Archivio del Tag ‘dossier’
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Snowden a Saviano: il web ha hackerato la democrazia
«L’Europa ha perso un’occasione unica rifiutando l’asilo politico a Snowden: avrebbe potuto dimostrare il diverso approccio nel dare sicurezza ai cittadini». Lo afferma Roberto Saviano, nel presentare su “Repubblica” il suo colloquio via Skype con Edward Snowden, l’ex analista della Nsa rifugiatosi in Russia nel 2013 dopo aver rivelato il sistema di spionaggio di massa praticato dalla National Security Agency. «La cosa che rimpiango è non essermi fatto avanti prima», dice oggi Snowden, che ha 36 anni: «Rimpiango ogni anno che ho impiegato a decidere in cosa credessi, per rendermi conto di ciò che succedeva e decidere di fare qualcosa». Nel libro “Errore di sistema”, tradotto in Italia da Longanesi, l’ex operatore dell’intelligence Usa (cui è dedicato il film “Snowden” di Oliver Stone, uscito nel 2016) ripercorre la sua avventura: ha dato alla stampa le prove dei programmi XKeyscore, in grado di leggere qualsiasi email. Poi ha svelato l’esistenza di Prism, un programma di sorveglianza utilizzato per monitorare chat e videochat, comprese quelle su Skype. E infine ha tolto il velo su Tempora, programma che il governo britannico utilizzava per spiare le cancellerie europee. Se Paypal, Facebook, Apple e Microsoft nascono negli Usa – scrive Saviano – è anche perché l’Europa non ha considerato una sfida alla sua altezza il fatto di avere delle proprie piattaforme. Ma come poteva, l’Europa di cui parla Saviano, sfidare addirittura gli Usa?
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Università dell’Alaska: 11 Settembre, l’Edificio 7 fu demolito
Un gruppo di ricerca del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università dell’Alaska, guidato dal dottor Leroy Hulsey e dal collega Zhili Quan, insieme al professor Feng Xiao dell’università di Nanchino (dipartimento di ingegneria civile) ha dato la fatale notizia in modo ufficiale: non sono state le fiamme sprigionatesi dalle Twin Towers, l’11 Settembre, a causare il collasso dell’Edificio 7, la terza torre di Manhattan crollata su se stessa in pochi secondi. «La versione ufficiale è ora ridotta a un cumulo di macerie», prende nota Paul Craig Robers, popolare analista statunitense, già vice-ministro di Reagan, commentando quella che a tutti gli effetti è «la prima indagine scientifica» sulla stranissima fine del Building 7, schiantatosi al suolo senza neppure esser stato colpito da aerei, l’11 settembre 2001. «La principale conclusione del nostro studio – scrivono, all’università dell’Alaska – è che il fuoco non ha causato il crollo del Wtc 7». E questo, «contrariamente alle conclusioni del Nist», la commissione d’indagine governativa, «e delle società di ingegneria private che hanno studiato il crollo». E’ stato «un collasso globale, che ha comportato il cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio». In gergo tecnico si chiama: demolizione controllata.Sul suo sito, Craig Roberts fa notare che «ci sono voluti 18 anni per ottenere una vera indagine sulla distruzione di un edificio di cui erano stati accusati dei terroristi musulmani». Inoltre, «l’unico modo in cui si può verificare il “cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio” è attraverso una demolizione controllata». E questo straordinario risultato, certificato dai tecnici universitari, non è stato riportato dai grandi media. «In altre parole – aggiunge Roberts – lo studio è già stato destinato al Buco della Memoria: questo è il modo in cui opera “The Matrix”». Accusa l’ex sottosegreario al Tesoro: «L’unico scopo dei notiziari stampati e televisivi è quello di programmarvi in modo che seguiate pedissequamente l’agenda di chi vi governa: quelli che seguono i notiziari della Tv, ascoltano la National Public Radio o leggono i giornali vengono programmati per essere automi senza cervello». Richiamandosi al clamoroso rapporto fornito poche settimane fa dai vigili del fuoco di New York – che confermano la tesi della “demolizione controllata” delle Torri Gemelle e chiedono alle autorità giudiziarie di riaprire il caso – Craig Roberts invoca giustizia: stabilita finalmente la verità sul disastro, è ora che i responsabili vengano trascinati in tribunale.L’immane tragedia ha causato circa 15.000 vittime: quasi 3.000 nei crolli, più almeno 12.000 persone morte nei mesi e anni seguenti, per i tumori provocati dalla nube di amianto su Manhattan (numeri accertati dalle autorità, che hanno riconosciuto gli ingenti indennizzi). Molti sospetti caddero da subito sul proprietario del World Trade Center, Larry Silverstein, che aveva appena assicurato le Torri Gemelle e l’Edificio 7 contro un “incidente” come quello poi verificatosi. Mentre però le Twin Towers furono colpite da aerei di linea (o almeno, in apparenza da dei Boeing), l’Edificio 7 collassò senza essere colpito né da velivoli, né dal fuoco. Per Massimo Mazzucco, autore dei documentari “Inganno globale” (trasmesso da Canale 5 nel 2006) e “La nuova Pearl Harbor”, è probabile che gli aerei che colpirono le torri fossero dei droni militari: la stessa Boeing ha escluso che i suoi velivoli possano compiere manovre così precise, a bassa quota, viaggiando a quella velocità: a 800 chilometri orari, le ali dei Boeing si staccherebbero. Ma se non c’erano viaggiatori, su quegli aerei-bomba, dov’erano finiti i passeggeri imbarcati?Mazzucco ricorda che l’Operazione Northwoods del 1962 (memorandum “Justification for Us Military Intervention in Cuba”) prevedeva che i passeggeri di un volo di linea – da far esplodere nei cieli cubani per poi incolpare Fidel Castro – fossero fatti segretamente sbarcare in una base militare, prima che l’aereo (telecomandato) proseguisse per la sua missione suicida. Come accettare l’idea mostruosa di eliminare centinaia di ignari passeggeri? In un solo modo possibile, osserva Mazzucco: «Certa gente non ragiona come noi: di fronte opzioni come quella, le persone diventano semplici dettagli». Ragionando in grande: senza il bagno di sangue delle Twin Towers, il Deep State che dominava il governo Usa non sarebbe mai riuscito a far accettare, all’opinione pubblica americana, la “guerra al terrorismo” che comportò le disastrose invasioni militari dell’Afghanistan e dell’Iraq. Nel libro “Massoni” (Chiarelettere, 2014), Gioele Magaldi scrive che fu la superloggia “Hathor Pentalpha”, del clan Bush, a concepire l’attacco alle Torri, dopo aver affiliato Osama Bin Laden. Lo stesso Abu-Bakr Al Baghdadi, “califfo” del sedicente Isis, sarebbe stato poi affiliato alla “Hathor”.«Entro un paio d’anni emergerà la verità sull’11 Settembre», annunciò tempo fa Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”. A quanto pare, importanti rivelazioni stanno ora affiorando. Il russo Dimitri Khalezov, veterano dell’intelligence nucleare sovietica, ricorda che la costruzione del World Trade Center fu autorizzata dal Comune di New York solo dopo che i costruttori ebbero fornito le istruzioni per la demolizione degli edifici, come prevedeva la prassi a Manhattan: tutti i grattacieli dovevano poter essere demoliti, all’occorrenza. Solo che per demolire le Torri Gemelle – considerate indistruttibili – i progettisti calcolarono che sarebbe stata indispensabile la bomba atomica. E infatti, osserva Khalezov, dai documenti dell’ufficio edilizia della città emerge che, nelle fondamenta, furono appositamente ricavati dei bunker nei quali ospitare, nel caso, delle “mini-nukes” destinate a “fondere” le torri, dal basso. Questo spiegherebbe anche le folli temperature sprigionatesi nel rogo, che trasformò il sottosuolo in una specie di vulcano arroventato, per mesi. Per contro, i vigili del fuoco raccontarono di aver udito precise esplosioni, molto di sotto del punto di impatto degli aerei: esplosioni peraltro confermate dallo strano scoppio (verso l’esterno) delle vetrate, non spiegabile dall’urto degli aerei decine di metri più in alto.In attesa di accertare la verità integrale, i pompieri di New York certificano l’inattendibilità della versione ufficiale. Il distretto di Franklin Square e Munson, dei vigili del fuoco, riconosce «la natura significativa e convincente della petizione posta all’attenzione del procuratore degli Stati Uniti per il distretto meridionale di New York riferentesi a crimini federali non perseguiti commessi presso il World Trade Center l’11 settembre 2001», e invita il procuratore «a presentare tale petizione ad uno speciale Gran Giurì ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti». Il dossier dei vigili del fuoco aggiunge che «le prove schiaccianti presentate in detta petizione dimostrano oltre ogni dubbio che esplosivi e/o materiali incendiari pre-impiantati – non solo gli aerei e gli incendi conseguenti – avevano causato la distruzione dei tre edifici del World Trade Center, uccidendo la stragrande maggioranza delle vittime». Conclude Paul Craig Robers: «Le vittime dell’11 Settembre, le loro famiglie, la popolazione di New York City e la nostra nazione meritano che ogni crimine relativo agli attacchi dell’11 settembre 2001 sia indagato con il massimo rigore e che ogni persona responsabile sia portata di fronte alla giustizia».Cosa fu, davvero, ad abbattere le Twin Towers e l’Edificio 7 «non lo sappiamo, né spetta a noi l’onere di stabilirlo», sintetizza Mazzucco: «L’unica cosa ormai certa è che a far crollare le torri non furono quegli strani Boeing, capaci di manovre estreme (da jet militari) e a velocità folle, a bassissima quota, senza che si smembrassero in volo prima dell’impatto». Droni senza pilota? Per Mazzucco, è l’unica spiegazione logica: velivoli telecomandati, “truccati” da Boeing e super-rinforzati, probabilmente col muso imbottito di esplosivo. A csa erano dovute le esplosioni che i pompieri dicono di aver udito distintamente nella parte bassa delle torri? Cariche di nano-termite? Mini-atomiche? Tutte queste cose insieme? Magaldi ricorda che le Twin Towers rappresentavano Jachin e Boaz, le colonne del tempio massonico: chi le ha distrutte ha voluto dichiarare guerra, simbolicamente, all’ideologia massonico-progressista di Roosevelt, che trasformò gli Usa nella superpotenza leader dell’Occidente prospero, del benessere diffuso. La “prova del nove” è imbarazzante: lo scenario al quale oggi siamo abituati (conflitti ovunque, dalla Libia alla Siria, con escalation sanguinose) prima dell’11 Settembre non sarebbe stato neppure lontanamente pensabile.Un gruppo di ricerca del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’università dell’Alaska, guidato dal dottor Leroy Hulsey e dal collega Zhili Quan, insieme al professor Feng Xiao dell’università di Nanchino (dipartimento di ingegneria civile) ha dato la fatale notizia in modo ufficiale: non sono state le fiamme sprigionatesi dalle Twin Towers, l’11 Settembre, a causare il collasso dell’Edificio 7, la terza torre di Manhattan crollata su se stessa in pochi secondi. «La versione ufficiale è ora ridotta a un cumulo di macerie», prende nota Paul Craig Robers, popolare analista statunitense, già vice-ministro di Reagan, commentando quella che a tutti gli effetti è «la prima indagine scientifica» sulla stranissima fine del Building 7, schiantatosi al suolo senza neppure esser stato colpito da aerei, l’11 settembre 2001. «La principale conclusione del nostro studio – scrivono, all’università dell’Alaska – è che il fuoco non ha causato il crollo del Wtc 7». E questo, «contrariamente alle conclusioni del Nist», la commissione d’indagine governativa, «e delle società di ingegneria private che hanno studiato il crollo». E’ stato «un collasso globale, che ha comportato il cedimento quasi simultaneo di tutti i pilastri dell’edificio». In gergo tecnico si chiama: demolizione controllata.
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Scandalosi Clinton: 50 testimoni morti, Epstein è l’ultimo
Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.1. James McDougal – Il socio dei Clinton condannato per il caso Whitewater era morto per un apparente attacco cardiaco mentre si trovava in isolamento. Era un testimone chiave nelle indagini di Ken Starr. 2. Mary Mahoney – Una ex stagista della Casa Bianca, era stata assassinata nel luglio 1997 in una caffetteria Starbucks a Georgetown. L’omicidio era avvenuto subito prima che rendesse di pubblico dominio il fatto di avere subito molestie sessuali alla Casa Bianca. 3. Vince Foster – Ex consigliere della Casa Bianca e collega di Hillary Clinton presso lo studio legale Rose di Little Rock. Era morto per una ferita da arma da fuoco alla testa, risolta come suicidio. 4. Ron Brown – Segretario al Commercio ed ex presidente del Dnc [Comitato Nazionale Democratico]. La causa ufficiale della morte era stata impatto da incidente aereo. Un patologo che aveva partecipato alle indagini aveva riferito che c’era un buco nella parte superiore del cranio di Brown molto simile ad un ferita da arma da fuoco. Al momento della sua morte, Brown era sotto indagine e non aveva fatto segreto della sua volontà di concludere un accordo con gli inquirenti. Erano morti anche tutti gli altri passeggeri dell’aereo. Pochi giorni dopo, il controllore del traffico aereo si era suicidato.5. C. Victor Raiser, II – Raiser, uno dei principali responsabili dell’organizzazione per la raccolta fondi dei Clinton, era morto nella caduta di un aereo privato, nel luglio 1992. 6. Paul Tulley – Direttore politico del Comitato Nazionale Democratico era stato trovato morto in una stanza d’albergo a Little Rock, nel settembre 1992. Descritto dai Clinton come “caro amico e consigliere fidato”. 7. Ed Willey – Responsabile della raccolta fondi per i Clinton, era stato trovato morto nel novembre 1993 in un bosco della Virginia, con una ferita da arma da fuoco alla testa. Risolto come suicidio. Ed Willey era morto lo stesso giorno in cui sua moglie, Kathleen Willey, aveva affermato che Bill Clinton l’aveva palpeggiata nello Studio Ovale della Casa Bianca. Ed Willey era stato coinvolto in numerosi eventi di raccolta fondi per i Clinton. 8. Jerry Parks – Capo della squadra di sicurezza governativa di Clinton a Little Rock. Ucciso con un’arma da fuoco mentre era in macchina in un incrocio deserto fuori Little Rock. Il figlio di Parks aveva riferito che il padre stava allestendo un dossier su Clinton. Aveva presumibilmente minacciato di rendere pubbliche queste informazioni. Dopo la sua morte, i documenti erano misteriosamente spariti dalla sua abitazione.9. James Bunch – Deceduto per suicidio da arma da fuoco. Sembra possedesse un “libro nero” contenente i nomi di persone influenti che frequentavano prostitute in Texas ed Arkansas. 10. James Wilson – Era stato trovato morto nel maggio 1993, apparentemente si era suicidato impiccandosi. Sembra avesse legami con il caso Whitewater. 11. Kathy Ferguson – Ex moglie del poliziotto dell’Arkansas Danny Ferguson, era stata trovata morta nel maggio 1994 nel salotto di casa sua, uccisa con un colpo di pistola alla testa. Era stato considerato un suicidio, anche se c’erano diverse valigie piene, come se la donna fosse stata in procinto di recarsi altrove. Danny Ferguson era un co-imputato, insieme a Bill Clinton, nella causa intentata da Paula Jones. Kathy Ferguson era una possibile testimone a favore di Paula Jones. 12. Bill Shelton – Agente della polizia di Stato dell’Arkansas e fidanzato di Kathy Ferguson. Scettico sul suicidio della sua fidanzata, era stato trovato morto nel giugno 1994 per una ferita da arma da fuoco e si era stabilito che si era suicidato sulla tomba della sua fidanzata. 13. Gandy Baugh – Avvocato dell’amico di Clinton, Dan Lassater, era morto nel gennaio 1994 lanciandosi da una finestra di un alto edificio. Il suo cliente era un distributore di droga già condannato.14. Florence Martin – Ragioniera e subappaltatrice per la Cia, era legata al caso Barry Seal, Mena, Arkansas, un caso di traffico di droga all’aeroporto. Era morta per tre ferite da arma da fuoco. 15. Suzanne Coleman – Secondo quanto riferito, aveva avuto una relazione con Clinton quando quest’ultimo era procuratore generale dell’Arkansas. Era morta per una ferita da arma da fuoco alla nuca, risolta come suicidio. Al momento della morte era incinta. 16. Paula Grober – Traduttrice simultanea di Clinton per i non udenti, dal 1978 fino alla sua morte, il 9 dicembre 1992. Era morta in un incidente automobilistico. 17. Danny Casolaro – giornalista investigativo, indagava sull’aeroporto di Mena e sull’organo per il finanziamento dello sviluppo dell’Arkansas. Si era tagliato i polsi, apparentemente nel bel mezzo della sua indagine. 18. Paul Wilcher – L’avvocato che indagava sulla corruzione all’aeroporto di Mena con Casolaro e sula “sorpresa di ottobre” del 1980, era stato trovato morto in bagno, il 22 giugno 1993, nel suo appartamento di Washington Dc. Aveva consegnato un rapporto a Janet Reno tre settimane prima della sua morte.19. Jon Parnell Walker – Investigatore del caso Whitewater per la Resolution Trust Corporation. Era morto gettandosi dal balcone del suo appartamento di Arlington, in Virginia, il 15 agosto 1993. Stava indagando sullo scandalo Morgan Guaranty. 20. Barbara Wise – Collaboratrice del Dipartimento del Commercio. Aveva lavorato a stretto contatto con Ron Brown e John Huang. Causa del decesso: sconosciuta. Era morta il 29 novembre 1996. Il suo corpo nudo e pieno di lividi era stato trovato chiuso a chiave nel suo ufficio, presso il Dipartimento del Commercio. 21. Charles Meissner – Sottosegretario al Commercio, che aveva concesso a John Huang il nulla osta di sicurezza, era morto poco dopo in un incidente aereo. 22. Dr. Stanley Heard – Presidente del Comitato Consultivo Nazionale per la Terapia Chiropratica era morto con il suo avvocato, Steve Dickson, in un incidente aereo. Il dottor Heard, oltre a prestare servizio nel consiglio consultivo dei Clinton, aveva curato personalmente la madre, il patrigno e il fratello di Clinton. 23. Barry Seal – Un pilota della Twa che contrabbandava droga dall’aereoporto di Mena, Arkansas, la sua morte non è stata casuale [assassinato il 19 febbraio 1986].24. Johnny Lawhorn, Jr. – Meccanico, aveva trovato un assegno intestato a Bill Clinton nel bagagliaio di un’auto lasciata nella sua officina. Era stato trovato morto dopo che la sua macchina aveva colpito un palo della luce. 25. Stanley Huggins – Indagava sulla Madison Guaranty Savings and Loan Association. La sua morte era stata dichiarata un presunto suicidio e il suo rapporto non era mai stato pubblicato. 26. Hershell Friday – Avvocatessa e responsabile della raccolta fondi per Clinton, era morta il 1° marzo 1994, quando il suo aereo era esploso. 27. Kevin Ives e Don Henry – Noto come il caso dei “ragazzi che avevano trovato una pista”. I rapporti dicono che due i ragazzi potrebbero essersi imbattuti nel traffico di droga dell’aeroporto di Mena, Arkansas. Un caso controverso, secondo il rapporto iniziale della morte, i due ragazzi si sarebbero addormentati sui binari della ferrovia. Rapporti successivi avevano stabilito che i due giovani erano stati uccisi prima di essere messi sulle rotaie. Molte persone legate al caso erano morte prima che la loro testimonianze potessero arrivare davanti al Gran Giurì.Queste persone avevano informazioni sul caso Ives/Henry: 28 – Keith Coney: era morto quando, con la sua moto, aveva tamponato un camion, luglio 1988. 29 – Keith McMaskle: deceduto, pugnalato 113 volte, novembre 1988. 30 – Gregory Collins: morto per una ferita da arma da fuoco nel gennaio 1989. 31 – Jeff Rhodes: ucciso con un’arma da fuoco, mutilato e trovato bruciato in una discarica nell’aprile 1989. 32 – James Milan: trovato decapitato. Tuttavia, il medico legale aveva stabilito che la sua morte era dovuta a “cause naturali”. 34 – Richard Winters: uno dei sospettati nelle morti di Ives/Henry. Ucciso in una rapina organizzata nel luglio 1989. Anche queste guardie del corpo di Clinton sono morte: 35 – Maggiore William S. Barkley, Jr. 36 – Capitano Scott J. Reynolds. 37 – Sergente Brian Hanley. 38 – Sergente Tim Sabel. 39 – Maggiore Generale William Robertson. 40 – Colonnello William Densberger. 41 – Colonnello Robert Kelly. 42 – Specialista Gary Rhodes. 43 – Steve Willis. 44 – Robert Williams. 45 – Conway LeBleu. 46 – Todd McKeehan. E il più recente, Seth Rich, il collaboratore del Comitato Democratico, assassinato e “derubato” (di niente) il 10 luglio 2016. Il fondatore di Wikileaks, Assange, afferma che Rich era in possesso di informazioni sullo scandalo della posta elettronica del Dnc. In questa lista non sono inclusi i 4 eroi uccisi a Bengasi. Ed ora potete aggiungere all’elenco il multimilionario Jeffrey Epstein…(Jim Hoft, “L’elenco completo delle persone collegate ai Clinton morte in circostanze misteriose o ‘suicidatesi’ prima di testimoniare”, da “Gateway Pundit” dell’11 agosto 2019, post tradotto da Markus per “Come Don Chisciotte”).Sabato scorso, il miliardario Jeffrey Epstein, il detenuto di più alto profilo in custodia negli Stati Uniti, è stato trovato morto nella sua cella di Manhattan. Questo è avvenuto il giorno dopo che erano state rese pubbliche duemila pagine di documenti giudiziari, precedentemente secretati, riguardanti il procedimento contro Jeffrey Epstein per atti di violenza sessuale su minori. I documenti descrivevano come Bill Clinton avesse partecipato a feste private sull’isola del pedofilo Jeffrey Epstein. Clinton aveva volato almeno 27 volte sull’aereo privato di Jeffrey Epstein. Nella maggior parte di quei voli era stato accompagnato da ragazze minorenni. Nonostante un precedente tentativo, appena tre settimane fa, di togliersi la vita, le guardie carcerarie, la notte di venerdì, avevano saltato i controlli previsti ogni 30 minuti alla cella di Epstein. Nelle prime ore del mattino lo avevano trovato morto. Jeffrey Epstein è l’ultimo di un lungo elenco di collaboratori e frequentatori della famiglia Clinton che sono morti misteriosamente o si sono suicidati prima della loro testimonianza pubblica. Nel 2016 la “Cbs” di Las Vegas aveva pubblicato un elenco degli associati Bill e Hillary Clinton che sarebbero morti in circostanze misteriose. Ecco quella lista.
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Sapelli: con Pd-M5S l’Italia sparisce come paese industriale
La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.In altri tempi sarebbe andata così. L’ambasciata americana avrebbe svolto un ruolo di primo piano, anche se non sotto i riflettori, per ovvie ragioni. Un governo costituente? Il sistema è così disgregato che un governo costituente non farebbe che sancire la disgregazione. Farebbe la stessa fine della bicamerale di D’Alema. Si dovrebbe riscrivere una parte della Costituzione, ma chi potrebbe farlo? Ci vorrebbe una riflessione sullo Stato in Italia e non vedo chi potrebbe farla. Prima di fare un governo costituente bisogna creare una nuova classe politica. Lo stesso proposito di ridurre il numero dei parlamentari al di fuori di una visione istituzionale è pazzesca. Del M5S non mi sorprendo perché è il massimo che poteva produrre. La Lega però non doveva prestarsi. In questo è ancora figlia di Tangentopoli. E dato che secondo me la Lega è un animaletto destinato ad andare lontano, strada facendo dovrebbe depurarsi, proprio come fanno le lumache.Che governo sarebbe quello di una maggioranza M5S-Pd? Un governo “clintoniano”, sponsorizzato dai grandi big dell’industria finanziaria mondiale. Porterebbe avanti una politica di sottomissione piena dell’Italia all’austerity europea. Uno scenario che farebbe il gioco della Francia. La crisi tedesca determina un ripiegamento di Berlino, e questo dà alla Francia una grande spinta, anche se la sua produzione industriale è ferma. Parigi però ha un rapporto privilegiato con l’Africa, che sfrutta grazie al franco Cfa avvantaggiandosi negli scambi e nelle materie prime. Senza il contrappeso tedesco, l’attivismo di Parigi rafforzerà la Cina, che ha con la Francia un rapporto privilegiato in Europa da più di un secolo. Il governo M5S-Pd sarebbe in un modo o nell’altro la vittoria di Attali. Se questo governo prende forma, l’Italia tra vent’anni non esisterà più come paese industriale. Se Salvini non l’ha compreso, l’unico fattore che potrebbe deviare questo corso degli eventi sarebbe un intervento del presidente della Repubblica, mandando il paese alle urne.Sappiamo tutti che prima di sciogliere le Camere durante la legislatura il capo dello Stato è tenuto a verificare l’esistenza di un’altra maggioranza in Parlamento. Che probabilmente ci sarebbe. D’altra parte sappiamo bene che Napolitano ha risolto i problemi a modo suo, e sempre impedendo agli italiani di votare. Come se ne esce? È la contraddizione di Mattarella. Se Mattarella varasse un governo M5S-Pd, per la prima volta andrebbe contro i suoi legami di profonda amicizia verso gli Stati Uniti, la stessa che ha ispirato il suo dovere quando è stato ministro della difesa (governi D’Alema II e Amato II). D’altra parte, consentendo la parlamentarizzazione della crisi e il patto M5S-Pd, darebbe vita a un governo contrario agli interessi americani attuali in Italia. E a mio modo di vedere, a quelli dell’Italia stessa. Quale sarebbe il programma reale del governo giallorosso? Subordinazione totale alle politiche europee dell’austerità, accelerazione del processo di deindustrializzazione, svendita degli asset strategici del paese.Una cura greca, cura si fa per dire; esattamente l’antitesi delle riforme di cui l’Italia avrebbe bisogno. Ovvero: creare una banca pubblica per il sostegno alle Pmi, quello che una volta facevano le grandi banche partecipate. L’austerity non è stata affatto moderata dal quantitative easing, che salva le banche ma non il credito. La cosa curiosa del M5S è che fino ad oggi ha governato da una posizione tipicamente disgregatrice, ostile allo sviluppo e antropologicamente negativa, cioè tutti sono ladri, cattivi e colpevoli tranne noi. Adesso, inaspettatamente, il ribellismo è diventato iper-governismo: le polemiche interne sono cessate, Grillo ha cambiato rotta senza un confronto pubblico, senza che nemmeno abbia votato la “rete”. Tutto è avvenuto attraverso gli ordini impartiti da una cuspide. Prova evidente dell’etero-direzione del M5S.Cosa dovrebbe fare Salvini? Spiegare con più chiarezza qual è la vera posizione di questo governo nei rapporti con l’Ue, la Cina, la Russia e gli Usa. Invece di un post su Facebook, la Lega dovrebbe fare un documento con i suoi punti fermi: fedeltà alla Nato, permanenza nell’euro per cambiare i trattati e la politica economica europea mediante alleanze, rapporti con la Russia su posizioni non dissimili da quelle di Colombo o Andreotti, cioè di dialogo, come io credo che Salvini voglia fare. Questo è il momento di fare politica. Anche con la Germania? Alla luce dell’incipiente crisi tedesca, non c’è momento migliore per far capire al Partito popolare europeo che l’austerity è sbagliata.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Il segreto della crisi è tra il Colle e Washington”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 17 agosto 2019).La via maestra sono le urne. In questo caso il governo può rimanere in carica per l’ordinaria amministrazione, non c’è bisogno di farne un altro. E una volta che si è dimesso Conte, anche Salvini può dimettersi da ministro dell’interno. Conte e il cardinale Parolin si confrontano su molti dossier, Cina compresa; Oltretevere si stanno muovendo con forti ingerenze nella politica italiana. In questo momento poi gli americani sono profondamente divisi anche sull’Italia. I trumpiani, sulla carta a favore di Salvini, potrebbero essere insoddisfatti di come ha disatteso le loro richieste di una maggiore distanza dalla Cina. Ma c’è anche l’altra parte, quella che ha ancora in mano l’America che conta: la finanza. Cosa vuole la grande finanza americana? Che Salvini sparisca il prima possibile. La firma del memorandum con la Cina ha spiazzato gli Usa. Ora però è come se Washington avesse improvvisamente riscoperto l’importanza dell’Italia. Proprio per questo gli Usa dovrebbero fare di tutto perché si andasse al voto, in modo che la Lega, vincendo, metta a tacere i 5 Stelle.
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Gozi nel governo Macron: un italiano a Parigi, contro l’Italia
«Tra una mia elezione come eurodeputato (di “En Marche”, ndr) e la vittoria dell’Italia ai Mondiali? L’Italia può aspettare». La volontà di entrare nell’organico del partito di governo francese non l’ha mai nascosta, ma dopo aver sbattuto contro la bocciatura per una poltrona al Parlamento Ue, Sandro Gozi entra direttamente nel governo francese al servizio di Emmanuel Macron: l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi Renzi e Gentiloni ricoprirà lo stesso incarico, nell’esecutivo che ha come premier Edouard Philippe. A quanto si è saputo, Gozi (che è anche indagato a San Marino per una presunta consulenza “fantasma” da 220mila euro con l’accusa di amministrazione infedele in concorso) dovrebbe rimanere nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. «L’europarlamentare avrà il compito di monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, operando in stretta collaborazione con il Segretariato generale per gli affari europei francese», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una nomina che ha scatenato le proteste di tutti i principali partiti italiani – tranne il Pd – che in coro hanno chiesto: di chi ha fatto gli interessi, Sandro Gozi, mentre serviva l’Italia?Dura la reazione del grillino Stefano Buffagni, sottosegretario per gli affari regionali: «Che schifo! Ecco da chi eravamo governati fino allo scorso anno, ecco a voi i membri del Pd che fanno la morale a tutti». Leggere di un ex membro del governo Renzi che viene nominato nell’esecutivo del paese che più di ogni altro oggi contesta l’Italia, per Buffagni «è qualcosa di veramente vomitevole e preoccupante». Tra i “successi” di Gozi, l’aver perso l’Agenzia Europea del Farmaco, richiesta da Milano nel 2017. «La domanda sorge quindi spontanea: per chi lavorava allora Gozi? Rappresentava davvero gli interessi dell’Italia o giocava su altri campi per altri paesi? Non c’è il rischio di alto tradimento contro la personalità dello Stato italiano?», si domanda Buffagni. Un altro pentastellato, Pino Cabras, capogruppo nella commissione esteri della Camera, evidenzia il filo rosso che lega la Francia e alcuni esponenti del partito di Zingaretti: «Dopo le schiere di 13 esponenti Pd, da Fassino a Franceschini, passando per Letta e Sala, che negli ultimi sedici anni hanno ricevuto la Legion d’Onore francese, non potendo ricevere una seconda onorificenza per Sandro Gozi è scattata direttamente la nomina a responsabile degli Affari Europei del governo Macron».Quali dossier tra Italia e Francia ha trattato, Gozi, «evidentemente non certo a sfavore degli amici d’Oltralpe», durante il suo mandato governativo con Renzi e Gentiloni? Per Cabras, si tratta di «una una nomina che inquieta, e che desta politicamente più di un sospetto». La pensa così anche Giorgia Meloni: «Voglio sapere perché Emanuel Macron e il governo francese ci tengano a premiare così un signore che, fino a qualche mese fa, avrebbe dovuto fare gli interessi degli italiani». Stessa musica da Matteo Salvini: «Gozi, già sottosegretario agli affari europei con Renzi e Gentiloni, con la benedizione di Macron viene ora nominato, nello stesso ruolo, nel governo francese: immaginate di chi facesse gli interessi questo personaggio quando era nel governo italiano. Pazzesco, questo è il Pd». Tra i dossier “caldi” che vedono contrapposte Italia e Francia, ricorda sempre il “Fatto Quotidiano”, il primo è certamente il rapporto con le diverse fazioni in campo nello scacchiere libico. «Come è noto, mentre l’Italia, già al tempo di Gozi sottosegretario, rappresenta uno dei principali interlocutori del Governo di Accordo Nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, oltre che il partner di riferimento per l’Unione Europea, la Francia è uno dei pochi paesi dell’Ue a vantare rapporti privilegiati con la controparte della Cirenaica, con a capo il generale Khalifa Haftar».In un clima di tensione nuovamente alta nel paese nordafricano, con le milizie di Tobruk che da mesi spingono per rovesciare l’esecutivo tripolino, sostenute da alcuni alleati regionali come Arabia Saudita ed Emirati, oltre alla Russia (e almeno in passato, la Francia) un ex membro del governo italiano ora al servizio di Parigi «potrebbe essere a conoscenza di accordi mai resi pubblici stipulati tra Roma e le varie fazioni in campo: Tripoli, Misurata, altre milizie non allineate e lo stesso Haftar, con cui l’Italia sta cercando di intavolare un dialogo per arrivare il prima possibile a un cessate il fuoco». Poi ovviamente c’è il tema migranti: da una parte si chiede all’Italia di accoglierli, mentre la Francia resta libera di respingerli. «L’immigrazione, inoltre, è un tema sul quale Italia e Francia si sono già scontrate negli anni passati: basta ricordare i respingimenti della Gendarmeria d’Oltralpe a Ventimiglia, i fatti di Bardonecchia e un altro respingimento in territorio italiano, in Alta Val Susa».Restando in Libia, quella tra Haftar e al-Sarraj non è solo una lotta per governare il paese, ma «uno scontro tra diverse alleanze internazionali per mettere le mani su giacimenti di petrolio tra i più ricchi e appetibili del mondo», aggiunge il “Fatto”. In questa battaglia sono schierate da una parte l’Eni, dall’altra la Total. «A febbraio 2019, ad esempio, il portavoce dell’Esercito nazionale libico, che fa capo ad Haftar, aveva annunciato la presa del campo petrolifero di Al Sharara, nella regione di Ubari, a 900 km a sud di Tripoli, la cui produzione era bloccata da 2 mesi. Il sito è strategico per l’economia dell’intera Libia e per gli Stati che hanno interessi petroliferi nel paese: gestito dalla società Akakus, joint-venture tra la Noc, la compagnia petrolifera nazionale controllata dal governo di Fayez Al Sarraj, principale interlocutore dell’Italia, la spagnola Repsol, la Total, l’austriaca Omv e la norvegese Statoil». Non è tutto: a scaldare i rapporti tra Italia e Francia già durante i governi Pd di cui faceva parte Gozi – continua il giornale di Travaglio – ci sono più controversie tra le grandi multinazionali italiane e francesi, sia pubbliche che private. La prima partita economica è senz’altro quella su Fincantieri-Stx: «Dopo un lungo tira e molla, nel settembre 2017, il governo Gentiloni riuscì a sbloccare l’operazione ottenendo per Fincantieri il 50% di Stx più l’1% in prestito dallo Stato francese. Ma il prestito è sottoposto a verifiche periodiche e il governo francese ha facoltà di chiedere indietro la quota prestata in caso di inadempienza italiana».Nel caso in cui l’1% venga ritirato, Fincantieri può solo decidere di cedere tutto il 50% di Stx a Parigi. «Il governo transalpino ha quindi oggettivamente la possibilità di rendere difficile la vita a Fincantieri che è controllata dal Tesoro via Cassa Depositi e Prestiti». Altre vicende, anche se legate ad affari privati (in cui lo Stato è però già intervenuto in passato) sono quelle relative a Tim-Vivendi e Mediaset-Bolloré. «Nel maggio 2018, ad esempio, il fondo Elliott è riuscito a modificare gli equilibri di potere in Tim grazie al voto favorevole del socio pubblico Cassa Depositi e Prestiti. La vicenda non è piaciuta a Vivendi, estromessa dalla guida del gruppo, e al suo socio di riferimento, Vincent Bolloré, azionista anche di Mediobanca e di Mediaset, in guerra aperta con la famiglia Berlusconi». Sono tanti i dossier che un ex membro di governo potrebbe aver gestito o di cui potrebbe aver sentito parlare. E anche per questo Giorgia Meloni ha annunciato che Fratelli d’Italia ha già depositato un’interrogazione: «Vogliamo sapere quali sono tutti i dossier che Sandro Gozi ha seguito quando era alla presidenza del Consiglio italiano che riguardano anche i francesi. Noi vogliamo sapere che cosa deve Emmanuel Macron a Sandro Gozi».«Tra una mia elezione come eurodeputato (di “En Marche”, ndr) e la vittoria dell’Italia ai Mondiali? L’Italia può aspettare». La volontà di entrare nell’organico del partito di governo francese non l’ha mai nascosta, ma dopo aver sbattuto contro la bocciatura per una poltrona al Parlamento Ue, Sandro Gozi entra direttamente nel governo francese al servizio di Emmanuel Macron: l’ex sottosegretario agli Affari europei dei governi Renzi e Gentiloni ricoprirà lo stesso incarico, nell’esecutivo che ha come premier Edouard Philippe. A quanto si è saputo, Gozi (che è anche indagato a San Marino per una presunta consulenza “fantasma” da 220mila euro con l’accusa di amministrazione infedele in concorso) dovrebbe rimanere nella sede del primo ministro a Parigi in attesa di prendere posto a Bruxelles dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. «L’europarlamentare avrà il compito di monitorare la creazione di nuove istituzioni europee e le relazioni con il Parlamento Ue, operando in stretta collaborazione con il Segretariato generale per gli affari europei francese», scrive il “Fatto Quotidiano”. Una nomina che ha scatenato le proteste di tutti i principali partiti italiani – tranne il Pd – che in coro hanno chiesto: di chi ha fatto gli interessi, Sandro Gozi, mentre serviva l’Italia?
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Italian Russiagate: le bufale di BuzzFeed, che odia Salvini
«L’attacco mondialista a Salvini dimostra proprio questo intento, riprendere il flusso dell’immigrazione fuori controllo e continuare a produrre dumping salariale». Tanto, «il presunto argine ‘antisistema’ rappresentato dai 5 Stelle appare sempre più inadeguato, incoerente e ambiguo», visto che lo stesso Di Maio – nel tentativo disperato di tamponare l’emorragia di voti verso la Lega – partecipa volentieri all’ultimo gioco al massacro contro Salvini, invitandolo a rispondere dei presunti finanziamenti russi davanti al Parlamento: «Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione». Sovranità limitata, in realtà: è Bruxelles, non Roma, a stabilire cosa può fare l’Italia, la cui Costituzione è stata deturpata dall’inserimento suicida del pareggio di bilancio. Se n’è dimenticato, Di Maio? È evidente, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, che il capo politico del Movimento 5 Stelle cita “BuzzFeed” come fonte d’informazione altamente attendibile, «celando di proposito le rivelazioni pregresse sulla macchina di propaganda web del MoV, e sul fatto che Alberto Nardelli interpreterebbe un trend politico decisamente di sinistra, avverso al governo gialloverde».
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Carpeoro: ma con questi politici, l’Italia resterà sottomessa
Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.Bisogna avere il coraggio di dire, agli italiani: “Io sono a lungo termine; se pretendete da me gli 80 euro il mese prossimo, rivolgetevi a qualcun altro”. Se poi gli italiani preferiscono così… Ma in questo modo il “qualcun altro” dura solo un giro, come Renzi. Nel frattempo restiamo sottomessi ai diktat del regime politico-finanziario europeo? L’Italia non deve contestare l’Europa, deve contestare il modo in cui è stata rappresentata la sua situazione economica. Il nostro paese ha il patrimonio artistico più grande del mondo, che non viene minimamente valutato. Gli altri, nei bilanci mettono finanche le noccioline; e noi non possiamo mettere a bilancio il nostro patrimonio artistico? Non è un bene? Non è un valore? Non è un patrimonio? Se io a casa ho un Renoir, nella dichiarazione dei redditi lo devo indicare. Invece lo Stato, nella “dichiarazione dei redditi” che fa per l’Europa, non ci può mettere il Colosseo. Se noi ottenessimo la revisione dei parametri economici – per un discorso di verità, non di bugia – possono garantire che il debito pubblico verrebbe azzerato. Gli stessi trattati europei non escludono neppure che, nel proprio patrimonio, si possano indicare dei beni di cui effettivamente si dispone. Non si tratta di rivedere le leggi, ma solo di dire la verità: di fare cioè delle dichiarazioni patrimoniali veritiere.Non osiamo farci valere: dipende dalla scarsa personalità dei nostri politici? Sono ricattabili, i politici italiani: tutti. Quindi, nel momento in cui alzano la voce, qualcuno gli telefona e gli dice: attenti, che in archivio ho un dossier, su di voi. Chi ha i dossier? I vari Attali, i vari Ledeen. Quali interessi difendono? I loro. Sono interessi anche personali: secondo voi questi personaggi chiedono la carità all’angolo della chiesa? Lavorano per banche, fondazioni finanziarie: tutte cose che hanno creato loro, che gestiscono loro, che manipolano loro. Le banche e gli organismi finanziari sono cose neutre, astratte: tutto dipende da chi li governa, da come li gestisce. E’ quello che intendo, quando parlo di “sovragestione”. Sarebbe un danno, per loro, se l’Italia potesse riscattarsi? No, non sarebbe un danno. Hanno semplicemente interesse a speculare sulle disgrazie: e quelle dell’Italia sono ottime, per specularci. Ma è solo una questione di guadagno: non hanno niente, contro l’Italia. Vorrei confortare tutti quanti: non c’è un odio verso il nostro paese. E’ come con la Grecia: nel momento in cui c’è la disgrazia, ci si specula sopra. Così funzionano, i pescecani. E la nostra disgrazia consiste nel fatto che, a suo tempo, non abbiamo rivendicato il nostro reale assetto economico e patrimoniale. Responsabilità di chi sedette al tavolo delle trattative per conto dell’Italia: è chiaro che la partita la perdi, se non cali i tuoi assi.Per contro, a quel tavolo non potevamo non sederci. Se fossimo rimasti fuori dal club europeo avrebbero strangolato la lira in modo inimmaginabile – come infatti stava già accadendo prima ancora dell’euro: don lo Sme e con la grande speculazione, la lira si sarebbe trasformata in una moneta ridicola. Mi si fa notare che un paese come la Corea del Sud è rimasto felicemente indipendente? Certo, ma in quel caso non hanno fatto l’Unione Asiatica: lì non c’è quel tipo di connessione finanziaria e di sovragestione che c’è da noi. Nel nostro caso, la sovragestione finanziaria esisteva già – prima ancora della creazione dell’Unione Europea. La grande speculazione c’era, eccome. La sterlina non è stata affatto strangolata? Certo, perché ha un impero suo: si chiama Commonwealth. Ha risorse, mercati e vie d’uscita enormi. Per questo la Gran Bretagna è stata costretta a uscire, dall’Ue: stava perdendo il Commonwealth. Ci sarà il boom del Brexit Party? Ormai in Inghilterra non si capisce più niente. Comunque il Regno Unito può andare dove vuole, tanto non va da nessuna parte, oggi. Se l’Europa fosse un organismo intelligente, darebbe all’Inghilterra una moratoria di 10 anni. Le direbbe: “Fa’ quello che vuoi. Esci, resta”. Invece di strangolarla, le dovrebbe dire: “Hai dieci anni di tempo, per decidere quello che vuoi fare”. Ma l’Europa non è un organismo intelligente.Ora si contestano anche le radici cristiane dell’Europa. Ma qualcuno può negare che il Cristianesimo faccia parte della storia europea? Fino al 100 dopo Cristo era un soggetto estraneo, limitato a una tradizione mediorientale. Poi ha fatto irruzione in Occidente – come anche il mitraismo e il sincretismo alessandrino, che univa le religioni greca, egizia e mitraica. C’erano tante influenze, perché ormai l’Impero Romano era una entità internazionale: c’era stata una specie di globalizzazione, e quindi è arrivato anche il Cristianesimo. Il problema? Aveva successo. Nei primi tre secoli del primo millennio era diventato, nell’Impero Romano, la religione maggioritaria. Al punto che Costantino fiutò la possibilità di farne una base solida del proprio potere imperiale, e così lo dichiarò religione di Stato. E dire che i cristiani erano stati perseguitati anche sanguinosamente, da imperatori come Traiano. Il guaio è che, una volta diventato religione di Stato, il Cristianesimo ha preso tutti i vizi del potere. Nella sua dimensione strutturale (che prima non aveva) si è plasmato proprio sul potere imperiale. E questa crescita – compresa questa sorta di tara – si è poi trasferita, pari pari, da impero a impero: dall’Impero Romano, poi sgretolato dalle invasioni, al risorgente Sacro Romano Impero.Il Sacro Romano Impero si fondava sul Cristianesimo: era il suo pilastro, tant’è vero che tutti gli imperatori venivano incoronati dal Papa (salvo momenti di frizione e conflitto per il potere materiale). Proprio il Sacro Romano Impero ci ha accompagnato direttamente fino alle porte dell’umanesimo e del Rinascimento. E cosa ha trasferito, fino ai giorni nostri? La trazione franco-germanica: comandavano francesi e tedeschi, esattamente come oggi. Questa è la vera radice europea. La storia ha una grande forza: esiste anche per chi non la riconosce. Contestare le radici cristiane dell’Europa (che non sono le uniche) è sbagliato. E’ un passaggio retorico, ma comunque irrilevante: perché alla fine la verità è che, oggi come allora, comandano i francesi e i tedeschi (a prescindere dalle istituzioni formali europee). Certo, la ricostruzione della storia non è facile, e spesso non è così veritiera. Abbiamo esempi anche recenti: una certa retorica vuole che l’Italia sia stata liberata dai partigiani, ma – se non fossero sbarcati gli americani – qui si girerebbe ancora con l’orbace.I partigiani sono stati il simbolo della reazione di una parte nobile del popolo, ma in pratica – piaccia o meno – l’Italia è stata liberata dagli americani. Si può discutere anche sul concetto di “liberazione”, certo. Ma resta il fatto che l’Italia, da sola, non si sarebbe liberata del fascismo. Americani o russi, non importa: qualcuno, da fuori, doveva intervenire. Liberata e rioccupata? Normale: la penisola è sempre stata occupata. E’ come il cesso della stazione, l’Italia: non lo trovi mai libero. Ma siamo noi che ci facciamo occupare. Non l’abbiamo difeso in niente, il nostro paese. Non abbiamo il senso dello Stato, ci manca il senso della nazione. Seguiamo poco persino la nazionale di calcio, perché non è divisiva: preferiamo le squadre di club, perché siamo campanilisti. Qualcuno si domanda perché Napoleone spogliò l’Italia di tanta arte: era il prezzo da pagare per il supporto dei francesi contro l’Impero Austro-Ungarico? Ma tutti quelli che sono venuti in Italia hanno spogliato il nostro paese. Ben prima di Napoleone, il Re di Francia (Francesco I) si portò via Leonardo: non si prese soltanto l’arte, ma pure l’artista.Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.
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Vaccini e autismo, Federica: all’estero per salvare mio figlio
Si chiama Federica, vive in provincia di Gorizia. Ha una voce melodiosa da cantante jazz, e un coraggio da eroe greco. Antigone, con due bambini da difendere con le unghie e coi denti. Entrambi minacciati da un orco invisibile, armato di siringa. Il piccolo Nicola, il primogenito, oggi ha otto anni. Da poco è tornato tra noi. Era scomparso: muto, assente, estraneo. Un bambino divenuto alieno, anaffettivo, indifferente a tutto. In una parola: autistico. Lo è diventato di colpo, dopo un vaccino “sbagliato”, esavalente: antitetanica, antiepatite B, antipolio, anti-difterica, anti-haemophilus, anti-pertosse. «A tredici mesi, Nicola sgambettava come un leprotto. A 20 parlava e cantava, manifestava il suo talento artistico in ogni occasione: sapeva dipingere, era affettuoso, baciava il fratellino nel pancione». Poi, intorno ai 22 mesi, subito dopo la nascita di Enrico, ha avuto un improvviso arresto dello sviluppo. «E in poche settimane ha smesso di parlare, di mangiare, di dormire». Sintomi allarmanti: vomito “a getto”. All’epoca, Federica non sapeva ancora della stretta correlazione fra cervello, stomaco e intestino. Già, perché l’intestino è il secondo cervello. E proprio dall’intestino è cominciata la guarigione “impossibile”: eliminando glutine e caseina, Nicola ha ripreso a parlare, a mangiare, a sorridere. Ma non in Italia: all’estero. Grazie al costoso intervento di medici all’avanguardia, in cliniche private.In Italia, di fronte all’orco si resta soli. E si finisce in un limbo di dolore, se non si ha a fianco una madre come Federica Santi, già insegnante e musicista, ora interamente dedicata alla sua missione: salvare Nicola. Vite sul punto di spezzarsi: queste tragedie sbriciolano le famiglie, dice Federica, che lascia capire di non avere più accanto a sé il padre dei suoi figli. Conta solo sulle sue forze: ce l’ha fatta documentandosi, studiando giorno e notte. Fino a scoprire, oltre confine, una possibile soluzione. Ma a che prezzo? Scoppia in lacrime, un duro come il video-reporter Massimo Mazzucco, quando cerca di raccontare – in web-streaming, su YouTube – che Federica non sa se potrà scendere a Roma per una manifestazione free-vax, di genitori che contestano le modalità dell’imposizione dell’obbligo vaccinale. Non sa se potrà spendere i soldi del treno, Federica, perché ogni singolo euro deve servire a lottare per guarire Nicola, strappandolo definitivamente dalle grinfie dell’orco. Non è un caso isolato, naturalmente: in Puglia, l’unica Regione italiana ad aver organizzato la farmacovigilanza attiva sui vaccini, il monitoraggio ha svelato che le iniezioni hanno causato problemi a 4 bambini su 10. Ma nessuno ne parla, e il governo tira dritto: Giulia Grillo non esce dal sentiero imboccato da Beatrice Lorenzin. Vaccini polivalenti obbligatori, a tappeto, pena l’esclusione dalla scuola. Un bel business, fra l’altro, per le case farmaceutiche: il prezzo delle dosi è aumentato del 60% all’indomani dell’introduzione dell’obbligatorietà.Si può anche morire, di vaccino, persino da adulti. Lo dimostrò l’ultima commissione parlamentare difesa. Cifre sconcertanti: mille morti e altri 4.000 militari italiani colpiti da malattie gravi, per metà imputabili a vaccinazioni somministrate in modo imprudente. Di recente, l’ordine dei biologi ha scoperto vaccini “sporchi”, con tracce di diserbanti e feti abortiti, nonché vaccini difettosi in quanto privi degli agenti immunizzanti dichiarati in etichetta. In Francia, l’ordine dei medici ha inutilmente avvertito il governo Macron, che è sulle orme di quello italiano: l’obbligo vaccinale distrugge la fiducia tra governanti e governati, tra medici e pazienti. Negli Usa, la più importante associazione medica ha appena ammonito il Congresso: non si vede la necessità di aumentare la copertura vaccinale, visto che non ci sono emergenze in atto. E l’imposizione sanitaria – in assenza di motivazioni – confligge con la libertà dell’individuo e l’inviolabilità del suo corpo. I precedenti non sono rassicuranti: dagli anni ‘80, quando Washington decise di proteggere per legge i produttori di vaccini, rendendoli non punibili in caso di errore, il governo statunitense ha già speso qualcosa come 4 miliardi di dollari per risarcire i danneggiati da vaccino. Quanto alla decantata “immunità di gregge” promessa dalle vaccinazioni, Mazzucco consiglia di dare un’occhiata in Ohio, dove la comunità degli Amish, per motivi religiosi, rifiuta da sempre di far vaccinare i bambini: mai nessuna epidemia, nessuna problematica di quelle che i vaccini promettono di debellare.Qui non siamo in Ohio, e i free-vax non sono Amish. Nemmeno Federica Santi contesta il vaccino in sé, come presidio sanitario. Si limita a sottolineare le gravi lacune di quella stessa disciplina farmaceutica con cui si sciacquano la bocca i Talebani pro-vax, i dogmatici corifei che riducono la scienza a nuova religione, ignorando il piccolo Nicola e tutti gli altri bambini danneggiati dalle vaccinazioni – che in Italia sono tantissimi, purtroppo: oltre 20.000, secondo l’Aifa, nel solo triennio 2014-2017, come certifica “OggiScienza”. Intanto, a Federica Santi è venuto in mente che scrivere libri può aiutare gli altri genitori a saperne di più, fin che sono in tempo: “Non vivo in una bolla” racconta la storia di Nicola, “Nutriamo la guarigione” svela come si possa usare il cibo per sfuggire all’orco. A indignare è la sua solitudine: nessun indennizzo per l’autismo del figlio (che in Italia resta un tabù, se correlato con il vaccino). Richiesta bocciata, infatti. Liquidata da un ufficiale dell’esercito: «Me la sono dovuta vedere con una commissione militare, che il dossier di Nicola non l’aveva nemmeno sfogliato».Di fronte alle parole di Federica, superata la commozione, lo stesso Mazzucco lancia l’allarme numero uno: la vaccinazione universale di massa. Il piano, dice, consiste nel puntare domani a vaccinare tutti, anche gli adulti, ricorrendo al ricatto: «O accetti di vaccinarti, o ti tolgo il passaporto e la patente di guida, come in Argentina». Arriveremo a questo? Scenderemo così in basso, in assenza di chiarimenti sulla reale necessità di un intervento simile, nonostante i rischi che può comportare? Proprio i 5 Stelle avevano fatto della trasparenza il loro cavallo di battaglia, ma adesso Giulia Grillo si è rivelata la reincarnazione perfetta della vituperata Lorenzin. Il primo diritto – l’informazione – è già stato archiviato, nel comodo derby tra pro-vax e no-vax. L’Italia, scelta da Obama come area-test, ha subito l’azzardo quasi in silenzio, grazie anche all’omertà dei grandi media. Così, il piccolo Nicola può contare solo su sua madre, che per salvarlo si è letteralmente svenata, all’estero, dopo aver lasciato la musica e l’insegnamento. E oggi non sa se troverà i soldi per andare a Roma, a raccontare la sua storia.(Giorgio Cattaneo, “La solitudine di Federica, fuggita all’estero per salvare suo figlio danneggiato dai vaccini”, da “La Voce Rooseveltiana” numero 7 del 20 marzo 2019. Tutte le informazioni su Federica Santi e i suoi libri sono rintracciabili sul web e in particolare sulla pagina Facebook “Un sorriso per Nicola ed Enrico”. Una intensa testimonianza di Federica è apprezzabile su YouTube nella diretta web-streaming “Mazzucco Live” del 16 marzo, con Massimo Mazzucco).Si chiama Federica, vive in provincia di Gorizia. Ha una voce melodiosa da cantante jazz, e un coraggio da eroe greco. Antigone, con due bambini da difendere con le unghie e coi denti. Entrambi minacciati da un orco invisibile, armato di siringa. Il piccolo Nicola, il primogenito, oggi ha otto anni. Da poco è tornato tra noi. Era scomparso: muto, assente, estraneo. Un bambino divenuto alieno, anaffettivo, indifferente a tutto. In una parola: autistico. Lo è diventato di colpo, dopo un vaccino “sbagliato”, esavalente: antitetanica, antiepatite B, antipolio, anti-difterica, anti-haemophilus, anti-pertosse. «A tredici mesi, Nicola sgambettava come un leprotto. A 20 parlava e cantava, manifestava il suo talento artistico in ogni occasione: sapeva dipingere, era affettuoso, baciava il fratellino nel pancione». Poi, intorno ai 22 mesi, subito dopo la nascita di Enrico, ha avuto un improvviso arresto dello sviluppo. «E in poche settimane ha smesso di parlare, di mangiare, di dormire». Sintomi allarmanti: vomito “a getto”. All’epoca, Federica non sapeva ancora della stretta correlazione fra cervello, stomaco e intestino. Già, perché l’intestino è il secondo cervello. E proprio dall’intestino è cominciata la guarigione “impossibile”: eliminando glutine e caseina, Nicola ha ripreso a parlare, a mangiare, a sorridere. Ma non in Italia: all’estero. Grazie al costoso intervento di medici all’avanguardia, in cliniche private.
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Cade ogni politico, se non serve più al potere che ci domina
un po’ di vertigine, il saggio “Psyops” di Solange Manfredi, che illumina settant’anni di “guerra psicologica”, condotta in Italia. Indovinato: siamo il paese-cavia per eccellenza, dove sono state testate le peggiori tecniche di manipolazione, anche le più sanguinose (Gladio). Nessun’altra nazione, in Europa – ricorda l’autrice, in un’intervista alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda” – ha subito altrettante atrocità, a causa del terrorismo “false flag”, sotto falsa bandiera, che ha utilizzato servizi segreti e pedine dell’estremismo per mettere in piedi gli agguati degli anni di piombo e le stragi impunite nelle piazze. Pensiamo a una sigla come la Falange Armata: ha firmato 500 rivendicazioni, tra il ‘92 il ‘94, quando Tangentopoli abbatteva la Prima Repubblica e le bombe affidate alla manolavanza mafiosa condizionavano il sanguinoso esordio della Seconda, nata per sacrificare l’Italia del benessere e portarla a soccombere di fronte all’oligarchia finanziaria di Maastricht e del Trattato di Lisbona. L’Isis? E’ l’ultimo capolavoro della strategia della tensione a livello internazionale, riprodotta fedelmente secondo il modello sperimentato in Italia. C’è il referendum per la secessione della Scozia dal Regno Unito? Benissimo, e chi decapita, l’Isis, il giorno prima? Ovvio: uno scozzese. Negli Usa si vota per limitare ulteriormente le libertà del cittadino, con la scusa della sicurezza? E quindi è proprio un ostaggio americano, alla vigilia, a offrire la gola alla mannaia dello Stato Islamico.La regia è scandalosamente evidente, dice Solange Manfredi, così come il movente – per nulla connesso con Allah – dello stesso fondamentalismo religioso mediorientale, creato a tavolino per evitare che il Medio Oriente svoltasse verso il socialismo. Negli anni ‘50, ricorda l’autrice del saggio, i paesi arabi erano largamente laici. «Prima del golpe occidentale che portò al potere Saddam, l’Iraq aveva un ministro donna e si preparava a dare l’indipendenza ai curdi». Così, il governo di Baghdad è stato “suicidato”. Tutto ciò è orrendo? Certamente, ma dobbiamo sapere che è la regola. La storia non lo ammette? Lo si può capire: spesso è il sistema stesso a scriverla, imponendo la sua versione alla scuola. Storia, cioè guerre: nessuno dei conflitti che ricordiamo – dice Solange Manfredi – è stato innescato dai motivi ufficialmente noti. Dietro ogni guerra c’è una causa segreta, e il casus belli è sempre un’invenzione o comunque una manipolazione: da Pearl Harbor, dove il bombardamento giapponese era perfettamente atteso, al Golfo del Tonchino, in cui nessuna artiglieria vietnamita sparò mai contro la flotta Usa. Fino ovviamente all’11 Settembre, servito come alibi per invadere l’Iraq e l’Afghanistan, per poi terremotare tutto il Medio Oriente.Cronologia recente: primavere arabe, caduta di Mubarak in Egitto, morte di Gheddafi in Libia, guerra in Siria contro Assad, devastazione dello Yemen. Emergenze umanitarie e crisi dei migranti? Appunto. C’è sempre un’attenta regia che predispone gli scenari, pur scontando anche l’imprevedibilità relativa delle variabili. Certo, i colpi principali vanno spesso a segno: Mattei viene ucciso quando fa diventare l’Italia troppo ingombrante a livello geopolitico, e Moro è assassinato per gambizzare l’economia mista, pubblico-privata, che dovrà cedere il passo al neoliberismo. A sua volta, lo svedese Palme soccombe prima che possa diventare segretario generale dell’Onu, impedendo – fra le altre cose – la nascita dell’Ue nella sua attuale configurazione antidemocratica e antipopolare. Ma se gli eroi restano mosche bianche (Moro fu minacciato da Kissinger in modo brutalmente mafioso), la regola è invece un’altra: il politico di turno – Renzi, Formigoni – viene fatto uscire di scena quando non serve più, al potere che ne aveva assistito l’ascesa.Un meccanismo del quale il soggetto (premier, capo-partito, ministro) non è neppure pienamente consapevole, il più delle volte, salvo che per un aspetto: appena raggiunge la vetta, dice Fausto Carotenuto a “Border Nights”, la sua vita di trasforma in un inferno. Motivo: «Il suo primo pensiero, la mattina, diventa questo: chi ce l’ha con me? Chi vorrebbe farmi fuori?». Di manipolazione, Carotenuto se ne intende: per anni ha orientato il lavoro dei servizi segreti Nato. Oggi è approdato a una scelta drastica: la rinuncia sostanziale alla politica, giudicata impraticabile perché interamente manipolata. Un grande inganno, un gioco di specchi in cui nessuno è davvero quel che dice di essere. Dal canto suo, analizzando a fondo la storia italiana contemporanea sulla base di migliaia di documenti desecretati, a cominciare da quelli che comprovano l’arruolamento della mafia e di molti uomini-chiave del nazifascismo, da parte degli Usa, per controllare l’Italia post-bellica in senso anti-Urss, Solange Manfredi insiste su un punto: non è detto che i politici su cui il potere investe siano per forza mediocri, ma è essenziale che abbiano almeno un punto debole (da usare al momento oppurtuno, per liquidarli).In altre parole: un cavaliere senza macchia non diventerà neppure assessore. E se qualcuno sfugge al controllo – come Sankara – durerà al massimo una manciata di mesi, prima di venir tolto di mezzo. Il connotato etico dell’analisi si basa sulla distanza tra la verità ufficiale e quella sottostante, tra la democrazia ideale e sostanziale (espressa “in purezza”) e la post-democrazia attuale, completamente svuotata, ormai dominata in modo sempre più evidente dall’invadenza di gruppi di potere privatistici, economici e finanziari. Peraltro, sottolinea Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni” uscito a fine 2014, non è certo piovuta dal cielo neppure la sacrosanta democrazia cui fa giustamente riferimento Solange Manfredi: la prassi dell’uguaglianza – pari opportunità, diritto di voto, Stato laico, legge sovrana emanata dal Parlamento eletto dai cittadini – è il frutto storico dell’impegno settecentesco della massoneria, che ha “fabbricato” la Rivoluzione Francese e poi creato gli Usa. Viviamo dunque in una specie di colossale laboratorio zootecnico, come sostiene Marco Della Luna? Siamo prigioneri di uno smisurato allevamento planetario, popolato da masse interamente manipolate?Probabilmente è così da sempre, suggerisce Paolo Rumor nel saggio “L’altra Europa” basato sulle rivelazioni dell’esoterista francese Maurice Schumann, tra i fondatori dell’europeismo novecentesco già durante la Seconda Guerra Mondiale. La tesi: un organismo-fantasma, denominato “la Struttura”, reggerebbe le sorti del pianeta in modo ininterrotto, da qualcosa come 12.000 anni. Le 36 Ur-Lodges supermassoniche presentate da Magaldi potrebbero esserne l’estrema propaggine contemporanea? Dilaga il cosiddetto complottismo, anche perché il potere – sempre reticente – si è fatto aggressivo e sfacciato, nella sua alluvione quotidiana di “fake news”, cioè menzogne ufficiali truccate da notizie. Per un osservatore coraggioso e indipendente come Massimo Mazzucco, non manca il risvolto positivo: è vero che l’intrasfruttura web è comuque sempre controllata dai soliti poteri fortissimi, ma milioni di persone – proprio sulla Rete – oggi possono condividere informazioni preziose, non ortodosse, non convalidate dall’ufficialità. Informazioni di cui fino a ieri sarebbe stato impensabile disporre, e che tuttora – non a caso – sono irrintracciabili sui media mainstream, giornali e televisioni.Sta letteralmente esplodendo anche il fenomeno della nuova archeologia, che probabilmente costringerà gli storici a rivedere le narrazioni correnti sulla stessa origine dell’umanità sulla Terra. Narrazioni secolari cadono in pezzi: le ultime scoperte inducono a retrodatare (di parecchi millenni) monumenti fortemente simbolici come le piramidi, mentre affiorano un po’ ovunque i reperti che spingono gli studiosi della paleo-astronautica a ritenere che i nostri antenati siano venuti in contatto, nella notte dei tempi, con esseri sbarcati dallo spazio (probabilmente, i nostri “fabbricatori genetici”). Di qualcosa del genere parla il biblista Mauro Biglino, per anni traduttore dell’Antico Testamento per conto delle Edizioni San Paolo: il suo Yahvè – alla lettera – non ha nulla di “divino”. Non è eterno, né onnisciente, né onnipotente. E il suo rapporto col cielo è mediato dal Kavod, un velivolo rombante e pericoloso. Sono ancora gli Elohim come Yahvè a dominarci, attraverso i loro fiduciari terrestri? «Se un giorno si scoprisse che è così non me ne stupirei», dice Biglino, che però aggiunge: «Immagino che l’attuale esplosione demografica non fosse prevista: siamo oltre 7 miliardi, cioè tantissimi. Troppi, per qualsiasi potere dominante». Come dire: la partita è aperta, forse ce la possiamo giocare. Davvero?Il fatalismo complottistico è ben rappresentanto da celebrità come Davide Icke: i suoi invincibili Rettiliani finiscono per ricordare un po’ gli alieni molesti evocati da Corrado Malanga attraverso le sue ricerche, interamente fondate sull’ipnosi regressiva: ipotetici nemici troppo superiori per poter essere contrastati? La convinzione dell’esistenza di uno strapotere insormontabile (almeno, per via ordinaria) induce lo stesso Carotenuto a consigliare di lasciar perdere la politica: è tempo perso, dice. Meglio dedicarsi amorevolmente al prossimo: non è solo etico, ma anche funzionale. Ed è l’atteggiamento che il sistema di dominio più teme, perché è virtualmente contagioso. I politici? Ometti, per lo più. Scelti, dice Solange Manfredi, in base alle loro debolezze. Non sempre, certo: non tutti. Ma la lezione è utile per chi oggi assiste con delusione al declino del governo gialloverde, che ha ceduto su tutta la linea per sottomettersi ai poteri che usano Bruxelles per dominare i paesi come l’Italia. Guai, però, a sottovalutare il popolo: è vero che è sempre condizionato da precise élite, ammette Magaldi; ma da sole – aggiunge – quelle élite non le potrebbero fare, le rivoluzioni. Quella di cui si sente il bisogno oggi ha un nome preciso, si chiama democrazia. Rappresenta un’eresia della storia, un prodotto recentissimo. Di fabbricazione massonica? Certo. Ma alzi la mano chi vorrebbe tornare al potere del dittatore, all’arbitrio del monarca o del Papa-Re. Forse, come dice Mazzucco, la buona notizia è che oggi, nonostante tutto, se ne può parlare: in fondo gli orizzonti sono aperti, come non era mai successo.Sembra il nostro paladino, finalmente: l’amico del popolo. E invece è il loro uomo, l’ennesimo. Scelto per durare il necessario, capace di cavalcare l’onda grazie alle sue qualità, al suo appeal mediatico. Ma il “casting” iniziale ha individuato anche il punto debole, già in partenza. Esempio: corruzione, sete di potere e denaro. Oppure ambizione smodata, passione per le donne, o magari abuso di droghe e altre debolezze private. Saranno i tasti da pigiare al momento opportuno, quando l’ometto non servirà più e andrà bruciato. Di colpo, il suo dossier – compilato fin dall’inizio e pronto da anni – finirà ai magistrati (e alla stampa). Risultato: morte civile. Succede sempre, di continuo, secondo uno schema cinico e quasi noioso, nella sua monotonia. Formigoni e Renzi? Sembrano solo gli ultimi nomi della lista. Poi ci sono altri personaggi, di ben maggior peso. Magari finiscono in esilio ad Hammamet, o peggio: assassinati come Moro, fatti esplodere in aria come Mattei. Via loro, avanti un altro. Il gioco continua, perché serve a non cambiare mai le regole. E i padroni di quelle regole non siamo noi, salvo rarissime eccezioni, destinate a durare poco – come Olof Palme, premier svedese freddato da un killer nell’86, o Thomas Sankara, rivoluzionario leader del Burkina Faso massacrato nell’87 dopo soli quattro anni di governo, in cui aveva creduto di poter mettere fine, per davvero, alla schiavitù finanziaria dell’Africa.
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Sinistra, magistrati e stampa: ci indicano sempre chi odiare
Sms è il nome in codice di Sinistra Magistrati Stampa, il serpentone trasversale che ci dice cosa dobbiamo pensare, chi dobbiamo condannare e come dobbiamo indignarci. L’Sms ci dice ogni giorno che stiamo vivendo sotto il peggiore dei regimi possibili, nel peggiore dei tempi possibili, sotto il tallone di un criminale in divisa di nome Matteo Salvini che va subito processato. Ma questo film horror mi pare di averlo già visto. E così sono tornato con la memoria all’inizio del presente decennio. La scena era totalmente diversa, i protagonisti pure. Il peggiore dei regimi possibili in quel tempo pessimo era il centro-destra e il tallone del criminale, con alzatacco, era quello di Silvio Berlusconi. Non era diverso l’allarme, l’accanimento, l’odio per un’altra emergenza democratica, un’altra situazione “senza precedenti”. Vivevamo anche allora in “una dittatura sudamericana”, populista e malandrina, eravamo anche allora fuori dall’Europa, dalla Modernità e dalla Democrazia, e naturalmente fuori dalla legalità. Ma non solo. A chi dice oggi che viviamo in un tempo allucinante, in cui tutti i problemi vengono ridotti a uno, gli sbarchi dei migranti, vorrei ricordare qual era il menu di quei giorni.Non si parlava dei problemi reali del paese, di crisi economica ormai scoppiata negli Stati Uniti e destinata a contagiare l’Europa, non si parlava di lavoro, opere pubbliche e sanità, o di mille altre emergenze. No, gli occhi dei media, dei magistrati inquirenti e della sinistra erano interamente riservati alle gesta erotiche del premier in carica nel regno delle Mignotte. Eccolo, è lui, Priapo, re di Troia. Il tema che divideva l’opinione pubblica non era quota 100, i porti chiusi o il reddito di cittadinanza ma se il Cavaliere sapeva che Ruby era minorenne, se c’è stato o no sesso tra i due o con Noemi Letizia, se i festini ad Arcore erano orge oppure no, se pagava o no le case alle olgettine e come si sdebitava con le damine di corte che popolavano Zoccolandia. I temi di politica estera erano sfiorati solo attraverso l’accenno al lettone di Putin, dove si sarebbe consumato il misfatto con la d’Addario, o alla nipote di Mubarak, come fu sontuosamente presentata la giovane marocchina per dissimulare la libidine nella ragion di Stato. L’intrigo nazionale che assorbiva il dibattito pubblico e le conversazioni private era come funzionava la meccanica sessuale del Cavaliere, se si trattava di un sistema a pompa, a gettoni o a pulsante.La narrazione dominante era una favola capovolta, il Nano e le sette Biancaneve. Un paese intero veniva istigato a dimenticare la realtà e i suoi problemi per curarsi d’interessi privati in atti d’ufficio, molto privati, e a dedicarsi esclusivamente al gossip erotico-giudiziario sul premier, per esprimere condanna morale e penale. La politica spariva, tutto veniva ridotto a intercettazioni, toccatine e fotoshop. Moralismo & Puttanate. Con questi precedenti vi chiedete a che punto siamo arrivati? Facendo questi paragoni ritenete che oggi abbiamo toccato il fondo? E quello cos’era, il fondoschiena? Volete dire che occuparsi di migranti, spacciatori o quota 100 sia più infame che occuparsi di tette, culi e bunga bunga? Quanto al leader delinquente, Salvini è solo l’ultimo arrivato per il quale si invocano i giudici e la galera. Chissà per quale maledizione, ma chi si oppone alla sinistra in Italia è per definizione criminale: lo fu Almirante ma anche i partigiani Pacciardi e Sogno, lo fu Craxi ma anche Fanfani, i presidenti Cossiga e prima di lui Leone, lo fu Berlusconi, naturalmente. Smise di esserlo Fini appena si prestò al gioco della sinistra. Ma che sfiga, questa sinistra non ha mai avversari decenti, sono sempre tutti criminali, o meglio lo diventano appena si oppongono alla sinistra medesima.Oggi i grillini offrono generosi motivi di satira, sconcerto e derisione; ma vogliamo dire come ci eravamo ridotti dieci anni fa, a seguire col vivavoce i sospiri nella camera da letto di Berlusconi o a seguire sul maxischermo dal buco della serratura, le imprese erotiche vere o presunte del satiro regnante? Testimonianze, dossier, pacchi di documenti, fiumi di intercettazioni, centinaia di persone assorbite da questo minuzioso lavoro, tutto per sapere se la gnocca c’era stata, se aveva preso e quanto aveva preso. Ecco cos’era l’emergenza democratica, il senso dello Stato (o meglio lo stato dei sensi), insomma il tema politico di quei giorni. Avendo una memoria corta, vivendo ormai totalmente persi nel presente, tendiamo a dimenticare il passato prossimo, non siamo in grado di fare paragoni e ci pare di vivere in chissà quale incubo senza precedenti. Ma se fate un piccolo sforzo, ricordatevi come eravamo combinati, non un secolo fa, ma agli inizi di questo decennio. Non stavamo messi meglio di oggi, credetemi. E per l’Sms eravamo anche allora nel peggiore dei mondi possibili.(Marcello Veneziani, “Un film già visto”, da “La Verità” del 2 febbraio 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Sms è il nome in codice di Sinistra Magistrati Stampa, il serpentone trasversale che ci dice cosa dobbiamo pensare, chi dobbiamo condannare e come dobbiamo indignarci. L’Sms ci dice ogni giorno che stiamo vivendo sotto il peggiore dei regimi possibili, nel peggiore dei tempi possibili, sotto il tallone di un criminale in divisa di nome Matteo Salvini che va subito processato. Ma questo film horror mi pare di averlo già visto. E così sono tornato con la memoria all’inizio del presente decennio. La scena era totalmente diversa, i protagonisti pure. Il peggiore dei regimi possibili in quel tempo pessimo era il centro-destra e il tallone del criminale, con alzatacco, era quello di Silvio Berlusconi. Non era diverso l’allarme, l’accanimento, l’odio per un’altra emergenza democratica, un’altra situazione “senza precedenti”. Vivevamo anche allora in “una dittatura sudamericana”, populista e malandrina, eravamo anche allora fuori dall’Europa, dalla Modernità e dalla Democrazia, e naturalmente fuori dalla legalità. Ma non solo. A chi dice oggi che viviamo in un tempo allucinante, in cui tutti i problemi vengono ridotti a uno, gli sbarchi dei migranti, vorrei ricordare qual era il menu di quei giorni.
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Rolling Stone: ma che rabbia, quel Rinaldi sempre in tivù
Ma come si permette, Antonio Maria Rinaldi, di dire quello che pensa? Come osa trascinare il suo ciuffo argenteo nei migliori salotti televisivi, da cui dispensare il suo sub-pensiero economico declinandolo sfrontatamente in romanesco? Non sa, Rinaldi, che negli studi di Giletti, di Floris e della Gruber, come in quelli di Mediaset e della Rai, devono avere accesso solo personaggi collaudati come Beppe Severgnini, Paolo Mieli, Massimo Cacciari e altri analoghi, rassicuranti esponenti del clero regolare? Se qualcuno si domandasse come mai l’Italia è classificata al 46esimo posto nella graduatoria di “Reporters sans frontières” sulla libertà d’informazione, forse una risposta potrebbe trovarla dando uno sguardo alla demolizione programmata di Antonio Maria Rinaldi, eseguita dal giovane Steven Forti sul magazine musicale “Rolling Stone”. Non vive di sola musica, “Rolling Stone”. Lo si capisce da titoli come questo: “Il troll di Salvini è meglio di Salvini”. Oppure: “Sapreste riconoscere il fascismo, se tornasse?”. O ancora, sotto una foto di Beppe Grillo: “La politica non fa più ridere”. Quanto all’autore della sommaria rottamazione cartacea di Rinaldi, per lui parlano titolazioni altrettanto eloquenti: “La bestia, ovvero del come funziona la propaganda di Salvini”. Va da sé: “Un fantasma si aggira per l’Europa: il rossobrunismo”, dal momento che “Piccoli Salvini crescono”.
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Tav, la strana guerra contro i palestinesi della val di Susa
Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.Nemmeno l’umorismo iperbolico di Paolo Villaggio, forse, sarebbe riuscito a dipingere il carattere lunare, gaglioffo e cialtrone del fantasma ferroviario che insidia da più di vent’anni l’estremo nord-ovest italiano: un ipotetico super-treno pensato negli anni ’80 del secolo scorso per i passeggeri, surclassato in capo a un decennio dall’avvento dei voli low-cost e infine umiliato anche dal traffico merci, defunto pure quello. La globalizzazione “cinese” sbarca a Genova e punta verso Rotterdam, snobbando il Piemonte e le Alpi del Rodano. Dalla Fortezza Bastiani del Tav, a lungo presidiata dall’ineffabile Pd con la collaborazione del centrodestra (leghisti compresi), ormai si guarda con malinconia ai dati, impietosi, sciorinati ufficialmente anche a Palazzo Chigi: il flusso di merci è crollato, e la ferrovia internazionale che già collega Torino a Lione attraversando l’infelice valle di Susa (via Modane, traforo del Fréjus) potrebbe tranquillamente reggere un incremento di traffico del 900%, se solo ci fossero merci da trasportare. Bel guaio: cosa bisognerà inventare, ancora, per spillare soldi euro-italiani da spalmare su appalti e subappalti? Avverte il giallista Massimo Carlotto, vicino ai NoTav: le grandi opere sono perfette per riciclare denaro, nell’immensa “lavanderia a cielo aperto” chiamata Europa. Business is business: non è che si possa smontare così, su due piedi, un grande affare destinato a pompare milioni (miliardi) in una filiera che include industria e indotto cantieristico, studi e consulenze, progettisti, banche e partiti.Se sento ancora parlare di Tav Torino-Lione, scrisse Giorgio Bocca nel 2005, vado a ripescare il mio vecchio Thompson dal pozzo in cui l’avevo gettato alla fine della guerra partigiana. Si era documentato, l’ultimo grande vecchio del giornalismo italiano: aveva capito che i palestinesi inermi le avevano buscate in modo selvaggio, riempiti di botte – uomini e donne, ragazzi e anziani – dai robocop venuti da lontano, in piena notte, per sgomberare il prato di Venaus occupato dalle famiglie impegnate in una sorta di sit-in permanente. Ne seguì una sommossa popolare a carattere insurrezionale: qualcosa che in Italia s’era visto soltanto nei moti di Reggio Calabria del 1970. Un popolo sulle barricate, armato solo di indignazione. Scudi umani, i sindaci in fascia tricolore (e le loro auto, quelle dei vigili urbani, spedite a sbarrare le strade, coi lampeggianti accesi). Due giorni di follia collettiva, dopo il pestaggio notturno, fino alla paralisi della tangenziale di Torino e alla capitolazione del governo: progetto sospeso, ritirato, archiviato. Clamorosa vittoria dei palestinesi, che da quel momento cominciarono a credersi invincibili. O meglio: ritennero invincibile la forza della ragione, la sovranità democratica del cittadino, la legittimità della protesta di una comunità coesa e fasciata di tricolore.Durò anni, l’illusione. Una speranza radicata: il governo centrale si sarebbe deciso a cestinare il dossier – poi bocciato anche da 360 tecnici universitari – per concludere che sì, avevano ragione i palestinesi della valle di Susa: quella ferrovia andava dimenticata, gettata nella spazzatura della storia. Ma le trivelle tornarono, dopo un quinquennio di silenzio. Era il 2010. La tensione emotiva era scemata, molti sindaci erano spariti – non rieletti, o semplicemente rimasti a casa, non più disposti a fare da caschi blu. Fu allora che cominciò l’accerchiamento, lento e inesorabile. Senza più i sindaci in prima fila, i NoTav erano nudi. “Siete finiti”, li avvertì cordialmente il sindaco di Torino, Chiamparino. Risposero in quarantamila, con una marcia sotto la neve. I piani di Roma, intanto, erano cambiati: il cantiere per la prima galleria esplorativa, inizialmente programmato nel prato poi “espugnato” a Venaus nel 2005, sarebbe stato reimpiantato a Chiomonte, sopra le gole della Dora Riparia, in posizione militarmente difendibile. I NoTav risposero asserragliandosi proprio lì, tra le loro Termopili. Nacque la Libera Repubblica della Maddalena, il villaggio di Asterix attrezzato – con barricate – per tentare di resistere all’esercito imperiale. I reparti antisommossa, duemila uomini, si presentarono puntuali all’alba del 27 giugno 2011. Agirono con calma, minimizzando la loro forza d’urto. In cabina di regia il ministro Maroni e il capo della polizia Manganelli. Niente più cariche, solo lacrimogeni.Ci rimasero malissimo, i palestinesi: avevano sperato di ripetere il “miracolo” del 2005, quand’erano riusciti – sciamando in 80.000 attraverso i boschi – a sfrattare la polizia da Venaus. Una settimana dopo lo sgombero della “Libera Repubblica”, il 3 luglio 2011 tentarono di riprendersi Chiomonte. Erano in centomila: un corteo lungo chilometri. Pullman da tutta Italia, decine di migliaia di valsusini. E anche giovani dei centri sociali: quelli che poi, nel pomeriggio, avrebbero contribuito a trasformare la protesta in guerriglia. “Volevano il morto”, dichiarò Maroni. Bilancio ufficiale: 200 feriti per parte. E fine di una lunga, gloriosa anomalia: la lotta popolare esclusivamente nonviolenta, nata e cresciuta in mezzo ai monti, che tanto aveva spaventato la politica. Inammissibile che una comunità di sessantamila valligiani riuscisse a fermare le ruspe. Intollerabile, che lo facesse in modo pacifico. Inaccettabile, che imponesse al governo di lasciarsi ascoltare, e lo costringesse a prender nota del fatto che, secondo tutti gli esperti, la linea Tav Torino-Lione era (ed è) una pazzia completamente inutile, destinata a pesare per decine di miliardi sul debito pubblico dopo aver reso invivibile il territorio, cioè i 50 chilometri che separano Torino dalla Francia. Rocce piene di amianto, montagne dove l’Agip scavò decine di gallerie per estrarre l’uranio al tempo del nucleare italiano. Falde acquifere a rischio, salute in pericolo e addio agricoltura. Dissesto idrogeologico irrimediabile, apocalisse urbanistica, catastrofe idrica incombente sulla stessa area metropolitana torinese. Ma perché, di grazia? A beneficio di chi?“Diteci almeno a cosa servirebbe, tutto questo”. Domanda rimasta sempre inevasa. Lo vuole l’Europa, c’è un impegno con la Francia. Davvero? Sì e no. L’Europa ha cambiato idea: ha archiviato l’originaria, fantascientifica direttrice Kiev-Lisbona, di cui la Torino-Lione sarebbe stata il passante alpino. Quanto alla Francia, varie istituzioni parigine hanno via via intiepidito la loro posizione. Analoga retromarcia tattica dal governo Renzi: è vero, la nuova linea costa troppo; meglio limitarsi al solo traforo, facendo poi passare i treni sull’attuale linea (perfettamente idonea, dunque – percorsa, già oggi, dal Tgv francese). Nel frattempo, sui NoTav si è scatenata una campagna di demonizzazione parossistica, da parte della politica istituzionale e dei grandi media. E il movimento valsusino, senza più la tutela diretta dei sindaci, ha fatto miracoli per arginare il pericolo di infiltrazioni da parte delle frange virtualmente violente (un conto è gestire un corteo, un altro controllare manifestanti in ordine sparso, nei boschi). Anni durissimi, rischiosi, in bilico, ma durante i quali – nonostante tutto – la resistenza dei palestinesi ha conquistato piena cittadinanza in larghi strati del paese, anche grazie al generoso impegno di opinion leader di prima grandezza, scrittori e artisti, cantanti, giuristi, intellettuali. Senza con questo riuscire minimamente a scalfire il muro di omertoso silenzio che ancora protegge, misteriosamente, il progetto della grande opera: un dogma marmoreo, quasi mistico, che sembra imposto da una religione sconosciuta, alla quale gli stessi politici (ministri, premier) appaiono sottomessi.C’è altro, poi, che i valsusini sanno e gli altri italiani per lo più ignorano. E’ una storia complicata, tra loro e il governo. Una storia tormentata e opaca, per molti aspetti, che risale addirittura alla Liberazione, quando molti partigiani – in maggioranza comunisti – rifiutarono di consegnare le armi agli alleati, per poi tirarle fuori, occupando fabbriche, in risposta all’attentato a Togliatti. Ha radici antiche, il ribellismo della valle di Susa, industriale e operaia già alla fine dell’800. Dopo il Sessantotto, mentre i padri issavano bandiere rosse sui cotonifici, decine di figli cedettero alla tentazione della lotta armata. La valle di Susa è stata l’unica area non metropolitana, in tutta Italia, ad allevare una colonna di terroristi, arruolati tra le file di Prima Linea. Poi vennero gli anni ’80, con l’autostrada del Fréjus che la valle non voleva. Le solite mazzette e, a seguire, la relativa Tangentopoli, con arresti eccellenti, mentre la commissione parlamentare antimafia denunciava il radicamento della ‘ndrangheta nell’alta valle, il paradiso sciistico che a Sestriere avrebbe ospitato i Mondiali di sci e poi le Olimpiadi Invernali. Quello di Bardonecchia è stato il primo Consiglio comunale italiano, a nord del Po, a essere disciolto per mafia.L’onorata società tornò a occupare la cronaca della valle di Susa poco dopo gli attentati siciliani costati la vita a Falcone e Borsellino, quando la magistratura di Torino scoprì che erano finite a una cosca calabrese le pistole uscite illegalmente, a centinaia, da un’armeria di Susa. Chi avrebbe dovuto vigilare non l’aveva fatto: emerse l’ombra dei servizi segreti. Gli inquirenti avevano scoperto il traffico di armi grazie a un pentito della ‘ndrangheta, che smise di parlare (di colpo) dopo che gli fu ucciso il fratello, proprio in valle di Susa, da un ex agente del Sismi, reo confesso. Uno stillicidio di notizie inquietanti, che il valsusino medio – non ancora palestinese – apprendeva con sgomento, a metà degli anni ’90. A seguire, cominciarono a esplodere bombe: una dozzina di attentati dinamitardi, notturni e devastanti ma tutti incruenti, colpirono le prime trivelle del futuro Tav ma anche centraline Enel, tralicci telefonici, ripetitori televisivi. I giornali, in coro, parlarono di eco-terrorismo anarco-insurrezionalista. Comparve una sigla, “Lupi Grigi”, con rivendicazioni deliranti contro le grandi opere. Finirono in manette tre giovani anarchici, due dei quali (“Sole e Baleno”) poi trovati morti in stato di detenzione, impiccati. L’accusa: banda armata e associazione sovversiva. Lui, Edoardo Massari, un anarchico piemontese. Lei, Maria Soledad Rosas, argentina, giovanissima, venuta in Europa in vacanza premio, dopo il liceo, e poi rimasta in Italia perché innamoratasi del suo “Edo”. Il pm annunciò di avere “prove granitiche”, contro di loro. Salvo poi ammettere il tragico errore, fuori tempo massimo. Scagionati post mortem, alla fine del processo: non erano stati quei ragazzi, a far saltare in aria mezza valle di Susa. Chi, allora?Aveva in testa anche questi pensieri, il valsusino medio (mediamente colto e informato, mediamente scettico) quando cominciò a diventare un po’ palestinese, trascinando la famiglia nei prati di Venaus dove, nel 2005, si era accampata la polizia, spedita lassù da un governo che sosteneva fosse fondamentale far passare proprio di lì, spianando l’intera vallata, la famosa super-ferrovia miliardaria destinata a collegare il Portogallo all’Ucraina. Non può essere, si dicevano i valligiani: avranno capito male, a Roma. E così studiarono, si documentarono, mobilitarono i migliori specialisti. Non sta né in cielo né in terra, conclusero: è un’opera faraonica e devastante, tragicamente inutile. Ne parlavano anche coi poliziotti infreddoliti, inviati a Venaus a presidiare il prato prescelto per accogliere il primo cantiere. Dai NoTav, una protesta formato famiglia: bambini, polenta, bicchieri di tè caldo offerti agli stessi agenti – non quelli che li avrebbero sgomberati (per l’operazione, il reparto presidiario fu avvicendato). Gli incursori notturni colpirono alla cieca, travolgendo tende e sacchi a pelo. Una gradine di manganellate, al buio. Le ambulanze, le urla, i feriti. L’inizio della saga, già l’indomani: i valsusini, a migliaia, nelle strade. La circolazione paralizzata, i treni fermi. Il ministro dell’interno, Pisanu, scomparso dai radar. Imbarazzo, fra i palazzi romani. I palestinesi in rivolta ospitati per la prima volta in televisione, da Gad Lerner, per poi ricevere i primi rumorosi endorsement a reti unificate: Beppe Grillo, Dario Fo. E quei benedetti sindaci, avvolti nel tricolore, a ripetere che la legalità comincia dal rispetto del cittadino, democraticamente sovrano e tutelato da diritti costituzionali.Era solo il 2005, ma sembrano passati cent’anni. Le famiglie di allora avevano una luce particolare, negli occhi. La crisi era ancora lontana. C’era lavoro per tutti, i negozi non avevano ancora cominciato a chiudere, uffici e fabbriche funzionavano. All’ora dell’aperitivo i bar tracimavano di giovani – tutti palestinesi, naturalmente, tra svolazzi di bandiere NoTav. Un clima festoso, di fiducia. “Capiranno, a Roma. Si decideranno a ragionare”. I valsusini: riscopertisi comunità, proprio grazie allo scampato pericolo. Idee politiche forse rudimentali, antiche: la destra, la sinistra. A dire il vero, nella valle ribelle non s’era visto nessuno dei big: tutti spariti, i grandi partiti. La parte del cattivo era toccata a Berlusconi, ma poi Prodi (frenato dai ministri filo-valsusini Paolo Ferrero e Alfonso Pecoraro Scanio) non aveva comunque mai mostrato entusiasmo, per il fervore democratico dei palestinesi garibaldini, alle prese con quello strano risorgimento alpino, montanaro, periferico ma non provinciale. E’ come se si fosse laureato honoris causa, il valsusino medio, in questi anni grami: si è probabilmente conquistato il suo diploma di cittadino di prima classe, quanto a consapevolezza, mentre buona parte dell’Italia dormiva ancora sugli allori, prima di essere svegliata nel peggiore dei modi dal professor Monti, dalla professoressa Fornero.Si racconta che dal massiccio dell’Ambin, nel quale si è andato scavando il dannato tunnel esplorativo, sia disceso Annibale coi suoi elefanti. In direzione opposta avanzò Giulio Cesare alla conquista delle Gallie, facendo base a Susa, dove poi l’imperatore Costantino assediò Massenzio. Poco più a valle, Carlomagno sbaragliò i Longobardi manzoniani di Adelchi e Desiderio per poter fondare il Sacro Romano Impero, il cui erede Barbarossa mise a soqquadro Susa. Napoleone aprì la strada del Moncenisio, Cavour fece scavare il traforo del Fréjus. Quasi ogni sasso, in valle di Susa, ha molti secoli da raccontare, all’ombra dell’imponente Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte, eretto prima dell’anno Mille. Sul versante opposto, da una roccia emerge il Giove Dolicheno, scolpito dai soldati mediorientali arruolati da Roma nella Legione Siriana, di stanza nella valle conquistata dai Cesari. I valsusini amano le loro montagne, le frequentano con devozione. Le guardano diventare rosse, e poi viola, quando il tramonto illanguidisce nel crepuscolo lungo la cordigliera transalpina, dalla piramide del Rocciamelone alla mole nevosa del Niblè. Prima di altri, a loro spese, hanno imparato che il nuovo impero ha un’unica legge davvero sacra, quella dei soldi. A loro modo, da palestinesi, sono stati tra gli ultimi difensori di una repubblica di cui tutti gli italiani, oggi, hanno nostalgia.(Giorgio Cattaneo, “Tav, la strana guerra contro i palestinesi della valle di Susa”, dal blog “Petali di Loto” dell’11 dicembre 2018).Ormai, parlare dell’orrido Tav che incombe sulla valle di Susa è gradevole quanto lo è inoltrarsi tra il filo spinato del conflitto israelo-palestinese, degenerato in cancrena da decenni e trasformato in tumore fisiologico, incurabile. Di qua i buoni, di là i cattivi. Nemici, odio: il banchetto che qualcuno sperava di allestire fin dall’inizio? Non che ci tenessero, i palestinesi della valle di Susa: ne avrebbero fatto volentieri a meno, dell’intifada che li ha opposti periodicamente ai reparti antisommossa. Una sfida costata moltissimo in termini di conseguenze giudiziarie, tra arresti in massa e processi. Contro Golia, il piccolo Davide brillò nel 2012, quando rinunciò alla fionda: emozionò l’Italia (obbligando ad accorrere sul posto persino le telecamere di Santoro) il drammatico volo dell’acrobata Luca Abbà, che sfiorò la morte precipitando dal traliccio dell’Enel sul quale si era arrampicato, per protesta – lui anarchico, alle prese con una classica dimostrazione di resistenza nonviolenta. Ma durò poco: le cariche dispersero i manifestanti scesi a bloccare l’autostrada, messi in fuga e rincorsi casa per casa, dopo giorni di tensione. Tutto doveva tornare all’ordine fisiologico delle cose, cioè a come si presume che il pubblico s’immagini sia la realtà: un’aspra lotta tra opposti che si detestano, una partita feroce in cui difficilmente vincerà il migliore.