Archivio del Tag ‘economia’
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Massoni: pressing sul Pd, via Renzi e alleanza con Di Maio
Fortissime pressioni massoniche sul Pd per archiviare Renzi e puntare all’abbraccio con Di Maio, a sua volta in attesa di essere accolto dalla supermassoneria internazionale alla quale ha bussato. Lo scenario verso il quale premono i poteri forti, l’alleanza tra Pd e 5 Stelle, sarebbe perfetto per Salvini, che – dall’opposizione – continuerebbe indisturbato a spolpare Forza Italia, accreditandosi come leader unico del centrodestra. Il problema? Si chiama Matteo Renzi: non è facile farlo fuori. Parola di Gianfranco Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Dal giorno dopo le elezioni – ricorda Carpeoro, saggista e attento osservatore della situazione italiana – ho detto che non si sarebbe andato da nessuna parte, se non facendo delle acrobazie istituzionali non solo inutili, ma dannose per il paese». Un mese dopo, ribadisce il concetto: l’unica cosa seria da fare, dice, sarebbe varare un governo destinato a durare solo 90 giorni. Un esecutivo di scopo, sostenuto da tutti i partiti, con un unico obiettivo: cambiare la legge elettorale, reintroducendo il premio di maggioranza. «Chi vince, anche di poco, deve poter governare. E’ un problema pratico, non ideologico. Bisogna uscire da questa ipocrisia assoluta, imposta dalla Corte Costituzionale, per la quale il premio di maggioranza nel 90% dei casi è illegittimo. Basta: chi vince, governi».Di Maio oggi parla di Pil e mercati, equilibrio di bilancio e rispetto dei parametri europei? «Cos’altro aspettarsi, da Di Maio?». Per Carpeoro, il leader dei 5 Stelle «sta cercando di farsi accogliere nella Ur-Lodge dove si è proposto». Quale? «Se posso fare una previsione, dovrebbe essere la “Three Eyes”», ovvero la superloggia storica della destra reazionaria, incarnata per decenni da figure di vertice del massimo potere mondiale come Kissinger, Rockefeller e Brzezinki, incluso – secondo Gioele Magaldi – lo stesso Giorgio Napolitano. Secondo l’autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), della “Three Eyes” fanno parte anche Mario Draghi nonché Christine Lagarde del Fmi, in compagnia di esponenti dell’élite italiana come Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), il top manager Giuseppe Recchi, Marta Dassù di Finmeccanica, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani, l’economista Carlo Secchi e Federica Guidi, già ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Questo il salotto buono al quale, secondo Carpeoro, avrebbe chiesto asilo il candidato premier dei 5 Stelle. «Dieci giorni prima delle elezioni – ricorda – Di Maio è andato a parlare col mondo finanziario di Londra, che è quello che organizza i grandi complotti e le grandi speculazioni».Un progetto partito da lontano, il ruolo di Di Maio come “cavallo di Troia” del grande potere? Anche no: la sua leadership è emersa strada facendo. Il grande momento del Movimento 5 Stelle «ha portato Di Maio a essere un personaggio esteticamente opportuno per fare quest’operazione». E come avrebbe fatto, l’ex steward dello stadio di Napoli, ad avvicinare il mondo supermassonico delle Ur-Lodges? Ha sempre avuto alle spalle Casaleggio, sottolinea Carpeoro. «In fin dei conti, Casaleggio è uno che ha progettato il Nuovo Ordine Mondiale: guardatevi i suoi documenti, i filmati». Beninteso: «Mica è una parolaccia, il Nuovo Ordine Mondiale: dipende da come lo fai, può essere anche una cosa non necessariamente drammatica». La storia dell’uomo, aggiunge Carpeoro, è fatta di epoche di ordine e epoche di disordine: è strano, eppure «si somigliano sempre sinistramente, l’ordine e il disordine». Carpeoro ne parla nel libro “Summa Symbolica”, di cui sta per uscire il secondo volume: «Non essendo possibile un ordine assoluto, tutto finisce per essere un ordine». Gianroberto Casaleggio? «Era un mistico, quindi ha disegnato il progetto di una società perfetta, a suo avviso. E aveva un socio – Enrico Sassoon – che faceva parte di una Ur-Lodge». Carpeoro diffida, dei progettisti di mondi perfetti: «Nessuno fa più danni di chi pensa di fare il bene degli altri: Hitler era uno così, no?».Ora i giornali dicono che l’alleanza tra Pd e 5 Stelle sarebbe una falsa pista, mentre il vero obiettivo di Di Maio sarebbe l’intesa con Salvini? Favole: «Di Maio sa che non potrà mai fare un’alleanza con Salvini, a meno di non considerare Salvini un idiota», taglia corto Carpeoro. La ragione è ovvia: «Salvini è motivato a essere il leader del centrodestra. Automaticamente, se scaricasse gli altri per fare da stampella a Di Maio, non potrebbe mai più essere il leader del centrodestra (lo dimostrano tutti i casi precedenti: Fini, Casini, Follini)». Il capo della Lega, aggiunge Carpeoro, sa perfettamente che in un governo coi 5 Stelle andrebbe a fare il passacarte. Molto meglio, per lui, essere il leader dell’opposizione. Quindi, Salvini propone a Di Maio di accettare anche Forza Italia, mettendosi alla pari con il centrodestra. Ipotesi abbastanza impercorribile: «Se Di Maio accettasse, l’idiota sarebbe lui». Non resta che l’altra sponda, il Pd, che in questo momento sta subendo «fortissime pressioni – paramassoniche, massoniche, internazionali – per cambiare la sua posizione e archivare Renzi». Ma eliminare l’ex premier è difficile: «Renzi si è cautelato, ha il predominio numerico sul partito: se si fanno le primarie, le rivince lui». E soprattutto: senza più Renzi, il Pd teme di poter scomparire. «Ne va della sua sopravvivenza politica». Vie d’uscita? Una sola, per Carpeoro: un governo che duri solo tre mesi. Obiettivo: voto anticipato, con una nuova legge elettorale che garantisca il governo di un vincitore sicuro.Fortissime pressioni massoniche sul Pd per archiviare Renzi e puntare all’abbraccio con Di Maio, a sua volta in attesa di essere accolto dalla supermassoneria internazionale alla quale ha bussato. Lo scenario verso il quale premono i poteri forti, l’alleanza tra Pd e 5 Stelle, sarebbe perfetto per Salvini, che – dall’opposizione – continuerebbe indisturbato a spolpare Forza Italia, accreditandosi come leader unico del centrodestra. Il problema? Si chiama Matteo Renzi: non è facile farlo fuori. Parola di Gianfranco Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Dal giorno dopo le elezioni – ricorda Carpeoro, saggista e attento osservatore della situazione italiana – ho detto che non si sarebbe andati da nessuna parte, se non facendo delle acrobazie istituzionali non solo inutili, ma dannose per il paese». Un mese dopo, ribadisce il concetto: l’unica cosa seria da fare, dice, sarebbe varare un governo destinato a durare solo 90 giorni. Un esecutivo di scopo, sostenuto da tutti i partiti, con un unico obiettivo: cambiare la legge elettorale, reintroducendo il premio di maggioranza. «Chi vince, anche di poco, deve poter governare. E’ un problema pratico, non ideologico. Bisogna uscire da questa ipocrisia assoluta, imposta dalla Corte Costituzionale, per la quale il premio di maggioranza nel 90% dei casi è illegittimo. Basta: chi vince, governi».
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L’onesto criminale Quintino Sella e la legge Fornero dell’800
Quintino Sella è stato uno dei padri della patria, dal lato dell’economia. Il palazzone romano del ministero delle finanze gli è dedicato. E la sua onestà e il suo rigore nei conti pubblici sono celebrati sin dall’Unità d’Italia. Era davvero una persona onestissima, anzi proba. Divenuto ministro delle finanze nei governi italiani fino al 1880, non accettò stipendi e rimborsi, pagava di tasca propria il treno e i servizi necessari alla sua funzione. Per Quintino Sella i costi della politica dovevano essere zero. Naturalmente era aiutato, in questo, dal fatto di essere un ricco componente di una ricca famiglia industriale. Ma ciò non gli toglie merito: nel suo mondo c’erano altri ricchi ben più disinvolti nell’uso dei conti pubblici, a partire dal re Vittorio Emanuele II e dalle sue numerose famiglie. Quintino Sella fu dunque un politico onestissimo, ma anche un ministro criminale. Per pareggiare i conti pubblici egli fu uno dei principali fautori della tassa sul macinato. Un balzello infame inventato dai Borboni e poi subito riutilizzato nell’Italia unita, un prelievo che gravava sul pane, sui cereali, sul cibo dei poveri. Che quando non avevano di che pagarlo dovevano rinunciare a mangiare.Migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, si ammalarono e morirono per quella tassa. Intere popolazioni si ribellarono ad essa, e contro di loro ci furono le spietate repressioni del generale Raffaele Cadorna, il braccio armato della tassa sul macinato. Per questo l’onestissimo ministro Sella va considerato socialmente un criminale. Risanò i conti pubblici facendo morire di fame, e di pallottole regie, tanta gente. Alla fine la tassa sul macinato fu abolita da Agostino Depretis, un politico molto meno onesto di Sella, anzi un corrotto e corruttore. In questa storia sta un po’ il peccato originale del nostro paese, dove periodicamente il rigore e l’onestà vengono separati e anzi contrapposti alla questione sociale, con la regressione complessiva di tutta la società. Oggi in Italia i tagli alle pensioni hanno la stessa funzione della tassa sul macinato. Che era comoda e facile da riscuotere perché tutti dovevano mangiare. Oggi il sistema pensionistico pubblico è diventato il bancomat dei governi. All’Inps i soldi si trovano subito, basta un decreto legge e lo Stato ce li ha, pronta cassa.Ora la Ue e il Fmi, che han bisogno di altri soldi per finanziare le loro politiche di austerità, chiedono nuovi tagli alle pensioni; e con il loro caravanserraglio di esperti ammaestrati riprende a spiegarci che la previdenza costa troppo. I dati che usano sono falsi e falsificati. Se dalla spesa per la previdenza togliamo i quasi 50 miliardi di tasse che tutti gli anni i pensionati versano allo Stato, tale spesa scende sotto la media europea. Se togliamo l’assistenza, che dovrebbe essere pagata da tutti e non solo dai lavoratori, il bilancio annuale dell’Inps va in attivo. Un attivo sufficiente a pagare l’abolizione della legge Fornero. Anche perché il pensionato italiano maschio, prima di passare a miglior vita, usufruisce dell’assegno pensionistico per 16 anni, mentre la media europea è di 18. E le donne, che (colpevolmente?) vivono di più, vengono pagate per 21 anni contro i 23 degli altri paesi Ue. Quindi già oggi lo Stato italiano si prende due anni di vita in più dai suoi pensionati. Non sappiamo se all’epoca della tassa sul macinato Quintino Sella e gli altri usassero dati falsi per affermare le proprie ragioni. Forse allora non ce n’era tanto bisogno, visto che solo i ricchi votavano. Ma certo l’argomento di fondo era quello stesso di oggi: o i poveri pagano, o lo Stato salta per aria.Per questo l’abolizione della legge Fornero è la cartina di tornasole della politica italiana. Non è una misura sufficiente a far cambiare le cose, bisogna abolire anche Jobsact e Buonascuola, bisogna ricostruire diritti e stato sociale, bisogna rompere con l’austerità Ue e con il pareggio di bilancio. Non è una misura sufficiente, ma è necessaria per indicare che la politica liberista del rigore contro i poveri non può più essere continuata. Se, sulle pensioni, il Parlamento e le forze vincitrici delle elezioni cederanno al ricatto della Ue e della Troika, avranno già concluso la loro funzione. Poi potranno pure tagliare vitalizi e stipendi dei commessi delle Camere, ma questa non sarà giustizia ma solo una misura di facciata per coprire la continuazione del massacro sociale. La stessa facciata dei monumenti all’onestissimo affamatore di poveri Quintino Sella.(Giorgio Cremaschi, “La legge Fornero è la moderna tassa sul macinato”, da “Micromega” del 27 marzo 2018).Quintino Sella è stato uno dei padri della patria, dal lato dell’economia. Il palazzone romano del ministero delle finanze gli è dedicato. E la sua onestà e il suo rigore nei conti pubblici sono celebrati sin dall’Unità d’Italia. Era davvero una persona onestissima, anzi proba. Divenuto ministro delle finanze nei governi italiani fino al 1880, non accettò stipendi e rimborsi, pagava di tasca propria il treno e i servizi necessari alla sua funzione. Per Quintino Sella i costi della politica dovevano essere zero. Naturalmente era aiutato, in questo, dal fatto di essere un ricco componente di una ricca famiglia industriale. Ma ciò non gli toglie merito: nel suo mondo c’erano altri ricchi ben più disinvolti nell’uso dei conti pubblici, a partire dal re Vittorio Emanuele II e dalle sue numerose famiglie. Quintino Sella fu dunque un politico onestissimo, ma anche un ministro criminale. Per pareggiare i conti pubblici egli fu uno dei principali fautori della tassa sul macinato. Un balzello infame inventato dai Borboni e poi subito riutilizzato nell’Italia unita, un prelievo che gravava sul pane, sui cereali, sul cibo dei poveri. Che quando non avevano di che pagarlo dovevano rinunciare a mangiare.
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Pallante: come salvarci dalla catastrofe globale della crescita
Così tenero, che si taglia con un grissino. Peccato che non si sia mai visto, in natura, un pesce che abbia la consistenza del budino. Eppure ha funzionato, la celebre pubblicità del tonno, perché viviamo in un mondo virtuale, inventato di sana pianta, plasmato da un pensiero “magico”: non valgono più le regole dell’universo, ma quelle fabbricate dalla neolingua della manipolazione. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Summa Symbolica”. La tesi: il 90% delle nostre azioni è sapientemente pilotato, a nostra insaputa. In altri termini, lo dimostra anche Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita: il linguaggio comune trasforma i difetti in virtù, presenta i problemi come soluzioni. E’ un inganno, un trucco al quale abbocchiamo regolarmente, quando pensiamo che sia desiderabile (magari perché “si taglia con un grissino”) il cosiddetto “sviluppo sostenibile”. Un ossimoro: se lo sviluppo non è fisiologico – cioè a termine, come quello di un bambino o di una pianta – è qualcosa che fa male, che sega il ramo sul quale stiamo appollaiati. La parola “sviluppo” è diventata surreale, come il celebre tonno. E’ ormai sinonimo di crescita illimitata, innaturale, cancerogena. Abbellirla con l’ipocrita aggettivo “sostenibile” significa solo prolungare il decorso del male: morte lenta.L’unica terapia? Fermare la crescita tumorale delle merci. Serve qualcosa di enorme, paragonabile alla Rivoluzione Industriale, ma di segno opposto. Valori da capovolgere: il “tanto-avere” è il grande nemico del “ben-essere”. Nel suo ultimo saggio, che definisce “un manifesto politico e culturale”, Pallante denuncia il capitalismo industriale degli ultimi 250 anni. Una forza tellurica eversiva, segnalata da Marx come pericolo: se prima il denaro era solo un mezzo per scambiare merci, è diventato l’unico fine dell’intero ciclo economico. E’ Keynes, nel 1931, il primo a parlare di “disoccupazione tecnologica”: scopriamo sempre nuovi sistemi per «risparmiare forza lavoro», senza riuscire a ricollocarla. Succede perché siamo avidi, dice Pallante: riducendo l’orario di lavoro, l’innovazione di processo non comprometterebbe l’occupazione. Al contrario: sarebbero le macchine a lavorare per noi. Il guaio? Il nostro obiettivo non è vivere bene, in armonia con gli altri e con il pianeta. Vogliamo solo avere tanti soldi, costi quel che costi. Alle conseguenze, semplicemente, non pensiamo: la guerra sociale, la predazione globale delle risorse, il collasso della biosfera. Il paziente è grave: consuma più di quanto la Terra possa dargli. Ogni anno la “deadline” si accorcia: prima del Duemila la linea rossa veniva superata a ottobre, poi a settembre. Ora siamo “in riserva”, ogni anno, già dal mese di luglio.Non ci vuole un indovino per intuire che di questo passo andremo a sbattere. L’emissione di anidride carbonica non smaltibile dalla fotosintesi vegetale è quasi raddoppiata, sugli oceani galleggiano “continenti” di plastica, il pesce s’è dimezzato, il clima terrestre sta per raggiungere i 2 gradi sopra la soglia di sicurezza. E non abbiamo ancora visto niente: si calcola che interi paesi, come il Bangladesh, saranno sommersi. Noi che facciamo? Niente. Anzi, peggio: acceleriamo la corsa verso lo schianto. La globalizzazione violenta del mercato, dice Pallante, riproduce su scala mondiale quanto avvenne con la Rivoluzione Industriale: masse ingenti di contadini e artigiani sradicate dai loro territori e trasformate in folle di profughi economici. Obiettivo: accrescere la platea dei consumatori di merci superflue. Esaurite le capacità dell’Occidente, si punta al resto del mondo. Interi continenti da depredare di materie prime a basso costo, attraverso guerre coloniali permanenti. Decine di paesi devastati, dai quali non resta che scappare. Il sistema li accoglie a braccia aperte, i migranti che ha messo in fuga: diventeranno nuovi consumatori e contribuenti, in termini di tasse e versamenti pensionistici, senza contare il loro sfruttamento schiavistico e il business criminale che specula sull’accoglienza, mortificando la solidarietà di migliaia di volontari.Proprio la mano tesa, offerta ai rifugiati, rivela che la vittoria del mostro (da noi stessi alimentato ogni giorno) non è ancora definitiva. Sopravvivono religioni, cresce a vista d’occhio la fame di spiritualità. In modo spesso confuso, si va in cerca di valori. «Nelle società che hanno finalizzato l’economia alla crescita della produzione di merci e appiattito gli esseri umani sulla dimensione materialistica – scrive Pallante – la valorizzazione della dimensione spirituale è un atto di disobbedienza civile». Consente di recuperare la solidarierà «non solo tra gli esseri umani, ma tra tutti i viventi», e arricchisce la pulsione all’uguaglianza di un profilo anche esistenziale. Cosa manca? Una politica, capace di aggregare milioni di individui per invertire il corso degli eventi, scongiurando la catastrofe. Destra e sinistra? Un lungo equivoco. E’ lo stesso Hayek, nume tutelare dei criminali architetti dell’austerity europea, a chiarire che il liberalismo non è stato conservatore, ma rivoluzionario. La sinistra ha arrancato dietro al capitale, cercando solo di distribuirne i profitti in modo più largo. Ma, secondo Pallante, persino l’ossigeno del deficit teorizzato da Keynes è controproducente: siamo al punto in cui – come predetto dal Club di Roma, cioè dal Mit di Boston – ogni espansione dei consumi ci accorcerebbe ulteriormente la vita.Come se ne esce? In un solo modo: tagliando il Pil. Decrescita infelice? No: selettiva. Nel mirino, gli sprechi. Non la barzelletta delle auto blu, ma cifre spaventose, che valgono intere finanziarie: la sola riconversione ecologica degli edifici farebbe crollare di 2/3 la spesa energetica nazionale, creando un oceano di posti di lavoro (utili) e abbattendo in modo vertiginoso l’impatto ambientale. Nel gelido Nord Europa c’è chi vive in “case passive” tecnologicamente avanzate, senza riscaldamento convenzionale, a emissioni zero. Noi invece siamo ancora impelagati nelle guerre geopolitiche per i gasdotti, come se vivessimo all’inizio del ‘900. Le ultime elezioni italiane hanno rottamato la vecchia politica e in particolare la sinistra? Ovvio: proprio la sinistra ha abbandonato i territori che storicamente si era candidata a tutelare. In ordine sparso, si va organizzando localmente un arcipelago di comunità fondate sulle filiere corte, ancora senza rappresentanza istituzionale. Riuscirà a nascere un partito che punti alla sostenibilità dell’economia, anziché all’impossibile “sviluppo sostenibile”? Matematica: benché “sostenibile”, cioè con minor impatto immediato sull’ecosistema, qualsisasi “sviluppo” (crescita illimitata) diventa comunque insostenibile alla distanza, perché farà crescere consumi superflui e veleni.«E’ l’equivoco delle rinnovabili: sono meno impattanti oggi, ma quell’energia “verde” aggraverà il bilancio ecologico domani, se ci sarà ancora “sviluppo”». L’alternativa? Vivere benissimo e diventare tutti ricchissimi: non per forza di denaro, ma di beni (prodotti con “valore d’uso”, anziché merci “usa e getta”). Nel suo libro – densamente argomentato e documentato, numeri alla mano – Pallante ammette che il suo pensiero è necessariamente eretico, di fronte al non-pensiero del “mercato”. «La decrescita selettiva degli sprechi – insiste – è l’unica via d’uscita a una crisi che da troppo tempo genera problemi al sistema economico e sofferenze umane gravissime». Mentre la disoccupazione ci devasta, nessuno mette in cantiere le attività utili, quelle adatte ad affrontare la crisi sociale e l’emergenza ambientale. «Una società che non fa lavorare chi vorrebbe farlo e non commissiona i lavori più necessari, che ripagherebbero i loro costi con i risparmi che consentono di ottenere, è profondamente malata. E la sua malattia è causata dalla diffusione dell’idea assurda che lo scopo dell’economia sia la crescita del Pil. Prima ce ne liberiamo e meglio sarà».Inutile spiegarlo agli oligopolisti del denaro, i ras della finanza che stanno schiantando il pianeta alla velocità della luce. Dovranno essere i molti, non i pochi, a disertare dall’esercito del Pil, additando questo “sviluppo” come il vero nemico di un’umanità ancora intenzionata ad abitare la Terra. E’ in arrivo un cataclisma definitivo o sarà ancora possibile metter mano al nostro destino, fermando la corsa verso il baratro? Dipende da noi, secondo Pallante, che intanto propone di uscire dal grande imbroglio della fiction mainstream. Svegliarsi: rottamare il culto di vocaboli-totem come progresso, modernità e innovazione. Continuare a scambiarli per sinonimi di miglioramento, sostiene, significa restare prigionieri di un inganno saguinoso, ormai esiziale per le sorti della società e del pianeta. Tornare all’antico? Al contrario: «Occorre utilizzare l’enorme patrimonio scientifico e tecnologico delle società industriali», non più per incrementare la produttività e la produzione di merci, ma «per sviluppare le tecnologie che aumentano l’efficienza con cui le risorse della Terra vengono trasformate in beni». Raffinate tecnologie, che riducono gli sprechi, tagliano le emissioni e recuperano i rifiuti.Oggi, insiste Pallante, difendere la democrazia significa affrontare i problemi creati dalla gobalizzazione: «Occorre porre al centro della politica economica l’autosufficienza alimentare ed energetica». Filiere corte, dall’energia al cibo. Parola d’ordine: «Rilocalizzare tutte le attivitù produttive che rispondono ai bisogni fondamentali della vita e possono essere svolte più vantaggiosamente a livello nazionale che a livello globale». Settori d’impiego teoricamente infiniti: basterebbe «ristrutturare ecologicamente il patrimonio edilizio, rinaturalizzare il paesaggio, ripulire i fiumi, rifare le reti idriche che perdono mediamente il 65% dell’acqua». Solo così, conclude Pallante, si può rianimare l’economia creando lavoro “utile”, che risana l’ecosistema. Serve un nuovo umanesimo, un patto tra comunità consapevoli: «Occorre ridare slancio alla convinzione che il lavoro di ognuno può contribuire in maniera determinante al benessere di tutti», restituendo un futuro ai giovani e alle generazioni a venire. Utopia? Sì, necessaria e urgente. Non c’è più tempo per i sogni, serve una politica operativa basata su un paradigma opposto a quello della crescita, cieca e suicida. Anche perché l’alternativa è già scritta: siamo noi, il famoso tonno da tagliare con un grissino.(Il libro: Maurizio Pallante, “Sostenibilità equità solidarietà”, sottotitolo “Un manifesto politico e culturale”, Lindau, 185 pagine, 16 euro).Così tenero, che si taglia con un grissino. Peccato che non si sia mai visto, in natura, un pesce che abbia la consistenza del budino. Eppure ha funzionato, la celebre pubblicità del tonno, perché viviamo in un mondo virtuale, inventato di sana pianta, plasmato da un pensiero “magico”: non valgono più le regole dell’universo, ma quelle fabbricate dalla neolingua della manipolazione. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, autore di saggi come “Summa Symbolica”. La tesi: il 90% delle nostre azioni è sapientemente pilotato, a nostra insaputa. In altri termini, lo dimostra anche Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita: il linguaggio comune trasforma i difetti in virtù, presenta i problemi come soluzioni. E’ un inganno, un trucco al quale abbocchiamo regolarmente, quando pensiamo che sia desiderabile (magari perché “si taglia con un grissino”) il cosiddetto “sviluppo sostenibile”. Un ossimoro: se lo sviluppo non è fisiologico – cioè a termine, come quello di un bambino o di una pianta – è qualcosa che fa male, che sega il ramo sul quale stiamo appollaiati. La parola “sviluppo” è diventata surreale, come il celebre tonno. E’ ormai sinonimo di crescita illimitata, innaturale, cancerogena. Abbellirla con l’ipocrita aggettivo “sostenibile” significa solo prolungare il decorso del male: morte lenta.
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Della Luna: noi e il cantiere (zootecnico) del pensiero unico
Gigantesco, industrioso, immane. E’ uno dei più cospicui fenomeni del nostro tempo. Marco Della Luna lo chiama: il cantiere del pensiero unico globalizzato. Ci sono committenti, architetti, sacerdoti e guardiani. Rendono prevedibili e pilotabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Manovrando l’industria culturale (entertainment compreso), il capitalismo finanziario «ha creato un’ortodossia, un pensiero obbligato, mainstream, scientifically correct». Uno strumento che, di qualsiasi cosa parli, «delegittima, isola o criminalizza – cioè praticamente scomunica, espelle dalla società conformata – non solo il pensiero divergente dall’ortodossia, ma la stessa libera indagine scientifica, economica e storiografica». Missione titanica: plasmare la società, cioè noi. Usa la storia e l’economia, l’integrazione europea e l’euro, l’immigrazione e l’Islam, le diversità etniche e l’identità sessuale, e da ultimo «le asserite efficacia e innocuità dei vaccini obbligatori». Su queste cose, sottolinea Della Luna, sono state costruiti “protected beliefs”, credenze protette dal dogma. E guai a chi sgarra: per i trasgressori c’è l’isolamento, la punzione economica, persino il carcere.Il dissenso rispetto all’ortodossia, e la stessa libera indagine scientifica e storica di quelle credenze, scrive Della Luna nel suo blog, sono atteggiamenti inammissibili, «sanzionati con la delegittimazione morale, il boicottaggio della carriera, la discriminazione amministrativa, l’esclusione dei media, dall’insegnamento, dall’editoria, quando non anche da conseguenze penali». I dati di fatto smentiscono l’ortodossia? Non importa: «Vengono taciuti all’opinione pubblica, soprattutto nei campi chiave per l’orientamento del pensiero e della sensibilità collettivi, della concezione generale della realtà, del consenso politico, della legislazione e della giurisdizione». Anche la ricerca scientifica è «condizionata, limitata e incanalata attraverso il controllo finanziario della stampa specialistica, delle università, della ricerca, dell’editoria». Per Della Luna, avvocato e saggista, si è così ottenuta una sostanziale limitazione della libertà di ricerca, di insegnamento, di informazione pubblica – limitazione che, di fatto, «previene grande parte del possibile dissenso». Attenzione: «L’imposizione di un’ortodossia è incompatibile con la scienza, perché la scienza procede proprio per continua revisione, verificazione, falsificazione, ed è incompatibile con l’indiscutibilità». Dunque, l’ortodossia «serve a proteggere dal controllo scientifico le credenze che sostengono posizioni di privilegio e sfruttamento».E’ un sistema basato sul dominio, con i suoi guardiani: «Le posizioni politiche che mettono in luce e contestano il trend di progressivo trasferimento dei redditi e della ricchezza dai lavoratori alla finanza improduttiva – scrive Della Luna – sono tutte etichettate, dalla grande comunicazione, come populiste-estremiste, se non peggio», mentre sono definiti “di sinistra” partiti come il Pd in Italia, che «difendono la concentrazione dei redditi e del potere politico nelle mani dei grandi banchieri, quando non sono addirittura diretti da figli di banchieri molto discutibili o addirittura incriminati». Secondo Della Luna, «l’uomo non è una grande risorsa per i suoi ideali di giustizia, verità, libertà: pur di non guardare in faccia la realtà e non doversi addossare responsabilità, la maggior parte della gente adotta credenze assurde e rinuncia alla libertà, arrivando a pagare, a stordirsi, a compiere cose degradanti». C’è chi vorrebbe suscitare un movimento rivoluzionario e moralizzatore? Vorrebbe puntare sulla diffusione della conoscenza, illuminando decisivi aspetti della realtà? Tutte illusioni, sostiene il pessimista Della Luna.Siamo tornati all’antico potere sacerdotale, avverte il saggista: «I cleri di molte civiltà si arricchivano e acquisivano potere politico facendo credere al popolo che, per far sì che gli dèi mandassero la pioggia e proteggessero dalle pestilenze e dalle carestie, bisognasse fare grandi donazioni in sacrificio ai templi e obbedire ai grandi sacerdoti». Oggi, afferma Della Luna, svolge una funzione analoga «la credenza istituzionalizzata (cioè la religione) della scarsità della moneta e della indispensabilità per gli Stati di indebitarsi per finanziarsi». Nel saggio “Pensare altrimenti”, il filosofo Diego Fusaro scrive che il capitalismo finanziario, per realizzare il proprio sistema di profitto, ha necessità di farsi pensiero totalitario, unico, quindi di eliminare ogni identità umana differenziale e ogni valore diverso da quelli di scambio, così come ogni vincolo morale, comunitario, etnico, culturale e spirituale, insieme a ogni concezione alternativa dell’uomo e dell’ordinamento esistente, perché ostacolerebbero la “onnimercificazione” e la immediatezza del business.Il nuovo business, aggiunge Fusaro, vuole che ogni qualità sia riducibile a quantità, e che tutto e tutti siano costantemente disponibili on line per le operazioni di mercato (e di sorveglianza), in un processo di omogeneizzazione e riduzione del qualitativo al quantitativo che ammette solo i flussi di scambio, non i soggetti che se li scambiano. Questo produce un effetto ultimamente entropizzante e mortifero, cioè nullificante: «Illumina l’accostamento che Fusaro fa di questo processo all’avanzare del Nulla che divora il fantastico mondo del famoso film “La storia infinita”», annota Della Luna. Per compiere questa eliminazione, soprattutto nei cosiddetti “gloriosi 30” (i decenni della grande crescita e redistribuzione economica «apparentemente democratica»), il sistema ha sviluppato in modo pianificato «la demolizione della consapevolezza di classe attraverso il consumismo: col quale le classi subalterne hanno assimilato i valori di quelle dominanti e si sono moralmente neutralizzate nonché politicamente castrate».Al contempo, ha prodotto la relativizzazione e l’inversione dei valori e delle istituzioni tradizionali, «assieme a un complesso processo di censura e “tabuizzazione del dissenso”, del pensiero diverso (circa le cose che contano, soprattutto degli scopi dell’esistenza) e delle stesse parole che servono per esprimere la critica al capitalismo finanziario». Imperialismo, colonialismo, plutocrazia, conflitto servi-padroni: «Sono vocaboli fondamentali per rappresentarsi le operazioni e le realtà del nostro mondo», in cui le guerre di conquista per il petrolio e le altre risorse, e per l’imposizione del dollaro come moneta obbligata degli scambi di materie prime, «vengono legittimate come esportazione della democrazia, lotta al terrorismo e tutela dei diritti dell’uomo». Parole necessarie, continua Della Luna, e quindi «tolte dalla comunicazione per l’opinione pubblica, e sostituite con altre parole opportunamente scelte». E’ la “neolingua” orwelliana: invertire il significato delle parole, restringere il lessico per ridurre i concetti e produrre così il consenso al sistema. Lo si ottiene, oggi, con il lancio mirato di milioni di email e tweet, nonché «campagne di criminalizzazione, di allarmismo, di ottimismo» dirette a manipolare la mente e il comportamento collettivo, in ambito politico e finanziario.«Con quest’arma ci si può liberare di intellettuali dissenzienti e delle loro idee o rivelazioni, come pure di concorrenti commerciali e politici, creando l’apparenza che la società stessa, democraticamente, li condanni o ne diffidi, mentre si tratta dell’attacco di un singolo soggetto, moltiplicato per milioni mediante strumenti tecnologici». Così per tutto. La ricerca scientifica? Vincolata ai finanziamenti del capitalismo privato e del settore militare. Conseguenze: «note e terribili, nei campi sanitario e alimentare». E l’ideologia gender, introdotta sin dal ‘96 anche attraverso l’Ue? «Persino dati di fatto biologici, come la dualità dei sessi, vengono negati e “tabuizzati” in quanto dati di natura, immodificabili, e convertiti in convenzioni-costruzioni volontarie, ossia in prodotti, così da creare il mercato dei trattamenti per sviluppare un gender», ovvero: «Trattamenti ormonali per sospendere la sessuazione nei fanciulli rinviandola a quando potranno scegliere se diventare maschi o femmine», e anche «condizionamenti psicologici per indurre identificazioni e prassi di “gender” divergenti dall’appartenenza sessuale biologica».La “destra del capitale” (come la chiama Fusaro), si serve di una censoria “sinistra del costume” (ottusa o mercenaria) che è stata allocata negli spazi e gli organi “culturali” (sovrastruttura) per oscurare, delegittimare, criminalizzare e attaccare, talvolta persino con la violenza fisica, i critici strutturali del modello capitalista, vantandosi “antifascista” «ma di fatto esercitando, in modo tipicamente fascista, la proscrizione e repressione dei critici del sistema, senza confronto nel merito ma semplicemente mediante accuse di immoralità, estremismo, populismo o irrazionalismo, nonché di fake news». Non sempre funziona: le elezioni del 4 marzo 2018 – aggiunge Della Luna – hanno dimostrato che larga parte dell’elettorato ha rigettato la propaganda istituzionale pro-immigrazione e pro-eurocrazia. Nei suoi saggi, l’autore demistifica soprattutto i dogmi fondanti del sistema capitalistico, della sua legittimazione giuridica e del consenso che lo sostiene: scarsità-costosità della moneta, efficienza-esistenza del libero mercato, “virtuosità” della spesa pubblica e della riduzione dei debiti nazionali (mediamente cresciuti, non calati, proprio per effetto del rigore fiscale Ue). «Ma siccome queste sono una credenza protetta, non possono essere messe a confronto col loro fallimento di fatto».In grande maggioranza, sostiene Fusaro citando Etienne de la Boétie, la popolazione tende ad adattarsi cognitivamente, moralmente ed emotivamente allo stato di fatto della realtà, ai rapporti di potere effettivi, «perché pensare l’ingiustizia del potere che si subisce rende il subirla più afflittivo e tormentoso, senza apportare vantaggi». In altre parole: meglio non guardarla in faccia, una realtà così orrenda. L’industria culturale del capitalismo finanziario aiuta, eccome, a non aprire gli occhi: agisce «analogamente ma assai più efficacemente di ogni altro totalitarismo precedente, teocratico, comunista o fascista che fosse». Ha costruito e imposto una sua ortodossia, ha fabbricato un consenso, una legittimazione democratico-giuridica. E ha ottenuto che il “logos” dissenziente, cioè la consapevolezza dell’ingiustizia (dell’illogicità e dell’infelicità provocata dal sistema in atto, e della progettabilità di sistemi diversi) possa circolare solo tra pochi intellettuali indipendenti, marginali al potere, senza poter alimentare un movimento politico consistente ed efficace. Quand’anche, aggiunge Della Luna, non si andrebbe oltre qualche piccolo attrito, «perché la capacità repressiva del sistema, col suo apparato mediatico-militare-istituzionale, è immensa».Del resto, «la quota di potere reale messa in gioco nelle votazioni popolari è minima». Chi vota, può decidere pochissime cose. Della Luna l’ha spiegato in saggi come “Oligarchia per popoli superflui” e “Oltre l’agonia”: il pensiero unico è pervasivo, fortissimo. «E’ di gran lunga più capace che ogni altro sistema di legare a sé le persone, le aziende, i governi», proprio perché «più di ogni altro sistema produce e distribuisce mezzi monetari», che sono «il motivatore universale», e lo fa «con operazioni contabili che indebitano verso di esso, con interesse composto, le persone, le aziende, i governi (denaro-debito)». E quindi, nel finanziare il corpo sociale – cioè nel dargli volta per volta il denaro di cui questo necessita per funzionare – al contempo lo indebita verso di sé, creandogli la necessità di prendere ulteriore denaro a prestito (il cosiddetto “debito infinito”, i cui leader sono i produttori della moneta, cioè i vertici del sistema finanziario). «E’ un fattore matematico ineliminabile. E questa dipendenza è divenuta non solo economica, nel tempo, ma anche politica». Il vertice finanziario emana le direttive e detta le leggi: è il fondamento del potere politico. L’attività strategica dei “produttori di denaro”, insiste Della Luna, rappresenta «il core business del settore bancario», che opprime le nazioni indebitate.«Siamo evidentemente in presenza di un piano politico di lungo termine, ovviamente non dichiarato e non proposto al pubblico dibattito né menzionato o menzionabile nei programmi elettorali dei partiti politici». Per Della Luna, è in corso da decenni «un piano di indebitamento progressivo a fine di potere politico e di esautorazione delle istituzioni pubbliche». Si basa sul fatto che gli utenti del credito (cittadini, aziende, amministratori, politici) si accontentano di risolvere il problema finanziario immediato ottenendo un nuovo finanziamento, senza considerare «l’effetto cumulativo macroeconomico del finanziarsi ripetutamente a credito nel lungo e lunghissimo periodo». Ed è proprio questo l’obiettivo dell’operazione. Il piano «viene nascosto, dai suoi stessi esecutori, dietro i precetti della lotta al debito pubblico, dell’avanzo primario e della “virtuosità” di bilancio – precetti la cui applicazione ha infatti aumentato l’indebitamento pubblico verso la comunità bancaria internazionale, come volevano i loro fautori». Indebitamento che, su scala mondiale, supera i 260.000 miliardi di dollari. In Europa, un muro insormontabile grazie alla moneta unica (Della Luna ne parla in “Cimiteuro”, “Euroschiavi”, “La moneta copernicana”).E’ il “social control”, sintetizza Della Luna, il vero obiettivo di fondo dell’oligarchia finanziaria globale. Il profitto monetario? «E’ solo uno strumento», benché formidabile e con volumi mostruosi. Invece, «gestire un mondo in preda a squilibri e conflitti crescenti è molto più impegnativo». Secondo l’analista, questo richiede il passaggio già in corso: «Dalla società finanziarizzata alla società amministrata zootecnicamente». E’ drastico, Della Luna: «All’atto pratico – scrive – lo spazio di libertà degli uomini è sempre stato proporzionale alla loro capacità fisica e mentale di conquistarselo e difenderlo, ossia di resistere alla tendenza a controllarli e sfruttarli da parte del potere costituito». La libertà individuale? Non è altro che «un rapporto tra la forza di controllo dall’alto e quella di resistenza ad essa dal basso». Oggi, conclude, la tecnologia sta moltiplicando la prima rispetto alla seconda. In ogni campo: dalla comunicazione all’elettronica, della biochimica alla manipolazione genetica per via farmacologica. Contiamo sempre meno, saremo sempre più in gabbia. Zootecnia, appunto: «Gli spazi di libertà vanno ad azzerarsi».Gigantesco, industrioso, immane. E’ uno dei più cospicui fenomeni del nostro tempo. Marco Della Luna lo chiama: il cantiere del pensiero unico globalizzato. Ci sono committenti, architetti, sacerdoti e guardiani. Rendono prevedibili e pilotabili i comportamenti sociali nel mondo super-accelerato e conflittuale in cui viviamo. Manovrando l’industria culturale (entertainment compreso), il capitalismo finanziario «ha creato un’ortodossia, un pensiero obbligato, mainstream, scientifically correct». Uno strumento che, di qualsiasi cosa parli, «delegittima, isola o criminalizza – cioè praticamente scomunica, espelle dalla società conformata – non solo il pensiero divergente dall’ortodossia, ma la stessa libera indagine scientifica, economica e storiografica». Missione titanica: plasmare la società, cioè noi. Usa la storia e l’economia, l’integrazione europea e l’euro, l’immigrazione e l’Islam, le diversità etniche e l’identità sessuale, e da ultimo «le asserite efficacia e innocuità dei vaccini obbligatori». Su queste cose, sottolinea Della Luna, sono state costruiti “protected beliefs”, credenze protette dal dogma. E guai a chi sgarra: per i trasgressori c’è l’isolamento, la punzione economica, persino il carcere.
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Eresia verde: l’ultima ideologia vincente prima del liberismo
Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.La Grecia era ancora il paradiso in cui andare in vacanza, non l’inferno di oggi senza medicine per i bambini. Nessun esodo di esseri umani disperati: apostoli come Thomas Sankara lavoravano per un’Africa libera e dignitosa. Finiva in soffitta anche il gelido bullismo delle superpotenze: in accordo con Reagan, l’intrepido Gorbaciov stava per rottamare i suoi famosi missili. Quella italiana era una società relativamente rilassata e tollerante, ottimista e in parte progressista, già divorzista e abortista, non ostile alle provocazioni culturali. Gli intellettuali scrivevano libri, il “Nome della rosa” metteva alla berlina il potere medievale del Vaticano. E un certo Primo Levi prendeva posizione contro i massacri ordinati da Israele in Libano, il martoriatro paese mediorientale dove i soldati del generale Angioni sfilavano tra gli applausi, sui loro carri armati bianchi. Rivista oggi, quell’Italia imperfetta e minata da mali endemici era infinitamente più coesa e meno cinica, più serena e fiduciosa dell’attuale euro-periferia cronicamente depressa.C’è di mezzo un’era glaciale, è vero: senza Internet, le notizie facevano ancora notizia. Il terremoto in Irpinia e il business della camorra, la bomba di Bologna e la strage di Ustica, il bambino finito nel pozzo a Vermicino. Non esisteva Facebook, per gli italiani parlava Renzo Arbore. Minoli intervistava Agnelli, Gianni Minà ospitava De André. Guardava avanti, quell’Italia, verso successi inimmaginabili: una stagione di trionfi per l’economia, gli anni rampanti di Bettino Craxi, il boom del made in Italy. Stupiva il mondo, la penisola dell’Iri, proprio quando l’Inghilterra sprofondava nell’austerity varata dalla Thatcher. C’era già allora chi pensava di sabotarlo, il Belpaese – i medesimi poteri che l’avevano riempito di bombe, seminando il terrore nelle piazze. E c’era chi, al contrario, sperava di correggerne lo sviluppo tumultuoso, bonificandone le scorie. C’era stato un evento epocale, che aveva costretto tutti a fermarsi e pensare. Era saltata in aria un’enorme centrale nucleare sovietica, in Ucraina. Messaggio esplicito: nessuno può sentirsi al riparo; non c’è frontiera che tenga, di fronte a un simile disastro. Retromessaggio: il mondo ormai è strettamente interconnesso. La nube tossica di Chernobyl aveva investito l’intera Europa, ma l’Italia fu l’unico paese ad avere il coraggio di mettere al bando l’energia atomica.Riletto oggi, l’ideologo ecologista Alex Langer potrebbe sembrare un visionario epigono di Gandhi. Nel loro positivismo scientifico fondato sulla fiducia nella ragione, i fisici Gianni Mattioli e Massimo Scalia, primissimi parlamentari verdi, erano altrettanto consapevoli di predicare nel deserto: sapevano che sarebbero stati ignorati e poi derisi, prima di essere ascoltati. Dalla loro avevano una convinzione speciale, oggi estinta: la forza dell’ideologia. Cioè la visione profonda, prospettica, di un mondo diverso. Un pensiero lungo: come sarebbe bello, se la nostra consapevolezza di oggi potesse produrre, domani, una vita migliore – più sicura, più felice, con più diritti. Volevano un paese trasformato, in un pianeta progressivamente ripulito. Erano certi che la missione avrebbe richiesto decenni di duro lavoro, anche oscuro, fatto di studio e di consultazione progressiva con cittadini e territori, italiani e non. Sognavano un mondo “glocal”, i primi Verdi, rifondato secondo il preciso schema operativo riassunto dal loro slogan: pensare globalmente e agire localmente. Non seminavano odio, ma futuro. Non chiedevano di votare “contro”, ma “per”: in palio, secondo loro, poteva esserci un domani diverso e inclusivo, migliore per tutti. Non ha nemici, l’ideologia – solo avversari temporanei, popolo da persuadere, alleati potenziali da conquistare alla causa.Non hanno mai sbancato la lotteria delle elezioni, i Verdi italiani – anzi, col tempo si sono degradati fino a scomparire nell’irrilevanza, tra infime diatribe di potere. Non altrettanto si può dire delle loro idee: grazie a quell’eresia, è stata messa in cassaforte una legislazione scrupolosamente attenta alla tutela dell’ambiente. Una rivoluzione copernicana, tradotta in politica, ha imposto (per legge) un cambio di paradigma, nei confronti dell’ecosistema, dai piani regolatori ai depuratori delle fabbriche e delle città. Poi la cultura “green” è diventata moda, veganesimo chic, persino malaffare (l’opaco business delle rinnovabili). In mano al marketing politico-affaristico, l’ecologismo maninstream s’è fatto dogma, conformismo da pensiero unico, politically correct. Ma intanto la natura è salita in cattedra nelle scuole, e lo splendore dei parchi ha piena cittadinanza, tuttora, in televisione. Potevano sembrare una setta di pazzoidi stravaganti, i discepoli di Langer, quando parlavano di prevenzione sanitaria e sovranità dei territori, qualità della vita e sicurezza alimentare: oggi l’Italia ha norme severissime, in materia, a tutela della genuinità delle filiere corte.E’ la filosofia del biologico, settore sempre più trainante, che ha spinto con successo milioni di giovani verso il ritorno all’agricoltura intelligente, pulita e selettiva. E persino nelle regioni terremotate dell’Italia centrale, ancora ingombre di macerie, è il consumatore della porta accanto a tenere in piedi l’economia del contadino, del piccolo artigiano. Cambiano le stagioni e tramontano i partiti, ma le idee camminano. Se hanno prodotto futuro, lo si vede alla distanza. Chi ne ha subito il fascino, in questi anni, ha condiviso un immaginario fondato su un’estetica, prima ancora che su un’etica: un mondo più verde è innanzitutto più bello. Oggi, i vincitori delle elezioni sono costretti a parlare soltanto di soldi: reddito garantito, meno tasse. Sono misure d’emergenza, richieste dalle circostanze. Siamo infatti tornati al “tempo di guerra”: non c’è più spazio per pensieri lunghi. Eppure, chi poi le guerre le vince per davvero – compresa l’ultima, mondiale – dalla sua parte non ha solo gli arsenali, ha anche e soprattutto un’idea chiara in testa, per il “dopo”. E’ quella, in fondo, che assicura la vittoria. Quella che oggi manca ancora, non a caso, rendendo proibitiva la percezione del futuro.E’ tutto più difficile, nel mondo digitale ultra-globalizzato? Eppure, in teoria, dovrebbe essere più facile far circolare idee, farle attecchire. A latitare è forse l’humus, il fertile terreno su cui coltivarle, dandosi tutto il tempo necessario. Sul piano culturale, l’ultima incarnazione dell’ecologismo nato negli anni ‘80 è stata la teoria economica della “decrescita felice”, sviluppata dall’italiano Maurizio Pallante con il francese Serge Latouche. La loro intuizione, mutuata da Bob Kennedy: alla crescita del Pil non corrisponde affatto quella del benessere. Non c’è stato bisogno di metterla alla prova: a stroncarla ha provveduto la “decrescita infelice” imposta dall’oligarchia europea. Una studiosa come Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, conferma che oggi, grazie alla deformazione strutturale del profitto finanziarizzato, la crescita del Pil non solo non migliora le condizioni del cittadino medio, ma addirittura le peggiora, accrescendo le diseguaglianze. Forse la soluzione non sta nel prodotto interno lordo, crescente o decrescente, ma risiede da tutt’altra parte: nel futuro, nel mondo delle idee.Il brutto film di oggi sembra fatto apposta per oscurarlo in ogni modo, l’avvenire: è un copione dell’orrore a corto raggio, che propone una normalità di sacrifici e sofferenze, terrorismo e guerra. Viviamo in un kolossal, scritto e diretto dal peggiore degli autori: la paura. Un labirinto cieco, che sembra senza uscita. Ma da ogni dedalo c’è sempre una qualche scappatoia – magari verticale, da indovinare alzando gli occhi al cielo. La forza dell’ideologia sta anche nell’universalismo delle idee: se qualcosa è buono qui, dev’esserlo anche altrove. Vale per tutti, ovunque: le idee non hanno nazionalità, ma possono salvare le nazioni. Globalizzare la democrazia, fermando il mostro onnivoro: roba da avanguardisti carbonari. Dicevano, i seguaci di Alex Langer: ma perché mai avvelenarci l’anima, in un paese favoloso (un Eden, per il turismo verde) che detiene la maggior parte dei beni culturali della Terra? Parole spese quarant’anni fa. Qualcuno oggi sa come saremo fra tre anni?(Giorgio Cattaneo, “Eresia verde, l’ultima ideologia vincente prima del neoliberismo”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 marzo 2018).Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.
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Bugie su Mosca da un’Europa in pezzi. L’Italia? Obbedisce
Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».Quanto alle dichiarazioni del governo britannico, la stessa May continua a dire che «è altamente probabile» che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. «Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi», aggiunge Foa. E nel comunicato congiunto diffuso da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma “sviluppato” non significa prodotto in Russia: «Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come “fabbricato” – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa», che pertanto «andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa, non come un verdetto». La stampa dovrebbe mostrare maggior cautela, specie dopo le maggiori “fake news” che ha propagato, dalle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein fino alle prove “incontrovertibili” (ma altrettanto inesistenti) della responsabilità di Assad nella strage coi gas nel 2013 (armi chimiche in realtà usate dai “ribelli” siriani per provocare un intervento della Nato).Come risalire addirittura a Putin nel giro di poche ore, soprattutto conoscendo l’efficienza dell’ex Kgb? Molto eloquente, sottolinea Ivan Giovi sul blog di Aldo Giannuli, la volontà di non mostrare la provetta che dimostrarebbe la produzione russa del gas nervino utilizzato contro Skripal, nonostante Boris Johson si sia scagliato contro il Cremlino, non a caso alla vigilia delle elezioni russe. Marcello Foa insiste: siamo regolarmente sommersi da “fake news” veicolate non dal web, ma dai grandi media. Penultimo esempio: sempre in Siria, nel 2107, Amnesty International e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un “formo crematorio” in cui venivano “bruciati i ribelli”, «rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano». Avverte Foa: «Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”».Le istantanee adesioni europee alla condanna unilaterale inglese contro la Russia, scrive Giovi, fanno pensare a un tentativo di compattamento dei ranghi della Nato, «che sembra ormai tutto tranne che un’alleanza». Ovvero: più che un alleato, la Turchia «ormai sembra sempre più una spina nel fianco di Europa e Usa», mentre la Germania «ha intrapreso una guerra commerciale con gli Stati Uniti trascinando con sé tutta Europa». Dal canto loro, gli Usa «si lamentano in continuazione con gli Stati europei perché non contribuiscono abbastanza alla difesa comune». Tendenza in corso: ricompattare i ranghi della Nato ingigantendo il reale potere dei russi e «trovando pretesti assurdi per incolparli di qualsivoglia evento accaduto nel mondo occidentale (leggasi hacker russi che interferiscono con elezioni di mezzo mondo)». Senza peraltro riuscire nello scopo, «perché l’influenza russa negli ultimi anni si è estesa sempre di più, basti pensare alla Turchia che ha palesemente cambiato sponda o alla in Siria dove il vincitore a breve sarà nettamente Vladimir Putin». In questo quadro, Maurizio Blondet inserisce anche il giro di vite contro l’uomo che per primo ha smontato la propaganda militare Usa, mettendo in piazza i crimini commessi in Iraq: Julian Assange. L’averlo isolato – senza più Internet – per ragioni diplomatiche (buon vicinato con gli inglesi) rappresenta «una stretta imposta dal governo britannico nell’ambito dell’offensiva europea e americana contro tutte le voci libere».Per Blondet, si tratta di «un atto di barbarie identico (e connesso) alle espulsioni dei diplomatici russi sotto accuse spudoratamente false: una vera congiura della dittatura totalitaria occidentale in corso di consolidamento, una volontà di precipitare il conflitto con la Russia». Lo stesso Blondet ricorda che la Commissione Europea ha appena presentato un “Piano d’azione sulla Mobilità Militare” che obbligherà tutti i paesi membri a lasciare libero il passo agli eserciti Nato sul proprio territorio. Come sottolinea Thierry Meyssan, non si parla solo di eserciti europei: nella Nato, oltre agli Usa, c’è la Turchia. Per Blondet, questa misura «è l’identificazione finale della “Unione Europea” con l’Alleanza Atlantica, l’inglobamento dell’organizzazione essenzialmente economica nella lega militare oggi in postura offensiva». A 25 Stati membri viene ordinato di fornire carte delle loro vie di comunicazione (ferrovie, porti, aeroporti) nonché di precisare i lavori necessari per rendere praticabili ponti e le loro gallerie per i mezzi cingolati. «Dovranno anche cancellare le leggi e i regolamenti in vigore che vietano – o regolamentano – il trasporto di armamenti e materiali bellici sul loro territorio: è una Schengen per la guerra».Trionfante, Federica Mogherini – ancora lei, benché il governo che l’ha piazzata a Bruxelles non esista più – accoglie il progetto con entusiasmo: «Facilitando la mobilità militare nella Ue, siamo più efficaci nel prevenire crisi, più efficienti nel dispiegare le nostre missioni e più rapidi nel reagire quando sorgono delle sfide». “Prevenire crisi”, secondo Blondet, va inteso nei due sensi: «Secondo documenti interni all’Alleanza, la mobilità militare non serve solo per far correre le forze alle frontiere contro la Russia; servirà anche in caso di sollevazione popolare all’interno di uno degli Stati membri». Noi italiani non potevamo fare altrimenti che espellere diplomatici russi, pur con il già defunto governo Gentiloni? Non è vero, sottolinea Blondet: sono sono tutti così servili. Austria, Grecia e Portogallo si sono rifiutati di accodarsi a Londra, Parigi, Berlino e Roma. L’ha fatto anche la Repubblica Ceca: «Voglio vedere le prove», ha avvertito il presidente ceco Milos Zeman, rifiutando di compiere azioni ostili contro Mosca. Una dignità politica inesistente in Italia, la cui nave della Saipem per trivellazioni marittime è stata allontanata dalle acque di Cipro (sotto minaccia della flotta turca) senza che fiatasse il governo di Roma, in cui soccorso non è intervenuto nessuno – né l’Ue, né la Nato, cioè le potenze che dall’Italia poi ottengono obbedienza immediata se si tratta di colpire Mosca.E vogliamo parlare del “partner” Germania? «Mentre noi applichiamo le sanzioni alla Russia – aggiunge Blondet – Berlino ha appena firmato e confermato il North-Stream 2, il gasdotto baltico con la Russia, a dispetto delle proteste di Polonia, paesi baltici e Usa. Con quale motivazione? Che il gasdotto è una realizzazione “economica”, non politica». Dalla “guerra” con la Russia, invece, l’Italia ha riportato enormi danni. Secondo dati ufficiali Eurostat, fino a inizio 2017 il trend delle esportazioni italiane nella Federazione Russa era in crescita, con 10,8 miliardi di euro. Le importazioni, invece, ammontano a circa 20 miliardi di euro, principalmente nel settore degli idrocarburi e delle materie prime. Oltre 400 sono le imprese italiane che operano in Russia e circa 70 gli stabilimenti produttivi realizzati nella Federazione (tra questi le installazioni Eni, Indesit, Marcegaglia, più le filiali Intesa SanPaolo e Unicredit). «E’ chiaro che il vero nostro partner è la Russia», non certo i nostri “alleati” euro-atlantici. E se il Pd è rimasto sempre allineato ai diktat “imperiali”, solo Salvini ha eccepito sull’ultima offensiva antirussa. Di Maio? «Sulla questione degli espulsi russi ha taciuto: zitto zitto, per non dispiacere all’ambasciatore Usa e ai padroni del vapore in generale». In sostanza: neppure la nuova politica emersa il 4 marzo protegge l’Italia dalle “pazzie” geopolitiche in corso, riesplose subito dopo l’annuncio di Putin: grazie a nuovissimi missili nucleari iper-sonici “imparabili”, la Russia è al riparo da attacchi atomici. Putin chiede pace? L’Occidente risponde con una guerra di menzogne.Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti, contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».
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La Cina sa che persino la corruzione fa volare l’economia
La straordinaria crescita della Cina negli ultimi decenni ha generato due tipi di analisi. Una scuola di pensiero ritiene che la Cina sia una potenza economica in ascesa pronta a conquistare il mondo. L’altra, sostiene che l’economia cinese è diventata così distorta da essere destinata a crollare o, almeno, come ha suggerito un ex segretario del Tesoro degli Stati Uniti, “regredire fino a dimezzare”. Entrambe le opinioni sono sbagliate. Per prima cosa, la Cina non è mai stata un’economia normale. Ha registrato una media di tassi di crescita di quasi il 10% per quasi quattro decenni, un record; è la prima nazione in via di sviluppo a diventare una grande potenza. Quindi, perché non potrebbe continuare? Ciò che alcuni ritengono essere le debolezze dell’economia cinese sono state, in effetti, dei punti di forza. La crescita sbilanciata non prova affatto un rischio incombente, tanto quanto un segno di industrializzazione di successo. I livelli di indebitamento in frenata sono un indicatore di sviluppo finanziario piuttosto che una spesa dissoluta. Soprattutto, e curiosamente: la corruzione ha stimolato, non bloccato, la crescita. Almeno finora.La questione centrale non è se la Cina possa continuare a trasgredire o confondere le norme, semmai quanto gli è richiesto di farlo. E ciò, come sempre, dipende dal fatto che il governo cinese possa trovare un equilibrio tra l’intervento statale e le forze di mercato. Il potere autoritario centralizzato ha i suoi pregi, inclusa la capacità – per gli imprenditori che lo “subiscono” – di costringerli a correggere rapidamente la rotta. Ciò ha permesso ai leader cinesi di mettere l’economia su un binario di crescita più sostenibile negli ultimi anni. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo è rimbalzato lo scorso anno. I salari sono aumentati. La recente abolizione dei limiti di mandato per i termini della carica di presidente e vicepresidente fornisce al presidente Xi Jinping più tempo e margine per promuovere la sua visione di una Cina prospera, moderna e potente, e con l’aiuto di consulenti fidati: il suo ex zar della corruzione, Wang Qishan, dovrebbe essere nominato vice-presidente e Liu He, vice-capo responsabile dell’economia.Gli scettici sul futuro della Cina di solito indicano il debito in crescita nel paese. In verità si tratta di un aumento abbastanza nella media: superiore a quello della maggior parte delle economie dei mercati emergenti, ma inferiore a quello della maggior parte dei paesi ad alto reddito. Onere al debito della Cina: nella media ma in decisa impennata… Il Fondo Monetario Internazionale ha messo in guardia sul fatto che altre economie che hanno registrato rapporti di indebitamento così rapidamente in aumento – il Brasile e la Corea del Sud qualche decennio fa, e diversi paesi europei più recentemente – alla fine hanno ceduto a una crisi finanziaria. Perché la Cina dovrebbe essere diversa? Una ragione è che non tutto il debito è stato creato uguale. Come alcuni ottimisti osservano, il debito della Cina è pubblico, non privato, il che significa che i rischi sono in gran parte sostenuti dallo Stato. Il prestito viene in gran parte dall’interno, piuttosto che dall’esterno. E nonostante l’aumento dei mutui, le famiglie cinesi hanno un peso del debito complessivo basso rispetto alle loro controparti in giro per il mondo. Nonostante tutta la sua crescita inebriante, il sistema finanziario cinese rimane relativamente semplice, senza l’incubo della cartolarizzazione esotica che ha fatto crollare l’economia americana un decennio fa.Anche il rapporto debito/Pil della Cina – che sembra così preoccupante – è spesso frainteso. Le banche cinesi non servono più solo gli attori statali; ora servono anche il settore privato, in particolare dopo la privatizzazione delle abitazioni di proprietà pubblica alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000 ed hanno creato un ampio mercato immobiliare commerciale. La rapida crescita del credito riflette in gran parte una crescita della finanza, piuttosto che una bolla immobiliare. Secondo i miei calcoli, i prezzi delle proprietà in Cina sono aumentati di sei volte dal 2004. Tuttavia, le transazioni immobiliari non sono incluse nelle valutazioni del prodotto interno lordo. Si dice che la corruzione impedisca la crescita inibendo gli investimenti. Non così in Cina, dove lo Stato controlla le maggiori risorse, come i terreni e l’energia, eppure genera rendimenti più bassi su tali attività di quanto non faccia il settore privato. Privatizzare quelle risorse è stato un inizio di vita sotto il comunismo, e così la corruzione è servita come opportunità di fare successo, consentendo a più attori privati di utilizzare risorse statali dopo aver stretto accordi con i funzionari. Poiché le pratiche di questi attori sono state redditizie, l’economia ne ha tratto beneficio in generale.Alcuni osservatori cinesi temono anche che la rapida crescita della Cina non possa essere sostenuta a meno che il consumo non sostituisca gli investimenti come principale motore dell’economia (il governo cinese sembra d’accordo, o almeno lo afferma.) Sottolineano che mentre gli investimenti rappresentano una quota insolitamente elevata del prodotto interno lordo, il consumo rappresenta una quota insolitamente bassa. Ma dire questo è fraintendere la natura della crescita squilibrata della Cina. La causa principale di questo squilibrio è l’urbanizzazione. Negli ultimi quattro decenni il rapporto di urbanizzazione della Cina è aumentato da meno del 20% a quasi il 60%. Nel processo, i lavoratori delle attività rurali ad alta intensità di lavoro sono passati a lavori industriali ad alta intensità di capitale nelle città. E così, una quota sempre maggiore del reddito nazionale è andata in investimenti. Ma anche i profitti delle imprese sono aumentati, portando a salari più alti, che hanno stimolato i consumi. Il consumo è cresciuto molto più velocemente in Cina che in qualsiasi altra grande economia.(Massimo Bordin, “La corruzione non ha fatto per niente male all’economia cinese”, dal blog “Micidial” del 14 marzo 2018).La straordinaria crescita della Cina negli ultimi decenni ha generato due tipi di analisi. Una scuola di pensiero ritiene che la Cina sia una potenza economica in ascesa pronta a conquistare il mondo. L’altra, sostiene che l’economia cinese è diventata così distorta da essere destinata a crollare o, almeno, come ha suggerito un ex segretario del Tesoro degli Stati Uniti, “regredire fino a dimezzare”. Entrambe le opinioni sono sbagliate. Per prima cosa, la Cina non è mai stata un’economia normale. Ha registrato una media di tassi di crescita di quasi il 10% per quasi quattro decenni, un record; è la prima nazione in via di sviluppo a diventare una grande potenza. Quindi, perché non potrebbe continuare? Ciò che alcuni ritengono essere le debolezze dell’economia cinese sono state, in effetti, dei punti di forza. La crescita sbilanciata non prova affatto un rischio incombente, tanto quanto un segno di industrializzazione di successo. I livelli di indebitamento in frenata sono un indicatore di sviluppo finanziario piuttosto che una spesa dissoluta. Soprattutto, e curiosamente: la corruzione ha stimolato, non bloccato, la crescita. Almeno finora.
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Dopo Tillerson, Pompeo: il super-lobbista dei fratelli Koch
La sostituzione del segretario di Stato americano Rex Tillerson con il direttore della Cia, Mike Pompeo, era prevedibile: secondo gli analisti geopolitici russi di “Fondsk”, dietro ai dissidi delle ultime settimane – caso Skripal, nucleare iraniano, Corea del Nord, Gerlusalemme capitale “unilaterale” di Israele – si celano in realtà «profonde contraddizioni tra le realtà imprenditoriali rappresentate da Tillerson e quelle che fanno riferimento a Trump». Come ex direttore esecutivo di Exxon Mobil, Tillerson «ha difeso gli interessi di quella parte di business americano che ha già messo radici in Medio Oriente e che non è interessata ad un peggioramento ulteriore delle relazioni con il mondo islamico». Allo stesso tempo, la scelta di promuovere Pompeo a capo della politica estera Usa «mostra chiaramente chi brama alla nuova spartizione delle sfere di influenza economica nella zona e al rafforzamento dell’infrastruttura militare statunitense in essa». Pompeo, ricorda “Fondsk” in un’analisi tradotta da “Come Don Chisciotte”, ha dato ampiamente prova di essere «una creatura dei fratelli David e Charles Koch, comproprietari della più grande società privata d’America, la Koch Industries (i guadagni per il 2017 ammontavano a 100 miliardi di dollari, il numero di dipendenti superiore a 120 mila persone)».I fratelli Koch sono noti per i loro punti di vista ultra-conservatori, per il sostegno a movimenti corrispondenti (come il “Tea Party”) e per un livello eccezionalmente alto di “sponsorizzazione politica”. «Le loro elargizioni annuali per “attività sociali” ammontano a decine di milioni di dollari. Per questa famiglia, il concetto di “oligarchi” è pienamente applicabile». Il loro campo di attività riguarda principalmente la raffinazione del petrolio, nonché la costruzione e l’esercizio delle condutture, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Avendo una vasta rete di filiali e vasti investimenti all’estero, i fratelli Koch fino a poco tempo fa avevano scarsa presenza in Medio Oriente, regione chiave per le loro attività». E ora, con Mike Pompeo, hanno finalmente la possibilità di rimescolare le carte, estromettendo la concorrenza. «Pompeo è strettamente associato ai fratelli sin dalla fondazione di una grande azienda per la produzione e la manutenzione delle attrezzature per la produzione di petrolio, la Sentry International, che ha sede nella per loro fondamentale città di Wichita, nel Kansas». L’ex capo della Cia era membro del consiglio di amministrazione del Kansas Policy Institute, centro informativo-analitico dello schieramento dei conservatori, fondato dai fratelli.«Con il sostegno finanziario della famiglia Koch – continua “Fondsk” – nel 2010, Pompeo ha condotto la campagna per la sua elezione alla Camera dei rappresentanti del Congresso, dove ha sufficientemente salvaguardato le loro opinioni e interessi: prima nel comitato dell’energia e del commercio, e poi nel comitato speciale per l’intelligence». Tra i colleghi, ha ricevuto il soprannome “Congressman dei fratelli Koch”. Durante la sua permanenza al Congresso, «Pompeo ha ricevuto legalmente, dalla famiglia Koch, 375.500 dollari». A favore dei suoi sostenitori, il futuro segretario di Stato «ha fatto pressione per le leggi di diminuzione dei provvedimenti normativi nei confronti delle compagnie petrolifere e del gas, nonché per il blocco delle agevolazioni fiscali per lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili. Basti dire che il capo dello staff di Pompeo nel Congresso era l’avvocato corporativo della Koch Industries, Mark Chenoweth. E nel 2012, Pompeo ha persino scritto per “Politico” un articolo dal titolo dal carattere forte, “Stop Harassing the Koch Brothers”» (finitela di tormentare i fratelli Koch).Per questa famiglia, Pompeo è un affermato promotore degli interessi che la coinvolgono: dati i forti legami con le forze di sicurezza, è una figura ideale per il nuovo incarico. «Il successore di Rex Tillerson è adeguato sia per le forze armate che per il complesso militare-industriale», assicura “Fondsk”. Formatosi all’accademia militare di West Point e cresciuto nell’esercito durante la guerra fredda in Est Europa, nel 1991 – crollata l’Urss – Pompeo (nel frattempo laureatosi in legge a Harvard) è passato ai fratelli Koch gestendo la società aerospaziale Thayer Aerospace, legata al complesso militare-industriale del Pentagono. «Gli esperti collocano univocamente Mike Pompeo nel novero dei falchi», sottolinea l’analisi pubblicata da “Come Don Chisciotte”. «La sua posizione si distingue per particolare intransigenza nei confronti dell’Iran, contro il quale ha invocato l’uso della forza militare già nel 2014». Come direttore della Cia, alla fine del 2017 ha messo l’Iran e lo Stato Islamico (Isis) sullo stesso piano. «È facile presumere che Pompeo sosterrà l’uscita promessa da Trump dall’accordo nucleare con l’Iran, al quale Tillerson, in tutta franchezza, si è opposto».Ugualmente rigide sono le opinioni di Pompeo su ciò che sta accadendo in Siria: «Ha ripetutamente affermato che non può immaginare una Siria “stabile”, con Bashar Assad al potere». Ha definito il processo di riconciliazione nazionale e la cessazione delle ostilità «uno stratagemma degli ayatollah e di Vladimir Putin». Si è anche convinto che scambiare con la Russia informazioni di intelligence sulla Siria è «un’idea dannosa», dato che Mosca può usare queste informazioni per colpire i jihastisti siriani fedeli a Washington. Non proprio all’unisono con il capo della Casa Bianca, Pompeo ha dichiarato addirittura che «l’ingerenza della Russia» nella vita politica degli Stati Uniti non era cosa sporadica, che era una “costante minaccia” esistente già «da molti anni». In generale, quello dei falchi di Washington (ex e attuali) è mix pericoloso: pensano ancora di dominare in esclusiva il Medio Oriente, cioè l’area più esplosiva della Terra. «Rimane la speranza che il caratteristico pragmatismo che si configura come professionale e militare li costringa a essere guidati ancora prima di tutto dal buon senso, piuttosto che dalle chimere della geopolitica e dell’ideologia», chiosa “Fondsk”. Sempre che i piani dei fratelli Koch non prevedano proprio la guerra, per incrementare il loro business.La sostituzione del segretario di Stato americano Rex Tillerson con il direttore della Cia, Mike Pompeo, era prevedibile: secondo gli analisti geopolitici russi di “Fondsk”, dietro ai dissidi delle ultime settimane – caso Skripal, nucleare iraniano, Corea del Nord, Gerlusalemme capitale “unilaterale” di Israele – si celano in realtà «profonde contraddizioni tra le realtà imprenditoriali rappresentate da Tillerson e quelle che fanno riferimento a Trump». Come ex direttore esecutivo di Exxon Mobil, Tillerson «ha difeso gli interessi di quella parte di business americano che ha già messo radici in Medio Oriente e che non è interessata ad un peggioramento ulteriore delle relazioni con il mondo islamico». Allo stesso tempo, la scelta di promuovere Pompeo a capo della politica estera Usa «mostra chiaramente chi brama alla nuova spartizione delle sfere di influenza economica nella zona e al rafforzamento dell’infrastruttura militare statunitense in essa». Pompeo, ricorda “Fondsk” in un’analisi tradotta da “Come Don Chisciotte”, ha dato ampiamente prova di essere «una creatura dei fratelli David e Charles Koch, comproprietari della più grande società privata d’America, la Koch Industries (i guadagni per il 2017 ammontavano a 100 miliardi di dollari, il numero di dipendenti superiore a 120 mila persone)».
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Ilaria Bifarini: di rigore si muore. Lo sanno, e così insistono
Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».In pratica, si continua con la stessa ricetta – mortale – che ha ridotto il malato in fin di vita. Secondo uno studio della stessa Oxfam, aggiunge Bifarini, «se le misure di austerità continueranno, entro il 2025 l’Europa potrebbe avere da 15 a 25 milioni di poveri in più». Ma il mainstream politico e giornalistico «preferisce ignorare queste verità che trapelano ogni tanto dai documenti ufficiali delle organizzazioni internazionali e propagandare quelli conformi al pensiero unico economico». Nel silenzio generale dei media è uscita questa notizia: è ormai a rischio povertà anche chi lavora, quasi 1 su 8. «La colpa è proprio di questo sistema, che premia la disuguaglianza», spiega Bigarini. «Il futuro ci prospetta una società sempre più polarizzata, con una ristretta cerchia di privilegiati sempre più ricchi e il resto della popolazione, lavoratrice e non, che continuerà a impoverirsi». D’altronde, aggiunge, il fenomeno dei “working poors” è già diffuso in Germania, dove il problema della disoccupazione non è “mostruoso” come in Italia. Eppure, anche in Germania «la deflazione salariale è una colonna portante del modello neoliberista».Inversioni di rotta? Siamo alla vigilia di un cambiamento? Fa pensare, sostiene “Lospeciale”, che il Movimento 5 Stelle oggi parli di natalità e soldi alle coppie con figli: dirlo solo cinque anni fa avrebbe creato polemiche su un presunto “ritorno al fascismo”, in relazione al primitivo welfare nazionalista mussoliniano. «Sicuramente è iniziata una svolta nel sentimento della popolazione», sostiene Ilaria Bifarini, secondo cui il voto del 4 marzo «ha dimostrato la forte volontà e speranza di cambiamento da parte dei cittadini». Politicamente parlando, per l’economista «andrà avanti chi manterrà le promesse e non deluderà gli elettori». E questo, aggiunge, «perché c’è più consapevolezza, anche grazie all’informazione indipendente», che si è progressivamente sviluppata sul web. «Lavoro e famiglia sono senz’altro prioritari: il problema della denatalità non può essere risolto né aggirato con l’accoglienza indiscriminata, ma va affrontato seriamente». Proponendo reddito minimo e Flat Tax, Di Maio e Salvini dimostrano di sapere che occorre dare (o lasciare) più soldi a famiglie e aziende: il contrario dei tagli, che l’Ue – al servizio dei grandi oligopoli globalizzati – continua a raccomandare, fingendo di non conoscene le conseguenze.Pura idozia? No, peggio: è sadismo. Sanno benissimo che i tagli sono una catastrofe, ma insistono col rigore di bilancio: è il loro unico programma, il loro dogma. Lo ricorda la “bocconiana redenta” Ilaria Bifarini, autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa”. «I danni dell’austerity sono noti allo stesso Fmi», scrive, su Twitter. «Il consolidamento del debito aumenta il livello di disoccupazione di lungo termine e il tasso di disuguaglianza. Eppure continuano a prescrivere la stessa letale ricetta». E’ come somministrare un farmaco letale a un paziente moribondo, dichiara l’economista, intervistata da “Lospeciale”. «Le stesse organizzazioni economiche internazionali fautrici della dottrina neoliberista hanno più volte ammesso la fallimentarietà delle loro teorie», premette. «Gli economisti del Fondo Monetario Internazionale ad esempio, con uno studio del 2016, hanno calcolato gli effetti deleteri delle politiche di austerity in termini di aumento della disoccupazione di lungo periodo e del tasso di disuguaglianza. Eppure, proprio oggi è stato diffuso un working paper dello stesso Fondo Monetario in cui vengono raccomandati ulteriori tagli alla spesa pubblica, in particolare nel settore sanitario, che in Italia ha subito tagli draconiani, raggiungendo livelli considerati allarmanti per la salute pubblica, e nel sistema previdenziale, nonostante la famigerata riforma Fornero».
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Pensioni e maternità, la finanza già ricatta il futuro governo
Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.Solo un cretino può permettersi di non capire il messaggio che viene dai potentati: «No ad un governo euroscettico! No a battere i pugni sul tavolo europeo!». L’attacco alla tutela della maternità – almeno quello! – dovrebbe sollevare lo sdegno dei cattolici italiani, ma è più facile che scompaia la pedofilia nella Chiesa che il kompagno che sbaglia, al secolo Jorge Bergoglio, si ponga in modo fermo e deciso contro la globalizzazione. I cattolici che siedono ai vertici, si sa, vanno pazzi per il Medioevo, e non si faranno scrupolo alcuno a farlo tornare. Dunque, si illude fortemente chi pensa che il cattolicesimo possa offrire una sponda ai naufraghi della globalizzazione, anche se parliamo di milioni di europei. Ci sono infatti miliardi di asiatici e di africani da illudere, là fuori. Tornando all’attacco di BlackRock (capitanato dal Fmi), è superfluo aggiungere che sono tattiche già viste in Russia negli anni Novanta, in Grecia nel 2011 e nel 2015, oppure in Italia, fin dai tempi di Mario Monti. La differenza, non di poco conto, è però che questa volta sappiamo come attaccano. Sappiamo tutti dove vogliono andare a parare, e lo diciamo ancora chiaramente qui, finchè non entra anche nelle zucche più vuote.L’Europa vuole smantellare il welfare state di stampo keynesiano e garantito dalla Costituzione italiana perchè mira a competere con i paesi del terzo mondo in una gara alla produttività completamente priva di senso nel mondo dell’intelligenza artificiale. Si punta ad indebolire ulteriormente i deboli, per renderli ancora più addomesticabili e ricattabili, e sostituibili con altra gleba. L’Europa della Lagarde ricorda la Francia ai tempi di Napoleone, o ancor prima, di Luigi XIV, che si era fissata di incamerare grano da polenta e accumulare oro, mentre nel resto del pianeta i mercanti olandesi e inglesi facevano il bello ed il cattivo tempo con il commercio marittimo. La verità è che l’Europa è vecchia dentro. Malata dei suoi dogmi liberisti – dogmi che persino gli americani stanno rivedendo con sospetto. Nel Vecchio Continente si sta molto meglio che nel resto del mondo solo ed esclusivamente perché ha saputo mettere in piedi un sistema di welfare state. Senza di quello, vivere a Parigi o nel buco del culo di qualche quartiere malfamato di Città del Messico sarà la stessa identica cosa. Ed è a quello a cui puntano, shortando Italia.(Massimo Bordin, “La vendetta dei poteri forti”, dal blog “Micidial” del 26 marzo 2018).Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.
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Dominano l’Ue (e temono l’Italia) i poteri che uccisero Moro
Aldo Moro viene rapito per toglierci sovranità e libertà. Cosa possiamo fare noi ora per riprendercela? Ormai sono passati 40 anni da quel rapimento, e il quadro è chiaro: è molto più facile giudicare le cose del mondo dopo che il tempo ne ha mostrato il senso. Com’era l’Italia fino a quell’anno? In grande fermento, in grande crescita da tutti i punti di vista. Lati positivi e lati negativi, come il clientelismo, la presenza diffusa della malavita nelle regioni meridionali, un certo malaffare. Una classe imprenditoriale di successo, e una politica effervescente, anche se ammalata di clientelismo e di corruzione. Un insieme di partiti e partitini, logge e loggette e ordini religiosi guidava un paese in modo caotico, ma tale da mantenerlo sostanzialmente libero e sovrano. Proprio il fatto che dalla Seconda Guerra Mondiale era emerso un quadro frazionato, e non un potere unico, o una sola influenza straniera, consentiva sufficienti margini di libertà e di sovranità al paese. Influenze americane e inglesi bilanciate da genuine spinte libertarie, da più di una corrente vaticana e dalla forte presenza comunista. In un gioco faticoso ma sostanzialmente positivo per la nostra indipendenza. L’industria, l’economia, la finanza, la cultura e la scienza italiane avevano trovato possibilità di crescita in un lungo periodo di sostanziale indipendenza. C’erano difetti, anche gravi, ma diciamo che il bilancio era positivo.Alcune personalità si erano occupate, pur nella incredibile complicazione del sistema, di mantenere la barra dritta e di non inginocchiarsi ai poteri esterni transnazionali. Alla fine degli anni Settanta, Aldo Moro rappresentava il fulcro di questi delicati equilibri, e ne costituiva una delle principali garanzie. Ma il sistema nazionale indipendente era di ostacolo alle mire di quei poteri che volevano fermare per tempo l’onda di risveglio delle coscienze, e intendevano distruggere i contesti locali e nazionali, per verticalizzare e centralizzare il potere. Prima a livello europeo e poi mondiale. Moro – ma anche altri politici e imprenditori dell’epoca – avevano come faro, come priorità, la sovranità e la libertà del nostro paese, proprio come lezione appresa durante la guerra mondiale. Moro già si opponeva ad un certo modo di avviare l’integrazione europea a sfavore della nostra sovranità, ed era contrario alle pressioni in quel senso. Non fu rapito perché voleva i comunisti al governo, ma perché era il detentore delle chiavi della nostra sovranità, di un certo modo di intendere la politica come senso del dovere. Di un forte limite interno alla corruzione morale della politica e dell’economia. Per questo venne rapito con la messinscena delle Brigate Rosse, da ben altre forze. Forze anti-coscienza e forze lanciate alla distruzione del sistema degli Stati nazionali, per avere a disposizione dei mega-Stati meglio controllabili.Dal giorno del rapimento e poi della morte di Moro abbiamo progressivamente perso sovranità e libertà. Prima è stata favorita una enorme corruzione della politica, per poi denunciarla per portare via insieme alla corruzione anche quella politica che assicura libertà e sovranità. E i lupi che hanno rapito Moro sono ora quelli che a forza, brandendo crisi finanziarie e politiche, ci stanno comunque spingendo nell’ovile di un super-Stato europeo orwelliano. E se alla gente non piace questa deriva, si creano proprio per chi si sta risvegliando nuove formazioni-gabbia politiche che prima si presentano come “liberatori” per poi mostrare rapidamente il loro vero volto di strumento gattopardesco dei soliti, vecchi poteri. Cosa è rimasto dopo 40 anni di una classe politica e di una economia indipendenti e sovrane? Molto poco… Ma sovrana è rimasta la nostra coscienza, che proprio guardando a queste vicende può rafforzarsi e non ripetere gli errori. E può lavorare per una società più giusta e amorosa, partendo dai contesti e dalle azioni intorno a noi.Il potere si rigonfia e si arrocca? Oppure si maschera da movimenti apparentemente nuovi per spingerci comunque a perdere libertà? E allora noi conquistiamo alla nostra coscienza gli spazi del nostro agire quotidiano. Da questo la vera rivoluzione del futuro. Ed ecco una frase illuminante di Moro: «Questo paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non nascerà un nuovo senso del dovere». Ecco, la classe che lo ha sostituito e che ora ha preso il controllo dello Stato e dell’economia sente come dovere solo quello dell’obbedienza a certi poteri. Lo stesso vale anche per chi si appresta ora a sostituirla, che conferma le solite obbedienze a Nato, finanza, poteri mondialisti, multinazionali. Ma il senso del dovere (connesso con la coscienza) esiste, in Italia, ed è in pieno fermento. In tante persone. Speriamo che esca fuori dalla riserva indiana, dai contenitori politici-gabbia in cui lo stanno mettendo per renderlo inefficace. Aiutiamo un sano ed amoroso senso del dovere a evadere da queste gabbie per diventare influente nella società. E’ una operazione difficile, faticosa, spesso controcorrente, ma si può fare!(Fausto Carotenuto, “Aldo Moro viene rapito per toglierci sovranità e libertà”, dal blog “Coscienze in Rete” del 16 marzo 2018).Aldo Moro viene rapito per toglierci sovranità e libertà. Cosa possiamo fare noi ora per riprendercela? Ormai sono passati 40 anni da quel rapimento, e il quadro è chiaro: è molto più facile giudicare le cose del mondo dopo che il tempo ne ha mostrato il senso. Com’era l’Italia fino a quell’anno? In grande fermento, in grande crescita da tutti i punti di vista. Lati positivi e lati negativi, come il clientelismo, la presenza diffusa della malavita nelle regioni meridionali, un certo malaffare. Una classe imprenditoriale di successo, e una politica effervescente, anche se ammalata di clientelismo e di corruzione. Un insieme di partiti e partitini, logge e loggette e ordini religiosi guidava un paese in modo caotico, ma tale da mantenerlo sostanzialmente libero e sovrano. Proprio il fatto che dalla Seconda Guerra Mondiale era emerso un quadro frazionato, e non un potere unico, o una sola influenza straniera, consentiva sufficienti margini di libertà e di sovranità al paese. Influenze americane e inglesi bilanciate da genuine spinte libertarie, da più di una corrente vaticana e dalla forte presenza comunista. In un gioco faticoso ma sostanzialmente positivo per la nostra indipendenza. L’industria, l’economia, la finanza, la cultura e la scienza italiane avevano trovato possibilità di crescita in un lungo periodo di sostanziale indipendenza. C’erano difetti, anche gravi, ma diciamo che il bilancio era positivo.
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Magaldi: cari Di Maio e Salvini, tocca a voi sfidare Bruxelles
Mettete Keynes nei vostri cannoni (politici), e avrete «posti di lavoro, pace sociale e una vastissima platea di consumatori». Si chiama “piena occupazione”: vale più del reddito di cittadinanza o della Flat Tax. Primo passo: inserire il diritto al lavoro nella Costituzione. Obiettivo: non lasciare più a casa nessuno. Un appunto, che Gioele Magaldi segnala ai vincitori del 4 marzo. A proposito: ma perché Salvini e Di Maio non ci dovrebbero provare, a formare un governo? «Se la giochino fino in fondo, la partita: hanno vinto loro. Lo stesso Berlusconi è del tutto propenso a far parte del gioco: non ha mai detto di volersene stare sull’Aventino, come invece il suo amico (e falso nemico) Renzi». Semmai è il Movimento 5 Stelle che ha un po’ paura di lasciarsi contaminare da quello che Beppe Grillo chiamava “lo psiconano”, ma lo stesso Grillo ora ha iniziato a elogiare Salvini. «E’ un incontro politico legittimo e auspicabile, quello tra Lega e 5 Stelle, insieme a chiunque altro ci stia – purché serva a prendere decisioni concrete e urgenti». Per Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”, siamo davanti a un bivio: «Più che i nomi del premier e dei ministri, bisognerà osservare molto bene il programma operativo, gli atti concreti del futuro governo. Bisogna dimostrare subito, al popolo sovrano, che si ha intenzione di cambiare qualcosa».Di Maio e Salvini potrebbero imboccare «una strada coraggiosa, coerente con quello che gli elettori hanno loro chiesto». Ovvero: «Tener ferme certe posizioni rispetto ai gestori di questa Unione Europea e di questa Eurozona». Attenzione: sarebbe davvero un’impresa «titanica, eroica», contro la quale infatti «si stanno già muovendo molte forze per sterilizzare qualunque istanza innovativa». Se Lega e 5 Stelle terranno duro, dice Magaldi, il Movimento Roosevelt (da lui presieduto, con accanto un economista come Nino Galloni) è pronto a fornire supporto, in termini di risorse, idee e know-how. Il punto centrale, ovviamente, è proprio «la volontà politica di inaugurare un nuovo corso». Si può sperare che accada davvero qualcosa di buono? Magaldi “promuove” a pieni voti l’economista Alberto Bagnai, candidato dalla Lega: «Credo sia una delle persone migliori elette in questo Parlamento. E’ vero, aveva profetizzato il crollo dell’Eurozona (che non è crollata), forse mancandogli una completa visione delle forze politiche e metapolitiche, palesi e occulte, che fanno in modo che l’Eurozona perduri, al di là del fallimento economico ben evidenziato da Bagnai». In ogni caso, il professore «è un eccellente post-keynesiano: ha una visione lucida, sa bene in cosa va criticata l’Eurozona e sa demistificare i dogmatismi che hanno puntellato il paradigma neoliberista nella versione europeista, quindi sarebbe senz’altro un eccellente ministro».Magaldi propone un approccio laico e pragmatico, per non sprecare l’esito delle urne e le grandi aspettative espresse dagli elettori. Uno sguardo disincantato, a cominciare dalle nuove presidenze di Camera e Senato. «Un affronto a Berlusconi, la nuova presidenza del Senato? Errore: la Casellati era stata individuata da tempo, ben prima che scoppiasse la pantomima dello scontro con Salvini», rivela Magaldi. «Come al solito, nel “back office” si decidono cose che poi vengono rappresentate in termini teatrali, a beneficio dell’opinione pubblica. L’elezione della Casellati non crea la minima difficoltà a Berlusconi, che ha invece iniziato a mettere “a riposo” alcuni personaggi ormai inadeguati». Elisabetta Casellati è una berlusconiana di ferro, «probabimente anche più gestibile di Paolo Romani». Tutt’altro che sconfitto, il Cavaliere: «Da tempo Forza Italia vuole ringiovanire i testimonial e puntare sulle donne». Le dichiarazioni a caldo contro Salvini? «Solo teatro». La neoeletta, in realtà, era la vera candidata fin dall’inizio. «Credo che gestirà il Senato senza infamia né lode. Del resto il suo predecessore è stato Grasso: non è che queste cariche trasformino i ronzini in purosangue. Semmai – insiste Magaldi – in questo asse tra 5 Stelle e Lega che ha portato all’elezione di Casellati e Fico c’è una chance: declinare un paradigma diverso, nel rapporto con l’Europa e l’economia, riguardo al benessere di milioni di italiani. Vedremo».Certo, «Berlusconi gioca su più tavoli, come al solito». E nel teatrino inscenato dopo la bocciatura di Romani, ampiamente prevista, è riuscito a dire tutto e il contrario di tutto, nel giro di 24 ore. Il Cavaliere «non vuole il “partito unico” del centrodestra, che ormai sarebbe egemonizzato dalla Lega, e adesso giura di fidarsi di Salvini, a cui lascia semmai l’onere del tradimento dell’alleanza». Ma non è neppure quello, il problema: il vero scoglio, per Magaldi, è la disponibilità del Movimento 5 Stelle a convivere con un Berlusconi ancora abbastanza “visibile”, nell’eventuale intesa governativa con il centrodestra. Quanto ai grandi vecchi, l’ultimo passaggio parlamentare ha regalato l’ennesimo minuto di gloria mediatica all’ineffabile Napolitano. «Ha avuto la responsabilità degli ultimi (pessimi) governi italiani, e l’ha scaricata sugli altri – come se lui fosse stato nell’Empireo – ergendosi come al solito ad accusatore che punta il dito, con atteggiamento ierocratico. Ineffabilità e, come al solito, indisponibilità all’autocritica, pur con l’amarezza di aver sbagliato anche lui le previsioni sull’esito delle sue manovre degli anni scorsi».Napolitano? «Un avversario, di cui non condivido nulla», dice Magaldi. «Gli riconosco una grande capacità di durata: è un uomo che ha vissuto sempre per il potere, che ha cambiato mille volte ideologia apparendo sempre granitico nel sostenere le idee che, di volta in volta, cambiava». Gli si può augurare lunga vita, «se non altro per meditare sui suoi tanti errori, sulla sua incorenza e sulle conseguenze così negative, per l’Italia, che il suo operato ha prodotto». Desta comunque ammirazione, aggiunge Magaldi, la sua capacità di stare in scena: «E’ un altro grande teatrante, al pari di Berlusconi. Dietro il teatro, però, c’è una sostanza spregiudicata e indifferente al copione – purché, appunto, ci sia la scena». L’ultima partita persa da Napolitano probabimente si chiama Matteo Renzi: è il vero, grande perdente del 4 marzo. «Si è sconfitto da solo, in modo stolto, con una vocazione al “cupio dissolvi” sin dai tempi del referendum costituzionale: la sua strampalata coerenza non aveva contenuti tali da passare alla storia. E anche dopo – aggiunge Magaldi – ha continuato a insistere su una narrazione astratta, non realistica, del tipo “va tutto bene, madama la marchesa”. E’ stato vittima di se stesso: convinto di aver ben governato, pensava che il popolo italiano avrebbe dovuto riconoscerlo».Certo, i 5 Stelle e la Lega hanno saputo senz’altro convincere un elettorato mobile, che prima aveva creduto nella narrativa renziana. Uno tsunami da cui lo stesso Berlusconi esce fortemente ridimensionato, come “capostipite” dell’infelice Seconda Repubblica, il cui ultimo epigono è stato proprio Renzi. «Con la differenza che Berlusconi ha sette vite (come i gatti) e quindi potrà ancora recitare un ruolo, mentre Renzi subirà un’inevitabile resa dei conti nel Pd». E anche adesso, invece di fare autocritica ammettendo i propri errori, «si propone dinnanzi a tutti come una sorta di bambino malmostoso che si porta via il pallone perché gli hanno segnato troppi goal». Oggi il Pd è fuori gioco «per colpa di Renzi, accecato dalla sventura che lui stesso ha prodotto per insipienza e arroganza». Per dire: poteva giocare di sponda, fin dall’inizio, coi 5 Stelle. E invece manca un leader, nel Pd sequestrato da Renzi, che si è circondato di mezze calzette: «Renzi ha eliminato dei catafalchi, ed è stato il suo unico merito: i “rottamati” erano anche peggio di lui, pur avendo almeno una fisionomia politica». Non resta che il deserto, per ora: «Nessuno in vista, a quanto pare, che sia capace di ergersi sugli altri e tentare una rotta diversa».Un naufragio, quello del centrosinistra, che coinvolge anche i sindacati: «Anacronistica la battaglia sull’articolo 18, che tutela solo chi già lavora». La sfida, oggi, sta nel creare lavoro per chi non ce l’ha: e lo si può fare, insiste Magaldi, costituzionalizzando il diritto al lavoro. «In un mondo che non ha mai prodotto tanta ricchezza come oggi, e che però la gestisce malissimo (mai come oggi è grande il divario tra i pochi ricchi e i moltissimi cittadini in difficoltà economiche) si può tranquillamente rendere costituzionale il diritto al lavoro». Il reddito di cittadinanza? «Una misura che in Italia che si può adottare». Ma il cittadino italiano, aggiunge Magaldi, «deve nascere con il diritto a poter lavorare in base alle proprie capacità». Come? «Bisogna istituire un’alta autorità per la piena occupazione, che in base alla formazione e al talento dirotti i futuri lavoratori in ambito pubblico o privato: nessuno può essere lasciato senza un lavoro». Magaldi ci crede: «Sarebbe una misura rivoluzionaria e al tempo stesso social-liberale, coerente con l’economia di mercato, capace di assicurare prosperità al sistema nel suo complesso». Ottimismo: «Prima o poi vinceremo», scommette Magaldi, che pensa al nuovo partito democratico-progressista, il Pdp, da mettere in campo per fare forza al “cambio di paradigma” a cui già il prossimo governo potrebbe inziare a dare corso, se Di Maio e Salvini avranno il coraggio di non piegarsi agli oligarchi dell’Unione Europea.Mettete Keynes nei vostri cannoni (politici), e avrete «posti di lavoro, pace sociale e una vastissima platea di consumatori». Si chiama “piena occupazione”: vale più del reddito di cittadinanza o della Flat Tax. Primo passo: inserire il diritto al lavoro nella Costituzione. Obiettivo: non lasciare più a casa nessuno. Un appunto, che Gioele Magaldi segnala ai vincitori del 4 marzo. A proposito: ma perché Salvini e Di Maio non ci dovrebbero provare, a formare un governo? «Se la giochino fino in fondo, la partita: hanno vinto loro. Lo stesso Berlusconi è del tutto propenso a far parte del gioco: non ha mai detto di volersene stare sull’Aventino, come invece il suo amico (e falso nemico) Renzi». Semmai è il Movimento 5 Stelle che ha un po’ paura di lasciarsi contaminare da quello che Beppe Grillo chiamava “lo psiconano”, ma lo stesso Grillo ora ha iniziato a elogiare Salvini. «E’ un incontro politico legittimo e auspicabile, quello tra Lega e 5 Stelle, insieme a chiunque altro ci stia – purché serva a prendere decisioni concrete e urgenti». Per Magaldi, ai microfoni di “Colors Radio”, siamo davanti a un bivio: «Più che i nomi del premier e dei ministri, bisognerà osservare molto bene il programma operativo, gli atti concreti del futuro governo. Bisogna dimostrare subito, al popolo sovrano, che si ha intenzione di cambiare qualcosa».