo: non possiamo abbandonare i lavoratori italiani, inclusi quelli dell’indotto».Tra le proposte da sottoporre al governo, quella di esercitare il “golden power” sull’acquisizione di Iveco da parte di Faw. Utile, per i “rooseveltiani”, l’ingresso di Cassa depositi e Prestiti nel capitale di Iveco, in modo da garantire l’occupazione e vigilare sulle strategie aziendali, affinché non danneggino gli stabilimenti italiani. Non solo: «Al governo chiediamo anche l’ingresso nel capitale azionario di Stellantis da parte di Cdp, in misura pari alle garanzie pubbliche rilasciate da Sace». Qualora le operazioni di vendita fossero completate senza esercitare il “golden power” – conclude Ludovico – occorre creare un tavolo al Mise (con il supporto di Cassa Depositi e Prestiti e di fondi privati) per creare «un campione nazionale nella produzione di bus e camion ecologici, aggregando le aziende italiane presenti sul mercato, al fine di soddisfare almeno la domanda interna».Nonostante la crisi, ricorda il Movimento Roosevelt nel testo della petizione affidata a “Change.org”, l’Unione Europea ha siglato un accordo di libero scambio con il governo cinese. «Alle grandi industrie automobilistiche tedesche e francesi, l’accordo garantisce la tutela per gli investimenti nel paese asiatico, in cambio di un accesso totale al mercato europeo». Timori scontati: «Quando un vaso di coccio si scontra con dei vasi di ferro, quello di coccio viene distrutto: Faw è una società a pieno controllo statale del governo cinese e agisce secondo le sue direttive». Nel recente piano quinquennale 2021-2025 – ricorda ancora Marco Ludovico – il governo cinese ha elaborato il concetto della “doppia circolazione”, cioè la crescita del loro mercato interno con la contemporanea espansione economica all’estero. Risultato: «Si crea una dipendenza delle industrie internazionali dalle forniture cinesi, ancor più vincolante di quanto non lo sia già oggi». In un quadro simile, l’Iveco è in pericolo: le fabbriche italiane sarebbero facilmente smantellate, a favore degli stabilimenti all’estero, dove si lavora con salari inferiori.«La Cina terrebbe il marchio e il clienti Iveco, mentre l’indotto italiano sarebbe sostituto nel medio termine dalla componentistica cinese». Attenzione: «Iveco macina innovazione ed è un vero e proprio orgoglio italiano: un gruppo globale, pioniere degli autobus elettrici e della combustione pulita, che rappresenta il futuro dei trasporti ecologici». Inoltre, la stessa Iveco produce veicoli speciali per l’esercito italiano. Il Movimento Roosevelt ricorda che, nel maggio scorso, l’ex Fiat ha ottenuto da Conte 6,5 miliardi, erogati dalle assicurazioni statali Sace (per via della crisi pandemica) e utilizzati per confluire nella nuova holding Stellantis, a guida francese: di fatto, a gennaio 2021 il gruppo Peugeot ha acquisito Fca, e all’interno di Stellantis (quotata a Parigi) la partecipazione italiana è sparita. «Se lo Stato francese è presente in Peugeot e lo Stato cinese controlla completamente Faw – sottolinea Marco Ludovico – la quota italiana dell’ex Fca è in mano alla finanziaria privata Exor della famiglia Agnelli». Insomma, brutte notizie: «Pezzo dopo pezzo, stiamo svendendo la ricchezza che l’ingegno e la fatica di tre generazioni avevano costruito. Non c’è altro tempo da perdere: l’industria è la spina dorsale di un paese che vuole almeno sopravvivere, in un’era di rapidissima evoluzione tecnologica».Giù le mani dall’Iveco: guai se finisce alla Cina anche l’azienda leader del trasporto pesante. L’Iveco è tutt’altro che decotta: è strategica anche per l’esercito italiano e i bus elettrici del futuro. «E quindi: è necessario che lo Stato italiano intervenga, per evitare che sia ceduta», dice Marco Ludovico, dirigente del Movimento Roosevelt, che si appresta a presentare il caso-Iveco al nuovo governo che sarà guidato da Mario Draghi. I “rooseveltiani” hanno appena lanciato una raccolta di firme su “Change.org”, per ribadire l’urgenza di un intervento pubblico, in un’Italia che sembra in via di smantellamento, con quasi un milione di nuovi disoccupati. «Gli stabilimenti Iveco – ricorda Ludovico – danno lavoro a migliaia di persone nei territori di Brescia, Bolzano, Suzzara e Piacenza, oltre ad alimentare l’economia dell’indotto automobilistico in tutta Italia». La proposta? Far entrare Cassa Depositi e Prestisti nel capitale di Iveco e poi anche nella holding Stellantis, cui l’ex Fiat ha ceduto il comando, dopo aver incassato dal governo Conte ben 6,5 miliardi di euro, concessi per la crisi innescata dalla pandemia-Covid.
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Carotenuto: gesuiti, è vaticana l’operazione Renzi-Draghi
Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi, subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”). I veri king-maker? Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio. A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato. Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi? «Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto. «E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante». Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti, senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».Non c’è da stupirsene: «Il teatrino risale ai tempi della repubblica romana: già allora i capi dei tribuni della plebe, in realtà, erano patrizi». Altra premessa: per Carotenuto, «il Vaticano controlla tuttora saldamente buona parte della politica italiana». Nella sua visione, l’analista indica due piramidi di potere, in contrasto solo apparente tra loro: «Una è la piramide conservatrice, che promuove l’egoismo sociale in modo apertamente dichiarato, mentre l’altra piramide sostiene l’umanitarismo, l’ecologismo, la giustizia sociale. Intendiamoci: tende a sfruttare ideali e buoni sentimenti, creando formazioni politiche che fingono di perseguire questi ideali. Così, le persone vengono ingabbiate in recinti illusori e messe le une contro le altre, in un gioco totalmente deviante». Per Carotenuto, «la seconda piramide è più insidiosa: chi manifesta cattivi sentimenti almeno è evidente, mentre la controparte ipnotizza la gente con le belle parole ma poi genera i Clinton, gli Obama, i Biden e la nostra falsa sinistra, il Pd, i falsi ambientalisti».Al netto di pochi “incidenti di percorso” (Berlusconi e Salvini, Trump negli Usa e Putin in Russia) è la piramide finto-buonista a detenere le grandi leve: gli Usa con Biden e l’Ue, l’alta finanza, Big Pharma e il Vaticano. «Vogliono un mondialismo spinto all’estremo, fondato sulla verticalizzazione del potere. Grandi alibi per questa accelerazione: il surriscaldamento climatico e la crisi Covid, col risultato di aggravere l’aggressione farmaceutica ed elettromagnetica ai nostri danni». Fin qui, lo sfondo che Carotenuto tratteggia. E la politica italiana? «Le due piramidi sono entrambe presenti in Vaticano», dichiara in un video l’analista di “Coscienze in Rete”. «La piramide finto-buona, gesuitica, nel 2013 ha addirittura ottenuto il Papato, per la prima volta nella storia, alleandosi con una parte importante della potente curia romana, finto-progressista, per abbattere la piramide avversaria, cioè la Chiesa conservatrice, rappresentata da una parte della curia e da pontefici come Wojtyla e Ratzinger».La “piramide conservatrice”, sempre secondo Carotenuto, sarebbe stata sconfitta «attraverso scandali pilotati (economia, pedofilia), certo basati su fondamenti reali». Risultato: l’elezione di Bergoglio e la designazione del cardinale Pietro Parolin come segretario di Stato, carica importantissima nel potere vaticano. Da allora, sostiene Carotenuto, l’influenza della Compagnia di Gesù non ha fatto che crescere. «I gesuiti si sono sentiti sempre più forti, aiutati dalle loro grandi infiltrazioni nella massoneria, nella finanza, nelle università». Al punto da intraprendere, nel 2020, un’offensiva clamorosa: contro i loro stessi alleati “progressisti”, ma non gesuiti. «Così è scattata la progressiva epurazione, nella curia, degli elementi che erano sì progressisti, ma non apparententi al circuito gesuitico». Non a caso, sottolinea Carotenuto, «sono emersi nuovi scandali, finanziari e di altro tipo». Morale: il cardinale Parolin «si è trovato accerchiato, e il cardinale Becciu (il suo “numero due”) è stato fatto fuori con storie come quella delle operazioni immobiliari a Londra, giudicate spericolate».Il solito teatro, per nascondere i veri giochi? Carotenuto ne è sicuro. Tant’è vero, dice, che si è arrivati ad attuare una specie di golpe, contro la componente non-gesuitica del potere “progressista” vaticano. E cioè: «Prima hanno detto che il segretario di Stato non era più necessario che facesse parte della dirigenza dello Ior, la cassaforte vaticana. Poi si è arrivati a una sorta di editto, da parte del Papa: il controllo delle finanze vaticane è stato tolto alla segretaria di Stato», e affidato a «giovani e preparatissimi gesuiti». Sottolinea Carotenuto: «E’ una cosa enorme: come se il presidente della Repubblica togliesse al premier ogni potere di spesa. Questo è stato fatto: Parolin è ancora lì, ma completamente depotenziato, anche nella sua capacità di influire sulla politica italiana». Da quel momento, il traballante regno di “Giuseppi” poteva considerarsi archiviato. «Giuseppe Conte era il successore di Andreotti, in quanto espressione della curia romana e pupillo di un cardinale potentissimo come Achille Silvestrini», scomparso da poco, noto come storico padrino del Divo Giulio. «E chi era il tutor di Conte quand’era studente? Proprio lui: l’allora don Parolin».Nei due governi Conte, continua Carotenuto, i ministri che contavano erano sotto il saldo controllo di poteri non visibili, e cioè «curia, elementi massonici ed elementi collegati direttamente ai gesuiti». “Giuseppi” divenne premier «perché in quel momento era il punto di equilibrio tra curia e gesuiti, i quali accettarono (attraverso una mediazione) che a Palazzo Chigi andasse un uomo della curia». Quando poi gli equilibri nell’Oltretevere sono cambiati, Conte è rimasto senza protezione. «Certo, gli è stato permesso di restare al suo posto ancora per un po’, perché c’era l’emergenza Covid. Ma poi, ci si è preoccupati dei fondi in arrivo dall’Ue, sommati all’enorme deficit nel frattempo accumulato con l’emergenza». Quindi, sempre secondo Carotenuto, è sorto un concreto problema di gestione. «In Vaticano, si sono detti: non se ne può occupare uno che non rappresenta più il vero potere». A quel punto, continua l’analista, «è entrato in scena un killer, per conto della corrente gesuitica, cioè Matteo Renzi: uno che col 2% è riuscito magicamente a far fuori Conte».Evidentemente, ragiona l’analista di “Coscienze in Rete”, grandi poteri lo hanno appoggiato: «E’ stranissimo, infatti, che Conte non sia riuscito a rabberciare una maggioranza. Senatori in vendita ce ne sono sempre, Berlusconi docet. E invece tutti, dopo aver detto sì a Conte, poi si ritiravano: convinti da chi?». Sorride, Carotenuto: «A noi raccontano storielline incredibili, come quella secondo cui Conte sarebbe personalmente antipatico a Renzi». A proposito: chi è Renzi? «E’ cresciuto in ambienti vicinissimi ai gesuiti, nella sinistra Dc toscana». Attenti alle date: la sua carriera fulminante cominciò nel 2014, appena un anno dopo l’elezione di Bergoglio. E cos’ha fatto, il grande rottamatore sostenuto dalla stampa e da Confindustria? «Ha eliminato dal Pd le residue componenti di socialismo, di sinistra, trasformando il Pd in una specie di retriva Dc». Perfetto come rottamatore, «ideale per operazioni di killeraggio: così ha rottamato anche Conte».Quel filo rosso, per Carotenuto, si prolunga fino al Quirinale: «Quando Conte ha dato le dimissioni ed è salito al Colle, sperava chiaramente in un reincarico: era ancora convinto di farcela, in aula. Ma Mattarella il nuovo incarico non gliel’ha dato». C’è stato invece il rituale giro di valzer affidato a Fico: un passaggio formale e senza speranza, utile solo a certificare la morte clinica di “Giuseppi” come primo ministro. «Poi, Mattarella ha messo tutti con le spalle al muro: o Draghi, o elezioni». Meglio ancora: Draghi e basta, visto che il presidente della Repubblica ha spiegato perché ritiene improponibile lo stop elettorale, in piena pandemia e con l’Ue che pretende il Recovery Plan entro aprile, pena lo slittamento degli aiuti, ossigeno vitale per un’Italia allo stremo. «E chi è Mattarella? Viene anche lui dalla sinistra Dc, da sempre vicina agli ambienti gesuiti, ed è iper-europeista: come Draghi».A quel punto, dice Carotenuto, il cerchio si è chiuso: addio, “Giuseppi”, e avanti Draghi. «Un’operazione molto rapida e ben coordinata, facilitata oltretutto dall’impresentabilità del Conte-bis, un governo senza qualità e affollato di personaggetti debolissimi (tranne qualcuno, che doveva occuparsi di economia per conto dell’Ue)». Attenti: «Lo si era voluto, un governo così debole, destinato a stentare molto: e i tanti ostacoli che ha incontrato “servivano” a preparare il terreno perché finalmente poi arrivasse il salvatore della patria». Tutti con Draghi, oggi: i media hanno mollato Conte alla velocità della luce. Del resto, ovviamente, l’abilità di Draghi non si discute. Scontato quindi «l’immediato consenso dei grandi poteri internazionali», salutato dal crollo dello spread e dall’impennata della Borsa. Impressionante, ma fino a un certo punto, il servilismo dei media: non uno che ricordi, in questi giorni, i record non esattamente gloriosi dell’ex governatore di Bankitalia e della Bce, già allievo dei gesuiti ai liceo Massimo di Roma, culla della pedagogia gesuitica destinata alla futura classe dirigente.Carotenuto ricorda il ruolo strategico di Draghi negli anni ‘90, al tempo del Britannia, quando – da direttore generale del Tesoro – agevolò la svendita di un’Italia sotto attacco, privata di strateghi come Mattei e Moro, che ne avevano fatto una potenza industriale. Gli anni del Britannia coincisero con le spavntose privatizzazioni all’amatriciana, cioè il brutale smantellamento del nostro patrimonio industriale e bancario, a cominciare da Iri, Eni, Agip, parte dell’Enel, Autostrade, Imi-Stet e tanto altro. Grande “lubrificatore” delle cessioni: proprio lui, l’efficientissimo Draghi, ancora presidente del Gruppo dei Trenta (considerato un’emanazione dell’area Rockefeller). «In quegli anni abbiamo esternalizzato il debito pubblico, fin ad allora interno, mettendo l’Italia nelle mani della grande finanza mondialista, gesuito-massonica». Debole la resistenza della classe politica della Prima Repubblica, rasa al suolo da Mani Pulite. «Tra i pochi a opporsi alla svendita della potente industria statale fu Bettino Craxi, e sappiamo come sia finito».Acuminate le parole di Francesco Cossiga, che definì Draghi «un vile affarista, socio della Goldman Sachs e liquidatore dell’industria pubblica». Immaginatevi cosa farebbe, Draghi, da presidente del Consiglio, disse ancora Cossiga: «Svenderebbe quel che rimane (Finmeccanica, Enel e Eni) ai suoi ex comparuzzi di Goldman Sachs». A chi teme che Super-Mario sia ancora lo spietato esecutore dell’austerity, Carotenuto risponde con filosofia: «Gli italiani sono davvero così dormienti? Se, per svegliarsi ancora un po’, hanno bisogno di un altro governo orribile per sperimentare l’ulteriore schiavizzazione, lo avremo». Improbabile, però. Con Draghi, nel 2021 «l’economia potrebbe migliorare, e potremmo anche uscire rapidamente dal Covid». Beninteso: «Lo faranno, se a quei poteri converrà». Così pensa, e parla, un analista tuttora convinto del fatto che il potere gesuitico sia sovrastante, persino rispetto a quello supermassonico, e che risieda in Vaticano la chiave del cambio della guardia nella politica italiana, passando per Renzi, fino ad arrivare a Draghi.Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi, subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”). I veri king-maker? Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio. A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato. Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi? «Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto. «E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante». Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti, senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».
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S’inchinano a Draghi perché hanno quasi ucciso l’Italia
Draghi non può essere contraddetto, perché gli altri hanno sbagliato tutto: non hanno più risorse. Il nostro sistema produttivo, attualmente, è morto. Abbiamo bloccato i licenziamenti, ma non sappiamo cosa succederà quando li sbloccheremo. Non abbiamo un euro in cassa, e avremo un calo di gettito fiscale spaventoso: voglio vedere come faranno a pagare le tasse quelli che hanno smesso di produrre. Senza iniezioni di denaro formidabili (a suo tempo, Draghi stesso le chiamò “il bazooka”) questo sistema morirà. Dal governo Draghi mi aspetto che incassi i fondi europei e, da amministratore competente, li eroghi in modo da dare un po’ di respiro all’Italia. Dopodiché, fatto questo, cercheranno di ripristinare le norme dell’austerity. A quel punto, se l’Italia avrà coraggio e se si sarà rinvigorita a sufficienza, si aprirà uno scontro col sistema che domina l’Unione Europea. Lo scontro sarà inevitabile: prima o poi quelle forze – i tedeschi, le componenti conservatrici, il Nord Europa cieco degli ultimi anni – cercheranno di ripristinare quel sistema che ci ha strozzato (e che oggi non possono neanche nominare, perché siamo morti che camminano).Quanto al problema Covid, ci sarà una forte accelerazione sui vaccini: a fare le cose, Draghi è bravo. Sui vaccini la svolta sarà tale, che questa storia della colorazione delle Regioni ce la lasceremo alle spalle. Gli ultimi dati sull’efficienza dei vaccini sono incoraggianti: probabilmente, quindi, l’emergenza sanitaria sarà ridimensionata. Vedo molto favorevolmente, questo momento – legato alla contingenza attuale, però: dobbiamo ottenere i fondi europei, facendo in modo che ci ostacolino il meno possibile. Draghi? Non so fino a che punto si sia allontanato dallo schema di potere da cui proviene, e quanto possa tornare a servirlo. Non ho nessuna certezza, sotto questo profilo. Però, guardiamo alla situazione di oggi: Draghi ha tutto l’interesse a portare a casa (nel modo più indolore possibile, per noi) i finanziamenti europei, senza i quali – ripeto – noi siamo morti che camminano. L’Italia è davvero sul punto di morire, ma il sistema non vuole farla morire: vuole farla rantolare, agonizzare. Vuole renderla sempre più schiava, ma non ucciderla. Non ci sarà un replay del caso Grecia: con la Grecia, si sono accorti di aver sbagliato, esagerando con il rigore.I fondi del Recovery andrebbero poi comunque restituiti? Bisogna intendersi: se per restituire quei soldi l’Italia deve morire, sarà lo stesso creditore a trovare delle soluzioni. Lo strozzino che fa morire il debitore non è intelligente, perché il debitore è la sua fonte di reddito. Non è tanto Draghi, ad aver cambiato registro: in questa contingenza, il vecchio regime non si poteva mantenere, pena la morte del debitore. Non è un fatto di persone: a pesare è la situazione. Noi siamo quasi morti: e secondo voi il sistema ci vuole in vita, seppur debolissimi, o morti? Sbaglia, chi paragona il governo tecnico di Monti al futuro governo Draghi: Monti era stato messo lì per togliere soldi agli italiani; Draghi invece i soldi agli italiani deve darli, e mi sembra una differenza non da poco. Quanto a Conte, c’è poco da aggiungere: la certezza che sarebbe stato spazzato via, ce l’aveva da tempo. Poi si è dibattuto e ha lottato, perché era troppo attaccato alla poltrona. Pochi mesi dopo il varo del Conte-bis, già sapeva di avere i mesi contati. Poi è arrivato il Covid, e l’emergenza gli ha permesso di restare in sella per oltre un anno. Ma appena il Covid ha dipanato in maniera diversa il proprio essere, il suo tempo è finito.Perché stupirsi, se Beppe Grillo ha portato i 5 Stelle a sostenere Draghi? Grillo ha fatto un simpatico “amarcord del Britannia”, con Draghi, in cui i due si sono ricordati le prodezze del passato. Poi ha fatto il suo dovere, anche lui, di soldatino di un certo tipo di sistema, e ha spianato il terreno a Draghi. Parlandosi al telefono, Draghi e Grillo hanno confermato quello che abbiamo sostenuto per anni: hanno fatto parte entrambi dello stesso schema che ha portato allo sciagurato periodo delle privatizzazioni, accompagnando la svolta neoliberista. Grillo ha detto che “le fragole sono mature”? Le fragole di Grillo non matureranno mai più: alle prossime elezioni, i 5 Stelle si conteranno sulle dita di una mano. All’epoca del Britannia, il comico Grillo era stato arruolato per svolgere una funzione di antipolitica, che poi ha svolto brillantemente. Solo lui poteva farlo così.Grillo si è fatto arruolare, e ne è nata una creatura politica che ha avuto i favori di quel tipo di schema. Adesso quella creatura politica non serve più: farà gli ultimi favori al sistema, poi scomparirà. A cosa sono serviti, i 5 Stelle? Ad archiviare in via definitiva una politica fatta da persone competenti e da governanti veri. Anche gli altri partiti si accodano a Draghi? Ovvio, ma dipende dalla contingenza: dobbiamo assolutamente incassarli, quei fondi europei. Dobbiamo prenderli, e anche dimostrare di saperli spendere bene: è per questo che è andato a casa, il governo Conte. L’allineamento di Salvini può danneggiare elettoralmente la Lega? Be’, insomma, si tratta di partecipare al governo per avere voce in capitolo sui 209 miliardi del Recovery. Un fatto di potere non indifferente. Ovvio che Salvini lasci perdere la polemica euroscettica: quello spazio, del resto, gliel’ha già rubato la Meloni, e non da oggi. Nel momento in cui Salvini ha fatto il governo coi 5 Stelle, quello spazio se l’è preso definitivamente la Meloni, e lui se n’è reso conto. Quindi adesso deve ritagliarsi uno spazio adatto a presentare se stesso come un soggetto che si candida a governare.La Meloni invece non si candida affatto a governare: si prepara a raccogliere il residuo elettorato euroscettico della Lega. Si sono divisi le parti le commedia, poliziotto buono e poliziotto cattivo: poi, al momento giusto, si metteranno insieme. La Meloni, ripeto, esprime posizioni conservatrici, ed è legata agli ambienti più reazionari che si possano immaginare (il suo braccio destro è Ignazio La Russa). L’Aspen Institute è un ambiente di liberisti reazionari: se la Meloni ci è entrata, ha fatto una cosa coerente con se stessa. Quanto a Renzi, vuole semplicemente far fuori il Pd, che è il principale ostacolo al fatto che lui possa andare oltre quel misero 2% che oggi mette insieme. Il progetto di Renzi è essenzialmente quello, anche se ora ha coinciso col progetto generale. Renzi vuole ridurre il Pd alla disperazione, in modo che rimpianga la sua segreteria e gli dia una seconda chance. Forza Italia? E’ agli ultimi rantoli: dopo, sarà finita. Draghi sarà quindi un bene, per l’Italia? In questa contingenza può esserlo.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube il 7 febbraio 2021).Draghi non può essere contraddetto, perché gli altri hanno sbagliato tutto: non hanno più risorse. Il nostro sistema produttivo, attualmente, è morto. Abbiamo bloccato i licenziamenti, ma non sappiamo cosa succederà quando li sbloccheremo. Non abbiamo un euro in cassa, e avremo un calo di gettito fiscale spaventoso: voglio vedere come faranno a pagare le tasse quelli che hanno smesso di produrre. Senza iniezioni di denaro formidabili (a suo tempo, Draghi stesso le chiamò “il bazooka”) questo sistema morirà. Dal governo Draghi mi aspetto che incassi i fondi europei e, da amministratore competente, li eroghi in modo da dare un po’ di respiro all’Italia. Dopodiché, fatto questo, cercheranno di ripristinare le norme dell’austerity. A quel punto, se l’Italia avrà coraggio e se si sarà rinvigorita a sufficienza, si aprirà uno scontro col sistema che domina l’Unione Europea. Lo scontro sarà inevitabile: prima o poi quelle forze – i tedeschi, le componenti conservatrici, il Nord Europa cieco degli ultimi anni – cercheranno di ripristinare quel sistema che ci ha strozzato (e che oggi non possono neanche nominare, perché siamo morti che camminano).
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Bizzi: Draghi ostile al Great Reset dei padrini di Conte
Attenti agli equivoci: certo che Mario Draghi viene da una super-élite, ma non quella del Grande Reset (da cui, semmai, dipendeva il piccolo maggiordomo Giuseppe Conte). Un avvertimento firmato dallo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale nonché co-autore dell’esplosivo saggio “Operazione Corona: Colpo di stato globale”. Occhio a non confondersi, sottolinea Bizzi: Draghi non è certo una pedina qualsiasi, ma non appartiene al gruppo che, a Davos, ha progettato la distopia orwelliana che, attraverso l’epidemia di Wuhan, ha paralizzato il mondo proprio mentre la somma dei debiti straripava, e oggi infatti avrebbe raggiunto il 365% del Pil mondiale. Lo ricorda sul “Fatto Quotidiano” Luigi Manfra, responsabile dei progetti economico-ambientali Unimed e già docente di politica economica alla Sapienza. Memorabile il “testamento” di Draghi pubblicato un anno fa sul “Financial Times”: dalla crisi pandemica si esce solo ricorrendo ad aiuti finanziari epocali ma a fondo perduto, tagliando drasticamente i debiti. Dunque: attenzione a non parlare a vanvera, raccomanda Bizzi, pensando a chi cita (spesso a sproposito) entità come il Bilderberg.
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Il piano: noi, Mario Draghi e il grande cimitero dei sogni
E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.Non sono facili da ricordare, i nomi degli abitanti del piccolo acquario zoo-politico nazionale: si tratta di esemplari comuni di ittiofauna minore e destinata a estinguersi senza lasciare traccia, pur avendo ingombrato le televisioni con la loro non-politica regolarmente emergenziale, vuota e cieca, orientata solo dagli umori volatili dai sondaggetti settimanali. Un copione sempre più increscioso ma in voga da decenni, cioè sin da quando i sogni sparirono dalla politica e finirono, uno dopo l’altro, nel loro speciale cimitero. Il primo grande ospite del mausoleo, secondo Bob Dylan, si chiamava John Kennedy: se viene ucciso come un cane l’Imperatore del Mondo, significa che il piano è partito da molto in alto, e con l’intento di fare moltissima strada. Del resto, un killer lo si trova sempre. E il piano dispone di un intero armadio di passaporti: da quello del Cile, dove assassinare Salvador Allende, a quello della Svezia, il paese in cui freddare il primo ministro Olof Palme sorpreso sottobraccio alla moglie, all’uscita di un cinema, come un cavaliere senza scorta. Un leader a cui non piaceva, la piega che stavano prendendo gli eventi: troppe ingiustizie, troppe bugie.Il piano eliminò il grande sindacalista panafricano Thomas Sankara, profeta della sovranità economica grazie a cui il continente nero avrebbe smesso di essere preda di razziatori e terra di emigranti. Nel cimitero lo seguì l’eroe di guerra Yitzhak Rabin, trasformatosi in campione della pace per spegnere un incendio durato mezzo secolo, usato come alibi da tutti gli incendiari, sotto qualsiasi bandiera. Il piano si era messo a correre, quando Bill Clinton aveva liberato da ogni vincolo la finanza speculativa, cancellando il Glass-Steagall Act con il quale Roosevelt aveva separato le banche d’affari dal credito ordinario. L’appetito degli arconti si fece smisurato: sfrattarono Gorbaciov e fecero un sol boccone della Russia, ma ancora non bastava. C’erano due torri, gemelle, da buttare giù: soffiò così forte, il Re dei Venti, da abbatterne anche una terza, neppure sfiorata da alcun aereo. Bastò a lordare di guerra mezzo mondo, inventando terrorismi tragicamente sanguinosi e pronti a fare strage persino nel cuore dell’Europa, il continente nel frattempo sottomesso con il più antico degli stratagemmi, il monopolio privato del denaro un tempo pubblico.In realtà, il germe primitivo del piano potrebbe essere antichissimo, stando alle memorie del plenipotenziario vaticano Giacomo Rumor, raccolte dal figlio Paolo nel saggio “L’altra Europa”: un’unica filiera scelta per esercitare un potere pressoché dinastico, ereditato addirittura 12.000 anni fa nella terra dei Sumeri, dai misteriosi rifondatori del pianeta. E architettato per dominare – attraverso regni, imperi e religioni, fino alla politica moderna – l’intera umanità post-diluviana, quella che ieri ascoltava il verbo di Greta Thunberg e oggi ha appena finito di assistere allo spettacolo madornale dell’elezione notturna di Joe Biden, dopo aver sentito raccontare che la peste del millennio sarebbe stata trasmessa all’uomo da un maledetto pipistrello. Non si scherza, coi signori del piano: una delle tombe più famose, nel cimitero dei sogni, è quella di Ernesto Che Guevara. E’ a due passi da quella di un altro comunista, Patrice Lumumba, fatto assassinare dal mercenario Moise Ciombé. Si può morire da idealisti, ma la mano del killer non risparmia nemmeno chi ha creduto di proteggersi ricorrendo anche al più spietato cinismo: ne sa qualcosa Muhammar Gheddafi.Poco importa che gli ordini vengano da Ur o da Washington, da Tel Aviv o da Betlemme, da Teheran o da Pechino: dovrebbe essere chiaro a tutti, ormai, che il piano non ha patria. Vuole il mondo, e non da oggi. Lo vuole a qualsiasi costo: ieri facendo morire anche i bambini, in Grecia, rimasti senza medicine, e ora costringendo miliardi di individui a vivere nel terrore, faccia a terra, rinunciando per sempre alla loro relativa libertà. Quando accade qualcosa di mostruoso, il monitor va regolarmente fuori fuoco: lo racconta in modo impareggiabile Dino Buzzati, evocando un nemico incombente – i tartari – che in realtà non si vedono mai. Dove siamo finiti, se siamo arrivati al punto in cui è vietato pensare? Dove siamo, se – per decreto – è vietato anche respirare? Non avrai altro orizzonte che il mio vaccino, dice l’intruso che si è impadronito del pianeta con l’aiuto dei consueti avventurieri, a loro agio tra Wuhan e Parigi, New York e Riad. Dove siamo, se i cosiddetti social media tolgono la parola al presidente degli Stati Uniti, nell’agghiacciante indifferenza di giornali, televisioni e magistrati?Qui, siamo: nel cimitero dei sogni. Che però non è deserto, come potrebbe sembrare. C’è chi passeggia, in piena notte, tra quelle sepolture. Cammina e medita: sa che il piano non è una fantasia, purtroppo, ma non è neppure l’unico. Non c’è mai un solo piano, ce ne sono svariati. E non è detto neppure che i grandi decisori siano così unanimi, nell’attuare quello che appare il disegno dominante, coi suoi risvolti francamente tenebrosi. La storia – scrisse Montale – non è poi la devastante ruspa che si dice: lascia sottopassaggi, cripte, nascondigli. E’ bene non dimenticarlo mai, specie quando il cielo è così minaccioso da far temere il peggio, in mezzo alla desolazione di una dismisura che sembra irreparabile, letteralmente inaffrontabile come una misteriosa malattia, una peste terminale da fine della storia. Qualcuno può farlo deragliare, il piano, senza però che lo si sappia in giro: provvederanno i soliti storyteller, a piccole dosi, a somministrare caramelle ai bambini, il bacio della buonanotte. Si tratta anche di non turbarla troppo, la pace mortale dell’acquario: tutti quei pesci devono continuare a poter fingere di esistere.Smisero, i loro nonni – come ricorda Paolo Barnard – quando i grandi azionisti del piano scomodarono l’avvocato d’affari Lewis Powell, perché approntasse un vademecum. Istruzioni precise, su come intrappolare i sognatori in entrambi i modi, cioè stroncando brutalmente gli irriducibili e comprando tutti gli altri, uno alla volta. Nel mappamondo, la piccola Italia restava un osso duro: c’era da demolire l’Iri, il maggiore aggregato industriale dell’intera Europa, motore (pubblico) del ruggente boom privato. C’era da lavorare molto, per fabbricare una prigione scintillante, senza democrazia, i cui ospiti – italiani e francesi, tedeschi e inglesi – ricominciassero a guardarsi in cagnesco, facendosi le scarpe. C’erano narrazioni favolose, da inventare: sommi tecnocrati, filibustieri e capitani coraggiosi, tutta una classe politica da mandare al macero, o in esilio in Tunisia. C’erano eroi di latta, da lanciare in pista, a dire a tutti: rassegnatevi, d’ora in avanti avrete sempre di meno. E giù applausi scroscianti, anche se poi – incidentalmente – il tritolo disintegrava i giudici antimafia.Quando il fiato si è fatto pesante, sono arrivati infine i saltimbanchi a recitare le loro parodie, le piccole rivoluzioni da operetta. Gli hanno lasciato la scena, per qualche tempo, gli uomini del piano. Ma, al segnale convenuto, hanno ripreso il controllo e accelerato, spingendosi ben oltre l’immaginabile: segregazione obbligatoria e coprifuoco, come in guerra, grazie allo zelo di opportune marionette. Nessuna terapia: il copione prescrive la paura, come medicina unica. E il risultato – l’obbedienza – deve aver sbalordito gli stessi strateghi dell’azzardo: al punto da incoraggiarli a non avere più freni, osando l’inosabile, nel progettare il nuovo inferno per le pecore. Deve saperlo, chi cammina fra le tombe: non sarà facile trovare le parole per cambiare il piano. Serviranno trucchi, l’artificio creativo dell’affabulazione. Non c’è altro linguaggio, alla portata dell’acquario: bisognerà giocare con le stesse antiche frottole, riconvertendole in qualcosa di spendibile, titoli e slogan per l’eventuale nuova era, dando tempo ai frastornati e ai creduloni. Armarsi di pazienza è l’unico sistema, per chi davvero vuol provare a fare uscire i sogni dal loro cimitero.(Giorgio Cattaneo, 5 febbraio 2021)E’ notte fonda, e qualcuno passeggia: muove i suoi passi solitari nel cimitero dei sogni, tra i nomi di illustri caduti. Aldo Moro e la lira italiana, il Craxi di Sigonella, l’ultimo Andreotti che tentò di difendere l’Italia dal sacrificio rituale imposto dalla Germania come contropartita, in cambio della rinuncia al marco, onde ottenere dalla Francia il via libera all’agognata riunificazione di Berlino e Bonn. La Francia è ancora quella che lucra sottobanco la rendita imbarazzante del franco Cfa, sulla pelle di 14 paesi africani. Idem la Germania, col suo debito pubblico truccato e l’imbroglio della Kfw, banca pubblica travestita da banca privata, abilitata quindi a finanziare il governo all’infinito, alla faccia dell’Ue e della Bce, specie se anche al Reich mercantile di Angela Merkel toccano le spese extra dell’emergenza Covid. Là in fondo c’è l’Italia, con i suoi eroi come il presidente di Confindustria, che il martedì elegge l’oscuro Gualtieri a stratega del secolo e il mercoledì si genuflette all’altro genio, quello vero, chiedendogli da subito di tagliare le pensioni. L’establishment, lo chiamano. Il back office, il Deep State. L’élite, l’oligarchia. La crema di Davos, gli infidi scienziati del Grande Reset bio-politico, bipartisan e green, politically correct, psico-sanitario e orwellianamente zootecnico.
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Draghi premier per un anno, poi sarà eletto al Quirinale
Un super-governo strettamente tecnico, destinato a salvare l’Italia dal collasso, restituendo credibilità al paese dopo i disastri a catena firmati da Giuseppe Conte. Squillanti i primi segnali: la Borsa vola e lo spread crolla. Ma attenzione: Mario Draghi è destinato a restare a Palazzo Chigi solo per un anno. Lo afferma “Dagospia”, in mezzo al caos dei partiti in subbuglio, spiazzati dalla mossa di Mattarella. «Prima di tutto, va chiarito che non sarà il governo di Mario Draghi, bensì il governo di Sergio Mattarella con il contributo di Draghi», scrive il newsmagazine di Roberto D’Agostino. Un vero e proprio “governo del Presidente”: «Al punto che, al termine del mandato esplorativo di Fico, il capo dello Stato ha fatto a meno di un ultimo giro di consultazioni con i leader dell’alleanza di governo, consapevole che il momento è talmente grave e che il paese sta in un mare di guai, dal prossimo sblocco dei licenziamenti al Recovery, e quindi non possiamo permetterci un altro giro di chiacchiere». “Dagospia” descrive un Mattarella «irritatissimo con Conte per la presa in giro dei “volenterosi”» nonché «sfiduciato dall’andamento rissaiolo del mandato esplorativo di Fico».Dopo aver sostenuto in un messaggio agli italiani che «andare alle urne sarebbe stato un suicidio», il capo dello Stato ha calato l’asso: «Il governo Draghi andrà avanti, anche senza maggioranza», scrive sempre “Dagospia”, nonostante si tratti di «uno scenario-B che al Colle non vogliono nemmeno prendere in considerazione». E comunque: «Nel malaugurato caso che Draghi non riuscisse ad avere la fiducia, Mattarella potrebbe richiamare all’ordine tutti i partiti». A proposito: «Al momento il sì a Super-Mario è arrivato dal Pd di Zingaretti, da metà Leu, da Forza Italia di Berlusconi». Alla fine, «Salvini non potrà dire di no, pena la scissione della Lega da parte di Zaia, Giorgetti, Fedriga». A nome dei famigerati “volenterosi” messi insieme per disperazione da Conte, persino Bruno Tabacci «ha baciato la pantofola a Draghi». E Di Maio, all’assemblea dei grillini, «ha semi-smontato il “niet” di Crimi», chiedendo di non attaccare l’ex presidente della Bce, il cui passato da “uomo del Britannia” è stato evocato da Di Battista, che forse ignora che sul fatidico panfilo inglese, il 2 giugno del ‘92, c’era anche Beppe Grillo.«In barba a tutte le cazzate giornalistiche – scrive sempre “Dagospia” – il governo Draghi sarà composto solo di tecnici di alto profilo e ridotto al minimo indispensabile». Anche perché, se dovesse imbarcare qualche politico «dovrebbe utilizzare un algoritmo, altro che il bilancino di Sor Cencelli!». Consultazioni (telefoniche) in corso, per sondare un eventuale comune denominatore sulle emergenze del paese, dal Recovery alla pandemia. «Sul Mes, Draghi è orientato a non usufruirne: se diminuisce lo spread non vale la pena economica di chiederlo». Altro aspetto, non di poco conto: la durata del governo del presidente. Secondo “Dagospia”, il super-esecutivo dovrebbe “sistemare le cose” nel giro di appena un anno, «per permettere di eleggere il nuovo capo dello Stato». Il “semestre bianco” inizia ad agosto, e da quel momento «il Quirinale non potrà più sciogliere il Parlamento, qualsiasi cosa accada». Governo-ponte, quindi, per poi preparare l’ascesa di Mario Draghi al Quirinale, dopo aver messo in sicurezza l’Italia disastrata da Conte?E’ l’obiettivo cui Draghi mira apertamente: non a caso, nei mesi scorsi, si era mostrato assai riluttante di fronte alla pressante richiesta di “sacrificarsi” a Palazzo Chigi, per rimediare alla catastrofe nazionale costruita a colpi di Dpcm della premiata ditta Conte & Casalino. Troppi rischi: uno su tutti, la possibilità di veder appannata la propria immagine, compromettendo così l’ambita conquista del Colle. Una lettura confermata dall’ambiente massonico del Grande Oriente Democratico, guidato da Gioele Magaldi, che presenta Draghi come «fratello massone ex neoaristocratico e neoliberista», che negli ultimi anni «ha riscoperto l’antica vocazione postkeynesiana, radicalmente democratica e social-liberale del suo maestro Federico Caffè». Ecco: il “fratello” Draghi «non deve cadere nella trappola di un incarico come presidente del Consiglio che lo esponga ad “agguati” e operazioni subdole (il primo a tesserle sarebbe Romano Prodi con i suoi amici) per minarne l’immagine di civil servant super partes».Per questo, poche ore prima dell’incarico conferito a Draghi da Mattarella, Magaldi aveva suggerito «un governo presieduto da Marta Cartabia, con Mario Draghi in posizione importante ma meno “esposta” (super-ministro del Mef, economia e finanze)», e con il “rooseveltiano” Nino Galloni, altro allievo di Federico Caffè, alla guida di un super-dicastero strategico capace di accorpare lavoro, politiche sociali e sviluppo economico. Riassume “God”: «L’obiettivo principale del “fratello” Draghi (e di chi intenda sostenerlo perché lo ritiene una risorsa importante per il sistema-Italia e anche per il futuro democratico dell’Europa) deve essere quello di accompagnarlo senza troppi rischi all’elezione come presidente della Repubblica quando sarà scaduto il mandato di Sergio Mattarella, vale a dire a febbraio 2022, tra un anno esatto». Impelagarsi direttamente come premier è un rischio troppo grosso? «Dipende», rispondono i massoni progressisti: il governo-ponte può anche avere un senso, a patto che sia sostenuto lealmente dall’intero Parlamento.«Se, ad esempio, tutte le principali forze parlamentari dell’ex maggioranza e dell’ex opposizione, in modo trasversale, dichiarassero solennemente di voler sostenere un esecutivo presieduto da Draghi, sottoscrivendo un preciso contratto di governo per assumere alcune decisioni urgenti per il paese – scrive il Grande Oriente Democratico, in una nota – allora il fraterno ex presidente Bce ed ex governatore della Banca d’Italia potrebbe anche accettare di salire a Palazzo Chigi quale provvisorio presidente del Consiglio». Attenti agli aggettivi: premier “provvisorio”, perché la meta – come tutti sanno – resta il Quirinale. Il primo a saperlo è proprio Mattarella, «che è consapevole di dovere soprattutto a Draghi la sua elezione al Colle, tramite Renzi che allora era premier». Tutto torna: è stato Renzi a far cadere Conte, permettendo a Mattarella di lanciare Draghi, benché nella rischiosa posizione di capo del governo. Stavolta, l’ex banchiere centrale non ha potuto tirarsi indietro: troppo devastante la crisi in cui è sprofondata l’Italia grazie a Conte, che ha protratto all’infinito l’emergenza pandemica per giustificare la sua permanenza a Palazzo Chigi.«Stia dunque bene in guardia, il “fratello” Draghi, perché in molti tenteranno di tendergli tranelli», ribadiscono i massoni di “God”. «Noi, comunque, vigileremo sul suo percorso e confidiamo ovviamente nel suo acume e nella sua prudenza rispetto alle mosse sulla scacchiera che, nelle prossime ore, sarà opportuno compiere». Per Gioele Magaldi, le emergenze da affrontare sono evidenti. La prima: aiuti immediati ai settori penalizzati dai lockdown, e fine delle restrizioni incostituzionali (zone rosse, coprifuoco). Poi: allestimento di una rete sanitaria territoriale, con protocollo terapeutico univoco, per curare i pazienti a casa evitando di intasare gli ospedali. Riaprire l’Italia in sicurezza nel più breve tempo possibile, quindi. E soprattutto: gettare le basi – riscrivendo il Recovery Plan – per un efficace rilancio del sistema-paese. A questo dovrebbe servire l’autorevole governo Draghi, primo passo verso una vera e propria “rivoluzione” della governance (italiana ed europea) in senso democratico, archiviando per sempre il falso dogma dell’austerity. Questa la reale missione di Draghi, oggi a Palazzo Chigi e domani al Quirinale: fare in modo che l’Italia si trasformi in apripista di un futuro radicalmente diverso, di stampo keynesiano.Un super-governo strettamente tecnico, destinato a salvare l’Italia dal collasso, restituendo credibilità al paese dopo i disastri a catena firmati da Giuseppe Conte. Squillanti i primi segnali: la Borsa vola e lo spread crolla. Ma attenzione: Mario Draghi è destinato a restare a Palazzo Chigi solo per un anno. Lo afferma “Dagospia“, in mezzo al caos dei partiti in subbuglio, spiazzati dalla mossa di Mattarella. «Prima di tutto, va chiarito che non sarà il governo di Mario Draghi, bensì il governo di Sergio Mattarella con il contributo di Draghi», scrive il newsmagazine di Roberto D’Agostino. Un vero e proprio “governo del Presidente”: «Al punto che, al termine del mandato esplorativo di Fico, il capo dello Stato ha fatto a meno di un ultimo giro di consultazioni con i leader dell’alleanza di governo, consapevole che il momento è talmente grave e che il paese sta in un mare di guai, dal prossimo sblocco dei licenziamenti al Recovery, e quindi non possiamo permetterci un altro giro di chiacchiere». “Dagospia” descrive un Mattarella «irritatissimo con Conte per la presa in giro dei “volenterosi”» nonché «sfiduciato dall’andamento rissaiolo del mandato esplorativo di Fico».
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Toto: di lockdown si muore, dobbiamo tornare a vivere
Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.Interessante notare che tale definizione fu coniata nel 1948. Questa data è molto significativa, infatti, il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. In riferimento alla pandemia, il 27 Aprile 2020 l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ammonì i paesi a rispettare lo stato di diritto, durante la pandemia da coronavirus, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una “catastrofe” per i diritti umani. Sulla base di queste considerazioni, possiamo certamente intuire che esiste una netta differenza tra “salute” e mera “sopravvivenza”. Inoltre, non possiamo ignorare le rivolte e le proteste che in varie parti del mondo queste misure restrittive hanno generato. Le restrizioni, infatti, hanno un impatto devastante sull’economia e la libertà individuale.Tra l’altro l’Italia dovrà confrontarsi con una possibile crisi economica senza precedenti proprio per il fatto di aver bloccato le attività lavorative e non dimentichiamoci che il primo articolo della Costituzione sancisce che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Comunque, il 31 marzo 2021 scadrà il blocco dei licenziamenti imposto dal governo a partire dal primo lockdown, e più volte prorogato con la prosecuzione della pandemia. Cosa accadrà ai lavoratori? Le proiezioni dell’Istat per il 2020 danno una contrattura del Pil pari a -14,3% secondo quanto riportato su open.online il 31 luglio 2020. Questi dati evidenziano i danni procurati dal lockdown sul piano economico. Di certo un incremento significativo della povertà indurrà danni alla salute a causa dallo stress psicologico, dell’incapacità di acquistare cibi di alta qualità e l’impossibilità di accesso a cure nel settore privato della sanità.Altra questione fondamentale riguarda la scuola. La qualità della formazione è nettamente in calo ed il rapporto docente/studente risulta estremamente danneggiato e ridotto ad un contatto virtuale. A titolo di cronaca mi sento in dovere di riportare che alcuni siti Internet sostengono che la definizione di salute Oms nel completo silenzio mediatico sia cambiata nel 2011 nella seguente: “capacità di adattamento e di auto gestirsi di fronte alle sfide sociali, fisiche ed emotive”. Questa definizione si presenta come sostegno filosofico ad una società che si confronta con l’aumento della durata della vita e di conseguenza l’inevitabile insorgere di malattie spesso invalidanti sul piano fisico e psicologico. Ma in ogni caso, anche in questa definizione troviamo la parola autogestione, che in ambito medico e sanitario, rappresenta l’insieme delle tecniche di cura di pazienti con malattie o disabilità croniche, attraverso le quali possano guarire e curarsi da sé.Dunque una definizione che pone nuovamente l’enfasi sull’individuo. Resta di fatto che nel “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità. In conclusione, al di là delle definizioni, delle competenze, dei tecnicismi e proposte di soluzioni a problemi complessi, esiste il “senso della vita” che rappresenta il punto fondamentale della nostra esistenza umana. Tutto quello che rende la nostra vita unica e speciale, la libertà, il rapporto con gli altri, la libertà di culto, il lavoro, gli affetti, la possibilità di corteggiarsi, di viaggiare e di godere di ogni bene e servizio a nostra disposizione è stato totalmente annullato in nome della tutela della salute. Ma questa è salute? O meglio, questa è vita?(Carlo Toto, “Lockdown? Meglio assumersi una dose di rischio”, dal blog di Nicola Porro del 30 gennaio 2021).Da circa un anno subiamo restrizioni della libertà attraverso lockdown, coprifuoco, distanziamento sociale ed obbligo di indossare mascherine in nome della tutela della salute. Ma che cos’è la salute? Come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Oms: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità». Dunque la tutela della salute deve necessariamente tenere in considerazione gli aspetti mentali e sociali, quindi le relazioni tra gli esseri umani, la possibilità di accesso al mondo del lavoro, la salvaguardia dell’economia e tutte le dimensioni che incidono sul benessere della persona sul piano fisico e mentale. Al fine di rafforzare questo concetto l’Oms ha pubblicato nel 2013 il “Piano d’azione per la salute mentale” 2013-2020 dove a pagina 7 si ribadisce la definizione di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità.